il futuro delle telestreet: sviluppo o decadenza?

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il futuro delle telestreet: sviluppo o decadenza?
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
Corso di laurea in SOCIOLOGIA
Elaborato in Teoria e tecniche delle comunicazioni di massa
IL FUTURO DELLE TELESTREET:
SVILUPPO O DECADENZA?
Candidato
Relatore
Chiar.mo Prof.
Davide Amadei
Egeria Di Nallo
Sessione III
Anno Accademico 2005/2006
1
Indice
–
Introduzione
p. 2
PARTE I
1. Le basi della comunicazione
1.1 Il linguaggio
1.2 La comunicazione
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5
2. Mass media e cultura di massa
2.1 Dalla parola all'immagine: recente evoluzione della
comunicazione di massa
2.1.1 La stampa, la radio, il cinema
2.1.2 La televisione
2.1.3 Internet
2.2 La nascita della cultura di massa
2.3 Dal controllo dei mass media tramite il potere alla
conquista del potere tramite i mass media
2.4 Legislazione italiana in materia radiotelevisiva
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9
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14
16
19
PARTE II
3. Le “telestreet”
3.1 Origine delle tv di strada: le tv comunitarie
3.2 L'esperienza italiana delle tv di strada
3.3 Orfeo Tv
3.3.1 Intervista a Giancarlo “Ambrogio” Vitali
3.3.2 Intervista a Ciro D'Aniello
3.3.3 Spunti di riflessione
3.4 Isola Tv
3.4.1 Intervista a Fausto Trucillo
3.4.2 Spunti di riflessione
3.5 Altri esempi di telestreet
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27
28
32
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37
38
41
42
4. Quale futuro per le tv di strada?
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–
Appendice
57
–
Note
60
–
Altri riferimenti bibliografici
62
2
INTRODUZIONE
Coloro che possono farti credere assurdità,
possono farti commettere atrocità.
Voltaire
Nell’ultimo decennio il mondo dei media è cambiato, così come è cambiato il
modo in cui i soggetti hanno interpretato la comunicazione maturando
differenti modalità di confronto con la realtà. Per chi nutre una forte passione
verso le cosiddette forme di comunicazione “alternative” (forse definibili con
meno enfasi “accessibili” a chi non possiede notevoli capacità economiche), lo
sviluppo del digitale ha concesso la sperimentazione di soluzioni sempre più
innovative. La ripresa, il montaggio audio-video e la divulgazione del prodotto
finito è divenuto quotidianità per un numero crescente di appassionati della
comunicazione, grazie soprattutto al costo sempre minore unito alle
accresciute potenzialità dei software disponibili. La visione soggettiva della
società è prepotentemente fuoriuscita dall'individuo per riversarsi nella marea
comunicativa globale.
L'adattamento delle tecnologie alla vita quotidiana ha prodotto anche “effetti
collaterali” inattesi derivanti sovente dall'unione delle potenzialità di ogni
singolo strumento e talvolta sconfinati nell'illegalità. L'esempio principale può
essere individuato nello scambio di materiale audio (mp3) tutelato dal diritto
d'autore, ma accanto a questo vi sono stati fenomeni meno noti ma comunque
diffusisi nella società come le tv di strada. Non appare casuale che un
fenomeno come le telestreet, pur affacciatosi in Italia in tono minore già in un
recente passato, sia cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, a fronte
dello sviluppo di strumenti comunicativi e tecnologici non paragonabili a
quelli disponibili solo all'inizio dello scorso decennio.
Tuttavia, a soli quattro anni dalla nascita di un reale movimento delle tv di
strada sul territorio italiano, viene da chiedersi che ruolo esse ricoprano oggi
nel processo di “liberazione” della visione soggettiva della società. In
particolare, possono le telestreet essere individuate come elemento inseribile
in un determinato periodo storico oramai “sorpassato” nel vorticoso sviluppo
delle forme accessibili di comunicazione, oppure hanno in sé la potenzialità di
emergere come ulteriore forma comunicativa affiancata alle più moderne
tecnologie digitali (magari come terminale naturale della fase di divulgazione
delle produzioni private)?
In corso d'opera si cercherà la risposta a tale quesito, sottoponendo il
fenomeno telestreet a un'analisi che non riguardi solamente gli aspetti
ideologici e “celebrativi”, spesso percorsi da chi descrive queste realtà ma
fortemente limitanti. A fianco dell'illustrazione della situazione attuale delle
3
telecomunicazioni in Italia, sia dal punto di vista normativo che del sostanziale
effetto mediatico venutosi a strutturare, saranno inserite le opinioni qualificate
di alcuni esponenti di rilievo del movimento delle telestreet. Le loro
testimonianze sul percorso intrapreso dal 2002 a oggi dai volontari delle tv di
strada, unite a considerazioni sul futuro delle telestreet e sulle strategie (non
solo comunicative) da elaborare, ci permetteranno di cogliere con maggiore
profondità le ragioni di una sorta di “crisi d'identità” che sembra interessare
attualmente tale realtà mediatica.
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PARTE I
Capitolo Primo
LE BASI DELLA COMUNICAZIONE
1.1 Il linguaggio
Il linguaggio viene indicato come attributo essenzialmente umano. Tutti gli
animali comunicano (anche in modi per noi impossibili, come gli ultrasuoni),
ma solo il linguaggio umano può riferirsi a eventi lontani nello spazio e nel
tempo, può generare e comprendere espressioni che non erano state utilizzate
in precedenza, può combinare nel suo vocabolario -in maniera sempre diversaun numero di suoni distinti.
E’ certamente noto il fatto che una delle più profonde diversità tra l’uomo e gli
animali risiede nella struttura e nel funzionamento del cervello. Lo sviluppo di
aree cerebrali, specializzatesi per rispondere a definite funzioni di
elaborazione della informazione, ha prodotto un sistema cerebrale complesso.
Si è compreso che il cervello umano è costruito come un complesso sistema
modulare, dove funzioni diverse, come la capacità di scrivere e di espressione
fonetica, vengono codificate da differenti insiemi di integrazione di strutture
cerebrali specifiche, che possono essere più o meno sviluppate sia per dote
genetica che per esercizio ed apprendimento nei vari individui1.
Le specializzazioni delle aree che agiscono sul riconoscimento e la
verbalizzazione della risposta sono normalmente lateralizzate nell’emisfero
sinistro, mentre non si denota alcuna corrispondenza simmetrica nell’emisfero
destro di tali aree funzionali. Da questi dati si ritiene che l’emisfero sinistro sia
più abile nella capacità di sviluppare strategie di ricerca cognitiva definendo
relazioni logiche capaci di utilizzare la memoria al fine di anticipare una
risposta mediata dalle conoscenze acquisite2.
Nell'uomo la comunicazione linguistica è anzitutto verbale (il suono viene
emesso e percepito: canale fonetico-acustico), ma si utilizza anche il canale
grafico-visivo (i ciechi usano il metodo Braille mentre i sordomuti usano il
linguaggio mimico-gestuale). Il linguaggio ha un prevalente valore di stimolo
e di risposta. Il parlare è una risposta verbale a una stimolazione.
A motivo della capacità simbolica (astrattiva) del linguaggio, l'uomo è in
grado di padroneggiare una quantità enorme di informazioni con un dispendio
minimo di energia, cioè con un rendimento molto elevato.
La presenza di una naturale predisposizione al linguaggio (il corpo umano è
5
geneticamente predisposto alla comunicazione verbale) è premessa necessaria
ma non sufficiente a farlo maturare. La predisposizione dev'essere attivata
entro un contesto di comunicazione umana e verbale, altrimenti non si
manifesta.
1.2 La comunicazione
Sin dai tempi più primitivi il modo di comunicare è stato gestuale e verbale. Se
è esistito un modo di comunicare solo gestuale, non lo si conosce, né si è in
grado di descrivere il passaggio dalla comunicazione gestuale a quella orale.
Peraltro se l'uso della parola fosse stato consequenziale a quello del gesto, noi
oggi parleremmo soltanto.
Il concetto di comunicazione comporta la presenza di un'interazione tra
soggetti diversi: si tratta in altri termini di una attività che presuppone un certo
grado di cooperazione. Nel processo comunicativo che vede coinvolti gli
esseri umani ci troviamo in definitiva di fronte a due polarità: da un lato la
comunicazione come atto di pura cooperazione, in cui due o più individui
"costruiscono insieme" una realtà e una verità condivisa; dall'altro la pura e
semplice trasmissione, unidirezionale, senza possibilità di replica. Il concetto
di feedback, o retroazione, ha un ruolo fondamentale anche nei processi
comunicativi. Possiamo individuare nella qualità della retroazione, e nel modo
in cui il feedback viene valorizzato nel processo comunicativo nel suo
complesso, un segnale per una buona comunicazione3.
Generalmente si distinguono diversi elementi che concorrono a realizzare un
singolo atto comunicativo: il mittente (la fonte delle informazioni effettua la
codifica di queste ultime in un messaggio), il destinatario (accoglie il
messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende), il codice (parola
parlata o scritta, immagine, tono impiegata per "formare" il messaggio), il
canale (il mezzo di propagazione fisica del codice), il contesto (l'"ambiente"
significativo all'interno del quale si situa l'atto comunicativo), il messaggio
(l'oggetto della comunicazione)4.
Il funzionamento di un processo di comunicazione dipende quindi dai processi
di codifica e decodifica. Dopo la codifica, che avviene alla fonte, il messaggio
viene trasmesso (come significante che rimanda ad un significato, quindi
appunto sulla base di un codice), e quindi decodificato dal mittente. Perché ci
sia un corretto scambio comunicativo, quindi, è necessario che mittente e
destinatario condividano lo stesso codice5.
Come si è detto, il processo comunicativo ha una intrinseca natura
bidirezionale, quindi il modello va interpretato nel senso che si ha
comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo mittenti e
destinatari di messaggi. In realtà, anche in un monologo chi parla ottiene dalla
controparte un feedback continuo, foss'anche un atteggiamento di palese
6
disinteresse. Questo fenomeno è stato riassunto con il principio (attribuito a
Watzlawick) secondo il quale, in una situazione di prossimità tra persone,
"non si può non comunicare"6.
Naturalmente possono avvenire casi in cui la comunicazione risulti "non
funzionante" e ciò può accadere per differenti motivi. Alcuni esempi del caso
possono essere: (a) non è detto che il gran numero di singoli messaggi, verbali
e non verbali, emessi in un dato momento, siano sempre congruenti tra loro;
(b) non è detto che le "mappe" linguistiche, culturali (ed emozionali) sulle
quali vengono costruiti i messaggi dell'emittente e del ricevente siano
identiche o congruenti; (c) non è detto che il canale attraverso il quale
giungono i messaggi sia sempre esente da disturbi e rumori di fondo; (d) non è
detto che l'interpretazione del contesto all'interno del quale avviene lo scambio
comunicativo sia sempre identica o congruente7.
Nell'uso quotidiano, la comunicazione è lo scambio di pensieri tra esseri
umani per mezzo della parola, della scrittura, dei gesti, delle immagini.
La comunicazione iconica riveste un ruolo importante nella società moderna.
Il bombardamento di immagini a cui è sottoposto un individuo al giorno
d'oggi è imparagonabile a quanto poteva avvenire solo alcuni decenni or sono.
Televisione, giornali, cinema, pubblicità e qualsiasi altra fonte di
comunicazione visuale è studiata nei minimi dettagli appositamente per
trasmettere precisi messaggi alla mente di ognuno si trovi a entrare in contatto
con tali immagini. Ciò accade in quanto è largamente diffusa la
consapevolezza che la diversità fra comunicazione visuale e verbale non
sussiste tanto nella grammatica, che si basa in entrambe su una struttura di
simboli, quanto piuttosto nel fatto che la prima possiede una qualità prelogica, che viene cioè prima dell'elaborazione del pensiero astratto8.
I sistemi di comunicazione visuale sono al contempo macchine di
informazione e macchine di processi culturali, in grado di incidere sulla
diffusione della conoscenza e sulle modalità di interazione tra individui,
creando nuovi criteri di orientamento valoriale. La società massmediatica
sembra reggersi sulla forza dell'immagine. Il nuovo sistema di comunicazione
trasforma le dimensioni fondamentali della vita umana; «i luoghi vengono
svuotati del loro significato culturale, storico, geografico e reintegrati in reti
funzionali o in collage di immagini, inducendo uno spazio dei flussi che
sostituisce lo spazio dei luoghi»9.
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Capitolo Secondo
MASS MEDIA E CULTURA DI MASSA
2.1 Dalla parola all'immagine: recente evoluzione della comunicazione
di massa
2.1.1 La stampa, la radio, il cinema
Il progresso della stampa fu notevole nell’Ottocento, secolo in cui furono
introdotti, e in gran parte sviluppati, i sistemi di stampa ancora oggi in uso. La
stampa di libri, giornali, riviste ebbe un’importanza primaria non solo nella
divulgazione della cultura, ma anche nella formazione sociale e civile dei
popoli e nel progresso stesso della tecnica. Tra questi furono importanti i
giornali popolari, diretti cioè alle masse proletarie nelle grandi città, che
facevano assegnamento sulla estrema semplicità di linguaggio e richiedevano
quindi un bassissimo livello di istruzione per essere letti e compresi.
Il fine dichiarato di questi yellow papers (“giornali gialli”), come erano
chiamati dalla carta scadente su cui erano stampati, era vendere più possibile e
quindi realizzare anche i massimi introiti pubblicitari, in quanto naturalmente
la pubblicità preferiva i giornali ad alta tiratura per diffondere i suoi
messaggi10.
Altra grande novità nel campo dell’informazione fu lo sviluppo dei periodici
illustrati, in cui brevi testi erano accompagnati da grandi fotografie, cui era
affidata l’essenza della comunicazione. Questo non significa che il
giornalismo tradizionale venisse emarginato, tutt'altro, ma le sue funzioni
vennero gradualmente ridimensionate. Ai giornali non si chiedeva più tanto di
fornire le notizie principali (generalmente conosciute in precedenza tramite la
radio) quanto un approfondimento e un commento: da strumento chiave della
formazione dell’opinione pubblica la carta stampata diveniva quindi solo uno
dei tanti strumenti, il più rilevante per il pubblico più esigente, ma incapace di
fare concorrenza nel conquistare le grandi masse, alla più efficace
comunicazione della parola parlata (radio) e dell’immagine (cinema e giornali
illustrati). Anche se i giornali a larga tiratura continuarono a crescere, nel
complesso lo sviluppo dei giornali subì un arresto. Era la fine di un’epoca
della storia dell’opinione pubblica.
Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa divenne impetuoso a partire
dalla Prima Guerra Mondiale: i giornali a larga tiratura, il cinema, l’industria
discografica, l’editoria, le nuove compagnie radiofoniche, divennero un settore
economico, non solo di crescente influenza sociale, ma anche fonte di
ricchezza e di profitti, una vera e propria industria definita come “industria
8
culturale”11.
Fu la guerra a permettere alla radio, inventata nel 1897, di sviluppare in pochi
anni le sue grandi possibilità e di diventare un mezzo di comunicazione in
tutto il mondo già dagli anni '20. Inoltre si sviluppò al massimo la propaganda
volta a sostenere il morale non solo delle truppe al fronte, ma delle intere
società coinvolte e fece penetrare gli ideali patriottici in settori sociali poveri
fino ad allora rimasti estranei.
Fin dall’inizio l’organizzazione radiofonica prese due vie diverse: negli USA
quella della libertà commerciale, per cui in ogni città era possibile all’utente
scegliere fra diverse emittenti; in Europa in generale quella del monopolio
pubblico, per cui era lo Stato a fornire il servizio dietro pagamento di una sorta
di abbonamento. Due caratteristiche della radio vanno però ricordate, perché
fu il loro sfruttamento a fare della radio, nelle mani di Mussolini, Roosvelt,
Hitler, uno dei maggiori strumenti di propaganda. In primo luogo
l’immediatezza, la capacità di informare su un evento nel momento stesso in
cui questo si svolge. In secondo luogo la possibilità di fare penetrare la voce
dell’emittente, e quindi anche dello Stato in quella che era stata fino ad allora
l’area più remota dell’influenza del potere centrale: la sfera domestica.
Nonostante il suo utilizzo, la radio fu superata in celebrità dal cinema e dalla
tv.
Il cinema costituisce il compimento di uno dei desideri più sentiti dall'uomo,
quello di catturare e riprodurre l'immagine in movimento. Il primo autentico
"industriale" del cinema è stato l'americano Thomas Alva Edison (1847-1931),
inventore del "cinetoscopio" (brevettato nel 1891). Edison cercò di farsi
impresario oltre che inventore, ed aprì la sua prima sala di proiezione
(denominata anch'essa cinetoscopio) a New York nel 189412. In questa sala
(che comprendeva dieci schermi), ogni spettatore usufruiva di una proiezione
individuale: Edison aveva inventato il cinema, quindi, ma non aveva compreso
la dimensione collettiva e aggregativa (nonché di propaganda) a cui questo
medium era destinato. Questa è la ragione per cui i veri genitori del cinema
sono considerati i fratelli Lumiére che ne avevano compreso non solo il
funzionamento ma anche il destino sociale13.
Tuttavia l'egemonia del cinema francese era destinata a breve vita: la prima
guerra mondiale comportò un brusco arresto per tutta la produzione europea e
riportò in primo piano la posizione degli Stati Uniti. Tra gli anni venti e gli
anni trenta il cinema statunitense completò la transizione dalla sua fase
artigianale ad una compiuta maturità industriale: la migliore qualità della
programmazione, l'aumento della durata dei film, più moderne sale di
proiezione, sono i diversi aspetti di un incremento generale della produzione
che creava le premesse per la più grande industria di intrattenimento del
mondo. Nel 1927, nel film Il cantante di jazz, comparve la colonna sonora (già
9
sperimentata alle origini del cinema e poi abbandonata), e iniziò così il declino
del cinema muto14.
2.1.2 La televisione
Anche se (per ovvi motivi) la si avvicina più frequentemente al cinema, la
televisione ha sfruttato per molti versi la traccia della comunicazione
radiofonica, sia sul piano tecnologico (visto che all'invenzione della
televisione si è arrivati studiando la trasmissione delle onde elettromagnetiche)
che su quello giuridico e legislativo (infatti le norme usate per regolamentare
la radiofonia sono state spesso applicate al sistema televisivo).
La storia (o preistoria) della tv inizia negli ultimi anni del XIX secolo, quando
si è presa in esame la possibilità di utilizzare le proprietà fotoelettriche di
alcune sostanze (soprattutto il selenio) per trasmettere e ricostruire a distanza
l'immagine15. All'inizio del ventesimo secolo, la sperimentazione sulla
trasmissione delle immagini è stata avviata in modo più sistematico, sia negli
Stati Uniti che in molti paesi europei (Italia, Francia, Gran Bretagna,
Germania). Tra i ricercatori impegnati in questa fase di sperimentazione
(peraltro ancora artigianale) i più noti sono l'ingegnere americano di origine
russa Vladimir Zworykin (1889-1982) e il fisico scozzese John Baird (18881946), che con il suo prototipo di televisione meccanica era riuscito già nel
1926 (a Londra) a trasmettere una piccola immagine (su 28 linee).
Negli anni trenta, i problemi tecnici legati alla ricerca sulla televisione
potevano già dirsi superati. Infatti le trasmissioni televisive regolari iniziarono
nel 1936 in Gran Bretagna, nel 1937 in Francia e nel 1939 negli Stati Uniti (in
Italia, pur non esistendo ancora una programmazione regolare, gli esperimenti
di trasmissione elettronica iniziarono nel 1934)16.
Malgrado gli inevitabili problemi iniziali e a dispetto dei costi relativamente
alti dei primi apparecchi, la diffusione della televisione è stata molto veloce:
conferma, questa, del fortissimo desiderio sociale che il nuovo mezzo riusciva
a soddisfare. Infatti già nel 1960 l'87% delle famiglie statunitensi possedeva
un televisore, e negli anni ottanta la quota delle famiglie in possesso di almeno
un televisore ha raggiunto il 98% del totale. Per la prima volta, un mezzo di
comunicazione era così riuscito a coinvolgere l'intera società, facendo
sostanzialmente coincidere - negli Stati Uniti come in tutti i paesi occidentali il pubblico reale con il pubblico potenziale.
Se negli Stati Uniti le trasmissioni televisive erano state affidate all'iniziativa
dei privati, in molti paesi europei la televisione è stata invece assoggettata da
subito al monopolio pubblico. Così è stato anche in Italia, dove le trasmissioni
della Rai (che aveva perso la denominazione di Radio Audizioni Italia per
assumere quella di Radiotelevisione Italiana) sono iniziate nel 1954. Al primo
canale si aggiunse poi il secondo nel 1961 e quindi il terzo nel 1979: tuttavia,
10
malgrado queste innovazioni, la televisione italiana è stata a lungo ispirata ad
una concezione paternalistica della produzione culturale, e quindi sacrificata
ad una programmazione di tipo pedagogico. Anche in Italia, in ogni caso, la
televisione ha conosciuto da subito un successo straordinario: già nel 1959
(solo cinque anni dopo l'avvio delle trasmissioni) si contavano oltre un milione
e mezzo di abbonati, destinati a salire a cinque milioni nel 1964. Se negli anni
sessanta già (quasi) la metà delle famiglie possedeva un televisore, nel giro di
un decennio la penetrazione del mezzo nella società italiana si sarebbe
compiuta in termini definitivi, tanto che i nuclei familiari in possesso di
almeno un televisore sono passati dal 49% del 1965 al 92% del 1975. A partire
dagli anni ottanta, la televisione è entrata letteralmente in tutte le case, con un
dato di diffusione che sfiora il 99% dei nuclei familiari17.
Nel frattempo, però, era stato infranto anche il monopolio pubblico sulla
televisione, in sospetta violazione dei diritti costituzionali alla libera iniziativa
economica dei privati. La clamorosa proliferazione di piccole emittenti private
(sia radiofoniche che televisive) a copertura locale, nel corso degli anni
settanta, aveva infatti provocato l'intervento della Corte Costituzionale. Nel
1976, pur confermando la legittimità del monopolio Rai, la Corte l'aveva
limitato all'ambito nazionale, legittimando così l'iniziativa privata a livello di
trasmissioni locali. Muovendosi in una situazione politica e legislativa poco
definita, all'inizio degli anni ottanta alcune emittenti sono riuscite a proporsi
sul mercato nazionale, creando le premesse per il superamento del monopolio
Rai, in favore di un sostanziale duopolio Rai-Fininvest integrato solo negli
anni novanta dal "terzo polo" (concentrato intorno alle emittenti Tmc e Tmc2
di Vittorio Cecchi Gori, e destinato peraltro ad un sostanziale insuccesso).
All'oggi il processo di modifica dell'assetto duopolistico della televisione
italiana appare arenatosi in seguito all'approvazione della cosiddetta legge
Gasparri (cap. 2, § 2.4).
Nel corso della sua storia, la televisione ha vissuto quindi diverse
trasformazioni. L'ultima di queste trasformazioni, quella attuale, sta mettendo
in discussione lo stesso modello "generalista" della televisione, trasformandolo
in un sistema di offerta più attento alle esigenze individuali. In questo senso la
comparsa del digitale terrestre potrebbe (potenzialmente) aprire nuovi scenari
e determinare nuovi equilibri all'interno del sistema delle telecomunicazioni.
Il digitale terrestre (anche noto con l'acronimo DTT, dall'inglese Digital
Terrestrial Television) è una tecnologia che permette di ricevere sul televisore
di casa trasmissioni televisive del livello qualitativo e prestazionale della TV
satellitare, senza però dover ricorrere all'installazione dell'antenna parabolica,
ma utilizzando l'impianto ricevente preesistente, affiancato da un decoder. E'
sufficiente acquistare un decodificatore digitale (set top box) attraverso il
quale i segnali digitali vengono trasferiti al televisore18. Ogni singola
11
frequenza, utilizzata in modo analogico, permette di trasmettere un solo canale
TV. Grazie al digitale è invece possibile trasmettere audio e video insieme,
attraverso una codifica/decodifica numerica delle informazioni. Le
informazioni, ridotte a dati numerici, possono essere compresse, cioè essere
trattate secondo un procedimento informatico, denominato MPEG-2 (Movie
Picture Expert Group), che permette di moltiplicare il numero di canali
trasmessi contemporaneamente da un'unica frequenza. In questo modo, il
numero di canali TV che diventano disponibili con la televisione digitale
terrestre è moltiplicabile anche fino a otto. Un ulteriore vantaggio del digitale
terrestre è senza dubbio l'interattività che permette un dialogo aperto tra
l’utente e il programma televisivo19.
Gli odierni svantaggi del digitale terrestre sono legati soprattutto al passaggio
dal sistema analogico. Attualmente il sistema italiano è in una fase di
transizione e molte zone non sono ancora coperte dal segnale digitale oppure
sono soggette a temporanei blackout. Anche se in futuro saranno
commercializzati solo televisori con il decoder integrato, oggi è necessario
comprarne uno a parte per ogni tv. Inoltre, serve un canale di comunicazione
aggiuntivo (via modem o cellulare) per interagire con i servizi trasmessi
(anche questo potrebbe in futuro essere integrato con il televisore) e gli
apparecchi ad alta definizione per cui il digitale è pensato sono ancora costosi.
Secondo recenti normative a livello europeo, gli stati dell'Unione dovranno
attrezzarsi per convertire l'intera rete di trasmissione televisiva nazionale in
tecnologia DTT nei prossimi anni, secondo tempi decisi autonomamente dalle
autorità dei vari Paesi; per l'Italia il momento previsto per il passaggio (il
cosiddetto switch-off) e quindi il termine ultimo per aggiornare gli impianti era
il 31 dicembre 2006, ma il Consiglio dei Ministri nel dicembre 2005 ha
rinviato la cessazione del servizio analogico alla fine del 2008. Il ministro
delle comunicazioni Gentiloni ha anche indicato come data realistica per la
chiusura della tv analogica il 2012, termine ultimo imposto dall'Unione
Europea per il passaggio definitivo al digitale.
Considerando gli anni che intercorrono da oggi al 2012 e considerando i
progressi della tecnologia digitale negli ultimi anni, probabilmente questo
periodo che ci divide dal noto switch-off non sarà del tutto lineare. Il
progresso delle comunicazioni legato a internet è incalzante. All'oggi i mezzi
più concretamente interattivi come la tanto auspicata "web tv" (integrazione
tra la televisione e la rete telematica) non hanno ancora conosciuto un reale
sfruttamento di massa, ma non è detto che ciò non avvenga in futuro. Inoltre
stanno prendendo piede tra le giovani generazioni nuovi prodotti digitali (iPod
e cellulari di nuova generazione) i quali, legati strettamente al web, si
propongono come pungolo per le tradizionali forme di comunicazione di
massa.
12
2.1.3 Internet
Per risalire alle origini di ciò che oggi chiamiamo “internet” ci si deve spostare
alla fine degli anni '60 quando nasce Arpanet, un progetto per la ricerca
avanzata del Dipartimento della Difesa USA, con lo scopo di finanziare,
coordinare e migliorare le ricerche nei rami più svariati delle scienze
(linguistica, crittografia, microelettronica, ottica avanzata). Arpanet
rappresentava lo stretto intreccio tra scienza e industria bellica.
Le domande a cui soprattutto si voleva rispondere erano due. Una di carattere
scientifico: come collegare in maniera continua i supercalcolatori, sparsi in
molti dipartimenti e università, in cui erano confluite le ricerche scientifiche
più avanzate, per mettere al servizio degli scienziati, contemporaneamente e
immediatamente, tutto il patrimonio esistente. L'altra domanda era di carattere
militare: in che modo le autorità USA avrebbero potuto comunicare con
successo anche dopo una guerra nucleare, in cui facilmente sarebbe stato preso
di mira un centro informatico strategico.
Arpanet era anche un progetto di ricerca, poiché bisognava trovare il modo di
trasferire velocemente da un computer all'altro una mole ingente di dati: di qui
lo sviluppo del Modem collegato alla linea telefonica. All'inizio tuttavia gli
scienziati usavano prevalentemente la posta elettronica (E-Mail). Nel 1971
Arpanet contava 4 nodi. L'anno dopo erano collegati tra loro una quarantina di
computer militari e universitari20.
Il decisivo sviluppo qualitativo della rete telematica si ebbe a partire dagli anni
'80. Nel 1984 Internet collega più di mille computer. La velocità di
trasmissione dei dati passa da 9,6 kilobits al secondo (1972) a 2 megabits al
secondo. Nell'86 la rete si collega alle linee pubbliche di trasmissione. Nell'87
la NSFnet (seconda versione) collega 100.000 computer, 3.400 centri di
ricerca e trasmette a 45 megabits al secondo. Nel '92 sono collegati più di un
milione di computer. La velocità della trasmissione tocca i 622 megabits al
secondo. Le prime immagini video-trasmesse appaiono nel '94. Nello stesso
anno la NSF annuncia di ritirare i fondi finanziari: per Internet sono aperte le
strade del libero mercato. Il Windows 95 della Microsoft permette di
connettersi con un unico network telematico su cui consente la
commercializzazione e la pubblicità di servizi e prodotti di vario genere21.
L'alba del “www” si ebbe esattamente il 6 agosto del 1991 quando Tim
Berners-Lee, matematico e oggi baronetto, pubblicò il primo sito della rete
creando il world wide web, un sistema di ipertesti alla base di internet. Dopo
quindici anni Yahoo! ha stimato che online ci siano 40 miliardi di pagine web,
anche se pare che siano un numero sensibilmente maggiore, all'incirca tra le
400 e le 750 volte in più rispetto a quanto calcolato dal portale22.
Per quanto la rete telematica abbia vissuto numerosi alti e bassi nel corso di un
solo decennio di ampia diffusione, è indubitabile che abbia contribuito a
13
mutare radicalmente la concezione di comunicazione nel mondo. Il “tempo
reale” da sempre inseguito dall'uomo è divenuto effettivo con la comparsa dei
collegamenti ad alta velocità. Ora il mondo non è visibile in diretta solo
attraverso la televisione, ma anche attraverso un computer e con un vantaggio
di non poco conto: la cosiddetta “realtà” è scelta dall'utente. Le webcam
permettono di entrare in contatto con individui o ambienti in tempo reale
anche a migliaia di chilometri di distanza al costo del solo abbonamento,
realizzando ciò che le generazioni passate avevano sognato avvenisse tramite
il “vecchio” telefono di casa o attraverso una nuova generazione di emittenti
televisive.
Fino a qualche anno fa le immagini in movimento erano appannaggio
esclusivo di tv e cinema. Una maniera alternativa di osservare e soprattutto
conservare le immagini era la videocassetta impressa o di immagini tv o
cinematografiche oppure private, realizzate tramite videocamera. In particolare
le immagini filmate privatamente erano destinate a rimanere nel contesto di
creazione e se ne uscivano accadeva per una limitata diffusione in stretto
ambito relazionale. Ora, grazie alle nuove tecnologie, le immagini sono più
facilmente riproducibili e soprattutto interscambiabili (con il conseguente
evolversi del concetto di diritto d'autore e le relative legislazioni in materia). I
video privati hanno trovato nel web l'habitat naturale dove diffondersi. Il
mercato non è stato a guardare e, adeguandosi alle nuove tendenze, ha creato
prodotti a basso costo e ad alta praticità che permettono la visione e lo
scambio dei file audio/video, preferibilmente se a pagamento, e siti
specializzati nella diffusione degli stessi. Conseguenza di tale evoluzione è
stata anche l'apparizione di neologismi di natura tecnologica, atti a indicare le
nuove funzionalità. A fianco del consolidato broadcast (il quale indica una
trasmissione radio/tv tradizionale, ascoltabile ad una determinata ora decisa
dall'emittente, quindi sincrona e online), sono giunti recentemente alla ribalta
termini quali podcast e streaming.
Il termine podcast sta a indicare una risorsa audio/video fruibile in qualsiasi
momento, scaricata automaticamente in formato mp3 (o altro) dal sito
dell'emittente, quindi asincrona e offline (può essere distribuito in rete da
chiunque sul proprio sito o blog). In pratica è una pagina "vocale" del proprio
diario online che può essere ascoltata quotidianamente da migliaia di persone,
non solo al pc ma anche in "differita" sul proprio iPod o su qualsiasi altro
lettore mp3 portatile. Il funzionamento è semplice, basta installare sul proprio
computer un programma per il podcasting; una volta installato il programma,
bisogna specificare da quali fonti scaricare i file e con quale frequenza cercare
nuovi brani. A questo punto il software, a intervalli regolari, si collega a
internet e individua gli audio pubblicati dai siti ai quali si è abbonati. Se ne
trova di nuovi, li scarica sul computer e i files restano a disposizione, per
14
essere ascoltati o copiati in un lettore portatile. Il tutto è completato dalla
possibilità di inviare i propri files ad altri utenti. Con il podcast si è passati nel
giro di pochi anni dall'interscambio di materiale audio/video a ristretto raggio
all'annullamento delle distanze tramite la potenziale illimitatezza della
divulgazione digitale.
La funzionalità di streaming si differenzia dal podcast principalmente per
l'assenza di download del file e per la (teorica) impossibilità di immagazzinare
le immagini visualizzate. Il termine streaming indica una risorsa audio/video
fruibile in qualsiasi momento tramite un collegamento internet al sito
dell'emittente (video/audio on demand), quindi asincrona e online. Con le
normali modalità di funzionamento del World Wide Web si necessita di un
certo lasso di tempo per scaricare un file audio e/o video sul disco del proprio
computer, prima di poterne iniziare l'ascolto e/o la visione. Lo spazio disco
richiesto può inoltre non essere trascurabile: un clip audiovisivo digitale di 10
minuti di qualità discreta impegnerebbe decine di megabyte. Le tecniche di
streaming permettono di ridurre il tempo di attesa ad un piccolo ritardo
iniziale, senza richiedere alcuno spazio sul disco locale: il file richiesto viene
infatti visualizzato al momento, senza un preventivo download. Non solo,
infatti la modalità streaming consente la fruizione di contenuti audiovisivi in
tempo reale, quali un canale radiofonico o televisivo. In questo caso infatti
non esiste un vero e proprio file ma piuttosto un flusso continuo (uno stream
appunto) di bit che vengono prodotti codificando in tempo reale la sorgente.
Indubbiamente la comparsa di internet e le diverse sue applicazioni in campo
mediatico ha imposto agli storici sistemi di comunicazione un necessario
adeguamento alle originali condizioni socio-culturali. Nell'ultimo decennio
l'approccio alla comunicazione globale è mutato radicalmente e con ciò anche
la coscienza di ogni utente del web riguardo gli avvenimenti nella società. La
“cultura di massa” di antica concezione è oramai un lontano ricordo, per lo
meno nelle zone del pianeta in cui il web è entrato nella quotidianità di una
larga fetta della popolazione. Dieci anni fa tutto ciò era inimmaginabile, come
del resto rimane complicato immaginare cosa potrà portare lo sviluppo di tale
mezzo di comunicazione nel prossimo futuro, soprattutto all'interno delle
società non ancora coinvolte da questa straordinaria innovazione tecnologica.
2.2 La nascita della cultura di massa
Il sistema delle comunicazioni di massa dopo la Prima Guerra introdusse nella
società dell’industria culturale molte novità. Di fatto, almeno nella fase
iniziale, lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione di massa concorse con
le trasformazioni in senso autoritario di molti stati nel restringere gli spazi per
il libero arbitrio e nel dividere la società in un largo pubblico passivo. La radio
e la nuova industrializzazione fecero da cassa di risonanza ai nascenti pensieri
15
propagandistici pro e contro gli autoritarismi statali convenzionali. La
propaganda si fece intensa grazie anche alla "migrazione" delle popolazioni
rurali verso i centri abitati industriali facilitando così la circolazione delle
notizie23. Si cominciavano a delineare i confini concettuali dei futuri "mercati
di massa" e "pubblico di massa". Negli stati autoritari l’uso massiccio delle
comunicazioni era complementare al rigore della censura su ogni forma di
trasmissione di idee o di informazioni. In questi paesi mezzi di informazione
come la radio e il cinema erano il più logico strumento di espressione dello
stato a partito unico. Altrove come negli USA o in GB piuttosto che di
monopolio si può parlare di una concorrenza ristretta, alla quale il potere
politico partecipava da posizione privilegiata come dimostra il sistematico uso
propagandistico della radio, in contrasto con il tradizionale concetto liberale
della pari libertà di accesso per tutti al mercato delle idee24.
Un’altra importante conseguenza delle trasformazioni della comunicazione fu
la crescente omogeneizzazione del pubblico. Pier Paolo Pasolini aveva già
intuito i cambiamenti sociali e culturali prodotti dalla massificazione
televisiva. Iniziò ad accorgersi che tutti i giovani di borgata avevano iniziato a
vestire, comportarsi, pensare in modo analogo. Se prima di allora per Pasolini
si poteva distinguere un proletario da un borghese, oppure un comunista da un
fascista, già agli inizi degli anni '70 non era più possibile: la società italiana si
stava già omologando a macchia d'olio. Pasolini chiamò questi fenomeni
mutazione antropologica, prendendo a prestito il termine dalla biologia. In
biologia la mutazione genetica è determinata prima dalla variazione e poi dalla
fissazione. Nel caso della "mutazione antropologica" la variazione delle mode
e dei desideri della collettività è decisa prima nei consigli d'amministrazione
delle reti televisive nazionali e poi viene fissata nelle menti dei telespettatori
tramite messaggi subliminali e pubblicità25.
Un tempo i due tradizionali enti di socializzazione erano la famiglia e la
scuola, non dimenticando il gruppo dei pari, cioè un insieme di persone che
interagiscono in modo ordinato grazie a comuni aspettative riguardanti il
comportamento reciproco. Ma nella nostra società non si può ignorare
l'importanza sempre maggiore che hanno acquisito le comunicazioni di massa
nella socializzazione di tutte le generazioni. La socializzazione svolta dai
mass-media dipende sia da strategie intenzionali (per cui, ad esempio, esistono
libri, articoli, trasmissioni, siti internet educativi o informativi) sia da effetti
indiretti, come la socializzazione ai consumi che scaturisce dalla pubblicità.
Ad esempio, una serie di telefilm può contenere messaggi relativi a valori,
modelli di vita, comportamenti tipici di un certo contesto storico-sociale, che
hanno un potente effetto di socializzazione anche su di un pubblico che vive in
realtà molto diverse26.
La socializzazione prodotta dai media agisce su due livelli: per un certo verso
16
essi sono un potente mezzo di socializzazione primaria, in quanto forniscono
ai bambini una serie di valori, ruoli, atteggiamenti, competenze e modelli
precedentemente forniti esclusivamente dalla famiglia, dalla comunità o dalla
scuola. Essi sono dunque degli agenti paralleli di socializzazione. Vi è anche
nei media una socializzazione secondaria: essi forniscono informazione e
intrattenimento attraverso i quali le persone accrescono la propria
consapevolezza sulla realtà sociale, allargano la sfera delle conoscenze che
possono essere utilizzate negli scambi sociali, ricevono delle strutture
interpretative. K.E. Rosengren in "Introduzione allo studio della
comunicazione" sottolinea che i mass media sono importanti agenzie di
socializzazione perché trasferiscono la cultura dal livello della società a quello
dell'individuo27.
I mezzi di comunicazione di massa danno la possibilità di conoscere i contorni
dell'ambiente simbolico entro il quale si vive, rendendolo comune a più
individui che addivengono così a un grado di percezione comune della realtà.
Inoltre i mezzi di comunicazione detengono un ruolo di mediazione fra la
realtà sociale oggettiva e l'esperienza personale, integrando la percezione
diretta della realtà. Si è creato un senso della storicità mediata, per cui il nostro
apprendimento degli eventi del passato viene plasmato dall'industria mediale.
Siamo in presenza di una mediazione del contatto con la realtà sociale, che fa
sì che si creino rapporti, mediati dai mezzi di comunicazione, più deboli dei
legami personali diretti. Sono mutati anche la nostra percezione dello spazio e
il nostro senso di appartenenza: apparteniamo infatti a comunità e gruppi
costituiti almeno parzialmente dai media. Il mondo oggi è più contratto,
poiché è andato modificandosi il senso della distanza28.
Un'importante conseguenza dello sviluppo delle telecomunicazioni è stata la
riorganizzazione dello spazio e del tempo che si è prodotta soprattutto a
seguito della scoperta della simultaneità despazializzata. Infatti attualmente gli
individui sperimentano secondo nuove modalità le caratteristiche spaziotemporali della vita sociale. Il contenuto dei mass media raggiunge e influenza
gli individui a seconda delle modalità del livello di accessibilità messi in atto.
L'accessibilità è la possibilità o meno di avere accesso ai mass media e alle
informazioni e quindi di poter influire e partecipare alle decisioni collettive.
2.3 Dal controllo dei mass media tramite il potere alla conquista del
potere tramite i mass media
Nell'età moderna, caratterizzata dalla nascita dei mezzi d'informazione di
massa, l'importanza dell'informazione per la democrazia è confermata dalle
restrizioni all'informazione che ogni regime antidemocratico introduce,
impadronendosi di radio e televisione e vietando la pluralità dei giornali (in
epoca recente in diversi stati sono apparse censure a siti internet non graditi ai
17
regimi dittatoriali). Di fatto, in occasioni di rivoluzione o colpi di Stato, il
primo atto in genere compiuto dagli agenti è l'occupazione delle sedi della
radio e della televisione, nonché l'abolizione dei giornali dell'opposizione.
Nel corso del tempo si è diffusa l'idea che in una società democratica, affinché
la democrazia possa dirsi completa, debbano essere presenti dei mezzi di
informazione indipendenti che possano informare i cittadini su argomenti
riguardanti i governi e le entità aziendali; questo perché i cittadini, pur
disponendo del diritto di voto, non sarebbero altrimenti in grado di esercitarlo
con una scelta informata che rispecchi i loro reali interessi ed opinioni.
Secondo quest'ottica, nell'ambito del principio fondante delle democrazie
liberali, ovvero la separazione dei poteri, oltre all'esecutivo, al giuridico e al
legislativo, il ruolo dei media di fonti di informazione per i cittadini andrebbe
considerato come un quarto potere da rendere autonomo rispetto agli altri. Per
questi motivi è idea diffusa che il più grande rischio per la democrazia sia la
concentrazione della proprietà dei media. In particolare al giorno d'oggi sono
le televisioni la principale fonte informativa, perché solo una ridotta
minoranza di persone legge libri e giornali o si informa tramite internet. Un
individuo riceve dai media una quantità enorme di messaggi: il suo rapporto
con l'emittente non è paritario, come quando si scambiano singole
informazioni, ma subalterno. I media veicolano quindi un insieme di testi, che
l'individuo decodifica soprattutto in base all'insieme di pratiche testuali che
già possiede grazie alla sua esperienza. È ormai evidente a chiunque il ruolo
fondamentale dei media come organizzatori della società e della realtà sociale:
la loro efficacia non sta solo nel suggerirci cosa e come pensare, ma
soprattutto che cosa non pensare. Vediamo come le istituzioni utilizzino i
media per determinare i ruoli sociali, decidere di cosa parlare o meno,
addirittura possiamo vedere che le istituzioni sono in grado di influenzare i
nostri ricordi tramite i media e quindi la realtà che ci circonda.
Tuttavia la televisione oggi sta gradatamente perdendo il suo potere di
manipolazione orientativa impositiva in proporzione con l'aumento della
complessità della nostra società. Questo potere dei media di imposizione dei
significati ai messaggi istituzionali non è più indiscusso e uniforme, ma ciò
non vuol dire che non sia comunque esistente. I nuovi mezzi di comunicazione
mediatica, primo tra tutti internet, portano sempre e comunque dentro di loro
input e indirizzi codificati e strutturati socialmente e quindi istituzionalmente.
Ora i media, in alcuni casi sono anche più pericolosi di un tempo perché
capaci di confondersi nella quotidianità, sono più tecnologicamente avanzati e
determinati quindi più "precisi" nel colpire come e quando i momenti di "crisi"
rendono più vulnerabili le masse bisognose di informazioni.
In passato si pensava che i media sarebbero rimasti succubi delle istituzioni e
non avessero il potere di annullarne l'autorità. Oggi invece si delinea l'idea che
18
i media stessi siano divenuti delle istituzioni al soldo dei poteri istituzionali
visto che è ormai assodato che i media sono e saranno sempre di più delle
forze sociali capaci di effettuare un impatto sugli eventi modificandoli a suo
uso e consumo e producendo all'occasione veri e propri cambi istituzionali. Le
istituzioni oggi sono divenute inevitabilmente delle istituzioni mediali e come
si sono modificati i media anch'esse si sono ristrutturate diventando vere e
proprie "macchine di comunicazione" che assoldano staff di esperti in attività
comunicative mediatiche per assicurarsi maggior impatto nell'ora di massimo
ascolto.
La progressiva dipendenza dai media delle moderne democrazie occidentali si
lega a diversi fattori quali l'emergere di sistemi elettorali maggioritari, il
crescente peso della cosiddetta videopolitica fatta di frasi ad effetto e discorsi
rapidi, la perdita di identificazione da parte dell'elettorato verso i movimenti
politici29. Il terreno sul quale la presenza dei mass media può produrre, più che
altrove, importanti conseguenze per i partiti politici di massa, è quello relativo
al problema della selezione e della qualità del leader. Assistiamo così ad un
processo di maggiore "personalizzazione della politica". Le nuove forme di
comunicazione politica hanno determinato una modificazione dei meccanismi
di selezione del leader, favorendo quelle modalità di accesso che hanno come
criterio il carisma. Nell'accesso a posizioni di vertice vengono privilegiati quei
politici in possesso di caratteristiche più funzionali alla logica dei mass media.
Ciò che tende ad avere importanza è l'aspetto fisico del candidato, la sua
facilità discorsiva, il suo sapersi rappresentare come attore che s'identifica in
ogni momento con diversi personaggi o attitudini simboliche facendo parte del
mondo immaginario della collettività, il suo sapersi trasformare in Grande
Predicatore. Il leader carismatico deve essere animato dalla forza ed urgenza
del suo mandato messianico. Rilevante sono cominciati a diventare
l'immagine, il carisma, e non le effettive posizioni politiche. Il leader
carismatico implica un'influenza nell'assetto organizzativo che comincia a
differenziarsi da quello del partito di massa. Troviamo un'istituzione debole,
un potere di tipo monocratico, che passa dallo statuto di partito di massa come
istituzione forte, verso il partito carismatico plebiscitario. Si crea una sorta di
democrazia plebiscitaria caratterizzata da una tradizionale debolezza
organizzativa e radicamento sociale dei partiti politici30.
Si arriva all'americanizzazione della campagna, nel senso inteso da Pasquino:
"Se i tre elementi politici fondamentali che debbono o possono essere
comunicati sono, nella versione statunitense classica: il partito, il candidato, la
tematica, il più facile e il più interessante da comunicare, soprattutto per i mass
media, è indubbiamente, il candidato"31.
L'attuazione dell'uso dei simboli appartenenti all'immaginario sociale, nella
manipolazione politica, è molto evidente nell'ascesa all'incarico di Presidente
19
del Consiglio di Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia. Le ricerche condotte
sulla presenza dei candidati e dei partiti nell'ambito dell'offerta televisiva per
la stessa campagna elettorale (1994), affermano che Silvio Berlusconi è stato
vincitore in gran parte grazie alla creazione di un mito televisivo,
identificabile con un partito. Molte sono state le opinioni degli esperti in
materia nell'ultimo decennio riguardo agli svolgimenti del sistema politico
italiani di quegli anni. Principalmente si possono riassumere due spiegazioni
all'enorme successo ottenuto da Berlusconi dopo la sua “discesa in campo” del
gennaio 1994: il ruolo delegittimante sulla politica italiana dell'inchiesta
“Mani Pulite” (emersa già nel 1992 e il conseguente “vuoto” politico venutosi
a creare nel tempo) e il grande potere mediatico concesso a Fininvest dalla
legge Mammì nel 1990 (unico caso in Europa di tale concentrazione di
proprietà televisiva privata)32.
2.4 Legislazione italiana in materia radiotelevisiva
La rivoluzione delle tv private in Italia inizia sotto le insegne del localismo.
Più precisamente, tutto comincia quando finisce TeleBiella: l'1 giugno 1973
un funzionario del Ministero delle Poste taglia e sigilla i cavi dell'emittente,
divenuta fuorilegge con un decreto del ministro Gioia. TeleBiella era infatti la
prima stazione televisiva privata in Italia: pochi utenti collegati via cavo,
programmazione di brevi notiziari, un ex regista Rai come fondatore33. Dopo
un anno, nel luglio 1974, due sentenze della Corte Costituzionale legittimano
la trasmissione in Italia dei programmi esteri e dei programmi via cavo in
ambito locale. Nascono molte televisioni via cavo, anche se ben presto quasi
tutte iniziano a trasmettere via etere, in contrasto con le leggi.
La prima elaborazione legislativa del concetto di servizio pubblico risale alla
legge di riforma n. 103 del 1975, in presenza ancora del monopolio pubblico e
in una fase politica contrassegnata dal “compromesso storico” e più in
generale dall’idea che il Parlamento, specchio del paese, fosse in grado di
dare forma alla pluralità delle istanze culturali emergenti nella società34. La
legge del 1975 definiva la diffusione di programmi televisivi ai sensi dell’art.
43 della Costituzione un servizio pubblico essenziale a carattere di preminente
interesse generale, in quanto volta ad ampliare la partecipazione dei cittadini e
concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese in conformità ai principi
sanciti dalla Costituzione.
Per tale motivo la legge riservava il servizio allo Stato. Essa accoglieva
dunque una concezione “soggettiva” e “finalistica” del servizio pubblico:
questo era affidato ad una società interamente di proprietà pubblica, la RAI,
sotto il controllo della Commissione bicamerale di vigilanza. L’indirizzo
politico-editoriale doveva essere prefigurato per legge, in modo da evitare
un’interpretazione partigiana da parte di chi avrebbe avuto un ruolo direttivo.
20
In altre parole, il principio-cardine del sistema dell’informazione pubblica
doveva essere il pluralismo informativo, che postula la diffusione di ogni
ideologia quale momento irrinunciabile del metodo democratico. Secondo la
legge del 1975, solo un soggetto rientrante nella sfera pubblica poteva
garantire «l’indipendenza, l’obiettività e l’apertura alle diverse tendenze
politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla
Costituzione» (art. 1 comma 2, legge 103/75).
L'esito complessivo della riforma è stato certamente una maggiore apertura del
servizio pubblico, rispetto a quando era sotto lo stretto controllo governativo,
ma anche il progressivo emergere di un sistema di “lottizzazione”, ossia di
distribuzione di cariche secondo l’appartenenza politica. Ciò ha condotto ad
una stretta dipendenza delle reti televisive pubbliche dalle maggiori
formazioni politiche presenti in Parlamento.
Nel luglio 1976 un altro intervento della Corte Costituzionale cambia
nuovamente le regole del gioco: la sentenza n. 202 autorizza le trasmissioni
via etere di portata non eccedente l'ambito locale35. È la definitiva mossa
liberalizzatrice. In questo periodo nascono moltissime emittenti, televisive e
radiofoniche, per le ragioni più diverse: alcune, soprattutto le radio (rimarrà
memorabile la breve e tumultuosa esistenza di Radio Alice, megafono del
movimento giovanile del 1977 a Bologna), riflettevano posizioni ideologiche
di tipo libertario; ma la maggior parte delle emittenti televisive erano sorte per
iniziativa di piccoli imprenditori che desideravano sfruttare il mercato
pubblicitario locale. Sviluppo anarchico dell'iniziativa privata e latitanza del
legislatore finirono per favorire il formarsi di una gigantesca concentrazione, il
gruppo Fininvest (poi Mediaset), che dalla seconda metà degli anni Ottanta
disporrà di tre network televisivi, il controllo dominante del mercato
pubblicitario e notevoli partecipazioni nella radiofonia, nell'editoria, nel
cinema, in alcuni giornali.
L'imprenditore milanese Silvio Berlusconi fu il primo a comprendere la
strategia vincente: abbandonare ogni residuo dell'ideologia localistica e della
tensione libertaria che aveva accompagnato la nascita delle prime antenne
private; esprimere fino in fondo e senza remore la propria vocazione
commerciale36. Capì che il motore propulsivo della tv privata doveva essere la
pubblicità, ovvero fondare il business del fare tv non sulla produzione di
programmi ma sulla produzione di pubblico. Cavalcando la crisi di identità
della vecchia Rai che si dibatteva in una rincorsa affannosa dell'audience e
sfruttando importanti amicizie politiche, si cristallizzò un duopolio imperfetto
che rendeva possibili, e giustificabili, tutte le anomalie. Nel 1984 un apposito
decreto-legge firmato dal presidente del consiglio Craxi salvò le reti Fininvest
dall'oscuramento dei ripetitori deciso da alcuni pretori. Nell'agosto 1990, dopo
un dibattito aspro e convulso, venne approvata la legge n. 223 di regolazione
21
del sistema radiotelevisivo (legge Mammì) che si limitò a fotografare
l'esistente, sanando ogni tipo di abuso commesso prima della sua approvazione
e stroncando l'esistenza di numerose piccole emittenti, soprattutto
radiofoniche37.
Ciononostante l'articolo 16 della legge Mammì introduce una interessante
forma di radiocomunicazione, la radio comunitaria. Essa è disciplinata in tale
maniera: “La radiodiffusione sonora a carattere comunitario è caratterizzata
dall'assenza dello scopo di lucro ed è esercitata da fondazioni, associazioni
riconosciute e non riconosciute che siano espressione di particolari istanze
culturali, etniche, politiche e religiose, nonché società cooperative costituite ai
sensi dell'articolo 2511 del Codice civile, che abbiano per oggetto sociale la
realizzazione di un servizio di radiodiffusione sonora a carattere culturale,
etnico, politico e religioso [...] La relativa concessione è rilasciata senza
obbligo di cauzione, sia in ambito nazionale che locale, ai soggetti predetti i
quali si obblighino a trasmettere programmi originali autoprodotti che hanno
riferimento alle istanze indicate per almeno il 50 per cento dell'orario di
trasmissione giornaliero-compreso tra le ore 7 e le ore 21. Non sono
considerate programmi originali autoprodotti le trasmissioni di brani musicali
intervallate da messaggi pubblicitari e da brevi commenti del conduttore della
stessa trasmissione, così come indicato nel regolamento di cui all'articolo 36.”
La radio comunitaria appare una valida soluzione alternativa alla radio
commerciale, divenuta troppo onerosa e soprattutto schiava degli introiti
pubblicitari e delle major discografiche, le quali impongono la maggior parte
della programmazione musicale. L'omologazione delle radio commerciali è in
teoria evitata nelle radio comunitarie attraverso una economicità della gestione
di queste ultime. Non solo, infatti la peculiarità dell'ambito locale presuppone
un servizio effettivo alle realtà in cui esse sono inserite. Di fatto le radio
comunitarie in Italia si sono diffuse in tutte le regioni; esse sono spesso il
risultato dell'adeguamento normativo di radio libere sorte nei decenni
precedenti, ma non mancano gli esempi di nuova creazione. Inoltre, scorrendo
la lista delle radio comunitarie, si nota che gran parte di esse fanno capo a
istituzioni religiose.
Nonostante sia sorta da parte del legislatore una sensibilità riguardante la
radiofonia locale, non si è giunti a una adeguata regolamentazione della
comunicazione televisiva di stampo comunitario, alternativa alla commerciale.
Ad esempio le successive integrazioni e modifiche della legge 223/90 non
hanno fatto della nuova forma di comunicazione delle tv di strada un
fenomeno ancora previsto (ad esempio la legge 66/2001 ancora non ha colto il
nodo di Telestreet perché si è rivolta a emittenti che raggiungono i 20/30
chilometri di raggio, quindi ben oltre la portata delle televisioni di strada38).
A fronte di una crescente richiesta da parte degli operatori del settore e
22
dell'opinione di esperti in materia di un provvedimento che portasse
finalmente a un assetto equilibrato dell'emittenza televisiva nazionale e locale,
nel 2004 è stata varata in via definitiva la legge n. 112 detta “legge Gasparri”.
Questa è stata una delle riforme più contrastate, contestata "in toto" dalle
opposizioni e dai movimenti, rinviata da Ciampi alle Camere, divenuta al suo
sesto passaggio parlamentare legge definitiva dello Stato. La riforma Gasparri
poggia su tre pilastri: un sistema integrato delle comunicazioni (formato da
stampa quotidiana e periodica, editoria annuaristica ed elettronica anche per il
tramite di internet, radio e televisione, cinema, pubblicità esterna, iniziative di
comunicazione di prodotti e servizi, sponsorizzazioni) su cui calcolare i tetti
antitrust e stimato in circa 26 miliardi di euro39; l'avvio del digitale terrestre; la
riforma della Rai radiotelevisione italiana. Il nuovo assetto prefigurato sulle
telecomunicazioni ha spaccato il paese. Intorno a un dibattito, il futuro da dare
all'informazione in un paese in cui vige un'anomalia politico-istituzionale
(l'allora premier a capo della principale azienda mediatica), si è consumata la
battaglia più dura, dopo quello sulla giustizia, tra la maggioranza e le
opposizioni. E ha rappresentato l'ennesima disillusione per chi, come i creatori
delle tv di strada, attendevano un riconoscimento legislativo alla loro
posizione.
Al momento la nuova maggioranza di governo sta predisponendo il disegno di
legge che porterà al superamento della discussa legge Gasparri. A tale
iniziativa le televisioni di strada ripongono molte speranze considerando anche
che l'attuale maggioranza, quando nel 2003 era opposizione, propose e riuscì a
fare approvare alla Camera un ordine del giorno a sostegno delle telestreet.
23
PARTE II
Capitolo Terzo
LE “TELESTREET”
3.1 Origine delle tv di strada: le tv comunitarie
Telestreet è la rete delle emittenti televisive indipendenti più piccole del
mondo. Si tratta di televisioni in grado di coprire con il proprio segnale aree
urbane estremamente limitate: una strada, una piazza, nei casi più fortunati un
intero quartiere. I nodi della rete di telestreet sono le televisioni di strada,
micro-emittenti televisive senza scopo di lucro, indipendenti, non
professionali, a conduzione rigorosamente volontaria. Rendere operativa una
televisione di strada non è un’operazione complicata; le conoscenze necessarie
a livello tecnico sono basilari e la tecnologia grazie alla quale è possibile
trasmettere è alla portata di molti gruppi di persone che intendano mettere in
piedi la propria telestreet. Grazie alla tecnologia digitale, infatti, con una spesa
limitata è possibile oggi installare il trasmettitore del segnale, l’antenna di
trasmissione, creare un piccolo studio di regia con videoregistratori, un
computer, un paio di monitor ed un piccolo mixer, ricreare uno studio
televisivo da cui trasmettere e far partire il segnale. Altrettanto importante
risulta il giusto posizionamento dell'antenna, finalizzato alla corretta copertura
dell'area interessata alle trasmissioni, nonché la scelta della frequenza
televisiva da “invadere”. Quest'ultimo aspetto non è di poco conto per un
principale motivo: il segnale di una tv regolare è notevolmente più potente,
quindi sovrapponendosi a un segnale attivo si finirebbe per disturbare
semplicemente le trasmissioni altrui (di conseguenza le telestreet si insinuano
nei “coni d'ombra” delle concessionarie di frequenze, quindi in quelle zone
non raggiunte dal segnale ufficiale). La scelta della frequenza da occupare
avverrà quindi dopo una serie di accurate ricerche “sul campo” volte a
verificare la zona adatta per l'installazione dell'antenna e per la trasmissione
dei programmi tv prodotti. Completato l'assetto funzionale sono necessarie le
telecamere per realizzare i servizi40.
Se a livello tecnologico le operazioni sono relativamente semplici (ovviamente
se realizzate da esperti in materia), i primi problemi si possono verificare al
momento della creazione di un palinsesto valido. Le televisioni di strada non
hanno come obiettivo quello di aggiudicarsi share o di vendere spazi
pubblicitari, quanto quello di riprendere la vita di quartiere e di rendere
24
partecipi gli abitanti di questa situazione creativa; l’obiettivo non è nemmeno
quello di trasmettere ventiquattr’ore su ventiquattro, né per più di poche ore
quotidiane.
Fino dai primissimi passi, dunque, la televisione di strada nasce da una
particolare spinta etica ad agire in gruppo con gli strumenti della
comunicazione digitale anche in assenza di un tornaconto economico.
Qualcosa che potremmo definire “volontariato audiovisivo”, un modo di
mettere a disposizione se stessi e i propri mezzi per dar vita con gli altri a un
spazio pubblico indipendente da partiti e mercato, dove sviluppare insieme
forme sperimentali di organizzazione ed espressione televisiva.
In molte parti del mondo le emittenti comunitarie si sono diffuse a partire dalla
fine degli anni Settanta. In Europa sono state interpretate come una reazione al
monopolio centralizzato e governativo della comunicazione da parte degli
Stati, e sono state promosse anzitutto dai movimenti politici di protesta. Nelle
Americhe, dove prevalevano le emittenti commerciali, le emittenti comunitarie
sono state costituite primariamente per sostenere lo sviluppo di aree rurali
disperse e offrire spazi espressivi alle popolazioni indigene.
Se il paese pioniere è stato l'Olanda, e in particolar modo la città di
Amsterdam, esistono molti altri modelli spesso diversi tra di loro, in Europa e
non solo, che possono dare concreto esempio di questo fenomeno. Nei paesi
scandinavi, in Austria, in Belgio, in Francia, in Gran Bretagna, in Germania, in
Spagna, in Canada, negli Stati Uniti, in Australia, in alcune particolari realtà
sudamericane, finanche in India. In Svezia, l'organizzazione Open Channel
(www.openchannel.se) ne tiene aggiornata una mappa europea e mondiale. Nel
campo delle tv indipendenti Amsterdam rappresenta il laboratorio pilota. Già
negli anni Settanta quello che è considerato il paradiso della socialdemocrazia
alternativa vedeva il proprio territorio urbano completamente cablato e su quei
cavi si sperimentavano i primi canali tv ad accesso pubblico. La popolarità dei
cosiddetti programmi pirata chiarì alle autorità cittadine di Amsterdam che era
necessario creare una cornice legale. La cornice emersa venne chiamata Open
Channel, amministrata da un'organizzazione nominata dal governo e chiamata
Salto41. Sicuramente il sistema di avanguardia di Amsterdam è stato l'unico in
grado di portare alcuni principi dell'anarchia della rete nel vecchio (ma ancora
largamente dominante) modello della trasmissione televisiva42. Ciò è stato reso
possibile da un concomitanza di condizioni speciali: oltre il 90% del Paese è
coperto dal cavo (dunque, chiunque possieda un televisore può ricevere i
canali aperti) e i costi per i fruitori sono deliberatamente molto bassi; ci sono
due canali aperti disponibili 24 ore al giorno, senza nessun controllo sulla
qualità e con ampie possibilità di trasmettere in diretta; esiste una disponibilità
di risorse e aiuti per chi voglia realizzare progetti più ambiziosi sotto l'aspetto
tecnico, artistico o sociale43.
25
Il caso olandese ci aiuta a concepire un passaggio dal modello dell'accesso
pubblico, dove un servizio dall'alto (o dal basso) è offerto acriticamente a tutta
la cittadinanza, al modello dell'accesso per comunità, in cui la televisione è
costruita dalle comunità per le comunità, rispettando per statuto tutte le
minoranze e assicurando spazi ai gruppi innovativi e creativi.
Fare una tv comunitaria a volte significa portare il motore delle comunità sulla
scena politica. La tv comunitaria può rivelarsi come un modo per liberare
l'autonomia del sociale, far saltare i recinti che delimitano certi ghetti
territoriali e politici. In particolari realtà del Sudamerica alcune riuscite
esperienze di mediattivismo riescono proprio ad unire le identità comunitarie,
le rivendicazioni sociali e le nuove forme di lotta politica. Gli esempi
potrebbero essere molteplici e spesso sconosciuti.
In Argentina nel 2003 è decollato il progetto della Tv Piquetera, una stazione
televisiva gestita dal movimento piquetero dei disoccupati e degli sfruttati, il
quale spesso, nelle sue manifestazioni, fa tesoro della concezione di
autogestione e autonomia da costruire nelle forme della società civile44. Anche
i piqueteros hanno compreso che raccontare la propria storia con il proprio
media significa pensare con una logica differente da quella che impone il
sistema. Partita ufficialmente con la prima trasmissione il 25 settembre 2003,
attualmente la Tv Piquetera trasmette a San Martìn, quartiere povero della
periferia di Buenos Aires. La programmazione giornaliera include servizi sui
blocchi dei piqueteros e sugli attacchi del governo al loro movimento,
sull'inquinamento da parte delle fabbriche, sull'insurrezione in Bolivia, sulla
guerra in Iraq, ma anche sui progetti per il quartiere come quello di un forno
popolare oppure lezioni di cucito e giardinaggio. L'obiettivo della Tv
Piquetera è di trasmettere in differenti quartieri con l'intenzione infine di
costruire un network comunitario di stazioni televisive che possano funzionare
autonomamente, sotto un più largo ombrello di collaborazioni e supporti
reciproci.
Un altro esempio di tv comunitaria, realizzata in maniera differente e
innovativa, riguarda gli ottomila abitanti di un piccolo paese dell'Austria,
Engerwitzdorf, che dalla fine del 2004 hanno cominciato a filmare, editare
news e produrre la loro tv locale. Buntes Fernshehen (tradotto, la tv multicolorata) trasmette notizie di politica locale, sport, eventi vari e qualunque
cosa i residenti del villaggio vogliano filmare e preparare per poter essere poi
guardato dagli altri loro concittadini. La filosofia è simile a quella di molte
televisioni di strada in cerca di frequenze da occupare, tuttavia stavolta cambia
il medium di diffusione: la tv di paese è visibile solo e rigorosamente sul
personal computer. Il progetto-pilota, ha avuto un boom imprevisto: nei primi
quattro mesi i cittadini di Engerwitzdorf hanno creato sessanta film-video oltre
a regolari notiziari sugli eventi della zona45.
26
3.2 Gli inizi dell'esperienza italiana delle tv di strada
Con un raggio d’azione di 300 metri circa e, inizialmente, un paio di programmazione giornaliere concentrate verso sera, il 21 giugno 2002 cominciò
l'avventura di Orfeo Tv (dal nome dell’omonima via) e con essa il tentativo di
costituire una rete di telestreet versione Italia. In passato vi erano già stati
esempi di tv di strada, in parte anche riusciti pur con durata limitata, ma per la
prima volta si cercava di strutturare una vera e propria rete delle telestreet sul
nostro territorio nazionale. A tale scopo è stato utilizzato un sito internet,
attraverso il quale illustrare nei dettagli lo spirito dell'iniziativa e soprattutto le
modalità di creazione autonoma di una tv di strada.
A ideare e tessere le fila del progetto intellettuali e attivisti quali Stefano
Bonaga, Franco “Bifo” Berardi, Giancarlo “Ambrogio” Vitali e Ciro D'Aniello
(con trascorsi in radio Alice) e un gruppo di ragazzi a supporto muniti di
telecamera. Tutti con un unico obiettivo: contestare la legge sulla concessione
delle licenze radio televisive e costruire un percorso a basso costo, largamente
praticabile e alternativo al duopolio Rai/Mediaset. Con questo programma il
gruppo bolognese ha pensato di dare vita a una TV comunitaria, autogestita, a
reale accesso collettivo46.
Da quell'esperienza coraggiosa dei reduci di Radio Alice si scatenò un
movimento di idee, azioni, proteste, eventi e quant'altro che portò Telestreet
alla ribalta delle più sensibili testate giornalistiche. Una prova, un
esperimento, niente più che una piccola televisione che interessava una sola
strada del quartiere. Un'audience piccolissima, ma con un valore simbolico
enorme: da quel momento potenzialmente ogni cittadino avrebbe potuto
esprimersi attraverso un canale proprio.
Dopo Orfeo Tv iniziò una lenta ma costante replica da parte di altre realtà
sparse in Italia. Nel corso degli anni sono nate decine di tv di strada, piccoli
universi comunicativi che solcando l'etere, indipendenti e autonomi, e
attraverso nuovi linguaggi e nuove forme di comunicazione, sono andati
suggerendo come il concetto di televisione potesse essere ampliato.
Una delle prime a seguire la telestreet bolognese fu Telefabbrica (tra i creatori
vi era un collaboratore di Orfeo Tv trasferitosi in Sicilia per lavoro) che
approfittando della precaria situazione degli abitanti/operai della Fiat di
Termini Imerese di quei giorni decise di dar spazio alle voci inascoltate di
coloro che si trovarono tutto in una volta senza lavoro.
La dimostrazione dell'impatto di questa iniziativa fu data dal fatto che dopo
solo tre giorni intervenne la polizia postale a chiudere i battenti della piccola
emittente. Una piccola voce che si ribellava a questo silenzio evidentemente
dava un fastidio inversamente proporzionale all'ampiezza del raggio di
trasmissione di Telefabbrica (poche centinaia di metri).
Nel frattempo si organizzava il primo meeting delle tv di strada: Eterea. Lo
27
storico incontro avvenne al Teatro Polivalente Occupato di Bologna il 14
dicembre del 2002. Fu un evento più partecipato del previsto, servì alle varie
tv sia per conoscersi che per promuovere il progetto47.
Vi fu persino chi pensò di creare una telestreet di livello istituzionale, ossia
l'amministrazione del Comune toscano di Peccioli (provincia di Pisa, poco
meno di cinquemila abitanti).
Nessuna regione d'Italia venne risparmiata dal virus etereo di Telestreet, tanto
che Iride tv diede l'opportunità di portare le immagini delle telestreet sul
satellite, in occasione della Festa Nazionale de l'Unità a Bologna del settembre
2003. Ma all'indomani di questa iniziativa il ministero si fece risentire. Disco
Volante (realizzata dai disabili e dagli operatori del laboratorio artistico
"Studio Zelig" di Senigallia, provincia di Ancona) venne chiusa e il suo
trasmettitore subì i sigilli del ministero. Nello stesso momento avvisava che
sarebbero intervenuti anche nella tv di Peccioli (ciò che poi avvenne, ma i
funzionari inviati dal ministero fecero un viaggio a vuoto non essendoci
impianti attivi di trasmissione)48.
Seguirono altri incontri tra i “telestreetari” per discutere dei nuovi avvenimenti
e per programmare le mosse future. Si organizzò in tal senso un secondo
grande meeting nazionale, stavolta a Senigallia (proprio la città di
DiscoVolante); Eterea 2 ebbe luogo nel marzo del 2004.
3.3 Orfeo Tv
Entrando in via Orfeo, un forestiero come lo scrivente ha idea di immergersi
nella Bologna tanto amorevolmente descritta da scrittori e cantautori, la
Bologna che fu. Una viuzza a senso unico, sostenuta ai lati dai noti portici
sotto i quali si presentano una serie di piccoli negozi. Mentre cerco il numero
civico indicatomi per l'appuntamento, noto che i campanelli delle case (non le
definirei palazzi) esprimono l'autentico significato di “città universitaria”, con
la presenza di quattro o cinque nomi in ognuno di essi, dalle origini più
svariate. E' questo il contesto nel quale operano i volonterosi creatori di Orfeo
Tv, primo esempio italico di televisioni miniaturizzate al livello di quartiere, o
anche meno.
Mi riceve Ciro D'Aniello, 54 anni, ex-membro di Radio Alice, il quale mi fa
accomodare nella sede della tv. E' una saletta di circa 18 metri quadri alla
quale va aggiunto un ulteriore spazio retrostante.
In breve tempo ci raggiungono diverse persone tra i 25 e i 55 anni, tra le quali
Giancarlo “Ambrogio” Vitali. Il gruppo finale è composto da nove persone
(una presenza femminile), me compreso. La riunione del gruppo organizzativo
di Orfeo Tv dura circa tre ore, durante le quali si spazia dalla situazione
normativa attuale e le proposte utili per la legale operatività delle telestreet da
presentare alla nuova maggioranza parlamentare, alle iniziative di
28
mediattivismo in giro per l'Italia e l'Europa nelle quali portare il nome di Orfeo
Tv, al resoconto di partecipazioni passate e gli elogi ricevuti per il proprio
lavoro, alle idee future di lavoro. In appena tre ore di discussione gli otto
volontari della prima telestreet italiana hanno messo sul tavolo proposte di
lavoro che ricoprono mesi e mesi di fatica. E per molti di essi non è l'impiego
principale, è semplicemente una passione a cui dedicano una parte della loro
giornata.
Le due interviste che seguiranno, l'una a Giancarlo “Ambrogio” Vitali, l'altra a
Ciro D'Aniello, necessitano un passaggio descrittivo sulla storia movimentata
di Radio Alice.
Ideata nel 1975 nel periodo di nascita delle radio libere, Radio Alice iniziò a
trasmettere il 9 febbraio 1976 sulla frequenza FM 100.6 MHz. Sede della radio
fu un appartamento di via del Pratello, Bologna. La piccola emittente
radiofonica dell'"ala creativa" del movimento studentesco volle farsi portavoce
della "comunicazione liberata": di qui le decisioni di aprire il microfono a
chiunque e di trasformare la radio in strumento di produzione culturale
attraverso l'organizzazione di concerti e di raduni giovanili.
La radio venne chiusa dall'irruzione della Polizia il 12 marzo 1977, con
l'accusa di avere diretto via etere i violenti scontri seguiti all'assassinio dello
studente Francesco Lorusso per mano dei Carabinieri. I redattori della radio
che non riuscirono a fuggire durante l'irruzione negli studi furono arrestati. Per
la prima volta nella storia repubblicana una testata radiofonica fu soppressa
per mano militare49.
La radio riprese le trasmissioni poco tempo dopo, per poi concludere la propria
esperienza con alterne vicende interne entro breve, come tante altre radio
libere nate negli anni '70.
Ci sarebbe tanto da dire e discutere riguardo l'esperienza di Radio Alice. Mi
limito a trascrivere una nota presente nell'opera di Berardi e Guarneri “Alice è
il diavolo”50, sintomatica dello spirito che allora animava, e tuttora anima, i
protagonisti: “Non esiste copyright su questa pubblicazione. Si diffidano però
tutte le società che lavorano per la costruzione e il mantenimento di una
'società orientata verso una comunicazione di tipo chiuso' a farne liberamente
uso.”
3.3.1 Intervista a Giancarlo “Ambrogio” Vitali
Giancarlo Vitali, detto “Ambrogio”, tra i fondatori di Radio Alice, ha
concepito e dato vita a “Orfeo Tv”. Ha lavorato a disegni di legge tendenti a
legalizzare le street tv (anche in vista della prossima discussione sulle
modifiche alla legislazione radiotelevisiva) e a favorire, con l’avvento del
digitale, la nascita di un nuovo mezzo di comunicazione, la tv comunitaria ad
29
accesso pubblico. Oggi si occupa di informazione pubblica presso la Regione
Emilia Romagna.
Di seguito sono riportate le parti salienti dell'intervista ad Ambrogio Vitali,
realizzata da Iride Tv durante la Festa nazionale de l'Unità svoltasi a Bologna
nel settembre del 2003.
Intervistatore: Come nasce l'esperienza di Orfeo Tv e di Telestreet?
Ambrogio: Orfeo Tv nasce a partire dal fatto che Silvio Berlusconi vince le
elezioni, diventa primo ministro e diventa padrone della comunicazione in
Italia, non solo televisiva ma anche quella sui quotidiani e le maggiori case
editrici. Questa è una cosa che a noi ha preoccupato e spaventato moltissimo,
quindi abbiamo tentato di trovare una risposta all'impotenza che
quotidianamente vivevamo rispetto a questo problema, cioè rispetto alla
questione della libertà dell'informazione e della democrazia dei mezzi di
comunicazione che erano improvvisamente scomparse dal nostro Paese.
Rispondere a questa impotenza è significato inventarci un modello nuovo di
comunicazione, una piccola emittente televisiva che copre un'area minima, e
tuttavia capace di raccogliere attorno a sé tutte le forze migliori, giovani
giornalisti, giovani montatori, giovani operatori che altrimenti sarebbero
rimasti isolati; riunire queste forze per fare una piccola emittente televisiva,
naturalmente avendo ben presente che sarebbe stata la prima di molte emittenti
televisive, le quali poi si sarebbero collegate fra loro attraverso internet e
avrebbero costruito un network di televisioni di strada, di piccole televisioni di
quartiere, a volte anche di paese.
Ci siamo moltiplicati. Oggi siamo più di cento in tutta Italia, da Torino a
Palermo, contiamo di proliferare ancora, contiamo di collegarci l'uno all'altro,
contiamo di fare un network capace alla fine, forse, di produrre
quotidianamente un segnale che finisca magari sul satellite e che sia magari
visibile in tutta Europa. Questo è il nostro progetto.
I: Attualmente quindi sono già ben cento le emittenti. Però ricordiamo
qual è il raggio d'azione di ognuna di queste emittenti.
A: Dipende dalle ambizioni che ognuno di noi ha. Basta aumentare la potenza
dell'amplificatore che si arriva da poche centinaia di metri a molti chilometri e
quindi si tratta di capire in quali zone si lavora, perché ci sono zone in cui ci
sono molti canali liberi, e altre zone come le città in cui i canali liberi sono
pochissimi. A Gaeta per esempio c'è una tv di strada che adesso copre tutto
paese, sedicimila abitanti, e hanno fatto di questa emittente la loro emittente
principale.
I: Qual è il limite per non violare la legge in queste tv di strada?
A: Noi violiamo la legge già nel momento in cui nasciamo, perché la legge
Mammì punisce la detenzione degli apparati di trasmissione senza concessione
30
televisiva, anche se non funzionanti. Da sei mesi a un anno di galera, che poi
la galera non esiste, quindi si arriva a una multa. Però tieni conto che è un
anno e mezzo che trasmettiamo e l'Escopost non ci ha neppure mai telefonato.
E' evidente che la situazione è per la giustizia, per il potere imbarazzante
rispetto la nostra iniziativa, perché noi siamo protetti dall'articolo 21 della
Costituzione che garantisce la nostra libertà di espressione. Al tempo stesso
non produciamo danno ad alcuno, nel senso che trasmettiamo in coni d'ombra
cioè senza disturbare nessuno. Quindi diventa molto difficile nel caso si
andasse a processo per i nostri nemici condannarci. Arriveremmo alla Corte
Costituzionale e probabilmente la Corte Costituzionale ci darebbe ragione.
Questa forse è la ragione per cui non ci denunciano in modo che questa
sentenza non venga mai emessa. Abbiamo fatto di tutto per essere denunciati,
non ci siamo mai riusciti. Speriamo che presto qualcosa succeda in questo
senso.
Noi viviamo come dentro a un torrente, che è il torrente delle vite collettive
che si srotolano giorno per giorno nelle città, nelle campagne, nei paesi e
insieme a loro, insieme alla gente che vive quotidianamente la propria vita la
raccontiamo, diamo voce a chi voce non ha da molto tempo in Italia. E sarà
sempre peggio, perché basta guardare cosa sta accadendo in Parlamento. Sta
per passare una legge che ridurrà ulteriormente gli spazi di libertà e di
democrazia sul terreno della comunicazione, quindi all'erta, è guerra aperta
quotidiana al monopolio dell'informazione, ed è quello che noi pratichiamo
quotidianamente, non diciamo e basta, pratichiamo. E questo è un invito che
facciamo a tutti, a tutti coloro che hanno tante idee ma poi rimangono idee
espresse ma non praticate. Si tratta oggi di praticare tutto ciò che parla di
libertà e di democrazia perché noi stiamo perdendo sia l'una che l'altra.
I: Cosa trasmette in questo momento una tv di strada?
A: Noi in questo momento trasmettiamo tutto ciò che è notizia emergente in
Italia e nel mondo e perfino nel quartiere. Trasmettiamo le lotte che stanno
conducendo nel nostro quartiere per salvare un giardino da una speculazione
edilizia, parliamo di ciò che sta succedendo in Iraq, parliamo del grande
dittatore che vuole estendere la guerra in tutto il mondo, parliamo del nostro
primo ministro che riduce i magistrati e la magistratura a una razza
incomprensibile, parliamo delle nostre vite, di quello che desideriamo, di
quello che vorremmo che accadesse, parliamo delle nostre speranze e
facciamo parlare soprattutto la gente, le persone che vivono nelle nostre città,
nei nostri paesi. Diamo voce a chi voce non ha più, ripeto, perché in un Paese
in cui c'è di fatto un monopolio, e sarà sempre peggio lo ripeto, non c'è più né
libertà né democrazia e questo per noi è del tutto inaccettabile; e ripeto sarà
guerra aperta a tutto questo, con le forze che abbiamo, con le energie che
abbiamo, naturalmente, e in modo del tutto legale o illegale laddove però non
31
usiamo proiettili ma parole, immagini e suoni.
I: Cosa ne pensa del progetto che aleggia sui giornali di una televisione
che non sia del duopolio Rai-Mediaset?
A: Ne penso benissimo. Come dicevo prima, il network delle telestreet sta
lavorando a un progetto di televisione per tutti che sarà emessa attraverso un
satellite, quindi ricevibile in tutta Europa, e ripresa speriamo da molte
televisioni locali. E' un progetto che però riteniamo possibile a partire da una
precondizione che è questa: che tutte le forze democratiche che oggi stanno
parlando di questa necessità, cioè di aprire una televisione, quindi un mezzo di
comunicazione di massa che possa dire quello che sta accadendo nel nostro
Paese e nel resto del mondo, raccolga e metta insieme tutte le forze che stanno
lavorando a un progetto di questo tipo. Non possono nascere una, due, tre,
quattro televisioni. Ne può nascere una sola e sarà già difficile farne nascere
una. Quindi uniamo le forze che stanno discutendo di questa possibilità,
mettiamo insieme le forze dell'associazionismo, del volontariato, del terzo
settore, mettiamo insieme molti intellettuali e molti artisti che hanno dato la
loro disponibilità a lavorare per un progetto di questo tipo, mettiamo insieme
tutte queste forze e allora, forse, avremo la possibilità di presentarci davanti al
Paese e chiedere al Paese e quindi agli italiani di aiutarci a realizzare questo
progetto. Questo progetto è una necessità assolutamente indispensabile e credo
che gli italiani capiranno, ma capiranno solo se riusciremo a mettere insieme
tutte le forze democratiche sensibili a questo progetto. Se saremo divisi non
nascerà nessuna televisione. Questo è il messaggio delle televisioni di strada a
tutto il resto del mondo affinché nasca davvero e non a parole un nuovo mezzo
di comunicazione che sia capace di fare informazione democratica, seria,
rigorosa, sincera, onesta, altrimenti non nascerà nessuna televisione.
I: Le strade sono due: o un finanziamento o un azionariato popolare.
Quale delle due forme potrebbe essere la migliore?
A: Io penso che ci sia una sola possibilità: quella di creare le condizioni di
rappresentanza culturale e politica e di capacità produttiva, quindi tanti volti,
tante forze, tanti soggetti collettivi che intorno a un tavolo possano presentarsi
al Paese dicendo italiani, aiutateci a fare ciò che oggi è necessario. Quindi io
credo che l'unica possibilità che noi abbiamo sia quella di coinvolgere gli
italiani democratici, sensibili a questo problema, che ci possano dare una
mano comprando un'azione. Centomila cittadini che comprino un'azione da
cinquanta euro, ma potrebbero essere duecentomila, trecentomila,
cinquecentomila, perché no? Io non credo che ci siano altre possibilità. Se
entrassero grossi capitali in questo progetto, i grossi capitali alla fine
chiederebbero il conto. E noi crediamo sia meglio costruire una televisione che
sia dei cittadini piuttosto che di qualche industriale o di qualche banca.
32
3.3.2 Intervista a Ciro D'Aniello
Diversi giorni dopo aver assistito alla riunione del gruppo di lavoro di Orfeo
Tv (19 settembre 2006), ho rincontrato nello stesso luogo Ciro D'Aniello, il
quale cortesemente ha risposto ad alcuni miei quesiti inerenti l'attività di
quella che viene indicata come il primo vero esempio di telestreet italiana.
Terminata l'esperienza di Radio Alice e attraversate diverse esperienze
lavorative, Ciro è giunto a ricoprire il ruolo di videomaker documentarista. Si
è occupato di organizzazione di eventi teatrali e di rassegne cinematografiche,
con l'attenzione sempre rivolta verso la ricerca di contenuti e linguaggi. “In
questo progetto ci sono arrivato perché quando ho sentito parlare della
possibilità di una tv di strada, quindi di riprendere quel filo che si era interrotto
con la radio, riprenderlo col mezzo televisivo, quando c'è stata questa ipotesi
io ho pensato fosse il continuum di quella situazione”, afferma Ciro riguardo
ciò che ha scaturito il suo coinvolgimento nella iniziativa della telestreet Orfeo
Tv.
Intervistatore: Rispetto alla data ufficiale di inizio trasmissioni, il 21
giugno 2002, quando è nata l'idea di Orfeo Tv?
Ciro: Qualche mese prima. L'idea della tv di strada è nata da Ambrogio Vitali,
uno degli animatori di Radio Alice negli anni '70.
Agli inizi un partecipante dell'esperienza di Radio Alice (quello che
predispose il trasmettitore per la radio), ora ingegnere, ha modificato una
semplice centralina di antenna condominiale trasformando il ricevitore in
trasmettitore. Poi un antennista ha montato l'antenna in cima al palazzo in cui
è situata la nostra sede. Noi cercavamo degli attrezzi che fossero di facile
reperimento sul mercato, che non costassero molto, quindi accessibili a una
stragrande maggioranza di persone, e facilmente assemblabili. Queste tre
condizioni sono state individuate negli strumenti che utilizziamo.
I: Perché la tv analogica?
C: Siamo partiti da un fatto specifico: in Italia la formazione delle opinioni
non passa attraverso la carta stampata. L'80% della popolazione italiana
guarda la televisione analogica. Il nostro interesse era intervenire su quella
popolazione, su dove la popolazione forma la propria opinione, su dove si
forma questo cervello sociale. Questo era l'analogico, era il più semplice,
arrivava in tutte le case, era aperto a tutti, potevamo con i nostri coni d'ombra
creare una rete enorme che avrebbe potuto costituire un canale, un network e
quindi andare veramente a intervenire su quello che era l'opinione della gente,
perché bastava che schiacciasse il pulsante dove c'era la tv di strada e aveva un
altro tipo di informazione.
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I: Si possono quantificare il raggio d'azione della tv e la popolazione
ipotetica raggiunta?
C: Il nostro raggio è di un chilometro. Il nostro è una quartiere ad alta densità
abitativa, per cui arriveremo a circa 3.000/3.500 persone. Non sappiamo
quanta gente guarda Orfeo Tv, anche perché non ci interessa conoscerlo. Più
che alla visione della stessa, a noi interessa che le persone vengano qua a
“fare” la tv.
I: Da quante persone era composto il nucleo originario di Orfeo Tv?
C: Eravamo in sette/otto persone. L'età si attestava intorno ai cinquanta anni,
eravamo per lo più dei partecipanti all'esperienza di Radio Alice. Nel
momento in cui siamo partiti però c'è stato un grosso richiamo di molte
persone che hanno caratterizzato l'intergenerazionalità, dai ventenni ai
sessantenni. Alle prime riunioni di redazione, formatosi il gruppo degli
“interessati” all'iniziativa di circa trenta persone, succedeva che mentre si
cercava di non stabilire gerarchie interne o individuare leader da seguire, c'era
la tendenza dei più giovani ad ascoltare maggiormente gli “anziani”. Abbiamo
cercato di impedire questo cercando di stimolare le proposte e i gruppi di
lavoro. Un'altra cosa importante è stato il fare una copia delle chiavi della sede
per tutti i presenti alle riunioni di redazione, in modo che chiunque potesse
entrare in qualsiasi momento per andare sulle macchine e trasmettere. Questo è
stato esplosivo, ha rotto tutte quelle gabbie che potevano crearsi all'interno
delle riunioni. Il nostro concetto era la condivisione delle tecnologie e
condivisione dei saperi senza leve di potere per condizionare l'espressione.
I: Da che ambiti sociali derivano i volontari di Orfeo Tv?
C: Di ogni tipo, studenti, operai, liberi professionisti, esperti di video, donne
poche purtroppo. I tre quarti degli attuali partecipanti si sono avvicinati
all'esperienza di Orfeo Tv assolutamente a digiuno di qualsiasi tipo di
conoscenza tecnica, del linguaggio video. Ora ognuno di essi ha delle
competenze nel campo audiovisivo. Alcuni di loro partecipano con le loro
produzioni a vari festival e rassegne con prodotti molto elaborati, ben fatti. Per
alcuni è diventato l'impiego principale.
I: Quanto e cosa trasmette Orfeo Tv?
C: Dipende. I programmi variano molto, non c'è un vero palinsesto. Dipende
dalla volontà di chi viene qua, non c'è un vero direttore. Il materiale è
trasmesso 24 ore, però varia il contenuto a seconda di chi c'è in sede. Il
materiale utilizzato è creato da noi oppure da altre tv, piccole produzioni
indipendenti o cose interessanti trovate su internet riguardanti la situazione
internazionale. Così creiamo una playlist di circa sei/sette ore trasmessa
ciclicamente. Per le nostre produzioni stiamo molto attenti alle richieste che ci
giungono. A volte capita che persone ci interpellino riguardo dubbi o
incertezze su particolari argomenti, ad esempio prima del referendum sulla
34
legge 40 del 2004 riguardante la procreazione medicalmente assistita. Da lì,
impostando con queste persone un percorso di ricerca, siamo partiti per un'indagine in un centro della nostra città dove si effettuava procreazione assistita e
alcune incongruenze che c'erano in questo centro. Effettuiamo servizi anche
senza input esterni, dove la situazione cittadina ci stimola a intervenire.
I: Durante la vostra attività, avete instaurato rapporti con le istituzioni
locali?
C: Con il sindaco precedente non avevamo nessun tipo di rapporto. Con
questo, a parte un rapporto iniziale pre-elettorale in cui il sindaco attuale
venne a cercarci, venne a cercare le varie realtà che c'erano sul territorio
bolognese, non c'è stato nessun tipo altro di rapporto. Noi abbiamo avuto due
incontri sul tema della comunicazione con l'assessore all'urbanistica e il
responsabile della comunicazione per Cofferati. Ai tempi non c'era ancora un
delegato della giunta alla comunicazione. In un incontro abbiamo parlato della
possibilità di fare una televisione civica nell'area metropolitana di Bologna,
con il nostro metodo; una televisione per la cittadinanza che non sia
espressione del Comune ma che sia una cosa “in comune”. Abbiamo
ragionato attorno questo tema a lungo per arrivare alla conclusione che poi
Cofferati e il suo delegato hanno su questa cosa una visione completamente
diversa. Loro intendevano una televisione simil-commerciale. Comunque la
televisione civica fa parte delle nostre progettualità e cerchiamo di riproporla
in vari modi. Noi siamo ripartiti in quella direzione proponendola al Quartiere.
Abbiamo proposto di costituire un punto dell'informazione aperto ai cittadini,
cioè fare in modo che alcune attività o informazioni del Quartiere passino
attraverso una televisione di strada.
I: Vi sono stati rapporti con i partiti politici e con i cosiddetti
“movimenti”?
C: Non ci interessano. Noi siamo aperti a tutti ma non andiamo a cercare
nessuno.
I: Avete avuto problemi di natura legale? Sono mai venuti a bussare alla
vostra porta?
C: Nei primi sei mesi in cui siamo nati, e quindi c'eravamo solo noi, ci siamo
posti questo dubbio: o siamo una cosa talmente piccola e insignificante che
non ci considerano, o siamo una cosa talmente grande da non toccarci. La
nostra potenza è di 0,07 mW, un po' di più di un walkie-talkie, e magari ci
ritenevano insignificanti, oppure l'atto simbolico che esprimevamo era
talmente ampio, alto e profondo che hanno preferito non intervenire.
Nel 2003 c'è stato un ordine del giorno approvato dalla Camera e firmato da
99 parlamentari, mentre si discuteva la legge Gasparri, in cui si decideva che
non ci sarebbe stata nessun tipo di azione nei confronti delle televisioni di
strada fino a che non venisse regolamentato il fenomeno. Nonostante questo
35
ordine del giorno delle chiusure ci sono state; però avvalendosi del fatto di
avere una bassa potenza, di non essere inquinanti o interferenziali, di avere
una caratteristica comunitaria di rapporto con il territorio, i giudici che hanno
dovuto dare pareri a questo riguardo hanno sempre scagionato gli autori.
I: Davanti alle nuove frontiere tecnologiche come vi posizionate?
C: Noi non abbiamo una web tv, ma come Orfeo Tv abbiamo una
autorizzazione per la produzione di contenuti per il digitale terrestre per la
regione Emilia-Romagna, ottenuta con una richiesta al Ministero. Il canale per
la trasmissione non l'abbiamo perché costa diverse decine di migliaia di euro.
Ma a noi non interessa fare il digitale terrestre per Orfeo Tv, perché visti anche
i costi non ce lo possiamo permettere. Noi ci finanziamo con piccoli lavori
offertici.
I: Se ipoteticamente lo scenario legislativo non dovesse mutare, cosa
avverrebbe con il totale passaggio al digitale terrestre nel 2012?
C: Avremo tutti i canali dell'etere liberi per noi.
I: Quali sono le proposte delle telestreet riguardo la legislazione sulle
telecomunicazioni? Qual è il vostro obiettivo massimo e di cosa vi potreste
accontentare?
C: Noi non ci accontentiamo mai. Noi vogliamo cercare di avere sempre di più
perché è una questione di rispondere a un bisogno e a un diritto. Le condizioni
che poniamo affinché il discorso delle tv di strada o comunque l'accesso alla
comunicazione abbia un che di praticabile, è equiparare il diritto all'accesso ai
canali delle comunicazioni come un diritto dell'uomo, al pari del diritto alla
salute e all'istruzione. E' un diritto che ogni cittadino deve avere. Finché
questo diritto non verrà formalizzato, continueremo a chiedere sempre il
massimo.
Quello che chiediamo per il dopo legge Gasparri è l'apertura al territorio dei
mezzi di comunicazione comunitari, delegando a questo scopo una parte delle
dislocazioni regionali della Rai nonché il 10% delle frequenze totali.
Chiediamo che il 20% del canone pubblico che venga messo a disposizione
delle realtà che si occupano della comunicazione comunitaria. Si dovrebbe
pure far convergere una percentuale del monte pubblicitario alla
comunicazione comunitaria.
Teniamo anche presente che non tutte le situazioni sono equiparabili alle
grandi città, il nostro Paese è formato da migliaia di piccoli Comuni disposti
anche in situazioni geografiche particolari. Non tutti sono coperti da
frequenze, ce ne sono moltissime libere. A tale riguardo noi proponiamo che
da qui al 2012 si arrivi a una legislazione tramite la quale potere aprire canali
per fare comunicazione comunitaria.
I: Come dovrebbe essere gestito il tutto una volta ottenuto?
C: Ci sono già degli strumenti preposti per la regolamentazione delle
36
frequenze. Chiaramente auspicando che ci siano delle presenze che tengano
conto di questa nuova realtà sorta negli ultimi anni.
I: Che differenze sono intercorse fra la prima e la seconda edizione di
Eterea?
C: Eterea 1 è stata un'esperienza fantastica perché fu un momento di apertura
verso la gente, fatta a Bologna con più di 400 persone al TPO nel dicembre
2002. Dopo la nostra nascita e nei sei mesi successivi si erano create diverse
telestreet sul territorio nazionale. Ci fu una tensione notevolissima per i due
giorni in cui svolse; ascolti, presenza, interesse fortissimi. Successivamente
realizzammo un video di circa un'ora a riguardo della guerra in Iraq e
decidemmo che il 22 febbraio le tv lo avrebbero trasmesso
contemporaneamente. Da quel momento è nato il circuito telestreet.
Eterea 2 è stata realizzata nel 2004 a Senigallia; a Senigallia perché vi era stata
la vicenda di Disco Volante. A differenza della prima edizione, ossia un
momento di apertura nei confronti dei media, della politica, delle
organizzazioni, fu un momento di visione del proprio interno. C'erano due
linee: da un lato il tentativo di costituire un network più coeso e strutturato e
dall'altro il continuare a ributtare la visione sull'esterno. Eterea 2 è stata in
parte una sorta di sconfitta per il movimento perché non ha creato una reale
elaborazione costruttiva.
I: Che momento sta attraversando il fenomeno telestreet?
C: Siamo a una fase strana. Di nuovo c'è un interesse da parte dei media
internazionali, non di quelli nazionali. Il dibattito interno al circuito è molto
stimolato in seguito alla richiesta al Ministero di intervenire sulla legislazione.
Dal punto di vista produttivo anche. E' una fase di transizione verso qualcosa
di più strutturato. Almeno mi auguro sia così perché sennò non avrebbe più
senso. Diciamo che abbiamo raggiunto la maggiore età, si deve capire che si
vuole fare “da grandi”.
3.3.3 Spunti di riflessione
Le due interviste appena esposte ci permettono di individuare alcuni punti
salienti dell'azione delle telestreet. Partendo da una base ideologica ben
definita (la contrapposizione alla legge Gasparri, intesa come pietra tombale
delle libertà di informazione ed espressione, e la difesa delle libertà stesse
sancite dalla Costituzione italiana) sono messe in atto azioni concrete volte a
“scardinare” l'impianto legislativo in via di consolidamento. Utilizzando mezzi
tecnologici limitati anche finanziariamente, si tenta di invadere in campo della
tv analogica mirando a strappare ad essa una porzione di utenza propensa a
ricevere una informazione di tipo alternativo. Tralasciando fin da subito
qualsiasi obiettivo di audience, la produzione di contenuti spazia dalle
tematiche locali a quelle internazionali, il tutto autoprodotto o mutuato da altre
37
realtà affini.
Tramite il largo utilizzo di internet i filmati sono messi a disposizione di
chiunque aderisca al circuito di tv indipendenti. La condivisione e
l'interscambio di materiale divengono fondamentali per l'attività delle
telestreet e da tale consapevolezza sorge l'obiettivo più ambizioso della
creazione di un network stabile del movimento, sia a base nazionale che
internazionale (individuando pure la modalità dell'azionariato popolare come
il più adatto allo scopo e al mantenimento dell'indipendenza dal mercato e dai
“poteri forti”). Quindi una vera e propria tv dal basso che ribalta il concetto di
tv tradizionale, basata sui grandi capitali, condizionata dalla politica e dal
mercato e realizzata da professionisti della comunicazione.
Tuttavia il percorso verso una proficua stabilità del sistema telestreet appare
ancora tortuoso e ciò risulta evidenziato dagli intervistati. La flessione del
fermento ideologico avvenuto tra la prima e la seconda edizione di Eterea è
vissuta con preoccupazione dai promotori dell'iniziativa, tanto che Ciro
D'Aniello giunge a definire il momento attuale come di “transizione” fra una
prima fase delle telestreet e una seconda ancora tutta da scoprire e soprattutto
da pianificare.
3.4 Isola Tv
Il quartiere Isola è ubicato a sud della Stazione Centrale, a poca distanza da
via Melchiorre Gioia, ampia strada di scorrimento interno della città. La
peculiarità del quartiere Isola è data da confini ben precisi, tracciati dai binari
del treno che lo racchiudono in una forma ed un'identità marcata rispetto al
resto della città. La sua localizzazione centrale, le dimensioni e l'accessibilità,
lo hanno reso appetibile e quindi fatto considerare una risorsa strategica per
orientare lo sviluppo della città. A tale riguardo, la chiusura a fine anni ’90
delle fabbriche e il ridimensionamento degli scali ferroviari sono stati
un’occasione per ripensare i circa 6 milioni di mq a nuove attività e servizi.
Alcune parti di quest’area si sono riattivate in modo spontaneo, come la
centenaria fabbrica chiamata Stecca degli Artigiani, parte del complesso
industriale Tecnomasio Brown Boveri, un residuo del passato industriale di
Milano che si scorge tra i due giardini di Via Confalonieri. Fino al 2001,
dentro alla Stecca, sono stati presenti le attività di una ventina di artigiani, un
pittore, due associazioni e la sede del PRC51.
L'appuntamento con Fausto Trucillo, uno degli animatori della fu telestreet
milanese “Isola Tv”, è fissato in via Gaetano de Castilia il giorno 21 settembre
2006. Giungendo da via Gioia, si abbandona il caotico traffico cittadino con
solo un paio di curve. Via de Castilia è a senso unico, stretta, senza parcheggi
utili per i non residenti (e così parecchie vie attorno). Si notano palazzi
moderni adibiti a uffici, affiancati da palazzi un po' più datati, residenziali. I
38
negozi sono quasi assenti, vi sono un paio di trattorie. L'appuntamento è
davanti a una di esse. L'ampio parco pubblico antistante è compreso fra una
vasta area adibita e pronta per l'innalzamento di uno stabile e uno stabile eretto
ma ormai fatiscente, la Stecca. Incontratomi con Fausto ci dirigiamo all'interno
della Stecca, sede di Isola Tv. La sala riservata all'iniziativa è ampia, almeno
40 metri quadri, e sono presenti alcune decine di sedie, sintomo dello
svolgimento di riunioni affollate.
Fausto, 27 anni, in passato si è occupato di cooperazione con i paesi in via di
sviluppo con diverse ONG (Avsi, Calcutta project e Coopi); attualmente
lavora per Falacosagiusta, una fiera del consumo consapevole.
3.4.1 Intervista a Fausto Trucillo
Intervistatore: Come è nata Isola Tv?
Fausto: Il primo maggio del 2003 è nata l'idea di Isola Tv. Il gruppo iniziale
era il mio gruppo di amici, miei coetanei, ed era una quindicina di persone.
Con il mio gruppo di amici, con le persone che frequentavo, avevamo voglia
di fare qualcosa, non qualcosa di preciso, avevamo voglia di “impegnarci”.
Avevamo pensato di fare una radio perché ci piaceva. Magari una radio su
internet perché sapevamo che era abbastanza facile, poi abbiamo visto il sito
di telestreet, di Orfeo Tv, e abbiamo visto che c'era questa possibilità.
Tra di noi c'erano due o tre persone esperte di video, ma ben presto si sono
staccate. Nel frattempo hanno formato nuove persone sopraggiunte dopo
l'avvio del progetto. Io stesso non sapevo fare nulla riguardo il video; ho
imparato a riprendere e montare. Altri sono autodidatti che hanno usufruito
della esperienza di Isola Tv per imparare a fare qualcosa di nuovo.
Sul sito sembrava abbastanza semplice la trasmissione; questo secondo me è
uno delle “pecche” dell'organizzazione di telestreet. Uno dei primi problemi è
stato proprio il fatto che sembrava fin troppo semplice fare una televisione. Poi
risulta difficile trovare persone che ne capiscano di tecnologia analogica, che
siano disposti a venire in spazi che spesso sono spazi sociali come il nostro.
Questa è una ex fabbrica ed era previsto venisse abbattuta per far posto a un
progetto inerente la zona da qui fino alla stazione Garibaldi. Il progetto si
realizzerà, solo che nel frattempo sono sorti una serie di comitati, per rivedere
il progetto. Si è iniziato a occupare questo spazio un po' come “grimaldello”
per riuscire a migliorare il progetto, a far sentire la voce del quartiere
all'interno del progetto e tutto sommato ci stiamo riuscendo. Uno dei modi per
farlo è stato visto la realizzazione di una televisione di quartiere.
I: Quanto tempo è intercorso fra l'ideazione e l'effettiva realizzazione?
F: E' passato un anno. L'antenna l'abbiamo messa in un paio di mesi, però il
primo anno è stato completamente contrassegnato da tentativi di trasmissione,
potenziando il segnale, modificando alcuni particolari, organizzandoci per fare
39
finanziamento per l'acquisto di nuovi apparecchi, pareri, ecc. Il costo totale
delle attrezzature si è aggirato sui 2.000 euro.
Nel periodo in cui non riuscivamo a trasmettere, facevamo serate in uno spazio
della struttura mostrando i nostri video. L'attività di produzione video è partita
subito, ad esempio abbiamo fatto serate al Milano Film Festival. Abbiamo
fatto una serie di eventi che poi, in qualche modo, sono parte del nostro
percorso.
Dal punto di vista tecnico è stato un insuccesso, perché di fatto anche quando
abbiamo iniziato a trasmettere abbiamo visto che tutto sommato il riscontro
non era adeguato.
La zona è difficilissima, Milano è “piatta”. Noi siamo l'edificio più basso di
una zona molto bassa. Con le trasmissioni, se si arrivava alle case qui di fronte
era già molto. Il raggio era di circa 200/300 metri, per una popolazione
ipotetica di qualche centinaio di persone.
I: Avevate contatti diretti con la gente?
F: Avevamo contatti perché qua ogni seconda settimana del mese facevamo un
mercato biologico. Durante il mercato trasmettevamo all'interno della Stecca e
la gente guardava, vedeva, magari andava a casa e provava.
Magari se ne è parlato più di quanto poi siamo riusciti a trasmettere.
I: Quindi c'era curiosità all'esterno?
F: Sì, ma quando ci siamo resi conto che al massimo raggiungevamo 200
persone, tanto valeva fare una serata tutti insieme nella nostra sala.
I: Ciò che ha causato l'interruzione del progetto è stato più un problema
di struttura interna o una sopraggiunta delusione per l'esiguo numero di
persone raggiunte con la tv?
F: I progetti sociali o in generale di volontariato, dopo due/tre anni o si
esauriscono o si strutturano. Noi non siamo riusciti a strutturarci. Ognuno ha
preso nuove strade, siamo rimasti in pochi, ci siamo integrati ad altre attività di
questo luogo.
Al di là del non riuscire a trasmettere in maniera continuativa, l'altro grande
problema rimaneva il palinsesto.
I: Il palinsesto era formato solo di materiale vostro o reperivate video
anche da altri?
F: Utilizzavamo internet per trovare nuovo materiale, ad esempio su
NGVision, però il palinsesto non durava più di due ore e veniva magari
ripetuto una paio di volte la settimana. E' un limite, delude questa cosa perché
l'obiettivo che ci si pone è il riuscire a imitare la televisione. Di fatto si capisce
che non è umanamente possibile; soprattutto in Italia, nel senso che magari in
inglese si potrebbe riuscire a mettere insieme un bel po' di materiale, mentre in
italiano la produzione è stata abbastanza scarsa, i mezzi di condivisione non
sono stati approfonditi. Si è sempre parlato nelle riunioni con le altre
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televisioni di strada di utilizzare dei sistemi di scambio del materiale, del
girato, non solo del montato.
I: Quanto è durato il periodo di trasmissione?
F: E' durato circa sei mesi.
I: Vi sono stati i rapporti con le istituzioni locali e con i partiti politici?
F: Inesistenti. Noi non abbiamo cercato loro e loro non hanno cercato noi.
I: Avete avuto problemi di natura legale? Sono mai venuti a bussare alla
vostra porta?
F: Noi commettevamo due crimini: uno, stare in questa stanza; il secondo,
trasmettere. Forse è più grave l'occupazione di questo posto che trasmettere.
Magari il fatto che trasmettessimo poteva dare più fastidio come idea che altro.
I: Quali sono le prospettive future del fenomeno telestreet, anche alla luce
delle probabili modifiche che saranno apportate alla legge Gasparri?
F: Io penso che la televisione di strada ha avuto senso per due anni, dal 2002
al 2004, perché si stava ponendo il problema della legge Gasparri. In quel
contesto tecnologico la tv di strada era un qualcosa che andava a scardinare il
tutto. Alla base vi erano implicazioni filosofiche, anche politiche, abbastanza
potenti, per cui l'iniziativa poteva dare fastidio in determinati contesti.
Essendo non una guerra ma una guerriglia, essendo la comunicazione non fatta
in maniera strutturata ma in maniera tattica, la comunicazione e il modo di
lavorare devono evolversi. A seconda delle condizioni, la comunicazione deve
cambiare. Adesso c'è la possibilità della banda larga, il download dei video è
ora abbastanza agevole, c'è uno standard di compressione. Non siamo più a tre
anni fa quando era necessario l'analogico, siamo passati al digitale. E' stato
veloce questo passaggio, per cui non so che senso abbia una legge riguardante
anche le telestreet e l'occupazione di frequenza quando si sta passando al
digitale terrestre e all'ampliamento delle frequenze. Anche se il costo per un
canale digitale è elevato, è comunque meglio di un canale in analogico, molto
più costoso o addirittura impossibile da ottenere.
Una battaglia per la telestreet in questo momento non so che senso possa
avere, sembra quasi la conservazione di se stessi. Sarebbe invece interessante
ripensare agli obiettivi da raggiungere e soprattutto che siano realistici. Se
l'obiettivo fosse il raggiungere l'anziana signora con l'analogico e magari
questa non ti guarderebbe comunque, allora tanto vale cercare di raggiungere
il giovane col video. Ha poco senso fare una cosa giusta che nessuno vede. Ci
sono delle possibilità adesso interessanti come il podcast video. Le persone
potrebbero scaricare un video e guardarlo direttamente sul loro lettore IPod,
come su un cellulare. Siamo agli inizi di questo fenomeno, però sono
prospettive future da tenere in considerazione. Se in questo momento fossimo
ancora attivi, con i soliti problemi di trasmissione, di cono d'ombra troppo
intasato, magari proveremmo una di queste strade. Ad esempio una cosa che
41
stiamo provando è la condivisione della banda larga col wireless, cercando
tramite questa la condivisione dei video. Però riguardante questa ipotesi ci
sono problemi di natura legale.
Io non mi fossilizzerei su una questione che era anti-Berlusconi, antimonopolio di un determinato periodo storico.
I: Avete partecipato alle iniziative di Eterea?
F: Alla seconda, ai tempi della prima non eravamo ancora nati. Fino a Eterea 2
il movimento ha funzionato abbastanza bene, poi si è disgregato, la mailing
list era ingovernata...
I: Secondo te c'è differenza tra realizzare una telestreet in una cittadina
invece che in una città metropolitana come Milano?
F: Sì. Certi aspetti del quartiere Isola ci avvicinano alla cittadina, il fatto di
essere “chiusi”, lo scambio di opinioni con le persone. Però c'è una differenza
abissale. Qua probabilmente si hanno anche più stimoli a fare delle altre cose.
Credo che noi, per tutta l'esistenza di Isola Tv, siamo stati attratti dagli stimoli
esterni più di quelli che abbiamo creato noi. Gli stimoli esterni sono quelli che
hanno portato a separarci. In un contesto più piccolo sei tu che dirigi, che dai
lo stimolo e sei l'innovatore.
3.4.2 Spunti di riflessione
La scelta di contattare un responsabile di una telestreet non più attiva permette
di affrontare in modo migliore le problematiche legate all'iniziativa. Isola Tv,
nata sulla linea di Orfeo Tv dalla volontà di alcuni attivisti di quartiere,
almeno sulla carta deteneva un elemento aggiuntivo che avrebbe dovuto
determinare una riuscita dell'iniziativa, ossia la consolidata realtà di
associazionismo e di contatto con la gente in cui ci si inseriva. Ciononostante
l'esperienza si è esaurita in breve tempo.
Oltrepassati i primi ostacoli di natura tecnica (anche se su questo tema
vengono mosse critiche ai promotori delle telestreet per la descrizione troppo
semplicistica di questo aspetto), i volontari di Isola Tv si sono resi conto di
cosa significhi operare in un “cono d'ombra”, soprattutto per quanto concerne
il limitato raggio d'azione. A differenza dei responsabili di Orfeo Tv, i quali
ritengono più importante l'aspetto ideologico rispetto a quello operativo, gli
esponenti di Isola Tv hanno ritenuto lo sforzo profuso per la telestreet non
adeguato al risultato concreto. L'esiguo numero di utenti raggiunti è stato uno
dei fattori determinanti la conclusione dell'esperienza di tv di strada.
Non solo; Fausto Trucillo individua anche nella debole struttura organizzativa
del movimento una grave carenza, nonché la tendenza a prestare troppa
attenzione alla comunicazione tramite la tv analogica a discapito di altre forme
comunicative digitali comparse recentemente. Sempre a detta di Trucillo,
proprio su questo tema andrebbe posta una particolare attenzione, cercando di
42
individuare strade diverse e al passo coi tempi per raggiungere l'obiettivo di
una informazione alternativa adeguatamente diffusa.
Dall'intervista emerge un ulteriore elemento di notevole interesse per l'analisi
dell'universo telestreet: la differenza tra l'operare in un contesto metropolitano
rispetto a un contesto di provincia. Il responsabile di Isola Tv pone l'accento
sugli stimoli territoriali, ricevuti e/o creati dall'individuo coinvolto
nell'iniziativa. Sicuramente il rapporto fra tv di strada e zona operativa risulta
un argomento importante di riflessione e non lo si può certo limitare nel
concetto di “stimoli ambientali”. Per tale motivo si rimanda all'ultimo capitolo
l'analisi più dettagliata di questa tematica.
3.5 Altri esempi di telestreet
A partire dal 2002 le telestreet italiane si sono sviluppate in modo omogeneo?
A prima vista sembrerebbe di sì, soprattutto basandosi sulle parole di chi
promuove il movimento. Tuttavia approfondendo la ricerca di esempi a livello
nazionale, ci si imbatte in un mondo variegato con molte sfaccettature e casi
particolari.
Di seguito riporto diversi casi di tv di strada apparsi negli ultimi anni, alcuni
ancora attivi, altri terminati o di sconosciuto destino. La mia elencazione si
suddivide in cinque differenti categorie: le telestreet “classiche”, che si
pongono in linea con lo stile di Orfeo Tv, nate e basate su un gruppo
autonomo di volontari; le telestreet legate ad associazioni preesistenti, quindi
con basi più solide e orientate a tematiche specifiche del settore di
competenza; le telestreet parrocchiali, nate per espressa volontà dei sacerdoti e
di naturale finalità religiosa; le telestreet che oltrepassano l'ambito del
quartiere, sfruttando particolari condizioni locali di non affollamento
dell'etere; le telestreet “atipiche”, che pur elaborando un proprio format di tv
di strada, hanno in comune con le telestreet classiche l'idea di “un'altra tv”.
Per ragioni di spazio si citano solo alcuni degli esempi più significativi apparsi
nel corso del tempo. Per una elencazione più completa e approfondita nelle
descrizioni si consiglia la consultazione della rivista Inchiesta n° 15252
dedicata interamente alla realtà delle tv di strada.
A) Telestreet “classiche”
1. Telefabbrica (Termini Imerese, Palermo)
Telefabbrica ha iniziato a trasmettere sabato 30 novembre 2002 per
documentare le storie dei lavoratori della Sicil Fiat in un momento di lotta per
il diritto al lavoro. L'obiettivo era essere presente quotidianamente in una
situazione che i media avevano evidenziato solo nei momenti di massima
tensione e che stavano lentamente abbandonando.
43
Telefabbrica ha occupato un canale televisivo libero di Termini (Uhf 31). La
televisione di strada è stata realizzata da un gruppo aperto di persone che
gratuitamente prestavano il loro tempo e il loro lavoro, con costi di
realizzazione di circa 50 euro al giorno e un raggio di trasmissione di poche
centinaia di metri.
A differenza di altre telestreet, Telefabbrica è stata tempestivamente oscurata
pochi giorni dopo aver iniziato l'attività. Bilancio finale: meno di dieci ore di
trasmissione. L'ordinanza di disattivazione del trasmettitore da parte del
Ministero delle comunicazioni contestava l'accensione di un impianto
trasmittente senza autorizzazione governativa. In un comunicato i responsabili
di Telefabbrica hanno dichiarato che “in un momento così drammatico per
Termini Imerese e per tutti gli operai Fiat la preoccupazione maggiore del
Ministero delle comunicazioni è stata quella di chiudere l'unico canale che
senza filtri dava voce agli operai.”
Ciononostante dopo qualche tempo Telefabbrica ha ripreso le trasmissioni.
2. Insu^Tv (Napoli)
L'idea della telestreet Insu^Tv è nata nel 2003, durante l’attacco della
coalizione USA/GB all’Iraq. Il primo prodotto è stata una fiction, “la Famiglia
pace”, la narrazione ironica di una famiglia, mamma, figlie, figlio, nonna tutti
impegnati a contestare la guerra. Lo spot, circolato in tv locali campane e via
internet, reclamizzava una manifestazione tenutasi il 22 marzo 2003, dinanzi
all’insediamento NATO di Bagnoli. Successivamente il gruppo ha iniziato ad
accumulare esperienza e a procurarsi gli apparati utili alla trasmissione
televisiva.
Il 20 febbraio 2004, le prime trasmissioni sono iniziate grazie a un impianto di
4 watt. Da allora, 24 ore su 24, la tv ha trasmesso video autoprodotti, i
materiali d’archivio presenti nell’archivio di NewGlobalVision e tutte le
autoproduzioni giunti in redazione.
Dopo alcuni mesi la telestreet è passata ad un trasmettitore di 20 watt che
colma a pieno il cono d'ombra disponibile, irradiandosi su tutto il centro della
città di Napoli, da Capodimonte, ai Camaldoli, al corso Vittorio Emanuele
passando per il centro storico. Insu^Tv in questi anni ha coltivato anche il
percorso artistico dedicando attenzione e spazio alla cinematografia e alla
documentaristica indipendente, collaborando con molte realtà diverse e
partecipando a vari momenti espositivi.
3. Ombra Tv (Ferrara)
L'avventura di Ombra Tv finì ancora prima di iniziare. A fine 2003, in pieno
boom del fenomeno telestreet, Massimiliano Fiorillo di Ferrara pensò di creare
una tv di strada nella zona compresa fra via Bologna e viale Krasnodar, per un
raggio di circa un chilometro e un potenziale bacino di utenza di qualche
44
migliaio di abitanti. Non vi era solo la curiosità di creare qualcosa di nuovo in
zona; proprio in quei mesi si stavano evidenziando le conseguenze del
fallimento di una impostante impresa del comparto provinciale (la
CoopCostruttori di Argenta). L'intento iniziale era di dare voce ai cittadini che
si erano ritrovati senza lavoro e senza garanzie economiche future a causa
della perdita dell'impiego e dei risparmi prestati alla cooperativa.
Fiorillo aveva trovato la collaborazione di un esperto in video per le riprese e
per il montaggio, ma il tutto si arenò. Gli ostacoli decisivi riguardarono il
reperimento del luogo da adibire a sede, nonché il coinvolgimento di volontari
nell'iniziativa. Per far fronte a tali problematiche, Fiorillo si rivolse anche a un
importante partito presente sul territorio, il quale avrebbe avuto le potenzialità
per sostenere il progetto. Purtroppo per gli ideatori di Ombra Tv anche questo
tentativo fallì e con esso il progetto della telestreet ferrarese.
B) Tv legate ad associazioni preesistenti
1. Telecitofono (Reggio Emilia)
Con il contributo dell’Ateneo di Modena e Reggio, l'associazione Culturale
SX Studenti Universitari, è stata realizzata nel 2004 una piccola emittente
televisiva con la caratteristica di rivolgersi attivamente a una fetta di città. Il
segnale è stato diffuso nella zona del centro storico. Tra gli obiettivi ideali alla
base dell'iniziativa vi è il tentativo di dare un contributo alla reinvenzione
della sfera pubblica. A tale scopo i volontari della telestreet hanno richiesto
esplicitamente la collaborazione dei cittadini interessati tramite l'invio in
formato Vhs di videoclips, filmati o documentari.
In seguito al trasferimento della sede l'associazione ha interrotto le
trasmissioni. Uno dei responsabili, Massimo Bassi, afferma che i componenti
hanno iniziato a sperimentare “nuove forme di espressione”.
2. Anelli Mancanti Tv (Firenze)
Anelli Mancanti Tv è nata nel 2003 con l'appoggio all’associazione
interculturale Anelli Mancanti O.N.L.U.S., attiva dal 1997 a Firenze sui
problemi della prima accoglienza e dell’alfabetizzazione dei cittadini
immigrati. Organizza ciclicamente trasmissioni-evento autoprodotte e propone
un laboratorio di produzioni audiovisive per gli immigrati del quartiere.
L'animazione culturale e territoriale è l'idea fondante dell'iniziativa e a tale
scopo i servizi principali trasmessi da Anelli Mancanti Tv riguardano gli
eventi e le iniziative organizzate dall'associazione stessa. Il palinsesto è
“atipico”, infatti non vi è una cadenza quotidiana di trasmissione; i video
autoprodotti sono visibili ogni giovedì sera nella zona di Via Palazzuolo (dove
è situata l'associazione) sulla frequenza 60.
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3. Disco Volante (Senigallia, Pesaro)
La tv di strada Disco Volante è nata a Senigallia nella primavera del 2003,
all'interno di un laboratorio artistico autogestito da un gruppo di persone
disabili denominato Studio Zelig, presente sul territorio del Comune di
Senigallia da diversi anni. Su proposta di Franco Civelli, un disabile di 65 anni
membro dello Studio, si è pensato di creare uno strumento di comunicazione
che potesse mettere in contatto più direttamente il gruppo di lavoro dello
Studio con la comunità cittadina e gli abitanti del quartiere, abbattendo così la
barriera comunicativa che si oppone ad una piena partecipazione alla vita
sociale da parte delle persone disabili.
Le attrezzature elettroniche necessarie per coprire l'area del quartiere Rione
Porto oggetto delle trasmissioni avevano una capacità di 0,07 watt, non
comportavano alcun inquinamento elettromagnetico ed escludevano anche
eventuali interferenze con le trasmissioni di altre emittenti. I servizi
riguardavano le problematiche del quartiere e della città, le barriere
architettoniche che ostacolano la libertà di movimento dei disabili, le
condizioni di vita degli immigrati extra-comunitari, la condizione giovanile e i
problemi ambientali. La particolarità di molti di tali servizi stava nel fatto che
erano realizzati con l'attivo contributo dei disabili stessi, i quali non si
limitavano così a costituire l'argomento delle trasmissioni ma erano i
protagonisti della pratica di comunicazione. Spesso erano i cittadini del
quartiere a proporre l'argomento di alcune trasmissioni, realizzando così quel
rapporto orizzontale tra emittente e ascoltatori che era uno degli scopi
principali del progetto della telestreet.
Il 19 settembre del 2003, dopo nemmeno tre mesi di trasmissione, nella sede di
Disco Volante sono intervenuti funzionari del Ministero delle comunicazioni
con un'ordinanza di chiusura. Il trasmettitore della tv è stato sigillato. Il 21
luglio 2004 è stato notificato agli operatori della telestreet un avviso di
garanzia relativo all'istruzione di un processo penale per il reato di
trasmissione abusiva (a seguito di questi avvenimenti, l'iniziativa del circuito
delle telestreet “Eterea 2” si è svolta proprio a Senigallia).
Nella primavera del 2005 il Gip del tribunale di Ancona ha prosciolto dalle
accuse Disco Volante Tv la quale ha poi ripreso le trasmissioni.
C) Tv parrocchiali
1. Giovanni Paolo Tv (Parrocchia San Paolo apostolo, Parma)
Giovanni Paolo Tv (in onore di papa Wojtyla) è nata recentemente da un
desiderio di Don Francesco, parroco della chiesa di San Paolo a Parma. L´idea
che molti credevano impossibile da realizzare è diventata realtà grazie ad
alcuni volenterosi devoti. Attualmente la televisione è sintonizzata sul canale
17 ed è visibile grazie a una piccola antenna e per un limitato raggio. Il
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progetto che don Francesco ha in mente è quello di estendere Giovanni Paolo
Tv a tutta la città; impresa complicata, ma sono già stati avviati i lavori per
metterla in atto. Al momento la tv trasmette la Santa Messa della domenica e
notiziari riguardanti la vita parrocchiale, ma i volontari si stanno impegnando
per la realizzazione di altre trasmissioni.
2. Tele-Osservanza (Parrocchia dell'Osservanza, Cesena)
Sulla scia di Giovanni Paolo Tv e con lo slogan “Tele-Osservanza... la tv della
speranza!!!”, domenica 24 settembre 2006 è stata inaugurata Tele-Osservanza
con la trasmissione in diretta della Messa e con la presentazione del progetto
da parte del parroco e dei collaboratori. Vi è stata anche la visita guidata alla
sede e alle attrezzature: un’antenna di trasmissione con potenza inferiore al
watt, un modulatore di frequenza, un dvd/videoregistratore e una normale
telecamera. Il segnale sfrutta un cono d’ombra sul canale 70 esteso per il
raggio di circa un chilometro intorno alla chiesa.
Tele-Osservanza punta a essere un servizio della e per la parrocchia, aperto
alla collaborazione di tutti nel rispetto delle regole comuni. Nel proprio
palinsesto prevede la trasmissione della messa giornaliera e dei vespri mirata
alle persone che non si possono muovere di casa, del notiziario parrocchiale e
degli avvisi vari, delle immagini dei vari gruppi che compongono la
parrocchia.
D) Tv che oltrepassano l'ambito del quartiere
1. TMO (Gaeta, Latina)
Tele Monte Orlando è nata a fine 2002 grazie alla collaborazione fra Antonio
Ciano, tabaccaio cinquantenne, e un giovane antennista dilettante. La prima
immagine mandata in onda è stata una pernacchia di Edoardo De Filippo.
Fin dall'inizio l'obiettivo non è stato quello di trasmettere a una parte della
popolazione, ma coprire l'intero ambito comunale. Nei primi tempi le
trasmissioni riguardavano film o programmi estrapolati dal satellite, poi lo
sguardo si è concentrato sulla realtà circostante. Sono stati trasmessi consigli
comunali, interviste alle autorità e a semplici cittadini, servizi dell'ambito
culturale, storico, religioso e sportivo.
La lotta “contro l'apatia sociale” di TMO si è scontrata un giorno di fine luglio
del 2006 con un’ordinanza del Demanio che imponeva lo stop alle
trasmissioni. L'installazione del ripetitore su terreno demaniale stava alla base
della motivazione. Immediatamente è stata organizzata una petizione con la
susseguente raccolta di tremila firme in appena tre giorni. Venerdì 4 agosto il
segnale di TMO si è riacceso. Attualmente il ripetitore di TMO usufruisce
dell'ospitalità di privati, sulle pendici di Monte Orlando, poco più su della
vecchia postazione.
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2. Astuta Tv (Castelbuono, Palermo)
Castelbuono è un paesino di circa diecimila abitanti con un'ampia tradizione di
radio libere (Radio Castelbuono Alternativa, Radi(o)azione, Radio Antenna
Italia, Radio Castelbuono Centrale), ognuna in totale autonomia dall’altra, con
trasmissioni da zone differenti del paese, ognuna con un proprio palinsesto,
ognuna con una sua fetta di pubblico affezionato.
Lo stesso spirito di iniziativa comunicativa verificatasi a cavallo tra gli anni
'70 e '80, a più di vent'anni rivive con l’associazionismo di Astuta Tv. Il 22
ottobre 2004 alle ore 21-00 la telestreet castelbuonese, dopo due mesi di
sperimentazioni e prove tecniche, è comparsa nei televisori locali sul canale
28. Nella piazza centrale del paese è stato allestito uno stand con un paio di tv
(di cui una simbolicamente spenta) per assistere in diretta all’evento.
Tutto è nato grazie a Giuseppe Castagna, fotografo, il quale leggendo sui
giornali di esperienze di tv dal basso, ha colto l'idea di applicare il modello
telestreet a Castelbuono che puntasse alla partecipazione di tutti, proponendo
servizi, programmi di vario genere, corti, cartoni animati, telecronache
sportive, dirette, esperimenti di candid camera, tutto materiale il più possibile
autoprodotto e basato sul volontariato.
E) Telestreet “atipiche”
1. Minimal Tv
La Minimal TV ha debuttato a Vinci dal 23 al 26 luglio 1996 (chiamandosi
Vinci Minimal TV), come produzione del Giallo Mare Minimal Teatro in
occasione del festival "Multiscena: rassegna di eventi ed arti sceniche",
trasmettendo ogni sera dalla Biblioteca Leonardiana di Vinci su tre monitor e
un videoproiettore collocati in zone strategiche dell'area del castello.
La trasmissione Minimal TV avveniva via cavo su alcuni monitor disposti per
strada o in alcuni luoghi pubblici in occasione di sagre di paese, mostre d'arte,
promozioni commerciali all’interno di ipermercati, eventi di strada, feste
private, matrimoni ecc., ossia durante lo svolgimento di un evento che
coinvolgesse in maniera particolare i partecipanti.
La filosofia alla base del progetto è stata "La tv è di chi la fa", e infatti con la
Minimal TV chiunque, almeno per un giorno, poteva progettare la sua rete
privata. I temi e l'orario di trasmissione erano adattabili ad ogni tipo di
esigenza: dal serio al comico, dal commerciale al politico, dallo
sperimentalismo artistico alla didattica.
Con la Minimal TV si voleva dimostrare che ogni evento può trasformarsi,
artigianalmente, in un evento televisivo, nel quale però, a differenza di quanto
avviene nella tv, il pubblico viene realmente coinvolto diventandone
protagonista e produttore. Infatti le trasmissioni sono state realizzate attraverso
l’intervento continuo dei telespettatori e i palinsesti subivano continui
48
stravolgimenti per adattarsi agli stimoli nati lavorando insieme alla gente del
luogo e ai passanti.
Non si è a conoscenza dell'attuale situazione di operatività di Minimal Tv.
2. Teletorre19 (Bologna)
Teletorre19 è una tv condominiale nata il 10 dicembre 2001 da un'idea di
Gabriele Grandi in un fabbricato di 18 piani, per un totale di 72 famiglie e 170
abitanti. Contando sull'elevato livello di convivenza tra i condomini, è stato
sufficiente collegare un videoregistratore ad un modulatore di frequenza e
trasportare via cavo il segnale modulato alla centralina d'antenna. In questo
modo il segnale è stato considerato dalla centralina di antenna come un
normalissimo canale televisivo e trasmesso in tutti gli appartamenti.
Grazie all'autorizzazione della SIAE, Teletorre19 ha potuto subito trasmettere
film 24 ore su 24 fornendo un servizio interessante, curioso e divertente.
Inoltre in breve tempo, è stato costituito un gruppo di condomini responsabile
della ideazione, realizzazione e gestione di un notiziario settimanale chiamato
"FinestrAperta".
Da Gabriele Grandi perviene un dato curioso. Per diverso tempo Teletorre19 si
è ritenuta la prima tv condominiale italiana, fino a giungere a conoscenza di
una analoga iniziativa risalente a circa 30 anni prima: la televisione
condominiale che ha strappato il primato a Teletorre19 si chiamava
Telemilano e l'ideatore era Silvio Berlusconi.
3. Comune di Peccioli (Pisa)
Alla fine di luglio 2003 l'amministrazione comunale di Peccioli ha avviato,
prima in Italia, una sperimentazione organizzata a livello istituzionale di
radiodiffusione televisiva con carattere comunitario.
L'impianto trasmittente adottato a Peccioli era assolutamente non
professionale e poteva essere captato solo a poche centinaia di metri. Durante
la sperimentazione sono state riportate in diretta TV due serate teatrali
all'aperto e il progetto sarebbe entrato in fase operativa con le diretta della
messa, del consiglio comunale e la differita delle feste rionali. Nel frattempo
erano in preparazione alcuni percorsi formativi destinati al coinvolgimento di
tutti i cittadini interessati alla realizzazione del palinsesto di Peccioli TV. In
quei giorni è pervenuto al sindaco, da parte del Ministero delle comunicazioni,
l'ordine di disattivazione in via amministrativa dell'impianto, con data
esecutiva indicata per il 26 luglio.
Attualmente pur essendo presente nel sito dell'amministrazione comunale di
Peccioli il link al sito della tv civica, esso appare inattivo.
49
Capitolo Quarto
QUALE FUTURO PER LE TV DI STRADA?
Nate per contrastare lo spettro dell'omologazione culturale e della parzialità
dell'informazione, le telestreet hanno dovuto incassare una buona dose di
censura da parte dei principali mass media. Fin da subito le tv nazionali si
sono ben guardate dal pubblicizzare troppo questo fenomeno emergente di
concorrenza dal basso, facendolo restare un prodotto “di nicchia” di pochi
volonterosi sempre più isolati. Eppure le premesse per la propagazione del
movimento vi erano tutte, e in parte vi sono state. Cosa ha provocato l'arresto
della diffusione delle telestreet nel territorio italiano? Quanto hanno inciso a
tale riguardo i fattori interni al movimento e quanto quelli esterni? Quanto
incide la collocazione territoriale di una telestreet sulla sua crescita e capacità
di coinvolgimento?
Per rispondere ai quesiti occorre innanzitutto tenere presente che la creazione
di una telestreet non è un compito semplice e necessita mesi di accurata
preparazione. E non è neppure sicuro che si riesca a raggiungere l'obiettivo.
Per quanto sia complicato contattare o solo venire a conoscenza delle tv di
strada operanti in Italia, gli sconosciuti ma di certo esistiti tentativi nulli di
creazione di una telestreet sono ancora più complicati da scovare. Un esempio
precedentemente citato riguarda Ombra Tv di Ferrara, rimasta solo sulla carta
in quanto l'ideatore Massimiliano Fiorillo non è stato in grado di sopperire alla
mancanza degli spazi necessari (oltre alla assenza di collaborazione delle forze
politiche locali, ma su questo argomento vi giungeremo innanzi). Di certo
esempi del genere sono presenti un po' su tutto il territorio nazionale; non
appare infatti sostenibile la tesi secondo cui a un tentativo corrisponda un
successo.
Accantonando i tentativi falliti e concentrandosi sulle realtà divenute
operative, si possono individuare alcuni fattori comuni utili a tracciare un
percorso tipico di creazione di una tv di strada.
Dal punto di vista operativo la nascita di una telestreet dipende almeno da
quattro elementi: uno spazio da adibire a sede, un cono d'ombra disponibile
adeguato ai propri obiettivi, una sufficiente dotazione tecnologica (per riprese,
montaggio e trasmissione) e un congruo numero di volontari (tra i quali
almeno un esperto in materia). Contestualmente agli aspetti logistici, avviene
una sorta di “inquadramento” del campo d'azione occupato dalla tv dal punto
di vista ideologico e la conseguente bozza di palinsesto. Dal capitolo
precedente si deduce come la forma originaria della tv di strada influisca
decisamente sul palinsesto proposto. Telefabbrica, Disco Volante, Tele
Osservanza sono esempi evidenti su come possa essere diversificata l'offerta
50
comunicativa. Ciò avviene per il semplice motivo che la telestreet nasce come
ed è un megafono per una parte dell'opinione pubblica. E' lo spazio per chi ha
qualcosa da dire, in cui si affronta un'ampia varietà di temi, dal quartiere alla
situazione internazionale. Per quanto riguarda le tematiche locali vi è un
rapporto diretto con la gente, la presenza sul territorio è potenzialmente
quotidiana; la telestreet non rappresenta nell'immaginario collettivo una tv
“calata dall'alto” bensì è la tv della e fatta dalla gente. Risulta possibile
interagire con chi fa la tv, suggerire tematiche e magari divenire parte
integrante della fase di realizzazione del prodotto. Questo è un aspetto che
indubbiamente va a modificare alla radice il tradizionale concetto di utente
televisivo passivo.
Una volta reperito lo spazio fisico per operare e individuate le tematiche da
affrontare entra in gioco l'aspetto tecnico: la qualità tecnologica a disposizione
andrà a influire notevolmente sul servizio offerto. Un'adeguata potenza del
segnale erogato permette la copertura dell'intero cono d'ombra autoassegnatosi
e la buona visione dei programmi; un adeguato valore tecnico delle
strumentazioni adibite alla ripresa e al montaggio garantiscono una migliore
qualità del prodotto finale.
Risulta ovvio che non tutti i volontari abbiano già maturato le necessarie
conoscenze tecniche prima di avventurarsi nella creazione di un prodotto
televisivo. Ogni telestreet nasce con il supporto di almeno un esperto in
materia al quale si affiancano individui anche all'oscuro di competenze
specifiche. Avviene in tal modo un passaggio di conoscenze tecniche che
produce una crescita delle potenzialità della tv di strada e un vantaggio
individuale dato dall'apprendimento di nuove competenze professionali (fino a
giungere al caso di componenti di Orfeo Tv i quali hanno tramutato una
passione in professione).
Ma un palinsesto che garantisca una sufficiente regolarità di trasmissione e
una varietà di argomenti proposti è difficilmente realizzabile del tutto con le
proprie forze. A tale proposito sono apparsi siti quali NGVision.org e
Arcoiris.tv per mezzo dei quali è possibile scambiare i filmati autoprodotti con
altre realtà operanti nel campo della comunicazione indipendente. Da questo
lato il movimento telestreet si sta muovendo per rafforzare la collaborazione
interna e per porre le basi per una struttura più stabile; le nuove tecnologie
digitali contribuiscono a far uscire dall'isolamento chiunque sia disposto a
condividere le proprie idee e i propri prodotti, sia individualmente che in
equipe.
A fronte di questa iniziale mobilitazione “dal basso” per realizzare un progetto
di tv alternativa, negli ultimi due anni è intervenuta una sostanziale flessione
del numero di tv di strada nel territorio nazionale. Dopo una prima fase di
fermento ideologico e di attivismo individuabile tra il 2002 e il 2004
51
(coincidente con la discussione della proposta di legge Gasparri), è
sopravvenuta una fase di appannamento del movimento, già palesatasi durante
la seconda edizione di Eterea.
Sul sito www.telestreet.it è stato recentemente pubblicato l'esito di un
questionario proposto nel 2005 alle tv di strada. Le risposte al questionario
ideato dai responsabili di Orfeo Tv sono state solo 27, rispetto alle 107
telestreet individuate nel corso del tempo. Se ai due totali si tolgono le sei tv
"nuove" apparse in occasione del questionario, ammontano a 21 le tv
rimanenti; quindi solo un 20% ha resistito nei propri intenti. Nove delle
ventuno tv non trasmettono per motivi inerenti al troppo impegno o al calo di
entusiasmo, a problemi legali o a problemi tecnici. Da qui si arriva al dato che
solo un 12% dei nuclei è arrivato a trasmettere ed a mantenere una
programmazione costante nel tempo. Riguardo al dato geografico, i gruppi che
hanno risposto si trovano: otto al nord (1 in Liguria, 5 in Emilia-Romagna, 1
in Piemonte, 1 in Lombardia), nove al centro (6 in Toscana, 2 nelle Marche, 1
nel Lazio) e nove al sud (5 in Campania, 2 in Calabria, 2 in Sicilia). I numeri
riguardanti il questionario sono sostanzialmente confermati dalla ricerca
pubblicata recentemente dalla rivista Inchiesta 53, la quale sposta di un anno in
avanti la validità dei dati esposti. Dove possono essere ricercate le ragioni di
questo trend?
Prendendo spunto dagli esempi illustrati nel capitolo precedente, non appare
esserci un rapporto diretto tra ampiezza di raggio di trasmissione e durata delle
stesse, ma è indubitabile che questo possa avere un certo peso psicologico sui
promotori dell'iniziativa. Per quanto inizialmente l'obiettivo principale sia
“trasmettere”, giunge sempre il momento in cui ci si pone il quesito del
numero effettivo degli utenti raggiunti. Trucillo di Isola Tv pone l'accento su
questo aspetto per quanto riguarda le cause dell'interruzione delle trasmissioni.
Per i volontari milanesi è stato preferibile ripiegare su serate organizzate
presso la propria sede in cui visionare collettivamente i video prodotti
piuttosto che impiegare notevole tempo in più per raggiungere lo stesso
numero di persone individualmente. Comunque la ricaduta di questa
problematica non appare generalizzabile; magari questo fattore può influire al
momento in cui sorge l'idea di creare una telestreet, ma una volta resa
operativa la struttura l'ampiezza del cono d'ombra risulta meno decisivo. Al
limite l'estensione del raggio d'azione può indirizzare la scelta dei contenuti da
proporre, a seconda che si tratti di una tv di quartiere, di condominio o diffusa
su tutto il territorio comunale (nelle piccole realtà).
Neppure la realtà territoriale di città o di provincia in cui si trova immersa una
telestreet appare un dato rilevante per l'interruzione delle trasmissioni. Per
quanto siano più numerosi gli esempi di tv di strada nelle città capoluogo (pur
con i relativi inconvenienti di affollamento dell'etere e di limitati coni d'ombra,
52
bilanciati dalla maggiore densità abitativa), anche nelle piccole realtà
perdurano esempi di telestreet. Uno fra tutti TMO Gaeta, la quale trasmette da
alcuni anni e ha pure creato un legame affettivo con la popolazione locale.
Quindi se l'ampiezza del raggio d'azione e la collocazione territoriale non
risultano fattori determinanti per la chiusura di una tv di strada, le cause
principali possono essere individuate nelle seguenti.
Prima causa e probabilmente la più decisiva, la difficoltà a fare una tv. Per
quanto sia profondo il desiderio di creare una tv propria e per quanta sia la
conoscenza in materia, rimane un problema fondamentale: il numero dei
volontari impiegati difficilmente sarà sempre sufficiente e costante per far
fronte alle incombenze. Creare un palinsesto significa innanzitutto creare una
serie di prodotti mediatici mirati a un certo target di spettatori. La tv
generalista è quella tradizionale; la tv di strada proponendosi di fare “un'altra”
tv deve essere in grado di creare “altri” programmi. Da qui la necessità di
individuare sempre nuove tematiche potenzialmente appetibili dal pubblico,
carpendo input dal territorio e restituendo un prodotto; quotidianamente o
quasi. Ecco un ostacolo con cui si scontrano spesso i buoni propositi di
comunicazione televisiva libera e alternativa.
Secondo, il timore di denunce penali per installazione ed esercizio di impianti
di telecomunicazione senza concessione o autorizzazione. La legge Mammì ha
ridisegnato l'articolo 195 del testo unico delle disposizioni legislative in
materia di telecomunicazioni indicando che a chiunque installi o eserciti un
impianto di radiodiffusione sonora o televisiva senza aver ottenuto la relativa
concessione o autorizzazione, si applica la pena della reclusione da uno a tre
anni; la pena è ridotta alla metà in caso di radiodiffusione sonora o televisiva
in ambito locale. Nonostante questo possa risultare un forte deterrente in fase
di ideazione della telestreet, non significa che non possa esserlo anche dopo la
messa in opera della stessa. Anzi, sono stati numerosi gli interventi dei
funzionari del Ministero delle comunicazioni in questi anni. A fianco dei più
noti esempi di Telefabbrica e Disco Volante si può citare anche il caso della
pugliese TeleLiberaMaglie la quale, dopo avere trasmesso per circa un anno su
un canale completamente libero con un trasmettitore da mezzo watt, ha
ricevuto la visita della polizia postale con tanto di sigillo al trasmettitore e
notifica di una denuncia al proprietario dello stesso (i responsabili della
telestreet hanno affermato di non avere mai ricevuto nessun avviso prima di
questa iniziativa repressiva).
Si potrebbe obiettare che vi sia una disparità di trattamento evidente tra le
diverse zone del territorio nazionale e che i casi di chiusura siano
notevolmente inferiori alle realtà sorte in questi ultimi quattro anni, ma non si
può certo negare che il rischio di subire un intervento da parte delle autorità
preposte esista e a questo siano tenuti a fare fronte i promotori di tv di strada.
53
Nonostante sia stato approvato dal Parlamento un ordine del giorno in cui si
indicava nella sospensione di qualsiasi intervento repressivo la linea da
seguire, le chiusure forzose sono continuate. Del resto un ordine del giorno
non è che un atto d'indirizzo non vincolante per l'esecutivo e l'eventuale
atteggiamento difforme comporta ricadute di natura politica, non di legittimità
degli atti.
Allo stato dei fatti chiunque desideri creare una tv di strada è consapevole dei
rischi a cui va incontro. Nel corso della sua intervista, Ambrogio Vitali
chiarisce le ricadute penali per la detenzione e l'utilizzo di determinate
apparecchiature ma al contempo sottolinea le numerose assoluzioni
intervenute in questi anni per i denunciati e pone l'ipotesi di ricorsi presso la
Corte Costituzionale in casi estremi. Vitali paventa questo scenario in quanto
consapevole che proprio una sentenza della Consulta aprì negli anni '70 la
strada all'iniziativa privata in campo radiofonico e televisivo. Una sentenza
che oggi giungesse a dar loro ragione sarebbe di portata storica e libererebbe
le mani a chi è costretto a operare al di fuori dal contesto legislativo. La realtà
rimane comunque rischiosa e ricca di imprevisti sgraditi e non tutti aspirano a
diventare un caso giuridico (anche per i non trascurabili costi del
procedimento).
Logica imporrebbe di tentare di evitare tutto ciò, cercando di impostare un
dibattito ampio e profondo con tutte le forze politiche, ma questo non avviene
e si preferisce intraprendere percorsi alternativi. Per individuare i motivi di
fondo che hanno prodotto questa situazione è utile richiamare alcune
dichiarazioni di Ciro D'Aniello, non nella veste di semplice operatore di una tv
di strada, ma in qualità di membro del gruppo responsabile del movimento
telestreet. Ciro afferma che contatti con le forze politiche non vi sono stati.
Magari in realtà vi sono stati tentativi di dialogo, ma non hanno portato ad
avvicinamenti e collaborazioni e probabilmente ciò è avvenuto per due motivi.
Primo, le telestreet puntano a rimanere slegate da qualsiasi logica politica, in
particolare quella di non attaccare (almeno non pesantemente) il proprio
referente di partito o di coalizione, il tutto a garanzia di una effettiva libertà di
espressione e di giudizio. Secondo, i partiti (almeno i più strutturati presenti
sul territorio) e i derivanti esponenti di governo (o che aspirano ad esso)
trovano infruttuoso sostenere soprattutto economicamente uno strumento
difficilmente “malleabile” e adattabile ai propri scopi propagandistici. Non
solo, l'emorragia di tesserati si fa sentire a ogni livello in tutti i partiti, e se
questa non è evidente dal punto di vista numerico lo è sicuramente da quello
dell'impegno quotidiano volontario. Questa situazione interna dei partiti causa
una incapacità a creare in proprio una nuova forma di comunicazione,
alternativa alle storiche dei periodici di sezione, dei manifesti o del
volantinaggio, tuttora largamente usati sui territori.
54
L'intransigenza ideologica da una parte (“Noi non ci accontentiamo mai” dice
Ciro D'Aniello) e il disinteresse per lo sviluppo di questa forma comunicativa
dall'altra determina situazioni a volte paradossali quali l'auspicio di una
chiusura forzata dell'emittente in vista di una ipotetica battaglia giuridica
epocale. Paradossale appare anche l'atteggiamento delle forze politiche di
centro-sinistra le quali prima si sono date disponibili a sostenere
l'approvazione di un ordine del giorno a difesa delle telestreet presso la
Camera dei Deputati mentre erano all'opposizione nel 2003, poi giunti al
governo hanno presentato il 16 ottobre 2006 un disegno di legge (detto
“Gentiloni” dal nome del Ministro delle comunicazioni) nel quale non vi è
alcuna traccia della tematica in questione. Per riallacciarsi a quanto detto in
precedenza, tengo a sottolineare che solo quattro giorni dopo sul sito
www.telestreet.it è stato pubblicato un disegno di legge “per la salvaguardia, il
sostegno e la valorizzazione delle TV di strada” (testo completo in appendice),
elaborato in principio dai promotori del movimento e perfezionato l'11
novembre durante una riunione a Gaeta tra i rappresentanti di TMO Gaeta,
Orfeo Tv Bologna, Insu Tv Napoli, Telestreetbari, UniversyTv della
Università 3 di Roma, Tv Formia, Disco Volante Senigallia. La presentazione
ufficiale della proposta di legge è avvenuta durante il seminario sulle tv di
strada svoltosi il 30 novembre a Bologna. Ciro D'Aniello ha indicato il
percorso della iniziativa di legge popolare (art. 71 c. 2 Cost.) come la via più
percorribile “piuttosto che affidarsi al politico di turno”. Un muro contro muro
evidente che se per un verso non comporta particolari difficoltà a chi sta
elaborando la riforma del sistema radiotelevisivo, potrebbe causare un
ulteriore indebolimento delle telestreet.
Alla luce di questi dati, cerchiamo di capire quale futuro si prospetta per il
movimento delle tv di strada.
Ciro D'Aniello definisce “momento di transizione” la situazione attuale delle
telestreet. Forse il futuro sarebbe più chiaro se ci si ponesse il quesito di che
strategie adoperare di fronte al mutato scenario politico e tecnologico e
soprattutto se ci si chiedesse se la spinta ideologica dell'opposizione alla legge
Gasparri non sia realmente esaurita (considerando anche la prossima riforma
che neutralizzerà la legge 112 del 2004). Urge chiarire se le tv di strada
abbiano innanzitutto lo scopo di piegare la legislazione in proprio favore
creandosi così uno spazio autonomo di operatività e un network, se il fine
delle telestreet sia una comunicazione sui generis da promuovere in ogni sua
forma e priva di una struttura verticistica (una sorta di open source), oppure se
vi possa essere una soluzione intermedia tra le due possibilità.
Una parte del movimento delle telestreet ritiene che occorra sfruttare tutte le
opportunità che la tecnologia digitale offre, essendo questo campo attualmente
il più semplice e il più economico da utilizzare, nonché costellato da vuoti
55
normativi. Per quanto l'utilizzo di internet sia limitato nella società italiana
(una recente ricerca diffusa dal Ministero delle Comunicazioni indica per
l'Italia una percentuale del 38% di popolazione utilizzatrice di internet, contro
il 71% della Gran Bretagna), l'utilizzo del podcast si è rapidamente diffuso tra
la fascia giovanile di popolazione e con esso la prossima possibilità di
divulgare sui portatili i video autoprodotti, senza costi eccessivi e soprattutto
senza limiti spaziali. Trucillo di Isola Tv afferma che “essendo non una guerra
ma una guerriglia, essendo la comunicazione non fatta in maniera strutturata
ma in maniera tattica, la comunicazione e il modo di lavorare devono
evolversi”. E' evidente che non ci sarà mai all'interno del movimento una
unica opinione sulla forma pura della tv di strada. Al limite ci potranno essere
diverse correnti di pensiero, ognuna delle quali si adatterà meglio o peggio alle
nuove frontiere tecnologiche appoggiando di volta in volta soluzioni differenti
di operatività. Creare un network delle telestreet significa innanzitutto dare
una struttura stabile al movimento. Per creare una struttura servirebbe
conoscere tutte le realtà esistenti ed essere in stretto contatto con esse. Ciò che
ora non sta assolutamente avvenendo e dai dati del sondaggio traspare una
desolante situazione di ingovernabilità. Per queste motivazioni il network
nazionale delle telestreet che ipotizza Ambrogio Vitali al momento risulta
essere tanto complicato da creare quanto da gestire.
Riguardo l'obiettivo di modificare l'impianto legislativo adattandolo alla
propria realtà, un passo in avanti è stato indubbiamente l'elaborazione di un
disegno di legge a tema. Il problema riguarda il metodo in cui è stato proposto
(non integrativo) e in parte i contenuti. Non può esistere la sola soluzione alla
legalizzazione delle telestreet che consista nel dare via libera a tutto e a tutti.
L'uscita n° 152 della rivista Inchiesta, dedicata interamente alla realtà delle
telestreet, ha probabilmente insistito troppo sulla “storia e geografia delle tv di
strada in Italia” (come da intitolazione) perdendo una straordinaria occasione
per affrontare compiutamente ciò che potrebbe rappresentare il futuro del
movimento. In 144 pagine solo una voce (Massimo Arvat di
Videocommunity) affronta la tematica riflettendo non solo sul senso di questa
iniziativa ma anche sulle implicazioni pratiche di una sua operatività
strutturata. Egli afferma che lo sviluppo democratico dei mezzi di
comunicazione “necessita di un quadro giuridico, di un sistema di
finanziamento e di canali di trasmissione che siano garanti dell'esistenza di
uno spazio aperto di accesso pubblico ai media. Il punto di partenza è il
riconoscimento dell'obbligo di trasporto gratuito delle televisioni no-profit da
parte dei gestori privati di tv satellitari, via cavo, digitale terrestre, banda larga
e telefonia mobile, così come l'attribuzione alle tv associative di una quota di
frequenze analogiche e digitali su base locale, regionale e nazionale”. Senza
dubbio condivisibile, ma di quale impianto normativo si necessita per
56
applicare il progetto non è stato chiarito. Non di certo quello proposto dalle
telestreet, più vicino a essere una dichiarazione di inizio attività da parte di
ogni singolo elemento che una regolamentazione del fenomeno nel suo
complesso.
Non appare neppure percorribile la strada di mutuare una legislazione estera
per regolamentare la situazione italiana per le ovvie implicazioni socioculturali a cui ci si troverebbe a far fronte. Al limite occorre comprendere,
tramite una oggettiva visione della struttura comunicativa esistente in Italia,
quale può essere l'impianto normativo più prossimo e adattabile per analogia
ai propositi della telestreet-Italia, in quanto solo una volta ottenuto un
impianto normativo certo potrà avvenire una crescita delle tv di strada. La
forma pura sarebbe dettata dalla normativa. Chi volesse continuare a
sperimentare nuove forme di comunicazione prendendo spunto dalle
innovazioni tecnologiche non si autoescluderebbe dal movimento ma
diverrebbe il suo spazio di ricerca e di sviluppo. Come per ogni altra azienda
sul mercato, l'adattamento alla realtà sociale e la rinnovata operatività
sarebbero garanzie di continuità.
Questo può essere un percorso utile anche per la creazione delle tv
comunitarie tanto sospirate dai promotori delle telestreet. Sul sito
www.rekombinant.org già nel 2003 era presente questa proposta
interpretativa: “Per televisione comunitaria intendiamo una televisione che
non si limiti al semplice accesso pubblico e ad un retorico esercizio di libertà
di espressione (open publishing) ma che sappia fare società e costruire legame
sociale (community access e non semplice open access)”. Ciro D'Aniello nel
2006 definisce la Tv comunitaria ad accesso pubblico innanzitutto come un
“dispositivo per la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e alle
decisioni amministrative”, ovvero “un contesto che garantisca l'accesso
all'informazione nella sua doppia accezione: ricevere informazione e fare
informazione”54. Passano gli anni ma il progetto continua a rimanere sulla
carta.
Quale migliore occasione di una fase politica in cui si discute dell'assetto
complessivo del sistema nazionale delle comunicazioni per aprire il dibattito?
Magari potrebbe essere d'aiuto il lasciare da parte l'intransigenza ideologica
che ha connotato il telestreet-pensiero nel corso degli anni, considerando che
ogni provvedimento legislativo riguardante l'ambito nazionale nient'altro è che
il risultato di una mediazione tra le differenti visioni del fenomeno, il tutto
sintetizzato in articoli di legge (almeno in un normale percorso democratico).
Finché saranno più importanti i propositi rispetto le soluzioni concrete
attuabili il movimento ruoterà sterilmente su se stesso, ammirandosi e
ammirando la bellezza di una clandestinità curiosa e stimolante, ma senza reali
prospettive di sviluppo.
57
APPENDICE
Nota
La parte introduttiva è tratta dal sito www.telestreet.it, così come pubblicata il 20
ottobre 2006.
Nel testo del disegno di legge sono evidenziate in corsivo le integrazioni rispetto
al testo inizialmente pubblicato sul sito www.telestreet.it, realizzate in occasione
della riunione a Gaeta dell'11 novembre.
Bozza per una proposta di legge rivolta alla legalizzazione delle telestreet.
Gli elementi principali sono:
- le telestreet sono un fenomeno territorialmente ristretto ed eminentemente
locale per questo riteniamo che l'organo competente non sia il ministero ma il
CO.RE.COM. regionale.
- l'obbiettivo principale è la proliferazione delle antenne per cui ogni assegnatario
di un cono d'ombra deve fare spazio ad altri richiedenti dello stesso riducendo la
propria potenza di emissione.
- creare uno strumento alternativo ed antagonista al rapporto tra media e merce
impedendo ogni forma di pubblicità commerciale pena la revoca della
concessione.
Vorremmo che tutti voi ci mettiate le mani pensando a questo come l'avvio di un
percorso collettivo che deve portarci alla realizzazione di una proposta di legge
popolare.
DISEGNO DI LEGGE
"Norme per la salvaguardia del diritto costituzionale di manifestare liberamente
il proprio pensiero (art. 21) per il sostegno e la valorizzazione delle TV di
strada"
Art. 1
(finalità)
1. La presente legge, in conformità ai principi di libertà, di pluralismo e di
partecipazione democratica sanciti dalla costituzione, ha per oggetto la
salvaguardia il sostegno e la valorizzazione delle tv di strada come individuate
all’art. 2 al fine di promuovere la realizzazione e la diffusione televisiva di
istanze a carattere culturale, sociale, etnico, politico, sindacale, di volontariato e
religioso privilegiando la valorizzazione delle risorse locali.
58
Art. 2
(Definizioni)
1. Le tv di strada sono soggetti giuridici costituiti nella forma di associazione
giuridicamente riconosciuta o di onlus, ai sensi del Dlgs 468/97, dotati delle
seguenti caratteristiche.
a. Assenza di ogni scopo di lucro nello svolgimento delle attività sociali.
b. Istallazione ed esercizio dell’attività di telecomunicazione all’interno dei coni
d’ombra e di frequenze libere sul territorio italiano di cui al comma 2.
c. Assenza di ogni forma di pubblicità commerciale nel palinsesto televisivo.
d. Rispetto dei tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana di cui
all’art. 1, comma 6, lettera a), n. 3 della legge 249/97.
2. I coni d’ombra sono individuati dalle porzioni di frequenze televisive,
assegnate o non, non utilizzate ovvero oscurate da ostacoli morfologici o fisici di
varia natura in una determinata porzione di territorio.
Art. 3
(Autorizzazioni)
1. I soggetti dotati delle caratteristiche di cui all’art. 2 comma 1 devono ottenere
l’autorizzazione all’inizio delle attività dal CO.RE.COM. regionale di
appartenenza, individuando con idonea documentazione allegata all’istanza la
frequenza libera da utilizzare.
2. Il CO.RE.COM., entro e non oltre sessanta giorni dalla presentazione
dell’istanza, verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di cui
all’art. 2 comma 1 e dispone con provvedimento motivato, d’intesa con
l’ispettorato regionale delle comunicazioni.
3. L’autorizzazione può essere concessa anche quando il cono d’ombra e la
frequenza indicati nell’istanza siano già utilizzati da soggetti autorizzati ai sensi
del presente articolo su base non interferenziale. Decorso inutilmente il termine
di sessanta giorni l’autorizzazione si intende concessa.
4. Decorsi 120 giorni dall’inizio dell’attività i soggetti autorizzati devono
certificare idoneamente al CO.RE.COM.:
a) La conformità del segnale emesso dal proprio impianto di trasmissione con
l’ambito territoriale indicato nell’autorizzazione.
b) Il rispetto dei limiti di cui all’art. 2 comma 1 lettera d.
5. In caso di mancata certificazione di cui al precedente comma 4 il
CO.RE.COM. provvede entro trenta giorni all’invio di una diffida da adempiere
entro i successivi sessanta giorni. In caso di inadempienza il CO.RE.COM.
provvede alla revoca dell’autorizzazione.
Art. 4
(Violazioni)
1. Il CO.RE.COM. accertata la violazione di uno dei requisiti dell’art. 2 comma 1
della presente legge, provvede alla notifica di una prescrizione amministrativa
59
cui le emittenti devono uniformarsi nel termine di giorni 30.
2. In caso di inadempimento della prescrizione nel termine di sessanta giorni o in
caso di ulteriori violazioni, il CO.RE.COM. provvede alla revoca
dell’autorizzazione.
Art. 5
(fondo regionale incentivante)
1. Le regioni possono, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio e nel
rispetto dell’art. 119 cost., costituire un fondo di incentivazione economica per le
TV di strada, la cui gestione è affidata al CO.RE.COM. regionale di
appartenenza.
2. La costituzione del fondo, i soggetti ammessi e le modalità di accesso al
finanziamento sono definiti con legge regionale.
Art. 6
(Copertura economica e finanziaria)
1. Dalle presenti disposizioni non derivano nuovi oneri o minori entrate a carico
dello Stato.
Art. 7
(norme abrogate)
1. Si intendono abrogate dalla presente legge tutte le norme ad essa
incompatibili.
Art. 8
1. La presente Legge garantisce sul territorio nazionale il 10% delle frequenze
alle Tv di Strada, disposizione valida anche nei futuri sviluppi tecnologici
televisivi.
Relazione tecnico-finanziaria
Dal presente provvedimento non derivano nuovi oneri o minori entrate a carico
della finanza pubblica, essendo previste misure che non comportano nuove o
maggiori attività amministrative, né richiedono l’istituzione di nuovi organi o
competenze, e non essendo previsti né incentivi di alcun tipo, né misure fiscali.
60
NOTE
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