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d
Cultura e società
IL LUNGO PERCORSO
DEL VINO
Seconda parte
La nascita
dell’innovazione
nella viticoltura
ed enologia europea.
Dopo il IV-V secolo d. C. i
barbari irrompono all’interno
dell’Impero, la rete dei trasporti
e dei collegamenti tra le città si
interrompe e collassa gran parte
delle attività agricole destinate a
produrre derrate alimentari per
l’esercito. Questo provoca tra l’altro l’abbandono di molti vigneti,
dove erano presenti molti vitigni
originari, che vengono salvati
dalla provvidenziale azione dei
monaci benedettini.
Questa viticoltura che
nasce dalla collaborazione
tra romani e popolazioni
locali, contiene alcune delle
caratteristiche proprie delle
innovazioni: la conoscenza
ed il bisogno.
I progressi nelle conoscenze nella coltivazione
della vite sono il risultato
dell’incontro della cultura
occidentale con quelle
orientale: l’introduzione
di vitigni particolarmente
produttivi,la diffusione dei
piani di pigiatura
(i palmenti), l’uso delle
tecniche d’appassimento
delle uve che miglioravano la conservabilità
e la trasportabilità dei
Pelike attica a figure nere
(510 a.C. circa). Metaponto,
Museo archeologico nazionale
vini,l’impiego delle anfore al posto degli otri di pelle e tanti altri
accorgimenti con i quali i coloni
greci della Magna Grecia ed in
seguito gli schiavi al servizio dei
nobili romani, avevano contribuito a migliorare la qualità dei vini
italici. I romani diffusero questo
modo innovativo di fare il vino
in tutti territori che occupavano,
dove questa bevanda era sconosciuta.
Si può comprendere l’arrivo
dei vitigni di origine pannonica,
con la strategia utilizzata da
Probo per impiegare i barbari
sconfitti. Scrive infatti al Senato:
“le terre di Gallia sono arate dai
buoi dei barbari, i gioghi generosi
catturati offrono il collo ai nostri
agricoltori, le greggi di diversi
popoli pascolano per nutrire noi,
i granai sono pieni di frumento
barbaro, i cavalli si incrociano con
i nostri.”
In questa descrizione non si può
non intuire un atteggiamento
conciliante e collaborativo con i
barbari vinti, certamente diverso
da quello offerto agli schiavi.
Aureliano si spinse più in là,
trasferendo intere famiglie e
prigionieri nell’Italia centrale
“per piantare colli a vigneto”, per
produrre vino da distribuire al
popolo di Roma, in un momento
di grande decadenza della viticoltura italica. Era comunque una
prassi quella di destinare “loca in
culta” ai prigionieri perché li trasformassero in fertili campagne
con le regole della “deditio”. Gli
storici, soprattutto di estrazione
francese, digeriscono male la
vulgata relativa alle conseguenze dell’Editto di Domiziano e
della controriforma di Probo,
malgrado l’attendibilità di Eutropo che racconta con dovizia di
particolari la creazione di nuovi
vigneti in Gallia, Pannonia e Bretagna. In verità si era sviluppata
una viticoltura in Aquitania, in
Borgogna e sulla Loira tra il I ed
il II sec d.C. in modo indipendente da quelle della Mosella e
del Reno,posteriori di circa 2 secoli ed in barba alle disposizioni
vincolanti di Domiziano. Probo
pianta le prime viti dopo l’editto
di Domiziano nella Gallia Belgica, come testimoniano i numerosi ritrovamenti, soprattutto in
prossimità dei guadi,sulla riva
sinistra del Reno e destra del
Danubio, di falces putatoriae
(ted. Sesel)e di doghe di botti
con citazioni riferite ai luoghi di
produzione e di destinazione e
come riferisce Cassius Dio nelle
sua “Storia”, 49, 36 del 299 : Ex
eo Gallica Rheni et Pannonica
Danubi ripa vitem coluit.
Nel 280 d.C. le legioni di
Probo piantano nel lionese un
vigneto denominato Monte
d’Oro, che richiama il nome di
un vigneto in Dalmazia, vicino
a Sirmio, luogo natale di Probo,
dal quale provenivano il Primitivo o Zinfandel (Grosschwarz),
i vitigni ungheresi Putzscheer e
l’Honigler ancora oggi presenti
in vecchi vigneti prefillosserici
attorno ad Heidelberg.
I tratti comuni delle viticolture della Gallia, testimoniano
le attitudini al commercio di
quelle popolazioni ed erano
rappresentati da una loro
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c u lt u r a e s o c i e tà
At t i l i o Sc i e n z a
Attilio scienza
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Genio bacchico alato su tigre
(particolare), 100 a.C. circa
Napoli, Museo Archeologico
Nazionale
ito enormemente alla diffusione
del vino in tutti i territori occupati
dai romani: l’aver trasformato
il vino, da semplice prodotto
alimentare e merce di scambio,
in una bevanda legata al culto di
un dio dalle sfrenate attitudini
digressive.
Ma se queste furono le premesse, serviva la scintilla che facesse partire la reazione. Braudel
in “Storia, misura del mondo”, del
1998, attribuisce la nascita delle
innovazioni all’azione sinergica
e cogente degli avvenimenti, del
caso e del sociale.
Quali furono allora gli avvenimenti che determinarono
il cambiamento del corso della
storia della viticoltura europea?
è necessaria una premessa. Il
vino consumato dalle legioni
dislocate lungo i confini orientali
dell’impero proveniva in gran
parte dalle Venetiae, la regione
orientale della Gallia Cisalpina ed
era ottenuto tagliando i vini di
modesta qualità che provenivano
dalle zone paludose della bassa
pianura veneta con i vini alcolici
dell’Istria e quelli colorati del
Piceno. Delle viti in palude parla
Strabone riferendosi a Ravenna,
e Plinio parla delle uve di Padova
che sanno di salice. I Geoponici
usano il termine heleos (di luoghi
paludosi) per definire questi vini.
Il vino era commercializzato
da mercanti veronesi, appartenenti a famiglie di etnia etrusca
ed attraverso lo scalo commerciale, allora molto importante
di Aquileia, su botti trasportate
da carri raggiungeva Magdalensberg in Carinzia ,dove per via
fluviale, sul Danubio, raggiungeva le legioni romane. L’indebolimento dell’Impero aveva
provocato una minore attenzione
nella regimazione dei fiumi che
›
Nella pagina a fianco:
Infanzia di Dioniso, I secolo d.C.
Napoli, Museo Archeologico.
A destra, coppa a gabbie
di Licurgo, IV secolo d.C.
Londra, British Museum
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At t i l i o Sc i e n z a
localizzazione lungo le strade, i
fiumi e vicino ai porti. Inoltre la
produzione di vino è un fenomeno urbano, in quanto le città sono
il mercato fondamentale per la
sua vendita. Un aspetto particolare della viticoltura francese
è stata secondo Dion (1959) la
creazione nelle zone dove non
si produceva vino,ma dove i
barbari erano peraltro dei grandi
consumatori, di una viticoltura
commerciale. Questa teoria
,chiamata degli “avamposti”, trova
conferma nel ruolo avuto prima
dai Greci nell’Italia e nella Francia
meridionale e quindi dai Romani
con la conquista dell’Allobrogia,
del Narbonnese e dell’Aquitania,
nella formazione di nuove varietà
di viti e nella diffusione dell’innovazione enologica.
Ma a molti sfugge quella che
è stata la vera grande innovazione portata dai greci degli
emporion e che aveva contribu-
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c u lt u r a e s o c i e tà
At t i l i o Sc i e n z a
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Bisognava quindi trovare
una alternativa più economica,
dove per economia si intendeva
il risparmio sui costi di trasporto,
allora la voce di spesa più importante, che venne individuata nel
trasferimento della viticoltura
nei luoghi del consumo del vino
(oggi si chiamerebbe delocalizzazione della produzione, strategia
usata anche dai colonizzatori
inglesi ed olandesi per produrre
vino nelle colonie australiane
e sud-africane, senza doverlo
trasportare dall’Europa). Venne
trasferito il know-how da Roma
e dalla Gallia mediterranea, rappresentato dai veterani-viticoltori
e dagli artigiani del legno ai quali
era demandato il compito di
predisporre i torchi, cosiddetti di
Plinio, a leva e costruire le botti,
in quanto le anfore non potevano
essere usate sia per la necessità
di dover trasportare il vino anche
via terra sia per la mancanza di
argilla di buona qualità. Probo
favorisce
l’ impianto di nuovi vigneti nelle
zone di confine dove sono concentrate le truppe non solo per
la diminuzione dei rifornimenti
di vino dalle Venetiae,ma anche
dal Narbonnese e dall’Aquitania,
perche in queste zone della Gallia
a partire dalla metà del III secolo,
per effetto di gravi disordini
militari, la superficie a vigneto era
diminuita. Sorse però subito un
problema.
I vitigni più famosi dell’ager
campanus che avevano contribuito alla fama dei vini romani in
tutto il mondo allora conosciuto,
come il Falerno o le Aminee,
non potevano essere trasferiti
perché era iniziato il ciclo climatico freddo e queste varietà mal
si adattavano alle nebbie delle
pianure danubiane. La circolazione varietale dai luoghi dove
davano origine a vini famosi,agli
ambienti che volevano emularne
la fama ,ha origini molto antiche:
iniziarono i fenici con il Byblino,
mitico vitigno della Tracia, a cui
seguirono in epoche diverse i
greci, sia attraverso l’esperienza coloniaria che quella degli
emporion e per giungere ai
nostri tempi, gli italiani nel 18° e
19° secolo con l’importazione dei
vitigni provenienti dalle zone viticole più famose di Francia, come il
Cabernet sauvignon ed i californiani ed australiani agli inizi del
20° secolo. Queste considerazioni
possono oggi apparire scontate:
i vitigni chiamati internazionali,
si diffondono ormai in tutto il
mondo e scalzano nelle viticolture
più fragili, come quelle dei Paesi
dell’Europa orientale, i vitigni più
antichi, quelli originari.
Non c’era progettualità in
Probo, che agiva senza rendersi
conto di quello che stava facendo
fare alle sue legioni. Molto probabilmente se fosse andato a prendere i vitigni da portare lungo il
Reno in altre regioni dell’immenso
impero romano o se la moglie
invece di essere un’aquitana fosse
stata una dacia, il corso della
storia viticola d’Europa avrebbe
preso un’altra direzione ed i vini
che oggi allietano le nostre tavole,
sarebbero certamente molto
diversi.
Come agisce il sociale ?La
storia,dice Braudel è una “povera, piccola scienza congettuale”
quando ha per oggetto i singoli
individui isolati dal gruppo,ma
è meno congettuale e ben più
razionale sia nei procedimenti
che nei risultati, quando prende
in esame i gruppi ed il ripetersi
degli avvenimenti. è la storia
profonda su cui si può costruire
la storia sociale: ad una storia
insicura incentrata su un individuo si sostituisce una storia
molto più chiara perché indagata
nelle realtà sociali su cui poggia.
La storia dei vitigni europei è la
storia profonda, un fenomeno
collettivo, inconscio, in continuo
divenire, che non guarda al passato se non per l’esperienza portata
da ciascun partecipante della
collettività e che essendo espressione di molti, non può essere mai
rivendicata da un singolo, né da
questi “interpretata “ per interesse
personale,né soprattutto considerata un fatto statico. Non a caso la
parola tradizione, alla quale molto
deve la nostra viticoltura, ha la
stessa radice di lagos, di religione,
di destino, di comunità dove in
tutte queste parole l’elemento
cruciale è il legame(legein), il nesso tra le idee e le diverse realtà.
Le nozioni di frontiera e di
confine non sono di facile definizione se non si utilizza una metafora,
strumento creativo spesso impiegato nel pensiero scientifico. Allo
scopo di rappresentare qualcosa che
separa ed unisce nello stesso tempo
è necessario identificare una sorta
di terra di nessuno, luogo tra due
spazi, non necessariamente geografici, ciascuno dei quali occupato da
una società o cultura, distinti l’uno
dall’altro. Questa metaforica terra di
Pannello a cammeo, I secolo d.C.
Napoli, Museo Archeologico
Nazionale
Nell’altra pagina:
Satiro con uva, II secolo d.C.
Firenze, Galleria degli Uffizi
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At t i l i o Sc i e n z a
attraversavano la pianura friulana
e veneta e progressivamente
i terreni destinati a vigneto si
impaludarono. Si tentarono delle
bonifiche,utilizzando anche le
anfore usate come canali di drenaggio, soprattutto nel territorio
patavino,il più generoso nella
produzione di vino, ma con scarso successo e quindi quei territori
vitati vennero abbandonati.
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Il ruolo della frontiera
per la continuità storico-culturale
e la conservazione delle espressioni
più arcaiche della viticoltura
nessuno, che sta tra due culture, è
una zona di frontiera, dove due culture si contrappongono o si integrano.
Di norma la cultura più forte ha un’azione intrusiva e nel suo movimento
di espansione preme sulle società
limitrofe e quindi nel caso della vite
esporta il modello romano verso altri
Paesi. Può sembrare contraddittorio
ma la frontiera è uno spazio capace
di produrre continuità storicoculturale e favorire la conservazione
delle espressioni più arcaiche della
viticoltura, a guisa di una sorta di
riproduzione delle società originarie
che si incontrano e che spesso non
si integrano, ma può essere anche
il luogo dove nasce una nuova
viticoltura,diversa soprattutto per i
vitigni che riesce a generare. Questo
è quanto successo circa 2.000 anni fa
nell’incontro tra i popoli dell’occidente e quelli dell’oriente sulle rive del
Reno e del Danubio. Da un punto di
vista metodologico un vitigno antico,
anche se non più coltivato e presente
come reliquia in una collezione, può
rappresentare per la sua persistenza
un efficace indicatore dell’esistenza
di un confine culturale nella viticoltu-
ra europea. Lo sviluppo della genetica dei marcatori molecolari offre uno
strumento diagnostico insostituibile
per ricostruire i pedigree delle varietà
coltivate,utilizzando il DNA di quelle
più antiche e delle viti selvatiche
ancora presenti allo stato naturale.
è però necessario validare i risultati
dell’analisi dei marcatori molecolari
con i riscontri delle fonti letterarie,
storiche, archeologiche ed antropologiche, con un approccio interdisciplinare. Poichè la storia della viticoltura europea presenta dei connotati
molto diversi da zona a zona, come
hanno recentemente dimostrato le
ricerche di Cavalli Sforza e del suo
gruppo per le origini delle popolazione umane, per poter disegnare
una geografia dei confini, basata sui
riscontri varietali, oltre alle banche dati ottenute dalla genotipizzazione
delle numerose collezioni ampelografiche europee, sono necessarie
delle ricerche specifiche, da condurre
nei luoghi oggetto dello studio, per
considerare le testimonianze in situ,
spesso labili, costituite da un corpus
di conoscenze della tradizione orale e
delle serie terminologiche del campo
l
semantico, strutture latenti che vengono rese esplicite dalle cosiddette
“situazioni rivelatrici” che mettono
in luce aspetti fondamentali del problema studiato, altrimenti inavvertiti.
Assieme agli apporti della semantica
e della semeiotica del paesaggio vitato, con i suoi mitemi ormai in via di
scomparsa irrimediabile, è necessario
utilizzare nell’analisi di questi relitti,
quelle fonti documentarie che Le
Goff definisce “nuove” quali la sociologia, la demografia, l’antropologia,
l’etologia in forte interazione con la
biologia molecolare. A livello genetico lo sforzo maggiore dovrà essere
indirizzato nell’individuazione delle
viti selvatiche, in rapida erosione
genetica, perché come diceva Levadoux in queste è nascosto il segreto
delle origini della nostra viticoltura.
◆
Attilio Scienza
Di.Pro.Ve. Dipartimento di Produzione
Vegetale Università degli Studi di Milano
L’estate a “Con i piedi per terra”
Dal nocciolo della Tuscia alla lavanda di Romagna
Uno degli aspetti più incredibili
dell’agricoltura italiana è la varietà di situazioni
che si incontrano, tanto che dopo 20 anni di un
programma settimanale che sta per festeggiare
il traguardo delle 1000 puntate, ogni volta è
una scoperta. Forse anche perchè sono tante
le “agricolture” che in qualche modo convivono
all’interno di un paese meraviglioso anche
per diversità pedoclimatiche. Una diversità
di cui è giusto tenere conto, senza enfasi
particolari, ma proprio perchè è il seme della
conoscenza. Ecco così che la puntata dedicata
alla campania farà to di ricerca e con grande
uso di tecnologia) e le tradizioni dei pastori di
Ricigliano, sull’aspra montagna, e che ogni anno
festeggiano la Turniata, un antico rito agreste
oggi dedicato al patrono san Vito, durante il
quale decorano, dipingono, agghindano pecore
e capre, le portano in paese e le fanno correre
attorno alla chiesa .
Poi risaliremo in Lazio e qui, protagonista sarà
la storia del Nocciolo , che vede nella Tuscia
viterbese la principale area produttiva italiana.
Questa antica Terra degli Etruschi ha sviluppato
nei decenni una corilicoltura estremamente
specializzata che ha portato la Tonda gentile
CON I PIEDI PER TERRA
è in onda su Telesanterno
in prima visione, al sabato
ore 12.30 e martedì
in prima serata alle ore 21
E in tutte le regioni italiane
sul circuito nazionale
ODEON TV ogni lunedì ore
20.30 e in contemporanea
su satellite Sky al canale
914
L’AGRICOLTURA FULL TIME
e’ su ANTENNA VERDE
sul 656 dell’Emilia Romagna
romana ad una grande qualità e riconoscibilità.
Ci sono i grandi numeri e ci sono i territori, ci
sono le grandi produzioni e le piccole nicchie
vicino a casa, una agricoltura da esportazione
e una agricoltura di prossimità: per questo
saremo anche nella capitale delle erbe officinali
e dei frutti dimenticati,ovvero Casola Valsenio
in provincia di Ravenna, il cui Giardino festeggia
la lavanda .
Mentre sul versante bolognese, andremo
alla scoperta di come con piccole azioni si
può preservare la montagna: una fontanalavatoio ridà vita a tre paesi, un forno riporta il
turismo in area marginale, una antica abbazia
fa risplendere una pieve tra i vigneti di collina,
insomma l’integrazione natura,agricoltura,storia
e’ un linguaggio che parla anche l’Europa e che
l’Italia declina secondo i Piani di Sviluppo rurale.
Ma poi parleremo di Europa direttamente
dall’Efsa di Parma, di agroenergie a partire dal
recupero dei sarmenti di vite come biomassa,
di meccanizzazione nel Vigneto con Enovitis in
campo che torna in Romagna, e infine il mondo
del garden attraverso tutte le novità tecniche
ma anche le essenze di giardini spettacolari
come quelli di Villa Contarini sul Brenta.
caleidoscopio
Pastiche con tralci a vite
prima mettà del I secolo a.c.
Napoli, Museo Archeologico
Nazionale
Caleidoscopio
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