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Creatività organizzativa e generazione
di conoscenza: il contributo della teoria
dei sistemi cognitivi *
SALVATORE VICARI** GABRIELE TROILO ***
Abstract
L’obiettivo del saggio è di analizzare le relazioni fra creatività e generazione di
conoscenza nell’impresa. Assumendo che l’impresa è un sistema cognitivo autopoietico, si
sostiene che le imprese, come tutti i sistemi cognitivi, sono creative in quanto atte a evolvere.
Poiché i sistemi cognitivi tendono all’omeostasi – cioè alla conferma dei loro schemi
cognitivi di successo – per essere creative e per generare conoscenza le imprese dovrebbero
gestire le perturbazioni, prodotte dall’ambiente o intenzionalmente da se stesse. Di
conseguenza, le conclusioni del saggio sono che la gestione della creatività e la generazione
di conoscenza si basano sulla generazione attiva di crisi e sullo sfruttamento delle crisi
all’interno dell’impresa.
Key words: creatività, conoscenza, sitemi cognitivi, crisi
The purpose of the essay is to analyze the relationships between creativity and knowledge
management in the firm. Assuming that a firm is an autopoietic cognitive system, it is
maintained that firms, like all social systems, are creative insofar as they are able to evolve.
Since cognitive systems tend towards homeostasis - that is to say, to confirm their successful
knowledge sets -, to be creative and to generate new knowledge firms should manage
perturbations, produced by the environment or self-generated. As a consequence, the essay’s
conclusion is that the management of creativity and knowledge generation is based on the
active generation of crises and the crises leverage within the firm.
Key words: creativity, knowledge, cognitiv systems, crisis
**
***
Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università “L. Bocconi” di Milano
e-mail: [email protected]
Professore a contratto di Economia e Gestione dell’Innovazione Aziendale – Università
“L. Bocconi” di Milano
e-mail: [email protected]
Il contributo è stato pubblicato nel numero 50, settembre-dicembre 1999, sul tema “Le
risorse nell’economia della conoscenza (parte prima)”.
sinergie n. 61-62/03
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CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
1. Introduzione
L’attenzione posta dagli studiosi al tema del knowledge management nelle
imprese è cresciuta considerevolmente negli ultimi anni. Sono state ampiamente
indagate le diverse modalità di generazione e di trasferimento della conoscenza tra
individui e tra organizzazioni (Nonaka, 1988, 1991; Badaracco, 1991; Vicari, 1991;
Kogut, Zander, 1992; Leonard-Barton, 1995; Nonaka, Takeuchi, 1995; von Krogh,
Roos, 1996; Sanchez, Heene, 1997; Davenport, Prusak, 1998), le condizioni
organizzative atte a stimolare l’apprendimento e l’accumulo di conoscenza (Argyris,
Schon, 1978; Duncan, Weiss, 1979; Shrivastava, 1983; Fiol, Lyles, 1985; Senge,
1990), i processi di codifica e di memorizzazione della conoscenza (Weick, 1979;
Hedberg, 1981; Sims, Gioia, 1986; Sackmann, 1991; Walsh, Ungson, 1991), il tutto
spesso da prospettive epistemologiche divergenti che hanno portato alla definizione
e all’utilizzo di costrutti e di categorie interpretative diversi (von Krogh, Roos,
1995, 1996).
Un tema scarsamente studiato, ma a nostro avviso ricco di potenzialità
euristiche, è quello delle relazioni tra creatività e generazione di conoscenza.
L’assenza di un filone di ricerca dedicato risulta essere una sorprendente mancanza
se si pensa, da un lato, alle evidenti connessioni dei due fenomeni, dall’altro, alle
simili critical issues che gli studiosi delle due tematiche si trovano a dover
fronteggiare. È infatti senso comune che la generazione di nuova conoscenza sia
innegabilmente un atto creativo: basti pensare alle grandi scoperte scientifiche,
dall’energia elettrica al motore a scoppio, dal transistor al microchip, perché risalti
immediatamente che nuovi sistemi di conoscenza sono stati generati grazie allo
sviluppo di nuove idee, frutto dell’impegno, dello studio, della sperimentazione di
singoli o di gruppi di individui o semplicemente del caso. Inoltre basti pensare al
tema delle relazioni fra la sfera dell’individuo e quella dell’organizzazione nello
sviluppo di capacità creative o di apprendimento, a quello delle barriere
psicologiche o sociali che limitano i due fenomeni, alla criticità e alla difficoltà della
progettazione dei sistemi di misurazione di entrambi, per sottolineare che le critical
issues che assorbono tanti sforzi di ricerca sono spesso coincidenti. La relazione fra
i due fenomeni è tanto più critica e interessante per un Paese quale l’Italia, a cui
sono sempre stati ascritti considerevoli talenti e capacità in termini di creatività,
mentre al contrario scarse sono state le attribuzioni in termini di generazione e
diffusione della conoscenza.
Prendendo spunto proprio dalla nostra realtà nazionale, e cercando di rispondere
al quesito del perché il nostro è un paese molto creativo, la tesi sostenuta nel paper
sarà che la creatività di un sistema è un fenomeno di livello logico diverso dalla
creatività delle sue componenti.
Per sostenere questa tesi verranno in primo luogo descritti gli assunti di partenza:
innanzitutto che i sistemi sociali sono sistemi cognitivi perché basano la propria
sopravvivenza sulla capacità di accumulare conoscenza; poi che i sistemi cognitivi
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sono sistemi creativi in quanto capaci di evolvere. In secondo luogo verranno
descritti i diversi livelli sistemici a cui può essere attribuita una capacità creativa e le
differenti modalità di generazione di tale capacità. Da ultimo verranno analizzate le
implicazioni manageriali della tesi da noi sostenuta, soprattutto in termini di
gestione della creatività e della generazione di conoscenza.
2. L’impresa come sistema cognitivo autopoietico
La prima assunzione adottata in questo lavoro è che l’impresa, al pari di tutti gli
altri sistemi sociali, sia un sistema cognitivo di tipo autopoietico.
Per quanto riguarda la prima parte dell’assunzione, è possibile far risalire l’idea
che l’impresa sia un sistema cognitivo ai primi contributi dell’economia
dell’informazione. A partire dal lavoro di Stiegler (1961: 213-225), il tema
dell’informazione è stato introdotto in campo economico ma nel contempo ha posto
le basi per un mito: quello dell’impresa che elabora informazioni. L’impresa è stata
vista come modalità alternativa ai singoli individui nel processare le informazioni.
Essa infatti è molto più efficace ed efficiente dei singoli nel trattare le informazioni
e nell’accumulare conoscenza (Arrow, 1984).
Si è pertanto assegnato un peso fondamentale ai processi decisionali degli
individui, pur negandone la razionalità assoluta (Simon, 1947; March, Simon,
1958). In seguito il concetto stesso di “razionalità” è stato messo in discussione, a
partire dagli studi sul funzionamento del cervello umano e in particolare sulla
specializzazione dell’emisfero destro e sinistro (Sperry, 1968: 723-733). Sulla scorta
di tali studi si è ipotizzato che il comportamento d’impresa non sia “razionale”, ma
guidato da aspetti emotivi ed intuitivi (Mintzberg, 1978: 49-58; Taggart, Robery,
1981: 187-19).
Ci si è poi concentrati su come i processi decisionali possano essere resi più
complessi dall’esistenza delle organizzazioni. Infatti in un sistema organizzato,
caratterizzato da sufficiente ambiguità, la decisione scaturisce casualmente da alcuni
membri dell’organizzazione in relazione alle occasioni ed alle modalità con cui i
problemi si presentano (Cohen, March, Olsen, 1972). A ciò si aggiunga che le
decisioni, nelle organizzazioni, scaturiscono da processi di interazione sociale tra gli
individui (Pettigrew, 1973; Pfeffer, Salancick, 1974). Quindi per comprendere le
modalità con cui le organizzazioni agiscono, è necessario riferirsi non solo ai modi
in cui i singoli individui prendono decisioni, ma soprattutto a come i sistemi sociali,
attraverso l’interazione tra le componenti, assumono decisioni e realizzano
comportamenti. Le imprese possono anche essere viste come sistemi cognitivi per il
tipo di cultura organizzativa che le caratterizza e che nasce dalla condivisione delle
norme tra i membri dell’organizzazione (Gioia, Sims, 1986).
Di recente l’attenzione degli studiosi si è spostata dal tema dell’informazione a
quello della conoscenza, sostenendo in modo esplicito l’importanza di quest’ultima
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CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
quale elemento fondamentale del funzionamento dell’impresa, e la sua generazione
quale processo attraverso cui l’impresa migliora la propria capacità competitiva
(Nonaka, 1988, 1991; Leonard-Barton, 1995; Nonaka, Takeuchi, 1995; Vicari,
1991). Due considerevoli filoni di ricerca si sono occupati della conoscenza come
elemento fondamentale per la sopravvivenza e il successo dell’impresa. Il primo è
quello della teoria evolutiva dell’impresa (Nelson, Winter, 1982). Tale teoria, che ha
origine nel riconoscimento dell’importanza del cambiamento in economia, parte
dall’approccio schumpeteriano dell’innovazione. Essa ipotizza una situazione
economica in cui le imprese efficienti tendono a estromettere quelle marginali, ma
non in una situazione di tendenziale equilibrio. L’impresa è, in questa visione, una
sorta di organismo biologico i cui geni sono costituiti da routine nelle quali è
accumulato il sapere necessario per operare. Le routine che riescono a prevalere
sono quelle che definiscono lo sviluppo dell’impresa, la quale è sostanzialmente
ancorata alla sua storia ed alla conoscenza che è in essa incorporata. Le routine in
questione diventano le competenze su cui l’impresa basa il proprio funzionamento e
con cui consegue i suoi risultati economici.
Il secondo filone di ricerca è costituito della resource-based view (Penrose,
1959; Rumelt, 1984; Wernerfelt, 1984; Dierrickx, Cool, 1989; Prahalad, Hamel,
1990; Grant, 1991). Si ipotizza che le risorse, poiché non riproducibili
semplicemente, sono fattori produttivi scarsi e, in quanto tali, determinano una sorta
di rendita ricardiana (Rumelt, 1987) o una quasi-rendita di replicazione
(Monteverde, Teece, 1982). Secondo tale visione, le differenze di rendita tra le
imprese non sono differenze di breve periodo, ma sono invece di lungo periodo, in
quanto le risorse non sono mobili e quindi lo squilibrio è destinato a perdurare nel
lungo termine (Barney, 1991). Sulla stessa lunghezza d’onda, si individuano nelle
capacità “distintive” (Learned et al., 1969), in seguito chiamate core competencies
(Prahalad, Hamel, 1990), quelle capacità aziendali in grado di consentire una
posizione di vantaggio competitivo solida.
In questo lavoro, coerentemente con i recenti sviluppi della letteratura, noi
sosteniamo che l’impresa è un sistema in grado di funzionare sulla base della sua
conoscenza e in grado di alimentare continuamente la conoscenza di cui è dotata.
Tuttavia con una precisazione importante: l’impresa, in quanto sistema cognitivo,
non è la somma delle conoscenze degli individui che la compongono, ma è qualche
cosa di più e di diverso (Duncan, Weiss, 1979; Fiol, Lyles, 1985; Walsh, Ungson,
1991; von Krogh, Roos, 1994). I comportamenti dell’impresa non sono infatti la
somma e neanche la media dei processi cognitivi individuali. Essa infatti è composta
di più “nodi di elaborazione”, composti dagli individui, dai gruppi, dagli organi,
dalle strutture, dalle procedure. La conoscenza dell’impresa non è tuttavia il frutto di
un processo collettivo di formazione delle scelte, ma è invece il risultato della
interazione continua, dello scambio di segnali, delle elaborazioni individuali, delle
aspettative dei singoli, delle norme condivise, delle procedure realizzate, dei
meccanismi organizzativi.
SALVATORE VICARI – GABRIELE TROILO
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La seconda assunzione adottata in questo lavoro è che l’impresa è un sistema
cognitivo di tipo particolare, in quanto in grado di auto-produrre il proprio
funzionamento. L’impresa è cioè un sistema cognitivo di tipo autopoietico (Vicari,
1991; von Krogh,Vicari, 1993; von Krogh, Roos, 1995).
La nozione di sistema autopoietico è nata per dare una risposta all’interrogativo:
quali caratteristiche devono possedere gli organismi viventi? Una prima indicazione
fu avanzata da un neurobiologo cileno, Maturana1, il quale capì che la risposta
andava cercata nel concetto di autonomia. Un sistema vivente è infatti in qualche
modo “un sistema autonomo”, cioè un sistema autoreferente, intendendo che ciò che
qualifica il vivente è la peculiarità di poter essere caratterizzato solo con riferimento
a sé stesso: tutti gli altri sistemi possono invece essere caratterizzati in riferimento
ad un contesto esterno.
Fu tuttavia con lo studio dei processi cognitivi come processi biologici che si
compì il fondamentale passo successivo: a partire dalla questione del come, nel
sistema nervoso, sia del tutto indistinguibile il fenomeno della percezione rispetto a
quello dell’allucinazione, si arrivò a comprendere che la soluzione poteva essere
trovata solo se si riconosceva che l’attività del sistema nervoso è determinata non
dal mondo esterno, ma da processi interni al cervello stesso; l’ambiente è solo un
“detonatore” per l’inizio dell’attività, ma quest’ultima è determinata solo da
processi interni: il processo cognitivo deve avere un’organizzazione di tipo chiuso e
circolare. E questo aspetto è tipico di tutti gli organismi viventi e di tutti i sistemi
cognitivi. Lo scambio di idee tra Maturana e un altro neurofisiologo cileno, Varela,
portò alla formulazione del concetto di autopoiesi: se l’organizzazione del sistema
cognitivo è caratterizzata da autonomia e da chiusura di tipo circolare, ciò significa
che la dinamica dei processi cognitivi è spiegabile solo in termini di continua
autocreazione, appunto ciò che è stata chiamata autopoiesi.
I sistemi autopoietici sono organizzazioni in grado di mantenere la propria unità
producendo continuamente le relazioni che costituiscono la loro stessa
organizzazione (Maturana, Varela, 1987). I sistemi autopoietici sono dunque sistemi
di tipo circolare, nel senso che le componenti del sistema producono le componenti
stesse, in un processo di continua produzione e ri-produzione. Essi sono in grado di
generare continuamente la propria organizzazione anche in condizioni di continue
perturbazioni provenienti dall’ambiente (Maturana, Varela, 1980).
I sistemi cognitivi sono sistemi autopoietici e, nella teoria proposta dal sociologo
Luhmann (1990), anche i sistemi sociali sono caratterizzati dal processo
autopoietico. Essi, infatti, costruiscono la propria realtà attraverso la capacità di
1
Il quale ha poi portato a compimento il suo lavoro insieme ad altri studiosi, in particolare
Varela (Varela, Maturana, Uribe, 1974; Maturana, Varela, 1980; Maturana, Varela,
1987).
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effettuare distinzioni nel processo di osservazione, quali efficace-non efficace,
efficiente-inefficiente, produttivo-improduttivo, distinzioni che dipendono dai
processi interni ai sistemi stessi. Essi sono dunque capaci di strutturare la propria
realtà applicando le distinzioni di cui sono capaci.
3. La creatività
Per un sistema cognitivo autopoietico - ovvero, quindi, per un sistema che basa
la sua esistenza sulla capacità di autocreare i propri nodi di conoscenza e le relazioni
fra questi - un ruolo fondamentale è giocato dalla creatività.
La creatività è stata studiata sotto vari aspetti, soprattutto a livello dell’individuo.
Essa viene tuttora analizzata, misurata, discussa, persino insegnata, ma poche teorie
ne danno una spiegazione convincente. Si tratta infatti di uno dei processi mentali
più difficili da comprendere e da spiegare in modo completo. Di solito della
creatività si spiegano i meccanismi superficiali, come ad esempio le associazioni di
idee o l’uso di metafore. La creatività implica molto di più, e i processi in gioco non
sono certamente semplici.
Della creatività esistono molte spiegazioni. Tra queste vale a pena di ricordare
quelle che cercano di descriverla sulla base della situazione e delle caratteristiche
degli individui che sembrano possedere questa dote: ad esempio i caratteri di
energia, autonomia, intuito, ampiezza di interessi, curiosità, sono tipici delle persone
creative (Barron, Harrington, 1981; Amabile, 1988; Gardner, 1993;
Csikszentmihalyi, 1996). Un’altra spiegazione riguarda altri tipi di abilità di tipo più
cognitivo (Getzels, 1975; Finke, Ward, Smith, 1992; Weisberg, 1993; Runco, 1994)
quali la capacità di individuare problemi (problem finding), di generare soluzioni
(solution generation and problem solving) e di realizzarle (solution
implementation), attraverso il metodo prima del pensiero divergente (nelle fasi della
generazione creativa di problemi e soluzioni) e poi del pensiero convergente (nella
fase di soluzione e realizzazione) (Basadur, Graen, Green, 1982; Runco, 1991; Baer,
1993).
Un altro modo di spiegare la creatività dei singoli è quello di riferirsi al legame
che esiste tra conoscenza e creatività, secondo cui la conoscenza tecnica,
manageriale, di mercato insieme alle abilità connesse alla personalità, gioca un ruolo
importante nei processi creativi (Amabile, 1988).
Le spiegazioni più approfondite (ma anche meno dimostrabili) sono quelle di
tipo psicoanalitico. Secondo la Object Relations Theory, il comportamento creativo
è in relazione con la psiche umana (Klein, 1975). Essa nasce dalla mappa mentale
della realtà che il bambino costruisce nei primi anni, e che è composta da oggetti
buoni e oggetti cattivi, che tuttavia sono riferiti alla stessa realtà, cioè alla mamma.
Questa contraddizione è alla base dell’attività creativa, che è originata dal bisogno
di porre rimedio alla situazione di conflitto originata dal paradosso di una realtà
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buona ed una cattiva coesistenti nella stessa situazione. La nostra definizione di
creatività non riguarda la sfera psichica o psicologica, ma è riferibile ai sistemi di
qualunque natura, e specialmente ai sistemi cognitivi di tipo sociale. La nostra
definizione coincide con quella data da Binnig (1991: 22): l’attitudine di un sistema
all’evoluzione.
Vi è intanto il concetto di attitudine, cioè di capacità, vale a dire di qualche cosa
che produce, e non di semplice stato. La creatività non è dunque una banale
condizione di qualcuno, è invece un’attitudine positiva, orientata alla modifica, al
cambiamento, all’innovazione. Qualunque sistema è dotato in misura maggiore o
minore di questa capacità di cambiamento.
Il secondo elemento della definizione riguarda il soggetto della creatività: un
sistema. Oggetto di creatività dunque non è solo l’individuo, non solo l’essere
umano, ma soggetto di creatività è qualunque sistema, il quale sia provvisto di
capacità di cambiamento. In particolare tutti i sistemi sociali, tutte le organizzazioni,
tutte le imprese presuppongono questa capacità, quindi sono capaci di creatività. È
evidente che in questa accezione la creatività non è soltanto una capacità di tipo
cognitivo, ma è un’attitudine al cambiamento da parte del sistema stesso.
Un terzo elemento della definizione riguarda il concetto di evoluzione.
Dicevamo che è dotato di creatività qualunque sistema che disponga della capacità
di cambiare; il cambiamento tuttavia è necessario ma non sufficiente per definire la
creatività. Bisogna che il sistema sia capace di evoluzione: un sistema meccanico
può anche essere dotato della capacità di cambiare, ma questo cambiamento è
contenuto nel “programma” inserito dal costruttore. Le modalità del cambiamento
sono state determinate da qualcuno esterno. Un sistema è creativo invece quando è
capace di cambiare seguendo una linea non definita a priori, non conosciuta in
precedenza, non determinabile ex ante. Un sistema è cioè creativo quando possiede
la capacità di evolvere, in modo non predeterminato, non conosciuto, non
quantificabile, non definibile a priori.
Detto in altri termini, un sistema è creativo quando non si comporta in modo
“banale”, quando non è cioè possibile determinarne il comportamento sulla base
dell’input che viene fornito2.
2
In questo senso, la nostra posizione condivide, con quella sostenuta da Stacey (1996), sia
il punto di partenza - la scienza della complessità - sia la prospettiva adottata - quella dei
sistemi complessi. Come si vedrà nel prossimo paragrafo, però, la nostra posizione si
differenzia da quella di Stacey per l’enfasi posta sul ruolo del sistema in sè più che su
quello delle sue componenti.
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CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
4. I livelli di creatività
Ogni sistema sociale può essere descritto come insieme di sub-sistemi e come
componente, a sua volta, di sistemi di ordine superiore. Così una città è composta da
un insieme di individui che vivono nello stesso territorio; essa poi fa parte, insieme
ad altre città di una regione, che compone, con altre regioni una nazione, che con
altre nazioni può costituire un organismo sovra-nazionale. Un gruppo
interfunzionale in un’impresa è composto di individui provenienti dalle varie
funzioni e, insieme ad altri gruppi è una componente dell’impresa, la quale può far
parte di un gruppo nazionale, che può essere controllato da una holding sovranazionale.
Quando si parla di creatività di un sistema sociale si tende a definire tale capacità
tramite la creatività delle sue componenti. È abbastanza diffusa l’idea che l’Italia sia
un paese creativo. La giustificazione è che essa ha dato i natali ad artisti quali
Michelangelo e Leonardo, scienziati quali Fermi e Marconi, registi quali Fellini e
Strehler, attori quali Mastroianni e Troisi, e così via in vari campi dell’espressione
creativa dell’umanità. Oppure è altrettanto solito ricondurre tale creatività alla
capacità degli Italiani di barcamenarsi in situazioni difficili, alla flessibilità
nell’adattarsi in condizioni di ambiguità, alla capacità di trovare soluzioni fantasiose
a problemi di incerta definizione. Solitamente quindi la creatività del sistema sociale
“Italia” è definita sulla base della capacità creative delle sue sub-componenti,
ovvero a quella dei cittadini italiani.
In campo economico viene fornita solitamente un’interpretazione simile. La
creatività del sistema-paese “Italia” viene ricondotta alla presenza di un sistema di
piccole e medie imprese strutturate spesso in distretti industriali (Piore, Sabel, 1984;
Porter, 1990) quali il distretto del tessile di Prato, delle piastrelle di Sassuolo, degli
occhiali del Cadore, dell’abbigliamento sportivo in provincia di Treviso, della
meccanica in alcune province della Lombardia e dell’Emilia-Romagna,
dell’ortofrutta in alcune zone della Campania, della Calabria e della Sicilia e così
via. Ma a sua volta la creatività dei distretti industriali viene ricondotta a quella delle
specifiche imprese che vi operano, che, di seguito, dipende da quella degli
imprenditori che le gestiscono spesso come estensione della propria realtà familiare.
Ancora una volta la creatività del sistema economico superiore viene fatta dipendere
- e viene quindi interpretata - come creatività delle componenti di ordine inferiore.
La motivazione principale di questa visione individualistica della creatività è che
tradizionalmente si è proceduto in modo analogico rispetto agli studi sulle capacità
creative di matrice psicologica, che considerano queste ultime come capacità dei
singoli individui. Da questo punto di vista sono state analizzate le determinanti della
creatività individuale, le barriere al suo manifestarsi, le condizioni ambientali che la
favoriscono o la deprimono (e.g. Boden, 1994). Solo negli anni più recenti la
tradizione di studi psicologici si è arricchita di una visione maggiormente sistemica
nel senso che la creatività individuale viene interpretata sulla base delle
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caratteristiche del sistema sociale in cui l’individuo vive e opera (Csikszentmihalyi,
1988; 1990; 1996). Comunque la prospettiva rimane fortemente individualistica.
In campo manageriale, negli ultimi anni si è assistito a un fiorire di studi sulla
creatività (e.g. Woodman, Sawyer, Griffin, 1993; Ford, Gioia, 1995). Poichè
l’innovazione viene considerata una delle strategie più efficaci per avere successo in
un ambiente ipercompetitivo (D’Aveni, 1994; Hamel, Prahalad, 1994), una notevole
attenzione è stata rivolta alla creatività quale punto di partenza di ogni fenomeno
innovativo.
In verità anche in campo manageriale l’approccio maggiormente utilizzato è
quello “de-composizionista”. Tutti gli studi descrittivi sulla creatività organizzativa
sembrano rispondere al quesito: quali condizioni organizzative devono esistere
affinché gli individui in un’impresa riescano a sprigionare il loro potenziale creativo
e, in termini più normativi, quali leve organizzative, quali managerial systems le
imprese devono adottare per poter stimolare i propri dipendenti a pensare in modo
“laterale”, a superare gli schemi cognitivi del passato, a interiorizzare nuovi punti di
vista (Woodman, Sawyer, Griffin, 1993; Ford, Gioia, 1995; Amabile, 1997;
Cummings, Oldham, 1997; Robinson, Stern, 1997)?3 oppure, ancora, quali tecniche
gli individui devono implementare per riuscire a svincolarsi dai modi tradizionali di
pensare e di interpretare la realtà (De Bono, 1967; Cocco, 1983; Kao, 1996;
Fletcher, Olwyler, 1997)?
Il limite dell’approccio de-composizionista, a nostro modo di vedere le cose, è di
avere una visione “aggregazionista” di un fenomeno tipicamente sistemico. Avendo
ipotizzato che un sistema sociale è un sistema cognitivo di tipo autopoietico, noi
sosteniamo che una caratteristica di un sistema non può essere ricondotta alla
sommatoria delle caratteristiche individuali delle componenti del sistema (Rullani,
Vicari, 1999).
In questo senso, quindi, la creatività di un sistema sociale è un fenomeno di tipo
logico diverso dalla creatività degli individui che lo costituiscono, e va analizzato e
gestito in modo differente4.
Considerando i tipici livelli sistemici rilevanti in termini economici, noi
sosteniamo che la creatività di ogni livello sistemico di ordine superiore, ad esempio
di un sistema-paese, è qualcosa di più della composizione della creatività dei sistemi
di ordine inferiore, quindi dei sistemi di imprese che vi operano, degli imprenditori
3
4
A questo proposito non ci pare differenziale - se non nella prospettiva della complessità
adottata - la proposta di Stacey (1996) che sostiene, in modo analogico con il livello
individuale, che la creatività organizzativa si ha quando all’interno dell’organizzazione
viene favorita la creatività dei sub-sistemi di livello inferiore (individui e gruppi),
portando l’organizzazione sulle soglie del caos.
In questo senso ci pare evidente l’analogia con il concetto di conoscenza organizzativa,
definita dagli studiosi che hanno analizzato il fenomeno, come qualcosa in più della
semplice sommatoria della conoscenza degli individui che operano nell’organizzazione.
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CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
che le gestiscono e così via, anche se, ovviamente, può sfruttarne le potenzialità, ad
esempio utilizzando la creatività delle imprese che operano sul suo territorio.
5. La creatività organizzativa
Nella nostra visione, quindi, la creatività non è avere idee originali, come alcuni
“guru” della creatività predicano (De Bono, 1996): essa è un’attitudine
dell’organizzazione che si manifesta concretamente nella modifica della realtà,
dell’ambiente in cui essa opera. E questo è un po’ di più che avere idee: il problema
della creatività va ben al di là del mondo del pensiero.
Se ci riferiamo alla creatività di un individuo, quando definiamo un singolo
come creativo, ci aspettiamo che egli abbia non solo idee originali, ma che sappia
tradurre queste idee in un comportamento, in un’azione capace di generare il nuovo.
Quindi ci riferiamo ad una modifica di schemi cognitivi capaci di generare
comportamenti innovativi.
Quindi la creatività richiede un processo del tipo:
modifica di schemi
cognitivi esistenti
comportamento
innovativo
Tuttavia il comportamento di un individuo ha necessariamente degli effetti, che,
a loro volta generano una modifica degli schemi cognitivi dell’individuo. Quindi, in
realtà, la creatività è descrivibile attraverso un processo circolare:
modifica di schemi
cognitivi esistenti
comportamento
innovativo
Tuttavia la creatività che è rilevante per gli individui non è quella relativa al
cambiamento degli schemi cognitivi, se questo non si traduce in comportamento.
Dunque ciò che è significativo ai fini della creatività è la modifica del
comportamento, non degli schemi cognitivi che ad esso presiedono.
Questa osservazione è ancora più vera per i sistemi sociali, in cui ciò che è
rilevante è la modifica dei comportamenti delle organizzazioni, non soltanto delle
idee che in esse circolano. La sola modifica di schemi cognitivi che non si traduca in
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comportamento è una modifica non creativa, è un pensiero originale che non
produce nulla di significativo, almeno dal punto di vista economico: è, in sostanza,
una modifica banale. Diventa a questo punto necessario approfondire il tema della
modifica degli schemi cognitivi delle organizzazioni.
Nel processo evolutivo, l’impresa deve avere la capacità di evolvere, di
modificare se stessa, il proprio comportamento, la propria linea di azione. E questa
capacità deve essere collegata ad un’altra, che è quella di costruzione di un nuovo
contesto, di un nuovo ambiente, di una nuova situazione diversa da quelle
precedenti. Qualunque sistema creativo è in grado di modificare la realtà, di lasciare
il segno nell’ambiente che lo circonda, di modificare le relazioni con il contesto, di
cambiare gli altri soggetti.
È creativa l’impresa capace di dotarsi di nuove strutture, che sa dare vita a un
nuovo mercato, che lancia nuovi prodotti, che è in grado di modificare i propri
processi, che è capace di generare nuovo consenso intorno alla propria attività tra i
clienti, tra i fornitori, tra gli azionisti, tra i finanziatori.
L’impresa creativa è in grado di costruire attivamente la realtà in cui opera
(Weick, 1979; Daft, Weick, 1984; Smirchich, Stubbart, 1985; Vicari, Troilo, 1998),
non si adatta alla situazione, non subisce passivamente l’ambiente, il mercato, i
fornitori, le banche, la pubblica amministrazione, i clienti. Il sintomo della creatività
dell’impresa non è dato dalla modifica delle idee, e neanche dalla modifica del
comportamento, ma è dato dal cambiamento dell’ambiente di cui l’impresa è capace.
Nella tradizionale letteratura di Strategic Management l’ambiente è definito
oggettivamente da alcune caratteristiche: ad esempio, i bisogni dei clienti, i
comportamenti delle imprese concorrenti, le aspettative degli stakeholders e così
via. In questo schema la singola impresa, per operare con successo, deve riuscire a
individuare le caratteristiche distintive dell’ambiente, pianificare un insieme di
azioni da realizzare, e implementare adeguatamente le proprie strategie pianificate.
L’impresa creativa non si adatta al contesto in cui opera, ma invece genera un
contesto differente dalle altre in relazione ai propri schemi cognitivi, attiva il
proprio specifico ambiente. L’impresa, attraverso l’azione, produce dati grezzi che
sono monitorati e quindi interpretati. L’interpretazione consiste nella trasformazione
di dati in informazioni, nell’attribuzione a questi di senso. In base all’interpretazione
l’impresa costruisce una mappa che la guida nelle nuove, future azioni. La mappa,
lo schema cognitivo, può essere rappresentato da un “reticolo di sequenze causali”,
per cui assume le vesti di una mappa causale (Weick, 1979). Così l’impresa
interpreta la realtà come una sequenza di cause-effetti e, in base a questa sequenza,
agisce.
L’ambiente attivato è dunque quella porzione di ambiente cui l’impresa
attribuisce un senso, quella porzione di ambiente in cui essa è immersa e che
individua come prossimo alla propria azione e alle proprie necessità (Vicari, Troilo
1998).
L’ambiente non fornisce pertanto alcun input “oggettivo” all’impresa. Attivando
200
CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
un ambiente e costruendo uno schema cognitivo di rappresentazione dell’ambiente,
l’impresa ha posizionato se stessa nell’ambiente. Detto in altri termini, ha generato
l’ambiente ponendosi in relazione con esso. Se le relazioni di cui la mappa consiste
sono rafforzate nel tempo (attraverso la continua conferma che proviene dal
“corretto” funzionamento dello schema stesso) e se sono condivise all’interno
dell’impresa, le conoscenze dell’impresa si stabilizzano: se il sistema di aspettative
sul verificarsi dei fenomeni è confermato, esso diventa stabilmente l’ambiente di
riferimento dell’impresa.
6. Le modalità di attivazione della creatività organizzativa
A questo punto è arrivato il momento di rispondere al quesito sul come un
sistema sociale - e in particolare di un’impresa - può essere creativo e, quindi,
sviluppare un’attitudine a evolvere. Come anticipato nel precedente paragrafo, a
questo fine è centrale il concetto di schema cognitivo.
Se definiamo lo schema cognitivo di un’organizzazione come lo schema delle
relazioni fra i sistemi cognitivi individuali delle sue componenti, è possibile
ricondurre la variazione della capacità creativa di un sistema al cambiamento dei
suoi schemi cognitivi5, in particolare ai seguenti:
-
-
-
5
variazioni della tipologia delle componenti: l’inserimento (o l’uscita) di una
componente dall’organizzazione comporta l’inserimento negli (o la sottrazione
dagli) schemi cognitivi del sistema di un patrimonio cognitivo differente; ciò
costringe lo schema delle relazioni ad adeguarsi trovando un punto di equilibrio
differente da quello precedente; ad esempio, l’inserimento di nuovo management
nelle strutture dell’impresa apporta nuovi modi di vedere la realtà, di interpretare
i segnali ambientali, e, quindi, di agire nel contesto di operatività dell’impresa;
variazioni dell’architettura delle relazioni: in questo modo viene modificata la
tipologia delle relazioni, cambiando le modalità tramite cui le componenti si
interfacciano, le aspettative che ognuna ha reciprocamente verso le altre, le
responsabilità di ognuna verso le altre; basti pensare agli interventi di
restructuring e di process reengineering che, modificando i flussi informativi,
decisionali e di attività dell’impresa, danno vita a nuove modalità di relazione
con l’ambiente;
variazioni del peso delle relazioni: in questo caso, più che modificare la
tipologia delle relazioni, si rafforzano o si indeboliscono i legami tra alcune (o
tutte le) componenti; di nuovo le aspettative che ogni componente ha verso
Ovvero, come descritto nel paragrafo precedente, della mappa cognitiva dell’ambiente
attivato dall’impresa.
SALVATORE VICARI – GABRIELE TROILO
-
-
201
alcune delle altre si modifica e quindi cambieranno anche le modalità di
organizzazione delle relazioni; un buon esempio di questa modalità è costituito
dalla creazione di servizi di customer service o di call centre che portano
direttamente all’interno dell’impresa la voce del cliente, evitando il filtro delle
ricerche di marketing o quello esclusivo del marketing department;
variazioni della qualità delle relazioni: con questa variazione si intende il
cambiamento degli aspetti più soft delle relazioni, quelli che hanno a che fare
con il clima presente nell’organizzazione, con la presenza di fiducia reciproca,
con la presenza di una motivazione alla collaborazione e così via; ad esempio, la
condivisione delle informazioni nell’organizzazione, l’utilizzo di leve di internal
marketing, aumenta generalmente il livello di commitment del personale
dell’impresa verso gli obiettivi della stessa, stimolando anche la responsabilità
verso il cambiamento dei modi consolidati di interpretare la realtà;
variazioni dei comportamenti individuali: è evidente che lo schema delle
relazioni tra le componenti di un sistema sociale si modifica anche in seguito al
cambiamento autonomo dei comportamenti delle singole componenti che,
ovviamente, possono sia contribuire al raggiungimento degli obiettivi del
sistema sia ostacolarli; in questo senso può essere ripreso il tema della creatività
individuale all’interno dell’organizzazione che può determinare, se ha i necessari
caratteri di accettabilità e visibilità interna, una modifica degli schemi cognitivi
della stessa.
Per chiarire meglio la tassonomia delle variazioni degli schemi cognitivi di
un’impresa che contribuiscono al cambiamento delle sue attitudini a evolvere e,
quindi, della sua creatività, è utile portare l’esempio di un’impresa italiana che, nel
giro di un paio di anni, è passata da una situazione di difficoltà a una di grande
successo, proprio attraverso una grande enfasi sulla creatività.
L’impresa è Superga, e rappresenta uno dei marchi storici del settore della
calzatura sportiva in Italia. Superga è sicuramente uno dei marchi più noti tra i
consumatori italiani, non solo all’interno dei confini del settore, bensì in quello più
ampio dei beni di consumo in generale. Agli inizi degli anni ’90 l’azienda si trova in
grandi difficoltà dopo decenni di successi, poiché, sostanzialmente, il suo prodotto
storico - che rappresenta il 75% del fatturato complessivo dell’impresa ed ha una
diffusione amplissima nel mercato, tagliando trasversalmente i vari segmenti di età ha un gran numero di imitatori, a causa della tecnologia di produzione non molto
sofisticata, ed è fuori mercato in termini di prezzo, costando più del doppio del suo
più diretto concorrente. I primi anni del decennio si chiudono con bilanci sempre
peggiori, fino ad arrivare a perdite pesanti. A questo punto l’impresa, appartenente
al gruppo Pirelli, viene ceduta a una società di venture capital che nomina quale
nuovo CEO il precedente CEO di Swatch Italia, che ha alle spalle i clamorosi
successi di quest’impresa in Italia. Viene ridefinito il piano strategico e, nel giro di
qualche mese, 9 executives degli 11 che componevano il top management,
202
CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
abbandonano l’azienda. Il nuovo CEO chiama in azienda molti dei suoi
collaboratori in Swatch, ridefinendo la compagine manageriale (variazione della
tipologia delle componenti). Tra le prime iniziative del nuovo management ci sono:
la modifica delle procedure di design management, con l’intervento diretto del CEO
nelle fasi di design del prodotto (variazione dei comportamenti individuali), la
creazione di una corposa struttura di communication management, che si occupa di
integrare la comunicazione di prodotto, quella istituzionale e quelle interna, e di
omogeneizzarla rispetto all’immagine che si vuole offrire al mercato, l’estensione
nel settore dell’abbigliamento e la creazione dei primi negozi in franchising a
marchio Superga (variazioni dell’architettura delle relazioni). Tutto ciò determina un
notevole incremento dei flussi informativi sia all’interno dell’organizzazione sia con
l’esterno. Soprattutto i negozi in franchising permettono all’impresa di avere
informazioni dirette dal mercato, evitando il filtro dei distributori indipendenti
(variazione del peso delle relazioni). Il nuovo gruppo dirigente investe notevolmente
nel miglioramento del morale dei dipendenti (variazione della qualità delle
relazioni) che, pur estremamente legati all’impresa e al suo storico marchio, negli
ultimi anni hanno perso molto del loro entusiasmo a causa e dei risultati negativi e
dalla politica conservatrice del vecchio management. La nuova strategia di
comunicazione sul marchio, oltre ad avere grande successo nel mercato, produce
effetti anche all’interno dell’organizzazione, dimostrando una volontà di
rinnovamento, e quindi stimolando nuovamente l’entusiasmo della struttura. Dopo
tre anni di presenza del nuovo management, il fatturato dell’impresa è cresciuto del
100%, i risultati economici sono tornati ad essere positivi, la gamma di prodotti è
aumentata enormemente, e il peso del prodotto storico è diminuito fino ad arrivare a
circa il 30% del fatturato. L’impresa, quindi, modificando lo schema delle
componenti e delle relazioni fra queste, ha attivato un ambiente favorevole, ha
gestito il suo grado di compatibilità migliorando la sua attitudine a co-evolvere con
tale ambiente, e ha innescato nuovamente un percorso di successo6.
6
Un ulteriore esempio di creatività di un sistema sociale (inteso ad un livello più allargato)
è rappresentato del recente successo dell’Italia in campo economico - che ha creato
grande dibattito a livello sia europeo che extraeuropeo - che le ha permesso di entrare a
far parte del gruppo iniziale di paesi che ha partecipato al sistema dell’Euro. Nel giro di
due anni l’Italia ha operato un risanamento della propria economia con risultati che hanno
sorpreso in molti e che denotano una grande capacità creativa. Adottando la tassonomia
proposta è possibile ricondurre tali risultati, a titolo esemplificativo, ad alcune variazioni:
- variazioni della tipologia delle componenti: da alcuni anni a questa parte l’Italia ha
un governo composto per la prima volta dal dopoguerra da una coalizione nuova, che
condivide un modo di vedere la realtà economica diverso dai precedenti, con nuovi
ministri che gestiscono l’economia;
- variazione dell’architettura delle relazioni: il governo ha cambiato il modo di
partecipare alla gestione dell’economia pubblica; l’Italia, da Paese con un
SALVATORE VICARI – GABRIELE TROILO
203
7. Le perturbazioni come motore della creatività
Un’organizzazione crea continuamente il nuovo distruggendo innanzitutto
l’esistente. L’esistente, infatti, quale insieme di schemi cognitivi, di routine, di
strategie che si sono dimostrati di successo, è un potente inibitore del cambiamento.
Nessuno pensa di cambiare una strategia che funziona o di modificare un assetto
organizzativo che si dimostra efficace: un buon funzionamento limita, quindi, le
possibilità di cambiamento.
L’impresa, come ogni altro sistema sociale - e quindi di tipo cognitivo
autopoietico - funziona sulla base del principio di “informazione attraverso il
rumore”, secondo cui si può giungere ad un incremento di informazione a partire dal
rumore (Atlan, 1986: 102-105; Stacey, 1996: chapter 2). L’impresa ha bisogno di
rumore, se vuole generare creativamente nuove possibilità di sviluppo.
Le imprese creative sono dunque particolarmente capaci di sviluppare la propria
attitudine all’evoluzione a partire dal rumore che in esse viene prodotto, cioè a
partire dalle perturbazioni dell’ambiente. Le perturbazioni, cui l’impresa è
continuamente soggetta durante la propria vita, sono le condizioni che consentono
alle imprese di ampliare le proprie capacità creative. L’impresa creativa reagisce alle
pesantissimo intervento pubblico in economia, è diventato il Paese con il più grande
numero di privatizzazioni al mondo, avendo lo stato ceduto ai privati gran parte della
propria presenza in importanti settori quali quello della telefonia mobile e fissa, del
petrolio, dell’elettricità e in quello bancario;
- variazione del peso delle relazioni: sono cambiate radicalmente le modalità di
intervento nell’economia, passando dal controllo diretto delle attività alla
regolamentazione delle stesse; ciò è avvenuto tramite la creazione di una serie di
authorities (delle telecomunicazioni, dell’elettricità e del gas, dell’editoria, della
concorrenza, della privacy dei cittadini ecc.) che hanno il compito di controllare e
garantire il rispetto dei diritti dei soggetti coinvolti nelle aree di loro competenza;
- variazione della qualità delle relazioni: il raggiungimento di alcuni risultati
importanti in campo economico ha incrementato per alcuni versi il clima di fiducia
generale verso l’economia del paese sia da parte di interlocutori nazionali che
internazionali, incrementando la volontà cooperativa e rafforzando l’idea di poter
raggiungere ulteriori risultati importanti;
- variazione dei comportamenti individuali: negli ultimi anni molte imprese italiane
hanno compiuto scelte che si sono dimostrate vincenti in vari settori (quali il tessileabbigliamento, il mobile, il calzaturiero, il meccanico, le telecomunicazioni ecc.), con
evidenti effetti sia in termini di introiti per lo stato, tramite il pagamento delle tasse,
sia in termini di immagine internazionale dell’intera nazione.
Le precedenti variazioni hanno quindi modificato lo schema cognitivo del sistema sociale
“Italia” (da un punto di vista economico), essendo cambiato lo schema delle relazioni fra
gli schemi cognitivi individuali delle sue componenti. In questo modo la capacità creativa
del sistema ne ha sicuramente beneficiato in termini di capacità di evoluzione.
204
CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
perturbazioni organizzandosi, trovando nuove idee, nuove soluzioni, nuovi prodotti,
nuovi approcci al mercato, invece di esserne distrutta. Esiste un disordine creatore,
che produce ordine, in quanto ordine e disordine sono indissolubilmente congiunti
(Morin, 1983: 56; Stacey, 1996: 61-69).
Tutti noi desideriamo nella nostra vita quotidiana, e nella vita delle
organizzazioni in cui operiamo, tranquillità, riparo dalle crisi. Tuttavia, le crisi fanno
parte dell’esistenza e non sono evitabili per sempre: prima o poi esse irrompono
nella vita degli individui e delle imprese. Il caso consuma sempre l’ordine, il caso
porta sempre in sé la distruzione dell’ordine. Per la creazione di qualche cosa di
veramente nuovo, è necessario il caso, il disordine, l’insieme di alternative casuali
da cui emerge il nuovo, la mutazione, l’apprendimento (Bateson, 1984: 71). Se
l’impresa riesce, in presenza di rumore, di perturbazioni, a fare fronte alle crisi, il
risultato è un cambiamento capace di produrre il nuovo: ciò conduce ad un nuovo
ordine, che consente all’impresa di essere in posizione migliore per fare fronte in
futuro ai successivi eventi. L’impresa produce di continuo il nuovo a partire dal caos
(Atlan, 1986: 179), dalla contraddizione, dalla crisi. Anzi, senza un numero
sufficiente di crisi, il sistema non potrebbe evolvere. Le crisi sono dunque un
elemento negativo, ma che contengono in sé molto di positivo. È naturalmente
necessario innanzitutto comprendere il perché di tale positività e in seguito capire
come è possibile utilizzarla per nuovi momenti di crescita.
Quando si affronta una grande difficoltà, una situazione fortemente imprevista,
una sfida senza precedenti, un pericolo drammatico, spesso si sprigionano energie
che non solo consentono di fronteggiare la sfida, ma che generano anche una forza
in grado di cominciare un processo che porta a risultati di grande rilievo. Le crisi, le
grandi difficoltà, le sfide drammatiche, possono dunque rappresentare grandi
opportunità di crescita, se sono in grado di liberare le energie che esistono in tutti gli
individui e in tutte le organizzazioni: queste energie non vengono mai utilizzate
appieno, dovendo costituire una riserva per i momenti difficili. Quando questi
momenti giungono, se l’organizzazione è in grado di mobilitare le energie, su questa
base può poi costruire un forte successo futuro. Qualunque processo creativo non
può solo essere il frutto di perturbazioni, ma è a sua volta perturbatore, nel senso
che modifica l’equilibrio dell’organizzazione ed ha come esito un nuovo equilibrio,
diverso da quello precedente.
L’organizzazione, come qualunque sistema, tenderebbe invece naturalmente a
preservare l’equilibrio. Tuttavia, a fianco dell’esigenza di equilibrio vi è anche
l’esigenza di cambiamento, che deriva appunto dal fatto che esistono le
perturbazioni. Esse possono essere di origine esterna al sistema, oppure essere di
origine interna: in questo secondo caso si tratta di ciò che comunemente definiamo
creatività. Un sistema che abbia un certo grado di “rumore”, di disordine al proprio
interno, è un sistema in grado di adattarsi ad una maggiore quantità di perturbazioni.
Questo è un principio molto importante per la vita delle imprese e conduce alla
necessità di immettere una certa quantità, ovviamente controllata, di caos nelle
SALVATORE VICARI – GABRIELE TROILO
205
organizzazioni. La creatività può allora alimentarsi di un certo livello di rumore e di
disordine.
In che modo viene dunque immesso questo caos? Per dare una risposta a tale
domanda è necessario comprendere che i sistemi, tra cui le imprese, solitamente
funzionano in una situazione di equilibrio o di vicinanza all’equilibrio in cui hanno
comportamenti prevedibili. In queste condizioni vi è una situazione di stabilità e di
tranquillità, in cui l’organizzazione non ha bisogno di creatività e in cui il contesto è
sufficientemente stabile.
Ma esiste anche un altro modo di essere, quello lontano dall’equilibrio. Qui il
sistema ha comportamenti imprevedibili, e può assumere molte diverse
configurazioni, in quanto anche elementi che sono del tutto marginali possono
essere amplificati e diventare invece determinanti per il nuovo stato che il sistema va
ad assumere. In queste condizioni i sistemi lontani dall’equilibrio sono stati chiamati
strutture dissipative (Prigogine, Stengers, 1989; Stacey, 1996), in quanto possiedono
la capacità di dimenticare e dunque la capacità di trovare nuove soluzioni, di tipo
altamente creativo.
Le imprese, in certi momenti della loro vita si allontanano dalla posizione di
equilibrio o di quasi equilibrio, varcano i confini della propria “soglia” di normalità.
Quando esse si trovano in una situazione “oltre la soglia”, possono affrontare
situazioni di forte perturbazione che oltrepassano il confine critico e quindi che
minacciano la loro stessa sopravvivenza. In queste situazioni esse possono avere due
tipi di esiti: essere incapaci di resistere alla perturbazione e dunque avere notevoli
danni, fino alla morte stessa, oppure essere in grado di assorbire le perturbazioni e
ritrovare nuove occasioni di sviluppo. In questa seconda situazione le imprese
“utilizzano” la perturbazione e, tramite la propria capacità creativa, sono in grado di
aumentare il successo e la redditività (Vicari, 1991).
Ciò significa che i momenti di crisi, di allontanamento dal punto di equilibrio,
sono necessari alla vita dell’impresa, perché è proprio a partire da questi ultimi, e da
come essa sa produrre creatività di fronte alla perturbazione, che è in grado di
evolvere.
Quindi, perché vi sia creatività è estremamente importante che il sistema sia
portato oltre la soglia, che venga messo in condizione di diventare imprevedibile,
che sia condotto in una situazione di amplificazione delle fluttuazioni, che vada alla
ricerca di comportamenti nuovi, che inglobi variabili non considerate pertinenti
quando la situazione era di equilibrio o di vicinanza all’equilibrio.
206
CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
8. Le implicazioni manageriali
Sulla base di questa visione della creatività organizzativa, il ruolo del
management diventa allora quello di portare il sistema oltre la soglia senza
rischiarne la sopravvivenza, ovvero di creare le condizioni per favorire un assetto
creativo dell’impresa, di portare l’impresa in una situazione di disequilibrio creativo
che generi nuova capacità di evoluzione. Tale ruolo, a nostro modo di vedere, può
essere ricondotto a due attività principali: la generazione attiva delle crisi e il
leverage sulle crisi.
Definendo crisi, ai nostri fini, qualunque situazione non soddisfacente per
l’impresa, la generazione attiva delle crisi può avvenire in due modi. Il primo è
quello di amplificare le perturbazioni generate dall’ambiente. Poiché in contesti
ipercompetitivi - l’ambiente, i concorrenti, i clienti attuali e potenziali, i distributori,
gli stakeholder - sono fonte continua di perturbazione, si può generare una
situazione non soddisfacente diffondendo i segnali perturbativi all’interno
dell’organizzazione. La prassi tipica di alcune imprese giapponesi (Nonaka, 1988)
di diffondere una costante sensazione di minaccia tra i propri collaboratori è un
buon esempio in tal senso. Un’ulteriore modalità è quella di realizzare un sistema di
benchmarking che dia sistematico risalto alle prestazioni migliori dei concorrenti.
La seconda modalità per generare attivamente crisi è quella di porsi degli obiettivi
con soglie molto elevate e di conseguenza generare stretch (Hamel, Prahalad, 1994).
Ciò può avvenire sia ponendosi degli obiettivi molto sfidanti nel medio-lungo
termine, da ridefinire di volta in volta quando sono raggiunti, oppure defininendo un
sistema di obiettivi auto-alimentantesi, come nel caso di 3M che, stabilendo che una
parte consistente del suo fatturato annuo debba provenire da prodotti lanciati negli
ultimi cinque anni, ha identificato un sistema di “obsolescenza programmata” degli
obiettivi che forza l’organizzazione a rivederli di anno in anno.
La seconda attività del management che vuole portare l’impresa in una
situazione di disequilibrio creativo è quella di fare leverage sulle crisi. Quando
viene generata la crisi il sistema è in una situazione di lontananza dal punto di
equilibrio, ed è quindi sensibile all’evoluzione. A questo punto è possibile attivare la
creatività organizzativa con le variazioni descritte nel paragrafo 6. In particolare si
possono:
-
-
cambiare le componenti del sistema, il che vuol dire, ad esempio, inserire nuovo
management proveniente da settori o background del tutto diversi, oppure
sperimentare nuovi prodotti e nuovi mercati;
creare relazioni informative tra componenti che in precedenza non ne avevano,
ad esempio adottando soluzioni di assetto organizzativo ibride, con un tecnico a
capo del marketing department o viceversa, un marketing manager a capo del
research & development department;
SALVATORE VICARI – GABRIELE TROILO
-
-
-
207
riallocare i tasks all’interno o all’esterno del sistema, ad esempio delegando una
parte della progettazione del prodotto al cliente, oppure inserendo un
rappresentante dei clienti o dei collaboratori negli executive commitees;
stimolare la collaborazione interna, ad esempio finanziando progetti
autonomamente generati da gruppi di collaboratori o realizzando veri e propri
progetti di corporate venture capital;
stimolare l’imprenditorialità dei singoli, ad esempio dando una chance ai
comportamenti non conformi con le regole consolidate dell’organizzazione, alle
attività incoerenti con “ciò che si è fatto finora”, alle idee non ortodosse.
Questi sono solo alcuni esempi di modalità per fare leverage sulle crisi. Se ne
potrebbero identificare molti altri. Ciò che li distingue tutti, però, è l’essere in grado,
sfruttando il contesto favorevole creato dalla lontananza del sistema dall’equilibrio,
di stimolare l’attitudine all’evoluzione.
9. Conclusioni
In questo lavoro ci siamo posti l’obiettivo di indagare le relazioni fra
generazione di conoscenza e creatività. Abbiamo sostenuto che la creatività di un
sistema è un fenomeno di livello logico diverso da quello degli individui, deducendo
tale tesi dall’assunzione che l’impresa è un sistema cognitivo autopoietico al pari di
tutti i sistemi sociali. Inoltre abbiamo approfondito il concetto di creatività
organizzativa e abbiamo descritto le modalità di attivazione di quest’ultima, dando
evidenza al ruolo critico giocato dalle perturbazioni a tale riguardo.
Possiamo quindi sintetizzare il nostro punto di vista dicendo che la knowledge
creation per un sistema cognitivo coincide con la creatività: knowledge creation e
creatività sono due modi per nominare la capacità del sistema di evolvere in un
ambiente per definizione dinamico.
In conclusione, vorremmo brevemente riprendere il “caso Italia”, accennato
all’inizio. Nel paragrafo introduttivo abbiamo detto che spesso all’Italia vengono
attribuite grandi capacità creative riconducendo queste ultime alle capacità di alcuni
specifici individui nei vari campi (artistico, economico, politico) in cui l’essere
umano può esprimersi, mentre al contrario non le vengono riconosciute altrettante
capacità di generazione e diffusione di conoscenza. Con l’ottica descritta nei
precedenti paragrafi, ci sentiamo di poter affermare che tali opposte affermazioni
non sono coerenti. Se il sistema sociale Italia è un sistema creativo, ed è quindi in
grado di generare sistematicamente conoscenza, lo è non esclusivamente perché nel
paese esistono numerose componenti creative, bensì poiché il sistema è in grado di
fare leverage sulle perturbazioni che riceve dall’esterno o che è in grado di generare
attivamente, sfruttando, questo sì, anche i comportamenti delle singole componenti.
Se l’Italia è un paese creativo lo è, come descritto nell’esempio della nota 6, perché
208
CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
riesce ad attivare creatività sociale, variando i propri schemi cognitivi in modo da
evolvere in un ambiente complesso.
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CREATIVITA’ ORGANIZZATIVA E GENERAZIONE DI CONOSCENZA
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