Buone vacanze!
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Buone vacanze!
Il Caffè Centro culturale Ernest Claeslaan 9 – 9051 Gent Tel/Fax 092215346 Segreteria: Asselkouter 16 - 9820 Munte Tel 093625357 - 0475488679 Conto bancario n. 001-3490652- 86 BIC GEBABEBB / IBAN BE78 0013 4906 5286 [email protected] http://users.telenet.be/ilcaffe Met de steun van de Stad Gent Dienst Receptieve Ruimten Hanno collaborato a questo numero: Associazione Bologna-Bruxelles A/R, Antonello Chirulli, Santina Chirulli, Herman Cole, Marina Dessì, Serenella Gatti, Kris Goekint, Alessandra Guermandi, Brigitte Henriet, Lut Leroy, Alessandro Rolandi, Annamaria Sanguigni, Serena Stefani, Patrick Temmerman, Chantal Uyttendaele, Philippe Van Kerckvoorde, Lieve Van Spaendonck, Willy Wauters, Marleen Willems In questo numero: La tribù che scrive The girl with the mask Spazio giovani Associazione Bologna-Bruxelles A/R Il trionfo del Barbiere Persbericht SPQR Leuven Aiutiamoli Conferenza Emiliano Manzillo – Commenti Appunti sul cinema Un viaggio scolastico a Torino Poesia e filastrocche 2 10 12 16 18 20 21 24 26 36 39 Buone vacanze! Iscrizione a “Il Caffè” – Quota 2011 Quota annuale Belgio e Italia : 20 EURO da versare sul conto bancario indicando nome, cognome, indirizzo e numero di telefono. La rivista è gratuita per i soci La “Tribù che Scrive ” di Bologna La “TRIBÙ CHE SCRIVE” di Bologna: perché questo nome? Allude al fatto che siamo un Gruppo i cui membri sono accomunati dal medesimo interesse, anzi PASSIONE per la Scrittura, in maniera libera, informale, “selvaggia”, ma con delle regole interne. È un Gruppo di cui sentiamo l’“APPARTENENZA”. Per ognuno di noi, individualmente, già prima di conoscerci, la Scrittura era motivo per stare al mondo, per vedere la realtà attraverso il filtro dell’immaginazione. Incontrandoci, tale interesse è stato potenziato ed insieme ci poniamo tante domande sulla Scrittura. Il Gruppo è nato il 10 marzo 2009. Ci siamo incontrati ad uno degli innumerevoli corsi di aggiornamento sulla Scrittura, che frequentiamo. Nella pausa-pranzo, una di noi ha detto: “Perché non ci incontriamo ogni martedì sera a casa mia, per scrivere insieme?”. Questa persona è PATRIZIA RAGGI, che ha rilanciato un suo forte “DESIDERIO”, che è l’alimento comune. Immediatamente a quest’idea hanno aderito SERENELLA GATTI LINARES e FRANCO STERI, l’unico uomo del Gruppo. Ben presto si sono unite GRAZIELLA PAGANI, ANNA MARIA SANGUIGNI e ANGELA BERSANI. In seguito MARIA TERESA MIGLIORI e ALESSANDRA GUERMANDI. La nostra produzione consiste in RACCONTI BREVI. Qual è il nostro METODO? A turno portiamo uno “STIMOLO”, un “input” di vario genere per scrivere (ad es.: la frase di un libro estratta a caso, un’immagine, un articolo, una pietra…una volta ad es. c’erano sul tavolo 13 tipi di cioccolata… A proposito, difficilmente rinunciamo a momenti conviviali e goderecci con cibo e vino…!); scriviamo per circa un’ora e un quarto, seduti intorno al tavolo, come ai tempi della scuola, in un’energia positiva che circola e poi ci leggiamo a turno i nostri scritti. Una cosa che ci colpisce particolarmente è come da una MEDESIMA frase possano germinare storie tanto DIVERSE! Infatti, siamo molto differenti fra noi, sia come persone, sia come STILI di scrittura. Ci facciamo anche commenti e ci diamo suggerimenti, ed il CONFRONTO arricchisce tutti e ci fa crescere. Ci siamo presentati in pubblico una volta, in occasione della Mostra pittorica di Renata Giannelli. Il filo conduttore della serata è stato il collegamento SEGNO/PAROLA. PREZIOSI IMPASTI, scintillii, corrispondenze, intrecci, scambi…: agli amici/che italiani/e e belgi/ghe la “Tribù che scrive” regala volentieri alcuni racconti. Bologna, aprile 2011 La tribù che scrive 2 UN VIOLINO di Serenella Gatti Il suono inizia a strisciare lentamente nella tarda serata estiva, dopo che le luci si sono spente, una ad una, nelle finestre aperte del popolare condominio periferico. La prima a sentirlo è Ierina, la badante ucraina del sesto piano. “Signora Clarice…strano rumori io sentiri!”, sussurra all’orecchio dell’ottantacinquenne, che da tempo si è appisolata e che è parecchio sorda. “Ma che diavolo dici? Torna a letto!”. Ierina obbedisce, si raggomitola impaurita sotto il lenzuolo e rimpiange le vaste distese di grano del suo paese, dove certe cose non sono mai avvenute. Al terzo piano, il ragionier Elio, magrolino, con i neri capelli tirati indietro dalla brillantina, è in bagno, preparandosi per la notte, in canottiera e mutande. Si osserva allo specchio con attenzione e con soddisfazione. Poi esce con un ghigno stampato in faccia dai denti giallastri e andati a male. Intanto il signor Dino, del quarto piano, un robusto ultrasessantenne ex-idraulico, è steso nel letto matrimoniale, a leggere la Gazzetta dello Sport. La sopracoperta patchwork colorata contrasta singolarmente con il grigiore intorno. Dal bagno proviene la voce della moglie Clara, che canticchia la colonna sonora d’una soap opera, mentre si strucca e stende la crema, fra rumori d’acqua e di boccette e flaconi. “Clara, guarda che spengo la luce fra due minuti!”. Nell’appartamento a fianco, i coniugi Franco ed Elide stanno guardando la tv, ambedue in tuta da ginnastica, sprofondati nel divano del salotto, dove finiranno, come al solito, per addormentarsi. Elide non ha avuto neanche la forza di sparecchiare. Il volume altissimo del televisore finirà per fare loro da ninna-nanna, soprattutto quando un imbonitore urlerà per vendere quadri, orologi, argenteria di dubbia provenienza. Un violino sta eseguendo una sonata di Bach nel condominio. Appena il volume aumenta, Franco ed Elide, che stanno russando sonoramente, si svegliano insieme e di soprassalto. Si guardano intorno stupiti, senza capire esattamente cosa sia successo. “Ma cos’è?”, esclama Elide. Franco si alza finalmente dal divano, spegne la tv ululante e nel silenzio si ode con chiarezza lo strumento, che suona in modo dolce e divino, in lontananza. “Franco, mi sa che è un violino…”. “Devo assolutamente scoprire chi ci ha svegliati impunemente…”, risponde il marito, mentre la melodia prosegue imperterrita. Poi esce sul pianerottolo, ascolta il volume invariato, scuote il capo e ritorna dentro. Elide si affaccia alla finestra del salotto, tende l’orecchio: “Franco, forse è Marina…”. Il marito spalanca la porta della camera della figlia, alle cui pareti sono i poster di gruppi heavy-metal. Marina, una diciassettenne cicciona, dorme profondamente, con la pancia all’insù, respirando con la bocca aperta, in cui luccica l’apparecchio per i denti. Nelle orecchie ha il walkman, che le spara a tutto volume le canzoni preferite, favorendo il sonno. Il padre richiude la porta. “Chi sarà allora a suonare il violino a quest’ora?”. 3 I coniugi si siedono intorno al tavolo del tinello, tanto ormai è impossibile riprendere sonno. Dopo qualche ora sono ancora lì, con gli occhi rossi e la testa ciondolante, perché quella musica celestiale è proseguita ininterrottamente. Il posacenere è stracolmo di mozziconi. Franco accende l’ennesima sigaretta, quando infine dalle tapparelle comincia a filtrare la luce dell’alba e all’improvviso il violino tace, dopo un ultimo, struggente crescendo. Come quasi sempre avviene, le paure notturne vengono spazzate via dal giorno. Un attimo dopo le palpebre di Franco si abbassano, mentre il capo di Elide piomba addirittura sul tavolo, per le poche ore di sonno, che li separano dalla sveglia e dal lavoro. Nel pomeriggio avanzato del giorno dopo, Franco sale lentamente le scale, dopo il turno come autista di autobus. Il suo viso distrutto la dice lunga sulla notte che ha trascorso. Incontra Rodolfo, un single incallito e donnaiolo, che sta portando giù l’immondizia, in pantaloncini corti e maglietta, che mettono in risalto il fisico scultoreo. “Buonasera, signor Rodolfo…”. “Salve, signor Franco, come va? E la Signora?”. “Bene…bene…”. “Ne è sicuro? Ha una brutta cera!”. “Sì, bene…E’ solo che questa notte non ho chiuso occhio!”. “Neanch’io! E non per ciò che Lei crede…”. “Non sarà stato per quel maledetto violino?”. “Proprio così! Fosse stata almeno una chitarra rock!”. “Ma chi sarà a mettersi a suonare…?”. “Dobbiamo fare qualcosa!”. E si scambiano un’occhiata d’intesa. I due vanno a bussare alla porta del ragionier Elio. Per un po’ lui non apre, perché è in pieno attacco di teledipendenza televisiva, a trenta centimetri dallo schermo, osservando ballerine scosciate e ascoltando stupidi quiz. Essendo lo scampanellio sempre più insistente, si alza, seguendo con lo sguardo la tv. “Avanti…avanti!”. Entrano Franco e Rodolfo, ancora con il sacchetto della spazzatura in mano, con aria sfrontata, incerti su chi debba parlare per primo. Rodolfo si decide: “Ragioniere, Lei ha dormito stanotte?”. “Scusi, ma a Lei cosa gliene importa?”. “E le lezioni di Suo figlio come vanno?”, dice Franco con l’aria di chi la sa lunga. Il ragionier Elio, con un occhio sul televisore ed uno su di loro, risponde:”Ma quali lezioni?”. “Di violino, ovviamente!”. “Ah…ora capisco! No, no…guardate che vi state sbagliando…Il ragazzino non c’entra. Quel cavolo di violino ha tenuto sveglio anche me…”. “Cerchi di non fare il furbo!”, alza la voce Rodolfo. Il ragioniere li scruta divertito ed urla:”Daniele, vieni subito qui!”. Un bambino di circa nove anni entra nella stanza, mingherlino, spaurito, trascinando i piedi. Porta spessi occhiali, ha efelidi sul naso e un’espressione non vispa e triste, soprattutto da quando è morta la madre. Il padre gli ordina: “Daniele, vai a prendere il violino!”. Il ragazzino obbedisce, mentre i due sono compiaciuti. “Suona qualcosa, caro, per i signori, su da bravo…”. Daniele è intimorito, tentenna, indugia; poi, fa un sospirone, mette il violino sulla spalla e inizia a suonare malissimo. Lo strumento emette suoni così orribili, da fare accapponare la pelle. 4 “Ragioniere, abbiamo capito, basta così!”. “Grazie, Daniele, puoi smettere…”. Il bambino si ritira goffamente nella sua camera. I due se ne vanno un po’ impacciati e delusi, mentre Elio ritorna alla tv. La notte seguente, i coniugi Dino e Clara hanno appena spento la luce, coprendosi con la trapunta patchwork e già pregustando il riposo, scegliendo la posizione adatta, quando, prima sommesso, poi distinto, giunge il suono del violino. Dino comincia a rigirarsi, borbottando. Le note sono struggenti e commoventi, ma lui ne è infastidito. Al contrario, Franco ed Elide, nel frattempo, stanno facendo l’amore, ispirati dai suoni melodiosi, però dopo gradirebbero dormire…Dino si alza sbuffando, va a poggiare l’orecchio a tutte le pareti dell’appartamento. Clara prende una scopa e comincia a battere forte contro soffitti e pavimenti, ricevendo urla di fastidio, mentre il violino continua. Il marito si mette una vestaglia sopra il pigiama e inizia a salire e a scendere i piani, origliando dietro ogni porta, sia nella scala A, sia in quella B. Fuori una luna bianca e pura illumina indifferente, finché i primi raggi del sole non fanno tacere il violino, mentre il signor Dino si è addormentato sullo zerbino di un appartamento qualsiasi. La riunione condominiale è convocata d’urgenza, a casa di Fernando, un ex-carabiniere in pensione, che si circonda di medaglie, foto, calendari dell’Arma. Tutti i condomini sono presenti. Fernando tenta di fare il moderatore, nell’aria agitata. “Cerchiamo di parlare uno per volta!”. “Io non ne posso più! Oggi stavo per addormentarmi alla guida dell’autobus…”. “Se trovo chi è, il violino glielo spacco in testa!”. “Io quasi dormivo oggi durante il lavoro!” “E quale sarebbe la novità? Scusi, ma Lei non lavora alle Poste?”. Elide a questa battuta lancia occhiate di fuoco ad un coinquilino. Il chiasso aumenta; i bambini, giocando, contribuiscono. L’ex-carabiniere strilla: “Diamoci una calmata! Qui abbiamo a che fare con una mente raffinata, quindi dobbiamo organizzarci. Ho creato un “piano d’azione”. Punto1: costituzione di ronde permanenti notturne; punto 2: collaborazione degli “Angeli delle Fermate”; punto 3: divisione fra scala A, scala B, solai, cantine, garage e cortile…”. Mentre Fernando parla, pian piano inizia a sentirsi il violino. “Zitti…zitti! Ecco che ricomincia!”. Il silenzio è profondo, mentre il suono aumenta gradualmente. Ognuno guarda gli altri con occhi sgomenti e atterriti, come di fronte ad un fenomeno maligno e soprannaturale. L’anziana Clarice si fa il segno della croce: “Il violino è uno strumento del demonio…”. Fernando tira fuori dalla camicia una medaglietta sacra e la bacia. Il giorno dopo, un prete esorcista sale le scale con i paramenti, con un aspersorio e con un chierichetto, che svogliatamente fa dondolare un incensiere. Va di porta in porta, formulando parole in latino. Lo segue una piccola folla di condomini, che risponde come può alle sue litanie. Si fermano in ogni pianerottolo e poi proseguono. Ci sono anche la vecchia Clarice e la badante Ierina, vestite di nero, con un velo sul capo e con i rosari in mano, che ogni tanto si fermano a bisbigliare, ultime nella fila. “Ma, Signora, Lei esseri sicuri?”. 5 “Certo! E’ l’anima di quel bellissimo ragazzo, che abitava nella scala B e che un giorno trovarono impiccato, mi pare dieci anni fa…Studiava al Conservatorio”. La notte dopo, tutte le finestre sono buie e domina la tranquillità, ma il violino torna a farsi ascoltare. Le luci si accendono, una ad una, accompagnate da lamenti e borbottii. “Oh no! Il prete non è servito, qui ci vuole la Digos…”. “Voglio dormire! Basta!”. “Clara, per favore, portami il valium e la grappa…”. Soltanto una finestra non è illuminata. E’ quella della cameretta di Daniele, in cui la musica è più chiara. I raggi della luna illuminano il letto, dove il bambino dorme, i giocattoli, i libri e una sedia, su cui riposa il violino, nella custodia aperta. I suoni diventano sempre più alti, vicino alla testa del bambino. Daniele sta sognando di essere sul palcoscenico d’un meraviglioso teatro, illuminato da un fascio di luce. E’ vestito con un frac, troppo largo per lui e suona in modo concentrato e magistrale una sonata di Bach. Lo fa, finché gli applausi entusiastici del pubblico cominciano a scrosciare e lui è costretto ad interrompere l’esecuzione, ringraziando con un profondo ed elegante inchino, mentre gli lanciano fiori. L’espressione del viso è vivace e gioiosa. Quindi con calma rimette lo strumento sulla spalla e ricomincia a suonare. Serenella Gatti RITORNO di Annamaria Sanguigni Appena scesa dal treno, Anna si sfilò in fretta la giacca di lana che aveva indossato prima di partire. Il tepore del clima la riscaldava e in Stazione si sentiva già il profumo salmastro. Da Via Roma il fresco del mare arrivava diretto come una freccia umida. Durante il viaggio aveva visto il paesaggio mutare. Gli alberi dal colore arancio e oro dell’autunno si erano diradati man mano che il cielo si faceva più limpido. Sarebbe rimasta solo un giorno in città. Mancava da sei anni e tornava per firmare alcuni documenti dal notaio. Sentì un brivido al pensiero di ritrovare tutto. S’incamminò verso il corso, fiancheggiato da negozi, ristoranti e vetrine. All’incrocio con la Salita Annunziata lo sguardo arrivò alla piazza della fontana dove l’acqua si allargava come un fiore. Provò la sensazione di piccole gocce che leggermente le bagnavano le labbra e le ciglia e un odore di salsedine. Tornando giù arrivò fino alla Spiaggia di Levante con la ringhiera arrugginita e le panchine di ferro scolorite. I ricordi riportarono alla mente le solite cose. Quali cose? Le solite. Gli anni spinosi e le lacrime amare in quel paese bello e distante. 6 Ripensò alla sabbia intatta dell’inverno che con il caldo si ammorbidiva sotto i passi prepotenti di quelli che, senza guardare quanto era bella, la schiacciavano con noncuranza. L’umidità dell’aria le arricciava i capelli come quando era piccola. Si guardò intorno e qualcosa era cambiato. “Dove era finito il Cinema Anxur?” Al suo posto c’era un grande negozio di borse. In alto sulle vetrine una scritta: I LOVE BAGS. La parola love era raffigurata da un cuore rosso. Un’immagine elegante che rimandava a scrigni esotici a lussi sfarzosi e tesori nascosti. Provò un lieve fastidio. Il ricordo fisso ai fatti e alle cose doveva restare inalterato e la novità la disturbava. In questo paese le ricche famiglie di Roma trascorrevano le vacanze estive. Attraverso le siepi s’intravvedevano le ville con grandi terrazze. I viali fiancheggiati da pini ombrosi si snodavano lievi. Cani da guardia abbaiavano come belve. L’estate era senza fine laggiù e i villeggianti con le barche arrivavano fino al promontorio, quasi a sfiorare le isole. Le serate si prolungavano e dalle grandi vetrate si vedeva il mare. Lo sguardo di Anna ritornò alle vetrine con le borse di pietre colorate. “I LOVE BAGS” con il cuore rosso al posto di LOVE. Aveva perso l’orientamento, sbucò in un vicolo e si sorprese nel trovare un minimarket dove prima c’era il Caffè del Lido. Il tempo e la distanza avevano reso i pensieri come scene di un film raccontato cento volte e i ricordi non svanivano mai. Non c’èra più il Cinema Anxur. La notte si svegliò, le persiane sbattevano, s’era alzato un vento di maestrale. Aveva sentito un tremito, un rimpianto… le solite cose. Bevve un po’ d’acqua dal bicchiere che tutte le sere metteva sul comodino e si sentì subito meglio. La mattina dopo, prima di ripartire, attraversò il viale che portava allo scoglio delle Sirene. Dal finestrino del treno che si staccava dalla stazione notò nascosta tra i pini una villa con le grandi terrazze da cui si vedeva il mare. Annamaria Sanguigni 7 Al Presidente. In memoriam. di Alessandra Guermandi Era vecchio, vecchio, vecchio, di una vecchiezza intollerabile a vedersi. Lo specchio lo uccideva, miserabile, ogni mattina, ma il suo corpo, a sentirlo così, semplicemente, non era vecchio affatto: le articolazioni funzionavano, la testa era ben collegata, il controllo della vista e dei sensi era perfetto, non sbagliavano una mira. Era forte, fortissimo ancora, e certe rotondità di tette e culi gli mettevano addosso una smania smodata, una fame atavica come di lupo che si risveglia nel bosco; e di cappuccetti rossi ne vedeva a iosa, attorno a sé. La fame era insaziabile , vorace, e così una sera che si trovava con qualche amico per mangiare insieme un piatto di pasta, insieme al pecorino grattò un bel po’ di haschish. Era tardi, il cielo era nuvoloso e l’aria ancora troppo fredda, così chiamarono qualche amica per festeggiare non sapeva cosa, ma ci teneva a stare in tanti tutti assieme, tutti vicini, il più appiccicati possibile gli uni agli altri; non importava chi fossero. Voleva odori, e umori, sguardi, sudore, voleva palpare con le dita formicolanti le giovani carni che avrebbe accostato, voleva vedere il suo pene erigersi fiero al centro della sala e dell’attenzione generale, proprio come quando da bambino aveva iniziato a muovere i primi passi e tutti attorno lo ammiravano stupefatti: “ Bravo, bravo !! “. Voleva sentire ancora la vita salirgli per ogni vena, sprizzargli da ogni poro. Quella malinconia che lo rosicchiava dentro se ne sarebbe andata come una cimice puzzolente schiacciata e rimossa all’istante. E intanto le pupe erano arrivate e gli spaghetti incominciavano a fare effetto. Iniziò a toccarle e gli salì un’ebbrezza favolosa, come da bambino, e si sentiva bravo, bello, irresistibile... L’indomani accade un fatto strano: Samantha trova in auto un braccio, Sabrina una scarpa con il piede dentro, Giulia un dito mignolo con anello d’oro e iniziali, Carlotta una guancia spiegazzata, Kathy un pezzo di ponte dentario e Samantha un gomito. Nessuna capiva cosa fosse successo. Gli telefonarono e gli chiesero come stava, perché loro erano preoccupate, avevano trovato delle strane e inspiegabili cose e lui poteva sentirsi male, o un pochino a disagio quantomeno: ma lui, non aveva perso proprio niente? _ “ Non no care, state tranquille, io non ho mai perso niente, guardate, ma proprio mai niente, neanche un palloncino quando avevo tre anni”. Così poi per rincuorarle le chiamò a casa sua un’altra volta, e questa volta palpò solo molto lievemente qualche candida gota,e mentre faceva per allacciare un girocollo che aveva regalato a tutte, si accorse che un pezzo di polpastrello rimaneva attaccato al fermaglio. Andò a fare pipì, ma in bagno si accorse che il testicolo destro era per metà staccato e penzolava senza ritegno. Volò subito nella camera da letto e chiamò subito a raduno: il personal trainer, il chirurgo estetico, il medico, il chirurgo cardiovascolare, l’odontostomatologo, il dermatologo, il fisiatra e lo psicologo. In un’ora il consulto al vertice era già eseguito e il verdetto era unanime: decomposizione senile a sfondo schizofrenico. Frammentazione dell’io con rottura dei tessuti. 8 Nel frattempo, le ragazze in sala si davano d’attorno per capire cosa stesse accadendo e qualcuna più operativa di altre incominciò a mostrare i pezzi da lei rinvenuti e dopo un po’ sul tavolino della sala osservavano in circolo e pensose il significato strabiliante di tutti quei pezzi , che messi uno accanto all’altro componevano quasi per intero il corpo del loro beneamato. Qualcuna pianse, qualcuna fece finta di niente e prese a intascare a destra e a manca tutto quel che poteva, qualcun’altra telefonava alla mamma per chiedere un parere. E all’improvviso la porta si aprì e lui uscì sul vestibolo del salone, avvolto nel suo bell’accappatoio di ciniglia blu. Aveva bisogno di loro, ma loro non lo vedevano, e rimanevano intente a guardare quei pezzi là, sul tavolino, che erano i suoi, proprio i suoi, li riconosceva. E capiva che ormai loro avevano capito. Ma capito cosa? Cosa? Cosa? Tornò nello spogliatoio, si tolse l’accappatoio e rimase nudo, nudo con lo specchio di fronte. Specchio maledetto. Specchio madre, specchio delle brame. Si accasciò a corpo morto sulla lastra fredda e prese a singhiozzare, prima piano poi sempre più forte, più forte, e intanto le lacrime scendevano e lui le accarezzava, e intanto diceva: “ Non sei vecchio, piccolo caro, non sei vecchio no, no, no ...” . E piangeva e si accarezzava. Il giorno dopo vide sfilare sotto la sua finestra un corteo funebre. Ai giornalisti che facevano domande diede l’ordine di non rispondere. Ai suoi amici diede ordine di dire che lui stava benissimo, non era successo niente, aveva bisogno solo di riposare. Alessandra GUERMANDI Febbraio 2011 9 The girl with the mask Beijing, friday june 3rd 2011 It's around 8.45 am in the morning and I'm on the way to take my kid to school. I'm driving along the Airport Expressway in direction Dashanzi, when I can testify a wonderful act of courage, artistic bliss and political meaning. In the middle of the highway a slim tall girl dressed with a tulle miniskirt, high hills and a white pirate-like shirt walks slowly between the cars. She wears a purple mask, one of those you see in the Venice Carnival. The vision she creates seems to come out from a movie, something between Visconti's decadence and the Kubrick of Eyes wide shut. In fact she is real, and she is slowing down the cars with coreographed gestures of her hands while walking in the opposite direction to the traffic. The traffic is the one of Beijing early morning, thousands of cars queuing up diligently; inside of them thousands of individuals to go to work and pursue their Chinese Dream. Ambition, resilience and pragmatism, underneath a blue parisian-like, sky provided by the governement late technological devices to manipulate the weather. By the time I pull over in a safe place and check again it is over; she is not there anymore. I strongly hope she got away with it. This kind of gesture is representative of the power of art when applied with subtlessness, sensitivity and unconditioned freedom. There is no violence, there is a moment of strangement, in which a whole context is transformed, a whole situation obeying to wellestablished rules is suddenly made to look random and illogic. A mysterious gesture, simple and out of context, makes those solid rules become fragile and arbitrary; it opens an empty space where we stand silent, realizing that everything is possible, that normality is held together only by our own acceptance and nothing else. The cars, the huge higway's lanes, the hot concrete, the metal, the sense of urge and necessity for all this is put in standby. Even the noise seems to calm down a bit. All these metal animals running in their concrete jungle, slow down and behave to the hand of a strange tamer appeared from nowhere. In 1974 Philippe Petit walked on a wire suspended between the Twin Towers in New york, just after they finished building them. He walked back and forth for 45 minutes before giving 10 himself in to the authorities. He kept the whole New York stand still, contemplating the beauty and the fragility of his gesture. When asked "Why he did this", he answered "I don't know, it's about the mystery". You cna watch this in the film-documentary MAN ON THE WIRE. The girl with the mask today knows very well why she did this. She created a powerful image and a coreography and she entered the theatre of everyday's life to change the script. She did this the day before june 4th, 22 years after the events of 89 in Tien An Men Square. She moved between the cars and stopped them, tamed them. I'm sure seeing her the Beijingneers must have felt weird, then probably even amused for a while. They will have something to talk about today during their lunch breaks. Few of them, tough, together with some foreigners and other people maybe watching from the windows of their buildings will experience also an image coming back from their subconscious, a little man with a plastic bag standing alone in front of a tank. He moved a few steps anytime the tank tried to pass at his side; he held the whole column of thanks still, a man, a human being who just had enough of what was happening. The girl with the mask is not alone and desperate, she is not acting her last chance. She is sending a bold symbolic message. China has a long tradition of romantic outlaws storytelling. Bandits have been celebrated and praised for their courage and the importance of their role in shaping history. The girl with the mask is the trickster-artist, the Robin Hood coming out of the forest to awake the villagers and mock the arrogant princes; she is not alone, more will come, appear, hit and disappear. Alessandro Rolandi from Beijing 11 SPAZIO GIOVANI Riflessioni dal web e dalla Capitale Antonello Chirulli ci presenta Giorgio Gaber Ho conosciuto il signor G., come viene chiamato dal suo pubblico, grazie al mio amico Angelo, fervente esploratore e compositore di arte nell'ambito cinematografico. L'ascolto di autori come De Andrè e Guccini mi hanno avvicinato a quest'altro pezzo di cultura e cuore dell'Italia artistica che è Gaber. Un grande osservatore della società oltre che artista. Credo, nelle mie supposizioni personali, che lui sia passato da una fase di rabbia e lotta ad una maturazione che, con umorismo e creatività, gli dona quella sua pace-espressività che è solo sua. E a noi dona una riflessione più profonda e al contempo creativa. Adoro le sue canzoni perchè hanno uno spessore di riflessione sul sociale, perchè ha una maturazione storico-politica e ci rende partecipi dell'Italia del secolo scorso. Perchè mi piace quell'arte che oltre a divertire ed estasiare porti anche alla riflessione e maturazione critica della storia, della politica e del sociale. Vi nvito all’ascolto e, per cominciare, alla lettura di tre sue canzoni appositamente scelte per voi. In rete abbondano i siti dedicati a Gaber dove troverete quasi tutti i suoi testi e su you tube le varie interpretazioni. Per ulteriori informazioni consultate: http://www.giorgiogaber.it/, http://www.ondarock.it/italia/giorgiogaber.htm, http://www.giorgiogaber.org/ Buona riflessione! Antonello C. "La razza in estinzione"da "La mia generazione ha perso" – 2001 Non mi piace la finta allegria non sopporto neanche le cene in compagnia e coi giovani sono intransigente di certe mode, canzoni e trasgressioni non me ne frega niente. E sono anche un po' annoiato da chi ci fa la morale L’illogica allegria di Gaber-Luporini 1980 Da solo lungo l'autostrada alle prime luci del mattino. A volte spengo anche la radio e lascio il mio cuore incollato al finestrino. Lo so 12 ed esalta come sacra la vita coniugale e poi ci sono i gay che han tutte le ragioni ma io non riesco a tollerare le loro esibizioni. Non mi piace chi è troppo solidale e fa il professionista del sociale ma chi specula su chi è malato su disabili, tossici e anziani è un vero criminale. Ma non vedo più nessuno che s'incazza fra tutti gli assuefatti della nuova razza e chi si inventa un bel partito per il nostro bene sembra proprio destinato a diventare un buffone. Ma forse sono io che faccio parte di una razza in estinzione. La mia generazione ha visto le strade, le piazze gremite di gente appassionata sicura di ridare un senso alla propria vita ma ormai son tutte cose del secolo scorso la mia generazione ha perso. Non mi piace la troppa informazione odio anche i giornali e la televisione la cultura per le masse è un'idiozia la fila coi panini davanti ai musei mi fa malinconia. E la tecnologia ci porterà lontano ma non c'è più nessuno che sappia l'italiano c'è di buono che la scuola si aggiorna con urgenza e con tutti i nuovi quiz ci garantisce l'ignoranza. Non mi piace nessuna ideologia non faccio neanche il tifo per la democrazia di gente che ha da dire ce n'è tanta del mondo e anche del resto lo so che tutto va in rovina ma di mattina quando la gente dorme col suo normale malumore mi può bastare un niente forse un piccolo bagliore un'aria già vissuta un paesaggio o che ne so. E sto bene Io sto bene come uno quando sogna non lo so se mi conviene ma sto bene, che vergogna. Io sto bene proprio ora, proprio qui non è mica colpa mia se mi capita così. È come un'illogica allegria di cui non so il motivo non so che cosa sia. È come se improvvisamente mi fossi preso il diritto di vivere il presente Io sto bene... Questa illogica allegria proprio ora, proprio qui. Da solo lungo l'autostrada alle prime luci del mattino. Far finta di essere sani di Gaber – Luporini 1973 Vivere, non riesco a vivere ma la mente mi autorizza a credere che una storia mia, positiva o no è qualcosa che sta dentro la realtà. 13 la qualità non è richiesta è il numero che conta. E anche il mio paese mi piace sempre meno non credo più all'ingegno del popolo italiano dove ogni intellettuale fa opinione ma se lo guardi bene è il solito coglione. Ma forse sono io che faccio parte di una razza in estinzione. La mia generazione ha visto migliaia di ragazzi pronti a tutto che stavano cercando magari con un po' di presunzione di cambiare il mondo possiamo raccontarlo ai figli senza alcun rimorso ma la mia generazione ha perso. Non mi piace il mercato globale che è il paradiso di ogni multinazionale e un domani state pur tranquilli ci saranno sempre più poveri e più ricchi ma tutti più imbecilli. E immagino un futuro senza alcun rimedio una specie di massa senza più un individuo e vedo il nostro stato che è pavido e impotente è sempre più allo sfascio e non gliene frega niente e vedo anche una Chiesa che incalza più che mai io vorrei che sprofondasse con tutti i Papi e i Giubilei. Ma questa è un'astrazione è un'idea di chi appartiene a una razza in estinzione. Nel dubbio mi compro una moto telaio e manubrio cromato con tanti pistoni, bottoni e accessori più strani far finta di essere sani. Far finta di essere insieme a una donna normale che riesce anche ad esser fedele comprando sottane, collane, creme per mani far finta di essere sani. Far finta di essere... Liberi, sentirsi liberi forse per un attimo è possibile ma che senso ha se è cosciente in me la misura della mia inutilità. Per ora rimando il suicidio e faccio un gruppo di studio le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani far finta di essere sani. Far finta di essere un uomo con tanta energia che va a realizzarsi in India o in Turchia il suo salvataggio è un viaggio in luoghi lontani far finta di essere sani. Far finta di essere... Vanno, tutte le coppie vanno vanno la mano nella mano vanno, anche le cose vanno vanno, migliorano piano piano le fabbriche, gli ospedali le autostrade, gli asili comunali e vedo bambini cantare in fila li portano al mare non sanno se ridere o piangere batton le mani. Far finta di essere sani. Far finta di essere sani. Far finta di essere sani. 14 IN BREVE: CHI ERA GIORGIO GABER? Dal sito: http://www.giorgiogaber.net Giorgio Gaberscik, in arte Gaber, nasce a Milano il 25 gennaio 1939. Dopo l'esordio come chitarrista di Adriano Celentano, all’età di diciannove anni firma il primo contratto discografico per la Ricordi e incide il 45 giri "Ciao ti dirò". Gli anni sessanta lo vedono indiscusso e autorevole protagonista dello spettacolo italiano con numerosissime incisioni discografiche e con un’intensa attività televisiva anche nel ruolo di conduttore di diversi programmi di grande spessore e successo; "Canzoni di mezza sera" (1962): "Canzoniere minimo" (1963); "Questo e quello" (1964); "Diamoci del tu" (1967) "…E noi qui" (1970). Sono gli anni della fortunata collaborazione con lo scrittore Umberto Simonetta, co-autore dei suoi più importanti e popolari successi discografici, e delle prime frequentazioni col pittore Sandro Luporini. Ed è proprio con Luporini che Gaber, a partire dal 1970, invitato dal Piccolo Teatro di Milano, cambia decisamente strada creando l’inedita forma artistica del "Teatro Canzone" che porta in scena ininterrottamente dalla stagione teatrale 1970/1971 al 1999/2000. Appartengono a questo lungo periodo, interamente dedicato all’attività teatrale, anche gli spettacoli di prosa ("teatro d’evocazione"), le regie e le produzioni riferite ad altri artisti (Ombretta Colli, Enzo Jannacci, Beppe Grillo, Arturo Brachetti), la direzione artistica dei teatri di Venezia e la manifestazione "Professione Comico" che fu trampolino di lancio per molti degli attuali protagonisti della comicità italiana. Nel 2001 a seguito della forzata interruzione dell’attività teatrale, si dedica alla discografia con due album: "La mia generazione ha perso" (2001) e "Io non mi sento italiano" (pubblicato postumo nel 2003) che ottengono uno straordinario successo di vendita e lo consacrano protagonista d'eccellenza anche nell’ambito della canzone d’autore. Il 1° gennaio 2003 Giorgio Gaber si spegne nella sua residenza di Camaiore (Lucca). Riposa al Famedio del Cimitero Monumentale di Milano accanto a coloro che hanno contribuito a rendere grande la metropoli lombarda. Biografia a cura di Massimo Bernardini tratta dal volume "Parole e Canzoni", 2004 edizioni Einaudi 15 LO SAPEVATE CHE…? Siamo molto lieti di rendervi partecipi della nuova amicizia che una piccola delegazione del Caffè ha fatto con un’altra associazione analoga, ma di belgi che vivono in Italia. Abbiamo molte cose in comune, e, dopo le vacanze estive, sicuramente troveremo un modo per collaborare. Pertanto vi invitiamo a visitare il loro sito, dal quale, con il loro permesso, ve ne offriamo un’anteprima. Buona scoperta! http://www.bolognabruxelles.it L’associazione culturale italo-belga “Bologna-Bruxelles A/R” L'associazione culturale italo-belga “Bologna-Bruxelles A/R” è stata fondata ufficialmente il 6 febbraio 2006 da un gruppo composto da belgi, italiani e italo-belgi, amanti del Belgio e desiderosi di farlo conoscere meglio in Italia, ove si trova ad essere la prima e unica iniziativa così concepita. Il nome dell'associazione, che suona come un biglietto d'aereo, intende evocare l'idea del viaggio, di un tragitto percorso molte volte, nonché quella di un ponte che unisce due città che in comune hanno l'iniziale del nome e non solo. Uno scambio culturale in entrambe le direzioni. Oltre a voler essere un punto d'incontro per i belgi dell'Emilia Romagna e un luogo di contatto per gli italiani desiderosi di avvicinarsi al Belgio, l'associazione ha l'obiettivo di rafforzare i legami tra il Belgio e l'Italia attraverso lo scambio reciproco e di promuovere le realtà culturali del Belgio in Italia. Mira inoltre a diffondere le lingue e le culture delle diverse regioni del paese, indipendentemente dalla loro prevalenza sul territorio. I soci fondatori dell'associazione, che non presenta alcun carattere politico, si sentono profondamente “belgi” e rappresentano un paese variegato e unito. Semplicemente vogliono promuovere le ricchezze culturali e artistiche del proprio paese e farne conoscere e apprezzare le personalità di spicco, siano esse francofone o neerlandofone. L'intenzione è, quindi, quella di diffondere la cultura belga nel modo più ampio possibile facendo conoscere le personalità e i talenti del mondo dell’arte, della musica, della letteratura, dei fumetti o del cinema che hanno contribuito e contribuiscono a dare un'immagine interessante e prestigiosa del Belgio all’estero. L'appassionato lavoro dell'associazione per la diffusione di queste realtà culturali si concretizza attraverso numerose attività culturali e ricreative (incontri letterari, conferenze, mostre, eventi musicali ecc.), corsi di lingua e laboratori tematici, viaggi, cene e degustazioni tipiche. 16 Se è vero che la cultura del "Bel Paese" è molto valorizzata in Belgio, grazie anche alla forte presenza di immigrati, il "paese piatto" di Jacques Brel resta abbastanza misconosciuto in terra italiana. È, quindi, con l'obiettivo di una più approfondita conoscenza e di un rinnovato interesse per questo paese che l'associazione si propone di lavorare. Il direttivo di "Bologna-Bruxelles A/R" è costituito da belghe/i e italiane/i tutte/i esclusivamente volontarie/i. Dal novembre 2008 l'associazione ha la sua sede, concessa dal Comune di Bologna, in Via Santa Caterina 55/A, nel cuore del quartiere Saragozza a Bologna. La nostra realtà associativa vive quasi esclusivamente grazie al contributo dei nostri soci attraverso il tesseramento e i corsi di lingua che organizziamo. Le spese per gestire la sede e per organizzare le iniziative sono comunque tante... Ogni istituzione, azienda, struttura che sia interessata a sostenere il nostro progetto sarà sempre ben accetta! “Bologna-Bruxelles A/R” è e rimane un'associazione di promozione sociale senza fini di lucro: ogni contributo devoluto all’Associazione è utilizzato solo al fine di promuovere gli scambi culturali tra l’Italia e il Belgio e organizzare per i soci attività ed eventi rivolti a far meglio conoscere il Belgio in Emilia-Romagna. Made in Belgium Lo sapevate che ...? … il sostantivo « spa » (stabilimento termale) viene dal nome dellla cittadina belga di Spa, famosa per il suo centro termale e per la sua acqua in bottiglia? … qualche anno fa l’artista Folon ha realizzato il « vecchione » che viene bruciato a capodanno a Bologna? … di notte, quando si guarda il globo terrestre da un satellite, si riconosce il Belgio perché si vede una piccola macchia chiara dovuta al fatto che le autostrade sono illuminate? … alla fine del Medioevo, Anversa era la più grande città del mondo? … le denominazioni di “Belgio” e “i belgi” si trovano per la prima volta nel De Bello Gallico di Giulio Cesare (lat. Belgica e Belgae)? … l’inizio delle migrazioni italiane in quello che è l’attuale Belgio sono molto antiche : già nel Quattrocento mercanti e banchieri toscani cominciano le relazioni tra le due popolazioni .... troppo spesso grandi nomi dello sport e del mondo dello spettacolo del Belgio francofono vengono erroneamente confusi con i vicini francesi (Johnny Hallyday, Marie Gillain, Jacques Brel, Georges Simenon ecc.) … i termini “pralina/pralineria” in italiano vengono proprio da una parola belga che inizialmente non era neanche usata in Francia, doce si parlava di “chocolats fourrés” ? … il pittore fiammingo Rubens ha vissuto 8 anni in Italia? … Carlotta del Belgio ha vissuto nel castello di Miramare a Trieste? ... i beghinaggi sono una realtà tipica dalle Fiandre e dell'Olanda? … Adolphe Sax ha inventato il sassofono ? … Carlo Magno è nato nei dintorni di Liegi? Per maggiori informazioni vi rinnoviamo l’invito a visitare il sito dell’Associazione “Bologna-Bruxelles A/R”: http://www.bolognabruxelles.it 17 IL TRIONFO DEL BARBIERE Ce l’abbiamo fatta! Più o meno così dicevano verso mezzanotte del 1° aprile 2011 gli occhi di Brigitte Henriet, di Herman Cole e di tutti quanti -soci o meno di Il Caffè- si erano dati da fare per lo spettacolo ‘Il Barbiere di Siviglia’ che TeatroImmagine aveva appena concluso presso il Buurthuis Muide a Gent. Certamente una location interessante ed adatta in un quartiere dove perfino molti abitanti di Gent -venuti a piedi, in bici, con il tram, con il carpooling- hanno messo piede per la prima volta. Dove un tempo si producevano motori navali, ancora echeggiavano gli applausi del numerosissimo pubblico che aveva seguito divertito la performance della troupe veneta. Bravi, braavi, braaavi. E così è andata a Frameries, a Leuven, a Sint-Niklaas e a Genk. Mentre si sorseggiava una flûte di prosecco Canah, gentilmente offerta dalla casa Perlage, sfilavano ancora Don Basilio, il Conte Almaviva, Bartolo, la gentilissima Rosina. E naturalmente … Fiii-ga-ro. ‘Trala-la-lèèraaa.’ Ma quante risate prodotte dalle tante situazioni ilariche, dagli avvenimenti ingranditi, dai dialoghi italiani sparati a mitragliatrice, dai gesti e dalla mimica irresistibili. Infine alcune piccole cose che vanno senz’altro sottolineate. • Attori e tecnici della compagnia hanno coinvolto circa duecento diciasettenni di varie scuole medie di Sint-Niklaas in quattro workshop intitolati Cento minuti di commedia dell’arte. • Dopo la replica a Sint-Niklaas del 2 aprile, Anfiteatro-amici della cultura italiana ha consegnato alla compagnia un bell’ assegno (€ 3.800) che servirà nei prossimi mesi per allestire uno o più spettacoli nel paese terremotato di Fossa in Abruzzo. A questa cifra hanno pure contribuito soci di Il Caffè, di L’incontro di Bruges e di altre associazioni. Grazie. • Anche questa volta la troupe di TeatroImmagine è stata gentilmente ospitata presso alcune famiglie a Sint-Niklaas, Temse e Tielrode. Ne è nata un’amicizia che continua a crescere. • Sabato 9 luglio e domenica 10 luglio 2011 presso il Parco Villa Farsetti di Santa Maria di Sala, TeatroImmagine lancia il suo nuovo spettacolo ‘Il Romanzo della Rosa’, una regia di Andrea Brugnera. Svela il foglio di sala: ‘Sei attori e un musico si alterneranno sulla scena “all’improvvisa”, per renderci fra frizzi e lazzi, selve oscure, cavalcate e monasteri, il succo segreto di quell’Età di Mezzo. È questo un Medioevo di maschere che celano, dietro la loro fissità drammaturgica e la loro ironia, la verità di quei Secoli Bui che forse bui del tutto non erano...’ Se qualcuno passa dal Veneto…. Per tutti gli altri, pazienza fino a quando torneranno a Gent. Herman Cole 18 19 PERSBERI CHT *+,+-+.+#U+%,-%.W# 8%H&22.*# M%&4(.#@26%# 4%*#'%#='%#./01(12+# !"#!"#$%&'(#!)""#$%&'()$*#'%#+%,-%./%#-%&%.010.1#-(.#%.#-22ń%560%7$%88%&/#*+,+-+.+#$2%#'%# $,0'01%#$227'/*('#-(.#9*(60:#2"#;<#("&06#=>?#-22&#@$&0/*,/#A%&'#1%/*0)$*B#CA%%',0D%.'#D%-%.$2.'%&'# -0%&%.D%/*01#E((%6%'%.#',/F#G((&*2%#-%&D(4%6'%.#12%'#*()$*01#6%'%.#((.#$%*#8%10.#-(.#%%.#.0%,A# A%&HE((�.#$%*#7&((0%#I%%&*&,0$27J#*%1%.2-%&#$%*#+%,-%./%#K6%0.#L%10E.$27B#M%*#A%&'#%%.#0.72&4%6%# 4((%%/*%60EH%#2.*42%*0.1J#4%*#%%.#1&(*0/#$("E%#%.#%%.#'&(.HE%#-22&#(66%#6%'%.B#N-%.#4%%1%-%.#'(*# &,04#<OPP#/Q4"(*$0/(.*%.#'%#'(1%60EH/%#.0%,A/8&0%7#-(.#RBSBTB3B#2.*-(.1%.B#UAAAB/"V&B8%W#! # !"#$%&$$'(%)*+,%$*-$,%.(*/&(*,-.01-%,1(2234*+5%665%-$7*$308%% 9#%:;%223%.(*<(%42*00$,%0$%54"55$,%71,%0$%.(10&2*.("3$,%"<%&$(%=1<*(""4%(*$,%#*,2($,%41,-8%% >$(%?$5$,0$%7$3&114%71,%0$%4$-$,013*./&$%?3"$3.%!"#242.%$,%!$#2.@%"<-$7"$0%0""3%$$,%A"47*,@%$,%0*$% 41($3%!"#$%)"20$,%&$??$,%-$.(*/&(@%5A1#%0113%"<%01(%#"#$,(%A$$3%$7$,%*,%*$0$3.%&$3*,,$3*,-8%% # 9.#((.A%D01$%0'#-(.#-%&/)$%0'%.%#"&240.%.*%.#%.#"%&/#&%0H*#*+,+-+.+#/0.'/#;PP>#2"#;<#("&06#D0E.#E((&5 60EH/%#./01(123%&'42#,0*#((.#%%.#"%&/22.J#2&1(.0/(*0%#27#8%'&0E7B#G%#%.01%#-22&A((&'%#24#'%D%#"&0E/#0.# '%#A()$*#*%#/6%"%.#0/#'(*#4%.#$%*#-22&80E%#E(("4%&H%60EH%#0./"(..0.1%.#42%*#$%88%.#1%6%-%&'#-22&# '%#"&242*0%#-(.#324%#27#9*(60:#0.#$%*#(61%4%%.B#G%D%#"&%/*(*0%#H(.#D0)$#/0*,%&%.#2"#$%*#-6(H#-(.#$%*# ),6*,&%6%J#1(/*&2.240/)$%J#60*%&(0&%#%.D2-22&*#%.#A2&'*#*%6H%./#8%H&22.'#4%*#%%.#8&2.D%.#&%"60)(#-(.# '%#8%&2%4'%#324%0./%#A26-0.B### # 9.#;PP>#A%&'#@(&0.%#@,Q"%&/#5(,*%,&#-(.#XY(10%#-(.#324%Z5#1%:%&'##'22,&1%4%%/*%&#+2,0/#C288()HB# M%*#-261%.'%#E((%H&22.'%#&%)*2&#[%&-%..%#-(.#'%#K\#+%,-%.#(&)$%2621%#Y(&6%%.#Y(&*%./#-(.#$%*# Y0*$&(/5$%0601'24#0.#C0%.%.B#M%*#8%%6'#A%&'#0.#;PP=#'22&#'%H%.#G0&H#G%#I%.'*#2-%&$(.'01'#((.#8,,&*5 -%&%.010.1#+NCRJ#2&1(.0/(*2&%.#-(.#%%.#324%0./#A%%H%.'B#I2,-%&.%,&#-(.#[6((4/5L&(8(.*#+2'%A0EH# G%#]0**%#%%&'%#0.#;PPO#M,12#[(.%&4%.J#&%)*2&#-(.#'%#R(.#I0,60(.2#0.#324%#%.#(,*%,&#-(.#$%*#82%H# X^0(440.1$0#0.#324%ZB#9.#;PP_#10.1#'%#]26-0.#,0*#'%#$(.'%.#-(.#R(1(6(//2/58%D0%6%&#"&27B#Y(&)#](%65 H%./#.((&#-22&D0**%&#I,0'2#@,Q*#-(.#'%#`.*A%&"/%#[%&%.010.1#-22ń%0./%#(&)$%26210%B##[2&01#E((&# 2-%&$(.'01'%#324%5H%..%&#L(&*#G%#]%-%&#'%#"&0E/#((.#L%&.(&'#[(.'(%6%#(60(/#T,0.*,/J#(&)$%26221#%.# A%660)$*#'%#%.01%#-26*0E'/%#324%0./%#6%102.(0&#-(.#L%610:B#UAAAB"&2E%)*5V,0.*,/B8%W## # !"#'2.'%&'(1#;<#("&06#;P<<#A%&'#'%#*&27%%#'22&#'%#+%,-%./%#/)$%"%.#-(.#),6*,,&#G%.0/%#[(.'%-22&*# ,0*1%&%0H*#((.#56&0$7#8/(69#8%$(6-%#%a56%/1%-%	*(60((./#0.#R0.*5b0H6((/#22H#U&%0/5W(,*%,&#%.#(.04(*2&B## b(#%%.#'(.HA22&'#A((&0.#$0E#/"%,&'%#A(*#$0E#4%*#324%#1%4%%.#$('c$%%7*J#HA(4#M%&4(.#@26%#4%*# %%.#H2/*%60EH%#-%&&(//0.1B#M0E#/)$2.H#*+,+-+.+#%%.#'&0%60*%&76%/#(4(&2.%5A0E.#,0*#'%#[(6"260)%66(5/*&%%HF# G%#-%&%.010.1#D(6#'0%#0.#%%.#-%&H22"#"%"82'#1220%.#-22&#S6(.#9.*%&.(*02.(6J#'(*#'22&#*+,+-+.+#1%&%5 1%6'#0.#D0E.#0.0*0(*0%-%.#A2&'*#8%*&2HH%.B#M%*#8%10.82'#6,0''%#d#<=>#%,&2B## ## N%.#H2&*%#*%&,1860H#-%&*%6*#'(*#M%&4(.#@26%#8%10.#4%0#;PP_#80E#,0*1%-%&0E#+(..22#D0E.#10'/#Z<PPa#b22&'59*(60:Z#2"# '%#4(&H*#8&()$*B#G((&0.#$(H*%#$0E#%%.#1%80%'#2.1%-%%&#D2#1&22*#(6/#-0%&#H%%&#L%610:#0.#D%/*0%.#1%8&,0H/H6(&%#42*%.# -22&#%%.#2&010.%6%#%.#82%0%.'%#A%%H#-(H(.*0%B#G%#/)$06'%&0E%.#((.#$%*#8%10.#-(.#%6H#$227'/*,H#A(&%.#-(.#'%#$(.'# -(.#Y0(#R*%%6B#UAAAB6(..22B8%W## [(.(7#'%#$%&7/*#-(.#;PP_#',A'%#M%&4(.#/(4%.#4%*#R042.%#G,Q4%60.)HJ#I%%&*#e2**0%&#%.#K(&0.#C(-%&.0%&#-(.#$%*# R0.*5b0H6(/%#:7;'<6$<&/31#*/*%0$441%/24(231%*(14*1,1%'%#H(&#-(.#X`(.5D%*5-22&5^2//(Zf#%%.#8%/)$%0'%.#8%12..%.# /260'(&0*%0*/()*0%#*%.#1,./*%#-(.#'%#8%-26H0.1#-(.#$%*#'22&#'%#((&'8%-0.1#1%*&277%.#`8&,DD%/%#'2&"E%#^2//(#8&()$*# %%.#760.H#8%'&(1#0.#$%*#6((*E%B#9.#;P<P#10.1#-%%6#*0E'#.((&#'%#2&1(.0/(*0%#%.#)2g&'0.(*0%#-(.#Z32.'%#-(.#[6((.'%&%.# d#%#.2.#/262ZJ#'%#E2.1/*%#*2,&.%%#-(.#C%(*&2944(10.%#,0*#'%#[%.%*2J#4%*#2"*&%'%./#0.#^&(4%&0%/J#+%,-%.J#I%.*J# R0.*5b0H6((/#%.#I%.HB#9.*,//%.#"(H*%#M%&4(.#2"#]%&%6'-%&*%6'(1#;P#4((&*#;P<<#,0*#4%*#XGZ`))2&'2ZJ#A((&0.#$0E# /(4%.#4%*#())2&'%2.-0&*,2/%#N6H%#G%#Y%%/*%G,%#Y(%/*&05#A22&'#%.#4,D0%H#*2*#%%.#"&%**01#"&21&(44(# H.%%''%B#9.*,//%.#8&2%'*#'%#h?5E(&01%#X324,6,/Z#@26%#A%660)$*#A%%"#(.'%&%#"6(..%.B#UAAAB)26%/*%&262B8%W### 20 L’impegno di Marina Dessi continua e ci fa conoscere: NOTA INFORMATIVA CHI SIAMO Ci siamo costituiti come Associazione di Volontariato il 23 dicembre 2002, ma lavoriamo nel campo delle adozioni a distanza dal ’94. Dal 27 marzo 2003 siamo iscritti al Registro Generale del volontariato al numero 1160, per cui siamo una O.N.L.U.S. (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale) ciò permette di usufruire dei benefici fiscali previsti dalla legge e gli importi versati sono deducibili dalla denuncia dei redditi. Operiamo principalmente a Carbonia, ma ci avvaliamo del prezioso aiuto di alcuni referenti in diverse parti della Sardegna e dell’Italia. La nostra Associazione è costituita da volontari laici e si propone di portare aiuti a tutte le persone bisognose, con particolare riguardo ai bambini argentini. Attualmente stiamo lavorando a diversi progetti: uno a Claypole e due a S. Miguel de Tucumàn. A Claypole, nella cintura periferica di Buenos Aires, aiutiamo la Comunità che fa capo alla Cappella Mater Dei, che fu lasciata in eredità ai nostri referenti argentini, da P. Vincenzo Re, missionario di Don Orione, deceduto a Carbonia nel 1998, che lavorò a Claypole per 40 anni. Qui lavoriamo con l’Associazione “Te ayudamos a crecer” composta anch’essa da dei volontari laici, alcuni dei quali hanno conosciuto personalmente P. Vincenzo e in tutti questi anni hanno affiancato i nostri referenti Daniel Travasso e sua moglie Silvia Delma Ruiz. L’associazione argentina segue direttamente i bambini adottati e le loro famiglie, soddisfacendo i bisogni primari (cibo, vestiario, medicine, alfabetizzazione, istruzione per l’avviamento al lavoro, ecc.) Attualmente stiamo lavorando anche in Tucumàn, la regione argentina più povera in assoluto. INIZIATIVE E PROGETTI Precisamente stiamo operando nella città di S. Miguel de Tucumàn. Stiamo collaborando al Progetto “El Sifòn” presentatoci dall’Associazione laica “S. Domenico Savio” che si prefigge tramite un programma di sviluppo sociale con campeggi, attività sportive, culturali e spirituali, di sottrarre i bambini e i ragazzi del poverissimo quartiere El Sifòn ad un futuro legato alla delinquenza e al sottosviluppo. 21 Sempre nella stessa città siamo impegnati con il “Progetto Creciendo” presentatoci da un sacerdote argentino della Congregazione di Don Orione, col quale ci prefiggiamo, mediante l’adozione a distanza di bambini e adolescenti, di dar loro la possibilità di proseguire negli studi e di avere un’adeguata educazione offrendogli i mezzi necessari per una crescita integrale e la propria realizzazione come persone. A Claypole oggi l’Associazione conta oltre 250 adozioni, che grazie alla sensibilità della gente sono in continua crescita. Tenendo ben presente che il bisogno primario dei bambini, cui rivolgiamo il nostro aiuto, è soddisfare i bisogni più urgenti, stiamo realizzando diversi progetti a carattere sociale: 1. gestiamo una mensa quotidiana che garantisce la colazione e il pranzo a circa 200 bambini da 1 a 14 anni, alle loro mamme e ad un gruppo di persone anziane, soprattutto vedove che ricevono anche medicinali e vestiario a seconda della necessità. 2. nel 2003 abbiamo ultimato il “Progetto Acqua” finanziandone interamente il secondo lotto, col quale abbiamo dato l’acqua potabile a 120 famiglie, che l’aspettavano da 30 anni! Questo progetto è stato premiato come “Miglior progetto dell’anno” realizzato in quella zona. Sempre nel 2003 abbiamo iniziato il “Progetto casa” consegnando due abitazioni. 3. nel 2004 abbiamo consegnato altre abitazioni accontentando diverse famiglie. Un altro progetto che abbiamo realizzato in questo anno è il “Progetto raccolta acque piovane”. Infatti nel periodo invernale era praticamente impossibile praticare queste strade, per cui molti bambini e le loro famiglie si trovavano impossibilitati a recarsi alla mensa e a frequentare la scuola . 4. nel 2009 a Claypole, abbiamo terminato la struttura socio educativa dove vengono attuati i progetti : alimentazione, salute, educazione, alfabetizzazione, microimprendemento, ricreazione. La mensa garantisce i pasti giornalieri per i bambini adottati e per tutta la Comunità che vive nel quartiere della Mater Dei . Per quanto riguarda la salute: un medico generico, un pediatra , un ginecologo, un dentista prestano la loro assistenza sempre in forma gratuita a tutta la zona dove sino a qualche tempo fà l’assistenza sanitaria era un miraggio. Vengono assicurati corsi di alfabetizzazione, microimprendimento e corsi professionali per l’avviamento al lavoro (elettricista, meccanico, cuoco, informatico). Si tengono corsi di musica, teatro. Una scuola di calcio e l’Associazione dei Boy Scout garantiscono un luogo dove i bambini possano socializzare e innanzitutto toglierli dalla strada, dalla violenza e dalla droga, insegnare loro delle regole giocando e insegnargli un mestiere per prepararli a entrare nel mondo del lavoro. Dal 2010 in Madagascar abbiamo intrapreso, anche con l’ausilio dell’Ass. “Averiko”, un nuovo progetto denominato “Progetto Salute Marina”, tramite il sostegno a distanza ci prefiggiamo entro il 2011 di adottare almeno 30 bambini dai 3 ai 10 anni selezionati in base alle loro condizioni sanitarie legate alla malnutrizione. Obiettivo del programma è che i bambini ricevano “sakafo” (cibo), cure mediche, assistenza materna e accompagnamento scolastico. Questo progetto ci ha impegnato molto e già stiamo dando il nostro sostegno a distanza a 26 bambini . 22 Per sostenere un bambino a distanza e la sua Comunità occorre un impegno mensile di € 25 ripartibili anche tra più persone. L’importo si può versare tramite : Posta ccp n. 38459624 intestato a : “Aiutiamoli” Ass. no profit per l’adozione a distanza – fratel Vincenzo Loc. Genna Corriga 09013 Carbonia. Banca IBAN : IT11V0101543850000000031450 “ L’Adozione per mezzo tuo è il pane caldo del mattino; è il pranzo e a volte è l’unico pasto di tutto il giorno; è il cappotto dell’inverno; sono le scarpe per i piedi scalzi “. 23 Commento di Marleen Willems sulla conferenza del 17 marzo 2011 tenutasi ad Anversa da: Emiliano Manzillo Il cinema storico in Italia tra il 1905 e il 1918. La conferenza di Emiliano Manzillo sul film muto in Italia all’inizio del ventesimo secolo è stata veramente interessante. Ha incominciato con lo spiegarci brevemente e in modo molto chiaro i principali avvenimenti storici e i protagonisti più importanti del Risorgimento. I primi filmati all’inizio del secolo scorso avevano soprattutto uno scopo pedagogico e aiutavano a creare un certo senso di unità. Piccoli dettagli illustravano che questi filmati erano molto influenzati dalle vicende politiche e dal rapporto stato/chiesa e che venivano usati come strumento propagandistico. Il primo film ‘La presa di Roma’ aveva un aspetto ancora molto amatoriale, il secondo, però mi ha sorpresa. ‘Il piccolo garibaldino’ era di una bellezza straordinaria per quanto riguarda la messa in scena, gli effetti teatrali e le interpretazioni, tenendo naturalmente conto del periodo in cui è stato girato. Negli anni ’80 sono stati i giapponesi a rinfrescare la memoria degli italiani con i loro cartoni animati su ‘Cuore’ (libro di De Amicis’ - 1886) e ‘Le avventure di Pinocchio, storia di un burattino’ (libro di Carlo Collodi- 1881), due opere importanti del periodo risorgimentale. Grazie a questo risveglio un regista come Luigi Comencini ha trovato i finanziamenti necessari per poter girare la sua versione delle Avventure di Pinocchio (serie televisiva – 1972). Nell’ultima parte della conferenza abbiamo visto alcuni esempi di film documentaristico. Ne ‘La dichiarazione di guerra all’Austria’ si vedeva molto bene che la gente non era ancora abituata alla cinepresa e si metteva in posa come se fosse per una fotografia. Il secondo film ‘La guerra sull’Adamello’ mi ha veramente impressionato: un documentario della vita in alta montagna (3000 m) durante la Prima Guerra Mondiale, in un paesaggio quasi surreale, in un freddo ghiacciante, in un silenzio assoluto, delle immagini impressionanti e accattivanti. Per chiudere la sua conferenza Emiliano ci ha fatto vedere un breve spezzone di un altro filmato mostrando le macerie di San Martino del Carso, un San Martino del Carso distrutto, come lo dovrebbe aver visto Giuseppe Ungaretti quando scrisse la sua omonima poesia. San Martino del Carso (Valloncello dell’Albero Isolato, il 27 agosto 1916 ) 24 Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Van deze huizen is niets gebleven dan enkele flarden muur Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Van zovelen die met mij verbonden waren is er niet eens dat gebleven Ma nel cuore nessuna croce manca Maar in het hart ontbreekt geen enkel kruis È il mio cuore il paese più straziato Het is mijn hart het meest verscheurde land Tratto dal libro: De mooiste van Giuseppe Ungaretti – tweetalige uitgave – edizione bilingue Trad. Salvatore Cantore Red. Koen Stassijns – Ivo van Strijten Ed. Lannoo/Atlas isbn 9789020948240 Nota: Ogni anno, inizio ottobre, a Pordenone si tengono ‘Le Giornate del film Muto’ . http://www.cinetecadelfriuli.org/gcm/informazioni.html La cineteca del Friuli - Archivio Cinema - del Friuli-Venezia-Giulia si impegna in collaborazione con la Slovenia per il recupero e il restauro di documentari e filmati storici. http://www.cinetecadelfriuli.org/cdf/archivio_cinema.html Il suddetto commento è presente anche sul blog della Dante Alighieri http://dantealighierianversa.blogpost.com Marleen Willems 25 di Anversa: APPUNTI SUL CINEMA in seguito alla RASSEGNA DI FILM ITALIANI 17/032011 – 28/04/2011 organizzata da IL CAFFÈ in collaborazione con DE CENTRALE - INTERCULTUREEL CENTRUM pubblichiamo integralmente tutte le introduzioni di Serena Stefani. RISO AMARO di Giuseppe De Santis Con Silvana Mangano, Doris Dowling, Vittorio Gassman, Raf Vallone, Drammatico, durata 108 min. – Italia,1948. Riso amaro, un film girato nel 1948 e distribuito nel 1949, come è noto, si iscrive nel movimento culturale e soprattutto cinematografico del Neorealismo Italiano ed è uno degli episodi più importanti di questo movimento accanto a Roma città aperta di Rossellini, a Ladri di bicliclette di De Sica e a La terra trema di Visconti. Due parole sul Neorealismo. Il Neorealismo nasce dal trauma della Seconda Guerra Mondiale, e si sviluppa nel corso degli anni ’50. Questo è un periodo in cui l’Italia, che veniva da 20 anni di dittatura fascista e aveva subito le distruzioni dei bombardamenti, l’occupazione tedesca e la guerra civile fra partigiani e nazi-fascisti ricomincia a vivere. Questo difficile e insieme desiderato ritorno alla vita avviene in un paesaggio di ROVINE. L’Italia ricomincia a vivere dalle e sulle sue rovine. Si tratta di rovine materiali, economiche (tutto il tessuto e l’organizzazione del paese erano saltati, la povertà era estrema), rovine psicologiche (quasi ogni famiglia eveva subito privazioni, morti, torture) e rovine ideologiche. La costruzione mentale del fascismo era risultata falsa: l’Italia non era la nazione ben equipaggiata e forte in grado di vincere una gloriosa guerra nella quale il regime nazionalista e polulista l’aveva trascinata. Tutto il contrario: l’Italia era debole e la guerra orribile e rovinosa. Si ripartiva da zero. E’ da questo “anno zero” che parte il Neorealismo: guardando il dramma con coraggio documentario e speranza in un mondo nuovo. Se tutto è distrutto, tutto si può ricostruire in modo diverso e migliore. La speranza di un mondo migliore era anche il leitmotif della Resistenza, quel movimento armato ma anche culturale che aveva fatto riconquistare all’Italia la libert. e aveva aperto scenari inditi come la partecipazione popolare spontanea alla storia del paese. Giuseppe De Santis, il nostro regista, ha sempre sostenuto che il Neorealismo era proprio il frutto culturale della Resistenza. Perché la voglia di libertà e l’attenzione agli umili ocme protagonisti non era rimasta limitata alla politica, era penetrata nell’arte. I registi vogliono la verità, non più le menzogne, vogliono parlare della gente comune e lo vogliono fare in modo nuovo. Ora in democrazia è possibile sia nominare povertà e ingiustizie e sperimentare linguaggi, anche se nel dopoguerra, con i partiti di destra al potere, 26 la censura continua e si abbatterà anche pesantemente sui film neorealisti che della ricostruzione mostrano chi rimane ai margini: lavoratori e i disoccupati. De Santis è uno dei pochi registi dichiaratamente marxisti del Neorealismo. Riso amaro è infatti un film sul lavoro. Il lavoro delle operaie del riso: le “mondine” (da “mondare”= “pulire”). Queste lavoratrici stagionali da aprile a giugno stavano tutto il giorno immerse nell’acqua delle risaie, prima per trapiantare le piantine di riso, poi per proteggerle dalle erbacce (mondarle appunto): un lavoro durissimo e mal pagato, di grande sfruttamento. Anche la famosa canzone Oh bella ciao, poi modificata in canto della Resistenza era in origine un canto delle mondine. De Santis ci mostra la vita quotidiana nella risaia con ricchezza di dettagli concreti e con un’attenzione sociologica tutt’altro che banale. Il mondo del lavoro in Riso amaro infatti non è solo un’ambientazione, uno sfondo come un altro, ma è uno dei protagonisti del film. Dare spazio al lavoro in un film, mostrarne gesti, momenti, canti e balli, restituire il suo senso antropologico era allora una grande novità nell’ambito del cinema italiano e si lega piuttosto alle esperienze del documentario americano ed europeo degli anni ’20 e ’30 (Flaherty o Ivens), o al cinema sovietico. Guardando ai lavoratori della campagna De Santis si pone in maniera originale anche rispetto al Neorealismo che invece, a parte il film di Visconti La terra trema, ha rappresentato soprattutto la vita dei poveri nelle città. De Santis però non si ferma al documentario, ma cerca di costruire contemporaneamente, intorno all’immagine del lavoro, un grande film di fiction e un’opera di sperimentazione formale. Ne viene fuori una pellicola problematica, un film ricco, vigoroso, violento, anche strano e straniante, tanto che si è meritato la denominazione di “Neorealismo flamboyant”, perché mescola e mette insime tanti codici espressivi diversi. Nonostante abbia avuto un grandissimo successo di pubblico in Italia e all’estero (ebbe anche una nomination all’Oscar nel ’54) il film è stato spesso attaccato. In effetti c’è un conflitto fra, una storia tradizionale melodrammatica e moralista, da feuilleton da un lato, e un certo furore estetico, una ricerca visuale ed espressiva di grande rilievo dall’altro. Certo la trama è quasi comica con i buoni da una parte, i cattivi dall’altra, il destino, la scelta morale, la redenzione, la condanna. Ci sono 4 protagonisti, due coppie che nel corso del film però si scambiano. Due sono dei “criminali” cittadini, estranei al mondo del lavoro nei campi e sono Walter (Vittorio Gassman) e la sua compagna Francesca (l’attrice hollywoodiana Doris Dowling, che si era trasferita in italia). Walter e Francesca hanno rubato una preziosa collana e ora scappano dalla polizia. Perciò si confondono fra i lavoratori del riso. Già dall’inizio si vede tuttavia come Francesca non sia più entusiasta di questa vita “corrotta”. Poi ci sono due personaggi a prima vista “sani” – la mondina Silvana (la splendida Silvana Mangano qui al suo primo vero ruolo cinematografico), regolarmente iscritta al sindacato e perfettamente inserita nel mondo operaio, che però sogna una vita diversa di ricchezza e piacere e si fa confondere dalla moda americana entrata in Italia con la guerra: mastica la gomma, legge i fotoromanzi, balla il boogie-woogie - e Marco un sergente dell’esercito italiano che, sconvolto dalla guerra appena passata, è diventato pacifista e, deluso 27 dalla miseria italiana del dopoguerra, vuole emigrare in Sud America. Marco è innamorato della bella Silvana, ma lei trova più interessante il fuorilegge Walter che gli promette, anche tramite l’oggetto simbolico della collana un futuro ben più brillante della risaia, mentre Francesca è sempre più attratta dal sergente Marco e dalle sue lezioni di morale, diciamo, “antifascista”. Nel corso del film assistiamo quindi al formarsi di due nuove coppie (WalterSilvana e Marco-Francesca), all’irresistibile corruzione della popolana Silvana e alla redenzione della criminale Francesca fino ad un finale doppio: tragico per alcuni, felice per altri. Tutto ciò in un impianto visuale di grande complessità e originalità dove niente è mai casuale. De Santis lavora in primo luogo sulla composizione dell’immagine, che è sempre spazialmente ritmica, elaborata, simbolica e insieme concreta. Dai suoi contrasti coloristici (di bianco e nero) ora forti al sole o negli interni, ora sfumati di grigi sotto la pioggia, ai movimenti interni all’inquadratura. Un’inquadratura dove, anche se è ferma, succedono tantissime cose grazie al dinamismo della massa degli attori e degli oggetti – si tratta di un film corale - (vedremo le scene della consegna dei capelli alle mondine, con i sombreri che volano in aria) e grazie alla profondità di campo per cui c’è un gioco continuo fra primo piano e sfondo (vi invito a notare all’inizio la bellissima immagine di Silvana che balla alla stazione il boogie-woogie: lì c’è un gioco ritmicoformale fra il volto sexy dell’attrice e dei muratori che passano su un’altura in lontananza, sullo sfondo). Vedremo anche durante l’aborto di una delle mondine nella risaia lo sfilare delle donne con i cappucci a comporre quasi delle inquadrature pittoriche di tipo espressionista. Poi in secondo luogo il regista gioca sul montaggio, anche in questo caso un montaggio intellettuale che oppone violentemente il personaggio alla massa, o gli spazi e i punti di vista fra loro dando al film grande dinamismo e insieme un senso di epicità. Infine ci sono i movimenti della macchina da presa, assulutamente mai visti nel cinema italiano. Dei movimenti complessi e composti che dal dettaglio e dal singolo personaggio vanno alla visione d’insieme e viceversa. De Santis inventò delle gru apposta per il film, leggère che potessero essere poste sugli argini della risaia senza far crollare tutto. Una parola anche su un altro aspetto notevole del film: come tratta i corpi umani soprattutto femminili, come ci si concentra brutalmente, senza moralismi facendoli, al pari del lavoro, un altro protagonista muto del film. Questi corpi sono visti in modo “democratico” perché, a parte la Mangano, sono corpi comuni, non divistici, senza glamour e che però creano una sensualità veristica, reale, tangibile. Ma la Mangano stessa, pensiamo alle due scene del boogie-woogie comunica un forte erotismo, ma di tipo plebeo, rustico, non patinato o raffinato. In conclusione diciamo che in realtà il regista elabora in modo profondamente personale le scoperte formali e l’espressività del cinema sovietico e di quello sociale americano del New Deal (King Vidor, John Ford, Orson Welles), e ha aperto all’epoca più degli altri la nostra cinematografia “autarchica” alle esperienze internazionali. E oggi la critica più recente, leggendo gli scritti del regista e analizzando bene il film propende piuttosto a credere che scelta del feuilleton melodrammatico per la storia contenga una buona parte di ironia e quasi una provocazione intellettuale di De Santis. Al pubblico la scelta e l’interpretazione. Serena Stefani 28 L’AVVENTURA di Michelangelo Antonioni Con Gabriele Ferzetti, Monica Vitti, Lea Massari, Renzo Ricci, Dominique Blanchar, Drammatico, durata 140 min. – Italia, 1960. Con L’avventura di Michelangelo Antonioni facciamo un salto di più di 10 anni da Riso amaro. Dal Dopoguerra al ’60, anno de L’avventura, sembrano passati ben più che 10 anni. Siamo nel momento del boom economico, l’Italia più degli altri paesi europei fa un salto da gigante, subisce trasformazioni profondissime e da paese agricolo diventa uno dei 7 paesi più industrializzati del mondo. Cambia il modo di vivere, di comunicare, entriamo nella società dei consumi. In tutto il cinema, non solo in quello italiano, pensiamo alla Nouvelle Vague francese, entra una ventata d’aria fresca e la settima arte, come contraltare al consumismo, si trasforma anche in uno strumento del pensiero, in un momento di riflessione culturale. Ecco la politique des auteurs, in italiano “il cinema d’autore” o “cinema moderno”. Un cinema cioè in cui il regista ha un ruolo determinante rispetto al produttore o ai divi Se, lo abbiamo constatato con Riso amaro, il Neorealismo ci aveva fatto vedere cose mai viste rispetto al passato, aveva cioè rappresentato la realtà sociale e umana vera del dopoguerra e l’aveva fatto attraverso una forte sperimentazione visiva, è vero però che le strutture narrative erano spesso rimaste tradizionali e melodrammatiche. Il cinema degli anni ’60 eredita la rivoluzione visiva del Neorealismo (mostrare temi e personaggi contemporanei, filmare in luoghi reali, fuori dai teatri di posa, dagli studios), ma va avanti nella ricerca cambiando alla radice anche il modo di raccontare le storie, anzi l’idea stessa di storia cinematografica. Nasce quindi un cinema che rompe con i vecchi stereotipi narrativi ancora presenti negli anni ’50: le trame forti e chiare diventano sfuggenti, non ci sono più eroi o cattivi, ma i protagonisti sono persone comuni con tutta l’ambiguità delle psicologie moderne, con il male e il bene entrambi iscritti nel loro essere, con le angosce dell’uomo in una società industrializzata. Michelangelo Antonioni è quello che in Italia meglio rappresenta tutto questo: eredita infatti gli aspetti visivi più nuovi e anticonvenzionali del Neorealismo, ma propone storie e racconti difficili da capire (tra l’altro ambientati fra la borghesia e non più fra il popolo) e dichiaratamente problematici, come problematici e ambigui sono i suoi personaggi, specchio dei turbamenti moderni. Nei suoi film ci offre un modo indito di guardare luoghi e persone, elaborando addirittura una filosofia del cinema come investigazione sulle possibilità di conoscere il mondo. 29 A partire da L’avvenura molti dei film di Antonioni partono con un enigma da risolvere, quasi come dei “gialli”, dei polars, nei quali, come nel film di stasera, un personaggio scompare. A quel punto parte una ricerca. Però via via che la pellicola si sviluppa ci accorgiamo di come il regista non segua affatto i canoni, le regole del genere, anzi ci rendiamo conto di come sovverta e reinventi la narrazione classica, “normale” tout court. Come cioè trasgredisca il modo di raccontare una storia a cui siamo abituati. I gialli di Antonioni sono stati definiti dalla critica “gialli alla rovescia” perché i personaggi che indagano non solo non trovano quello che cercavano o che credevano di cercare, ma cominciano a perdere le coordinate, la direzione della loro ricerca, finendo per perdere addirittura sé stessi, la loro identità di partenza, le loro certezze. Di fronte ai film di Antonioni molti spettatori si chiedono ma cosa ci sta raccontando? Cosa stiamo vedendo, cosa stiamo guardando? Ecco: questo è il vero scopo del film. Porre la domanda filosofica: che cosa possiamo o non possiamo raccontare quando raccontiamo? Che cosa possiamo vedere o non vedere quando guardiamo? Mentre i personaggi provano a perseguire la loro ricerca, ad arrivare a trovare un senso agli avvenimenti – che è poi la grande ricerca dell’uomo trovare la verità negli avvenimenti – il regista compie, fa compiere ai protagonisti e a noi continue divagazioni narrative e visive. Si concentra ironicamente su personaggi secondari, di passaggio o di contorno, si sofferma in modo profondamente poetico ed estetico sul paesaggio, sugli oggetti, sulla natura, sulle architetture. Vedremo la grande varietà di grigi pittorici del bianco e nero (ben superiore a quella del Neorealismo, anche per motivi tecnici), la sapienza nel comporre inquadrature eccentriche che sembrano riportare il cinema alla sua origine di scatto fotografico puro, i salti sottilmente stranianti del montaggio. Antonioni nel fare il film sembra dunque “perdere tempo” perché queste storie secondarie, quanto le visioni insistite sul mondo che ci presenta rimangono solo accennate, non approfondite. Lo spettatore rimane continuamente e volontariamente deluso. Non è che Antonioni non ci mostri o non ci racconti niente, al contrario: in questa ricerca vediamo e veniamo a sapere molte cose, ma tutte cose che non servono al plot, tutte cose che piuttosto gli stanno intorno e che in un film classico sarebbero del tutto tralasciate. Il regista invece di seguire la storia apre piuttosto lo sguardo sulle molteplici storie potenziali che si nascondono dentro la realtà e ci rende coscienti di quanto l’uomo con i suoi motivi, con i suoi scopi, con la sua ricerca personale del significato, che del resto non può che compiere, sia infinitamente piccolo rispetto al mondo naturale, al sovrapporsi delle epoche che lasciano il segno nelle costruzioni e nel contesto ambientale. Ne L’avventura un gruppo di borghesi ricchi e stravaganti che non hanno molto da fare fa un viaggio sugli isolotti disabitati e vulcanici delle Eolie, torna cioè al mondo minerale, prima della civiltà. Poi i protagonisti che cercano il personaggio scomparso compiono un viaggio fisico e visivo nel cuore della Sicilia barocca e primitiva, portando alla luce lo scontro tra i vari momenti della civiltà, anzi fra le varie civiltà che coesistono in uno stesso momento del tempo. Il viaggio in sé come esperienza del guardare è il vero significato del film, non la trama. L’avventura, il titolo è già significativo (di che avventura si tratta’), quindi, finge di raccontarci la storia iniziale (o ce la racconta solo in parte), in realtà ci propone una riflessione più generale sulla ricerca umana del senso e sui suoi paradossi. I protagonisti Sandro (Gabriele Ferzetti) e Claudia (Monica Vitti), anche se non se ne accorgono, se non forse alla fine, provano a dare disperatamente un senso al loro vuoto (simbolizzato dalla scomparsa del personaggio a loro vicino), principalmente attraverso l’avventura dell’amore e dello sguardo sui luoghi che visitano, ma devono lottare contro delle 30 terribili forze centrifughe: forze interne che stanno dentro di loro, nei loro sentimenti (per Antonioni l’uomo nasconde sempre in sé un enigma irrisolto) e contro le forze esterne quelle che stanno fuori, nel sublime assoluto del paesaggio (Antonioni diceva che anche ogni immagine è un mistero perché nasconde sempre altre immagini che nessuno vedrà mai). Qui i sassi bruti delle Eolie immersi nel mare o le architetture decadenti della Sicilia giocano un ruolo fondamentale. I luoghi in Antonioni sono dei veri e propri personaggi, testimoni muti di storie segrete e di significati formali che noi nel nostro continuo guardare magari non sapremo mai, di cui possiamo solo intuire l’esistenza. Nell’economia dell’Avventura dunque al paesaggio è data quasi la stessa importanza che alle persone e le persone sono trattate come una delle componenti visive del paesaggio. Li vediamo infatti spesso inquadrati improvvisamente in campo lungo, persi come figurine nell’insieme delle inquadrature. La camera stessa e il montaggio sono volutamente incerti rispetto a quelli classici: la camera sembra non sapere dove guardare, il montaggio sembra cercare sul campo le sue associazioni, i suoi link. Le immagini non sono funzionali alla storia, ma in Antonioni la storia è il pretesto per mostrare immagini. Così anche lo spettatore deve dimenticarsi di fronte a questi film il ruolo di Re, di centro della visione, che se ne sta in poltrona a ricevere il “piatto pronto”. Se si pone in quest’ottica tutte le sue speranze verranno deluse. Il cinema moderno di Antonioni infatti mostra non dimostra, guarda non spiega. Quello che dobbiamo fare è accettare il piacere e anche il dolore estetico e intellettuale di questa “avventura” nel mistero dell’uomo e del mondo, accettando il fatto che tutti i nostri tentativi pur legittimi di cercare spiegazioni (le normali domande “che cosa è successo al personaggio scomparso?”o “perché i protagonisti si comportano così?”) non potranno che arrendersi. Naturalmente il gioco di Antinioni si regge perché noi istintivamente non possiamo fare a meno di cercare questo senso nei personaggi e nelle cose, di desiderarlo, di crederci anche se non lo siamo al centro del mondo. Invece l’avventura che viviamo è piuttosto un viaggio à rebour che parte da un plot umano per arrivare attraverso la perdita di tutte le certezze narrative e psicologiche (vedrete i comportamenti contradditttori e strani dei personaggi alla fine) al luogo nudo, crudo, vuoto, originario, anzi all’immagine fotografica di questo luogo in cui la civiltà e la natura, l’uomo e il paesaggio si confondono. Alla fine del film della trama, vedrete, non ci resta niente, ci resta solo il luogo e il ricordo di averlo visto e guardato. Il cinema di Antonioni sembra infatti mettere in immagini il misterioso e bellissimo verso di Mallarmé:“Et rien n’aura eu liei que le lieu”,“alla fine niente avrà avuto luogo se non il luogo”. In questa progressiva spoliazione sta, per il nostro regista-filosofo, la verità del cinema e dell’essere umano. Serena Stefani 31 LA BALIA di Marco Bellocchio. Con Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Maya Sansa, Jacqueline Lustig, Drammatico, durata 106 min. – Italia, 1999. La balia, l’antico mestiere delle donne del popolo che, dopo aver partorito davano il latte ai bambini dei ricchi, è un film del 1999 per la regia di Marco Bellocchio (di cui ricordiamo il recente e interessante Vincere, sulla vita segreta del giovane Mussolini). Due parole sull’autore. Bellocchio è una personalità particolare che ha esordito nel 1965, a 26 anni, ponendosi subito a pieno titolo nella corrente del Cinema Moderno, la Nouvelle Vague italiana, con un film che fece scandalo: I pugni in tasca. In questo film erano presenti già i temi che lo accompagneranno per tutta la sua carriera e che vedremo anche ne La balia: la riflessione intorno alla nevrosi o alla pazzia e la critica all’istituzione fondante della società borghese, la famiglia, vista come condizione soffocante e creatrice di mostri. Marco Bellocchio si presentò da subito come un contestatore, come il rappresentante, nel cinema, della protesta del ’68. Fece dei film con la partecipazione del movimento studentesco e insieme a suo fratello e a suo cugino animò un’importante rivista culturale e politica, anzi di “contro-cultura e di controinformazione”, i “Quaderni Piacentini” (i Bellocchio sono di Piacenza, una città in Emilia-Romagna). I “Quaderni Piacentini”, cominciati in semplici fotocopie (il vecchio ciclostile) sono diventati e rimasti poi per molti anni una voce nazionale forte e instancabile contro la tradizione. La balia, come ho detto, è un’opera del ’99, moltissimi anni sono passati dal ’68, ma, pur in modo maturo e meditato, meno “furioso,” il regista continua anche con questo film la sua riflessione sulla crisi intima dell’uomo nella prigione sociale e sul suo bisogno di libertà e di autenticità. La pazzia in questo senso può essere il segno paradossale e drammatico di una rivolta individuale. Il film è la storia, ambientata a Roma ai primi del ‘900 e liberamente ispirata ad una novella di Pirandello, di una coppia alto borghese (il marito è proprio uno psichiatra) che ha un bambino. Questo evento, invece di essere lieto si trasforma in un incubo. La moglie Vittoria, una straordinaria Valeria Bruni Tedeschi (sorella di Carla Bruni), donna nevrotica e problematica perché molto sensibile, rifiuta il dolore del parto e poi 32 l’allattamento, entra in conflitto con la sua maternità. Compare allora nella vita della famiglia una giovanissima balia (Maya Sansa, che noi conosciamo da La meglio gioventù, ma qui alla sua primissima apparizione cinematografica). Grazie a questo triangolo sottinteso, marito (Fabrizio Bentivoglio)–moglie–balia intorno all’azione fondamentale del dare il latte al bambino, Bellocchio sviluppa durante il film, in modo molto poetico e malinconico un confronto fra due mondi opposti. Popolo-borghesia, natura-cultura. Da una parte abbiamo il mondo alto-borghese chiuso, vedrete, in una casa bella ma clustrofobica – la macchina da presa non fa che aggirarsi fra queste stanze come in un labirinto fermandosi spesso sulle soglie, dietro le porte, nei corridoi – dall’altra parte il mondo popolare istintivamente libero e aperto alla vita, ma privo della parola e della scrittura. Questo confronto nascostamente drammatico (anche se non succede niente di eclatante, anzi non sembra succedere niente) in realtà porterà ad un cambiamento, ad un’osmosi di tutti i personaggi fra loro. Vittoria, la moglie, turbata dalla balia primitiva ma capace di vivere e di dare la vita (il latte), cosa che lei non sa fare, riuscirà a prendere in parte coscienza del suo bisogno di libertà fuori dalla convenzione del matrimonio (uscita di casa proverà anche affetto materno per un fglio non suo). La balia maturerà invece il desiderio di entrare, anche lei almeno in parte, nel mondo della cultura (vuole imparare a leggere e scrivere). Ennio, lo psichiatra, così certo del suo ruolo di benefattore dell’umanità, di capofamiglia illuminato, al centro del suo mondo strutturato e “perfetto”, grazie all’incontro con la balia Annetta e alla rivolta “folle”, “assurda”, della moglie, arriverà ad una visione più problematica del mondo. Un mondo nel quale, fuori della soffocante residenza della famiglia, il popolo si sta rivoltando, scoppiano le proteste e i conflitti socali. Il compagno di Annetta è in effetti un “sovversivo” in prigione per motivi politici, ma entra nella storia come quarto personaggio attraverso una bellissima lettera alla moglie (che non può leggerla perché analfabeta) in cui parla di libertà e di lotta, concetti estranei al teatrino borghese. Questa lettera, così come il seno di Annetta, è l’altro motivo di turbamento della coppia VittoriaEnnio. Il film infatti sembra suggerire anche un rapporto inedito fra allattamento/maternità e scrittura, atti apparentemente così diversi eppure entrambi significanti e creativi. Come in molte opere di Bellocchio sono i non-borghesi e le donne, nel loro mistero spesso incomprensibile (la naturalezza di Annetta, l’inquietudine nevrotica di Vittoria) gli esseri capaci di frantumare le apparenze, di perturbare la “normalità” alla ricerca di una verità più profonda dell’esperienza. Una notevole importanza nel film è data, come fattore unitario, al sonoro. I rumori, primo fra tutti quello del bambino che succhia al seno, pervadono sottilmente l’immagine e la superano (sono cioè dentro e fuori dall’immagine), in funzione più che realistica, direi piuttosto suggestiva ed espressiva. Serena Stefani 33 L’IMBALSAMATORE di Matteo Garrone Con Ernesto Mahieux, Valerio Foglia Manzillo, Elisabetta Rocchetti – Drammatico- Noir, durata 101 min. – Italia, 2002. L’imbalsamatore è un’opera contemporanea, del 2002, firmata da Matteo Garrone, regista del più noto e più recente Gomorra. Si tratta di un film molto amaro e spiacevole, addirittura disturbante, ma che mostra bene le tendenze sperimentali e ciniche proprie del più interessante e giovane cinema italiano, rappresentato oltre che da Garrone da, per esempio, Paolo Sorrentino (Le conseguenze dell’amore, Il divo e L’amico di famiglia un film del 2006 che deve moltissimo a L’imbalsamatore). La storia de L’imbalsamatore si basa su un fatto di cronaca nera, realmente accaduto a Roma negli anni ’80, famoso perché coinvolgeva un nano, tassidermista di professione, cioè imbalsamatore, detto “il nano di Termini” e una coppia di innamorati. Garrone prende ispirazione da questo reale e torbido triangolo per sviluppare un discorso filosofico sulle relazioni umane, sulla vita, sulla morte e proporre una riflessione estetica sulla bellezza e sul suo (apparente) opposto, la mostruosità. Proponendo la riflessione estetica sulla bellezza e sulla bruttezza come uno degli argomenti del film il regista ci offre un’opera di notevole ricerca formale nella quale il modo di girare, di fotografare e di montare le immagini si pone in primo piano ed è tanto importante quanto la storia. In questo ritroviamo un po’ la lezione di Michelangelo Antonioni, autore de L’avventura, visto qui alcune settimane fa. La vicenda, trasportata da Roma a Castelvolturno in provincia di Caserta, vicino a Napoli (più o meno i luoghi di Gomorra), parla di un nano, Peppino Profeta, tassidermista appunto, particolarmente bravo nel suo lavoro di rendere “a nuova vita”, a una vita artificiale, apparente, estetica gli animali morti. E’ così virtuoso che viene utilizzato (sotto ricatto) anche dalla Camorra per nascondere i suoi traffici di stupefacenti e i suoi delitti. Questo nano di mezza età (il nano è di per sé e da sempre nella letteraura e nel cinema una figura inquietante) vive una vita solitaria, che improvvisamente è allietata dall’incontro, la collaborazione e l’amicizia di Valerio, un giovane bellissimo, disposto a imparare tutto da lui e a condividere non solo il lavoro, ma anche divertimenti e avventure. L’attore che fa Valerio e che si chiama Valerio anche nella realtà non è un attore, ma un modello qui al suo primo ruolo cinematografico. Il regista sfrutta la sua inesperienza nella recitazione per creare questo personaggio, diciamo “senza qualità” e, almeno apparentemente, senza volontà. Il nano è invece Ernesto Mahieux, un attore del teatro napoletano che per questo ruolo ha vinto il David di Donatello e è stato finalmente conosciuto dal grande pubblico. Fra Peppino Profeta e Valerio nasce dunque un rapporto da Pigmalione in cui il brutto, ma intelligente, introduce paradossalmente alla vita il bello e naif. Questo rapporto naturalmente è venato da una 34 profonda ambiguità e morbosità che esplode nel momento in cui nella “coppia” entra una ragazza, Deborah. Garrone in tutta laprima parte, ma anche dopo, prepara questa atmosfera, in cui il pubblico intuisce che si nasconde un pericolo, attraverso un uso grottesco ed espressivo della forma cinematografica: colori saturi, fortemente irrealistici, quasi pop, penombre, primi piani deformanti, campi lunghi eccentrici, un uso eccessivo del grandangolo anche nelle inquadrature che non lo richiederebbero, inquadrature soggettive (all’inizio c’è addirittura la soggettiva di un animale, il marabù). I personaggi vivono in una dimensione straniata, torbida eppure a suo modo brillante, mortuaria ma viva allo stesso tempo, quasi come quella de gli animali imbalsamati. Con l’entrata in scena di Deborah si forma un triangolo drammatico e un conflitto che oppone alla coppia tendenzialmente “omosessuale”, “mostruosa” Peppino-Valerio, il brutto e il bello, quella eterosessuale, “normale” Valerio-Deborah. La lotta dei protagonisti, tutti e tre a loro modo disperati e marginali (come sono marginali gli ambienti in cui si muovono), è impari naturalmente. In che senso, però? Da un lato ci sono i due “belli” e giovani, ma senza arte né parte (ad un certo punto del film si rifugeranno sotto l’ala protettiva e il controllo dei genitori di lei in una casa che, vedremo, è la parodia del cattivo gusto dei piccolo borghesi arricchiti), dall’altra c’è il nano, il mostro carismatico, capace, come vedremo, di creare e prospettare nuovi mondi nell’orrore della realtà. Da una parte c’è chi può dichiarare senza vergogna il proprio amore, dall’altra chi deve nasconderlo o viverlo sempre attraverso altre persone (le prostitute che Peppino divide con Valerio) Chi vincerà in questa lotta? E soprattutto:da che parte sta il pubblico? Il film è, secondo me, geniale nel montare un apparato narrativo e rappresentativo ambiguo e doppio – e qui sta buona parte del suo carattere disturbante nei confronti dello spettatore, che viene messo in crisi. Potremmo infatti stare dalla parte della coppia “normale” contro la volontà perversa e manipolatrice del mostro, del nano malefico Peppino Profeta. Ma se guardiamo bene, vediamo forse come la manipolazione regni anche nell’altra coppia grazie all’aggressività invasiva del personaggio di Deborah (in tutte le relazioni umane c’è questo rischio, vuole dirci Garrone?). Allora non potremmo pensare alla coppia eterosessuale come un principio normalizzante, che chiude gli orizzonti nelle nebbie di Cremona – la città della ragazza - rispetto al principio trasgressivo, aperto al mondo e all’ignoto del nano (il mare di Castelvolturno, il viaggio sognato a Cuba)? Oppure potremmo chiederci: chi è il vero mostro? Non potrebbe essere il bel Valerio che usa proprio la sua bellezza senza qualità dove e quando gli conviene? Queste domande che il regista sottilmente ci pone forse nascondono la questione estetica più generale sul segreto della bellezza e sulla sua nascosta mostruosità e dall’altra parte quella sul segreto della bruttezza e sul suo fascino nascosto e misterioso. Insomma nel film, come nella tassidermia, niente è come sembra, la realtà sembra avere sempre un doppio risvolto, un suo doppio opposto, come opposti e doppi sono i personaggi. Fino al finale: si tratta un lieto fine? A voi giudicare. Serena Stefani 35 Un viaggio scolastico a Torino e in altri luoghi del Piemonte Da domenica 10 aprile fino a venerdì 15 aprile un gruppo di 52 studenti d’italiano del CVO Panta Rhei de Avondschool ed i loro insegnanti hanno visitato Torino e il Piemonte in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Siamo partiti domenica notte in pullman da Gentbrugge e siamo tornati nel pomeriggio di venerdì. È stato un viaggio di scoperta attraverso luoghi e persone del passato: il centro storico di Torino, il prestigioso Barolo, la regione vinicola del Monferrato e Asti, le terme di Acqui Terme, castelli e abbazie, le colline dove ebbe luogo l'azione partigiana contro il fascismo. Il primo giorno abbiamo viaggiato per quasi 18 ore con più soste per mangiare e sgranchirsi le gambe. La sera abbiamo cenato nell’albergo Belforte a Belforte Monferrato, dove abbiamo anche trascorso la prima notte. Tutti eravamo stanchi dal lungo viaggio in pullman. (Lieve Van Spaendonck – 2° anno Merelbeke) Lunedì 11 aprile dopo colazione, siamo ripartiti verso le 9:00, ora italiana dunque più tardi. Foto Patrick Temmerman Prima abbiamo fatto una passeggiata attraverso Ovada, con Philippe, una bravissima e simpatica guida fiamminga; non dovevamo fare nemmeno uno sforzo per capire la spiegazione in italiano: Philippe vive alternativamente a Gent e in Piemonte, l’ho già incontrato a “Il Caffé” ed è un uomo molto interessante. Verso mezzogiorno abbiamo visitato il museo del Cappello Borsalino ma eravamo delusi per non aver potuto comprare un cappello ad Alessandria. Dopo la visita, eravamo liberi di pranzare nella città. Verso le 15.30 abbiamo preso l’autobus per visitare la Casa vinicola Gancia (Canelli) e le sue cantine (patrimonio Unesco). Abbiamo assaggiato delle specialità culinarie locali: salumi, olive , ecc…… Poi siamo andati a vistare una vecchia città, Acqui Terme, con la sua fonte d’acqua bollente chiamata appunto “la Bollente”. Ma preferisco Ovada, più autentica di Acqui Terme¸ che trovo troppo turistica visto che è una stazione termale. Foto Philippe Van Kerckvoorde La sera abbiamo cenato a Bistagno nel ristorante “Del Pallone”: un eccellente esempio culinario dell’autentica cucina regionale. Buonissimo! Poi siamo ritornati a dormire nell’albergo a Belforte. (Chantal Uyttendaele – 2° anno Merelbeke) 36 Il giorno dopo, il martedì, proseguiamo per Torino. Abbiamo fatto una visita al Castello di Racconigi e all’Abbazia di Staffarda, un monastero importante di architettura romanica in Piemonte, situato ai piedi delle Alpi. Il mercoledì, abbiamo fatto la prima esplorazione di Torino e abbiamo iniziato con una visita al museo della Sindone. La guida parlava tranquillamente e in modo comprensibile, ma l’argomento non mi interessava tanto. Più tardi abbiamo continuato la visita di Torino. Da via Roma siamo andati in piazza Castello con il Palazzo Madama, il palazzo più bello della città. È notevole la differenza tra la facciata barocca e le torri medievali sul retro. Poi abbiamo visitato il Duomo, dove la Sindone viene conservata nella cappella della Santa Sindone. Di là, siamo andati verso via Po, il cuore della vita universitaria cittadina. Così siamo arrivati al Po e abbiamo bevuto qualcosa su una terrazza in piazza Vittorio Veneto, una piazza grandissima. Al ritorno siamo passati davanti alla Mole Antonelliana, il simbolo per eccellenza della città. Di pomeriggio abbiamo visitato il nuovo Museo dell’Automobile: molto interessante, un viaggio nel mondo dei motori che va da Leonardo da Vinci alla Ferrari. Foto Philippe Van Kerckvoorde La sera abbiamo cenato in un ristorante tipico, ho mangiato i migliori saltimbocca in assoluto! A Torino è possibile mangiare molto bene a buon mercato! “Dio creò il cibo, il diavolo i cuochi!” (Willy Wauters – 2 ° anno Merelbeke) L’ultimo giorno a Torino è stato fantastico! La visita alla mostra “Fare gli Italiani” nelle Officine Grandi Riparazioni è stata un’esperienza formidabile. Gli italiani hanno fatto un riassunto meraviglioso degli ultimi 150 anni di storia nazionale. La presentazione con le immagini tridimensionali attira molto l’attenzione. Un vero spettacolo! Soddisfatti, siamo ritornati con il nostro gruppo in centro per cercare qualcosa da mangiare. Qualcuno ha scoperto il ristorante Mezzaluna, una trattoria con piatti tipici. Dobbiamo sbrigarci perché dopo qualche minuto tutto l’autobus è già informato su questa scoperta! Troviamo ancora una tavola in fondo per la nostra piccola compagnia. Ci godiamo pienamente una degustazione speciale. Ma non possiamo dimenticare di comprare regali per tutta la famiglia. Torino è anche conosciuta per i bei negozi. Sotto i portici e nelle gallerie cerchiamo qualcosa da portare a casa. Una sciarpa, una bottiglia di Barolo o per gli uomini uno slip con un disegno provocante. Ronny non può ritornare senza! Infine dobbiamo lasciare Torino di malavoglia. L’autobus ci aspetta per riportarci a casa! (Lut Leroy – 6° anno Zottegem) 37 Castello di Racconigi Il Lingotto -‐ Torino foto Patrick Temmerman 38 Poesie e filastrocche inventate da Kris Goekint Statistica Per l’ennesima volta La ricarica sulla barra di stato del bianco schermo si staglia la progressione provocantemente povera del programma. Numeri scadenze con la crescita della linea verde pure cresce la speranza sulla conclusione riuscita del tardissimo rapporto. Statistiek De zoveelste herlading Tergend traag tekent de statusbalk Zijn povere progressie af onder het Volledig weggeblankte scherm Cijfers Deadlines Met de groei van de groene lijn Stijgt de hoop op een succesvolle Afronding van het veel te late rapport Estate Il sole brucia sulla città La gente consuma i raggi Come dei pannelli solari sui tetti Come se la vita cominciasse in quell’ istante Il risveglio della natura è affascinante Il crescere dell’ortaggio Le farfalle sui cespugli Gli uccelli nel giardino Ed io in una sdraio Sperando che tutta la vita Fosse così bella Spero che con me per sempre stia. Ogni volta che mi sveglio Se ci fossi tu, sarebbe meglio. Non so che farei Se stessi andando via, Che fosse colpa tua o la mia. Scivolerei da basso in giù. Le mattine, non mi vorrei alzare Le notte, lunghe passeggiate Andrei a fare. Avrei voglia di svanire Ed in malinconia di colpo Sparire. Qualunque la ragione sia Spero che con me per sempre stia. Ogni volta che mi sveglio Se ci fossi tu, sarebbe meglio. 39 Il sole si sveglia giocosamente tra le persiane semiaperte e ti attira fuori sul terrazzo. Le rose sbocciano tentando vanamente di generare fiori più belli di te. In giardino una farfalla amoreggia con il glicine. Ti giri ed io mi sciolgo ai tuoi raggi. Discrete le persiane si chiudono, obbedienti. Nella penombra tu torni da me. Una tavola Poca luce Tanto rumore Risate eppure Bestemmie. Delle donne intorno alla tavola, un’ infinità di scatole piene di perle . Qualche esempio e provare, provare, provare... delle pinze e perle di qua e di là sopra e sotto la tavola. Lentamente e sottilmente la fine si avvicina. Ecco! Finalmente, Tornano tutte fiere Con un pezzo magnifico. Ma che brave donne! C’era un ragazzo di Loano La sua amica visse lontano Per vederla più spesso una soluzione ha adesso si è comprato un aeroplano Ispirata dall’”Acca in fuga” di Gianni Rodari C’era una piccola t Sognò d’andarsene da qui Ma non trovò la strada Eppure dei cartelli indicatori Ce n’erano tanti… Finalmente rimase Le avevano promesso una parte migliore Nel pezzo di teatro To be or noT To be Ed era incantatissima La nostra T C’era una donna cipriota Si era comprata una Toyota Per causa del terremoto Il suo garage è vuoto 40 C’era un tizio di Oostende Tutto fasciato in bende Un incidente ebbe avuto Andar’in ospedale fu dovuto Erano brutte faccende