Storia dell`America del Nord

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Storia dell`America del Nord
01 03 2011
ORIGINI DEGLI STATI UNITI
Nascono con una dichiarazione di indipendenza presa il 2 luglio del 1776 (resa pubblica il 4 luglio). Gli Stati Uniti sono l’evoluzione di un sistema coloniale preesistente, quello britannico dell’America Settentrionale. Nelle origini lontane c’è molto di quello che caratterizza ancora oggi lo
spirito statunitense, i valori di fondo, le grandi idee portanti della società. Gli Stati Uniti hanno ancora presente nel loro modello sociale e politico lo spirito dei padri fondatori, della colonizzazione
dell’America settentrionale.
L’America del Nord non è il luogo principale di colonizzazione europea, vista la precarietà dei
mezzi di trasporto: hanno cominciato dalla zona caraibica dell’America centrale, seguendo i venti.
Per l’America settentrionale serve un’evoluzione della capacità di navigazione, e avviene agli inizi
del 1600. Distruzione dei grandi imperi Maya, Aztechi e Inca sulla base di un fenomeno che è uno
scontro di civiltà in senso reale: lotta impari tra un modello evoluto che è quello europeo e realtà
locali molto più primitive. La spedizione di Cortez che porterà alla distruzione dell’attuale Città del
Messico è formata da novecento uomini, contro gli Aztechi che avevano decine di migliaia di combattenti, ma non avevano le capacità tecnologiche europee, non avevano i cavalli, ci sono armi molto evolute per i tempi (armi da fuoco, ottime lame d’acciaio, capacità di blindarsi) –scontro tra due
civiltà che non sono in grado di dialogare, e il risultato per il modello più debole è devastante. Vengono soggiogate dalla corona di Spagna e di Portogallo, che stabiliscono un modus vivendi relativo
alla spartizione dell’America centro-meridionale.
Perché comincino ad arrivare europei nell’America settentrionale bisogna aspettare gli inizi del
1600. È importante capire chi va in America settentrionale. Non sono avventurieri in cerca di successo, sono essenzialmente gruppi di moderni imprenditori che si rifanno a un modello culturale e
religioso essenzialmente calvinista: provengono dalle isole britanniche o dall’area delle fiandre, e
sono perlopiù dei gruppi di persone che cercano di investire i loro capitali sulla base di un credo
essenzialmente riformato. Sono figli della Riforma perché soprattutto nell’area delle Fiandre le riforme creano grandi tensioni, c’è spirito in alcuni casi quindi di emigrazione. Sono calvinisti perché
il calvinismo ha questa straordinaria caratteristica di identificare il successo terreno con la benedizione divina. Il cristianesimo preesistente non penalizzava il successo terreno, però dai vangeli non
emergeva il successo economico come chiave ideale del Paradiso. Chi ha finanziato il rinascimento
e l’inizio dell’impresa moderna sono gli ebrei, che non erano tenuti a questo e potevano prestare il
denaro a usura. Quelli che vanno negli Stati Uniti sono dei calvinisti fermamente convinti che se c’è
la benedizione di Dio hai successo, e più tu avrai successo più ringrazierai il tuo Dio: si crea il valo1
re cardine della società americana che implica una grande religiosità. Un uomo di successo è un
buon credente e se uno è un buon credente sarà anche un uomo di successo. Si crea quel moralismo
fortissimo che caratterizza la vita politica americana. È una società moralista, perché quelli che
creano le prime regole di convivenza negli Stati Uniti sono degli integralisti calvinisti, così i valori
di fondo sono una famiglia numerosa, la fedeltà della famiglia, il profondo credo religioso, il perseguimento del successo terreno inteso proprio come segno di benedizione divina. Questi valori del
padri fondatori, quelli che con il Mayflower arrivano alla foce del fiume Hudson e fondano New
York hanno questi valori, e hanno una precisa idea di investimento economico. Sono un’impresa
organizzata, niente a che vedere con quello che un centinaio di anni prima era lo spirito che muoveva i conquistadores spagnoli. La colonizzazione dell’America del nord dà una fortissima impronta
al futuro di quelli che saranno gli Stati Uniti. Parliamo di east coast, dove cominciano a organizzarsi
degli insediamenti che si riconoscono sotto la sovranità della corona britannica. Tredici colonie nel
1776 saranno quelle che si ribelleranno alla Gran Bretagna. Colonie con un loro governatore nominato dal Re inglese, lasciate in una gradevole condizione di autonomia. Un referendum del 1700
avrebbe detto che la maggior parte di coloni inglesi erano felici di essere sudditi della corona inglese.
Tema della sottomissione delle popolazioni locali – pagina buia della storia americana. Convivenza difficile alla fine del 1700, perché sono pochi e deboli gli europei ma sono molti e poco organizzati gli indiani. Stime dicono che nel 1600 ci potessero essere forse cinque milioni di esseri
umani, cifra ridicola pensando alla vastità di tutta l’America settentrionale. Rapporti difficili ma
non impossibili: esistono matrimoni misti, scambi commerciali. Scomparsa dei francesi dal controllo dell’America settentrionale di seguito alla guerra dei Sette anni, che lasciano la scena ai britannici: da lì inizia il declino del ruolo inglese nell’America settentrionale. L’espansione coloniale fino
alla guerra dei sette anni trova una realtà urbana molto rarefatta (la New York dell’epoca dell’indipendenza è una città di sessanta mila abitanti), le attività sono l’agricoltura già potenziale oggetto di
forte scontro con le popolazioni indigene che non praticano l’agricoltura e non concepiscono la
proprietà della terra. Gli indiani non fanno agricoltura, vivono di bisonti. Gli spazi però sono ancora
enormi, con poche centinaia di migliaia di europei e pochi milioni di indiani, è un problema di occasioni di scontro. Le guerre si possono vincere ma avere delle conseguenze catastrofiche. Le spese
della guerra con la Francia sono state devastanti per le casse della corona, e cerca di tirare fuori i
soldi dal sistema che controlla. Non c’era ancora un sistema di democrazia tra stato e suddito. In
Europa, gli abitanti di un certo territorio sono sudditi di qualcuno, e lo sono anche i cittadini britannici che vivono in America. I sudditi di sua maestà britannica che avevano fatto quello che gli pare2
va con modeste imposizioni dal centro, causa la guerra si ritrovano in tempi rapidi sostanzialmente
torchiati, con tasse che erano prima sconosciute. Viene introdotta una tazza che riguarda il tè, vengono aumentate le tasse sui macinati, vengono introdotte le marche da bollo sugli atti. Viene stretta
la morsa fiscale sul territorio. Un’altra posizione decisa a Londra che irrita profondamente è la cosiddetta legge sugli Appalachi, monti che delimitano la fascia costiera orientale degli Stati Uniti. È
una legge sbrigativa per non avere rogne che vieta ai coloni di espandersi a ovest degli Appalachi.
Perché impedire la colonizzazione interna? Perché l’idea prevalente era che si mettessero nei guai e
servisse mandare truppe della Corona per prestargli soccorso. È vissuta come una frustrazione: se è
terra di nessuno, era chiaramente oggetto di appropriazione. Ulteriore inasprimento dei rapporti, per
controllare meglio e tassare meglio i commerci da e per le colonie americane: impone che tutti i
traffici commerciali da e per l’America settentrionale passino attraverso i porti britannici. È una
legge economicamente pesante.
Le grandi rivoluzioni non sono normalmente legate a cause diverse da quelle economico-finanziarie. La rivoluzione americana cambia l’idea dello Stato prima della rivoluzione francese: le chiavi della Bastiglia furono donate a George Washington dai francesi rivoluzionari, così come la Statua
della Libertà dopo la guerra civile del 1865. Vengono sovvertiti i valori di fondo di una società, e le
motivazioni sono essenzialmente economiche. Per uscire dallo sfruttamento inglese dovevano
crearsi una nuova realtà che non permetta rapporti cittadino-stato come quelli che gli erano imposti.
Il proletariato non ha un ruolo rilevante, è una rivoluzione di commercianti, perché sono quelli più
colpiti dalle misure britanniche e che hanno anche delle concrete disponibilità economiche. La realtà economica americana è avanti se già un’attività definita del terziario, il commercio, riesce ad avere un ruolo guida di un movimento rivoluzionario. Situazione che diventa quasi guerra civile, fino al
1776 in cui viene promulgata la dichiarazione di indipendenza, dichiarazione di intenti, di non identificarsi più in una realtà britannica. Prima che nascano come stato organizzato bisogna aspettare il
1887 perché venga varata la Costituzione. Nel 1781, mentre va avanti la guerra di liberazione (non
fatta di battaglie campali, non hanno un esercito, hanno delle milizie di contadini e cacciatori) fatta
di scaramucce, imboscate, occupazione di villaggi – una serie di episodi continui in cui gli inglesi
non riconoscono gli Stati Uniti che provano a quel punto a sbattere fuori gli inglesi. Fanno un’ipotesi confederale che porta alla stesura degli articoli di confederazione, regole per la collaborazione tra
le tredici ex colonie. Non c’è scritto da nessuna parte che le tredici colonie diventassero un unico
stato. Come metterli insieme senza che nascano conflitti interni, e il più grande quesito dopo la liberazione. Volevano trovare un modus vivendi momentaneo finché la situazione non si fosse stabilizzata. Da qui il modello di confederazione, senza forzare la situazione definendola come definitiva.
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Nulla è definito sul futuro del paese, se non che non vogliono più gli inglesi – questi alla fine, senza
una vittoria statunitense vera e propria, si rendono conto che non sono più nelle condizioni di portare avanti per decenni una guerra civile in America. Arrivano a un trattato che prelude, nel 1883, alla
completa indipendenza negli Stati Uniti. In quel momento comincia un duro dibattito tra le ex colonie per darsi delle regole del gioco di lunga durata.
1787: paura che uno dei tredici possa prevalere sugli altri fa si che non si accetti che le precedenti capitali di colonia possano essere capitali della federazione, per cui si inventa una nuova capitale:
George Washington dona le terre del distretto della Columbia dove nasce Washington, la nuova capitale. C’era l’ossessione della pariteticità, ma al momento Philadelphia è il luogo del negoziato,
dove nel 1887 viene promulgata la Costituzione degli Stati Uniti. È una costituzione che considera
un nero come tre quinti di un bianco – aspetti obsoleti e assurdi, ma figli di quei tempi. Fatto salvo
per questo, è una costituzione saggia che permette gli Stati Uniti di crescere a dismisura fino al
2011 con solo una trentina di emendamenti. Dal 1791 si e no con una ventina di ritocchi, la Costituzione americana è ancora viva e vegeta: si trattava di creare un sistema di pacifica convivenza tra
tredici entità profondamente diverse e fiere della loro diversità, e convinte di non essere prevaricate
da altre componenti interne.
Le due elementi etnici dominanti erano quella inglese e una grande componente tedesca: a Philadelphia prevale l’inglese per un voto, altrimenti la lingua ufficiale sarebbe stato il tedesco. I principi
informatori della costituzione americana sono i valori su cui si fonda: è illuminista, fino ad allora
era prevalsa l’idea che la teologia era l’unica forma di conoscenza. I padri fondatori sono intelligenti, quindi la costituzione è pregna di illuminismo. Qualcuno gioca sul fatto che molti dei padri fondatori facevano anche parte della Massoneria. Essendo una rivoluzione, la costituzione recepisce un
cambio di rapporti tra il cittadino e lo stato, nel senso che primo paese al mondo e forse per alcuni
aspetti resta ancora abbastanza isolato: vi è una sostanziale parificazione di ruolo e valore tra cittadino e lo stato. Non vi è un rapporto di sudditanza, lo stato è solamente il necessario insieme delle
regole che impedisce ai cittadini di comportarsi secondo l’homo homini lupus di Hobbes. La Costituzione dice che il cittadino può essere giudicato solo da un collegio di suoi pari. Rapporto tipico
cittadino stato, in tempi recenti in tutto l’occidente è il sistema del servizio militare – soppresso perché non è più utile ai fini delle attuali esigenze. Non c’è il servizio militare obbligatorio: solo un
estremo rischio per il paese può comportare il servizio militare.
Il secondo emendamento è il diritto costituzionale al possesso e porto di armi: perché viene introdotto nel Bill of Rights? Dice come lo stato ha diritto per la pubblica utilità una milizia armata,
così i singoli cittadini hanno diritto di essere armati. Lo stato è un proiezione della volontà dei citta4
dini. Il presidente è un coordinatore della vita pubblica, non ha poteri incontrollati e non è un cittadino superiore agli altri. Il presidente è assolutamente sottoposto al controllo da parte delle Camere.
I poteri dello stato vengono messi in condizioni di controllo incrociato. Il presidente deve essere un
nativo americano, non si sono altri limiti (a parte il fatto che le donne non sono ammesse al voto
fino al 1920,introdotto dal diciannovesimo emendamento). Inizialmente la costituzione prevede che
il vicepresidente sia semplicemente il secondo più votato dagli stati uniti, perché inizialmente non
esistono i partiti politici, e il voto è dato su natura personale. Nel momento in cui si radicalizzano
repubblicani e democratici, negli anni ’50 del 1800, non sarà più fattibile questo metodo. Da qui
comincia la prassi per cui il candidato presidente designa anche il suo eventuale vice. Essendo figlia
dell’illuminismo la costituzione rispetta tre cardini dello stato: tripartizione dei poteri, il potere esecutivo va al presidente ma è anche molto vaga sul resto dei ruoli, il presidente può designare chi
vuole. Ovviamente ci sono delle consuetudini, ma i ministri non sono imposti dalla costituzione al
presidente. La costituzione non cerca problemi e lascia irrisolto il problema della Corte Suprema:
un problema che tornerà nel corso del 1800. Dice che i giudici sono di nomina presidenziale ma sono inamovibili a vita.
Il sistema legislativo: bisognava trovare dei compromessi per accontentare tutte le tredici componenti. Due camere, ma non come le intendiamo noi: non hanno competenze sovrapposte, hanno le
loro competenze specifiche. Hanno una camera dei rappresentati e una camera, il Senato, i cui
esponenti sono eletti con modalità e criteri diversi. Al Congresso vengono eletti su base proporzionale alla popolazione degli stati. La California elegge un numero di rappresentanti alla camera proporzionale ai suoi 34milioni, diversi dai 600mila del Delaware. L’altra camera, il senato, fa passare
il principio che la rappresentanza sia paritetica: ogni stato elegge due senatori. C’erano due senatori
per ognuno degli stati della federazione. Su questioni delicate come la politica estera anche uno stato piccolo può dire la sua rispetto allo stato grande; le questioni economiche e finanziarie sono gestite dal Congresso. Lo stato di guerra viene anch’esso deciso dal Congresso. La guerra la conduce
il comandante delle forze armate, che è il presidente, ma non conduce lui la guerra.
Elezioni del presidente e delle camere: sistema complesso, maggioritario con correzioni particolari. All’interno di ogni stato viene definito un numero proporzionale alla popolazione di grandi
elettori, persone che avranno poi il compito di votare l’elezione vera e propria del presidente. Questo all’inizio, in tempi rapidi si è arrivati a una decisione di prassi per cui non vengono riportati fedelmente i voti all’interno di uno stato degli individui, ma di dare lo stato intero al candidato presidente che ha più voti. Alla fine si viene eletti presidenti sulla base degli stati conquistati: porta al
fatto che non necessariamente il candidato che ha avuto più voti popolari sia eletto presidente. Con
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la morte di Roosevelt viene esclusa la rieleggibilità per più di una volta. Le elezioni è a rotazione
nelle camere, e si ha una elezione suppletiva a metà del mandato, le elezioni di medio termine, per il
rinnovo delle camere – con la possibilità che il presidente si possa venire a trovare in condizioni di
minoranza politica. Si verifica così il cosiddetto governo diviso, che non ha maggioranza parlamentare favorevole in una o addirittura tutte e due le camere. Dove ci sono decisioni di un certo rilievo
non viene seguita una logica di partito, la situazione è molto più gestibile che in Italia. La Costituzione non prevede alcun riferimento ai diritti della persona – sono dati talmente per scontati che
vengono scritti nei dodici emendamenti del 1791, il Bill of Rights, che introducono i diritti della
persona: ne vengono ratificati solo dieci. Il primo stabilisce la non ingerenza dell’esecutivo in questioni religiose, e tutte le religioni sono le benvenute ma il presidente non può occuparsi di religione. La figura più vista con sospetto in questo settore è la figura del Papa, perché ritenuto capace di
un ruolo di ingerenza che non è solo sulle coscienze e sull’etica religiosa. È la ragione per cui un
presidente come Kennedy avrà difficoltà a essere eletto, perché dichiaratamente cattolico.
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Alcune considerazioni:
- la libertà è il vero motore iniziale degli Stati Uniti, molto più che il concetto di democrazia.
Non è la democrazia lo scopo prioritario dei padri fondatori, in fondo votano solo gli uomini sopra
un certo livello di reddito. Il voto non è automatico al compimento del diciottesimo anno di età,
comporta l’iscrizione – e molti non si iscrivono. È esasperato il concetto di libertà dell’individuo
portata alle sue estreme conseguenze. Quando questo avviene in Europa ci sono monarchie anche
illuminate. La libertà è alla base di tutto, libertà di opportunità. Chiunque, arrivando da qualsiasi
origine, anche la più umile, può arrivare dove vuole. Libertà intesa come massima parità di opportunità. Persone che arrivando dal nulla realizzano cose enormi.
- forma di stato, che non può che essere quella federale. Se tredici entità decidono di convivere
per sviluppo e sicurezza, ma presentano grandi differenze, possono scegliere solo la via federale.
Una sola sovranità nazionale, ma autonomie molto marcate. Sono di competenza federale l’intero
settore della difesa, della politica estera e una parte della legislazione fiscale – ovviamente richiede
finanziamento, quindi la federazione può esigere delle imposte fiscali da parte degli stati membri.
Centralizzazione soprattutto della politica di difesa: non c’è una entità federale in cui le forze armate in cui sono dipendenti dai singoli stati. Per quanto riguarda tutto il dispositivo, viene scelta una
via di compromesso che alcuni reati saranno di competenza dei singoli stati, altri particolarmente
lesivi per la confederazione sono considerati reati federali. La maggior parte dei reati viene lasciata
alle singole realtà. Più o meno due terzi degli stati hanno la pena di morte, ma un terzo la rifiuta. La
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federazione ha la pena capitale, perché sono i crimini più pericolosi per la vita degli Stati Uniti
d’America. Il rapporto centro-periferia, federazione-stati federati, sarà un tema irrisolto per lungo
tempo e porterà alla resa dei conti che sarà la guerra di Secessione tra il 1861 e il 1865. Non sarà
risolto fino alla guerra quando vince in centro, la vittoria dell’unità nazionale intesa in senso centralista – prevalere degli interessi centrali rispetto ai sensi periferici. È difficile mettere mano da uno
stato unitario per portarlo a uno stato federale. Gli Stati Uniti decidono di nascere federali, perché
non sarebbero state possibili altre soluzioni. Diventano il miglior esempio di stato a modello federale.
- ferma determinazione a prendere le distanze dai giochi politici europei. La guerra dei sette anni
ha creato il disastro nei rapporti con l’Inghilterra. Non si vuole che gli Stati Uniti siano preda di
manovre politiche del vecchio continente. Nella Costituzione vi è il divieto per il presidente di stipulare alleanze di qualsiasi tipo in tempo di pace. In tempo di guerra sono possibili alleanze strumentali. Per prendersi la responsabilità globale che si sono presi dopo la Seconda guerra Mondiale è
stata necessaria la risoluzione Vanderberg, una modifica istituzionale per permettere l’istituzione
dell’Alleanza Atlantica. Discorso sullo stato dell’Unione, 1823, il presidente Monroe enuncia la cosiddetta dottrina Monroe, che significa che ingerenze politico militare europee nelle Americhe non
sono gradite: è in corso l’indipendenza di tutta l’America Latina, e gli Stati Uniti vogliono controllarla. Quello che avviene nell’America Latina è interesse americano: fino agli anni cinquanta era
controllata dall’Fbi, poi venne istituita la Cia. La dottrina Monroe è tutt’altro che obsoleta ancora
oggi.
- discorso dei diritti umani: viene dato per inevitabile in un paese moderno, viene dato per scontato nella Costituzione e riassunto nel Bill of Rights del 1791, che sancisce le regole del gioco della
civile convivenza americana, per chiunque si trovi sul suolo degli Stati Uniti. È abbastanza particolare perché nella Costituzione Italiana, ad esempio, i diritti dell’individuo sono parte fondamentale e
non riformabile del testo, non possono essere cambiati.
George Washington: quello che è riuscito a mettere insieme un gruppo eterogeneo di coloni e
organizzare un esercito armato. Viene eletto presidente, e la capitale viene fondata sulle sue terre
donate alla federazione – nessuna delle grandi città già esistenti avrebbe potuto diventare capitale,
per non essere prevaricatorie sulle altre città americane. Non prevede l’esistenza di partiti politici, è
attiva perché ci sono individualità emergenti e lobby che esse riescono a creare. Da subito si focalizza un bipolarismo tra due personalità che diventano poi gli stereotipi delle personalità americane.
In luce questi due partiti si formano già dalla fine del 1700, su due personalità forti, contrastanti fra
loro che sono Thomas Jefferson e Alexander Hamilton – due metodi di sviluppo degli Stati Uniti,
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che si incarneranno nei partiti e si scontreranno nella guerra civile del 1861. Sono due persone
completamente diverse.
Thomas Jefferson: diventerà anche presidente (Hamilton non ci riuscirà perché si farà uccidere in
duello), è un uomo del sud – sud inteso come concetto sociopolitico e non geografico. Principalmente uno stato sudista è uno stato del sud, ma ad esempio il Delaware incarna il profondo sud, la
California, che geograficamente è a sud, è assolutamente nord degli Stati Uniti. Jefferson viene dalla Virginia, che geograficamente è centro, ma come cultura è profondo sud degli Stati Uniti. È uno
schiavista convinto, è uno schiavista illuminato – un bravo padrone di schiavi – è convinto di quella
che gli americani chiamano la peculiare istituzione, perché il modo di produzione del sud agricolo e
latifondista richiede utilmente la presenza della manodopera servile. È giusto avere gli schiavi anche se vanno trattati umanamente. Dice che il futuro degli Stati Uniti è lo sviluppo agricolo, evitando la concentrazione urbana. Usa un’immagine forte, “gli Stati Uniti hanno bisogno di grandi città
come il corpo umano ha bisogno di piaghe”, sono qualcosa di patologico, luoghi di ammassamento
e inevitabile conflittualità e malessere. La visione di Jefferson per quanto riguarda il rapporto periferia-centro è fortemente autonomista, favorevole agli stati federati. Jefferson dice che le competenze del governo centrale devono essere ridotte al minimo, ogni abuso del governo centrale deve essere represso, le ex colonie devono essere lasciate libere di decidere un autonomia. I jeffersoniani sono all’epoca conosciuti come repubblicani: in realtà i jeffersoniani saranno poi a metà ottocento il
partito democratico. I repubblicani della prima ora saranno i democratici di oggi. L’idea di sviluppo
jeffersoniana, fondata sull’agricoltura, è avallata dove l’agricoltura è importante, ovvero negli stati
più a sud. Attecchisce soprattutto nella fascia meridionale, dove ci sono le grandi piantagioni di tabacco e cotone che sono utilizzabili attraverso manodopera a bassissimo costo che è quella proveniente dalla peculiare istituzione. La caratteristica dei futuri democratici non resta sempre la stessa:
diventerà il partito degli intellettuali, della fascia culturale interna. La base ideologica è difficile da
definire al giorno d’oggi. La differenziazione ideologica anche in Europa si sta molto assottigliando.
Gli hamiltoniani, che alla fine del 1700 sono definiti federalisti – quelli che sostengono la federazione forte – saranno poi a metà ottocento il partito repubblicano: incarna il polo opposto di Jefferson. Jefferson aveva il proprietario terriero nel dna, Hamilton incarnava il polo delle libertà e delle pari opportunità: è di nascita caraibica, arrivato a New York dove studia legge, diventa avvocato e
il suo mito è la vita urbana, la società delle opportunità, il terziario. È un uomo di servizi, che capisce al volo le opportunità della consulenza, delle assicurazioni, e gli piace l’idea della concentrazione industriale nelle grandi città. Per meglio realizzare intuisce che poteri centrali forti nel governo
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sono indispensabili: Hamilton lotta per far nascere la Banca Centrale degli Stati Uniti. Urbanizzazione di poteri forti dello stato centrale: vede come qualcosa di arretrato, l’agricoltura, che non farà
fare un salto di qualità al giovane stato. Quel confronto di idee porterà alla guerra civile, la resa dei
conti tra i due modelli: uno sostanzialmente agricolo e prevalentemente radicato nel sud e un modello industriale incarnato meglio nel nord. La guerra di Secessione non è una guerra per abolire la
schiavitù: siccome è il simbolo del modello di sviluppo prevalente al sud, la guerra verrà posta come una crociata per l’abolizione della schiavitù, ma in maniera strumentale, non era la ragione prima della guerra. La schiavitù da subito va al centro del dibattito: alcuni ne fanno anche un discorso
etico, ma a un cittadino medio del nord semplicemente la schiavitù non interessa, perché non è funzionale al modello di sviluppo della zona dove vive. Già agli inizi dell’ottocento firmano la convenzione per l’abolizione della tratta degli schiavi, ma ogni stato è libero di tenere gli schiavi al suo
interno. Gli stati del nord non hanno bisogno di schiavi analfabeti, non sono possibili operai. Lo
schiavo non ha le capacità per fare l’operaio e soprattutto, se l’operaio non è consumatore, non sapevano a chi vendere le merci. L’operaio è prima di tutto il consumatore, per cui deve avere reddito.
Uno schiavo non ha reddito, perciò non può acquistare nulla.
Abraham Lincoln, simbolo del partito repubblicano e del nord, diceva che non gli importava nulla della schiavitù, diceva che gli importava è che gli stati rimanessero uniti. Sarà strumentale all’unità degli stati uniti abolire la schiavitù, soltanto con gli emendamenti del 1867. Non era un
obiettivo prioritario della guerra. Due modelli, quindi:
1.
legato al latifondo e alla agricoltura
2.
modello industriale
Ce n’è un terzo intermedio: man mano che gli Stati Uniti si allargano al centro si creano delle
realtà agricole di piccole e medie dimensioni, le terre del midwest, dove lo sfruttamento della terra
avviene a livello familiare, senza l’utilizzo di schiavi. La concentrazione di schiavi nel sud era
enorme ma in mano a un numero relativamente modesto di famiglie, che avevano anche centinaia di
schiavi. Nel midwest c’è agricoltura su base familiare, hanno bisogno delle merci del nord industriale. Nella guerra di Secessione gli stati del midwest si schiereranno con il nord. Nelle origini
della guerra, una delle più rilevanti è lo strangolamento del sud attuato dalle politiche del nord. La
maggioranza della popolazione è nel nord, perché si verifica un fenomeno di concentrazione urbana
rilevante. La popolazione del nord, allo scoppio della guerra, è quasi il triplo di quella del sud. Al
Congresso la maggioranza è nel nord, e la politica economica è in mano al Congresso. Cosa è strumentale a un rapido sviluppo economico è agire in protezionismo, perché crea una situazione di
quasi monopolio. La politica governativa degli Stati Uniti sarà protezionistica, con dazi alle impor9
tazioni elevatissimi (fino all’80%). Il risultato è che l’agricoltore del sud è costretto a comprare i
prodotti del nord, perché i dazi di risposta dell’Europa erano elevati quanto quelli degli Stati Uniti.
Il sud si stente strangolato, costretto a commerciare esclusivamente con il nord, e a rivendere i suoi
prodotti al nord.
Già dagli inizi dell’800 ci sono una serie di scontri giuridici sulle competenze della Corte Suprema, di cui una vitale. C’è un dubbio di costituzionalità di una legge della Pennsylvania: la sentenza di costituzionalità spetta a una corte delle Pennsylvania o alla Corte Suprema degli Stati Uniti? Dare la competenza a uno stato significa dargli una libertà enorme, io contrario significa accentrare. Battaglia giuridica enorme: la legge in un sistema anglosassone dice che le sentenze in giudicato fanno norma, ci sono decenni di guerre giuridiche per cercare di far passare un principio o un
altro. Verso la fine degli anni ’30, prevale il principio della Corte Suprema. Gli stati del sud, già
strangolati dal nord, si vedono togliere anche il loro principio di costituzionalità a favore di una legge di stato. Problema dell’estradizione forzata degli schiavi fuggiaschi, problema gravissimo negli
anni’50: se uno schiavo scappa da uno stato sudista a uno non sudista, lo stato sudista pretende la
restituzione dello schiavo, lo stato nordista non lo accetta.
ALLARGAMENTO
Gli Stati Uniti nascono in tredici, ora sono in cinquanta. Allargamento dello stato legato all’acquisizione di terre di nessuno: ogni diritto civile del mondo sostiene che ciò che è cosa di nessuno è
oggetto di appropriazione a titolo originario da parte di “chi lo trova”. Chiaramente non deve essere
rivendicato da qualcuno. Si allargano nella fascia centrale, dove c’è tanta res nullius, territori dove
nessuno ha imposto una sovranità statuale. Gli “indiani” non hanno una sovranità riconosciuta. Non
è necessario, per le occupazioni, un conflitto con un’altra autorità statuale. Non è una guerra in senso formale contro un altro stato. Oltre alla res nullius c’è la politica internazionale, che acquisisce
territori da altri stati mediante due vie:
1.
acquisto da altri stati;
2.
guerra, con azione militare.
Matura un complesso senso di predestinazione al successo che danno loro una forza. Viene stabilito già dal 1800 un criterio per l’acquisizione di nuovi territori. Zone che chiedano l’annessione
devono passare attraverso lo stadio intermedio di territorio. Se un gruppo di statunitensi va nel
midwest e si trasferisce in una certa area che è res nullius, devono, prima di diventare un nuovo stato della federazione, diventare un territorio. Devono formare un agglomerato di almeno 60.000 abitanti che si dotino di istituzioni civili e democratiche: assemblea legislativa, un governatore, uno
sceriffo che applica la legalità – si deve creare un modello di convivenza civile. Il territorio viene
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tenuto sott’occhio, passano diversi anni e poi arriverà l’assicurazione da Washington che quel territorio diventi stato americano. Il limbo può essere anche lungo: le Hawaii sono negli Stati Uniti nel
1890, l’Alaska è comprata dalla Russia nel 1866, e insieme diventano stati solo nel 1959. Passaggio
obbligato attraverso la fase intermedia di territorio. Tutto il midwest passa attraverso questa via. Il
modello di sviluppo è a sé stante e diversificato.
Equilibrio tra i due modelli a confronto: il primo allargamento enorme è la Louisiana, grande più
delle tredici colonie assieme, nel 1800. Era spartita tra inglesi e francesi: in quel momento è francese, venduta da Napoleone per pagare le spese di guerra. Il dibattito a Washington riguarda quanto
sia etico comprare terra, e popolazione con essa. Alla fine gli Stati Uniti decidono per il sì – nasce il
territorio della Louisiana, e dopo un po’ di anni di limbo nasce lo stato della Louisiana, quattordicesimo della federazione. Per puro caso si verifica un equilibrio di sette stati del sud, che fanno uso
della schiavitù, e sette del nord, in cui è abolita. Significa quattordici senatori schiavisti e quattordici antischiavisti. Situazione di equilibrio tra le due diverse posizioni. Cercarono di mantenerla il più
a lungo, ma l’allargamento farà i suoi effetti. Il primo scossone è nel 1920, con il territorio del Missouri, ben organizzato e pronto a fare lo stato. Come collocazione geografica è relativamente a nord
ma vuole entrare come stato sudista, con la schiavitù. Si andrebbe otto a sette. Momento di enorme
tensione, salta l’equilibrio: equilibrio necessario, per cui si negozia un compromesso, che passa alla
storia come Compromesso del Missouri, con il quale si inventa un nuovo stato nordista. Dal Massachusetts viene creato uno staterello che non ha ragione di esistere, il Rhode Island, per arrivare a un
numero pari di otto a otto. E si stabilisce il criterio geografico che nessuno stato che sia a nord del
38° parallelo potrà mai entrare come stato schiavista. Si va avanti così per decenni, perché nessuno
voleva uno squilibrio. Sono maturi due nuovi territori, il Kansas e il Nebraska, e non c’è soluzione
che viene trovata, se non quella di ammettere che ogni accesso alla federazione come stato nordista
o sudista sulla base di un referendum popolare che fa saltare il sistema: non ci sarà neanche più il
sogno di mantenere un equilibrio. La legge è il Kansas e Nebraska Act del 1854. Un referendum
semplicemente stabilirà se sarà uno stato schiavista o antischiavista. Durerà poco lo squilibrio perché scoppierà la guerra civile. Kansas e Nebraska entreranno come antischiavisti, e si accentuerà
alla sensazione di prevaricazione nel sud che portò alla dichiarazione di secessione. Riescono con il
compromesso del Missouri a metterci una pezza, ma l’equilibrio non era destinato a durare.
Guerra contro gli Inglesi del 1812, che serviva per annettere i territori canadesi. Gli americani
ritenevano che gli inglesi fossero troppo occupati con Napoleone per prestare attenzione ai territori
d’oltreoceano. Non si risolve in nulla, e la Casa Bianca viene bruciata. Per la storia degli Stati Uniti
la guerra crea il mito di Andrew Jackson, che sarà simbolo del presidente guerriero quando sarà
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eletto, negli anni ’30, generale ardito – gli Stati Uniti erano poca cosa come forza militare prima
della Grande Guerra. Si comincia a creare la capacità militare degli Stati Uniti: Jackson ci ha preso
gusto, e considerata la potenza latente spagnola e nel 1819 occupa l’ampio territorio spagnolo della
Florida che diventerà territorio degli Stati Uniti. Secondo passaggio, Florida. Siamo sempre nell’ambito delle acquisizioni attraverso politica internazionale.
L’altro grande passaggio è quello alla metà degli anni ’30: il Messico occupa una buona parte
degli stati Uniti, lo stato del Texas e quello che si chiamava il Nuovo Messico, che comprendeva
Arizona, Nevada, e anche l’attuale New Mexico. All’interno del Texas comincia già dagli anni ’10
dell’ottocento un profondo movimento di ribellione, rifiuto dell’autorità messicana, tra il latente e
l’inefficiente. I texani vogliono l’indipendenza, ma nel corso degli anni ’30 questo indipendentismo
si trasforma in un annessionismo agli Stati Uniti. Nel Texas degli anni ’30 si crea una sorta di ribellione su vasta scala, irredentisti texani che agiscono contro il governo di Città del Messico.
Metà degli anni ’30, missione di Alamo (Fort Alamo): tentativo di un gruppo di irredentisti a resistere a forze mandate da Città del Messico per riconquistare il territorio. Non accettano ipotesi di
resa, e si fanno uccidere: all’interno c’è un uomo del Congresso degli Stati Uniti, David Crockett.
Di conseguenza i messicani hanno ucciso un parlamentare statunitense, e vale come fatto simbolico:
inizio della fine per il Messico. L’onda irredentista viene fomentata dal massacro di Alamo (uccisione di circa cinquemila uomini), il Texas mette insieme una forza armata di rilievo e motivata che
nel giro di qualche settimana spazza via i messicani dal Texas, guidati da Houston il cui nome sarà
dato a quella che diventerà la più grande capitale del Texas.
Il problema è che l’amministrazione statunitense pensa che annettendo facilmente i territori exmessicani comincia una guerra con il Messico. La questione viene lasciata stagnare, il Texas per
alcuni anni è un territorio indipendente. A metà anni quaranta, con la presidenza Polk, inserito nella
tradizione jacksoniana: decide di procedere con una guerra contro il Messico, ritenuta inevitabile.
Guerra tra il 1845 e il 1848, gli Stati Uniti riescono facilmente ad aver ragione dei messicani, occupando Città del Messico e costringendo il Messico al trattato di Guadalupe – Hidalgo con il quale
accetta l’annessione agli Stati Uniti del Texas e della zona del Nuovo Messico, il sud ovest degli
Stati Uniti. Contestualmente viene annessa anche l’ex colonia spagnola della California. La Spagna
nell’America centrale rimarrà padrone esclusivamente di Cuba.
Nel 1867, è finita la guerra civile, trionfano gli unionisti; la Russia aveva bisogno di soldi e i
Romanov vendono l’Alaska agli stati Uniti: rimarrà territorio fino al 1959. All’inizio degli anni ’90
le Hawaii diventano tranquillamente territorio degli Stati Uniti, senza alcuna opposizione. Diventeranno stato assieme all’Alaska.
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Espansione nei territori centrali degli Stati Uniti.
Sotto un profilo storiografico, fino agli anni ’50 o ’60 del 1900 è prevalsa una corrente ricostruttiva degli eventi di parte nel senso governativo: gli indiani erano bestie feroci, e i bianchi portatori
della civiltà. Il solo fatto che oggi sia reato federale l’assassinio di un nativo americano e non un
omicidio di un bianco o afroamericano dà l’idea della situazione.
1968: si passa a un iper revisionismo nei confronti della questione. Gli indiani da bestie sono
passati a essere angeli. Nel cinema si comprende tutto: gli Indiani in Ombre Rosse di John Ford non
si vedono mai, ma sono cattivissimi. Primi anni ’70, Soldato Blu, e anni ’80, Balla coi Lupi con
Kevin Costner, sono in pura ottica revisionista. L’efficienza distruttiva dell’occidente si era scontrata con una civiltà che non riusciva evidentemente a stare alla pari. È possibile che si arrivi a una
forma di equilibrio interpretativo, ma ancora gli Stati Uniti non hanno metabolizzato l’esperienza.
Ci sono fasi della vita degli stati che sono difficili da metabolizzare, perché sono temi delicati.
Quella degli indiani è stata una fase inevitabile: nel momento in cui ci sono enormi terre sulle quali
nessuno stato rivendica la sovranità, la natura degli uomini li porta all’occupazione. Un riconoscimento sereno di quello che è stato fatto è lontano dall’essere raggiunto. Sono territori di mezzo: le
due coste, essendo raggiungibili via mare e l’arte del navigare più avanti rispetto a mezzi di trasporto, le fasce marittime erano quelle già colonizzate.
15 03 2011
Per conquistare nuove terre, o si combatte, o si minaccia (come nel caso della Florida) o una terza possibilità è l’appropriazione della terra di nessuno a titolo originario, perché nessuno rivendicava dei diritti di proprietà o sovranità. Non essendoci chi le rivendica c’è l’acquisizione di qualcosa
non appartenente a nessuno, modalità utilizzata fisicamente per unire le due coste. Questa «conquista del West» significa che dalla east coast si va verso occidente, non è considerata tale se non a posteriori. Nel 1890 ci sono una serie di saggi che considerano conclusa la conquista del West e introducono a posteriori il mito della frontiera. C’è una frontiera tra il geografico e l’immaginario che i
coloni statunitensi hanno progressivamente spostato a ovest. La frontiera arriva a congiungere le
due coste, arrivando quasi alla fine dell’ottocento. Il costo è stato piuttosto elevato. È morto un gran
numero di coloni ma un numero ancora superiore di nativi americani. I coloni facevano qualcosa
che per i nativi era inaccettabile, la spartizione e la recinzione delle terre. La proprietà era conquistata con mezzi duri e sacrifici ed era difesa con mezzi duri e poca comprensione. Cosa rende possibile attorno alla metà dell’ottocento la conquista del centro? È l’innovazione tecnologia, con l’in13
troduzione delle ferrovie. La botta finale verso la conquista dell’intero territorio avviene dopo la
guerra di secessione con la realizzazione delle grandi linee transoceaniche, la prima è del 1867. A
breve ci sono varie linee a varie latitudini che uniscono costa a costa, ora quella attiva è solo una e
solo per ragioni turistiche. Oltre queste linee si svolge anche gran parte dello scontro. Porta la protezione armata dell’esercito degli Stati Uniti agli operai, e porta allo sterminio dei bisonti.
Operazione di pianificato sterminio: sono cambiati i criteri, all’epoca chi massacrava grandi
animali era un eroe. Danno naturale quasi irreversibile: la fauna degli Stati Uniti alla fine del 1800
era quasi del tutto scomparsa. Con i nostri criteri era un disastro ecologico che non era vissuto come
tale dai nativi, che si vedono però sottrarre gli elementi di sopravvivenza. I nativi traevano il loro
benessere in modo quasi esclusivo dall’economia del bisonte: la tenda, la corda dell’arco, le calzature, i vestiti – era tutto derivato dal bisonte. A peggiorare la situazione per i nativi c’è il fatto che
sono stati massacrati dalle malattie importate dai bianchi per le quali non avevano anticorpi, e sono
stati uccisi anche dall’alcol, di cui facevano uso abbondante i pionieri – vizio che attecchì tra le tribù indigene, tra le quali ebbe degli effetti disastrosi. Mancavano capacità metaboliche dell’organismo di reagire all’alcol.
Era cura di molti trafficanti bianchi di vendere le armi alle tribù, riuscivano a procurarsi anche
armi da fuoco moderne – cambiava a versione delle circostante. Le tribù commettono l’errore di
allearsi nella guerra di Secessione, alcuni con il sud e altri con il nord. Il risultato è che quando el
1865 il nord vince la guerra e quindi rafforza le regole centraliste, è la volta che decide di risolvere
anche la questione degli indiani. Gli anni tra il 1870 e il 1880 sono quelli della resa dei conti con i
nativi, che vengono condotti in riserve controllate dagli europei. Solo di rado la conquista è stata
segnata da degli episodi nei quali gli indiani si sono tolti la soddisfazione di battere forze ufficiali
degli Stati Uniti, come il famoso Little Big Horn, poi dipinto come un’azione eroica del colonnello
Custer.
Gli stati Uniti si dedicano in seguito a costruire il mito di ciò che è avvenuto, mentre avviene non
c’è molta propaganda, anche perché non si tratta di una cosa così bella da raccontare. Negli anni ’90
si completa in larga misura l’unità nazionale degli Stati Uniti. Con azioni nei confronti degli altri
stati o di conquista interna alla fine dell’ottocento sono praticamente quelli che sono adesso – anche
se vi sono alcuni territori che devono ancora diventare stati. Alla fine dell’ottocento si aprono a una
vera e propria azione di politica estera, qualcuno dice che siano una potenza imperialista, perché
hanno risolto i loro problemi interni, non c’è più rischio di secessione interna, hanno fatto i conti
con quello che poteva diventare un dissenso interno da parte delle popolazioni autoctone, non c’è
più nulla che impedisca loro di affacciarsi seriamente fuori casa. Fino alla fine dell’ottocento la loro
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è stata una politica estera prudente, rispettosa, intesa a supporto del commercio. Fino alla fine dell’ottocento ovviamente sono molto prudenti su questo discorso della politica internazionale.
GUERRA DI SECESSIONE
C’è di mezzo la peculiare istituzione, ma è solo un simbolo, si cerca di tenere un compromesso
tra nord e sud, c’è il compromesso del Missouri, si forza l’equilibrio tra stati schiavisti e non schiavisti – fra modelli di produzione – e si cerca di mantenere le due anime del paese sostanzialmente
bilanciate. Salta l’equilibrio nel tempo con il riconoscimento dell’anarchia per quanto riguarda i
nuovi stati degli Stati Uniti. Principio di fondo della guerra di secessione: nel 1855 le mappe degli
Stati Uniti dicevano che il progressivo trasformarsi in stati dei territori esistenti avrebbe portato
numericamente a una prevalenza del nord. Il sud si rendeva conto di essere prevaricato, e decide per
una guerra preventiva. Stesso ragionamento della Germania nel 1914.
C’era l’idea che nel lungo periodo il nord sarà comunque prevaricante, ci saranno molti più senatori antischiavisti che schiavisti, il Congresso diventerà sempre più nordista. Prima della guerra la
popolazione girava sui 21 milioni e mezzo del nord contro i 7 milioni e mezzo nel sud. Il nord costringeva il sud a commerciare solo con lui ponendo forti barriere protezionistiche che impedivano
l’esportazione all’estero se non a dazi elevatissimi.
Non si riescono a trovare accordi per la fuga degli schiavi e per l’estradizione di schiavi fuggiti:
è un reato in un paese che contempla la schiavitù ma non lo è in un paese che non la riconosce. Gli
stati del nord stentano a restituire essere umani che saranno poi impiccati senza processo. Cominciano fenomeni di ribellione abbastanza di massa, con qualche capo-popolo che riesce a riunire delle rivolte ma finiscono sempre male. Si formano i partiti, e questo viene vissuto come irrigidimento
dello scontro. Il partito Repubblicano, gli hamiltoniani, sono considerati il partito dei nordisti, dell’industria del nord. Il partito del sud vota democratico, ovvero i repubblicani di Thomas Jefferson.
C’è una polarizzazione dei partiti. Quando nel 1860 alle elezioni vince un poco noto esponente del
partito repubblicano Abraham Lincoln è la goccia che fa traboccare il vaso: la sua vittoria al sud,
messa insieme a tutto il resto, fa pensare a un tracollo dello stato in un senso totalmente favorevole
agli interessi del nord. Si sentivano prevaricati dal nord, ma la percezione che Lincoln sia una sorta
di prevaricatore finale nei confronti del sud non era realtà. Lincoln non aveva molte idee da applicare, ed era disinteressato al discorso della schiavitù e dei modelli di produzione, lui voleva solo
mantenere unita la federazione.
Perché scoppi un conflitto serve un pretesto, perché è improbabile che una mera decisione politica come l’elezione di un presidente indichi lo scoppio di ostilità aperte. Il pretesto viene trovato e
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questo si verifica nella primavera del 1861, Lincoln è alla casa bianca solo da tre mesi: un forte federale del South Carolina deve ricevere dei rifornimenti e le autorità si rifiutano di fare arrivare il
convoglio federale per rifornire la fortificazione. Si apre un braccio di ferro sul potere reale del controllo del territorio. Se esiste una federazione è chiaro che le truppe federali hanno la possibilità di
muoversi sul territorio e rifornirsi sul territorio. Lincoln ottiene mano libera dal Congresso per forzare il blocco e rifornire con la forza il forte federale.
Nell’aprile del 1861 il South Carolina dichiara la secessione, scintilla iniziale di quella che sarà
poi denominata guerra di Secessione. Seguono tutti gli schiavi che hanno al loro interno la schiavitù, ovvero il sud politico. Non a caso scomodano il concetto di confederazione che ha dei legami
interni molto più blandi della federazione. La differenza pratica è che la sovranità e comunque unica, all’esterno, però i legami interni sono molto più allentati. I legami sono minimi ma resi forti dalla volontà di andarsene insieme dal sistema Stati Uniti, nel quale il sud non riesce più a riconoscersi. Non è più portatore dei loro interessi.
Le forze a confronto: in numeri sono schiaccianti, parliamo di ventuno milioni e mezzo di cittadini dell’Unione (nord) contro sette milioni e mezzo di Confederati (sud). A rendere ancora più vistoso lo squilibrio c’è il fatto che praticamente tutta l’industria degli Stati Uniti si trova nella componente unionista. Il sud sapeva che o riusciva a prevaler in tempi brevi sfruttando la sorpresa o non
ci sarebbe stato scampo. Il sud aveva buoni comandanti militari, riuscirono a ottenere una serie di
vittorie che però non erano tali da piegare la resistenza del nord.
La guerra durò dall’aprile del 1961 all’aprile 1965. La Gran Bretagna sostenne in maniera rilevante il sud, mentre altrettanti entusiasmo dimostrò la Francia di Napoleone III a sostegno degli
unionisti. Alla Francia piaceva l’idea che il paese che aveva ispirato la presa della Bastiglia riuscisse a sopravvivere a quel momento di grave minaccia e disgregazione. La componente internazionale
non è stata però decisiva da una parte o dall’altra anche perché si controbilancia. La guerra di Secessione è ritenuta un primo chiaro esempio di conflitto dell’era moderna. Modernità in termini distruttivi e di condotta delle operazioni: si capisce che bisogna fiaccare la capacità di resistenza della
controparte, colpendo popolazioni civili, industrie, raccolti. È moderna perché ci sono relativamente
rapide capacità di movimento – le ferrovie sono ben consolidate. Ci sono relativamente evoluti sistemi di comunicazione. Appaiono le prime navi di metalli con protezioni, come le corrazzate; appaiono le artiglierie sui treni, le mitragliatrici, le armi si trasformano nel corso della guerra dall’avancarica alla retrocarica. È una grande guerra condotta senza esclusione di colpi che provoca
quasi settecentomila morti e almeno il doppio tra mutilati e feriti gravi – su trenta milioni di abitanti
complessivi. Le iniziali vittorie dei sudisti vengono compensate.
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Legge di emancipazione del gennaio 1863: testo legislativo subdolo, cela evidenti altre finalità
politiche. L’idea del nord è quella di cercare di accelerare la fine delle ostilità, inducendo alla resa
almeno parte della Confederazione. La legge dice che la schiavitù sarà immediatamente abolita negli stati del sud che non si fossero immediatamente arresi. Se non si fossero arresi subito la schiavitù sarebbe stata abolita: chiaro tentativo di spaccare la confederazione e non sortisce alcun effetto.
Nell’aprile del 1865 c’è la resa incondizionata del sud con l’inizio di un periodo di difficilissima
transizione come modello socio politico. Il riassorbimento del fenomeno sarà lungo e faticoso, ancora oggi in corso di parziale realizzazione. Non c’era più la capacità di reale resistenza a un modello federale forte che era quello degli Stati Uniti. Un paio di settimane dopo la fine della guerra, a
teatro, viene assassinato Lincoln: di malessere ce n’era ancora tanto. In quel momento inizia letteralmente una operazione di stabilizzazione non diversa di quella che gli Stati uNITI affronteranno
poi nel corso del novecento. Il sud viene occupato militarmente, c’è una rimozione dalle posizione
di comando di tutti i governanti del sud, e ci vorranno dodici anni prima che finisca l’occupazione e
prima che vengano rimossi i divieti per i notabili del sud di ricoprire cariche politiche o federali o
all’interno del loro paese. Possiamo considerare superata la guerra solamente a partire dal 1877, con
tutti gli strascichi successivi.
Vengono varati il tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo emendamento nel 1867, due anni
dopo la fine della guerra: non c’era troppa fretta di abolire la schiavitù. Questi emendamenti introducono una almeno teorica forte spinta verso la parificazione interna degli Stati Uniti, verso l’eliminazione della disuguaglianza personale all’interno del sistema. Spinta teorica alla parificazione:
viene resa illegittima la schiavitù, ma non esiste una presa di posizione giuridica per gestire la nuova società americana. Dire ad alcuni milioni, due e mezzo tre, di individui che sono stati schiavi,
che improvvisamente sono cittadini americani senza dire assolutamente loro cosa fare e come vivere. Non c’era nessuna disposizione specifica a tutela degli schiavi liberati. Erano persone analfabete
che si ritrovano da un sistema di vita in cui erano protetti e nutriti a un sistema in cui sono liberi e
non sanno che fare. Si assiste a una selvaggia urbanizzazione – c’era l’idea che andare a vivere nelle periferie delle grandi città desse più possibilità di sopravvivere. Erano manodopera non qualificata. Si crea una massa straordinaria di sbandati, che al nord non sono tanto visti con sospetto, ma al
sud sì: non riesce a comprendere che veramente sono ora loro pari. Sono visti malissimo e soprattutto la ritrovata capacità di azione politica dei paesi ex confederati viene vissuta come mezzo per
creare degli ostacoli giuridicamente accettabili per bloccare la parificazione degli schiavi. Senza
alcuna forzatura gli afroamericani sono integrati nella società americana pienamente dagli anni settanta del novecento. Nel momento in cui nella Prima Guerra del Golfo Colin Powell è Capo di Stato
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Maggiore qualcosa significa. Nella seconda guerra mondiale c’erano reparti di colore con ufficiali
bianchi: la prima integrazione si ha con il Vietnam. Gli stati del sud inventano dei criteri inoppugnabili perché apparentemente non discriminanti per impedire il voto agli ex schiavi. Ad esempio
per potersi iscrivere alla lista elettorale dovevano dimostrare che anche gli antenati avevano votato.
Servivano criteri di alfabetizzazione per votare. Il criterio dell’alfabetizzazione spazza via gli ex
schiavi. Viene introdotto anche il criterio del reddito: il vero cittadino negli Stati Uniti è quello che
paga le tasse, serve una certa soglia contributiva per meritare di votare. Questo teneva fuori qualche
bianco ma soprattutto azzerava gli ex schiavi. Queste rientrano in una parvenza di legalità, il gioco
della legalità. La legalità si presta a utilizzi specifici: il peggio è da riscontrare dove si cercano
scappatoie illecite per tenere fuori gli ex schiavi, come la nascita del Ku Klux Klan. Prima non serviva l’esistenza, ora c’era la necessità di far loro capire che non erano allo stesso livello dei bianchi.
Il matrimonio misto rimane vietato. Se un afroamericano «molesta» una donna bianca, può essere
picchiato o addirittura ucciso. Andava a difesa delle leggi non scritte, e alla fine del 1800 era normale tutto ciò, e difficilmente un giudice di una corte del sud emetteva una sentenza di condanna
nei confronti di cittadini bianchi che avessero linciato un uomo di colore. Ci sarebbero state ripercussioni anche per i giudici in caso di sentenza a favore di un afroamericano. La società americana
successiva all’abolizione della schiavitù rimane una società estremamente segregata sotto il profilo
razziale. Nel corso del 1900 ci saranno lotte feroci per superare l’emarginazione, che non è del tutto
superata. Anche se la legge non lo prevede, ci sono ancora scuole differenziate.
1957, in un liceo di Little Rock si iscrivono ragazzi di colore, per garantire le lezioni per alcuni
mesi Eisenhower deve mandare l’esercito. I genitori dei ragazzi non volevano assolutamente ragazzi di colore a scuola con i loro figli. Martin Luther King, profeta della non violenza e della parificazione, viene ucciso. I Kennedy vengono uccisi, probabilmente per un loro eccesso di modernismo
nella parificazione razziale, soprattutto per Robert. L’eliminazione della segregazione razziale è stato qualcosa di terribilmente sofferto. Un conto era la costituzione, un conto i margini di autonomia
elevata che avevano ancora gli stati del sud. In una prospettiva di una pariteticità di diritti non era
difendibile il modello della schiavitù, ma per passare dalla società schiavista alla società integrata
serviva una sforzo enorme e per certi aspetti mai del tutto completato.
Con la guerra civile gli Stati Uniti hanno incontrato difficoltà, ma senza il superamento del modello di produzione legato alla schiavitù gli Stati Uniti non sarebbero potuti diventare la massima
potenza mondiale che diventarono successivamente. La domanda era se per questo fossero necessario settecentomila morti. Il bagno di sangue che uccide più cittadini statunitensi che tutti i futuri impegni della storia degli Stati Uniti messi insieme. È stato il più luttuoso evento della storia degli
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Stati Uniti è stato forse un passaggio indispensabile per la nuova modernità. La guerra ha spazzato
via ogni eccesso autonomistico dal paese, gli Stati Uniti ne escono consolidati con un più chiaro
ruolo del governo centrale, necessario per una prospettiva di forza futura. Gli scenari non erano nel
senso di una maggiore forza. In caso di vittoria confederata ci sarebbe stata una confederazione allentata e un’economia basata sullo schiavismo: le cose hanno preso la piega più idonea a far sì che
gli Stati Uniti diventassero la più grande potenza del Novecento. Completano l’unità nazionale, a
fine anni novanta del 1800 sono pronti al decollo (i fratelli Wright nel 1903 sono stati un simbolo).
Anni di straordinaria crescita economica, le città crescono, sono all’avanguardia in tutti i settori
produttivi. Nel 1900 è la massima potenza nella produzione del carbone e dell’acciaio, secondo i
criteri quantitativi dell’epoca. Il telefono all’inizio del 1900 è normale negli Stati Uniti, in Italia negli anni venti il telefono ce l’avevano solo le figure autoritarie e i cittadini ricchi. Nei primi anni del
1900 hanno il primo modello industriale su catena di montaggio, l’automobile sta già per essere un
bene di massa. Se gli Stati Uniti stanno per decollare come grande potenza è perché sono evoluti in
tutti i settori della produzione e della ricerca scientifica, tecnologica, economica, sociale. Sviluppo
del terziario. Un settore nel quale sono indietro (forse anche per questo decollano come grande potenza industriale) è la legislazione sociale. Il lavoratore non ha diritti: prima di sancire una reale legislazione sociale, sempre peggiore rispetto a quelle europee, arriva con il New Deal. I sindacalisti
sono visti con sospetto, non c’è tutela sindacale di nessun tipo. È chiaro che la crescita forte è dipesa anche dall’ignorare questo tipo di diritti fondamentali dei lavoratori. Sono momenti di crescita
quasi inarrestabile. Se mettessimo assieme un paese consolidato come sistema politico, una piena e
avvenuta unificazione territoriale (nessuno contesta agli Stati Uniti parte del loro territorio). Hanno
le mani libere, sono ricchi, potenti, non sono militarmente fortissimi – ma se il segreto del successo
militare sta nella ricchezza hanno tutti gli strumenti per diventare anche una potenza militare. Non
sanno fare la guerra, ma hanno delle potenzialità inesplorate. Vincono la seconda guerra mondiale
perché hanno la possibilità di mandare a contatto di fuoco con il nemico del 8% delle loro forze armate. Gli Stati Uniti alla fine del 1800 si aprono alla politica mondiale, che supera l’immediato
supporto alle attività commerciali.
Cominciano a guardare oltre, alla politica mondiale. Qui scatta una problematica di fondo: si
stanno avviando a costituire volontariamente un loro vero e proprio impero? Non è una domanda di
facile risposta. Per capire meglio il problema: è del tutto dimostrabile che Roma avesse avuto un
disegno imperiale, ovvero dominare il mondo allora conosciuto mediante il controllo fisico.
Se per disegno imperiale ipotizziamo il controllo e l’assoggettamento di vaste zone del pianeta e
l’annessione al territorio degli Stati Uniti la risposta è no: il modello coloniale non si addice agli
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Stati Uniti, in quanto ex colonia. Riuscendoci più o meno bene, gli Stati Uniti saranno un paese
guida nella decolonizzazione dopo la Seconda Guerra Mondiale. Agli Stati Uniti interessa una massima ottimizzazione del loro apparato commerciale ed economico che può essere ben sostenuta da
una presenza di loro basi sparse in giro per il mondo. L’annessione diretta di territori oltre ai cinquanta stati non risultava tra i disegni degli Stati Uniti. Anche quando avranno la possibilità di annettersi territori, cercheranno di evitare il meccanismo dell’annessione diretta. Sono stati in grado di
esportare il loro modello in quanto paese più ricco e potente del mondo. Non si può parlare di imperialismo inteso in senso coloniale. Non c’è la volontà di farsi delle colonie né di farsi dei sudditi.
Sulla scomparsa del suddito si è fatta la Rivoluzione Americana. I titoli nobiliari negli Stati Uniti
sono assolutamente irrilevanti: eliminazione del privilegio di nascita, non ci sono cittadini inferiori,
dei sudditi stranieri. Anche se ingerenze saranno numerose e violente, non sono fatti per creare colonie, ma perché si ritiene che un paese sia un rischio per la sicurezza dell’occidente.
Il primo passo dell’imperialismo americano è la guerra contro la Spagna del 1898. Nessuno ritiene più Cuba un serbatoio di schiavi, come prima del 1865, ma è chiaro a tutti che a Cuba si vive
male, con tensioni e guerriglie interne per l’indipendenza dalla Spagna. Negli Stati Uniti scatta un
misto di missione divina di modernizzazione e democratizzazione dei popoli del mondo, che può
portare alla degenerazione di essere convinti di poter esportare ovunque la democrazia, assieme a
elementi economici reali e l’intenzione di mandare via la Spagna dalle colonie del Nord America. Si
crea l’inconveniente: una nave statunitense ormeggiata al porto dell’Avana esplode. Sono tempi in
cui non si accettano queste cose, c’è un ultimatum e una dichiarazione di guerra alla Spagna, rea di
non aver tutelato le navi statunitensi a Cuba. La guerra è veloce a favore degli Stati Uniti, la resistenza spagnola è abbastanza simbolica, perché Cuba non era poi così importante. Firmando la pace
gli Stati Uniti ottengono la fuoriuscita della Spagna anche da altri territori che controllava, l’isola di
Puerto Rico e di Guam nel Pacifico. Puerto Rico diventerà territorio degli Stati Uniti e tale rimarrà,
Guam si avvia a diventare un’importante base militare degli Stati Uniti. Ancora più importante è
l’abbandono spagnolo delle Filippine. Per due realtà grandi come Cuba e le Filippine non viene
scelta l’annessione. Nessuno al mondo avrebbe impedito in alcuna maniera agli Stati Uniti di farsi
altri due stati; come avevano già le Hawaii potevano avere anche le Filippine. Scelgono gli Stati
Uniti una strada diversa.
22 03 2011
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Con la fine del diciannovesimo secolo gli Stati uniti si aprono allo scenario globale: più complesso è il discorso della questione imperiale. Non diventeranno mai una potenza colonialista, in
quanto sono loro stessi ex colonie, non rinnegheranno mai il fatto che il sistema coloniale non gli
piaceva. Esistevano di certo altri metodi per essere una potenza imperialista, con il dominio economico, culturale, sociale. Ruolo imperiale senza essere un conquistatore di terre altrui. Forme indirette di dominio.
1898: sconfitta degli spagnoli a Cuba. Per Cuba non si decide l’annessione. Puerto Rico e Guam
diventano territorio degli Stati Uniti, senza divenire mai stato, il primo; base strategica militare la
seconda. Nessuno avrebbe potuto impedire agli Stati Uniti di colonizzare le Filippine come un nuovo stato – ma non è questa la decisione, sarebbe stato in una posizione troppo esposta, e difficilmente difendibile. Si decide di stabilire un governatorato in previsione di una futura indipendenza del
territorio. Non erano in grado al momento di una completa indipendenza. La previsione non era di
tipo coloniale. Le Filippine costituiscono un serio banco di prova per la capacità militare degli Stati
Uniti. Non c’era un esercito filippino – ma c’è una forte resistenza nazionalista locale, assolutamente di nessuna matrice religiosa. Erano gruppi locali stufi della dominazione straniera: combattevano
già contro la spagna, con metodi terroristici. L’arrivo degli americani era percepito come dominazione straniera, e fu seguito da anni e anni di guerriglia e controguerriglia che costa agli americani
più di cinquemila morti. Si rendono conto dell’inadeguatezza della loro forza militare. Quella filippina è una lezione della quale fanno tesoro: commissioni militari e politiche che rivedono gli aspetti
tecnici dell’armamento, si accorgono che non hanno capacità evolute di comando. Rafforzarsi dell’apparato delle strutture e degli studi militari, si accorgono che non sono efficienti se lottano contro
qualcuno di veramente motivato.
Con la prospettiva del poi, consentirà agli Stati Uniti di entrare nella Prima Guerra Mondiale con
almeno un profilo tecnologico in linea con quello delle altre potenze europee. Sotto il profilo della
capacità di comando non lo erano, perché non erano mai stati abituati ad una guerra di quelle proporzioni, con milioni di uomini contrapposti.
Primi anni del ‘900: sviluppo tecnologico e industriale interno, anche il protagonismo del paese a
livello internazionale si va evolvendo. Le due presidenze di Theodore Roosevelt, alla presidenza dal
gennaio 1901 al gennaio 1909 – incarna lo spirito arrembante degli Stati Uniti del tempo. Trasferisce il clima avventuroso dell’epopea del west in clima di relazioni internazionali. Gli Stati Uniti
cominciano ad essere davvero presenti sulla grande scena internazionale. Significa che il presidente
durante la sua prima presidenza completa il teorema della dottrina Monroe – gli Stati Uniti hanno la
responsabilità di gestione per tutto il continente americano. Evoluzione nella teoria del Big Stick,
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bastone nodoso: anche usando un bastone gli americani terranno ordine nelle Americhe. O con le
buone o con le cattive i gendarmi delle Americhe sono gli Stati Uniti: indurisce la dottrina Monroe.
Avvia la costruzione del canale di Panama (1904) – stato di Panama nato come stato fantoccio controllato dagli Stati Uniti perché la Colombia non era ritenuta affidabile. Non chiedono il permesso
agli inglesi – in clima da Suez già ci pensavano a Panama, ma non volevano andare contro gli inglesi, ritenuti nell’ottocento l’indiscussa regina dei mari. La concezione cambia all’inizio del novecento, perché credono che nei loro mari siano autorizzati ad agire come vogliono.
1904-1905: guerra russo-giapponese, umiliazione della potenza russa. La mediazione per le trattative di pace è curata dal presidente Roosevelt, avvalendosi del principio che il Pacifico è zona di
giurisdizione americana. Riesce nelle trattative a essere lui l’onesto sensale delle trattative di pace,
perché evidentemente il suolo di presidente degli Stati Uniti aveva una tale credibilità a livello internazionale da essere adatto al ruolo di mediatore. Gli Stati Uniti mettono il becco in tutta la vicenda marocchina.
Marocco: i francesi hanno delle mire di conquista, i tedeschi vogliono far pesare la loro forza. Si
conclude con la Francia che ha mano libera in Marocco ma deve cedere una parte di Congo alla
Germania perché sì. Il Marocco è un’altra zona in cui fanno da mediatori perché è potenza di riviera
dall’altra parte dell’oceano, quindi è di interesse degli Stati Uniti. Potenza che si sta consolidando
anche come credibilità nel ruolo internazionale. Sono già la più grande potenza economica del pianeta, ma non sono affatto la più grande potenza militare, ma la via era quella.
Concetto conosciuto sotto il nome di destino manifesto o eccezionalismo messianico. Significa
che è insito nella politica americana a livello di forze profonde (gente, classe politica, militare)
l’idea che la loro esperienza sulla terra sia stata qualche cosa di particolare e benedetto da Dio che li
costringe a prendere posizioni di tipo globale in una prospettiva salvifica – far sì che i meno fortunati possano lo stesso avere fortuna e successo. La teoria va a incastrarsi con i discorsi sulle origini
degli Stati Uniti. I veri padri degli Stati Uniti sono europei britannici, belgi o tedeschi, cristiani riformati e soprattutto calvinisti (successo terreno è uguale a benedizione divina). C’è un articolo su
Democratic Review, nel 1875 – sintetizza e dà diffusione a teorie chiare: come i vecchi coloni hanno realizzato l’esperimento di convivenza civile che sono gli Stati Uniti, avendo la fortuna e la capacità chiaramente benedette da Dio, è evidente che sempre in rispetto e nel nome di Dio bisogna
aiutare a crescere i popoli che non abbiano avuto la stessa fortuna e capacità. È il destino manifesto
di essere una guida per il resto del mondo. Eccezionalismo messianico perché messia significa salvatore. Una vena di queste idee è molto spesso presente nelle varie amministrazioni americane –
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idea che bisogna salvare o democratizzare. Gli Stati Uniti sono diventati grandi perché sono riusciti
a costruire la più evoluta democrazia del mondo. La teoria salvifica può anche servire come buona
copertura per altre motivazioni.
La motivazione per l’attacco al Kosovo è stata la situazione della popolazione albanese, poi era
chiaro che c’era un corollario di altri motivi.
L’articolo di John O’Sullivan non fa che sottolineare una teoria già preesistente. Le vittorie degli
Stati Uniti nel novecento daranno loro vigore, saranno vissute con forza dal movimento dei neoconservatori. Sono forti sostenitori dell’esportazione del modello democratico. L’idea è nobile, la sua
incarnazione è fatta dagli uomini, e spessa la sua attuazione può essere molto diversa. Le componenti interne del destino manifesto sono varie, di natura religiosa, etica, morale. È una legittimazione di un ruolo di superiorità e guida degli Stati Uniti nel mondo e sul mondo.
Lo sbarco in Normandia è stato dare una soluzione ai guai europei. L’intervento della Prima
Guerra Mondiale era l’eccezionalismo messianico, non volevano entrare per annientare il nemico,
ma per riportare al più presto la pace in Europa.
Quando si valuta un’azione degli Stati Uniti sulla scena internazionale, bisogna sempre tener
presente la teoria – di solito c’è sempre, anche se altre ragioni possono essere più eclatanti.
SEMINARIO SUL RAPPORTO TRA STATI UNITI E CUBA
Gli Stati Uniti cominciano a guardare più a sud nel 1823 con la dottrina Monroe. Gli Stati Uniti
finalmente iniziano a pensare che tutte le terre delle Americhe debbano appartenere agli americani.
Prende via una corrente, il panamericanismo, che vorrebbe vedere uniti tutti i paesi delle Americhe
in un unico grande stato. Per quanto riguarda il periodo successivo, a partire dal 1898 vi è stata la
guerra ispano americana che ha portato il colonialismo spagnolo lontano dal continente americano,
e si può parlare di inizio di rapporti con l’America Latina.
Gli anni di Roosevelt sono caratterizzati dalla dollar diplomacy, di aiuto economico ai paesi del
sud facendo leva sulla loro politica. Si intervallava anche la politica del Big Stick, volta all’intervento militare laddove era ritenuto necessario. Si ha un cambiamento con Franklin Delano Roosevelt,
che opta per una politica di buon vicinato. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si parla di guerra
fredda, e cambiano anche le prospettive con il sud del continente.
Truman con il 1947 cerca di dar vita a un sistema interamericano istituzionalizzato, dando vita
all’Osa, Organizzazione degli Stati Americani. Voleva portare al miglioramento economico dei vari
paesi e mantenere unito il continente nella sicurezza collettiva in un’ottica di containment. Obiettivo che prevedeva un controllo sui governi, e strategico perché gli Stati uniti acquisiscono la mag23
gior parte delle basi militari, e economico perché il sud America è un grande produttore di materie
prime che gli Stati Uniti non producono. Hanno bisogno di questi paesi per le materie prime e per
dare sbocco ai propri manufatti industriali.
Nel 1898 Cuba si libera della dominazione spagnola, e inizia la dominazione statunitense. Viene
occupata da un governo militare americano, e durante questo governo provvisorio Cuba viene dotata di una costituzione, simile a quella americana. Una legge fondamentale era l’emendamento Plat
(dal senatore che lo volle) e prevedeva il controllo da parte degli Stati Uniti di tutte le tariffe doganali, il divieto del governo cubano di stipulare trattati internazionali o di contrarre prestiti senza
l’autorizzazione americana. Nel 1901 viene concessa la base di Guantánamo, e precedeva il diritto
di intervento al fine di preservare l’indipendenza dell’isola, e per mantenere un governo che proteggesse la vita e la libertà individuale dei cittadini (non tanto quelli cubani ma piuttosto quelli americani).
Comunque Cuba è formalmente una repubblica, e alcuni testi la definiscono come repubblica
mediatizzata, che ha organismi tipici della repubblica ma che non sono espressione del popolo cubano quanto di personaggi politici portavoce degli interessi americani. Nel 1903 viene stipulato un
primo trattato di reciprocità commerciale tra i due stati: concessione di tariffe doganali vantaggiose
nei commerci con gli Stati Uniti rispetto agli altri stati. Nel 1934 entra in scena a Cuba Fulgencio
Batista, un sergente, che segnerà le sorti dell’isola fino all’avvento di Fidel Castro. Attua un colpo
di stato e arriva al potere: siamo negli anni della politica americana del buon vicinato.
Viene tolto l’emendamento, perché gli Stati Uniti hanno trovato l’uomo che non rende necessaria
la loro legittimazione di intervento sull’isola. Viene stipulato un nuovo trattato di reciprocità commerciale, con cui gli Stati Uniti fissano quote precise di produzione di zucchero cubano che devono
essere rivolte al mercato americano. Questa è un’arma a doppio taglio, perché costringe l’economia
cubana a basare la propria attività solo sulla canna da zucchero, con conseguente latifondismo, con
latifondisti americani piuttosto che cubani, e non è una coltivazione che prevede dodici mesi di lavoro all’anno, lasciando la manodopera senza lavoro nei mesi invernali – economia conseguentemente stagnante. Il trattato prevedeva anche che Cuba non potesse rivedere le tariffe che gli Stati
Uniti avevano già stabilito.
Un altro fattore importante è la costituzione che viene rivista nel 1940; viene stilata una costituzione che rimarrà sempre sulla carta ma Castro successivamente fanno di questa costituzione parte
del suo manifesto programmatico. Prevedeva un limite di possesso della terra, fissato a circa quattrocento ettari, limitava l’acquisizione di capitale estero, con possibilità di restituire la terra ai cubani, prevedeva il diritto al referendum popolare, la libertà di voto e di associazione. Prevedeva il do24
vere dello stato di far fronte alla disoccupazione. Lo stato cubano è una repubblica, batista viene
definito dittatore perché è il capo di stato maggiore dell’esercito e quello che sottobanco attua tutte
le decisioni. Il periodo repubblicano dei presidenti fantoccio dura fino al 1952. Batista decide di diventare protagonista della politica del proprio paese nel 1952, quando attua un colpo di stato riconosciuto ufficialmente dagli Stati Uniti. Il suo potere durerà per sette anni, fino al 1959.
La maggior parte della popolazione viveva nella parte a nord dell’isola, dove c’è l’Avana (vi abitava un sesto della popolazione totale), dove il modo di vivere era diverso dalle altre città. Era quella più americana. Era la Las Vegas di Cuba, con grande diffusione di prostituzione e gioco d’azzardo, specchio di una politica corrotta e viziata. Siccome i ricchi stavano a nord, a nord c’era l’assistenza medica e le scuole. Il 43% della popolazione viveva nella zona sud dell’isola, ed era una società abbandonata a sé stessa, analfabeta, e il potere politico si manifestava solo attraverso la presenza di caserme. La società era permanentemente in crisi. Con Batista assistiamo al periodo di
maggiori investimenti di capitale estero sull’isola, arrivando al 47% degli investimenti totali americani nel 1957. La Cuba Telephone Company e la Cuba Electric Company erano americane. Le contestazioni arrivavano soprattutto dagli studenti, dal direttorio Estudiantil, dalle Università. La voce
più forte era quella di un giovane avvocato, Fidel Castro, che il 16 luglio 153 attua una prima azione volta al rovesciamento del regime di Batista. Il 26 luglio era un giorno successivo ad una festa,
sfruttando la stanchezza di mille soldati di una caserma di Santiago, pensava di impossessarsi della
caserma con centocinquanta persone e partire da lì per rovesciare il regime. L’effetto sorpresa aiuta
poco, e la maggior parte dei ribelli viene uccisa o imprigionata. Castro ha la fortuna di essere trovata da un gruppo di soldati al capo dei quali vi era un vecchio compagno di università che gli dice di
non rivelare il suo nome, e questo gli salva la vita. Riesce ad essere imprigionato senza rivelare la
propria identità – questo evento ha scosso molto l’opinione pubblica cubana. Batista pubblica sui
quotidiani le foto dei ragazzi uccisi, e questo non aiuta la sua immagine. L’orrore di queste foto
mette sotto pressione batista che è costretto a concedere voce ai ribelli ai superstiti processati. Castro da avvocato si autodifende, e dà la prova della sua capacità dialettica, parlando per ben cinque
ore. Delinea le linee del manifesto programmatico del Movimento Ventisei Luglio, in onore delle
vittime dell’assalto. Castro dichiarava Batista come figura illegittima e incostituzionale, chiedeva il
ripristino della Costituzione del 1940, una riforma agraria che avrebbe ridistribuito le terre espropriandole agli stranieri, una riforma dell’istruzione, la nazionalizzazione dei servizi pubblici.
Questo discorso rimane nelle aule del tribunale, e Castro per farlo arrivare alle orecchie di tutti
riesce a farlo uscire dalle carceri – lui è stato condannato a quindici anni di prigione. Lo scrive sulle
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bucce della cipolla che passa a chi poteva avere contatti con l’esterno, scriveva con il succo di limone. Era visto come futuro salvatore della patria cubana, ma che non si poteva eleggere.
Nel 1954 Batista fa un passo falso: è un periodo fortunato per lui, ha l’appoggio statunitense, e in
un attimo di tranquillità decidere di concedere un’amnistia, liberando Castro e i suoi seguaci. Batista vuole comunque ucciderlo, e Castro si rifugia prima negli Stati Uniti e poi in Messico, divulgando il suo messaggio e cercando persone che lo appoggino fisicamente o finanziariamente. Alla
fine del 1956 decide di provare il suo secondo tentativo di rovesciamento del potere: dalle coste del
Messico, unito anche al medico argentino Che Guevara, con un’ottantina di uomini, parte con uno
yacht – non è aiutato dalla forza delle maree, e lo yacht si arena a cento metri dalla spiaggia dando
tempo a batista di accorgersi dell’incursione. Si salvano solo una decina di uomini, e parte il momento più importante per Castro: quello della guerriglia e resistenza all’interno della Sierra Maestra, una zona impervia del sud dell’isola all’interno della quale non vi sono caserme né potere statale, difficile da abitare. Vivevano lì i rifugiati senza terra propria. In due anni Castro e i suoi seguaci resistono all’interno della zona e attuano nel loro piccolo quello che riusciranno a mettere in pratica una volta al governo: in zone prive di scuole e ospedali si dedicano alla creazione di piccole
zone e piccoli ospedali, e si fa molto forte il collante tra i ribelli e la popolazione locale.
Batista non riuscendo a farli fuori mandava false notizie dicendo di averli uccisi. Nel febbraio
del 1957, di fronte alla diffusione della notizia dell’assassinio dei ribelli da parte di Batista, Castro
invita nella zone in cui erano nascosti un giornalista del New York Times, Herbert Matthews, accolto da Castro che si lascia intervistare all’interno di una tenda. L’importanza dell’intervista Castro la
sapeva bene: era importante colpire il cuore del giornalista, che avrebbe fatto vedere all’intera società americana quello che castro gli voleva far credere. Per fargli credere di poter costituire un pericolo, all’interno della tenda aveva dato ordine di passare in continuazione intorno alla tenda per
far credere che si trattasse veramente di un numero di persone rilevanti. Il giornalista scrive articoli
che fanno vedere Castro come un eroe, che gioca un ruolo di pressione nei confronti del Dipartimento di Stato americano. Gli Stati Uniti cominciano a togliere un po’ di appoggio a Batista, che
nel 1958 indice nuove elezioni, facendo in modo che venisse eletto il proprio candidato. Gli Stati
Uniti lo scoprono e decidono di non dargli più alcun tipo di appoggio.
Dalla Sierra Maestra, i ribelli, che ormai avevano sostenitori in tutta Cuba, entrano all’Avana e
prendono il potere il primo dicembre 1959. Batista fugge a Santo Domingo. Nell’aprile del 1959
Castro va in visita negli Stati Uniti, senza essere invitato: il pretesto è un invito presso una conferenza dei maggiori editori di testate giornalistiche. Eisenhower non è a Washington, è il vicepresidente Nixon a riceverlo. L’antipatia tra i due fu tale che l’incontro si manifestò anche per una quasi
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aperta ostilità. Castro non volle più chiedere aiuti agli Stati Uniti ma sottolineò l’intenzione del popolo cubano ad essere indipendente dall’America. Nixon addita Castro come comunista e mobilita
la Cia per rovesciare questo nuovo regime.
Una volta al potere Castro non si mostra molto diverso da batista: instaura dei tribunali rivoluzionari, processa e condanna a morte gli elementi vicini al vecchio regime, delle vere e proprie corti
marziali. Diminuisce gli affitti, riduce le tariffe telefoniche, inizia la riforma agraria. Stabilisce
quello che stabiliva la Costituzione del 1940. Le terre oltre i 400 ettari vennero espropriate dietro
indennizzo (che non avvenne mai). Inizia a nazionalizzare le proprietà americane. Iniziano a peggiorare ancora di più i rapporti con gli Stati Uniti.
Nel 1960 si reca in visita a Cuba il vice presidente sovietico. Cuba era solo una tappa, ma viene
fatto il primo trattato: la Russia acquista lo zucchero cubano, manda aiuti economici, vende petrolio
grezzo. Castro comincia a nazionalizzare gli zuccherifici di cuba, e licenzia in tronco tutti i dipendenti americani della Cuba Telephone Company. Dopo la fine della dittatura di Batista vi era stata
un’ondata migratoria di cubani filo-batistiani, che si rifugiano principalmente nella florida. Gli Stati
Uniti cominciano ad addestrare esuli cubani al fine di mettere in atto azioni volte al recupero dell’isola. Nel maggio del 1960 arriva il petrolio russo, deve essere raffinato: le industrie petrolifere dell’isola sono statunitensi. Gli Stati Uniti si rifiutano di raffinare il petrolio sovietico, e Castro nazionalizza le industrie petrolifere. Gli Stati Uniti si rifiutano di acquistare la quota di zucchero, e
l’unione Sovietica si offre di acquistare quella quota e di difendere Cuba da eventuali attacchi statunitensi attraverso l’installazione di basi missilistiche.
Di fronte a un clima di aperta ostilità come ultimo gesto del suo mandato, Eisenhower pone il
primo embargo di qualsiasi esportazione su Cuba – eccezion fatta per medicinali e beni di prima
necessità. Di fronte alla richiesta di diminuzione dei diplomatici all’ambasciata americana dell’Avana, gli Stati Uniti chiudono del tutto i rapporti diplomatici con Cuba.
3 gennaio 1961: millecento uomini, esuli cubani, vengono addestrati e sbarcano al sud dell’isola
– invasione della Baia dei Porci. Gli uomini vengono sconfitti dalle truppe castriste e dalla popolazione civile, e Kennedy dovette assumersi la responsabilità di quanto accaduto.
Ottobre1962: aerei spia americani scattano delle foto su territorio cubano e individuano delle
prime installazioni delle basi missilistiche rivolte verso gli Stati Uniti. Vi erano navi sovietiche che
arrivavano per contribuire alla conclusione delle basi missilistiche incomplete. Kennedy pone il
blocco navale nell’atlantico e dà disposizione di controllare ogni nave diretta a Cuba. comunicazione diretta tra Kennedy e Kruščëv, risolvono la crisi a tavolino con ragionevolezza. L’Unione Sovietica richiamò le sue navi e smantellò le sue basi a Cuba in cambio dello smantellamento di quella
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americana in Turchia, e chiese agli Stati Uniti di non tentare più un’invasione dello stato cubano.
Castro non ha avuto voce in capitolo, e questo peggiora i rapporti con l’Unione Sovietica.
Il primo embargo sull’isola si inasprì sempre di più ed è tutt’ora vigente. Inizia nel luglio del
1960, quando Eisenhower autorizza il taglio della quota di zucchero. Nel 1960 viene posto l’embargo totale, e in ottobre si estende alle filiali all’estero di società americane.
Nel 1962 si impongono severe restrizioni anche ai movimenti dei cittadini americani verso Cuba,
con pressione su paesi terzi che aiutavano l’isola; restrizioni al commercio di navi straniere con Cuba, e divieto a terzi di compiere transazioni in dollari con Cuba e con cittadini cubani.
Carter ammorbidisce le misure di embargo con effetti extraterritoriali: vengono rilasciate autorizzazioni a commerciare con Cuba. Abolisce anche il divieto di recarsi a Cuba, e vengono aperte
agenzie di interessi cubane a Washington e agenzie di interesse cubane all’Avana. Con Reagan Cuba viene inserita nei paesi che fanno parte dell’asse del Male: divieto di recarsi a Cuba per turismo,
limitazione del denaro che esuli cubani potevano mandare a Cuba (1200 dollari all’anno). Nel 1984
viene siglato un primo accordo migratorio che prevede in cambio di ventimila visti che gli Stati
uNITI concedono a esuli cubani che vogliono lasciare il paese, si sancisce che Cuba debba accogliere duemila ottocento indesiderabili, delinquenti e malati mentali – per non gravare sulle carceri
americane. Viene aperta una stazione radiofonica, voluta da Carter, che dalla Florida trasmette sul
suolo Cubano la voce dell’anticastrismo, e si chiama Radio Marti, eroe della lotta contro la colonizzazione spagnola. Continuano pesanti misure di Embargo, inasprite nel 1992: entra in vigore la legge Torricelli, il Cuban Democracy Act, divieto di esportazioni e importazioni da e verso Cuba, divieto per le persone fisiche e giuridiche di trasferire denaro a Cuba o a cittadini cubani, divieto per
le società americane di commerciare con Cuba, divieto di caricare e scaricare merci in territorio
americano per navi che hanno toccato territorio cubano nei mesi precedenti. Divieto di commerciare
con Cuba o cubani, divieto per aerei statunitensi di atterrare a Cuba, e divieto per tutti gli aerei che
decollano dagli stati uniti di atterrare a Cuba. Nel 1994 vi è un’ulteriore crisi migratoria; Clinton
decide di interrompere la concessione di stato di rifugiato ai cubani ma decreta l’internamento dei
rifugiati nella base di Guantánamo e nella zona di Panama. Nel 1996 entra in vigore la legge ElusBurton, che prevede in più sanzioni contro chi acquisti beni cubani o articoli che contengono beni
cubani. Concede ai cittadini americani la possibilità di ricorrere a tribunali americani per rivalersi
contro le aziende e i singoli che sono diventati proprietari di quei beni con la rivoluzione.
Divieto affinché gli stati terzi non commercino con Cuba.
Prendono provvedimenti affinché si crei un fondo speciale da cinque milioni di dollari per mandare a Cuba degli ispettori per il controllo dei diritti umani.
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29 03 2011
Inizio ‘900: le due presidenze di Theodore Roosevelt segnano un indurimento del ruolo degli
Stati Uniti, che diventano grande soggetto di politica internazionale. Imperialismo economico-commerciale non volutamente territoriale. Gli Stati Uniti hanno il dovere e la predestinazione di
aiutare gli altri a fare del loro meglio. All’inizio del ‘900 sono il paese più evoluto del mondo, e a
partire da dopo la guerra civile sono oggetto di un’imponente ondata di immigrazione. Ellis Island
rappresentava un mito perché era la porta per gli Stati Uniti, ma era anche un campo di internamento. Il fenomeno andò così perché le masse provenienti dall’Europa meridionale e orientale (Impero
russo) erano una massa poderosa e includevano fattori di difficile convivenza multietnica. Gli Stati
Uniti creano un sistema multietnico funzionante perché quasi tutti quelli che arrivano negli Stati
Uniti mirano all’integrazione; l’unica eccezione sono gli ebrei, che tendevano a isolarsi fra loro.
Caso di Sacco e Vanzetti: né gli anarchici né gli italiani piacevano agli americani. Andavano puniti degli immigrati anarchici.
In ascesa grazie anche all’arrivo dei migranti, la società americana già allora non voleva fare i
lavori più umili: la crescita industriale è data anche dall’arrivo degli immigrati. Vengono introdotte
quote di immigrazione, incrementate durante la prima guerra mondiale.
PRIMA GUERRA MONDIALE
Momento di estrema rilevanza. L’idea prevalente è quella di tenersene alla larga. Serviva il voto
del Congresso per la guerra, e il presidente non poteva fare alleanze in tempo di pace. Non avevano
obblighi. Il presidente è Thomas Woodrow Wilson, che passerà alla storia. Era un uomo onesto e
colto, diventa l’alfiere della giusta risoluzione dei problemi dando la sua impronta all’idealismo
nelle relazioni internazionali. Il modello di Wilson è l’archetipo che vuole cercare di applicare criteri alla politica internazionale, come il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Il principio dell’autodeterminazione andava trattato con cautela, o avrebbe portato a una guerra permanente. L’approccio etico è una fonte di molti problemi. Wilson ha una sua dimensione etica, ma ci sono moltissime altre motivazioni.
Il presidente è sicuramente dalla parte dell’Intesa. Salvo la Russia, con cui non è in buoni rapporti, gli altri sono modelli di democrazia più consoni agli interessi degli Stati Uniti. Chi comanda in
Germania è la classe militare prussiana. Una vittoria del militarismo tedesco non sarebbe stata una
buona cosa per gli Stati Uniti. Il paese però non è compattamente dalla parte dell’Intesa, a causa
della sua natura multietnica. La parte germanica è chiaramente dalla parte degli imperi centrali. La
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componente irlandese è enorme negli Stati Uniti e questa coglie nella guerra un’occasione per mandare via gli inglesi, approfittando della loro debolezza; sono aiutati dai tedeschi. Pasqua di sangue
del 1916: il capopopolo principale è Èamon De Valera, primo presidente irlandese, non viene fucilato perché ha il passaporto americano. Gli Stati Uniti sono spaccati. prevale il buonsenso e si sta alla
larga dalla guerra, un bagno di sangue senza precedenti. Ci sono un sacco di movimenti popolari a
favore della neutralità: la gente non vuole la guerra. Wilson viene rieletto dopo una famosa campagna neutralista (novembre 1916). Il 2 aprile 1917 il Congresso vota la guerra - finirà presto e tutti
saranno grati a Wilson.
Nel corso della guerra le ambasciate degli imperi centrali a Washington trafficavano con l’ambasciata messicana per una guerra contro gli Stati Uniti. Difficile credere che temessero seriamente
una cosa del genere, non è una causa seria per l’ingresso in guerra.
Causa ufficiale: ripetuta violazione del diritto navale nelle acque atlantiche, guerra sottomarina
indiscriminata tedesca. Gli americani devono metterci una causa nobile: vengono affondate le navi
con i civili, che erano scudi umani per mandare i rifornimenti all’intesa. Non c’erano direttive dello
stato maggiore tedesco, i comandanti dei sottomarini si regolano da soli. Lusitania, silurato e affondato nel giugno 1915 nel canale della Manica. Affonda in pochi minuti perché esplode: il siluro
aveva innescato altro. Era guerra, e i tedeschi chiaramente non volevano che i nemici venissero riforniti. Siccome serve un pretesto, hanno trovato un pretesto nobile, il fatto che non è giusto sparare
a unità civili disarmate in un paese neutrale. Pensavano sarebbe stata una guerra breve.
Motivazione reale: gli americano aiutavano l’Intesa dall’inizio della guerra, fino ad arrivare ad
aiuti reali, per una cifra prossima a 17 miliardi di dollari, rapportati al dollaro di cento anni fa, è una
cifra inverosimile. Quei soldi avevano la speranza di essere rivisti solo se avessero perso gli imperi
centrali; dovevano fare di tutto per far vincere l’Intesa. L’inizio del 1917 è il momento più buio dell’Intesa perché la Russia comincia a dare segni di tracollo - diserzioni di massa, non è più un alleato
attendibile. L’Italia è allo stremo - sono necessari gli accordi di San Giovanni di Moriana per rafforzare la presenza italiana, in cambio di pezzi dell’Impero Ottomano. Nel giro di pochi mesi ci sarà
Caporetto.
Gli Stati Uniti sapevano che la guerra rischiava di essere persa. All’inizio l’ingresso nel conflitto
non cambia nulla, non hanno la capacità di gestire enormi unità da una grande distanza dal paese.
Serviva una capacità militare consolidata per gestire le grandi unità, come le avevano gli europei.
Non hanno i comandi in grado di gestire il tutto. Capiscono che deve esserci un organo che comanda su tutti, quelli che allora erano i capi di stato maggiori di esercito, marina, areonautica (Jcs, Joi-
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ned Chiefs of State). Il generale Pershing si rifiuta di svolgere la sua funzione se non in dialogo diretto con il presidente.
Azione in ritardo svolta dai governi dell’Intesa: paura di Francia e Inghilterra che un eccessivo
ruolo decisivo degli Stati Uniti possa togliere lustro e peso a una loro eventuale vittoria. Fanno di
tutto per ritardarli. Prima che arrivino ingenti aiuti all’Intesa arriva il giugno del 1918. L’arrivo degli americani in massa dà un ruolo decisivo perché gli imperi centrali sono allo stremo, tagliati fuori
dal resto del mondo. Gran Bretagna e Stati Uniti impediscono le rotte commerciali nell’Atlantico,
l’Italia blocca l’Impero Asburgico nell’Adriatico. La spinta decisiva è quella americana. Inventano
nell’agosto del 1918 i primi carri armati, in operazioni militari in Francia provocano enormi e improvvisi dissesti nei tedeschi. Risolve il problema dei reticolati. La vera differenza la fa l’iniziativa
di Wilson, il 14 punti. L’estate del 1918 segna solo il riequilibrio del fronte francese, quella a cui i
tedeschi guardano è la iniziativa di Wilson. Aveva dichiarato che gli Stati Uniti sarebbero entrati in
guerra per darle la soluzione giusta. Faceva riferimento a una guerra senza vincitori né vinti, antitesi
della guerra ottocentesca. Dovrà essere una pace condivisa. Si vedrà alla conferenza di Parigi che
gli europei lo ritenevano quasi pazzo. Gennaio 1918: grande offerta di pace a tutti i belligeranti,
proponendo 14 punti per porre ragionevolmente fine al bagno di sangue. Lasciava intendere che era
qualcosa di ragionevolmente accettabile da parte di tutti i belligeranti.
I 14 PUNTI: rappresentano l’applicazione dei principi della Costituzione degli Stati Uniti alla
scena internazionale. I principi sono la libertà di movimento e di commercio, la sicurezza delle vie
di comunicazione, il disarmo. Clausole blande per il superamento del modello coloniale, soluzione
con ampie autonomie per l’Impero Asburgico. Alsazia e Lorena per la Francia, cosa che non verrà
contestata nemmeno da Hitler. Sanzioni eque, accettabili. In un’integrazione di febbraio fa riferimento al principio di autodeterminazione dei popoli: sono condizioni di pace assolutamente accettabili. La Germania è stremata, nel momento in cui si sfascia l’Impero Asburgico si ritrova sola,
senza gli alleati che tracollano (disfatta di Vittorio Veneto). Nel novembre del 1918 la Germania
accetta l’armistizio sulla base dei 14 punti. Il tentativo di Wilson di cercare di far applicare i suoi
punti a Parigi fallisce: disarmata la Germania, nessuno ha più interesse ad ammettere il piano del
presidente. Wilson cerca di evitare che la Germania venga umiliata, aveva intuito il pericolo e ne
andava del suo onore.
La revanche francese sarà il presupposto della Seconda guerra mondiale: hanno umiliato un nemico che non era stato sconfitto. Wilson riesce ad evitare pesanti rettifiche del territorio tedesco a
favore della Francia nella zona della Renania, riesce ad ottenere l’internazionalizzazione della Saar,
riesce ad evitare che altri territori passino alla Danimarca. Wilson dà fastidio all’Italia, perché non
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ha firmato il Patto di Londra. si impunta perché l’Italia non acquisisca tutta l’Istria. Offesa, nell’aprile 1919 la delegazione italiana si ritira per una settimana dalla Conferenza di Pace. Si rimanda
ai futuri accordi diretti le questioni di Fiume e dell’Istria.
La Germania esce dai trattati pesantemente umiliata: è l’unica nazione disarmata, le sue colonie
sono distribuite tra inglesi e francesi, subisce perdite territoriali, viene divisa dal corridoio di Danzica. Anche Wilson viene sconfitto alla Conferenza di Pace. Chi ha vinto impone la sua ragione. Per
quanto riguarda il prestito di diciassette miliardi di dollari, dall’inizio della Conferenza di Parigi c’è
un fronte comune che sostiene che solo con il pagamento delle riparazioni di guerra tedesche l’Europa sarebbe riuscita a risarcire gli americani. Gli americani non sono d’accordo, ma non possono
farci nulla. Cercano delle soluzioni al problema delle riparazioni (piano Dowes nel 1924, piano
Yang del 1929) per riuscire a saldare il debito interalleato.
Si rassegnarono negli anni ’30, quando con il trattato di Losanna del 1932 la Germania paga l’ultima cifra simbolica e dichiara chiusa la faccenda. Il mancato pagamento è il principale motivo per
il quale gli Stati Uniti non commerciano con l’Europa nel periodo tra le due guerre. Hanno portato a
vincere la guerra e in cambio non hanno rivisto un dollaro - non fanno politica europea, ma indirizzano la politica estera verso l’estremo oriente e l’America Latina. Sull’emarginazione dell’Europa
di gioca il futuro di Wilson.
1920, in campagna elettorale vuole occuparsi del dopoguerra. È entrata in funzione la Società
delle Nazioni, che doveva garantire la pace perenne attraverso il meccanismo della sicurezza collettiva, che noi oggi diamo per scontato. Fa un errore: pretende di inserire nei trattati di pace il testo
della Società delle Nazioni, per i vinti come metodo di espressione dei vincitori. Firmando i trattati
di pace, quindi, si firma anche la Società delle Nazioni. Firmando Versailles viene firmato tutto, si
accetta ogni sua parte e si accetta di entrare nella Società delle Nazioni. Wilson dava per scontato di
entrarci e di avere un ruolo guida. Ma proprio le nascenti bizze europee sui debiti fanno sì che la
campagna elettorale globalista di Wilson venisse vista come un nuovo impegnarsi dell’Europa ingrata, che non aveva intenzione di onorare i suoi debiti. Il risultato fu una disfatta elettorale per Wilson e la vittoria del repubblicano Hardings, che avvia una triade di presidenti repubblicani: non volevano l’idealismo democratico. Wilson si ammala e muore di lì a poco, e gli Stati Uniti rifiutano la
ratifica dei trattati di Pace.
1 luglio 1931: trattato di pace separato con la Germania, che indebolisce il trattato di Versailles, e
gli Stati Uniti non entrano nella Società delle Nazioni. Fallimento del globalismo di Wilson, isolazionismo nei confronti dell’Europa.
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Le attività economiche americane riprendono a crescere, anche attraverso una modifica istituzionale. Il diciannovesimo emendamento del 1920 introduce il suffragio universale - è una società evoluta, con il riconoscimento della condizione femminile. Fenomeno del proibizionismo: fenomeno
attraverso cui viene messa al bando dalla vita sociale il commercio, la vendita e il consumo di alcol.
Nel momento in cui le donne votano, si dà loro il contentino politico per la lotta contro l’alcolismo:
la campagna femminile antialcol trova il riconoscimento legislativo, ma ha ripercussioni a dir poco
disastrose. Ciò che avvenne fu il dare una nuova fonte di business alla criminalità organizzata che
cresce ancora di più.
È qualcosa di assurdo, inconsueto, destinato al fallimento - sarà abolita all’inizio degli anni ’30,
ma lascia un rapporto irrisolto e difficile con l’argomento, una demonizzazione che spinge verso
l’abuso piuttosto che il consumo più sereno. C’è una legge federale sul divieto del consumo di alcolici ai minori di ventun anni, come il divieto di consumo in pubblico di alcolici se non in luoghi ad
esso deputati; ci sono negozi riservati agli alcolici con le vetrine schermate. È un rapporto sofferto:
l'alcol è un tabù della società americana,probabilmente perché ne viene mitizzata la crociata avversa
ad esso.
Fascismo in Italia: il fascismo iniziale intraprende una campagna molto dura nei confronti della
mafia, che viene combattuta con particolare vigore. Cesare Mori, prefetto di Palermo, fa sì che una
parte rilevante della mafia siciliana si trasferisca negli Stati Uniti. L’effetto Mori sugli Stati Uniti c’è
stato. Erano gli anni dello splendore della criminalità organizzata. Creano degli stereotipi - momento di parziale sospensione della legalità. L’FBI, sotto la guida di Edgar Hoover, attua una sospensione della legalità, azione dei killer di Stato. Non vengon giudicati e giustiziati ma uccisi direttamente sulla strada. Lo stesso Dillinger viene assassinato in strada. Ci sono molti ufficiali dell’FBI
che vanno in pensione con oltre cinquanta morti sulle spalle. C’era la grande minaccia della criminalità organizzata, e non era un problema semplice da risolvere.
05 04 2011
Dopo la prima guerra mondiale, la politica di Wilson è naufragata: gli americani non vogliono
pagare i conti degli europei, e si chiudono nell’isolazionismo. È un modo di vedere i rapporti con
l’estero degli americani sempre latente e presente nella loro politica. È forte perché essendo il più
ricco e potente paese del mondo c’è la forte volontà e tentazione di arrangiarsi da soli. È una percentuale che si conferma nel tempo: un terzo di deputati e senatori americani non ha mai avuto il
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passaporto. Non vogliono saperne niente dell’Europa almeno per un po’, poi saranno costretti ad
occuparsene.
I primi anni venti sono di forte espansione economica interna, di grossa evoluzione sociale, del
voto alle donne, del proibizionismo, del boom economico che comporta un forte consolidamento
della criminalità organizzata, fino a una sospensione della legalità.
Un punto di svolta è la crisi finanziaria del 1929, il famoso venerdì nero di ottobre di Wall Street.
La più grande crisi prima di quella attuale. Le cause sono diverse, ma ce ne sono molte in comune.
La matrice sta nella natura stessa del modo di crescere americano. È come se gli Stati Uniti nascendo e sviluppandosi hanno alla fine dovuto fare i conti con qualcosa d’insoluto - sostanzialmente, l’equilibrio federale (risolto dalla Guerra Civile). Non erano chiare le competenze interne, c’erano dei conflitti, modelli di produzioni apparentemente incompatibili. Un altro nodo irrisolto sono le
regole della crescita economico-finanziaria. Il mito degli Stati Uniti fino alla crisi del 1929 è Adam
Smith, collegato al concetto del libero mercato: i prezzi sono dati dall’equilibrio tra domanda e offerta, senza interferenze esterne. Il mercato doveva autoregolarsi. Corollario del mito del libero
mercato è il non mettere regole per le attività economiche. Fino agli anni venti esistono poche e generiche regole per quanto riguarda il mercato, significa che tutto viene deciso liberamente tra le parti. Ci sono pochi e marginali controlli. Senza esagerare con le regole, ci sono degli equilibri: il concetto americano è quello di assumersi le proprie responsabilità. Nel mercato finanziario gli Stati
Uniti sono molto evoluti, le grandi società sono società per azioni, non esiste alcuna tutela normativa che disciplini la professione del promotore finanziario (chi gestisce i titoli altrui). È un momento
di grande espansione, si ha l’idea che investendo in azioni si guadagnerà, questo spinge all’indebitamento – tutto questo avviene fuori controllo.
Il modello americano lascia assoluta libertà di azione, con conseguenze relative alle proprie
azioni. Il sistema americano nei primi anni venti è far west. L’assenza di regolamentazione è la
chiave dello sviluppo e del successo.
1929: momento di sfiducia legato al fatto che molti cittadini americani oppressi dai loro debiti
pretendono di realizzare quelli che sono i titoli azionari. Nel momento in cui molti vogliono liquidare i loro titoli questi scendono di valore. Nel corso del 1929 la volontà di realizzare sulla base dei
titoli detenuti crea una crisi di liquidità del sistema bancario e un deprezzamento vertiginoso del
valore dei titoli. In giovedì nero di Wall Street si chiama così perché la gente si reca in banca per
cambiare i propri titoli e le banche non sono in grado di onorare tutto questo – hanno perso i risparmi e le capacità di investimento. Il crollo dei valori di borsa è comunque inferiore alle peggiori
giornate degli ultimi anni. Quello che non era controllabile non era il dato economico ma la reazio34
ne psicologica. Tutti vogliono realizzare – non c’è liquidità ma il crollo del prezzo. L’America si
avvia a una straordinaria recessione. La fine della confidenza nel sistema economico unita alla perdita di valore delle azioni implica un crollo dei consumi, con conseguente perdita del posto di lavoro (era molto semplice licenziare all’epoca), che genera un altro calo nei consumi e il sistema comincia ad andare a picco. La crisi del 1929 è globale, ma i tempi sono molto diversi, perché le modalità di funzionamento del pianeta sono diverse. La crisi è lenta, porterà effetti devastanti ovunque
– nel 1931 fallisce la più grande banca austriaca, due anni dopo. Ora gli effetti sono praticamente
istantanei. È la prima volta da quando esistono gli Stati Uniti che il sistema arranca sotto il profilo
economico. C’è decrescita, disoccupazione, e assenza di ottimismo per il futuro del paese. La presidenza di Herbert Hoover, repubblicana, non riesce a capire la situazione. Capire la situazione non è
facile perché significa ammettere che gli Stati Uniti devono rivedere alcuni loro dogmi economici.
Non è esattamente come l’hanno sempre pensata, non è in grado di affrontare la situazione. Vi sono
poche o nulle iniziative prese per fronteggiare la crisi: idea che il mercato sarà in grado da solo di
ritrovare il suo equilibrio. Vaghi sostegni alla disoccupazione, moratoria Hoover nei pagamenti internazionali: inutile richiedere soldi, quando non ci sono soldi per nessuno. Dal 1 luglio 1931 al 30
giugno 1932. Ad agosto del 1932 a Losanna si deciderà per un ultimo pagamento simbolico della
Germania, e poi la questione sarà chiusa.
Gli Stati Uniti si trascinano. Elezioni presidenziali del 1932, si presenta il vincitore delle primarie del partito democratico, Franklin Delano Roosevelt, con una campagna elettorale inconsueta.
Non è tra le sue priorità la politica estera, ma è tutto concentrato sulla ripresa dalla grande recessione. Quello che fa intuire è una modifica della politica economica di fondo. Il suo primo mandato
comincia nel gennaio 1933, cominciando a governare e applicando le sue idee in economia. Le sue
idee tendenzialmente fanno a pugni con l’economia classica degli Stati Uniti. Superamento di Smith
con lord Maynard Keynes, padre dell’economia keynesiana, che sconvolge l’idea tipica perché ritiene necessario e importante l’intervento dello stato nell’economia. Lo stato che si intromette nell’economia negli Stati Uniti era qualcosa di blasfemo.
L’idea di Keynes viene abbracciata dal governo degli Stati Uniti: il paradosso è che se c’è forte
disoccupazione, a spese dello stato si può assumere operai che scavino e riempiano buche. Lo stato
deve dare lavoro e far muovere l’economia. Negli Stati Uniti del 1930 non era affatto scontato: significava avviare enormi opere pubbliche contando sulla forza della Presidenza degli Stati Uniti che
è una prodigiosa riserva federale. Bisogna trasferire le risorse in maniera utile alla popolazione, è
l’anima del nuovo corso, del New Deal: nuova gestione, nuovo modo di trattare. Ha come sua prima
connotazione uno straordinario impegno nel settore delle opere pubbliche. Viene creato il bacino
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della Tennessee Valley, che diventa una centrale idroelettrica e dà lavoro a migliaia di operai, e vengono avviati lavori pubblici delle grandi città. La connotazione delle città americane, la skyline,
prende corpo nei primi anni trenta. Creando posti di lavoro si incentivano i consumi e questo chiaramente porta a una ripresa economica, dei consumi e dei risparmi. Si capisce che la deregulation
degli anni precedenti ha portato solo disastri. Il New Deal non è stato un piano quinquennale, ma è
stato disordinato, i problemi venivano risolti in maniera occasionale e variegata. Vengono disciplinate le regolazioni del lavoro – Wagner Act, che disciplina i rapporti tra datori di lavoro e operai,
disciplina i sindacati, vengono introdotte tutta una serie di norme relative alla sicurezza sociale, il
poderoso sistema della Social Security, tutte cose che noi diamo per scontate. Introduzione di assicurazione medica per i lavoratori, della cassa integrazione, di norme più rigide per quanto riguarda
il settore bancario e assicurativo. Stretta di controllo sul mercato azionario dei titoli.
La Corte Suprema pensa che tutto questo possa essere incostituzionale, ma è una maschera dei
rapporti difficili con il nuovo presidente Roosevelt.
Si realizza comunque un welfare state debole, e rimarrà sempre tale. Il sistema rimane duro, ma
almeno vengono prodotte delle regole. Si crea il concetto di sicurezza sociale, della protezione di
fasce momentaneamente più deboli della popolazione. Roosevelt riesce a far passare la sua linea
solo con il suo secondo mandato. Nel 1936 deve stare tranquillo, perché c’è la campagna elettorale
– veniva accusato di integralismo e comunismo. Quando ritrova il consenso popolare nel novembre
1936 è abbastanza sbloccato, sono gli anni migliori della sua posizione. Ha prevalso la sua linea, ma
il New Deal finisce con la Seconda Guerra Mondiale che crea più che la piena occupazione negli
Stati Uniti. C’è grande necessità nell’industria bellica degli Alleati. Una macchina di produzione
mostruosa che fa vincere il New Deal sulla grande depressione: spazza via le ultime sacche di malessere e di carenza di domanda. Si porrà per Truman il problema di riportare gli Stati Uniti a una
normalità smantellando gli eccessi del New Deal. Bisognava far fuori con il New Deal molte figure
che con esso si erano legittimate, i cosiddetti New Dealers, gli uomini di Roosevelt, che per Truman
sono interlocutori scomodi, figure carismatiche legate al vecchio presidente. Solo la guerra risolverà
positivamente lo strascico della Grande Crisi. In Italia c’era l’Iri (istituto per la ricostruzione industriale), di chiara influenza keynesiana. Anche la depressione in Italia venne risolta da una guerra, la
guerra d’Etiopia.
Roosevelt non ha in testa alcun disegno di politica estera, fuorché la politica in America Latina e
l’altra sponda del Pacifico, ma c’è una totale assenza dall’Europa. Deve cominciare a interessarsi
perché già dalla metà degli anni Trenta comincia a mostrare segnali di grave instabilità. L’avvento
di Hitler al potere nel 1933 e il consolidamento di Mussolini al potere come capo di uno stato auto36
ritario saranno motivi di grandi problemi. Nel 1935 i problemi sembrano cominciare a esplodere.
Gli inglesi cominciano a valutare l’intervento in Etiopia, ma poi non lo fanno, perché erano da soli.
Il senato americano proclama nel 1935 la Prima legge di Neutralità, dicendo che il presidente
non può partecipare neanche con forniture di merci strategiche in nessun conflitto in corso. Nel
1936 comincia la Guerra civile spagnola, scontro non dichiarato tra nazifascismo e democrazia sovietizzante, pesante scontro tra destra e sinistra – le tentazioni sono forti, perché Francia e Gran Bretagna aiutano gli antifascisti, largamente assistiti da Italia e Germania. Viene proclamata la Seconda
legge di Neutralità, a sottolineare il fatto che la Guerra civile spagnola non è un problema americano. Le leggi saranno rinnovate negli anni successivi, fino a quattro volte, e segnano la ribadita volontà del popolo americano di non voler avere a che fare con le tensioni europee. Enorme prova per
gli Stati Uniti della Seconda Guerra Mondiale.
Domenica 3 settembre 1939 Gran Bretagna e Francia dichiarano guerra alla Germania. Non
scoppiano subito le operazioni militari, ma gli Stati Uniti si rendono conto che è iniziato un regolamento di conti decisivo, la resa dei conti finale della Prima Guerra Mondiale. L’interesse nazionale
degli Stati Uniti non può che essere dalla parte delle democrazie occidentali più di quanto lo fosse
nel 1914: la Germania del Kaiser era meno insidiosa di quella che era la Germania di Adolf Hitler.
Possono gli Stati Uniti assistere impassibili? Il buon senso dice di no, ma l’opinione pubblica è del
tutto contraria a qualsiasi coinvolgimento. Roosevelt, con un’attenta politica di persuasione, riesce
ad ottenere una revisione della normativa di neutralità e nel novembre 1939 riesce a ottenere l’abolizione del limite di fornitura di merci strategiche, secondo la cosiddetta clausola cash & carry. Le
merci dovevano essere ritirate, pagate e portate via. Il tutto può reggere fino a quando non c’è la
guerra vera, quando però nel maggio 1940 la Germania invade la Francia, con una facilità sconcertante (l’esercito francese era considerato la principale forza armata di terra del pianeta): in un mese
Parigi è una colonia tedesca, e nel sud del paese è lasciata una simbolica Francia di Vichy, fintamente indipendente. La percezione era che l’Europa fosse ormai sotto il controllo di Hitler. Poteva
la Gran Bretagna da sola tenere sotto controllo Hitler, con ancora vigente la legge cash & carry?
Roosevelt capisce che bisogna fare qualcosa altrimenti ci sarà il tracollo della democrazia in Europa. L’Italia è passata dalla parte di Hitler, Spagna e Portogallo sono stati autoritari, anche se neutrali, la Svezia è neutrale ma simpatizzante con i tedeschi, la Svizzera ha fatto da banca ai tedeschi, e
Stalin ridacchia pensando di essere in una botte di ferro.
Possono sostenere l’unica fiammella della democrazia che è la Gran Bretagna. Se Roosevelt
avesse convocato il parlamento e avesse dichiarato che dovevano entrare in guerra con la Gran Bretagna si sarebbero rivoltati contro. Il massimo lo ottiene nel febbraio-marzo 1941, che inizia un po’
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come l’ultima offensiva tedesca (la Germania domina tutta l’Europa), la trasformazione della legge
cash & carry nella legge affitti e prestiti, importantissima trasformazione che però ancora non vede
un partecipazione diretta. Il presidente ha la facoltà di aiutare i paesi amici senza limiti, cioè non c’è
limite nell’aiuto alla Gran Bretagna e non c’è l’obbligo di chiedere niente in cambio. Da agosto del
1941 gli americani estenderanno questi aiuti anche all’Unione Sovietica. Bisognava garantire che
l’Iran fosse sotto controllo alleato, ma il ruolo degli Stati Uniti continua a essere di rilevantissimo
ma puro sostegno economico e finanziario. Ancora la marina non può fare scorta-convogli nell’Atlantico, perché sarebbe un atto di guerra.
L’evento decisivo che proietta gli Stati Uniti nella guerra è Pearl Harbor. È una di quelle sindromi dell’immaginario collettivo statunitense. 7 dicembre 1941: attacco giapponese alle Hawaii. Segna l’immaginario collettivo, assieme alla Dichiarazione di Indipendenza, la Costituzione, la Guerra
Civile, l’episodio di Los Alamos, l’11 settembre, la guerra del Vietnam (oltre l’impegno stesso della
guerra). Pearl Harbor segna la coscienza perché non erano mai stati attaccati sul loro territorio prima di allora. L’attacco su territorio nazionale, sul territorio delle Hawaii – il fatto che sia insulare
non toglie gravità all’atto ma lo rende marginalizzato a livello geopolitico.
Quanto fu una sorpresa per il popolo americano? Gli Stati Uniti non sono ufficialmente in guerra, ma sostengono Stalin, hanno evitato il collasso all’Inghilterra – hanno assunto spudoratamente le
parti di Gran Bretagna e Unione Sovietica, e il Giappone si è già legato con il Patto Tripartito del
1940 a Germania e Italia. Dà al Giappone il controllo dell’area Asia-Pacifico. È in una posizione
espansiva e aggressiva, alleato con i nazifascisti, quindi chiaramente vedono anche nel Giappone un
nemico. Ad aggravare il tutto, tensioni crescenti tra Stati Uniti e Giappone (che è uno stato militarista in quel momento), sanno che all’interno del governo giapponese ha preso il potere la lobby della
marina, che porta a far prevalere gli interessi politici e geostrategici dei marinai. Il Giappone cercherà quindi di avere un ruolo forte nel Pacifico. Ci sono tutti segnali di intesa che fanno capire che
il Giappone sarà minaccioso nel Pacifico. Chiudono le forniture petrolifere al Giappone, creandogli
problemi di approvvigionamento: chi si sente inferiore nel lungo periodo tende ad aggredire subito
(come la Germania della Prima Guerra Mondiale).
I giapponesi ritengono matura la situazione per appropriarsi del Pacifico. Nel Pacifico ci sono
due potenze rivierasche: l’Unione Sovietica ha decisamente altro a cui pensare, per cui rimangono
Stati Uniti e Giappone. Per controllare il Pacifico bisognava umiliare gli Stati Uniti, alleati dei loro
nemici. Non è tanto strana un’azione militare alle Hawaii. Ci sono voci che dicono che Roosevelt
permette l’attacco, nonostante potesse evitarlo, perché così gli risolve il problema della politica della guerra. Non è accettabile la dietrologia, c’è la forzatura del fatto che sicuramente c’erano dei se38
gnali che questo potesse avvenire, ma non c’era la piena coscienza che all’alba del sette dicembre ci
sarebbe stato l’attacco alle Hawaii. Ci fu molta incuria. Un noto aneddoto di Stalin, uomo poco fiducioso nei confronti di chiunque, era che era inutile scomodare grandi complotti quando bastava
l’imbecillità delle persone. Gli americani sottovalutarono la situazione, ma gli strumenti di avvistamento erano più rudimentali. Un sistema di allerta avanzata (pattugliamento aereo continuo, più navi e sommergibili attorno alla flotta) più efficace avrebbe potuto attenuare i risultati dell’attacco.
L’attacco riesce in maniera superlativa, con migliaia di vittime (numero simile a quello dell’11 settembre). È un evento epocale, perché gli Stati Uniti vengono trascinati in guerra: da quel momento
sono nella Seconda Guerra Mondiale. Letto dalla fine è un errore dell’Asse, perché la non belligeranza diretta degli Stati Uniti sarebbe stata un vantaggio. In quel momento peraltro i giapponesi sono più forti degli americani, poi scatterà la straordinaria capacità organizzativa degli Stati Uniti che
li supereranno sia in armamenti, che in quantità di soldati. I giapponesi pensavano di poter vincere
in maniera veloce, ci sono piani di invasione della California: il Pacifico è completamente in mano
ai giapponesi.
Gli Stati Uniti si trovano in guerra, e cambiano completamente le prospettive del conflitto. Militarmente si occupano solo del Pacifico, poi aiutano la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica. La guerra con il Giappone prende una connotazione di odio razziale molto particolare. C’è stato un completo internamento della popolazione di origine giapponese durante la guerra – parlando di cittadini
americani. Tra le 160 e le 180mila persone di origine giapponese sono state internate, con la perdita
di lavoro e dei beni. Questo non viene neanche pensato per gli altri nemici. Il risultato è una vera e
propria opera contro l’umanità, i metodi di conduzione della guerra nel Pacifico sono molto diversi
da quella sullo scenario europeo. Le isolette del Pacifico gli americani se li riprendono tutte con il
lanciafiamme, i giapponesi decapitavano e si mangiavano per rituale i piloti americani. La guerra
aveva assunto i contorni di un vero e proprio clash of civilizations.
Episodio delle Midway del giugno 1942: gli americani riescono a fare fuori tre portaerei giapponesi, e quello è l’episodio iniziale della svolta del conflitto. Ci vogliono tre anni abbondanti e due
atomiche per piegare il Giappone.
Le scelte americane non possono però inizialmente essere operative in Europa: non ci sono le
condizioni per mandare ingenti forze sullo scenario europeo, anche perché l’Europa era completamente controllata da Hitler. Il grande dibattito strategico si concentra sull’apertura del secondo fronte, e va avanti per tutto il 1942 e gran parte del 1943.
Con le conferenze del Cairo e di Teheran (1 dicembre 1943) gli americani riescono a fare da ago
della bilancia per le diverse idee di Churchill e di Stalin. Stalin è del tutto favorevole a uno sbarco
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in Francia, che non sarà comunque terra di conquista sovietica, mentre Churchill guardando lontano
voleva sbarcare nei Balcani, liberandoli da qualsiasi pretesa sovietica – e pensava che il tempo
avrebbe logorato Stalin. Litigano per mesi, e l’ago della bilancia lo fa Roosevelt a favore di Stalin,
chiedendo di aprire il fronte in Francia. Roosevelt si attira una certa fama con quella decisione, dicendo che è stato troppo morbido con i russi. È così cedevole perché ritiene che in quelle condizioni
non si possano fare torti ai russi. Stalin abolisce il divieto della circolazione di icone sacre nel 1943,
per dare segno che anche le religioni sono accettate nell’Unione Sovietica – segnali del venirsi incontro. Tra l’imperialismo britannico e le esigenze reali del conflitto sceglie le seconde: non gli interessano i disegni di controllo dell’area balcanica. Ci sarà un successivo accordo anglo-russo sulle
percentuali sui Balcani. L’americano pensa solo in grande, a sconfiggere Hitler, e per farlo gli conviene dare ragione a Stalin. Le logiche imperialiste non gli interessano. La decisione vale a Roosevelt accuse ma anche un incondizionato sostegno da parte dell’Unione Sovietica. Le cause della
guerra fredda stanno nella prematura scomparsa di un bravo presidente e l’elezione di un asino che
non capisce l’importanza di continuare i rapporti – versione sovietica. Roosevelt era ben accetto dai
russi, e aveva velocemente digerito l’accordo Molotov-Ribbentrop. Roosevelt digerisce molto per
andare d’accordo con i russi. Essendo morto Roosevelt non sapremo se questa politica di buon vicinato con la Russia avrebbe risparmiato almeno in parte le crudezze della Guerra Fredda.
12 04 2011
Differenza di approccio al nemico da parte degli americani per quanto riguarda gli europei e per
quanto riguarda i giapponesi. Internamento dei giapponesi – non viene fatto nulla di simile per gli
europei. La guerra spazza via la crisi del 1929. Gli Stati Uniti lavorano a ritmi di iper produzione,
per il loro sforzo bellico e per quello di russi e inglesi. La crisi quindi non è chiusa dal New Deal,
ma quello non era semplicemente stato sufficiente. La guerra ha degli effetti molto positivi per
l’emancipazione razziale – sicuramente la partecipazione di soldati di colore alla guerra (anche se
non ammessi a gradi di ufficiali) è un elemento di emancipazione. L’integrazione completa avverrà
con la guerra del Vietnam. I reggimenti erano ancora inquadrati, c’erano reggimenti di bianchi e
reggimenti di neri con ufficiali bianchi. Importante fenomeno di integrazione razziale, importante
sviluppo della condizione femminile. Le donne diventano l’asse importante della produzione, importante salto in avanti. Gli Stati Uniti non modificano le aliquote di immigrazione. Non aprono
molto i confini a chi viene da fuori. Gli Stati Uniti hanno seguito una posizione molto rigida e dura
nei confronti degli ebrei che cercavano salvezza. Non hanno fatto alcun tipo di politica filo-sionista.
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Sono stati accettati ebrei che potevano tornare utili, ma non in maniera di massa. Le leggi razziali
erano comunque conosciute, ma non avviene comunque un’apertura delle aliquote per favorire
l’immigrazione ebraica. Salvo casi limite gli Stati Uniti seguono una linea molto dura. Non hanno
aiutato gli ebrei a sfuggire all’olocausto.
Altro fenomeno è quello della repressione intellettuale all’interno del paese, cioè comincia a
comportarsi in maniera pesante la commissione per le attività antiamericane, approvata dal parlamento alla fine degli anni trenta e che verrà usata come cavallo di battaglia dal senatore McCarthy.
È in attività già dal 1938, è uno strumento di repressione culturale e intellettuale di ciò che non è
americano. Durante la guerra comincia già a fare i suoi guai. Chi mette in evidenza l’esecrabile funzione dell’organismo intellettivo – tutti sarebbero d’accordo sul fatto che la diversità non vada repressa. Viene represso ciò che non segue il modello del buon americano: l’americano non è comunista, non è anarchico, non è omosessuale ed è legato alla famiglia. In quel paese in condizioni
normali tutte queste cose sono permesse: era sicuramente più tollerante rispetto agli altri paesi suoi
contemporanei. Si nota per il fatto che c’era una tradizione di libertà e tolleranza. L’apogeo avverrà
negli anni ’50 con la commissione McCarthy.
La commissione è formata da un presidente (un parlamentare) e rappresentanti del parlamento
che non hanno potere giudiziario: non possono condannare ma rovina di fatto, perché dichiara persone non idonee a svolgere compiti o valori. Provoca migliaia e migliaia di vittime. Ci sono persone
che potevano permettersi di essere diffamati, ma persone più povere e umili subiscono danni terribili da questa vera e propria repressione culturale.
Gli Stati Uniti comunque non sostengono nessuna particolare componente di immigrazione.
Roosevelt sposa la causa sovietica perché ritiene indispensabile l’apporto sovietico alla causa della
guerra. Riconosce ai sovietici il peso che hanno nella loro azione bellica, ed è ricambiato dai sovietici. Il premio che i russi danno a Roosevelt è l’Onu, il giocattolo di Roosevelt. È sicuro che il futuro della pace deve essere dato dalla sicurezza collettiva, con la leadership degli Stati Uniti e la loro
partecipazione diretta. I russi non ci credono ma gliela fanno realizzare. I russi si prendono due
elementi di sicurezza: l’articolo 2 della carta, l’assoluto rispetto della domestic jurisdiction (continua a rifiutare ogni intervento interno ai paesi) e il diritto di veto – permette anche di impedire a un
argomento di diventare ordine del giorno. Principio del processo di Norimberga, dove è stato vietato
anche nominare Katin, pena il ritiro del generale russo dal processo. Se un argomento non è gradito
a tutti e cinque i grandi non se ne può nemmeno parlare. Sicurezza universalistica, gestita a livello
universale delle potenze. I russi credono nel modello della vecchia sicurezza imperiale con la divisione in sfere d’influenza, ma lasciano fare a Roosevelt quello che crede. Con la scomparsa di que41
sti la finzione di coesistenza tra il modello americano e quello sovietico scompare. Ecco perché i
russi dicono che la guerra fredda è il risultato della morte di Roosevelt. Non è del tutto vero, ma lo è
sicuramente in parte. Truman è sempre stato tenuto da Roosevelt completamente all’oscuro rispetto
alla politica internazionale: era un esperto di politiche economiche e agricoltura, ma sa poco di politica internazionale. I primi passi sono difficili ma allo stesso tempo decisivi, perché Truman subentra a Roosevelt quando bisogna pianificare il mondo del futuro: la guerra sta finendo, e la guerra la
vincono. Le basi di Truman saranno basi di non dialogo per i sovietici.
Il 30 aprile, è presidente da pochi giorni. I partigiani di Tito entrano a Trieste, vincendo la corsa
per la città. Immediatamente comincia il periodo delle foibe contro i fascisti. Immediatamente
Churchill e in consiglieri di Truman gli dissero che non poteva fingere di non vedere e lasciare la
situazione com’era, anche da parte di alleati. Truman risponde che non voleva una guerra nei Balcani per la situazione di una città. Churchill lo convince dicendogli che anche Roosevelt era d’accordo con loro, e Truman era succube del fantasma del suo predecessore. Alla fine sembra quasi dal
tono dell’espressione, scocciato – in nove di maggio dice testualmente trow them out from Trieste,
espellere i partigiani da Trieste. Non vuole siano americani, per cui chi entra a Trieste era la delegazione neozelandese.
03 05 2011
FEDERALISMO NEGLI STATI UNITI D’AMERICA
Il federalismo statunitense è precursore dei tempi: qualsiasi modello federalista posteriore deve
tentare un confronto. Questo da quando Alexis de Tocqueville negli anni trenta passò un anno e
mezzo negli Stati Uniti e scrisse un libro sul modello americano che è tuttora un punto di riferimento. Uno stato grande ha sicuramente dei vantaggi, però ci possono essere anche ampi settori di malfunzionamento. Il federalismo americano mette insieme il vantaggio dell’essere un grande stato con
i piccoli stati che funzionano bene. Il comunista Altiero Spinelli alla fine riconosce che l’unico modello a cui l’Europa può aspirare è quello degli Stati Uniti. I problemi affrontati e in qualche maniera risolti dal sistema politico statunitense sono i problemi che sta goffamente cercando di risolvere il
processo di unificazione europea. Il problema di sussidiarietà delle competenze non è una novità,
gli Stati Uniti hanno affrontato lo stesso problema duecento anni prima. Specie laddove ci sono delle zone d’ombra nel conflitto di interessi, interessi non chiaramente definiti dalle zone di competenza. Parlare di federalismo americano significa parlare della prima esperienza incarnata del modello
di stato federale. Gli Stati Uniti nascono passando per un’esperienza confederale, con legami molto
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blandi. Dal 1781 al 1787, entrata in vigore della Costituzione, i rapporti tra gli stati sono governati
dai cosiddetti articoli di Confederazione, alcune norme che regolano i rapporti reciproci. All’epoca
della Dichiarazione di Indipendenza, ufficializzata il 4 luglio 1776, le tredici colonie che si emancipano nella realtà diventano tredici stati sovrani. Avrebbero fatto molta strada se ciascuno avesse seguito vie proprie di sviluppo, non in comunità con gli altri? Sarebbe stato altamente improbabile.
Erano entità facilmente fagocitabili dall’esterno, con la possibilità di entrare in lotta tra loro stesse.
Sono rapporti comunque blandi quelli iniziali, e non toccano il problema di fondo della sovranità
unica del paese. Sono regole momentanee di convivenza, per portare al compimento l’obiettivo
massimo: mandare via gli inglesi. In quel momento comincia il dibattito su quale dovrà essere il
loro futuro, e si dovrà creare quelle due grandi correnti di pensiero che fanno capo a Alexander
Hamilton e Thomas Jefferson, la prima favorevole al centralismo politico, l’altra sfavorevole – la
principale preoccupazione di Jefferson è che il sistema federale debba avere dei paletti molto rigidi,
dualismo federale. Significa che deve essere chiaro i confine tra le competenze del centro e quelle
delle periferie. Quello che si viene a creare è un problema che tutti gli stati in qualche loro fase affrontano: o i paesi per qualche scelta si ripiegano su una posizione centralista, basato sulla tradizione, o sul decentramento. La stessa Rivoluzione Francese in Francia ha semplicemente rafforzato lo
stato centralista. La figura principe del centralismo nasce in Francia, la figura del prefetto. Lo stato
sabaudo in Italia è stato un modello centralista. Il prefetto è un funzionario del governo che ha la
responsabilità ultima sulla provincia, non è eletto dal popolo.
Hamilton è sicuramente il principale artefice della scelta federale: una scelta sofferta. Dei tre delegati dello stato di New York alla convenzione di Philadelphia, sulla scelta federale è solo Hamilton a votare a favore, gli altri due votano contro. Ci sono paure che il modello federale che cede la
sovranità esclusivamente al governo centrale del District of Columbia possa diventare elemento di
prevaricazione riguardo la periferia. Il modello jeffersoniano cerca di limitare il più possibile
l’espansione delle competenze del governo centrale. Jefferson scrive a Madison una lettera in cui
dice che devono appartenere agli stati tutte quelle competenze che possono meglio essere svolte su
piccola scala. Questa lettera del presidente Jefferson sancisce una sua riconciliazione con Hamilton,
ucciso in duello nel 1804 (si lascia uccidere perché, essendo contrario ai duelli, decide di non sparare). Hamilton è uno sconfitto, è convinto che nei suoi Stati Uniti non sia stato realizzato un modello
di convivenza efficace. Per realizzare il modello che voleva ci vorrà la guerra civile del 1865. Fino
alla guerra civile molti poteri rimangono in sospeso. La Costituzione riguardo ai poteri è abbastanza
lapidaria, dice che il governo centrale si deve occupare di difesa, imposizione fiscale ma senza
competenza esclusiva, libertà del commercio, controllo finanziario (da cui la battaglia di Hamilton
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di ottenere una Banca Centrale degli Stati Uniti, la futura Federal Reserve), e la politica estera assegnata in maniera esplicita dalla Costituzione al governo centrale. Il decimo emendamento – i diritti personali vengono ratificati nel 1891 – sarebbe importante perché chiarifica che tutte le competenze che non sono esplicitamente assegnate dalla Costituzione al governo centrale devono ritenersi
assegnate dalla Costituzione agli stati membri. Con la guerra civile in tutti i settori ci sarà un rovesciamento dell’interpretazione. Nelle competenze residuali o sussidiarie ci sarà una prevalenza del
governo centrale. Il sedicesimo emendamento alla Costituzione del 1913 sancirà in modo lapidario
che tutta l’imposizione diretta è una scelta di competenza federale, del Congresso degli Stati Uniti.
Le imposte indirette sono affidate ai vari stati.
Ogni stato è libero di crearsi la sua giustizia interna, ma a livello federale esiste una Corte Suprema degli Stati Uniti che deve giudicare la costituzionalità delle leggi. Siccome i padri fondatori
non avevano speranze di arrivare a un testo entrando nei dettagli lasciano le questioni aperte: si parla di leggi della federazione o leggi dei singoli stati?
Qual è la competenza della Corte Suprema? La domanda dà il via a decenni di battaglie giuridiche. Non esiste un codice civile americano, ma solo codificazioni di sentenze (common law), ci vogliono decenni di cause per arrivare agli anni ’30 dell’ottocento a decidere che la costituzionalità di
una legge è decisa dalla Corte Suprema Federale anche per le leggi dei singoli stati.
Forze armate: ogni stato aveva una sua primitiva milizia. Anima federale e anima nazionale:
l’anima federale può essere svegliata solo dal presidente, che può mobilitare la guardia nazionale
solo per la difesa del territorio degli Stati Uniti, e laddove le forze armate federate non siano in grado da sole di difendere il territorio. C’è l’anima nazionale, che invece è lasciata alle competenze del
governatore dello stato il quale può utilizzarla per problemi di carattere locale, ordine pubblico o
molto più facilmente per calamità naturali. Si è voluto con la Costituzione e i suoi sviluppi successivi rendere la difesa del paese sotto il controllo centrale. In altri casi, realtà di milizie a carattere
nazionale sono diventate strumento di divisione del paese, come in ex Jugoslavia.
FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Il momento nel quale gli Stati Uniti stanno per assumersi responsabilità permanenti e globali. Gli
Stati Uniti fino al 1945 sono stati molto restii ad assumersi responsabilità globali e illimitate. Quindi è un momento di straordinaria modifica della realtà statunitense: sono la più grande potenza
mondiale, molto più di quanto lo siano oggi. Il paese più potente del mondo, che ha la legittimazione di aver annientato la tirannide nazifascista e giapponese, i portatori della libertà decide di impegnarsi su vasta scala. Perché decidono di farlo? Nel 1945 gli americani hanno solo fretta di chiudere
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la guerra, di smetterla di finanziare gli alleati (già nel 1945 volevano smettere con la legge affitti e
prestiti e «portare i ragazzi a casa», non tenere ancora privati cittadini statunitensi a morire in giro
per il mondo). Obiettivi dell’amministrazione americana nel corso del 1945: nel giro di due anni lo
stesso presidente dichiarerà l’impegno globale degli Stati Uniti con la famosa dottrina Truman.
Questo perché quella che era un’alleanza di guerra con l’Unione Sovietica si trasforma in una malcelata ostilità. Truman è molto meno sensibile di Roosevelt rispetto all’alleanza con i sovietici.
L’avvento dell’arma atomica è un fenomeno americano. L’arma atomica proietta in primis gli
Stati Uniti in una condizione di monopolio a livello globale. Che una superarma facesse gola a tutti
era chiaro, ormai erano prossime le capacità scientifiche a livello dei principali paesi del mondo (la
Germania ci va molto vicino), sicuramente gli Stati Uniti agendo nella condizione di non avere la
guerra in casa realizzano tutto questo. Portano negli anni ’30 negli Stati Uniti tutte le menti della
fisica disposte a fare ciò. Niels Bohr non ne vorrà mai sapere dello sfruttamento dell’atomo. Già
all’inizio della guerra in America c’era un immenso team di scienziati, costretti a una vita monastica a Los Alamos che studiano l’atomo – sono tutti ebrei, di diverse provenienze nazionali. Mentre il
presidente Truman si trova a Potsdam a celebrare il trionfo sui cattivi, nella metà di luglio del 1945
– il Giappone non è ancora sconfitto – viene raggiunto dalla notizia che il frutto dell’operazione
Manhattan ha prodotto la prima esplosione atomica dell’era umana, ad Alamogordo, nel deserto del
New Mexico. C’è un’enorme capacità tecnica distruttiva, ma poco si sa del terzo elemento, quello
radioattivo. Quelle sperimentazioni verranno portate avanti negli anni ’50. È una superarma perché
riesce a fare con un solo ordigno caricato su un bombardiere B29 circa lo stesso effetto di distruzione che possono aver fatto mille o milleduecento bombardieri su Dresda o su Lipsia. Quando compaiono armi con queste capacità non è più nemmeno immaginabile la guerra tradizionale, segna un
cambiamento sul piano strategico. Truman ha le idee confuse su cosa farne di tutto questo. La guerra con il Giappone era stata truculenta, ma si annunciava anche peggio. La sconfitta del Giappone
avrebbe comportato la conquista delle isole della madrepatria: i Giapponesi avevano conquistato
tutto il pacifico, ma sulla madrepatria giapponese non c’era un solo americano. Andare a stanare i
giapponesi nel loro stato avrebbe comportato migliaia se non milioni di morti sia tra americani che
tra i giapponesi. Il Giappone faceva paura con l’accordo preso a Yalta in cui Roosevelt riesce a convincere Stalin a dichiarare guerra al Giappone, in un tempo compreso tra i due e i tre mesi dalla fine
delle operazioni in Europa. Le operazioni finiscono in maggio del 1945, e a luglio Stalin si è ben
guardato dall’attaccare il Giappone. Non ne aveva molta intenzione, non gli avrebbe portato alcun
vantaggio. Sapendo di avere l’atomica gli americani avevano la possibilità di chiudere la guerra nel
Pacifico. Tre diverse opzioni di utilizzo:
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1. bombardare obiettivi sensibili giapponesi;
2. avvertire i giapponesi che una straordinaria bomba sarebbe stata lanciata in una località definita del Giappone ma non abitata per far loro capire cosa poteva succedere e che doveva arrendersi. Il Giappone avvertito avrebbe opposto resistenza, l’iniziativa viene accantonata;
3. invitare personaggi qualificati del Giappone ad assistere a un secondo esperimento nel deserto del New Mexico. Era difficile trovare funzionari disponibili, e c’era l’idea diffusa che
avrebbe riportato in Giappone si aver assistito a una sorta di messinscena hollywoodiana.
Si arriva quindi all’unica opzione percorribile, quella di attaccare direttamente obiettivi sensibili
giapponesi. La prima atomica cade su Hiroshima il sei agosto, la seconda su Nagasaki il nove. Ogni
giorno morivano soldati americani, c’era fretta di chiudere. C’era una lista di dieci città, furono
scelte città piccole perché le bombe avevano ancora capacità limitate. Gli obiettivi vennero scelti
solamente sulla base delle condizioni meteorologiche. A Hiroshima c’era un cielo limpido che consentiva una sicura individuazione dell’obiettivo e di poter dare la documentazione. Dopo l’attacco,
non è detto che chi non è morto o ferito si salverà: comincia da subito a manifestarsi il discorso della degenerazione del fisico umano. La gente comincia a morire per orribili malattie causate dalle
radiazioni. Non basta la prima atomica per piegare il Giappone, il nove viene fissato il tutto su Nagasaki e allora i russi dichiarano guerra – volevano essere al tavolo dei vincitori con il Giappone.
Sarà pagato dal Giappone, perché tutte le successive cessioni saranno estorte dai russi al titolo di
vittoria. Truman nelle sue memorie non ritiene la sua decisione come la più drammatica; sa che la
più drammatica sarà nel giugno 1950, la guerra di Corea. Sarà convinto di aver scatenato probabilmente la Terza Guerra Mondiale, poi per fortuna la sua previsione si rivelò errata. Non lo furono le
atomiche perché il capo delle forze armate americane non avrebbe potuto giustificare ulteriori morti
americane avendo la possibilità di chiudere i conti. A Lipsia e a Dresda muoiono più persone che a
Hiroshima e Nagasaki. I russi hanno aperto il fuoco contro i giapponesi solo in Corea. A quel punto
gli Stati Uniti si trovano per poco monopolisti di questa capacità distruttiva.
Tre ipotesi sull’utilizzo:
1.
fingere che non sia successo niente, fare in modo che gli scienziati non operino da altre parti
e rinunciare a quello che è stato creato (non si è mai sentito che gli uomini creino qualcosa
di disastroso e vi rinuncino);
2.
internazionalizzazione del nucleare sotto il controllo di una seria agenzia internazionale.
Condividere le capacità nucleari ma con un’agenzia assolutamente sovrana. Viene messo a
punto il piano Baruch, che si arena tra il 1946 e il 1947 con i russi che non volevano essere
controllati da un’agenzia americana.
46
3.
si arriva nel 1947 Atomic Energy Act che sancisce che l’energia atomica se la tengono gli
americani e non la condividono con nessuno. Solo con Eisenhower, negli anni ’50 c’è una
parziale condivisione solo con il Regno Unito. Gli inglesi arrivano alla prima atomica da
soli solo nel 1952, nel 1949 c’erano arrivati i sovietici.
I russi fino alla metà degli anni cinquanta sono impotenti sotto il profilo dei vettori, per circa un
decennio gli Stati Uniti agiscono sotto un monopolio atomico per quanto riguarda anche i vettori.
La prima volta che i russi minacciano l’uso dell’arma nucleare sarà con la crisi di Suez, nel 1956.
Gli Stati Uniti sigillano la loro capacità atomica. Il problema di fondo che emerge subito è che
Usa e Urss sono mondi inconciliabili, gli americani si stufano di tenere a balia i russi. Truman non
ne poteva più dei russi, e non gli erano necessari. Le visioni della sicurezza sono totalmente contrastanti – l’Onu da una parte e la zona di influenza imperiale dall’altra. Si capisce da subito che il ruolo degli Stati Uniti nei paesi liberati dall’Armata Rossa sarà inesistente. È un modello che chiaramente non soddisfa la leadership americana. Nell’amministrazione Truman comincia a maturare
l’idea di una sostanziale rottura con gli ex alleati, salvo il Segretario di Stato Burns, che era un uomo di Roosevelt e fino alla primavera del 1946 cerca di dialogare dei sovietici. Truman è condizionato dai cattivi maestri dai quali è allevato, che sono ormai fondamentalmente degli antisovietici.
Truman nell’aprile 1945 sapeva pochissimo di politica estera, è stato condizionato dall’ex leadership di Roosevelt che passa dalla parte antisovietica.
17 05 2011
Gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale sposano la tesi che è meglio prevenire ulteriori
disastri europei piuttosto che contrastarli. Il dibattito interno porta alla conclusione che gli europei
hanno fatto disastri nella Prima Guerra Mondiale, anche peggiori nella Seconda Guerra . gli Stati
Uniti non possono più permettersi il lusso di non far loro da precettori. Se lasciati senza guida combinerebbero solo danni e continuerebbero a sbranarsi tra loro – si sono sbranati fino a perdere la loro credibilità. Il declino dell’Europa inizia con la Seconda Guerra Mondiale. È stato ben mascherato
con la ripresa ma lì ha avuto inizio. Se gli Stati Uniti non avessero assunto impegni preventivi,
avrebbero dovuto risbarcare in breve tempo in armi e in forze in Europa. È stato un impegno molto
costoso in termini di denaro e vite umane. Fra le due guerre mondiali più di mezzo milione di cittadini statunitensi è rimasto ucciso. Il senso della dottrina Truman è meglio prevenire che curare.
C’era bisogno di un pretesto, dato dagli inglesi: Grecia e Turchia erano travolte dal comunismo,
avrebbero dovuto pensarci loro. Il pretesto lo sfruttano con l’abilità di generalizzare l’occasione
47
specifica. Il 12 marzo 1947 Truman chiede al Senato milioni di dollari per Grecia e Turchia - usando la scusa che vanno aiutate perché erano oppresse da un autoritarismo ed era il loro dovere aiutarli. La legge lascia al presidente la possibilità di aiutare i paesi che ne facciano domanda a mantenere
la loro democrazia.
Il discorso di Truman non poteva essere votato contro – non potevano lasciare il mondo in preda
all’autoritarismo. Crea una legge con cui gli Stati Uniti si assumono responsabilità globali. È uno
dei tanti segnali di fine dell’Impero Britannico. Molto più rilevante della dottrina è la sua applicazione economica, il Piano Marshall. Tutti vorrebbero gli aiuti americani, ma di fatto li accetteranno
solo quelli che non saranno sotto controllo dell’Urss. La clausola è che dovranno esserci dei controlli di spesa, che i russi non sono disposti ad accettare. L’imposizione americana di una posizione
di controllo fa ritirare l’Urss e i paesi satelliti dal Piano Marshall. Quel piano spacca in due l’Europa e il mondo. Chi accetta il Piano diventa l’occidente, Usa-centrico, chi non può accettarlo diventa
l’oriente sovietico. John-Louis Ghaeddis usa parole forti: gli Stati Uniti si comprano un Impero,
l’Urss non avendone la possibilità impone un suo impero con la forza delle armi e dei servizi segreti. È ovvio che alla fine paga di più l’acquisto. È interesse del dipartimento di stato che si studino in
maniera seria le cose americane.
Con l’estate del 1947 inizia progressivamente l’era bipolare, con due centri diversificati di interesse. Il Piano Marshall, o European Recovery Program, potrebbe essere definito il braccio economico del Containment. Ci vuole anche un braccio militare, ovvero la Nato, l’Alleanza Atlantica. Per
questa serve addirittura una modifica costituzionale: la Costituzione vietava al presidente alleanze
in tempo di pace. Giugno 1948: si inserisce un disegno di modifica costituzionale, la cosiddetta risoluzione Vanderberg, modifica che consente agli Stati Uniti di creare o entrare in alleanze anche in
tempo di pace. La nuova modifica permette a Truman, che vince le elezioni del 1948, di avviare le
basi per un’alleanza strategica politico-militare. Nasce l’Alleanza Atlantica. Gli Stati Uniti sono
quindi a tacita guida della sicurezza dell’occidente. In ogni caso questa scelta statunitense ha tenuto
l’Europa lontana da una nuova guerra. L’idea statunitense di impegnarsi a fondo per la difesa e la
sicurezza dell’Europa occidentale ha evitato l’ennesima lunga ed estenuante guerra. Il Patto di Varsavia non è una reazione all’Alleanza, che non dava tanto fastidio ai Russi – non riteneva i membri
pericolosi – quello che non possono sopportare è l’Alleanza Atlantica del 1955, quando ci entra la
Repubblica Federale Tedesca, riarmata. L’Europa era congelata, rischi di guerra non ce ne sono
realmente stati. La scelta americana si rivela nel complesso una scelta impegnativa ma utile ai fini
della stabilità. Non tutti entrano nell’Alleanza Atlantica per timore dell’Urss, ognuno ha le sue buone ragioni. Non è da leggere esclusivamente in chiave antisovietica. Per l’Italia ad esempio l’impor48
tante era rientrare nella comunità internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale; per i francesi è
uno strumento di sicurezza contro la minaccia tedesca. Si rivelerà uno strumento vincente, e ancora
oggi l’unico strumento in grado di credibili operazioni in aree destabilizzate.
Truman dopo la guerra smantella una parte del New Deal, perché vuole sbarazzarsi degli uomini
di Roosevelt ancora in auge (la sua era un’eredità ingombrante), sono in pieno regime di produzione
ma si torna indietro: Truman sa che alcune aperture del New Deal non era piaciute a tutti. C’è un
regresso della legislazione sindacale: negli Stati Uniti non c’è una cultura di sostegno del sindacato.
Truman ha una serie di sviluppi che riducono di molto le potenzialità sindacali: lo fa sapendo di
giocare a favore della sua elezione del 1948. Lui ci tiene ad essere eletto nel 1948 – non era stato
eletto prima, era solo il vice di Roosevelt, e solo l’elezione può dargli la piena emancipazione da
Franklin Roosevelt. Si comporta di conseguenza anche nel maggio 1948 con il riconoscimento dello
Stato di Israele, una scelta che probabilmente gli è vincente. Al Dipartimento di Stato gli danno del
pazzo, perché si inimica tutto insieme l’intero mondo arabo. Truman se ne assume la responsabilità:
se avessero lasciato solo Israele anche per poco, sarebbe diventato una testa di ponte sovietica in
Medio Oriente. In Israele c’era una forte matrice comunista, c’erano molte persone fuggite dall’Urss che erano state plasmate in Urss. Una seconda considerazione era che inimicarsi l’elettorato
ebraico americano può non far bene alle elezioni, non è quantitativamente sviluppato ma qualitativamente sicuramente è importante. Molti dei mezzi di informazione sono strettamente legati all’elettorato ebraico.
Truman prima della fine del suo duplice mandato si troverà nel 1950 quella che nelle sue memorie definisce la prova più grave della sua esperienza presidenziale: non le atomiche, ma la guerra di
Corea. Non fu un atto dovuto, e lui era sicuro che avrebbe significato l’inizio della Terza Guerra
Mondiale. Le guerra di Corea fu una decisione forte: si tratta di avallo e non di scelta l’Onu. L’Onu
copre gli Stati Uniti. Il 25 giugno 1950 la Corea del Nord decide di risolvere il problema dell’unificazione nazionale e invade la Corea del Sud. La commissione Truman viene accusata di aver trascurato la Corea, di non averla inserita nei centri di interessi principali degli Stati Uniti nel Pacifico. La
Corea del Nord così ha pensato impunemente di unificare il paese a condizioni comuniste. Parlano
di una Monaco asiatica statunitense: si riferisce alla Conferenza di Monaco del 1938, quando si
svendono a Hitler i tedeschi dei Sudeti. È stata una sconfitta delle democrazie. L’atomica dell’Urss
dà forza al mondo comunista. Avevano due scelte, lasciare la Corea del Sud in mano al Nord o difendere gli interessi della democrazia occidentale, e questa fu la decisione americana. La risoluzione del 27 di giugno del Consiglio di Sicurezza copre con il manto Onu la decisione del consiglio
americano. La Russia non era presente.
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I russi lo sapevano che i nordcoreani avevano attaccato, eppure restano fuori dai lavori del Consiglio. Restando fuori dai lavori rendono possibile l’unanimità – ma solo con l’assenza fisica di uno
dei paesi, cosa che provocò un lungo dibattito successivo. La guerra di Corea resta un fenomeno
essenzialmente americano con un enorme sforzo dei sudcoreani. La presenza di tutti gli altri occidentali sarà a dir poco simbolica – una divisione di tutto il Commonwealth. la situazione si complica parecchio perché nell’ottobre 1950 dopo che il generale Mac Arthur ha cacciato i nordcoreani a
nord del 38° parallelo e ottiene autorizzazione di proseguire oltre, interviene la Repubblica Popolare
Cinese. Gli Stati Uniti riescono a far passare la risoluzione che sarà fatale a inglesi e francesi a Suez
nel 1956: la Cina comunista viene dichiarata aggressore. La guerra ha consenso interno. È una guerra impegnativa, ci sono centocinquantamila tra morti e feriti, ma si è convinti che la causa sia giusta. Non vi sono sindromi di disadattamento sociale, i reduci sono considerati degli eroi – non è uno
scossone sociale per gli Stati Uniti: mollare la Corea ai comunisti sarebbe stata una grande perdita.
Le modalità di gestione del conflitto sono particolari perché c’è uno scontro istituzionale tra il presidente e il comandante in campo: il comandante di teatro è il generale Douglas Mac Arthur i cui
soprannomi sono il viceré del Pacifico, o il proconsole del Pacifico. Dalla fine della Seconda Guerra a quando viene rimosso nel 1951 lui non è mai tornato negli Stati Uniti. È il capo degli Stati Uniti
nella zona del Pacifico. È un viscerale anticomunista. Assume il comando delle operazioni il 25
giugno del 1950. La prima fase del mandato la fa in maniera incontestabile. Organizza uno sbarco
vicino al 38° parallelo, taglia fuori la penisola coreana a livello del 38° parallelo isolando le forze
nordcoreane spezzandogli le linee dei rifornimenti e portandole a un’inevitabile resa. Sarebbe finita
la guerra, ma quando all’Onu autorizzano Mac Arthur a un consolidamento della Corea oltre il 38°
parallelo c’è l’intervento della Cina. Il proconsole del Pacifico a quel punto decide che vuole vincere quella guerra, eliminando i comunisti e distruggendo i cinesi nei loro centri vitali. Riferisce tutto
questo a Washington. Militarmente il discorso fila, ma politicamente porta un grande allarme negli
Stati Uniti e nei paesi alleati che vedono aria da Terza Guerra Mondiale. Mac Arthur voleva bombardamenti convenzionali e nucleari sui centri importanti dell’economia e della capacità bellica cinese. Difficile immaginare che l’Urss sarebbe rimasta a guardare senza fare nulla. È uno scontro
istituzionale, Truman richiama alla prudenza ma Mac Arthur vuole vincere la sua guerra. Per parlarsi i due si trovano in un’isoletta in mezzo al Pacifico, quando di norma dovrebbe essere il presidente
a convocare. L’opinione pubblica è con Mac Arthur. Viene rimosso nel febbraio 1951 su pressione
di tutti i paesi occidentali (togli quel pazzo, era la parola d’ordine). Quando torna a Washington ha
un’accoglienza simile a quella di Traiano che torna a Roma, come un imperatore che torna vittorioso da una guerra di conquista, come un trionfatore (l’uomo che voleva farci vincere contro i comu50
nisti). Era nel pieno del Maccartismo, la sindrome contro il comunismo era forte. C’era la sindrome
dei rifugi antiatomici, sindrome montante da Guerra Fredda e da scontro.
Durante la guerra di Corea gli Stati Uniti passano da trenta bombe atomiche disponibili nel giugno 1950 a oltre 300 nel 1953. Dopo la rimozione di Mac Arthur la guerra va avanti stiracchiata fino agli inizi del 1953, quando c’è il cambio di presidenza. Durante l’amministrazione Eisenhower
prende in mano la politica estera John Foster Dulles, e la guerra viene portata a conclusione. Il 27
luglio 1953, sul 38° parallelo si firma il cessate il fuoco. Non c’è un accordo tra le due Coree.
Usando la mediazione indiana di Nehru, la Cina viene minacciata di rappresaglie nucleari se non
sono disposti a chiudere le operazioni in Corea. La risposta è che pochi cinesi in meno non cambiano le idee. La guerra si trascina a lungo per la questione dei prigionieri, che non vogliono essere
rimpatriati, perché in una logica integralista comunista essersi fatti catturare vivi è sinonimo di vigliaccheria, e andava punita; inoltre se si è passati due anni in internamento a gestione capitalista
necessitavano di una bonifica mentale. Alla fine la Cina si rende conto che da quella guerra non c’è
più niente da guadagnare. Gli Stati Uniti riescono, con un enorme sforzo economico e militare, a far
capire al mondo comunista che un’aggressione non paga. Non ci sono risultati positivi, solo il ritorno allo status quo.
Eisenhower diventa presidente con una campagna cooptata dal partito repubblicano. È stato uno
dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale, un uomo molto equilibrato, molto più prudente a giocare con la guerra. Per vincere la campagna doveva sostenere di voler rimediare alla Monaco asiatica. Nella campagna del 1952 la politica estera e di difesa ha una grande importanza. Vengono enunciate delle definizioni, si comincia a parlare di new look della politica internazionale, vedere la politica in maniera più forte e reattiva; viene introdotto il concetto di roll-back: se Truman aveva inventato il containment, con il passaggio si dice che gli Usa si preparino al roll-back, ovvero “rotolare
indietro”. Assumere posizioni anche offensive nei confronti della minaccia sovietica. In realtà la
politica degli Stati Uniti è molto prudente durante l’epoca Eisenhower, questi erano soltanto slogan.
Nessun amministrazione americana fu più prudente nel Medio Oriente. Ci sono dei segnali di rafforzamento – ma non si può dire che la politica americana diventi aggressiva, al di là di quelli che
sono veri e propri slogan.
A cavallo tra le presidenze Truman e Eisenhower nasce il Maccartismo, dal nome del senatore
dell’Arkansas McCarthy. Fu un fenomeno degenerativo della macchina democratica americana, né
da sottovalutare né da esasperare. Fu la punta dell’iceberg di qualcosa di più strutturato e di precedentemente esistente, l’esasperazione di un’istituzione pubblica, la Commissione per le Attività Antiamericane che va avanti già dalla seconda metà degli anni ’30. È una brutta agenzia, perché queste
51
cose richiamano inevitabilmente abusi, repressione della libertà di pensiero e rifiuto della diversità,
in tutte le sue possibili accezioni. Fu molto soft, rispetto all’Ovra (opera volontari per la repressione
dell’antifascismo), un fiore all’occhiello del regime fascista. Gli Stati Uniti erano una democrazia,
ma trascinati dal disastro del periodo, anche un paese piuttosto aperto a chi era diverso cade nella
trappola della repressione ideologica. È una commissione parlamentare che ha il compito di prendere in esame comportamenti che siano di danno all’interesse degli Stati Uniti. Non emette sentenze,
non può incarcerare – non ha potere giuridico, ma emettendo delle valutazione di carattere politico
e ideologico può fare dei danni enormi a chi sia soggetto a tale giudizio. Le conseguenze sono indirette: se la commissione dichiara che un docente, ad esempio, indottrina gli studenti con delle idee
sbagliate per il futuro degli Stati Uniti, quel docente in un sistema aperto e spiccio come gli Stati
Uniti perde immediatamente il posto. Il sindacato ideologico diventa una forma di soppressione delle libertà fondamentali dell’individuo. La commissione opera in maniera discreta, senza eccessi, dal
1937, quando è creata, fino alla fine degli anni ’40, inizio anni ’50. Il problema è che uno strumento
così delicato, finendo nelle mani di uno squilibrato, assume dei poteri devastanti. Inizia l’epoca
chiamata di caccia alle streghe. L’uomo invasato, non si sa se in buona fede o in cerca di protagonismo, ritiene che la minaccia essenzialmente comunista si celi un po’ ovunque. Per gli Stati Uniti
non è solo il comunismo una possibile minaccia, perché l’ideologia anarchica poteva essere anche
peggio. Il comunismo perlomeno è solidamente organizzato.
Fu un fenomeno ossessivo: vennero stilate delle vere e proprie liste di proscrizione in cui rientrano numeri impressionanti di soggetti soprattutto del settore dell’insegnamento (che forgia le
menti), non tanto universitario (che insegna ad adulti) ma le fasce di insegnamento primarie e secondarie; lì è una persecuzione. Facevano capire che ritenevano di credere una persona comunista,
ma se questa era disposta a fare dei nomi di persone che riteneva comuniste poteva essere premiata.
Ci furono storie di suicidi, e sempre crescenti le persone colpite: settori dell’istruzione e del mondo
mediatico, che informa le persone. Se sono comunisti, anarchici o traditori della patria possono trasmettere messaggi negativi. Attacca Hollywood, e se i divi non ci badano, c’è un intero settore del
cinema che viene pesantemente attaccato. Il potere sostanzialmente chiude un occhio: nessuno va in
galera, ma rovina la vita a molte persone. La sua fine è che nel 1953, quando è un fenomeno ossessivo, tira giù una lista di duecento nomi in cui ci sono tutti i vertici delle forze armate degli Stati
Uniti che sarebbero spie sovietiche. In quel momento ha chiuso, e viene rimosso, e con lui viene
chiusa anche la commissione. Nel giro di un paio d’anni muore alcolizzato e solo. Probabilmente
aveva qualche problema a livello psicologico – un problema di paranoia.
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Non vi può essere morale al di fuori di una logica religiosa. Sulle banconote c’è stampato in God
we trust. In questi anni di forte moralismo attecchisce il maccartismo. La punta di diamante è considerata il processo Rosenberg, anche se il senatore e la commissione non hanno nessun ruolo attivo. È l’esatta incarnazione dello spirito del periodo. Due signori, marito e moglie, sono ebrei di origine tedesca, medio-bassi funzionari del Pentagono, lavorando al Ministero della Difesa. Vengono
sospettati, indagati, viene scoperta una loro intelligenza con i Servizi Sovietici – che esiste, non
erano due innocenti. Passavano qualche informazione ai servizi sovietici. Le informazioni che riuscivano a passare erano commisurate alla modestia del loro incarico – pettegolezzi. Era un clima
di assoluto sospetto, in cui tutto poteva essere utile, erano spionaggio di basso profilo. Quello spionaggio viene gonfiato nel corso del processo in maniera apocalittica fino a imputare ai Rosenberg il
successo dell’atomica dei russi nel 1949. Tragicamente, essendo considerati colpevoli di alto tradimento su argomenti vitali di interesse nazionale, finiscono sulla sedia elettrica. Processo del tutto
fondato su un clima isterico che regnava negli Stati Uniti.
Altra importante innovazione interna: viene rovesciata dalla Corte Suprema la più che radicata
regola equal but separate. L’equal era una presa in giro, era una scuola di bassissimo livello per gli
afroamericani mentre la scuola vera era per i bianchi – violazione delle pari opportunità. La Corte
Suprema decide per un’abolizione della separazione. Passare dalla teoria all’applicazione delle
scuole è a dir poco complicato, ci sono resistenze di ogni tipo. C’è il caso limite di Little Rock, nel
quale è necessario l’utilizzo delle forze armate per garantire lezioni nella locale high school perché
si erano iscritti in maniera a dir poco insolente i ragazzi di colore. Non veniva accettato. L’episodio
di Little Rock è del 1957. Un importantissimo completamento della questione della parificazione
scolastica sarà portato avanti dalle due amministrazioni democratiche di Kennedy e Johnson.
Un episodio importante della storia internazionale è la crisi di Suez: è un nuovo passo della teoria del containment, ma in realtà è un regresso che prende il nome di sottodottrina Eisenhower. 5
gennaio 1957, Middle East Resolution: risposta americana, goffa e maldestra, alla crisi di Suez. erano convinti che l’Urss stesse per impossessarsi del Medio Oriente, senza capire che non poteva perché il Medio Oriente è totalmente islamico, e non concilia affatto con marxismo e leninismo. L’Urss
non avrà mai un ruolo dominante in questa zona. La reazione peggiora la dottrina del containment
perché parzializza l’impegno americano. La dottrina Eisenhower riguarda solo i paesi del Medio
Oriente minacciati dal comunismo, che non è la minaccia dell’area. L’unico risultato della dottrina è
mandare su tutte le furie Israele, che non era tutelata essendo minacciata da molte cose ma non da
comunismo. Lavora bene la lobby israeliana negli Stati Uniti, e già in marzo il senatore Mansfield
propone e fa approvare al senato un emendamento alla Middle East Resolution che cancella il co53
munismo e lo cambia con ideologia autoritaria non democratica – ritorno alla dottrina Truman. Anche quando i marines sbarcano in Libano nel 1958, c’è un rischio egiziano e non comunista, ma lo
stesso senatore Mansfield dirà che l’intervento non c’entra nulla con il suo emendamento. Non si
capisce il rischio d’area, non capiscono lo scenario del momento. È una politica mediorientale alquanto discutibile.
24 05 2011
L’indurimento è più da campagna elettorale e dal segretario di stato, John Foster Dulles, uno dei
più famosi. Diventa un simbolo, è definito dai suoi contemporanei il mastino della Guerra Fredda.
Simultaneamente a lui è direttore della Cia il fratello Allen. Tutto sommato la colomba è il fratello
della Cia. John Foster è il simbolo della lotta contro il comunismo – si ritira, malato, nel 1958. caratterizza il periodo 1953-1958, periodo più significativo della Guerra Fredda, dove arriva al suo
effetto stabilizzante, quello di creare il mondo bipolare. È segretario di stato in un momento particolarmente simbolico. Eisenhower comincia a imporre le pari opportunità nelle scuole, tentando di
risolvere la discriminazione razziale, e alla fine della presidenza considerato che era stata introdotta
una piccola modifica alla prassi costituzionale per cui il presidente non poteva svolgere più di due
mandati consecutivi. Alle elezioni del 1960 si contrappongono John Fitzgerald Kennedy da una parte e Richard Nixon dall’altra, due personaggi significativi. Ci sono stereotipi di Kennedy visto come
un santo, e Nixon come una sorta di mostro. Il presidente buono Kennedy ha molti problemi, Nixon, quello cattivo, è stato un buon presidente degli Stati Uniti. Kennedy era giovane, affascinante,
parla bene e muore male: l’assassinio ne fa una sorta di martire e vittima. Sono tre anni brevi ma
significativi quelli della presidenza Kennedy, che lottò in modo particolare per diventare presidente.
Aveva un paio di caratteristiche non andavano molto bene: apparteneva ad una grande famiglia ricca degli Stati Uniti (non si ama che gli uomini più ricchi del paese entrino in politica); la famiglia
Kennedy era una delle più influenti degli Stati Uniti, in odore di rapporti con organizzazioni parallele rispetto allo stato (mafia) quando si trattava di fare soldi. La seconda caratteristica era che è dichiaratamente cattolico, non ben visto negli Stati Uniti. Il presidente non può avere nessun legame
con confessioni religiose in quanto presidente degli Stati Uniti, e la Chiesa cattolica è l’unica che ha
una struttura temporale, è anche uno stato. Gli americani temono di subire troppo le ingerenze della
Chiesa di Roma. Kennedy però ottiene un consenso sufficiente per sbarazzarsi del rivale Nixon:
molto fu dovuto alla diversa percezione dei due candidati. Nixon era antipatico e realista, Kennedy
era giovane e sognatore. Kennedy va alla Casa Bianca nel gennaio 1961, e si ritrova un problema
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come la questione cubana. A Cuba è andato al potere Castro, al quale i grandi fruttaioli americani
avevano chiuso la porta in faccia. Si butta sui sovietici, che gradivano avere un alleato a novanta
miglia dagli Stati Uniti. è già stata decisa e pianificata quella schifezza di operazione che è lo sbarco
dei profughi alla Baia dei Porci. Era uno sbarco di poche centinaia di uomini senza nessuna copertura, ragion per cui l’operazione non ha funzionato. La crisi cubana sarà forse l’apogeo dello splendore di Kennedy, è lì che si fa la reputazione di essere l’uomo che ha preservato il mondo dall’olocausto nucleare.
Un altro scenario estremamente tormentato è l’Europa. I sovietici nel 1961 erigono il muro, stufi
dell’emigrazione di gente da est a ovest. Cuba è una scusa per l’Europa. kennedy ne approfitta per
fare un discorso in cui dichiara di sentirsi berlinese e di essere offeso dalla decisione dell’Urss di
ergere il muro.
In Europa gli Stati Uniti avevano un papporto perfetto, la cosiddetta special relationship con il
Regno Unito, mentre aveva più problemi per quanto riguarda i rapporti con la Francia. De Gaulle
non si fidava affatto di Kennedy. L'idea di Kennedy è che le relazioni vadano rafforzate. L'intesa
strategica e nucleare doveva andare a difesa dell'Europa. Voleva usare la Gran Bretagna come cavallo di troia americano nella comunità europea. De Gaulle non è scemo e se ne accorge. Voleva far
entrare la Gran Bretagna nella CEE per controllare l’arsenale nucleare in Europa, impedire che ne
sviluppasse uno proprio. Alla fine di una conferenza Usa-Gran Bretagna questa rinuncia ai missili
strategici e c'è una fusione tra gli arsenali militari inglese e americano, Rinuncia a fare da sé. L'utilizzo del proprio arsenale avverrà solo di concerto con gli Stati Uniti. De Gaulle dichiarerà che finché sarà presidente lui gli inglesi nella CEE non ci entrano, e firma con la Germania il trattato dell'Eliseo - che alla fine avrà valore puramente simbolico.
Un altro terreno nel quale Kennedy si muove attivamente è quello dei diritti umani, vengono
emanate modifiche legislative per un miglioramento della convivenza razziale a livello scolastico e
in generale. Con Johnson vengono ultimati i procedimenti legislativi per la parificazione razziale.
Chi vede il complotto dice che sono state queste idee a portare all’assassinio di Kennedy. Trovò il
modo di essere odiato da due tipi di cubani: dai profughi traditi, dalle famiglie di quelli mandati a
morire alla baia dei porci, e dal castristi.
1962: aerei spia americani fotografano la preparazione di siti missilistici sull’isola. Esiste un
rapporto di reciproca assistenza militare URSS-Cuba, l’amministrazione si trova a dover prendere
delle decisioni che diventano cogenti quando un convoglio di navi parte dal Mar Baltico e si dirige
apparentemente verso Cuba - fenomeno di ostentazione.
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Chi ha voluto vedere a Cuba un rischio di Terza Guerra esagera: i russi vogliono vedere se riescono mettendo e fingendo di mettere i missili a Cuba (i russi non si fidavano granché di Castro per
le armi nucleari) ad avere uno straordinario strumento di pressione sugli Stati Uniti per Berlino.
Le cose non vanno così perché Kennedy fa il blocco navale di Cuba e aspetta eventualmente che
siano gli altri a forzare. I russi chiaramente non vogliono prendersi la responsabilità di una guerra.
le conseguenze sono la rinuncia sovietica su Cuba, il rispetto dell’assetto di Cuba da parte degli Stati Uniti, e gli americani scambiano i missili non installati ritirando i missili in Turchia contro
l’Unione Sovietica. Informano gli alleati di questa decisione, ma non li consultano. Questa crisi lancia l’immagine di Kennedy come il salvatore del mondo. Dall’altro lato però aveva Krusev che
nemmeno ci pensava a far precipitare gli eventi: fu un gioco politico.
Il mito di Kennedy è per la maggior parte legato alla sua tragica scomparsa, e lo ha redento dal
fatto di essere un personaggio abbastanza turbolento. Esistono delle sindromi dell’immaginario collettivo degli Stati Uniti, che hanno portato interesse, disagio, emozione, angoscia. L’assassinio di
Kennedy è una di queste sindromi, né digerite né metabolizzate. È una vicenda che lascia l’amaro in
bocca perché è apparentemente troppo banale, ma se usiamo una spiegazione diversa si tratta di dietrologia, di ipotesi senza fondamento. L’ipotesi ufficiale è quella a cui sono arrivate decine e decine
di diverse commissioni di indagine: è qualcosa di banale, qualcosa a cui è difficile associare l’assassinio dell’uomo più potente del mondo. La verità è che uno sbandato, Lee Harvey Oswald, che aveva prestato servizio nel corpo dei Marines, congedato con disonore, decide che quando il presidente
sarebbe venuto in visita a Dallas l’avrebbe ucciso. Ha comprato un vecchio fucile per venti dollari
sul catalogo della Coca Cola (da allora hanno vietato la vendita di armi per corrispondenza) e avendo una capacità di base uccide il presidente degli Stati Uniti. Eventi strani circondano la cosa, perché viene ucciso da Jack Ruby. Due anni fa, al polo di Terni, dove sono custodite armi smesse, si
sono svolti di nuovo test con dei fucili dello stesso tipo per rivedere la compatibilità dell’azione di
fuoco con quello che è avvenuto a Dallas. Il dubbio è sulla velocità su cui sono stati esplosi i colpi.
Rimane al di là delle minuziose ricostruzioni, il dubbio se sia possibile che l’uomo più potente del
mondo sia morto in maniera così stupida. Da qui l’ipotesi del complotto, da cui però nulla è emerso.
GUERRA DEL VIETNAM
Una delle grandi azioni sconvolgenti per l’immaginario statunitense. In sé è stata un conflitto
pesante, ma non più pesante di altri conflitti. Cinquantottomila morti non sono il più pesante fardello per il paese. È stata la prima è l’ultima guerra che ha diviso il paese, è avvenuta senza consenso
interno, è odiata, vede l’umiliazione e l’emarginazione dei suoi reduci. Un reduce dello sbarco in
Normandia è un eroe, uno che si è fatto un anno di servizio obbligatorio in Vietnam è disprezzato.
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Non è sentita come loro dagli americani, è una guerra nella quale l’opposizione violenta ai superiori
diventa talmente di regola che si conia un nuovo verbo americano, to frag, da cui fragging, che significa fare fuori il proprio superiore. Persino la prima guerra mondiale che ha creato il mito della
ribellione di interi reparti non è stata la stessa cosa, furono casi particolari, non comuni. In Vietnam
un sottufficiale prima deve guardarsi le spalle e poi davanti. A rendere l’iniziativa particolare è il
fatto che è il primo conflitto a livello mondiale pesantemente mediatico, e questo sconvolge le opinioni pubbliche. Nessuno aveva mai visto la guerra in diretta prima. Nella guerra in Vietnam ci sono
i reporter in prima linea che documentano le atrocità della guerra, con il napalm, l’ufficiale sudvietnamita che genericamente uccide a freddo i prigionieri vietcong - immagini che scioccano l’opinione pubblica. Gli Stati Uniti si impiantano in Vietnam.
1954: la Francia viene clamorosamente travolta in Indocina, e l'America teme una bolscevizzazione dell’area.
Agosto 1954: la conferenza di Ginevra è una sorta di passaggio di consegne dalla Francia ormai
fuori gioco agli Stati Uniti come garanti della pace del Sud Est asiatico. Da Kennedy in poi ci sarà
una graduale escalation dell’impegno americano. Un paese diviso sul diciannovesimo parallelo, in
una parte settentrionale è dominata dai comunisti e una parte meridionale fedele all’occidente, ma il
governo è filo americano ma è anche inviso alla popolazione locale, favorendo la penetrazione comunista dal nord. La sua politica è nepotista, e la famiglia si dichiara cattolica - in un paese maggiormente buddista. Senza l’impegno americano il sud darà in tempi brevi catturato e reso comunista dal nord. Attecchisce l’idea comunista, anche perché c’è una politica di sostegno da parte della
Cina. Durante le presidenze Eisenhower l’impegno americano rimane limitato a forniture di beni
materiali al regime di Saigon e progressivamente l’invio di istruttori militari, figura ambigua perché
se sono trenta o cento sono istruttori, ma con Kennedy si parla già di cinquemila istruttori.
Nel corso del 1963 il vicepresidente Johnson (che si becca il merito di essere il responsabile vero
della guerra) viene mandato in Vietnam da Kennedy a studiare la situazione, e al suo ritorno porta a
una decisa presa di posizione americana nel senso di un coinvolgimento. Fa sua la teoria del domino
per cui il lasciare una piena affermazione del comunismo nel sud est asiatico avrebbe trascinato
immediatamente al comunismo anche i paesi circostanti. Il verdetto è quindi un maggiore impegno.
Ngo Dinh Diem viene indicato come uno dei cattivi compagni di strada degli Stati Uniti. Muore
tre settimane prima di Kennedy, ucciso il 1 novembre 1963.
Comincia l’escalation statunitense. Nel 1968, l’anno più duro della guerra del Vietnam - che coincide anche con il sessantotto - arrivano ad avere schierati 550mila uomini, numeri che neanche
vagamente saranno sfiorati nei più recenti impegni americani.
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Perché l’odio per questa guerra? Ne sono fumose negli Stati Uniti e nel mondo le ragioni. Il clima originario di entusiasmo e ossessione della Guerra Fredda, e la maggior parte degli americani
ritengono stupido rischiare soldi e vite a diecimila miglia dal territorio per un motivo così poco
chiaro. Il comunismo del Vietnam non ha ripercussioni dirette sulla sicurezza degli Stati Uniti, le
ragioni sono nebulose, non se ne sente la missione. Nel 1944 c’era da salvare gli europei dalla barbarie nazista, in Corea si stavano definendo i due schieramenti, in Vietnam il problema non si vede non è un problema così grave se il Vietnam diventa comunista. Il governo pensa una cosa, la popolazione un’altra. Viene introdotta la leva, e questo è grave: c’era già nella Seconda Guerra Mondiale, ma la causa era giusta. In questo caso non c’è la stessa percezione. C’è un rifiuto intrinseco della
guerra aggravato da cosa hanno rappresentato gli anni sessanta e in particolare il sessantotto: anni
della rivolta, delle ribellioni nei confronti dello stato. Sono momenti di grande fermento, come i
mega raduni (Woodstock): è la messa in discussione del potere dell’autorità costituita. In un clima
di rifiuto dell’autorità arrivano le cartoline precetto per partire per il Vietnam. Sul Vietnam sono state lanciate più bombe che su tutti i teatri dei sei anni della seconda guerra mondiale: i mezzi erano
più evoluti. In più, ci si mise anche un’evidente errore nella conduzione delle operazioni perché
ogni corpo degli Stati Uniti voleva avere la sua fettina di gloria, e si verificarono sovrapposizioni di
forze a livello tattico e strategico. Agiscono più in competizione che in sintonia, e questo chiaramente non facilita l’andamento delle operazioni. Ci fu anche un’inchiesta sulla conduzione delle
operazioni, e poi vi fu lo straordinario effetto della propaganda dell’immagine. Dal Vietnam si capisce che le guerre si vincono o si perdono a livello mediatico. Gli americani non perdono sui campi
di battaglia del Vietnam. Si arriva al caso della primavera del 1968, in cui l’offensiva del Tet è un
successo militare degli Stati Uniti ma una clamorosa sconfitta mediatica perché presentata al mondo
come una serie di atrocità. C’è l’episodio del villaggio di My Lai, del quale viene reso pubblico il
massacro della popolazione civile da parte di una compagnia.
1968: Lyndon Johnson ha vinto le elezioni del 1964 (non una vera competizione elettorale, è
quasi bon-ton che al vice che ha fatto solo un anno gli viene confermato il mandato); potrebbe ricandidarsi nel 1968 ma non lo fa, ed emerge nuovamente lo sconfitto da Kennedy nel ’60 ed emerge
Richard Nixon, con la exit strategy. La sua strategia è la vietnamizzazione del conflitto: vuol dire
che tale è l’entità dello sforzo implicato che nei paesi circostanti (Laos e Cambogia) si sono create
le basi di sostegno della guerriglia antiamericana, e gli americani ormai da tempo operano anche il
Laos e Cambogia. Vogliono riportare a una questione interna il conflitto vietnamita. Si vuole isolare
fisicamente il Vietnam dai dintorni, segnale del disimpegno progressivo americano. Si avviano lunghi e difficili negoziati a Parigi tra americani, sudvietnamiti e la leadership nordvietnamita: difficili,
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perché i comunisti pretendono qualcosa di simile a una ritirata senza condizioni, che gli americani
non si possono permettere. Nel 1973 si arriva all’accordo di una ritirata americana ma dopo un anno. Si tratta effettivamente di una fuga, alla metà degli anni settanta i comunisti prendono il controllo dell’intero paese. Gli americani perdono la guerra del Vietnam.
La guerra del Vietnam è l’esempio di come vincendo sul campo si perde una guerra. È una sindrome non superata, si crea una classe di reduci che sono disadattati. Hanno perso gli stessi uomini
che in Corea, ma quella è stata una guerra che ha lasciato indenne la società americana, il Vietnam
fa un disastro a livello sociopolitico. L’unico effetto positivo è la definitiva eliminazione di barriere
per le persone di colore anche nelle forze armate, e i neri possono cominciare a far carriera. È un
periodo di molti morti e assassini, come Robert Kennedy, fratello di John. Robert era uno di punta
per la promozione dei diritto sociali e civili. Tutto questo avviene in maniera pesante e sofferta.
Con Nixon non è più la stagione dei grandi avanzamenti sociali, ma rimane un grande presidente. Nel 1971 ha il coraggio di abbandonare la parità aurea del dollaro (era uno straordinario segnale
di potere) perché portava a una devastante sopravvalutazione del cambio, rendendo invendibili le
merci americane. Fa la pace con la Cina, dopo che dal 1949 si erano interrotte le relazioni diplomatiche. Grazie al lungo lavoro di Kissinger vengono ristabilite le relazioni con Pechino - significa
sostituire l’amico rappresentante in Taiwan nel Consiglio di Sicurezza con la Repubblica Popolare
Cinese. Diplomazia della navetta di Kissinger, tra Stati Uniti e mondo arabo, che porta nel 1978 al
reciproco riconoscimento tra Israele ed Egitto; si arriva agli accordi di Camp David (che costano la
vita a Sadat). Ci sono tentativi di dialogo con la CEE, che finiscono male perché la CEE non è in
grado di instaurare un dialogo.
Nixon regge male il rapporto di bilanciamento e controllo dei poteri interni, cerca di rafforzare il
potere presidenziale, per potersi muovere senza controllo delle altre istituzioni. Si merita in un certo
senso la definizione di presidenza imperiale, che non gli porta le simpatie degli altri ambienti. Nixon naufraga con la vicenda Watergate, durante il suo secondo mandato e dopo gli accordi Salt 1. Si
scopre che alla Convention nel Watergate hotel dei democratici è attivo un sistema di spionaggio
forniti da organismi di intelligence governativi. È ovvio che l’apparato di intelligence dello Stato
non può essere impiegato per raccogliere dati sull’opposizione politica. Il suo destino è segnato, e a
fronte di quella che emerge come ipotesi teorica di impeachment, Nixon si dimette e assume la presidenza il suo vice, Ford - che è una figura molto poco significativa della scena politica statunitense
che non viene nemmeno presa in considerazione la sua rielezione alle elezioni del 1976.
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