Buone vacanze!

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Buone vacanze!
Il Caffè
Centro culturale
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Met de steun van de Stad Gent
Dienst Receptieve Ruimten
Hanno collaborato a questo numero:
Associazione Bologna-Bruxelles A/R, Antonello Chirulli, Santina Chirulli, Herman Cole, Marina Dessì,
Serenella Gatti, Kris Goekint, Alessandra Guermandi, Brigitte Henriet, Lut Leroy, Alessandro Rolandi,
Annamaria Sanguigni, Serena Stefani, Patrick Temmerman, Chantal Uyttendaele, Philippe Van
Kerckvoorde, Lieve Van Spaendonck, Willy Wauters, Marleen Willems
In questo numero:
La tribù che scrive
The girl with the mask
Spazio giovani
Associazione Bologna-Bruxelles A/R
Il trionfo del Barbiere
Persbericht SPQR Leuven
Aiutiamoli
Conferenza Emiliano Manzillo – Commenti
Appunti sul cinema
Un viaggio scolastico a Torino
Poesia e filastrocche
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Buone vacanze!
Iscrizione a “Il Caffè” – Quota 2011 Quota annuale Belgio e Italia : 20 EURO da versare sul conto
bancario indicando nome, cognome, indirizzo e numero di telefono.
La rivista è gratuita per i soci
La “Tribù che Scrive ”
di
Bologna
La “TRIBÙ CHE SCRIVE” di Bologna: perché questo nome? Allude al fatto che siamo un
Gruppo i cui membri sono accomunati dal medesimo interesse, anzi PASSIONE per la
Scrittura, in maniera libera, informale, “selvaggia”, ma con delle regole interne. È un Gruppo
di cui sentiamo l’“APPARTENENZA”. Per ognuno di noi, individualmente, già prima di
conoscerci, la Scrittura era motivo per stare al mondo, per vedere la realtà attraverso il filtro
dell’immaginazione. Incontrandoci, tale interesse è stato potenziato ed insieme ci poniamo
tante domande sulla Scrittura.
Il Gruppo è nato il 10 marzo 2009. Ci siamo incontrati ad uno degli innumerevoli corsi di
aggiornamento sulla Scrittura, che frequentiamo. Nella pausa-pranzo, una di noi ha detto:
“Perché non ci incontriamo ogni martedì sera a casa mia, per scrivere insieme?”. Questa
persona è PATRIZIA RAGGI, che ha rilanciato un suo forte “DESIDERIO”, che è l’alimento
comune. Immediatamente a quest’idea hanno aderito SERENELLA GATTI LINARES e
FRANCO STERI, l’unico uomo del Gruppo. Ben presto si sono unite GRAZIELLA
PAGANI, ANNA MARIA SANGUIGNI e ANGELA BERSANI. In seguito MARIA
TERESA MIGLIORI e ALESSANDRA GUERMANDI.
La nostra produzione consiste in RACCONTI BREVI. Qual è il nostro METODO? A turno
portiamo uno “STIMOLO”, un “input” di vario genere per scrivere (ad es.: la frase di un libro
estratta a caso, un’immagine, un articolo, una pietra…una volta ad es. c’erano sul tavolo 13
tipi di cioccolata… A proposito, difficilmente rinunciamo a momenti conviviali e goderecci
con cibo e vino…!); scriviamo per circa un’ora e un quarto, seduti intorno al tavolo, come ai
tempi della scuola, in un’energia positiva che circola e poi ci leggiamo a turno i nostri scritti.
Una cosa che ci colpisce particolarmente è come da una MEDESIMA frase possano
germinare storie tanto DIVERSE! Infatti, siamo molto differenti fra noi, sia come persone, sia
come STILI di scrittura. Ci facciamo anche commenti e ci diamo suggerimenti, ed il
CONFRONTO arricchisce tutti e ci fa crescere. Ci siamo presentati in pubblico una volta, in
occasione della Mostra pittorica di Renata Giannelli. Il filo conduttore della serata è stato il
collegamento SEGNO/PAROLA.
PREZIOSI IMPASTI, scintillii, corrispondenze, intrecci, scambi…: agli amici/che italiani/e e
belgi/ghe la “Tribù che scrive” regala volentieri alcuni racconti.
Bologna, aprile 2011
La tribù che scrive
2 UN VIOLINO
di
Serenella Gatti
Il suono inizia a strisciare lentamente nella tarda serata estiva, dopo che le luci si sono spente,
una ad una, nelle finestre aperte del popolare condominio periferico.
La prima a sentirlo è Ierina, la badante ucraina del sesto piano.
“Signora Clarice…strano rumori io sentiri!”, sussurra all’orecchio dell’ottantacinquenne, che
da tempo si è appisolata e che è parecchio sorda.
“Ma che diavolo dici? Torna a letto!”.
Ierina obbedisce, si raggomitola impaurita sotto il lenzuolo e rimpiange le vaste distese di
grano del suo paese, dove certe cose non sono mai avvenute.
Al terzo piano, il ragionier Elio, magrolino, con i neri capelli tirati indietro dalla brillantina, è
in bagno, preparandosi per la notte, in canottiera e mutande. Si osserva allo specchio con
attenzione e con soddisfazione. Poi esce con un ghigno stampato in faccia dai denti giallastri e
andati a male.
Intanto il signor Dino, del quarto piano, un robusto ultrasessantenne ex-idraulico, è steso nel
letto matrimoniale, a leggere la Gazzetta dello Sport. La sopracoperta patchwork colorata
contrasta singolarmente con il grigiore intorno. Dal bagno proviene la voce della moglie
Clara, che canticchia la colonna sonora d’una soap opera, mentre si strucca e stende la crema,
fra rumori d’acqua e di boccette e flaconi.
“Clara, guarda che spengo la luce fra due minuti!”.
Nell’appartamento a fianco, i coniugi Franco ed Elide stanno guardando la tv, ambedue in tuta
da ginnastica, sprofondati nel divano del salotto, dove finiranno, come al solito, per
addormentarsi. Elide non ha avuto neanche la forza di sparecchiare. Il volume altissimo del
televisore finirà per fare loro da ninna-nanna, soprattutto quando un imbonitore urlerà per
vendere quadri, orologi, argenteria di dubbia provenienza.
Un violino sta eseguendo una sonata di Bach nel condominio. Appena il volume aumenta,
Franco ed Elide, che stanno russando sonoramente, si svegliano insieme e di soprassalto. Si
guardano intorno stupiti, senza capire esattamente cosa sia successo.
“Ma cos’è?”, esclama Elide.
Franco si alza finalmente dal divano, spegne la tv ululante e nel silenzio si ode con chiarezza
lo strumento, che suona in modo dolce e divino, in lontananza.
“Franco, mi sa che è un violino…”.
“Devo assolutamente scoprire chi ci ha svegliati impunemente…”, risponde il marito, mentre
la melodia prosegue imperterrita. Poi esce sul pianerottolo, ascolta il volume invariato, scuote
il capo e ritorna dentro. Elide si affaccia alla finestra del salotto, tende l’orecchio: “Franco,
forse è Marina…”. Il marito spalanca la porta della camera della figlia, alle cui pareti sono i
poster di gruppi heavy-metal. Marina, una diciassettenne cicciona, dorme profondamente, con
la pancia all’insù, respirando con la bocca aperta, in cui luccica l’apparecchio per i denti.
Nelle orecchie ha il walkman, che le spara a tutto volume le canzoni preferite, favorendo il
sonno. Il padre richiude la porta. “Chi sarà allora a suonare il violino a quest’ora?”.
3 I coniugi si siedono intorno al tavolo del tinello, tanto ormai è impossibile riprendere sonno.
Dopo qualche ora sono ancora lì, con gli occhi rossi e la testa ciondolante, perché quella
musica celestiale è proseguita ininterrottamente. Il posacenere è stracolmo di mozziconi.
Franco accende l’ennesima sigaretta, quando infine dalle tapparelle comincia a filtrare la luce
dell’alba e all’improvviso il violino tace, dopo un ultimo, struggente crescendo.
Come quasi sempre avviene, le paure notturne vengono spazzate via dal giorno. Un attimo
dopo le palpebre di Franco si abbassano, mentre il capo di Elide piomba addirittura sul tavolo,
per le poche ore di sonno, che li separano dalla sveglia e dal lavoro.
Nel pomeriggio avanzato del giorno dopo, Franco sale lentamente le scale, dopo il turno come
autista di autobus. Il suo viso distrutto la dice lunga sulla notte che ha trascorso.
Incontra Rodolfo, un single incallito e donnaiolo, che sta portando giù l’immondizia, in
pantaloncini corti e maglietta, che mettono in risalto il fisico scultoreo.
“Buonasera, signor Rodolfo…”.
“Salve, signor Franco, come va? E la Signora?”.
“Bene…bene…”.
“Ne è sicuro? Ha una brutta cera!”.
“Sì, bene…E’ solo che questa notte non ho chiuso occhio!”.
“Neanch’io! E non per ciò che Lei crede…”.
“Non sarà stato per quel maledetto violino?”.
“Proprio così! Fosse stata almeno una chitarra rock!”.
“Ma chi sarà a mettersi a suonare…?”.
“Dobbiamo fare qualcosa!”. E si scambiano un’occhiata d’intesa.
I due vanno a bussare alla porta del ragionier Elio. Per un po’ lui non apre, perché è in pieno
attacco di teledipendenza televisiva, a trenta centimetri dallo schermo, osservando ballerine
scosciate e ascoltando stupidi quiz. Essendo lo scampanellio sempre più insistente, si alza,
seguendo con lo sguardo la tv. “Avanti…avanti!”.
Entrano Franco e Rodolfo, ancora con il sacchetto della spazzatura in mano, con aria
sfrontata, incerti su chi debba parlare per primo.
Rodolfo si decide: “Ragioniere, Lei ha dormito stanotte?”.
“Scusi, ma a Lei cosa gliene importa?”.
“E le lezioni di Suo figlio come vanno?”, dice Franco con l’aria di chi la sa lunga.
Il ragionier Elio, con un occhio sul televisore ed uno su di loro, risponde:”Ma quali lezioni?”.
“Di violino, ovviamente!”.
“Ah…ora capisco! No, no…guardate che vi state sbagliando…Il ragazzino non c’entra. Quel
cavolo di violino ha tenuto sveglio anche me…”.
“Cerchi di non fare il furbo!”, alza la voce Rodolfo.
Il ragioniere li scruta divertito ed urla:”Daniele, vieni subito qui!”.
Un bambino di circa nove anni entra nella stanza, mingherlino, spaurito, trascinando i piedi.
Porta spessi occhiali, ha efelidi sul naso e un’espressione non vispa e triste, soprattutto da
quando è morta la madre. Il padre gli ordina: “Daniele, vai a prendere il violino!”. Il ragazzino
obbedisce, mentre i due sono compiaciuti. “Suona qualcosa, caro, per i signori, su da
bravo…”. Daniele è intimorito, tentenna, indugia; poi, fa un sospirone, mette il violino sulla
spalla e inizia a suonare malissimo. Lo strumento emette suoni così orribili, da fare
accapponare la pelle.
4 “Ragioniere, abbiamo capito, basta così!”.
“Grazie, Daniele, puoi smettere…”.
Il bambino si ritira goffamente nella sua camera. I due se ne vanno un po’ impacciati e delusi,
mentre Elio ritorna alla tv.
La notte seguente, i coniugi Dino e Clara hanno appena spento la luce, coprendosi con la
trapunta patchwork e già pregustando il riposo, scegliendo la posizione adatta, quando, prima
sommesso, poi distinto, giunge il suono del violino. Dino comincia a rigirarsi, borbottando.
Le note sono struggenti e commoventi, ma lui ne è infastidito. Al contrario, Franco ed Elide,
nel frattempo, stanno facendo l’amore, ispirati dai suoni melodiosi, però dopo gradirebbero
dormire…Dino si alza sbuffando, va a poggiare l’orecchio a tutte le pareti dell’appartamento.
Clara prende una scopa e comincia a battere forte contro soffitti e pavimenti, ricevendo urla di
fastidio, mentre il violino continua. Il marito si mette una vestaglia sopra il pigiama e inizia a
salire e a scendere i piani, origliando dietro ogni porta, sia nella scala A, sia in quella B.
Fuori una luna bianca e pura illumina indifferente, finché i primi raggi del sole non fanno
tacere il violino, mentre il signor Dino si è addormentato sullo zerbino di un appartamento
qualsiasi.
La riunione condominiale è convocata d’urgenza, a casa di Fernando, un ex-carabiniere in
pensione, che si circonda di medaglie, foto, calendari dell’Arma. Tutti i condomini sono
presenti. Fernando tenta di fare il moderatore, nell’aria agitata.
“Cerchiamo di parlare uno per volta!”.
“Io non ne posso più! Oggi stavo per addormentarmi alla guida dell’autobus…”.
“Se trovo chi è, il violino glielo spacco in testa!”.
“Io quasi dormivo oggi durante il lavoro!”
“E quale sarebbe la novità? Scusi, ma Lei non lavora alle Poste?”.
Elide a questa battuta lancia occhiate di fuoco ad un coinquilino.
Il chiasso aumenta; i bambini, giocando, contribuiscono. L’ex-carabiniere strilla: “Diamoci
una calmata! Qui abbiamo a che fare con una mente raffinata, quindi dobbiamo organizzarci.
Ho creato un “piano d’azione”. Punto1: costituzione di ronde permanenti notturne; punto 2:
collaborazione degli “Angeli delle Fermate”; punto 3: divisione fra scala A, scala B, solai,
cantine, garage e cortile…”.
Mentre Fernando parla, pian piano inizia a sentirsi il violino.
“Zitti…zitti! Ecco che ricomincia!”.
Il silenzio è profondo, mentre il suono aumenta gradualmente. Ognuno guarda gli altri con
occhi sgomenti e atterriti, come di fronte ad un fenomeno maligno e soprannaturale.
L’anziana Clarice si fa il segno della croce: “Il violino è uno strumento del demonio…”.
Fernando tira fuori dalla camicia una medaglietta sacra e la bacia.
Il giorno dopo, un prete esorcista sale le scale con i paramenti, con un aspersorio e con un
chierichetto, che svogliatamente fa dondolare un incensiere.
Va di porta in porta, formulando parole in latino. Lo segue una piccola folla di condomini,
che risponde come può alle sue litanie. Si fermano in ogni pianerottolo e poi proseguono.
Ci sono anche la vecchia Clarice e la badante Ierina, vestite di nero, con un velo sul capo e
con i rosari in mano, che ogni tanto si fermano a bisbigliare, ultime nella fila.
“Ma, Signora, Lei esseri sicuri?”.
5 “Certo! E’ l’anima di quel bellissimo ragazzo, che abitava nella scala B e che un giorno
trovarono impiccato, mi pare dieci anni fa…Studiava al Conservatorio”.
La notte dopo, tutte le finestre sono buie e domina la tranquillità, ma il violino torna a farsi
ascoltare. Le luci si accendono, una ad una, accompagnate da lamenti e borbottii.
“Oh no! Il prete non è servito, qui ci vuole la Digos…”.
“Voglio dormire! Basta!”.
“Clara, per favore, portami il valium e la grappa…”.
Soltanto una finestra non è illuminata. E’ quella della cameretta di Daniele, in cui la musica è
più chiara. I raggi della luna illuminano il letto, dove il bambino dorme, i giocattoli, i libri e
una sedia, su cui riposa il violino, nella custodia aperta. I suoni diventano sempre più alti,
vicino alla testa del bambino.
Daniele sta sognando di essere sul palcoscenico d’un meraviglioso teatro, illuminato da un
fascio di luce. E’ vestito con un frac, troppo largo per lui e suona in modo concentrato e
magistrale una sonata di Bach. Lo fa, finché gli applausi entusiastici del pubblico cominciano
a scrosciare e lui è costretto ad interrompere l’esecuzione, ringraziando con un profondo ed
elegante inchino, mentre gli lanciano fiori. L’espressione del viso è vivace e gioiosa.
Quindi con calma rimette lo strumento sulla spalla e ricomincia a suonare.
Serenella Gatti
RITORNO
di
Annamaria Sanguigni
Appena scesa dal treno, Anna si sfilò in fretta la giacca di lana che aveva indossato prima di
partire. Il tepore del clima la riscaldava e in Stazione si sentiva già il profumo salmastro.
Da Via Roma il fresco del mare arrivava diretto come una freccia umida.
Durante il viaggio aveva visto il paesaggio mutare. Gli alberi dal colore arancio e oro
dell’autunno si erano diradati man mano che il cielo si faceva più limpido. Sarebbe rimasta
solo un giorno in città. Mancava da sei anni e tornava per firmare alcuni documenti dal notaio.
Sentì un brivido al pensiero di ritrovare tutto.
S’incamminò verso il corso, fiancheggiato da negozi, ristoranti e vetrine. All’incrocio con la
Salita Annunziata lo sguardo arrivò alla piazza della fontana dove l’acqua si allargava come
un fiore.
Provò la sensazione di piccole gocce che leggermente le bagnavano le labbra e le ciglia e un
odore di salsedine.
Tornando giù arrivò fino alla Spiaggia di Levante con la ringhiera arrugginita e le panchine di
ferro scolorite. I ricordi riportarono alla mente le solite cose.
Quali cose? Le solite.
Gli anni spinosi e le lacrime amare in quel paese bello e distante.
6 Ripensò alla sabbia intatta dell’inverno che con il caldo si ammorbidiva sotto i passi
prepotenti di quelli che, senza guardare quanto era bella, la schiacciavano con noncuranza.
L’umidità dell’aria le arricciava i capelli come quando era piccola.
Si guardò intorno e qualcosa era cambiato.
“Dove era finito il Cinema Anxur?”
Al suo posto c’era un grande negozio di borse. In alto sulle vetrine una scritta: I LOVE
BAGS.
La parola love era raffigurata da un cuore rosso.
Un’immagine elegante che rimandava a scrigni esotici a lussi sfarzosi e tesori nascosti.
Provò un lieve fastidio.
Il ricordo fisso ai fatti e alle cose doveva restare inalterato e la novità la disturbava.
In questo paese le ricche famiglie di Roma trascorrevano le vacanze estive.
Attraverso le siepi s’intravvedevano le ville con grandi terrazze. I viali fiancheggiati da pini
ombrosi si snodavano lievi.
Cani da guardia abbaiavano come belve.
L’estate era senza fine laggiù e i villeggianti con le barche arrivavano fino al promontorio,
quasi a sfiorare le isole.
Le serate si prolungavano e dalle grandi vetrate si vedeva il mare.
Lo sguardo di Anna ritornò alle vetrine con le borse di pietre colorate. “I LOVE BAGS” con
il cuore rosso al posto di LOVE.
Aveva perso l’orientamento, sbucò in un vicolo e si sorprese nel trovare un minimarket dove
prima c’era il Caffè del Lido.
Il tempo e la distanza avevano reso i pensieri come scene di un film raccontato cento volte e i
ricordi non svanivano mai.
Non c’èra più il Cinema Anxur.
La notte si svegliò, le persiane sbattevano, s’era alzato un vento di maestrale.
Aveva sentito un tremito, un rimpianto… le solite cose.
Bevve un po’ d’acqua dal bicchiere che tutte le sere metteva sul comodino e si sentì subito
meglio.
La mattina dopo, prima di ripartire, attraversò il viale che portava allo scoglio delle Sirene.
Dal finestrino del treno che si staccava dalla stazione notò nascosta tra i pini una villa con le
grandi terrazze da cui si vedeva il mare.
Annamaria Sanguigni
7 Al Presidente. In memoriam.
di
Alessandra Guermandi
Era vecchio, vecchio, vecchio, di una vecchiezza intollerabile a vedersi. Lo specchio lo
uccideva, miserabile, ogni mattina, ma il suo corpo, a sentirlo così, semplicemente, non era
vecchio affatto: le articolazioni funzionavano, la testa era ben collegata, il controllo della vista
e dei sensi era perfetto, non sbagliavano una mira. Era forte, fortissimo ancora, e certe
rotondità di tette e culi gli mettevano addosso una smania smodata, una fame atavica come di
lupo che si risveglia nel bosco; e di cappuccetti rossi ne vedeva a iosa, attorno a sé. La fame
era insaziabile , vorace, e così una sera che si trovava con qualche amico per mangiare
insieme un piatto di pasta, insieme al pecorino grattò un bel po’ di haschish. Era tardi, il cielo
era nuvoloso e l’aria ancora troppo fredda, così chiamarono qualche amica per festeggiare non
sapeva cosa, ma ci teneva a stare in tanti tutti assieme, tutti vicini, il più appiccicati possibile
gli uni agli altri; non importava chi fossero. Voleva odori, e umori, sguardi, sudore, voleva
palpare con le dita formicolanti le giovani carni che avrebbe accostato, voleva vedere il suo
pene erigersi fiero al centro della sala e dell’attenzione generale, proprio come quando da
bambino aveva iniziato a muovere i primi passi e tutti attorno lo ammiravano stupefatti: “
Bravo, bravo !! “. Voleva sentire ancora la vita salirgli per ogni vena, sprizzargli da ogni poro.
Quella malinconia che lo rosicchiava dentro se ne sarebbe andata come una cimice puzzolente
schiacciata e rimossa all’istante. E intanto le pupe erano arrivate e gli spaghetti
incominciavano a fare effetto. Iniziò a toccarle e gli salì un’ebbrezza favolosa, come da
bambino, e si sentiva bravo, bello, irresistibile...
L’indomani accade un fatto strano: Samantha trova in auto un braccio, Sabrina una scarpa
con il piede dentro, Giulia un dito mignolo con anello d’oro e iniziali, Carlotta una guancia
spiegazzata, Kathy un pezzo di ponte dentario e Samantha un gomito.
Nessuna capiva cosa fosse successo. Gli telefonarono e gli chiesero come stava, perché loro
erano preoccupate, avevano trovato delle strane e inspiegabili cose e lui poteva sentirsi male,
o un pochino a disagio quantomeno: ma lui, non aveva perso proprio niente? _ “ Non no care,
state tranquille, io non ho mai perso niente, guardate, ma proprio mai niente, neanche un
palloncino quando avevo tre anni”. Così poi per rincuorarle le chiamò a casa sua un’altra
volta, e questa volta palpò solo molto lievemente qualche candida gota,e mentre faceva per
allacciare un girocollo che aveva regalato a tutte, si accorse che un pezzo di polpastrello
rimaneva attaccato al fermaglio. Andò a fare pipì, ma in bagno si accorse che il testicolo
destro era per metà staccato e penzolava senza ritegno. Volò subito nella camera da letto e
chiamò subito a raduno: il personal trainer, il chirurgo estetico, il medico, il chirurgo cardiovascolare, l’odontostomatologo, il dermatologo, il fisiatra e lo psicologo. In un’ora il consulto
al vertice era già eseguito e il verdetto era unanime: decomposizione senile a sfondo
schizofrenico. Frammentazione dell’io con rottura dei tessuti.
8 Nel frattempo, le ragazze in sala si davano d’attorno per capire cosa stesse accadendo e
qualcuna più operativa di altre incominciò a mostrare i pezzi da lei rinvenuti e dopo un po’ sul
tavolino della sala osservavano in circolo e pensose il significato strabiliante di tutti quei
pezzi , che messi uno accanto all’altro componevano quasi per intero il corpo del loro
beneamato. Qualcuna pianse, qualcuna fece finta di niente e prese a intascare a destra e a
manca tutto quel che poteva, qualcun’altra telefonava alla mamma per chiedere un parere.
E all’improvviso la porta si aprì e lui uscì sul vestibolo del salone, avvolto nel suo
bell’accappatoio di ciniglia blu. Aveva bisogno di loro, ma loro non lo vedevano, e
rimanevano intente a guardare quei pezzi là, sul tavolino, che erano i suoi, proprio i suoi, li
riconosceva. E capiva che ormai loro avevano capito. Ma capito cosa? Cosa? Cosa?
Tornò nello spogliatoio, si tolse l’accappatoio e rimase nudo, nudo con lo specchio di fronte.
Specchio maledetto. Specchio madre, specchio delle brame. Si accasciò a corpo morto sulla
lastra fredda e prese a singhiozzare, prima piano poi sempre più forte, più forte, e intanto le
lacrime scendevano e lui le accarezzava, e intanto diceva: “ Non sei vecchio, piccolo caro,
non sei vecchio no, no, no ...” . E piangeva e si accarezzava.
Il giorno dopo vide sfilare sotto la sua finestra un corteo funebre. Ai giornalisti che facevano
domande diede l’ordine di non rispondere. Ai suoi amici diede ordine di dire che lui stava
benissimo, non era successo niente, aveva bisogno solo di riposare.
Alessandra GUERMANDI
Febbraio 2011
9 The girl with the mask
Beijing, friday june 3rd 2011
It's around 8.45 am in the morning and I'm on the way to take my kid to school. I'm driving
along the Airport Expressway in direction Dashanzi, when I can testify a wonderful act of
courage, artistic bliss and political meaning.
In the middle of the highway a slim tall girl dressed with a tulle miniskirt, high hills and a
white pirate-like shirt walks slowly between the cars. She wears a purple mask, one of those
you see in the Venice Carnival. The vision she creates seems to come out from a movie,
something between Visconti's decadence and the Kubrick of Eyes wide shut. In fact she is
real, and she is slowing down the cars with coreographed gestures of her hands while walking
in the opposite direction to the traffic.
The traffic is the one of Beijing early morning, thousands of cars queuing up diligently; inside
of them thousands of individuals to go to work and pursue their Chinese Dream. Ambition,
resilience and pragmatism, underneath a blue parisian-like, sky provided by the governement
late technological devices to manipulate the weather.
By the time I pull over in a safe place and check again it is over; she is not there anymore. I
strongly hope she got away with it.
This kind of gesture is representative of the power of art when applied with subtlessness,
sensitivity and unconditioned freedom. There is no violence, there is a moment of
strangement, in which a whole context is transformed, a whole situation obeying to wellestablished rules is suddenly made to look random and illogic. A mysterious gesture, simple
and out of context, makes those solid rules become fragile and arbitrary; it opens an empty
space where we stand silent, realizing that everything is possible, that normality is held
together only by our own acceptance and nothing else.
The cars, the huge higway's lanes, the hot concrete, the metal, the sense of urge and necessity
for all this is put in standby. Even the noise seems to calm down a bit. All these metal animals
running in their concrete jungle, slow down and behave to the hand of a strange tamer
appeared from nowhere.
In 1974 Philippe Petit walked on a wire suspended between the Twin Towers in New york,
just after they finished building them. He walked back and forth for 45 minutes before giving
10 himself in to the authorities. He kept the whole New York stand still, contemplating the
beauty and the fragility of his gesture. When asked "Why he did this", he answered "I don't
know, it's about the mystery". You cna watch this in the film-documentary MAN ON THE
WIRE.
The girl with the mask today knows very well why she did this. She created a powerful image
and a coreography and she entered the theatre of everyday's life to change the script. She did
this the day before june 4th, 22 years after the events of 89 in Tien An Men Square. She
moved between the cars and stopped them, tamed them. I'm sure seeing her the Beijingneers
must have felt weird, then probably even amused for a while. They will have something to
talk about today during their lunch breaks. Few of them, tough, together with some foreigners
and other people maybe watching from the windows of their buildings will experience also an
image coming back from their subconscious, a little man with a plastic bag standing alone in
front of a tank. He moved a few steps anytime the tank tried to pass at his side; he held the
whole column of thanks still, a man, a human being who just had enough of what was
happening.
The girl with the mask is not alone and desperate, she is not acting her last chance. She is
sending a bold symbolic message. China has a long tradition of romantic outlaws storytelling.
Bandits have been celebrated and praised for their courage and the importance of their role in
shaping history.
The girl with the mask is the trickster-artist, the Robin Hood coming out of the forest to
awake the villagers and mock the arrogant princes; she is not alone, more will come, appear,
hit and disappear.
Alessandro Rolandi from Beijing
11 SPAZIO GIOVANI
Riflessioni dal web e dalla Capitale
Antonello Chirulli ci presenta Giorgio Gaber
Ho conosciuto il signor G., come viene chiamato dal suo
pubblico, grazie al mio amico Angelo, fervente esploratore e
compositore di arte nell'ambito cinematografico. L'ascolto di
autori come De Andrè e Guccini mi hanno avvicinato a
quest'altro pezzo di cultura e cuore dell'Italia artistica che è
Gaber. Un grande osservatore della società oltre che artista.
Credo, nelle mie supposizioni personali, che lui sia passato da
una fase di rabbia e lotta ad una maturazione che, con
umorismo e creatività, gli dona quella sua pace-espressività
che è solo sua. E a noi dona una riflessione più profonda e al
contempo creativa.
Adoro le sue canzoni perchè hanno uno spessore di riflessione sul sociale, perchè ha una
maturazione storico-politica e ci rende partecipi dell'Italia del secolo scorso. Perchè mi piace
quell'arte che oltre a divertire ed estasiare porti anche alla riflessione e maturazione critica
della storia, della politica e del sociale.
Vi nvito all’ascolto e, per cominciare, alla lettura di tre sue canzoni appositamente scelte per
voi. In rete abbondano i siti dedicati a Gaber dove troverete quasi tutti i suoi testi e su you
tube
le
varie
interpretazioni.
Per
ulteriori
informazioni
consultate:
http://www.giorgiogaber.it/, http://www.ondarock.it/italia/giorgiogaber.htm,
http://www.giorgiogaber.org/
Buona riflessione!
Antonello C.
"La razza in estinzione"da "La mia
generazione ha perso" – 2001
Non mi piace la finta allegria
non sopporto neanche le cene in compagnia
e coi giovani sono intransigente
di certe mode, canzoni e trasgressioni
non me ne frega niente.
E sono anche un po' annoiato
da chi ci fa la morale
L’illogica allegria
di Gaber-Luporini 1980
Da solo
lungo l'autostrada
alle prime luci del mattino.
A volte spengo anche la radio
e lascio il mio cuore incollato al finestrino.
Lo so
12 ed esalta come sacra la vita coniugale
e poi ci sono i gay che han tutte le ragioni
ma io non riesco a tollerare
le loro esibizioni.
Non mi piace chi è troppo solidale
e fa il professionista del sociale
ma chi specula su chi è malato
su disabili, tossici e anziani
è un vero criminale.
Ma non vedo più nessuno che s'incazza
fra tutti gli assuefatti della nuova razza
e chi si inventa un bel partito
per il nostro bene
sembra proprio destinato
a diventare un buffone.
Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.
La mia generazione ha visto
le strade, le piazze gremite
di gente appassionata
sicura di ridare un senso alla propria vita
ma ormai son tutte cose del secolo scorso
la mia generazione ha perso.
Non mi piace la troppa informazione
odio anche i giornali e la televisione
la cultura per le masse è un'idiozia
la fila coi panini davanti ai musei
mi fa malinconia.
E la tecnologia ci porterà lontano
ma non c'è più nessuno che sappia l'italiano
c'è di buono che la scuola
si aggiorna con urgenza
e con tutti i nuovi quiz
ci garantisce l'ignoranza.
Non mi piace nessuna ideologia
non faccio neanche il tifo per la democrazia
di gente che ha da dire ce n'è tanta
del mondo e anche del resto
lo so
che tutto va in rovina
ma di mattina
quando la gente dorme
col suo normale malumore
mi può bastare un niente
forse un piccolo bagliore
un'aria già vissuta
un paesaggio o che ne so.
E sto bene
Io sto bene come uno quando sogna
non lo so se mi conviene
ma sto bene, che vergogna.
Io sto bene
proprio ora, proprio qui
non è mica colpa mia
se mi capita così.
È come un'illogica allegria
di cui non so il motivo
non so che cosa sia.
È come se improvvisamente
mi fossi preso il diritto
di vivere il presente
Io sto bene...
Questa illogica allegria
proprio ora, proprio qui.
Da solo
lungo l'autostrada
alle prime luci del mattino.
Far finta di essere sani
di Gaber – Luporini 1973
Vivere, non riesco a vivere
ma la mente mi autorizza a credere
che una storia mia, positiva o no
è qualcosa che sta dentro la realtà.
13 la qualità non è richiesta
è il numero che conta.
E anche il mio paese mi piace sempre meno
non credo più all'ingegno del popolo italiano
dove ogni intellettuale fa opinione
ma se lo guardi bene
è il solito coglione.
Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.
La mia generazione ha visto
migliaia di ragazzi pronti a tutto
che stavano cercando
magari con un po' di presunzione
di cambiare il mondo
possiamo raccontarlo ai figli
senza alcun rimorso
ma la mia generazione ha perso.
Non mi piace il mercato globale
che è il paradiso di ogni multinazionale
e un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli.
E immagino un futuro
senza alcun rimedio
una specie di massa
senza più un individuo
e vedo il nostro stato
che è pavido e impotente
è sempre più allo sfascio
e non gliene frega niente
e vedo anche una Chiesa
che incalza più che mai
io vorrei che sprofondasse
con tutti i Papi e i Giubilei.
Ma questa è un'astrazione
è un'idea di chi appartiene
a una razza
in estinzione.
Nel dubbio mi compro una moto
telaio e manubrio cromato
con tanti pistoni, bottoni e accessori più
strani
far finta di essere sani.
Far finta di essere insieme a una donna
normale
che riesce anche ad esser fedele
comprando sottane, collane, creme per mani
far finta di essere sani.
Far finta di essere...
Liberi, sentirsi liberi
forse per un attimo è possibile
ma che senso ha se è cosciente in me
la misura della mia inutilità.
Per ora rimando il suicidio
e faccio un gruppo di studio
le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani
far finta di essere sani.
Far finta di essere un uomo con tanta energia
che va a realizzarsi in India o in Turchia
il suo salvataggio è un viaggio in luoghi
lontani
far finta di essere sani.
Far finta di essere...
Vanno, tutte le coppie vanno
vanno la mano nella mano
vanno, anche le cose vanno
vanno, migliorano piano piano
le fabbriche, gli ospedali
le autostrade, gli asili comunali
e vedo bambini cantare
in fila li portano al mare
non sanno se ridere o piangere
batton le mani.
Far finta di essere sani.
Far finta di essere sani.
Far finta di essere sani.
14 IN BREVE:
CHI ERA GIORGIO GABER?
Dal sito: http://www.giorgiogaber.net
Giorgio Gaberscik, in arte Gaber, nasce a Milano il 25 gennaio 1939.
Dopo l'esordio come chitarrista di Adriano Celentano, all’età di diciannove anni firma il
primo contratto discografico per la Ricordi e incide il 45 giri "Ciao ti dirò".
Gli anni sessanta lo vedono indiscusso e autorevole protagonista dello spettacolo italiano con
numerosissime incisioni discografiche e con un’intensa attività televisiva anche nel ruolo di
conduttore di diversi programmi di grande spessore e successo; "Canzoni di mezza sera"
(1962): "Canzoniere minimo" (1963); "Questo e quello" (1964); "Diamoci del tu" (1967)
"…E noi qui" (1970).
Sono gli anni della fortunata collaborazione con lo scrittore Umberto Simonetta, co-autore dei
suoi più importanti e popolari successi discografici, e delle prime frequentazioni col pittore
Sandro Luporini.
Ed è proprio con Luporini che Gaber, a partire dal 1970, invitato dal Piccolo Teatro di
Milano, cambia decisamente strada creando l’inedita forma artistica del "Teatro Canzone" che
porta in scena ininterrottamente dalla stagione teatrale 1970/1971 al 1999/2000.
Appartengono a questo lungo periodo, interamente dedicato all’attività teatrale, anche gli
spettacoli di prosa ("teatro d’evocazione"), le regie e le produzioni riferite ad altri artisti
(Ombretta Colli, Enzo Jannacci, Beppe Grillo, Arturo Brachetti), la direzione artistica dei
teatri di Venezia e la manifestazione "Professione Comico" che fu trampolino di lancio per
molti degli attuali protagonisti della comicità italiana.
Nel 2001 a seguito della forzata interruzione dell’attività teatrale, si dedica alla discografia
con due album: "La mia generazione ha perso" (2001) e "Io non mi sento italiano" (pubblicato
postumo nel 2003) che ottengono uno straordinario successo di vendita e lo consacrano
protagonista d'eccellenza anche nell’ambito della canzone d’autore.
Il 1° gennaio 2003 Giorgio Gaber si spegne nella sua residenza di Camaiore (Lucca). Riposa
al Famedio del Cimitero Monumentale di Milano accanto a coloro che hanno contribuito a
rendere grande la metropoli lombarda.
Biografia a cura di Massimo Bernardini tratta dal volume "Parole e Canzoni", 2004
edizioni Einaudi
15 LO SAPEVATE CHE…?
Siamo molto lieti di rendervi partecipi della nuova amicizia che una piccola
delegazione del Caffè ha fatto con un’altra associazione analoga, ma di belgi
che vivono in Italia. Abbiamo molte cose in comune, e, dopo le vacanze estive,
sicuramente troveremo un modo per collaborare. Pertanto vi invitiamo a visitare
il loro sito, dal quale, con il loro permesso, ve ne offriamo un’anteprima.
Buona scoperta!
http://www.bolognabruxelles.it
L’associazione culturale italo-belga “Bologna-Bruxelles A/R”
L'associazione culturale italo-belga “Bologna-Bruxelles
A/R” è stata fondata ufficialmente il 6 febbraio 2006 da un
gruppo composto da belgi, italiani e italo-belgi, amanti del
Belgio e desiderosi di farlo conoscere meglio in Italia, ove si
trova ad essere la prima e unica iniziativa così concepita.
Il nome dell'associazione, che suona come un biglietto
d'aereo, intende evocare l'idea del viaggio, di un
tragitto percorso molte volte, nonché quella di un ponte che
unisce due città che in comune hanno l'iniziale del
nome e non solo. Uno scambio culturale in entrambe le
direzioni.
Oltre a voler essere un punto d'incontro per i belgi
dell'Emilia Romagna e un luogo di contatto per gli italiani
desiderosi di avvicinarsi al Belgio, l'associazione ha
l'obiettivo di rafforzare i legami tra il Belgio e l'Italia
attraverso lo scambio reciproco e di promuovere le realtà culturali del Belgio in Italia. Mira
inoltre a diffondere le lingue e le culture delle diverse regioni del paese, indipendentemente
dalla loro prevalenza sul territorio. I soci fondatori dell'associazione, che non presenta alcun
carattere politico, si sentono profondamente “belgi” e rappresentano un paese variegato
e unito. Semplicemente vogliono promuovere le ricchezze culturali e artistiche del proprio
paese e farne conoscere e apprezzare le personalità di spicco, siano esse francofone o
neerlandofone.
L'intenzione è, quindi, quella di diffondere la cultura belga nel modo più ampio possibile
facendo conoscere le personalità e i talenti del mondo dell’arte, della musica, della
letteratura, dei fumetti o del cinema che hanno contribuito e contribuiscono a dare
un'immagine interessante e prestigiosa del Belgio all’estero.
L'appassionato lavoro dell'associazione per la diffusione di queste realtà culturali si
concretizza attraverso numerose attività culturali e ricreative (incontri letterari, conferenze,
mostre, eventi musicali ecc.), corsi di lingua e laboratori tematici, viaggi, cene e
degustazioni tipiche.
16 Se è vero che la cultura del "Bel Paese" è molto
valorizzata in Belgio, grazie anche alla forte
presenza di immigrati, il "paese piatto" di Jacques
Brel resta abbastanza misconosciuto in terra
italiana. È, quindi, con l'obiettivo di una più
approfondita conoscenza e di un rinnovato
interesse per questo paese che l'associazione si
propone di lavorare.
Il direttivo di "Bologna-Bruxelles A/R" è
costituito da belghe/i e italiane/i tutte/i esclusivamente volontarie/i. Dal novembre 2008
l'associazione ha la sua sede, concessa dal Comune di Bologna, in Via Santa Caterina 55/A,
nel cuore del quartiere Saragozza a Bologna.
La nostra realtà associativa vive quasi esclusivamente grazie al contributo dei nostri
soci attraverso il tesseramento e i corsi di lingua che organizziamo. Le spese per gestire la
sede e per organizzare le iniziative sono comunque tante... Ogni istituzione, azienda,
struttura che sia interessata a sostenere il nostro progetto sarà sempre ben accetta!
“Bologna-Bruxelles A/R” è e rimane un'associazione di promozione sociale senza fini di
lucro: ogni contributo devoluto all’Associazione è utilizzato solo al fine di promuovere
gli scambi culturali tra l’Italia e il Belgio e organizzare per i soci attività ed eventi rivolti
a far meglio conoscere il Belgio in Emilia-Romagna.
Made in Belgium
Lo sapevate che ...?
… il sostantivo « spa » (stabilimento termale) viene dal nome dellla cittadina belga di Spa,
famosa per il suo centro termale e per la sua acqua in bottiglia?
… qualche anno fa l’artista Folon ha realizzato il « vecchione » che viene bruciato a
capodanno a Bologna?
… di notte, quando si guarda il globo terrestre da un satellite, si riconosce il Belgio perché si
vede una piccola macchia chiara dovuta al fatto che le autostrade sono illuminate?
… alla fine del Medioevo, Anversa era la più grande città del mondo?
… le denominazioni di “Belgio” e “i belgi” si trovano per la prima volta nel De Bello Gallico
di Giulio Cesare (lat. Belgica e Belgae)?
… l’inizio delle migrazioni italiane in quello che è l’attuale Belgio sono molto antiche : già
nel Quattrocento mercanti e banchieri toscani cominciano le relazioni tra le due popolazioni
.... troppo spesso grandi nomi dello sport e del mondo dello spettacolo del Belgio francofono
vengono erroneamente confusi con i vicini francesi (Johnny Hallyday, Marie Gillain, Jacques
Brel, Georges Simenon ecc.)
… i termini “pralina/pralineria” in italiano vengono proprio da una parola belga che
inizialmente non era neanche usata in Francia, doce si parlava di “chocolats fourrés” ?
… il pittore fiammingo Rubens ha vissuto 8 anni in Italia?
… Carlotta del Belgio ha vissuto nel castello di Miramare a Trieste?
... i beghinaggi sono una realtà tipica dalle Fiandre e dell'Olanda?
… Adolphe Sax ha inventato il sassofono ?
… Carlo Magno è nato nei dintorni di Liegi?
Per maggiori informazioni vi rinnoviamo l’invito a visitare il sito dell’Associazione
“Bologna-Bruxelles A/R”: http://www.bolognabruxelles.it
17 IL TRIONFO DEL BARBIERE
Ce l’abbiamo fatta! Più o meno così dicevano verso mezzanotte del 1° aprile 2011 gli occhi
di Brigitte Henriet, di Herman Cole e di tutti quanti -soci o meno di Il Caffè- si erano dati da
fare per lo spettacolo ‘Il Barbiere di Siviglia’ che TeatroImmagine aveva appena concluso
presso il Buurthuis Muide a Gent. Certamente una location interessante ed adatta in un
quartiere dove perfino molti abitanti di Gent -venuti a piedi, in bici, con il tram, con il
carpooling- hanno messo piede per la prima volta. Dove un tempo si producevano motori
navali, ancora echeggiavano gli applausi del numerosissimo pubblico che aveva seguito
divertito la performance della troupe veneta. Bravi, braavi, braaavi. E così è andata a
Frameries, a Leuven, a Sint-Niklaas e a Genk. Mentre si sorseggiava una flûte di prosecco
Canah, gentilmente offerta dalla casa Perlage, sfilavano ancora Don Basilio, il Conte
Almaviva, Bartolo, la gentilissima Rosina. E naturalmente … Fiii-ga-ro. ‘Trala-la-lèèraaa.’
Ma quante risate prodotte dalle tante situazioni ilariche, dagli avvenimenti ingranditi, dai
dialoghi italiani sparati a mitragliatrice, dai gesti e dalla mimica irresistibili.
Infine alcune piccole cose che vanno senz’altro sottolineate.
• Attori e tecnici della compagnia hanno coinvolto circa duecento diciasettenni di varie
scuole medie di Sint-Niklaas in quattro workshop intitolati Cento minuti di commedia
dell’arte.
• Dopo la replica a Sint-Niklaas del 2 aprile, Anfiteatro-amici della cultura italiana ha
consegnato alla compagnia un bell’ assegno (€ 3.800) che servirà nei prossimi mesi
per allestire uno o più spettacoli nel paese terremotato di Fossa in Abruzzo. A questa
cifra hanno pure contribuito soci di Il Caffè, di L’incontro di Bruges e di altre
associazioni. Grazie.
• Anche questa volta la troupe di TeatroImmagine è stata gentilmente ospitata presso
alcune famiglie a Sint-Niklaas, Temse e Tielrode. Ne è nata un’amicizia che continua
a crescere.
• Sabato 9 luglio e domenica 10 luglio 2011 presso il Parco Villa Farsetti di Santa Maria
di Sala, TeatroImmagine lancia il suo nuovo spettacolo ‘Il Romanzo della Rosa’, una
regia di Andrea Brugnera. Svela il foglio di sala: ‘Sei attori e un musico si
alterneranno sulla scena “all’improvvisa”, per renderci fra frizzi e lazzi, selve oscure,
cavalcate e monasteri, il succo segreto di quell’Età di Mezzo. È questo un Medioevo
di maschere che celano, dietro la loro fissità drammaturgica e la loro ironia, la verità
di quei Secoli Bui che forse bui del tutto non erano...’ Se qualcuno passa dal
Veneto…. Per tutti gli altri, pazienza fino a quando torneranno a Gent.
Herman Cole
18 19 PERSBERI CHT
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20 L’impegno di Marina Dessi continua e ci fa conoscere:
NOTA INFORMATIVA
CHI SIAMO
Ci siamo costituiti come Associazione di Volontariato il 23 dicembre 2002, ma lavoriamo nel
campo delle adozioni a distanza dal ’94.
Dal 27 marzo 2003 siamo iscritti al Registro Generale del volontariato al numero 1160, per
cui siamo una O.N.L.U.S. (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale) ciò permette di
usufruire dei benefici fiscali previsti dalla legge e gli importi versati sono deducibili dalla
denuncia dei redditi.
Operiamo principalmente a Carbonia, ma ci avvaliamo del prezioso aiuto di alcuni referenti in
diverse parti della Sardegna e dell’Italia.
La nostra Associazione è costituita da volontari laici e si propone di portare aiuti a tutte le
persone bisognose, con particolare riguardo ai bambini argentini. Attualmente stiamo
lavorando a diversi progetti: uno a Claypole e due a S. Miguel de Tucumàn.
A Claypole, nella cintura periferica di Buenos Aires, aiutiamo la Comunità che fa capo alla
Cappella Mater Dei, che fu lasciata in eredità ai nostri referenti argentini, da P. Vincenzo Re,
missionario di Don Orione, deceduto a Carbonia nel 1998, che lavorò a Claypole per 40 anni.
Qui lavoriamo con l’Associazione “Te ayudamos a crecer” composta anch’essa da dei
volontari laici, alcuni dei quali hanno conosciuto personalmente P. Vincenzo e in tutti questi
anni hanno affiancato i nostri referenti Daniel Travasso e sua moglie Silvia Delma Ruiz.
L’associazione argentina segue direttamente i bambini adottati e le loro famiglie,
soddisfacendo i bisogni primari (cibo, vestiario, medicine, alfabetizzazione, istruzione per
l’avviamento al lavoro, ecc.)
Attualmente stiamo lavorando anche in Tucumàn, la regione argentina più povera in assoluto.
INIZIATIVE E PROGETTI
Precisamente stiamo operando nella città di S. Miguel de Tucumàn.
Stiamo collaborando al Progetto “El Sifòn” presentatoci dall’Associazione laica “S.
Domenico Savio” che si prefigge tramite un programma di sviluppo sociale con campeggi,
attività sportive, culturali e spirituali, di sottrarre i bambini e i ragazzi del poverissimo
quartiere El Sifòn ad un futuro legato alla delinquenza e al sottosviluppo.
21 Sempre nella stessa città siamo impegnati con il “Progetto Creciendo” presentatoci da un
sacerdote argentino della Congregazione di Don Orione, col quale ci prefiggiamo, mediante
l’adozione a distanza di bambini e adolescenti, di dar loro la possibilità di proseguire negli
studi e di avere un’adeguata educazione offrendogli i mezzi necessari per una crescita
integrale e la propria realizzazione come persone.
A Claypole oggi l’Associazione conta oltre 250 adozioni, che grazie alla sensibilità della
gente sono in continua crescita. Tenendo ben presente che il bisogno primario dei bambini,
cui rivolgiamo il nostro aiuto, è soddisfare i bisogni più urgenti, stiamo realizzando diversi
progetti a carattere sociale:
1. gestiamo una mensa quotidiana che garantisce la colazione e il pranzo a circa 200
bambini da 1 a 14 anni, alle loro mamme e ad un gruppo di persone anziane,
soprattutto vedove che ricevono anche medicinali e vestiario a seconda della necessità.
2. nel 2003 abbiamo ultimato il “Progetto Acqua” finanziandone interamente il secondo
lotto, col quale abbiamo dato l’acqua potabile a 120 famiglie, che l’aspettavano da 30
anni! Questo progetto è stato premiato come “Miglior progetto dell’anno” realizzato in
quella zona. Sempre nel 2003 abbiamo iniziato il “Progetto casa” consegnando due
abitazioni.
3. nel 2004 abbiamo consegnato altre abitazioni accontentando diverse famiglie. Un altro
progetto che abbiamo realizzato in questo anno è il “Progetto raccolta acque
piovane”. Infatti nel periodo invernale era praticamente impossibile praticare queste
strade, per cui molti bambini e le loro famiglie si trovavano impossibilitati a recarsi
alla mensa e a frequentare la scuola .
4. nel 2009 a Claypole, abbiamo terminato la struttura socio educativa dove vengono
attuati i progetti : alimentazione, salute, educazione, alfabetizzazione,
microimprendemento, ricreazione.
La mensa garantisce i pasti giornalieri per i bambini adottati e per tutta la Comunità che vive
nel quartiere della Mater Dei .
Per quanto riguarda la salute: un medico generico, un pediatra , un ginecologo, un dentista
prestano la loro assistenza sempre in forma gratuita a tutta la zona dove sino a qualche
tempo fà l’assistenza sanitaria era un miraggio.
Vengono assicurati corsi di alfabetizzazione, microimprendimento e corsi professionali per
l’avviamento al lavoro (elettricista, meccanico, cuoco, informatico).
Si tengono corsi di musica, teatro. Una scuola di calcio e l’Associazione dei Boy Scout
garantiscono un luogo dove i bambini possano socializzare e innanzitutto toglierli dalla
strada, dalla violenza e dalla droga, insegnare loro delle regole giocando e insegnargli un
mestiere per prepararli a entrare nel mondo del lavoro.
Dal 2010 in Madagascar abbiamo intrapreso, anche con l’ausilio dell’Ass. “Averiko”, un
nuovo progetto denominato “Progetto Salute Marina”, tramite il sostegno a distanza ci
prefiggiamo entro il 2011 di adottare almeno 30 bambini dai 3 ai 10 anni selezionati in base
alle loro condizioni sanitarie legate alla malnutrizione. Obiettivo del programma è che i
bambini ricevano “sakafo” (cibo), cure mediche, assistenza materna e accompagnamento
scolastico. Questo progetto ci ha impegnato molto e già stiamo dando il nostro sostegno a
distanza a 26 bambini .
22 Per sostenere un bambino a distanza e la sua Comunità occorre un impegno mensile di €
25 ripartibili anche tra più persone.
L’importo si può versare tramite : Posta ccp n. 38459624 intestato a : “Aiutiamoli” Ass.
no profit per l’adozione a distanza – fratel Vincenzo Loc. Genna Corriga 09013 Carbonia.
Banca IBAN : IT11V0101543850000000031450
“ L’Adozione per mezzo tuo è il pane caldo del mattino; è il pranzo e a volte è l’unico pasto
di tutto il giorno; è il cappotto dell’inverno; sono le scarpe per i piedi scalzi “.
23 Commento di Marleen Willems sulla conferenza del 17 marzo 2011 tenutasi ad Anversa da:
Emiliano Manzillo
Il cinema storico in Italia tra il 1905 e il 1918.
La conferenza di Emiliano Manzillo sul film muto in Italia all’inizio del ventesimo secolo è
stata veramente interessante.
Ha incominciato con lo spiegarci brevemente e in modo molto chiaro i principali avvenimenti
storici e i protagonisti più importanti del Risorgimento.
I primi filmati all’inizio del secolo scorso avevano soprattutto uno scopo pedagogico e
aiutavano a creare un certo senso di unità. Piccoli dettagli illustravano che questi filmati
erano molto influenzati dalle vicende politiche e dal rapporto stato/chiesa e che venivano usati
come strumento propagandistico.
Il primo film ‘La presa di Roma’ aveva un aspetto ancora molto amatoriale, il secondo, però
mi ha sorpresa. ‘Il piccolo garibaldino’ era di una bellezza straordinaria per quanto riguarda
la messa in scena, gli effetti teatrali e le interpretazioni, tenendo naturalmente conto del
periodo in cui è stato girato.
Negli anni ’80 sono stati i giapponesi a rinfrescare la memoria degli italiani con i loro cartoni
animati su ‘Cuore’ (libro di De Amicis’ - 1886) e ‘Le avventure di Pinocchio, storia di un
burattino’ (libro di Carlo Collodi- 1881), due opere importanti del periodo risorgimentale.
Grazie a questo risveglio un regista come Luigi Comencini ha trovato i finanziamenti
necessari per poter girare la sua versione delle Avventure di Pinocchio (serie televisiva –
1972).
Nell’ultima parte della conferenza abbiamo visto alcuni esempi di film documentaristico.
Ne ‘La dichiarazione di guerra all’Austria’ si vedeva molto bene che la gente non era ancora
abituata alla cinepresa e si metteva in posa come se fosse per una fotografia.
Il secondo film ‘La guerra sull’Adamello’ mi ha veramente impressionato: un documentario
della vita in alta montagna (3000 m) durante la Prima Guerra Mondiale, in un paesaggio quasi
surreale, in un freddo ghiacciante, in un silenzio assoluto, delle immagini impressionanti e
accattivanti.
Per chiudere la sua conferenza Emiliano ci ha fatto vedere un breve spezzone di un altro
filmato mostrando le macerie di San Martino del Carso, un San Martino del Carso distrutto,
come lo dovrebbe aver visto Giuseppe Ungaretti quando scrisse la sua omonima poesia.
San Martino del Carso
(Valloncello dell’Albero Isolato, il 27 agosto 1916 )
24 Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Van deze huizen
is niets gebleven
dan enkele flarden muur
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Van zovelen
die met mij verbonden waren
is er niet eens
dat gebleven
Ma nel cuore
nessuna croce manca
Maar in het hart
ontbreekt geen enkel kruis
È il mio cuore
il paese più straziato
Het is mijn hart
het meest verscheurde land
Tratto dal libro: De mooiste van Giuseppe Ungaretti – tweetalige uitgave – edizione bilingue
Trad. Salvatore Cantore
Red. Koen Stassijns – Ivo van Strijten
Ed. Lannoo/Atlas isbn 9789020948240
Nota:
Ogni anno, inizio ottobre, a Pordenone si tengono ‘Le Giornate del film Muto’ .
http://www.cinetecadelfriuli.org/gcm/informazioni.html
La cineteca del Friuli - Archivio Cinema - del Friuli-Venezia-Giulia si impegna in
collaborazione con la Slovenia per il recupero e il restauro di documentari e filmati storici.
http://www.cinetecadelfriuli.org/cdf/archivio_cinema.html
Il suddetto commento è presente anche sul blog della Dante Alighieri
http://dantealighierianversa.blogpost.com
Marleen Willems
25 di Anversa:
APPUNTI SUL CINEMA
in seguito alla
RASSEGNA DI FILM ITALIANI 17/032011 – 28/04/2011
organizzata da IL CAFFÈ in collaborazione con
DE CENTRALE - INTERCULTUREEL CENTRUM
pubblichiamo integralmente tutte le introduzioni di Serena Stefani.
RISO AMARO
di Giuseppe De Santis
Con Silvana Mangano, Doris Dowling, Vittorio Gassman,
Raf Vallone,
Drammatico, durata 108 min. – Italia,1948.
Riso amaro, un film girato nel 1948 e distribuito nel 1949,
come è noto, si iscrive nel movimento culturale e soprattutto
cinematografico del Neorealismo Italiano ed è uno degli
episodi più importanti di questo movimento accanto a Roma
città aperta di Rossellini, a Ladri di bicliclette di De Sica e a
La terra trema di Visconti.
Due parole sul Neorealismo. Il Neorealismo nasce dal
trauma della Seconda Guerra Mondiale, e si sviluppa nel
corso degli anni ’50. Questo è un periodo in cui l’Italia, che
veniva da 20 anni di dittatura fascista e aveva subito le distruzioni dei bombardamenti,
l’occupazione tedesca e la guerra civile fra partigiani e nazi-fascisti ricomincia a vivere.
Questo difficile e insieme desiderato ritorno alla vita avviene in un paesaggio di ROVINE.
L’Italia ricomincia a vivere dalle e sulle sue rovine. Si tratta di rovine materiali, economiche
(tutto il tessuto e l’organizzazione del paese erano saltati, la povertà era estrema), rovine
psicologiche (quasi ogni famiglia eveva subito privazioni, morti, torture) e rovine ideologiche.
La costruzione mentale del fascismo era risultata falsa: l’Italia non era la nazione ben
equipaggiata e forte in grado di vincere una gloriosa guerra nella quale il regime nazionalista
e polulista l’aveva trascinata. Tutto il contrario: l’Italia era debole e la guerra orribile e
rovinosa. Si ripartiva da zero.
E’ da questo “anno zero” che parte il Neorealismo: guardando il dramma con coraggio
documentario e speranza in un mondo nuovo. Se tutto è distrutto, tutto si può ricostruire in
modo diverso e migliore.
La speranza di un mondo migliore era anche il leitmotif della Resistenza, quel movimento
armato ma anche culturale che aveva fatto riconquistare all’Italia la libert. e aveva aperto
scenari inditi come la partecipazione popolare spontanea alla storia del paese.
Giuseppe De Santis, il nostro regista, ha sempre sostenuto che il Neorealismo era proprio il
frutto culturale della Resistenza. Perché la voglia di libertà e l’attenzione agli umili ocme
protagonisti non era rimasta limitata alla politica, era penetrata nell’arte.
I registi vogliono la verità, non più le menzogne, vogliono parlare della gente comune e lo
vogliono fare in modo nuovo. Ora in democrazia è possibile sia nominare povertà e
ingiustizie e sperimentare linguaggi, anche se nel dopoguerra, con i partiti di destra al potere,
26 la censura continua e si abbatterà anche pesantemente sui film neorealisti che della
ricostruzione mostrano chi rimane ai margini: lavoratori e i disoccupati.
De Santis è uno dei pochi registi dichiaratamente marxisti del Neorealismo. Riso amaro è
infatti un film sul lavoro. Il lavoro delle operaie del riso: le “mondine” (da “mondare”=
“pulire”). Queste lavoratrici stagionali da aprile a
giugno stavano tutto il giorno immerse nell’acqua
delle risaie, prima per trapiantare le piantine di riso,
poi per proteggerle dalle erbacce (mondarle
appunto): un lavoro durissimo e mal pagato, di
grande sfruttamento. Anche la famosa canzone Oh
bella ciao, poi modificata in canto della Resistenza
era in origine un canto delle mondine. De Santis ci
mostra la vita quotidiana nella risaia con ricchezza di
dettagli concreti e con un’attenzione sociologica
tutt’altro che banale. Il mondo del lavoro in Riso
amaro infatti non è solo un’ambientazione, uno
sfondo come un altro, ma è uno dei protagonisti del film. Dare spazio al lavoro in un film,
mostrarne gesti, momenti, canti e balli, restituire il suo senso antropologico era allora una
grande novità nell’ambito del cinema italiano e si lega piuttosto alle esperienze del
documentario americano ed europeo degli anni ’20 e ’30 (Flaherty o Ivens), o al cinema
sovietico. Guardando ai lavoratori della campagna De Santis si pone in maniera originale
anche rispetto al Neorealismo che invece, a parte il film di Visconti La terra trema, ha
rappresentato soprattutto la vita dei poveri nelle città.
De Santis però non si ferma al documentario, ma cerca di
costruire contemporaneamente, intorno all’immagine del
lavoro, un grande film di fiction e un’opera di sperimentazione
formale. Ne viene fuori una pellicola problematica, un film
ricco, vigoroso, violento, anche strano e straniante, tanto che si
è meritato la denominazione di “Neorealismo flamboyant”,
perché mescola e mette insime tanti codici espressivi diversi.
Nonostante abbia avuto un grandissimo successo di pubblico
in Italia e all’estero (ebbe anche una nomination all’Oscar nel
’54) il film è stato spesso attaccato. In effetti c’è un conflitto
fra, una storia tradizionale melodrammatica e moralista, da feuilleton da un lato, e un certo
furore estetico, una ricerca visuale ed espressiva di grande rilievo dall’altro.
Certo la trama è quasi comica con i buoni da una parte, i cattivi dall’altra, il destino, la
scelta morale, la redenzione, la condanna. Ci sono 4 protagonisti, due coppie che nel corso del
film però si scambiano. Due sono dei “criminali” cittadini, estranei al mondo del lavoro nei
campi e sono Walter (Vittorio Gassman) e la sua compagna Francesca (l’attrice
hollywoodiana Doris Dowling, che si era trasferita in italia). Walter e Francesca hanno rubato
una preziosa collana e ora scappano dalla polizia. Perciò si confondono fra i lavoratori del
riso. Già dall’inizio si vede tuttavia come Francesca non sia più entusiasta di questa vita
“corrotta”. Poi ci sono due personaggi a prima vista “sani” – la mondina Silvana (la splendida
Silvana Mangano qui al suo primo vero ruolo cinematografico), regolarmente iscritta al
sindacato e perfettamente inserita nel mondo operaio, che però sogna una vita diversa di
ricchezza e piacere e si fa confondere dalla moda americana entrata in Italia con la guerra:
mastica la gomma, legge i fotoromanzi, balla il boogie-woogie - e Marco un sergente
dell’esercito italiano che, sconvolto dalla guerra appena passata, è diventato pacifista e, deluso
27 dalla miseria italiana del dopoguerra, vuole emigrare in Sud America. Marco è innamorato
della bella Silvana, ma lei trova più interessante il fuorilegge Walter che gli promette, anche
tramite l’oggetto simbolico della collana un futuro ben più brillante della risaia, mentre
Francesca è sempre più attratta dal sergente Marco e dalle sue lezioni di morale, diciamo,
“antifascista”. Nel corso del film assistiamo quindi al formarsi di due nuove coppie (WalterSilvana e Marco-Francesca), all’irresistibile corruzione della popolana Silvana e alla
redenzione della criminale Francesca fino ad un finale doppio: tragico per alcuni, felice per
altri.
Tutto ciò in un impianto visuale di grande complessità e originalità dove niente è mai
casuale. De Santis lavora in primo luogo sulla composizione dell’immagine, che è sempre
spazialmente ritmica, elaborata, simbolica e insieme concreta. Dai suoi contrasti coloristici
(di bianco e nero) ora forti al sole o negli interni, ora sfumati di grigi sotto la pioggia, ai
movimenti interni all’inquadratura. Un’inquadratura dove, anche se è ferma, succedono
tantissime cose grazie al dinamismo della massa degli attori e degli oggetti – si tratta di un
film corale - (vedremo le scene della consegna dei
capelli alle mondine, con i sombreri che volano in aria)
e grazie alla profondità di campo per cui c’è un gioco
continuo fra primo piano e sfondo (vi invito a notare
all’inizio la bellissima immagine di Silvana che balla
alla stazione il boogie-woogie: lì c’è un gioco ritmicoformale fra il volto sexy dell’attrice e dei muratori che
passano su un’altura in lontananza, sullo sfondo).
Vedremo anche durante l’aborto di una delle mondine
nella risaia lo sfilare delle donne con i cappucci a
comporre quasi delle inquadrature pittoriche di tipo
espressionista.
Poi in secondo luogo il regista gioca sul montaggio, anche in questo caso un montaggio
intellettuale che oppone violentemente il personaggio alla massa, o gli spazi e i punti di vista
fra loro dando al film grande dinamismo e insieme un senso di epicità. Infine ci sono i
movimenti della macchina da presa, assulutamente mai visti nel cinema italiano. Dei
movimenti complessi e composti che dal dettaglio e dal singolo personaggio vanno alla
visione d’insieme e viceversa. De Santis inventò delle gru apposta per il film, leggère che
potessero essere poste sugli argini della risaia senza far crollare tutto.
Una parola anche su un altro aspetto notevole del film: come tratta i corpi umani soprattutto
femminili, come ci si concentra brutalmente, senza moralismi facendoli, al pari del lavoro, un
altro protagonista muto del film. Questi corpi sono visti in modo “democratico” perché, a
parte la Mangano, sono corpi comuni, non divistici, senza glamour e che però creano una
sensualità veristica, reale, tangibile. Ma la Mangano stessa, pensiamo alle due scene del
boogie-woogie comunica un forte erotismo, ma di tipo plebeo, rustico, non patinato o
raffinato.
In conclusione diciamo che in realtà il regista elabora in modo profondamente personale le
scoperte formali e l’espressività del cinema sovietico e di quello sociale americano del New
Deal (King Vidor, John Ford, Orson Welles), e ha aperto all’epoca più degli altri la nostra
cinematografia “autarchica” alle esperienze internazionali. E oggi la critica più recente,
leggendo gli scritti del regista e analizzando bene il film propende piuttosto a credere che
scelta del feuilleton melodrammatico per la storia contenga una buona parte di ironia e quasi
una provocazione intellettuale di De Santis. Al pubblico la scelta e l’interpretazione.
Serena Stefani
28 L’AVVENTURA
di Michelangelo Antonioni
Con Gabriele Ferzetti, Monica Vitti, Lea Massari, Renzo
Ricci, Dominique Blanchar, Drammatico, durata 140 min. –
Italia, 1960.
Con L’avventura di Michelangelo Antonioni facciamo un
salto di più di 10 anni da Riso amaro. Dal Dopoguerra al ’60,
anno de L’avventura, sembrano passati ben più che 10 anni.
Siamo nel momento del boom economico, l’Italia più degli
altri paesi europei fa un salto da gigante, subisce
trasformazioni profondissime e da paese agricolo diventa uno
dei 7 paesi più industrializzati del mondo. Cambia il modo di
vivere, di comunicare, entriamo nella società dei consumi. In
tutto il cinema, non solo in quello italiano, pensiamo alla
Nouvelle Vague francese, entra una ventata d’aria fresca e la settima arte, come contraltare al
consumismo, si trasforma anche in uno strumento del pensiero, in un momento di riflessione
culturale. Ecco la politique des auteurs, in italiano “il cinema d’autore” o “cinema moderno”.
Un cinema cioè in cui il regista ha un ruolo determinante rispetto al produttore o ai divi
Se, lo abbiamo constatato con Riso amaro, il Neorealismo ci aveva fatto vedere cose mai
viste rispetto al passato, aveva cioè rappresentato la realtà sociale e umana vera del
dopoguerra e l’aveva fatto attraverso una forte
sperimentazione visiva, è vero però che le
strutture narrative erano spesso rimaste
tradizionali e melodrammatiche. Il cinema degli
anni ’60 eredita la rivoluzione visiva del
Neorealismo (mostrare temi e personaggi
contemporanei, filmare in luoghi reali, fuori dai
teatri di posa, dagli studios), ma va avanti nella
ricerca cambiando alla radice anche il modo di
raccontare le storie, anzi l’idea stessa di storia
cinematografica.
Nasce quindi un cinema che rompe con i vecchi stereotipi narrativi ancora presenti negli
anni ’50: le trame forti e chiare diventano sfuggenti, non ci sono più eroi o cattivi, ma i
protagonisti sono persone comuni con tutta l’ambiguità delle psicologie moderne, con il male
e il bene entrambi iscritti nel loro essere, con le angosce dell’uomo in una società
industrializzata.
Michelangelo Antonioni è quello che in Italia meglio rappresenta tutto
questo: eredita infatti gli aspetti visivi più nuovi e anticonvenzionali del
Neorealismo, ma propone storie e racconti difficili da capire (tra l’altro
ambientati fra la borghesia e non più fra il popolo) e dichiaratamente
problematici, come problematici e ambigui sono i suoi personaggi,
specchio dei turbamenti moderni. Nei suoi film ci offre un modo indito
di guardare luoghi e persone, elaborando addirittura una filosofia del
cinema come investigazione sulle possibilità di conoscere il mondo.
29 A partire da L’avvenura molti dei film di Antonioni partono con un enigma da risolvere,
quasi come dei “gialli”, dei polars, nei quali, come nel film di stasera, un personaggio
scompare. A quel punto parte una ricerca. Però via via che la pellicola si sviluppa ci
accorgiamo di come il regista non segua affatto i canoni, le regole del genere, anzi ci
rendiamo conto di come sovverta e reinventi la narrazione classica, “normale” tout court.
Come cioè trasgredisca il modo di raccontare una storia a cui siamo abituati. I gialli di
Antonioni sono stati definiti dalla critica “gialli alla rovescia” perché i personaggi che
indagano non solo non trovano quello che cercavano o che credevano di cercare, ma
cominciano a perdere le coordinate, la direzione della loro ricerca, finendo per perdere
addirittura sé stessi, la loro identità di partenza, le loro certezze. Di fronte ai film di
Antonioni molti spettatori si chiedono ma cosa ci sta raccontando? Cosa stiamo vedendo, cosa
stiamo guardando? Ecco: questo è il vero scopo del film. Porre la domanda filosofica: che
cosa possiamo o non possiamo raccontare quando raccontiamo? Che cosa possiamo vedere o
non vedere quando guardiamo?
Mentre i personaggi provano a perseguire la loro ricerca, ad arrivare a trovare un senso agli
avvenimenti – che è poi la grande ricerca dell’uomo trovare la verità negli avvenimenti – il
regista compie, fa compiere ai protagonisti e a noi continue divagazioni narrative e visive. Si
concentra ironicamente su personaggi secondari, di passaggio o di contorno, si sofferma in
modo profondamente poetico ed estetico sul paesaggio, sugli oggetti, sulla natura, sulle
architetture. Vedremo la grande varietà di grigi pittorici del bianco e nero (ben superiore a
quella del Neorealismo, anche per motivi tecnici), la sapienza nel comporre inquadrature
eccentriche che sembrano riportare il cinema alla sua origine di scatto fotografico puro, i salti
sottilmente stranianti del montaggio.
Antonioni nel fare il film sembra dunque “perdere tempo” perché queste storie secondarie,
quanto le visioni insistite sul mondo che ci presenta rimangono solo accennate, non
approfondite. Lo spettatore rimane continuamente e volontariamente deluso. Non è che
Antonioni non ci mostri o non ci racconti niente, al contrario: in questa ricerca vediamo e
veniamo a sapere molte cose, ma tutte cose che non servono al plot, tutte cose che piuttosto
gli stanno intorno e che in un film classico sarebbero del tutto tralasciate. Il regista invece di
seguire la storia apre piuttosto lo sguardo sulle molteplici storie potenziali che si nascondono
dentro la realtà e ci rende coscienti di quanto l’uomo con i suoi motivi, con i suoi scopi, con la
sua ricerca personale del significato, che del resto non può che compiere, sia infinitamente
piccolo rispetto al mondo naturale, al sovrapporsi delle epoche che lasciano il segno nelle
costruzioni e nel contesto ambientale.
Ne L’avventura un gruppo di borghesi ricchi e stravaganti che non hanno molto da fare fa un
viaggio sugli isolotti disabitati e vulcanici delle Eolie, torna cioè al mondo minerale, prima
della civiltà. Poi i protagonisti che cercano il personaggio scomparso compiono un viaggio
fisico e visivo nel cuore della Sicilia barocca e primitiva, portando alla luce lo scontro tra i
vari momenti della civiltà, anzi fra le varie civiltà che coesistono in uno stesso momento del
tempo. Il viaggio in sé come esperienza del guardare è il vero significato del film, non la
trama. L’avventura, il titolo è già significativo (di che avventura si tratta’), quindi, finge di
raccontarci la storia iniziale (o ce la racconta solo in parte), in realtà ci propone una riflessione
più generale sulla ricerca umana del senso e sui suoi paradossi.
I protagonisti Sandro (Gabriele Ferzetti) e Claudia (Monica Vitti), anche se non se ne
accorgono, se non forse alla fine, provano a dare disperatamente un senso al loro vuoto
(simbolizzato dalla scomparsa del personaggio a loro vicino), principalmente attraverso
l’avventura dell’amore e dello sguardo sui luoghi che visitano, ma devono lottare contro delle
30 terribili forze centrifughe: forze interne che stanno dentro di loro, nei loro sentimenti (per
Antonioni l’uomo nasconde sempre in sé un enigma irrisolto) e contro le forze esterne quelle
che stanno fuori, nel sublime assoluto del paesaggio (Antonioni diceva che anche ogni
immagine è un mistero perché nasconde sempre altre immagini che nessuno vedrà mai).
Qui i sassi bruti delle Eolie immersi nel mare o le architetture decadenti della Sicilia giocano
un ruolo fondamentale. I luoghi in Antonioni sono dei veri e propri personaggi, testimoni muti
di storie segrete e di significati formali che noi nel nostro continuo guardare magari non
sapremo mai, di cui possiamo solo intuire l’esistenza. Nell’economia dell’Avventura dunque
al paesaggio è data quasi la stessa importanza che alle persone e le persone sono trattate come
una delle componenti visive del paesaggio. Li vediamo infatti spesso inquadrati
improvvisamente in campo lungo, persi come figurine nell’insieme delle inquadrature.
La camera stessa e il montaggio sono volutamente incerti rispetto a quelli classici: la camera
sembra non sapere dove guardare, il montaggio sembra cercare sul campo le sue associazioni,
i suoi link. Le immagini non sono funzionali alla storia, ma in Antonioni la storia è il pretesto
per mostrare immagini. Così anche lo spettatore deve dimenticarsi di fronte a questi film il
ruolo di Re, di centro della visione, che se ne sta in poltrona a ricevere il “piatto pronto”. Se si
pone in quest’ottica tutte le sue speranze verranno deluse. Il cinema moderno di Antonioni
infatti mostra non dimostra, guarda non spiega.
Quello che dobbiamo fare è accettare il piacere e anche il dolore estetico e intellettuale di
questa “avventura” nel mistero dell’uomo e del mondo, accettando il fatto che tutti i nostri
tentativi pur legittimi di cercare spiegazioni (le normali domande “che cosa è successo al
personaggio scomparso?”o “perché i protagonisti si comportano così?”) non potranno che
arrendersi. Naturalmente il gioco di Antinioni si regge perché noi istintivamente non
possiamo fare a meno di cercare questo senso nei personaggi e nelle cose, di desiderarlo, di
crederci anche se non lo siamo al centro del mondo.
Invece l’avventura che viviamo è piuttosto un viaggio à rebour che parte da un plot umano
per arrivare attraverso la perdita di tutte le certezze narrative e psicologiche (vedrete i
comportamenti contradditttori e strani dei personaggi alla fine) al luogo nudo, crudo, vuoto,
originario, anzi all’immagine fotografica di questo luogo in cui la civiltà e la natura, l’uomo e
il paesaggio si confondono. Alla fine del film della trama, vedrete, non ci resta niente, ci resta
solo il luogo e il ricordo di averlo visto e guardato.
Il cinema di Antonioni sembra infatti mettere in immagini il misterioso e bellissimo verso di
Mallarmé:“Et rien n’aura eu liei que le lieu”,“alla fine niente avrà avuto luogo se non il
luogo”.
In questa progressiva spoliazione sta, per il nostro regista-filosofo, la verità del cinema e
dell’essere umano.
Serena Stefani
31 LA BALIA
di Marco Bellocchio.
Con Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Maya
Sansa, Jacqueline Lustig,
Drammatico, durata 106 min. – Italia, 1999.
La balia, l’antico mestiere delle donne del popolo che, dopo
aver partorito davano il latte ai bambini dei ricchi, è un film del
1999 per la regia di Marco Bellocchio (di cui ricordiamo il
recente e interessante Vincere, sulla vita segreta del giovane
Mussolini).
Due parole sull’autore.
Bellocchio è una personalità particolare che ha esordito nel
1965, a 26 anni, ponendosi subito a pieno titolo nella
corrente del Cinema Moderno, la Nouvelle Vague italiana,
con un film che fece scandalo: I pugni in tasca. In questo
film erano presenti già i temi che lo accompagneranno per
tutta la sua carriera e che vedremo anche ne La balia: la
riflessione intorno alla nevrosi o alla pazzia e la critica all’istituzione fondante della società
borghese, la famiglia, vista come condizione soffocante e creatrice di mostri. Marco
Bellocchio si presentò da subito come un contestatore, come il rappresentante, nel cinema,
della protesta del ’68. Fece dei film con la partecipazione del movimento studentesco e
insieme a suo fratello e a suo cugino animò un’importante rivista culturale e politica, anzi di
“contro-cultura e di controinformazione”, i “Quaderni Piacentini” (i Bellocchio sono di
Piacenza, una città in Emilia-Romagna). I “Quaderni Piacentini”, cominciati in semplici
fotocopie (il vecchio ciclostile) sono diventati e rimasti poi per molti anni una voce nazionale
forte e instancabile contro la tradizione.
La balia, come ho detto, è un’opera del ’99, moltissimi anni sono passati dal ’68, ma, pur in
modo maturo e meditato, meno “furioso,” il regista continua anche con questo film la sua
riflessione sulla crisi intima
dell’uomo nella prigione sociale
e sul suo bisogno di libertà e di
autenticità. La pazzia in questo
senso può essere il segno
paradossale e drammatico di una
rivolta individuale.
Il film è la storia, ambientata a
Roma ai primi del ‘900 e
liberamente ispirata ad una
novella di Pirandello, di una
coppia alto borghese (il marito è
proprio uno psichiatra) che ha un
bambino. Questo evento, invece
di essere lieto si trasforma in un
incubo. La moglie Vittoria, una straordinaria Valeria Bruni Tedeschi (sorella di Carla Bruni),
donna nevrotica e problematica perché molto sensibile, rifiuta il dolore del parto e poi
32 l’allattamento, entra in conflitto con la sua maternità. Compare allora nella vita della famiglia
una giovanissima balia (Maya Sansa, che noi conosciamo da La meglio gioventù, ma qui alla
sua primissima apparizione cinematografica).
Grazie a questo triangolo sottinteso, marito (Fabrizio Bentivoglio)–moglie–balia intorno
all’azione fondamentale del dare il latte al bambino, Bellocchio sviluppa durante il film, in
modo molto poetico e malinconico un confronto fra due mondi opposti. Popolo-borghesia,
natura-cultura. Da una parte abbiamo il mondo alto-borghese chiuso, vedrete, in una casa
bella ma clustrofobica – la macchina da presa non fa che aggirarsi fra queste stanze come in
un labirinto fermandosi spesso sulle soglie, dietro le porte, nei corridoi – dall’altra parte il
mondo popolare istintivamente libero e aperto alla vita, ma privo della parola e della scrittura.
Questo confronto nascostamente drammatico (anche se non succede niente di eclatante, anzi
non sembra succedere niente) in realtà porterà ad un cambiamento, ad un’osmosi di tutti i
personaggi fra loro.
Vittoria, la moglie, turbata dalla balia primitiva ma capace di vivere e di dare la vita (il latte),
cosa che lei non sa fare, riuscirà a prendere in parte coscienza del suo bisogno di libertà fuori
dalla convenzione del matrimonio (uscita di casa proverà anche affetto materno per un fglio
non suo).
La balia maturerà invece il desiderio di entrare, anche lei almeno in parte, nel mondo della
cultura (vuole imparare a leggere e scrivere).
Ennio, lo psichiatra, così certo del suo ruolo di benefattore dell’umanità, di capofamiglia
illuminato, al centro del suo mondo strutturato e “perfetto”, grazie all’incontro con la balia
Annetta e alla rivolta “folle”, “assurda”, della moglie, arriverà ad una visione più
problematica del mondo. Un mondo nel quale, fuori della soffocante residenza della famiglia,
il popolo si sta rivoltando, scoppiano le proteste e i conflitti socali. Il compagno di Annetta è
in effetti un “sovversivo” in prigione per motivi politici, ma entra nella storia come quarto
personaggio attraverso una bellissima lettera alla moglie (che non può leggerla perché
analfabeta) in cui parla di libertà e di lotta, concetti estranei al teatrino borghese. Questa
lettera, così come il seno di Annetta, è l’altro motivo di turbamento della coppia VittoriaEnnio. Il film infatti sembra suggerire anche un rapporto inedito fra allattamento/maternità e
scrittura, atti apparentemente così diversi eppure entrambi significanti e creativi.
Come in molte opere di Bellocchio sono i non-borghesi e le donne, nel loro mistero spesso
incomprensibile (la naturalezza di Annetta, l’inquietudine nevrotica di Vittoria) gli esseri
capaci di frantumare le apparenze, di perturbare la “normalità” alla ricerca di una verità più
profonda dell’esperienza.
Una notevole importanza nel film è data, come fattore unitario, al sonoro. I rumori, primo fra
tutti quello del bambino che succhia al seno, pervadono sottilmente l’immagine e la superano
(sono cioè dentro e fuori dall’immagine), in funzione più che realistica, direi piuttosto
suggestiva ed espressiva.
Serena Stefani
33 L’IMBALSAMATORE
di Matteo Garrone
Con Ernesto Mahieux, Valerio Foglia Manzillo,
Elisabetta Rocchetti –
Drammatico- Noir, durata 101 min. – Italia, 2002.
L’imbalsamatore è un’opera contemporanea, del
2002, firmata da Matteo Garrone, regista del più
noto e più recente Gomorra.
Si tratta di un film molto amaro e spiacevole,
addirittura disturbante, ma che mostra bene le
tendenze sperimentali e ciniche proprie del più
interessante
e
giovane
cinema
italiano,
rappresentato oltre che da Garrone da, per esempio,
Paolo Sorrentino (Le conseguenze dell’amore, Il
divo e L’amico di famiglia un film del 2006 che
deve moltissimo a L’imbalsamatore).
La storia de L’imbalsamatore si basa su un fatto di cronaca nera, realmente accaduto a
Roma negli anni ’80, famoso perché coinvolgeva un nano, tassidermista di professione, cioè
imbalsamatore, detto “il nano di Termini” e una coppia di innamorati. Garrone prende
ispirazione da questo reale e torbido triangolo per sviluppare un discorso filosofico sulle
relazioni umane, sulla vita, sulla morte e proporre una riflessione estetica sulla bellezza e sul
suo (apparente) opposto, la mostruosità. Proponendo la riflessione estetica sulla bellezza e
sulla bruttezza come uno degli argomenti del film il regista ci offre un’opera di notevole
ricerca formale nella quale il modo di girare, di fotografare e di montare le immagini si pone
in primo piano ed è tanto importante quanto la storia. In questo ritroviamo un po’ la lezione di
Michelangelo Antonioni, autore de L’avventura, visto qui alcune settimane fa.
La vicenda, trasportata da Roma a Castelvolturno in provincia di Caserta, vicino a Napoli
(più o meno i luoghi di Gomorra), parla di un nano, Peppino Profeta, tassidermista appunto,
particolarmente bravo nel suo lavoro di rendere “a nuova vita”, a una vita artificiale,
apparente, estetica gli animali morti. E’ così virtuoso che viene utilizzato (sotto ricatto) anche
dalla Camorra per nascondere i suoi traffici di stupefacenti e i suoi delitti. Questo nano di
mezza età (il nano è di per sé e da sempre nella letteraura e nel cinema una figura inquietante)
vive una vita solitaria, che improvvisamente è allietata dall’incontro, la collaborazione e
l’amicizia di Valerio, un giovane bellissimo, disposto a imparare tutto da lui e a condividere
non solo il lavoro, ma anche divertimenti e avventure. L’attore che fa Valerio e che si chiama
Valerio anche nella realtà non è un attore, ma un modello qui al suo primo ruolo
cinematografico. Il regista sfrutta la sua inesperienza nella recitazione per creare questo
personaggio, diciamo “senza qualità” e, almeno apparentemente, senza volontà. Il nano è
invece Ernesto Mahieux, un attore del teatro napoletano che per questo ruolo ha vinto il David
di Donatello e è stato finalmente conosciuto dal grande pubblico. Fra Peppino Profeta e
Valerio nasce dunque un rapporto da Pigmalione in cui il brutto, ma intelligente, introduce
paradossalmente alla vita il bello e naif. Questo rapporto naturalmente è venato da una
34 profonda ambiguità e morbosità che esplode nel momento in cui nella “coppia” entra una
ragazza, Deborah.
Garrone in tutta laprima parte, ma anche dopo, prepara questa atmosfera, in cui il pubblico
intuisce che si nasconde un pericolo, attraverso un uso grottesco ed espressivo della forma
cinematografica: colori saturi, fortemente irrealistici, quasi pop, penombre, primi piani
deformanti, campi lunghi eccentrici, un uso eccessivo del grandangolo anche nelle
inquadrature che non lo richiederebbero, inquadrature soggettive (all’inizio c’è addirittura la
soggettiva di un animale, il marabù). I personaggi vivono in una dimensione straniata, torbida
eppure a suo modo brillante, mortuaria ma viva allo stesso tempo, quasi come quella de gli
animali imbalsamati.
Con l’entrata in scena di Deborah si forma un triangolo drammatico e un conflitto che
oppone alla coppia tendenzialmente “omosessuale”, “mostruosa” Peppino-Valerio, il brutto e
il bello, quella eterosessuale, “normale” Valerio-Deborah. La lotta dei protagonisti, tutti e tre
a loro modo disperati e marginali (come sono marginali gli ambienti in cui si muovono), è
impari naturalmente. In che senso, però? Da un lato ci sono i due “belli” e giovani, ma senza
arte né parte (ad un certo punto del film si rifugeranno sotto l’ala protettiva e il controllo dei
genitori di lei in una casa che, vedremo, è la parodia del cattivo gusto dei piccolo borghesi
arricchiti), dall’altra c’è il nano, il mostro carismatico, capace, come vedremo, di creare e
prospettare nuovi mondi nell’orrore della realtà. Da una parte c’è chi può dichiarare senza
vergogna il proprio amore, dall’altra chi deve nasconderlo o viverlo sempre attraverso altre
persone (le prostitute che Peppino divide con Valerio) Chi vincerà in questa lotta? E
soprattutto:da che parte sta il pubblico? Il film è, secondo me, geniale nel montare un
apparato narrativo e rappresentativo ambiguo e doppio – e qui sta buona parte del suo
carattere disturbante nei confronti dello spettatore, che viene messo in crisi. Potremmo infatti
stare dalla parte della coppia “normale” contro la volontà perversa e manipolatrice del mostro,
del nano malefico Peppino Profeta. Ma se guardiamo bene, vediamo forse come la
manipolazione regni anche nell’altra coppia grazie all’aggressività invasiva del personaggio
di Deborah (in tutte le relazioni umane c’è questo rischio, vuole dirci Garrone?). Allora non
potremmo pensare alla coppia eterosessuale come un principio normalizzante, che chiude gli
orizzonti nelle nebbie di Cremona – la città della ragazza - rispetto al principio trasgressivo,
aperto al mondo e all’ignoto del nano (il mare di Castelvolturno, il viaggio sognato a Cuba)?
Oppure potremmo chiederci: chi è il vero mostro? Non potrebbe essere il bel Valerio che usa
proprio la sua bellezza senza qualità dove e quando gli conviene? Queste domande che il
regista sottilmente ci pone forse nascondono la questione estetica più generale sul segreto
della bellezza e sulla sua nascosta mostruosità e dall’altra parte quella sul segreto della
bruttezza e sul suo fascino nascosto e misterioso. Insomma nel film, come nella tassidermia,
niente è come sembra, la realtà sembra avere sempre un doppio risvolto, un suo doppio
opposto, come opposti e doppi sono i personaggi.
Fino al finale: si tratta un lieto fine? A voi giudicare.
Serena Stefani
35 Un viaggio scolastico a Torino e in altri luoghi del Piemonte
Da domenica 10 aprile fino a venerdì 15 aprile un gruppo di 52 studenti d’italiano del CVO
Panta Rhei de Avondschool ed i loro insegnanti hanno visitato Torino e il Piemonte in
occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Siamo partiti domenica notte in pullman da Gentbrugge e siamo tornati nel pomeriggio di
venerdì.
È stato un viaggio di scoperta attraverso luoghi e persone del passato: il centro storico di
Torino, il prestigioso Barolo, la regione vinicola del Monferrato e
Asti, le terme di Acqui Terme, castelli e abbazie, le colline dove
ebbe luogo l'azione partigiana contro il fascismo.
Il primo giorno abbiamo viaggiato per quasi 18 ore con più soste per
mangiare e sgranchirsi le gambe.
La sera abbiamo cenato nell’albergo Belforte a Belforte Monferrato,
dove abbiamo anche trascorso la prima notte. Tutti eravamo stanchi
dal lungo viaggio in pullman. (Lieve Van Spaendonck – 2° anno Merelbeke) Lunedì 11 aprile dopo colazione, siamo ripartiti verso le 9:00, ora
italiana  dunque più tardi.
Foto Patrick Temmerman
Prima abbiamo fatto una passeggiata attraverso Ovada, con Philippe, una bravissima e
simpatica guida fiamminga; non dovevamo fare nemmeno uno sforzo per capire la
spiegazione in italiano: Philippe vive alternativamente
a Gent e in Piemonte, l’ho già incontrato a “Il Caffé”
ed è un uomo molto interessante.
Verso mezzogiorno abbiamo visitato il museo del
Cappello Borsalino ma eravamo delusi per non aver
potuto comprare un cappello ad Alessandria.
Dopo la visita, eravamo liberi di pranzare nella città.
Verso le 15.30 abbiamo preso l’autobus per visitare la
Casa vinicola Gancia (Canelli) e le sue cantine
(patrimonio Unesco). Abbiamo assaggiato delle
specialità culinarie locali: salumi, olive , ecc……
Poi siamo andati a vistare una vecchia città, Acqui
Terme, con la sua fonte d’acqua bollente chiamata
appunto “la Bollente”. Ma preferisco Ovada, più
autentica di Acqui Terme¸ che trovo troppo turistica
visto che è una stazione termale.
Foto Philippe Van Kerckvoorde
La sera abbiamo cenato a Bistagno nel ristorante “Del
Pallone”:
un
eccellente
esempio
culinario
dell’autentica cucina regionale. Buonissimo!
Poi siamo ritornati a dormire nell’albergo a Belforte.
(Chantal Uyttendaele – 2° anno Merelbeke)
36 Il giorno dopo, il martedì, proseguiamo per Torino. Abbiamo fatto una visita al Castello di
Racconigi e all’Abbazia di Staffarda, un monastero importante di architettura romanica in
Piemonte, situato ai piedi delle Alpi.
Il mercoledì, abbiamo fatto la prima esplorazione di Torino e abbiamo iniziato con una visita
al museo della Sindone. La guida parlava tranquillamente e in modo comprensibile, ma
l’argomento non mi interessava tanto. Più tardi abbiamo continuato la visita di Torino. Da via
Roma siamo andati in piazza Castello con il Palazzo Madama, il palazzo più bello della città.
È notevole la differenza tra la facciata barocca e le torri medievali sul retro.
Poi abbiamo visitato il Duomo,
dove la Sindone viene conservata
nella cappella della Santa Sindone.
Di là, siamo andati verso via Po, il
cuore della vita universitaria
cittadina. Così siamo arrivati al Po
e abbiamo bevuto qualcosa su una
terrazza in piazza Vittorio Veneto,
una piazza grandissima. Al ritorno
siamo passati davanti alla Mole
Antonelliana, il simbolo per
eccellenza della città.
Di pomeriggio abbiamo visitato il
nuovo Museo dell’Automobile:
molto interessante, un viaggio nel mondo dei motori che va da Leonardo da Vinci alla Ferrari.
Foto Philippe Van Kerckvoorde
La sera abbiamo cenato in un ristorante tipico, ho mangiato i migliori saltimbocca in assoluto!
A Torino è possibile mangiare molto bene a buon mercato! “Dio creò il cibo, il diavolo i
cuochi!”
(Willy Wauters – 2 ° anno Merelbeke)
L’ultimo giorno a Torino è stato fantastico! La visita alla mostra “Fare gli Italiani” nelle
Officine Grandi Riparazioni è stata un’esperienza formidabile.
Gli italiani hanno fatto un riassunto meraviglioso degli ultimi 150 anni di storia nazionale. La
presentazione con le immagini tridimensionali attira molto l’attenzione. Un vero spettacolo!
Soddisfatti, siamo ritornati con il nostro gruppo in centro per cercare qualcosa da mangiare.
Qualcuno ha scoperto il ristorante Mezzaluna, una trattoria con piatti tipici. Dobbiamo
sbrigarci perché dopo qualche minuto tutto l’autobus è già informato su questa scoperta!
Troviamo ancora una tavola in fondo per la nostra piccola compagnia. Ci godiamo
pienamente una degustazione speciale.
Ma non possiamo dimenticare di comprare regali per tutta la famiglia. Torino è anche
conosciuta per i bei negozi. Sotto i portici e nelle gallerie cerchiamo qualcosa da portare a
casa.
Una sciarpa, una bottiglia di Barolo o per gli uomini uno slip con un disegno provocante.
Ronny non può ritornare senza!
Infine dobbiamo lasciare Torino di malavoglia. L’autobus ci aspetta per riportarci a casa!
(Lut Leroy – 6° anno Zottegem)
37 Castello di Racconigi Il Lingotto -­‐ Torino foto Patrick Temmerman
38 Poesie e filastrocche inventate da Kris Goekint
Statistica
Per l’ennesima volta
La ricarica
sulla barra di stato del bianco
schermo si staglia
la progressione
provocantemente povera
del programma.
Numeri
scadenze
con la crescita della linea verde
pure cresce la speranza sulla
conclusione riuscita
del tardissimo rapporto.
Statistiek
De zoveelste herlading
Tergend traag tekent de statusbalk
Zijn povere progressie af onder het
Volledig weggeblankte scherm
Cijfers
Deadlines
Met de groei van de groene lijn
Stijgt de hoop op een succesvolle
Afronding van het veel te late rapport
Estate
Il sole brucia sulla città
La gente consuma i raggi
Come dei pannelli solari sui tetti
Come se la vita cominciasse in quell’ istante
Il risveglio della natura è affascinante
Il crescere dell’ortaggio
Le farfalle sui cespugli
Gli uccelli nel giardino
Ed io in una sdraio
Sperando che tutta la vita
Fosse così bella
Spero che con me per sempre stia.
Ogni volta che mi sveglio
Se ci fossi tu,
sarebbe meglio.
Non so che farei
Se stessi andando via,
Che fosse colpa tua o la mia.
Scivolerei da basso in giù.
Le mattine, non mi vorrei alzare
Le notte, lunghe passeggiate
Andrei a fare.
Avrei voglia di svanire
Ed in malinconia di colpo
Sparire.
Qualunque la ragione sia
Spero che con me per sempre stia.
Ogni volta che mi sveglio
Se ci fossi tu,
sarebbe meglio.
39 Il sole si sveglia giocosamente tra le persiane semiaperte
e ti attira fuori sul terrazzo.
Le rose sbocciano tentando vanamente di generare fiori più belli di te.
In giardino una farfalla amoreggia con il glicine.
Ti giri ed io mi sciolgo ai tuoi raggi.
Discrete le persiane si chiudono, obbedienti.
Nella penombra tu torni da me.
Una tavola
Poca luce
Tanto rumore
Risate eppure
Bestemmie.
Delle donne
intorno alla tavola,
un’ infinità di scatole
piene di perle .
Qualche esempio e
provare, provare, provare...
delle pinze e perle
di qua e di là
sopra e sotto la tavola.
Lentamente e sottilmente
la fine si avvicina.
Ecco!
Finalmente,
Tornano tutte fiere
Con un pezzo magnifico.
Ma che brave donne!
C’era un ragazzo di Loano
La sua amica visse lontano
Per vederla più spesso
una soluzione ha adesso
si è comprato un aeroplano
Ispirata dall’”Acca in fuga” di Gianni Rodari
C’era una piccola t
Sognò d’andarsene da qui
Ma non trovò la strada
Eppure dei cartelli indicatori
Ce n’erano tanti…
Finalmente rimase
Le avevano promesso una parte migliore
Nel pezzo di teatro
To be or noT To be
Ed era incantatissima
La nostra T
C’era una donna cipriota
Si era comprata una Toyota
Per causa del terremoto
Il suo garage è vuoto
40 C’era un tizio di Oostende
Tutto fasciato in bende
Un incidente ebbe avuto
Andar’in ospedale fu dovuto
Erano brutte faccende