Morichelli Alessandro - Blog di emergenzautori

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Morichelli Alessandro - Blog di emergenzautori
Morichelli Alessandro
ALLE MIE BIMBE
Sulle ginocchia vi dondolo,
culla senza dimensioni,
percependo fruscianti battiti,
sussulti, tenere carezze,
sorrisi, soffici di seta.
Felicità del tempo infantile
sogni di padri e di bimbe.
Finché sulle ginocchia dondolate,
culla senza dimensioni,
senza età, senza tempo, senza frontiere,
vi stringerò forte
per non volervi perdere.
CADAVERI
Siete nati morti pur respirando
freddi cadaveri ambulanti.
Mangiate, bevete, dormite,
vi illudete di vivere.
Vegetate respirando,
mangiando, bevendo, dormendo,
freddi cadaveri ambulanti,
già sterilmente morti
prima di nascere,
cadaveri putrefatti
in un’eterna fredda tomba.
LA CHIAMAVANO PUTTANA
Rita, bianca, pallida,
amava la vita.
La chiamavano puttana.
invece era casta come una bimba.
Sulla strada ci s’era trovata
come per sbaglio,
che per lei era tutto.
I giovanotti della borgata
nell’abbracciarla la trovavano tenera,
dolce, mite come un’agnella.
Ognuno di loro che la comprava,
era lui, quello del primo amore.
Ora se n’è andata
gettandosi al di là del muretto
aprendo un vuoto nell’acqua del fiume.
Un tonfo, uno spruzzo alto e via.
La gente s’è affiancata dal ponte
e ha atteso che la tirassero fuori.
La videro in molti con raccapriccio.
Uno che l’aveva comprata
facendo sberleffi e la spalluccia
gridò forte: era una puttana.
Era Rita, bianca, pallida,
che amava la vita,
pura quando era bambina.
FUOCHI D’ARTIFICIO AL FESTIVAL
La folla era là,
tutta in strada,
avida occhi all’insù.
Si udì un rombo,
cupo come un boato
come ogni anno
nel giorno di Ferragosto
in onore di Giancarlo Menotti.
Lampi, luci, miriadi di colori,
stelle filanti, policrome, evanescenti,
razzi, vivide luci abbaglianti,
lingue di rosso fuoco,
ghirlande di tenue azzurro,
rossastre, celeste, di smeraldo.
I bambini in estasi
guardando il cielo
indicandolo con un dito
saltavano di gioia
elettrizzati nelle membra,
gioiosi e plaudenti.
Fuochi d’artificio
continuate all’infinito
fate felici i bimbi,
solo loro, innocenti.
Si alza una nuvola
scoppia con fragore.
È l’ultima scena di fuoco
dello spettacolo pirotecnico.
È calato il sipario
all’ombra antica di Monteluco.
Fuochi d’artificio
strumenti crudeli
d’una farsa eterna
che fa felici i bimbi
che non sanno nemmeno chi è Menotti.
LA TORRE DI PISA
Sei arrivata sino alla cima del lungo cilindro
salendo le scale ripide, guardando di fuori
verso il verde prato, soffice tappeto d’erba,
mantello ideale per celare la verità,
per velare la tristezza che tutto pervade.
Ti fotografo sospesa sopra la città
come una leggiadra farfalla vestita di blù,
a spiccare il volo per terre lontane.
In basso la gente formicolante cammina,
come ogni giorno, da tutta la vita.
E altri salgono affannati, ansimanti,
conquistando stanchi la cima,
fermandosi ansanti, turbati, stupiti
sul lungo cilindro elegante e flessuoso,
cappello e salotto di una bella città.
Torre pendente, torre di Pisa, cosa vedo di lassù?
Mi immergo con l’occhio nel lontano orizzonte
Guardando al di fuori con voluttà,
conquistando cielo, tetti marrone, mare,
meno che te, Desy, leggiadra farfalla vestita di blù.
LA PARCA
Sospesi ad un esile filo leggero incerto fragile
Attendiamo il domani con folle speranza
Pensando a cose grandi
Inconsistenti, futili, aleatorie,
amare come l’illusione,
beffarda regina della vita.
Sospesi ad un filo esile
Leggero incerto fragile pronto ad essere spezzato
Reciso per sempre.
È come un addio
Come il commiato
Di chi senza salutare
Lascia tutti per morire.
A MIO PADRE
Te ne sei andato delicatamente
Come per non disturbare
Salutando in latino
In una giornata d’autunno
quando il sole calato all’orizzonte
distese un mistico velo funereo sul grande sipario del
mondo
ponendo fine ai tuoi giorni
aprendo la porta alla speranza
che i vivi fossero con te
puri come i tuoi occhi azzurri.
ILLUSIONE
È come vivere due volte,
rinascere dalle tenebre, dal nulla
risorgere dal fango
uscire dalla tomba polverosa
tornare a correre pei prati verdi
rincorrendo l’ombra dell’illusione.
ACQUA DI FONTE
Ho bevuto acqua di fonte
Zampillante argentina
Assaporando genuina purezza
Specchiandomi in te,
nei tuoi occhi limpidi,
luminosi come una stella
in una scia di nostalgia
per un amore eterno
come mormorante spumosa
acqua di limpida fonte
irrorante le morbide sponde
del fiume che nasce,
penisola di speranza
del mio amore per te.
LA RONDINE
Torna presto da laggiù.
Conquista il mio cielo,
percorrilo in sfrecciante,
garrulo volo,
gettandoti in picchiata
dall’alto dello spazio
alla conquista della vita.
Torna presto da laggiù,
intreccia voli audaci
effettuando acrobatiche piroette.
Appena sarai tornata,
agile rondine di argenteo blù,
non sarò più solo, guardando in alto.
VENTO
Sibili veloce,
sospingono le cose
lasciando dietro di te
solo pallidi ricordi.
Spazzi via le foglie
Che formano mulinelli
Inseguendosi in cerchi,
larghi, stretti, concentrici,
turbinosi e tetri
come i giocondi ricordi
dell’età spensierata.
APPETITO E FAME
Appetito, sicura premessa di un pasto.
Appetito: da molti desiderato.
La colazione sarà più saporita.
Fame, sicura testimonianza di miseria.
Fame, parola affascinante
Che muoverà le masse,
che farà crollare castelli,
travo9lgendo vecchie barriere,
arrugginite da concezioni medievali,
che verranno capovolte per sempre.
Fame,non solo verbo esteriore.
Fame di sapere, di scienza,
di accorata ricerca di verità.
Fame, trampolino ideale
Per conquiste bagnate di sangue,
di sudore, di lacrime,
di nonni, di padri e di figli.
QUAL’È IL TUO NOME?
Qual è il tuo nome,
come debbo pronunciarlo?
Ti chiamo senza saperlo,
temendo di smarrirmi,
in un deserto arido,
povero di cose, vuoto,
come l’orizzonte senza fine.
Qual è il tuo nome,
come debbo pronunciarlo?
So soltanto una cosa:
in qualunque modo ti chiami,
sia americana, russa, ebrea,
qualunque sia il tuo nome,
posso chiamarti soltanto così:
amore, amore, amore mio!
Carezzando con gli occhi socchiusi
I tuoi capelli tizianeschi, lunghi, fini,
sottili, morbido come il velluto,
cuscino delle mie perpetue follie,
poggio lo sconforto dell’illusione
rincorrendoti con il pensiero
attraverso i viali del tramonto.
IL CIECO
Antonio, il cieco, ha paura.
Da quando è nato vive nel buio.
Brancola nella notte eterna.
Antonio, il cieco, ha paura.
Spera di vedere le cose
Con la sola luce dell’anima, con la romantica sua fantasia.
Antonio il cieco
È senza occhi da sempre
Sa piangere lacrime amare.
È felice, attonito, stupito
Ascoltando la musica
Sentendo ululare il vento
Ascoltando il rombo del mare
Il frangersi delle onde sulla spiaggia.
Antonio il cieco ha paura.
Di poter vedere
Il freddo squallore di ogni giorno
Come coloro che vedono da sempre
E credendo di non essere ciechi.
L’UOMO FELICE
Uomo felice, chi sei tu?
Vorrei conoscerti
Girando il mondo
In largo ed in tondo,
vorrei incontrarti,
per chiederti:
chi sei tu, uomo felice?
Risentirei rispondere:
“sono il nulla,
come un nonnulla,
quale uno spettro,
che veda mentendo
e a se stesso, illudendosi,
solo al mondo,
di essere l’uomo felice.”
FUNERALE DI PRIMA CLASSE
In testa procedeva un nero furgone
Con dentro un feretro coperto di fiori.
Dietro venivano i parenti in pianto
Vestiti a lutto, tutti compunti.
Più indietro c’era altra gente
Vicini di casa, clienti del negozio,
inquilini che pagano l’affitto.
Nelle ultime file, sparsi, stanchi,
quali pecore satolle,
uomini pronti a filarsela
attesi dagli amici al bar
per l’immancabile scopone scientifico.
Al passaggio dl lungo corteo,
ai lati del serpente, passanti a segnarsi.
Stridore ferrigno di saracinesche.
Teste curiose dietro le finestre
Spianti al passaggio, a contar le corone
Belle e lucide coi nomi dei donatori,
con quella del Senatore a stampatello.
Il funerale è passato
Giungendo sulla collina verde, al cimitero,
ultima tappa traguardo, implacabile per
l’infallibile appuntamento coi becchini.
Un gran bel funerale con dieci corone,
quella del senatore e il cuscino di fiori bianchi
donato da quelli del Partito.
Funerale coi fiocchi, di prima classe.
CAMPANE DI BRONZO
Suonate con amarezza
Facendo sentire la vostra voce,
argentina, fioca, fievole,
che ancor più mi sgomenta.
A chi volgete i vostri rintocchi?
Alla gente del monte
A quella del piano
Che accorse lassù
Sul verde colle civettuolo
Richiamata dalle campane
Che invitarono le genti
Coi loro rintocchi
Per salutare una sposa
Per dare l’addio a un morto.
Campane di bronzo
Suonate con amarezza
Da tempo immemore
Senza data, senza età,
martellando l’agile batacchio snodato
sopra le povere genti
della commedia terrena.
A MIA MADRE
Te ne sei partita in una serata afosa
Da signora sul letto grande
Ove immobile vedemmo l’ultima volta papà
Nella stanza della casa di campagna
Dal soffitto di legno, dipinto a mano,
di pallido colore celeste pervinca.
Sorridevi come sempre
Regina nella tua casa avita,
felice di avere attorno i tuoi figli
venuti a salutarti per l’estremo commiato
prima del trasporto morbido dei sensi,
maestra, sposa, santissima madre.