weekend - Inforete
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WEEKEND l’informatore 17 settembre 2015 41 a casa dello chef La ricetta per i lettori Ingredienti per sei persone - 400 gr di riso -600 gr di cozze -300 gr di seppie - 300 gr di gamberetti - 300 gr di calamari -8 gamberoni -150 gr di pisellini -1 peperone rosso medio -q.b. vino bianco -4 pomodori rossi -2 bustine di zafferano -q.b. olio extra vergine di oliva -2 spicchi d’aglio -q.b. peperoncino piccante -1 lt di brodo di pesce di Enzo Michele Esposito Paella di pesce La Paella è un piatto tipico spagnolo, specialmente della zona di Valencia. è un gustoso piatto unico, da preparare seguendo alcune indicazioni fondamentali, ma con un certo grado di libertà. Esistono diverse tipologie di paella, alcune contemplano assieme alle verdure - carne e pesce, alcune solo carne ed altre esclusivamente pesce. La ricetta che propongo oggi vi consentirà di preparare un’ottima paella di pesce. Preparazione Per prima cosa sarà necessario pulire e preparare il pesce per la cottura. Pulite le cozze strofinandone per bene i gusci ed eliminando la “barba”, lavate e pulite i calamari e le seppie e tagliate i calamari ad anelli dello spessore di circa 1 centimetro. Pulite i gamberetti togliendo le teste ed il guscio, avendo cura di conservarne qualcuno intero per guarnire il piatto, e lavate i gamberoni. Lavate accuratamente i pomodori ed il peperone, pulite quest’ultimo eliminando le coste bianche ed i semi e tagliate il tutto a cubetti. Mettete le cozze pulite in padella con un bicchiere di vino bianco e fatele aprire; a questo punto eliminate i gusci, lasciando da parte qualche cozza intera per la guarnizione finale. Versate il sugo di cottura delle cozze, dopo averlo filtrato, nel brodo di pesce per insaporirlo ulteriormente e mettete a bollire. Nella padella che userete per cuocere la vostra paella fate scaldare i 2 spicchi d’aglio in olio extra vergine di oliva e cuocete i gamberetti ed i gamberoni. Dopo che avranno preso colore, toglieteli e teneteli da parte, eliminando anche l’aglio. A questo punto cuocete per circa 5 minuti i calamari e le seppie, aggiungete peperone e pomodori e continuate la cottura per altri 5 minuti. Unite il peperoncino ed i piselli, mescolate per bene, quindi unite il riso e versate il brodo necessario a coprire completamente tutti gli ingredienti. Unite le bustine di zafferano e portate ad ebollizione a fuoco alto. A questo punto abbassate la fiamma e fate cuocere per 15 minuti avendo cura di non mescolare, altrimenti rischierete che il riso si attacchi alla padella. Se il brodo evaporasse troppo, aggiungetene qualche altro mestolo. Dopo 15 minuti unite le cozze, i gamberi ed i gamberoni e terminate la cottura per altri 5-10 minuti circa. Una volta cotta la paella, servitela in un unico piatto da portata che decorerete con i gamberetti interi e le cozze con il guscio che avrete tenuto da parte. L’abbinamento cibo-vino Enzo Michele Esposito è un cuoco nato a Milano. Fin da piccolo avverte una forte passione per la cucina e nella quotidianità, fra i profumi di casa, si diverte con i suoi primi maestri, i nonni, ad imparare i trucchi dei fornelli. Ha frequentato tramite l’Associazione Cuochi di Milano e Provincia corsi di aggiornamento per aumentare e migliorare la propria cultura in tema di alimenti e professionalità nel settore ristorativo. Attualmente è membro dell’Associazione Cuochi Milano e Provincia come insegnante di cucina per amatori e chef consulente per la ristorazione. Come abbinamento al piatto di questa ricetta propongo vini rosati morbidi come l’Alezio rosato, il Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo o il Bolgheri rosato. trentacinquesima puntata della “piccola storia di vigevano” di Vittorio Ramella In occasione del settantesimo dell’Informatore, ripubblichiamo le quaranta puntate che Vittorio Ramella dedicò alla storia di Vigevano, apparse sull’Informatore del 1965 e di cui riproponiamo anche i titoli originali Abramo Ardizzi: ce lo immaginiamo già avanti negli anni ma ancora fisicamente prestante, di intelligenza pronta, di parola facile, di presenza simpatico... Si era messo a cavalcioni della sua mula, in quella sera di giugno, ed assieme ad altri concittadini vestiti dignitosamente era uscito da una porta del borgo, avviandosi per la campagna. La porta del borgo (quella che esisteva dove oggi termina Via della Costa) era aperta; non c’erano i gabellieri a controllare i lasciapassare o ad esigere pedaggi; deserta... Dietro, sopra le case di Vigevano, gravava una enorme nube di fumo nero che sembrava appoggiata sui tetti e, qua e là, s’accendeva di bagliori rossastri. Dovunque, segni di morte e di distruzione. E, fuori le mura, dovunque segni di disfatta lasciati da un esercito in fuga disordinata: carri e macchine da guerra abbandonati, cavalli bardati che pascolavano senza più cavaliere, feriti che si trascinavano lungo i sentieri, soldati vinti dal sonno tra l’erba e sotto le topie... Abramo Ardizzi, se nell’attraversare il borgo aveva provato una stretta al cuore, passate le mura e veduto questo spettacolo ebbe un sospiro di sollievo. Questo voleva vedere! L’esercito sforzesco che mordeva la polvere e nella polvere si trascinava verso gli accampamenti... Una giornata di assedio aveva avuto conseguenze imprevedibili, grazie anche alle donne Vigevanesi ed a quella tale Camilla Ridolfi che tutte le aveva trasformate in furie micidiali... Adesso sì che si poteva discutere con il Conte Sforza! Il piccolo corteo vigevanese raggiunse il campo sforzesco all’imbrunire e fu subito ammesso nella tenda dei Comandanti. Francesco Sforza aveva fretta di concludere ed Abramo Ardizzi più fretta ancora. I Vigevanesi sapevano bene che se l’esercito nemico si fosse ripreso dalla stanchezza e dallo sgomento non ci sarebbe stato più niente da sperare. Per questo Abramo Ardizzi offrì allo Sforza il borgo di Vigevano. «Ma - aggiunse subito - come ad un principe alleato, non come ad un vincitore». Lo Sforza aveva estremo bisogno di Vigevano per poi pensare a Milano, e solo per questo accettò quella strana offerta. «Ma - aggiunse ancora Abramo Ardizzi - resta convenuto che l’esercito Sforzesco non mette piede in Vigevano; al più potrà entrarvi la guardia personale del Conte e il Conte stesso». Lo Sforza accettò la seconda clausola e si fece garantire che Vigevano non l’avrebbe più molestato nelle operazioni contro Milano. «Il Duca - aggiunse ancora Abramo - potrà entrare ed uscire da Vigevano quando vorrà; anzi, al suo ingresso sarà accolto con tutti gli onori, compreso quello delle armi, armi che dovranno essere lasciate alla guarnigione vigevanese». Lo Sforza disse di sì anche per la faccenda delle armi alla guarnigione. Poi chiese cos’altro ancora volevano i Vigevanesi per chiudere la faccenda. «Prima di tutto le armi anche per la popolazione perchè ci si deve difendere da eventuali tentativi di saccheggio da parte dei suoi signor soldati; poi ci sono certe questioni di pedaggi che dobbiamo pagare ai Pavesi e che potrebbero proprio essere annullati; poi altre cose secondarie che saranno discusse nel redigere il trattato di pace vero e proprio...». Il Conte Sforza fece chiamare il notaio (che i Vigevanesi previdenti si erano portati appresso) e dettò la formula dell’armistizio, impegnandosi ad osservare i patti convenuti verbalmente e ad iscriverli nel trattato di pace. Il notaio scrisse: “Franciscus Sfortia vicecomes marchio, papiæ Comes, Cremonæ, Parmæ, Placentiæ, Novariæ et Derthonæ Dominus etc. Volendo verso li homini nostri de Viglevano usare humanitade et clementia, per tenore della presente retenemo et facemo liberale remissione alla Comunità et singole persone di essa terra de Viglevano del delicto et excesso de ribellione hanno commissa contro de Nuj, partendo dalla devotione nostra et fedeltà a Nuj debita, et adherendo alli nimici nostri, cioè alli Milanesi. Dato fra il nostro esercito, presso la suddetta nostra terra di Vigevano, nel sesto giorno di Giugno del 1449”. La grande paura, per i Vigevanesi, era finita. Abramo Ardizzi se ne ritornò alle prime luci dell’alba per riferire al Comune e trovò che i Vigevanesi avevano già provveduto a sbarrare le porte ed a munire la cinta di mura, in previsione delle scorrerie dei mercenari sforzeschi. Dal canto suo lo Sforza, il giorno dopo, si trovò davanti ad una vera e propria ribellione dell’esercito che, venuto a sapere dell’armistizio, pretendeva di poter saccheggiare il borgo. Per calmare gli animi, senza rivelare quando aveva dovuto concedere ad Abramo Ardizzi, il grande condottiero fu costretto ad aprire i forzieri e a distribuire una grossa somma ai soldati quale rimborso per “mancato saccheggio”. Vitt.* (35 - continua)