On. Paolo Coppola - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

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On. Paolo Coppola - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
“Bisogna correre il rischio del cambiamento per coglierne i benefici”.
Intervista all’On. Paolo Coppola, a cura di Erika Munno.
1. Quali saranno secondo lei le capacità e le competenze del lavoratore 2.0?
Esistono percorsi formativi adatti e com’è possibile agevolare l'acquisizione
delle nuove conoscenze e la diffusione della cultura digitale, sia tra i giovani
sia, soprattutto, per le classi di lavoratori adulti e meno abituati al
cambiamento tecnologico?
Esistono alcune competenze di base, che servono ad aumentare la produttività, e
sono quelle che vanno dalla dattilografia all'uso del foglio digitale. Accanto a queste
però ce n’è una più importante: quella relativa alla programmazione.
Questo non vuol dire che tutti devono diventare programmatori, ma che
tutti devono sapere cos'è il computer e che si tratta di uno strumento molto diverso
da quelli cui siamo abituati normalmente: vuol dire imparare a usare, nel migliore
dei
modi,una
macchinastraordinariamente flessibile,
sviluppando
la
nostra
creatività e capacità di innovazione non limitandoci a un uso passivo. Si tratta, in
breve, di acquisire piena consapevolezza e cercare di capire dove può essere ancora
utilizzato ed estenderne gli usi anche in ambiti nuovi.
Ma è un’operazione che non tutti possono intraprendere.Infatti, far fare al computer
cose che prima non venivano fatte è l'arte dei programmatori, esperti che hanno le
competenze digitali per riuscire a capire dove può essere spinta l'automazione,
poiché più si spinge in avanti la frontiera dell’innovazione e più riusciamo a
progredire. Tuttavia,le possibilità offerte dal web e dai social network non sono solo
per informatici: spesso sono persone che hanno altre competenze e professionalità
che, intuendo quanto sono versatili gli strumenti digitali, riescono ad inventare
nuove possibilità di business o nuove idee per migliorare l'esistente, un esempio è
quello del foglio di calcolo cheè stato sviluppato da un professore di ginnastica.
Bisogna vedere il digitale come uno strumento da utilizzare per fare meglio le cose e
questa è la competenza digitale più difficile da sviluppare.
2. Come si fa la formazione digitale per i lavoratori maturi e che sono entrati
nel mercato del lavoro con competenze orami obsolete?
Questa è la sfida più difficile che dovremmo affrontare da qui ai prossimi anni.
Come si fa? intanto cercando di dare ai lavoratori strumenti sviluppati da persone
competenti. In Italia soprattutto, è successo spesso che l'informatica sia entrata
negli uffici pubblici e nelle aziende in modo del tutto sbagliato, i processi di
digitalizzazione sono avvenuti in modo maldestro e quindi c'è stato in molti casi un
rifiuto da parte dei lavoratori perché se il lavoro che facevi prima con strumenti
analogici, poi lo elettrifichi ma non lo fai nel modo corretto ti trovi a fare cose male
e peggio di prima, non ne capisci l'utilità.
Una delle cose che bisogna fare, ad esempio, è evitare di ripetere questi errori nei
futuri processi di digitalizzazione, poiché nel passato è mancata la progettazione,
mentre una delle sfide più importanti ha a che fare proprio con il cambiamento dei
processi. Il digitale, infatti, funziona solo quando c'è il cambiamento dei processi,
che è soprattutto un problema di cambiamento di gestione delle risorse
umane.Spessissimo in Italia viene invece concepito come una magia: basta mettere
la tecnologia e i processi si automatizzano da soli. Ma non funziona così, dietro ci
deve essere un reale cambiamento.
Allora come si fa con i lavoratori che non hanno ancora competenze digitali? Prima
di tutto bisogna gestire il problema del cambiamento. Questo vale sia per i
lavoratori che entrano nel mercato del lavoro, sia per quelli già inseriti, che sono
chiamati a un processo di continuo cambiamento, una cosa che non è mai stata così
prepotente nella storia dell'uomo.
Il concetto del lavoro, delle mansioni fisse o delle competenze che il lavoratore
imparava appena entrava nel mondo del lavoro e poi si portava avanti fino alla
pensione, difficilmente esisteranno ancora. Ci sarà, invece, una trasformazione
continua: numerose attività verranno automatizzate, altresarannosvolte in sinergia
con le macchine e con i software, in alcuni casi si arriverà alla scomparsa di mestieri
e profili processionali, tanto che bisognerà imparare a fare altro. Tutto questo
percorso di cambiamento deve essere accompagnato: per assurdo, non è un
problema di digitale ma di sociologia, psicologia e gestione aziendale.
3. Come nelle riforme del governo Renziviene affrontato il tema del
cambiamento digitale e dove, dal Job Act alla Buona Scuola, possiamo
trovarne traccia?
Il tema della trasformazione digitale si rispecchia nella visione che c'è nel governo
attuale: non c'è una politica specifica ma si tratta di una visione di sistema e di una
direzione verso cui si sta spostando l’intero paese. Nella Buona Scuola c'è una
grandissima attenzione al digitale, ad esempio è prevista una figura specifica che
viene identificata nel professore per il cambiamento digitale, c'è il Piano Nazionale
per la scuola digitale, c'è il coding, la diffusione della cultura del pensiero
computazionale, c'è quindi un'estrema attenzione a questi temi.
Per quanto riguarda il Jobs Act sicuramente il contratto di lavoro a tutele crescenti è
un contratto che si adatta di più a un mondo in cui il cambiamento è continuo e dà
una risposta molto più efficace al modello di società attuale, diversa da quella nella
quale era stato pensato il contratto a tempo indeterminato. Avere un mercato del
lavoro più dinamico vuol dire rispondere meglio a un modello di cambiamento
sociale. Allo stesso modo, la formazione permanente diventa uno degli ambiti da
rafforzare maggiormente.
4. Nel passaggio da un'economia analogica ad una digitale alle aziende spetta
principalmente il compito di saper interpretare il ruolo di agenti
del cambiamento, mettendo in campo investimenti e azioni per promuovere
l’innovazione e la sperimentazione di nuovi modelli. Qual è il ruolo dello
Stato nel processo di trasformazione in atto e quali sono le politiche che
occorrono per abilitare il passaggio dalla vecchia alla nuova economia
digitale?
Io credo che lo Stato debba cercare di costruire un sistema il più possibile
competitivo, ad esempio vedo che in Italia lastrutturaproduttiva è troppo povera di
grandi imprese. Nel nostro ecosistema ci sono troppe piccole imprese, poche medie
e quasi nessuna grande. Invece serve una giusta dose di tutti i soggetti per far sì che
il sistema cresca e soprattutto che possa essere reso competitivo.
Per fare questo, lo Stato deve innanzitutto abbassare le barriere all'ingresso per
consentire ai nuovi soggetti, come i giovani, di entrare in concorrenza. Lo Stato,
inoltre, deve assolutamente evitare gli errori del passato, come quando si è
preparato
alla
globalizzazione
proteggendosi
anziché
guardandola
come
un'occasione, con una visione a corto raggio che ha indebolito il sistema. Bisogna
invece accompagnare certi settori, se nella concorrenza internazionale sono
svantaggiati, ma con l'obiettivo di renderli competitivi il più possibile e non di
difenderli mantenendo scarsa competitività.
Accanto a questo c’è tutta l'attività di visione che lo Stato deve mettere in campo,
cioè cercare di spingere il cambiamento culturale il più possibile. Noi viviamo in un
momento in cui il mercato è sempre globale e ci sono tanti meccanismi di “winnertake-all” ovvero dinamiche in cui un attore definisce una nicchia, diventa il migliore
in quel settore e poi anche sul mercato globale. Questo meccanismo comporta un
modo del tutto diverso di strutturare le aziende e di pensare la filiera. E su questa
visione diversa noi dobbiamo lavorare tantissimo, ponendo una grande attenzione
al cambiamento e alla modifica dei sistemi di business.
Vendere in tutto il mondo non vuol dire che prima vendevi in un modo e ora, sullo
stesso modello di business, costruisci semplicemente un sito online; vuol dire
strutturarsi e cambiare la logistica, avere la con tutto il mondo, vuol dire avere la
volontà di crescere e mettersi insieme facendo reti d'impresa piuttosto che
acquisizioni per diventare più grandi e soprattutto vuol dire fare tutto questo con
una velocità che prima non era abituale.
5. Nel rapporto tra tecnologia e lavoro la grande questione aperta di questi anni
è: la tecnologia toglie o crea posti di lavoro? Se è indubbia la capacità
innovativa di creare nuovi modelli e nuove opportunità è sicuramente anche
vero che andiamo incontro all'esplosione del fenomeno delle disoccupazione
tecnologica o comunque dell'eliminazione di un gran numero di posti di
lavoro. L’impatto della tecnologia sul futuro del lavoroapre, dunque, diversi
scenari anche problematici. La politica si sta interrogando su questo tema e
come pensa sia possibile governarne questo processo?
Il motivo per cui prima facevo il professore e poi ho deciso di candidarmi alle
primarie è proprio questo: nel 2011 Giustizia e Libertà mi chiese di fare un
intervento sul lavoro del domani, preparandomi a quell’intervento e studiando
questi temi iniziai ad avere consapevolezza dei problemi del lavoro nel futuro. Da
quella prima volta in occasione del convengo ho iniziato a spingere su questi temi e
il principale motivo del fatto che sono venuto a Roma è questo: manca la
consapevolezza di come sarà il lavoro domani, di quello che sta succedendo e della
velocità dei cambiamenti attuali e voglio lavorare su questo. Molti economisti
chiudono il discorso dicendo questa cosa: è sempre successo che la tecnologia ha
tolto dei lavori, però è sempre accaduto che ne abbia anche creato altri e quindi si
proseguirà così. Io penso che questo sia vero, però nel passato la tecnologia ha fatto
sì che si spostasse forza lavoro dal primario al secondario e dal secondario al
terziario, oggi non c'è un "quaternario" dove spostarla. Sta invece accadendo che
vengono lasciati liberi i lavori ad alto contenuto di conoscenza e creatività e non è
assolutamente scontato che tutti i lavoratori si riescano a spostare verso questa
tipologia di lavori. La seconda differenza sostanziale rispetto al passato è nella
velocità: tutti gli altri cambiamenti hanno avuto una moderata velocità oggi, invece,
se la legge di Moore continuerà ad avere i suoi effetti, la velocità aumenterà e
questo non viene ancora percepito dal sistema poiché e difficile capire
l'accelerazione esponenziale e la difficoltà di gestirla. Io invece credo che noi nei
prossimi 10-15 anni assisteremo a dei cambiamenti tecnologici dirompenti e
riemergeranno problemi come la proprietà dei mezzi di produzione, poiché se i
lavori li faranno le macchine e i robot bisognerà capire chi li detiene o bisognerà
capire qual sarà la nuova distribuzione del potere e cosa faranno lavoratori sostituiti
dalle macchine, perché immaginare una società di soli filosofi è un po' utopia. Ad
esempio la macchina che si guiderà da sola creerà impatti enormi: se il sistema è
stato messo in crisi da un fenomeno come Uber, che è minuscolo rispetto a quello
che potrebbe fare la macchina automatica che impatta non solo sui tassisti, ma
anche su tutti quelli che lavorano nella logistica, ad esempio i camionisti, e più in
generale su tutto il settore dell'automobile e il sistema ad esso correlato, figuriamoci
cosa potrà accadere con la macchina automatica. Solo questo fenomeno, preso
singolarmente, ha un impatto fortissimo e sta tecnologicamente a un paio di anni
lontano da noi e culturalmente a non più di dieci anni, cioè si tratta di un
cambiamento che è dietro l'angolo.
Come fare, allora, a governare questi processi di cambiamento? Il primo passo è,
secondo me, quello di accrescere la consapevolezza delle persone su questi
problemi, per questo sono stato molto contento che voi ve ne stiate occupando
attraverso il vostro progetto di ricerca. Qual è la percezione dell'uomo della strada
su queste cose? Secondo me è nulla. Io mi ricordo, quando insegnavo, che ai miei
studenti mostravo dei prototipi e chiedevo, secondo loro, tra quanti anni sarebbe
successo un certo fenomeno. Prima che uscisse l'Ipad gli feci vedere un prototipo di
uno strumento con un meccanismo di touchscreen simile e loro mi dissero che
sarebbe arrivato sul mercato in 10 anni e invece arrivò quello stesso anno. E questo
è quello che sta succedendo in tantissimi altri campi. E allora innanzitutto bisogna
creare la consapevolezza,poiché questi sono cambiamenti prima di tutto culturali,
cioè del tipo più difficile. Poi bisogna portare la tecnologia il più possibile vicino alle
persone, perché più hai contatto con la tecnologia e più il cervello riesce a capire
come farla funzionare. Si tratta del cosiddetto meccanismo dell’exattazione, cioè
quando con uno strumento nato per un certo scopo può essere usato anche per altri
e questo avviene anche per la tecnologia. Per questo motivo bisogna spingere le
persone a usare la tecnologia il più possibile, sia sul lavoro sia nell'uso quotidiano.
Da questo punto di vista il ritardo sulla copertura a banda larga è terribile per il
nostro paese perché ha rallentato l'arrivo di tanta tecnologia. Quindi il fatto che il
governo adesso, invece, spinga per l'infrastruttura a banda larga è importantissimo
per la creazione di un sistema strutturale per il cambiamento culturale e per la
competitività del paese. Le trasformazioni saranno radicalissime e dobbiamo
attrezzarci per questo. Bisognerà creare dei sistemi di aiuto dei lavoratori per uscire
dai vecchi sistemi ed entrare nelle nuove forme di lavoro accanto alle macchine e
poi ci sarà il vero grosso enorme problema della distribuzione della ricchezza,
un problema storico che da sempre costituisce il cuore dell'attività politica e che
deve essere affrontato anche per la nuova società che verrà.C'è il rischio che
queste cose vengano percepite come difficili e pericolose, ma il pericolo si trova
laddove le cose non si capiscono e non si conoscono e per questo è tanto importante
la diffusione della percezione della cultura del cambiamento, anche perché nel
medio-breve periodo ci sono delle grandi opportunità da cogliere. Bisogna dare il
messaggio della necessità di cogliere la sfida del cambiamento, ci sono tantissime
opportunità se cambi e hai voglia di iniziare a cambiare. Bisogna correre il rischio
del cambiamento per coglierne i benefici.