questioni connesse all`igiene degli alimenti
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questioni connesse all`igiene degli alimenti
AGGIORNAMENTI IN MEDICINA VETERINARIA: questioni connesse all’igiene degli alimenti Diagnosi caso 1: Il banco del pesce si aggiorna L’etichettatura dei prodotti della pesca che rientrino nel cap. 3 della nomenclatura combinata è un obbligo di legge che prevede la conoscenza di insieme di norme comunitarie e nazionali che sono aggiornate molto spesso. Chi si occupa di igiene dei prodotti della pesca, come Autorità sanitaria di controllo o come consulente veterinario di aziende della filiera ittica, non può esimersi da un aggiornamento continuo in questo settore legislativo. In caso contrario l’Autorità sanitaria di controllo rischia di non potere contestare fondatamente eventuali errori di etichettatura fatti dagli Operatori del Settore alimentare mentre i consulenti specializzati rischiano di indurre in errore l’Operatore esponendolo al pericolo di sanzioni per non avere messo in vendita i suoi prodotti con la giusta etichettatura. Non va dimenticato, infatti, che l’etichetta contribuisce a formare il concetto di genuinità di qualunque prodotto alimentare: se un alimento è messo in commercio con un’etichetta non conforme al dettato delle leggi vigenti, questa sua condizione di non conformità può farlo diventare un alimento “a rischio” secondo l’art.14 del Reg. CE 178/02 e quindi farlo escludere dalla vendita, con possibili conseguenze anche sul piano giuridico. Tabella 1 Sintesi schematica dei principali requisiti di legge per l’etichettatura di prodotti ittici secondo la nuova normativa comunitaria. Tipologia di prodotto ittico Indicazioni obbligatorie Prodotti ittici pescati in Denominazione commerciale e nome latino (Dentice – acque marine Dentex dentex) Indicazione di provenienza indicazione del mare specifico(**) con: Zona FAO(*) o “pescato” Se congelato e scongelato: “decongelato” (***) Prodotti ittici pescati in Denominazione commerciale e nome latino acque dolci Indicazione di provenienza con: specchio d’acqua dolce in cui si è pescato “Pescato in acqua dolce” Se congelato e scongelato: “decongelato” (***) Prodotti ittici allevati Denominazione commerciale e nome latino (Salmone – Salmo salar) Indicazione di provenienza con: Paese in cui si è avuta la maggior parte dell’allevamento “allevato” Se congelato e scongelato: “decongelato” (***) (*) da indicare nelle fasi precedenti alla vendita al dettaglio (**) da indicare in vendita al dettaglio (anche su cartelloni invece che sui singoli cartellini). (***) non obbligatorio se il prodotto è usato come ingrediente di altri alimenti, se è destinato a trasformazione con salatura, marinatura, ecc. o se il congelamento era per fare la bonifica di eventuali larve anisakidi. Tabella 2 Prodotti della pesca soggetti agli obblighi di etichettatura aggiuntiva, così come previsto del Reg. CE n.1379/13 che entrerà in vigore il 13 dicembre 2013 Diagnosi caso 2: Un caso di nuova alterazione cromatica della ricotta Le nicchie ecologiche preferenziali del genere Serratia sono le acque e i vegetali, da questi habitat possono causare infezioni nell’uomo e negli animali o contaminare alimenti. In particolare S. marcescens, patogeno opportunista, può essere causa di infezioni gravi sia perché coinvolge, di norma, pazienti debilitati sia per la scarsa sensibilità del germe agli antibiotici, costituendo un patogeno emergente nella salute pubblica. In medicina umana sono state diverse le segnalazioni di infezioni opportunistiche localizzate all’occhio, alla cute e alle vie respiratorie. Negli animali, in particolare nei bovini, l’infezione da S. marcescens e S. liquefaciens può provocare mastiti contaminando il latte. Oltre alla potenziale patogenicità del genere, alcuni ceppi possono alterare gli alimenti, visto che sono in grado di idrolizzare i peptidi e i glucidi, scindere i lipidi, sintetizzare idrogeno solforato dalla cisteina e moltiplicarsi a temperature comprese tra 1 e 5°C. I ceppi, inoltre, riescono a sopravvivere in soluzioni disinfettanti normalmente utilizzate nell’industria alimentare, possono propagarsi su diverse superfici quali materiali di imballaggio per alimenti ed impianti di mungitura. Nel nostro caso preso in esame (le ricotte con alterazione cromatica) sembrerebbe che la fonte di contagio sia stata rappresentata da latte proveniente da una vacca affetta da mastite. Il primo caso di isolamento di Serratia spp. è stato descritto nel 1823, quando fu causa di contaminazione nella polenta, il cosiddetto “miracolo della polenta sanguinante”; le colonie simulavano, infatti, l’aspetto di gocce di sangue. Serratia spp. è stata coinvolta anche nell’alterazione di alimenti quali uova, burro, latte e pane. Ricordiamo ancora S. liquefaciens e S. rubidaea che sono in grado di moltiplicare sulla superficie di pesci affumicati ed essiccati; S. odorifera che cresce rapidamente sulla superficie degli insaccati crudi in cui provoca la comparsa di odore pungente e la rottura del budello, quest’ultima dovuta all’azione collagenolitica; S. marcescens, S. fonticola e S. plymuthica che sono state isolate dal tonno e sono state in grado di decarbossilare l’istidina formando istamina. La possibilità delle Enterobatteriaceae e quindi anche del genere Serratia di tollerare le basse temperature (ad esempio S. liquefaciens e S. fonticola crescono rispettivamente fino a 1,7 e 2°C) e di conseguenza la loro capacità di crescere in alimenti refrigerati è un rischio per la salute umana, soprattutto se questi alimenti sono conservati per lungo tempo o sono consumati senza essere preventivamente riscaldati. Visto l’incremento di mastiti croniche sostenute da batteri Gram negativi tra cui S. marcescens e considerando che non sempre si riesce ad identificare un serbatoio ambientale di Serratia spp., l’evoluzione tecnologica impone la necessità di una maggiore precisione e rapidità di identificazione degli ecosistemi microbici negli alimenti al fine di gestire ed individuare forme adeguate di ispezione. Particolarmente approfondita dovrebbe essere l’individuazione e la tipizzazione dei ceppi presenti nei latticini, considerato il numero di batteri di incerta posizione tassonomica. Diagnosi caso 3: Un difetto di gonfiore “a frigore” Nel nostro caso specifico le confezioni che manifestavano gonfiore sono state sottoposte ad analisi microbiologiche per la quantificazione di CMT, enterobatteri totali, coliformi, batteri lattici e Clostridium non solfito-riduttori. Le analisi hanno rivelato la presenza nella confezione rigonfia di alte cariche di Clostridium psicrotrofi, in media intorno a 2,3 x 106 ufc/g di carne. Né gli enterobatteri né i batteri lattici erano presenti in cariche così elevate da attribuire a questi due gruppi di microrganismi il difetto di gonfiore. Siamo quindi di fronte a un insolito difetto di gonfiore sostenuto da forme vegetative di specifici Clostridium psicrotrofi, adattati a crescere in condizioni di refrigerazione profonda. Il genere Clostridium conta oltre un centinaio di specie: poche sono patogene per uomo e animali, per infezione diretta o tramite consumo di alimenti (C. tetani, C. perfringens, C. botulinum), altre sono dei tipici alteranti dei formaggi stagionati (i Clostridium “butirrici”) mentre la maggior parte delle specie sono del tutto saprofite e albergano nel contenuto intestinale umano, degli animali o nel terreno. In ogni caso, fino a qualche anno fa si riteneva che i Clostridium fossero batteri nettamente mesofili e che non fossero in grado di duplicare a temperatura di refrigerazione. Solo in tempi recenti si sono scoperte alcune nuove specie di Clostridium nettamente psicrotrofe e che per di più sono in grado di produrre enzimi proteolitici, saccarolitici e/o lipolitici che possono provocare serie alterazioni delle carni fresche confezionate sotto vuoto. Vediamo qui di seguito le caratteristiche salienti di queste specie. Caratteristiche dei Clostridium psicrotrofi alteranti Tutti i Clostridium sono in grado di sintetizzare enzimi protolitici, saccarolitici e anche lipolitici; dalla scissione di proteine, carboidrati e/o lipidi, i clostridi possono produrre composti aromatici quali aldeidi e chetoni, acidi grassi liberi, acidi organici e/o anidride carbonica. Non c’è da stupirsi, quindi, che quando proliferano in modo eccessivo in una matrice alimentare che ne permette la crescita, questi batteri possano deteriorarne a fondo le caratteristiche sensoriali, causando vari quadri di putrefazione profonda. I Clostridium sono quasi tutti batteri mesofili, in grado di duplicare tra 7° e 45°C; alcune specie sono addirittura termotrofe e crescono tra 10°C e 54°C; di recente, però, sono state scoperte anche nuove specie di Clostridium nettamente psicrotrofe, capaci di moltiplicare anche fino a 2°-3°C e sono proprio queste specie le responsabile di importanti difetti di gonfiore delle carni fresche confezionate sotto vuoto. I Clostridium alteranti delle carni fresche si chiamano C. estertheticum, C. laramiense, C. algidicarnis, C. frigidicarnis, C. gasigenes, C. lacusfryxellense, C. bowmanii, C. psychrophilum e C. tagluense (Cavill et al., 2011). Una volta scoperto come si sviluppa il difetto di “gonfiore freddo” nelle carni sotto vuoto, bisogna però scoprirne le cause e soprattutto individuare le strategie per evitare che il difetto ricompaia. Le cause: i Clostridium psicrotrofi che sono all’origine del difetto sono batteri essenzialmente agrigeni, molto diffusi nel terreno e sui vegetali, sotto forma di spore; con i vegetali e gli insilati le spore clostridiche possono arrivare nell’intestino dei bovini e con le feci tornano a contaminare l’ambiente e la cute degli animali, in un circolo vizioso che è arduo interrompere. I Clostridium psicrotrofi arrivano, quindi, alle carni fresche in fase di macellazione e poi di sezionamento, per cui tanto più basso è il livello igienico delle lavorazioni tanto maggiore sarà la carica di spore clostridiche che possono arrivare alle carni. Le spore possono contaminare facilmente anche le superfici di lavoro all’interno del laboratorio di sezionamento; tanto più accurate sono le operazioni di detersione e disinfezione tanto più basso sarà il rischio di contaminazione. Un fattore che favorisce la comparsa del gonfiore da freddo è la docciatura con acqua calda cui si sottopongono le confezioni di carne appena messe sotto vuoto, per migliorare il grado di adesione della pellicola alle carni, con un effetto di coartazione della pellicola sotto l’effetto del calore (shrinkage). Come si sa, quando sono esposte ad uno shock termico le spore di Clostridium possono germinare dando origine a cellule vive e vitali in grado di produrre gli enzimi litici. Le strategie per ridurre il difetto: viste le cause favorenti e scatenanti il difetto di gonfiore clostridico, le strategie per ridurre la frequenza dello stesso prevedono di: (1) migliorare l’igiene delle operazioni di macellazione e poi di sezionamento delle carni fresche; (2) mettere sistematicamente in atto accurate operazioni di detersione e disinfezione delle superfici di lavoro per ridurre il grado di contaminazione delle carni da spore; (3) fare un ottimo sottovuoto alle carni e poi docciare le confezioni con acqua bollente ad almeno 87°C o ancora più calda. Prove sperimentali hanno infatti dimostrato che docciare le carni già confezionate con acqua a temperatura inferiore a quella citata aumenta significativamente la probabilità di comparsa del difetto di gonfiore; (4) assicurare il mantenimento costante della catena del freddo in deposito e commercializzazione delle carni. Diagnosi caso 4: Refrigerato o congelato? L’attività di congelamento/scongelamento, così come previsto dalla normativa vigente, il Reg. 852/2004, non è considerata un trattamento e i prodotti che ne derivano non sono da considerarsi prodotti trasformati. In particolare, nel caso delle carni, il Reg. 853/2004 fa rientrare le carni congelate tra le carni fresche. Il congelamento e lo scongelamento degli alimenti può essere effettuato in stabilimenti riconosciuti o registrati e non è un’attività soggetta a riconoscimento; infatti, nessuna norma prevede espressamente il rilascio di uno specifico atto amministrativo (autorizzazione sanitaria). Tuttavia, un’industria alimentare riconosciuta/registrata che decida di intraprendere, successivamente, un’attività di congelamento/scongelamento deve portarne a conoscenza l’Autorità competente nei modi e nei tempi dovuti (Reg. 852/2004). Diversamente da quanto appena detto, presso gli esercizi di vendita al dettaglio non è consentito congelare alimenti acquistati allo stato di refrigerazione. Le uniche deroghe sono concesse nel caso di alimenti commercializzati previa trasformazione presso i laboratori annessi agli spacci, su cui dovrà essere indicato che si tratta di prodotti ottenuti da materie prime congelate e nel caso di profilassi delle parassitosi dei prodotti della pesca (Anisakis), con possibilità di effettuare il congelamento presso lo spaccio di vendita. Diagnosi caso 5: Un hamburger … di grande etichetta Impostare l’etichetta di un hamburger di pesce nello spirito delle norme comunitarie di prossima adozione anche in Italia è fattibile, ma bisognerà tenere conto di varie norme nazionali e comunitarie che si intrecciano fra loro nel formare, appunto, un’etichetta conforme alla legge. In particolare, occorre tenere ben presente quanto è previsto dal Reg. CE n.1924/06 prima di portare sulle confezioni indicazioni che attirano l’attenzione del consumatore sul ridotto apporto calorico di quel cibo e la relativa abbondanza di acidi grassi insaturi della serie omega-3. Altro punto importante da tenere presente sono le indicazioni di produzione (pescato, allevato) e la zona di mare o il paese nei quali i vari pesci sono stati pescati o allevati. Da non scordare che con l’entrata in vigore del Reg. CE n.1169/11 l’etichetta nutrizionale diventerà obbligatoria per tutti gli alimenti e che in essa andranno citati anche la composizione di zuccheri e quella di acidi grassi, nonché la quantità di sale eventualmente aggiunto. Diagnosi caso 6: Celiachia, OSA e controlli ufficiali: quali problematiche? Tutti gli esercizi di vendita che intendono iniziare un’attività in cui sia prevista la produzione di alimenti destinati a soggetti celiaci devono notificare all’ASL competente l’inizio di tale attività, indicando gli alimenti che si intendono somministrare, il ciclo produttivo, le caratteristiche dei locali, le attrezzature utilizzate. Naturalmente, nel piano di autocontrollo dovranno essere individuate tutte le fasi del processo in cui sussiste il rischio di contaminazione e dovranno essere indicate le eventuali azioni correttive da adottare in caso di non conformità, nonché le modalità di verifica dell’effettiva validità del piano. Nel piano di autocontrollo potrebbero essere previste analisi di laboratorio finalizzate a verificare che le procedure per escludere la presenza di glutine nei prodotti alimentari sia correttamente applicata ed efficace. Invece, non hanno tali obblighi le strutture che eseguono preparazioni occasionali, su richiesta del cliente, di piatti destinati a persone intolleranti al glutine, in quanto basati su prodotti naturalmente privi di glutine o con alimenti sostitutivi notificati ai sensi D.L.vo 111/1992. Inoltre, l’attività di preparazione di tali prodotti potrà essere svolta negli stessi locali dove vengono lavorati altri alimenti, purché vengano messe in atto le necessarie precauzioni che dovranno essere opportunamente documentate e messe a disposizione dell’Autorità competente. In particolare: • modalità di pulizia/sanificazione dei locali ed igiene del personale; • differenziazione temporale delle preparazioni; • formazione del personale. Bisogna, però, rimarcare che non è assolutamente semplice eliminare residui di glutine dalle superfici di lavoro. Di conseguenza, è opportuno che l’OSA predisponga adeguati protocolli di sanificazione ed eventualmente una verifica di laboratorio sulle superfici dopo sanificazione, per accertarsi dell’effettiva assenza di residui di glutine. Per alcune imprese può essere prevista una procedura semplificata nel caso in cui le prescrizioni di buona pratica operativa, conseguano l’obiettivo del controllo dei pericoli alimentari e nelle quali gli addetti allo specifico ciclo produttivo non superino le 10 unità (in linea con la definizione di “microimprese” di cui alla Raccomandazione 2003/361 CE della Commissione Europea). Diagnosi caso 7: Un prosciuttificio molto scrupoloso Valutato il ciclo vitale di Toxoplasma gondii, arriviamo alla conclusione che nelle carni di maiale crude da avviare a produzione di prosciutto o spalla cotti il protozoo deve per forza di cose trovarsi sotto forma di bradizoiti raccolti all’interno di una pseudocisti. Abbiamo già annotato prima che i cistozoiti presenti nelle pseudocisti resistono fino a 6 ore all’effetto litico degli enzimi gastrici e intestinali e che occorrono almeno 10 minuti a 60°C per inattivarli. Tenuto presente il processo produttivo del prosciutto cotto che prevede trattamenti termici ad almeno 65°-75°C per non meno di 8-12 ore, possiamo quindi concludere che la stufatura del prosciutto cotto è un procedimento più che sufficiente per annullare del tutto le eventuali pseudocisti toxoplasmi che presenti nelle masse muscolari del suino. Di conseguenza possiamo concludere con sufficiente fondatezza scientifica che il trattamento di salatura/salagione e cottura di questi prodotti di salumeria è tale da ridurre al minimo il rischio, per l’uomo, di contrarre la toxoplasmosi mangiando qualche fetta di prosciutto o di spalla cotti. Potrebbe essere tutto, ma manca ancora un dato da considerare: qual è la prevalenza dei soggetti infetti da Toxoplasma gondii, fra i suini allevati? Secondo dati epidemiologici forniti dall’EFSA europea, fra gli animali da reddito quelli che presentano le maggiori prevalenze di soggetti infetti sono, in ordine di importanza decrescente: (1) ovicaprini (2) suini (3) bovini (4) pollame (5) solipedi domestici. Secondo alcuni Autori, ogni anno negli Stati Uniti vengono macellati oltre 110 milioni di maiali; in base ai dati epidemiologici a disposizione, si può quindi ragionevolmente ritenere che almeno 2,8 milioni di suini arrivi ogni anno al macello infetto da Toxoplasma. In Cina, la prevalenza di suini infetti da Toxoplasma è stata rilevata per la prima volta nel 2012 con una prevalenza di circa il 18% dei soggetti valutati. In Svizzera, alcuni Autori hanno stabilito che i suini sono infetti da Toxoplasma in media nel 3,2% dei capi, ma ancora più diffusa è la toxoplasmosi tra i cinghiali (3,7%). Come vedete, i suini sono tra gli animali da reddito che presentano le maggiori prevalenze di capi infetti da Toxoplasma gondii, per cui la probabilità che nelle carni di maiale vi possano essere delle pseudocisti di toxoplasmi è tutt’altro che remota. Il ciclo di produzione del prosciutto cotto, in ogni caso, assicura la completa devitalizzazione delle forme parassitarie. Diagnosi caso 8: Nuove mode in cucina:rischi e vantaggi La Normativa Europea sulla sicurezza alimentare (Reg. CE 178/2002, Reg. CE 852/2004, Reg. CE 853/2004, Reg. CE 854/2004, Reg. CE 882/2004) ha apportato numerose modifiche rispetto alla precedente normativa, con l’obiettivo di garantire la tutela della salute del consumatore. Riguardo alla vendita e alla somministrazione di preparazioni a base di pesce crudo è fatto obbligo di sottoporre il pesce a operazioni di bonifica tramite processi termici di congelamento o surgelamento. In particolare, il Reg. 853/2004 stabilisce che vengano “congelati ad una temperatura non superiore a -20°C in ogni parte della massa per almeno 24 ore i prodotti della pesca che vanno consumati crudi o praticamente crudi…..” Nel corso di studi effettuati presso esercizi di preparazione e vendita di prodotti ittici da consumarsi senza cottura, su locali e attrezzature nonché su campioni di pesce crudo, se da un lato è stata messa in evidenza, complessivamente, l’assenza di gravi carenze igienico-sanitarie di strutture e attrezzature è anche vero che dall’altro lato è emersa la persistenza di comportamenti scorretti da parte di alcuni OSA riguardo al rispetto delle buone norme igieniche. Sono risultati, infatti, piuttosto alti i valori di carica microbica totale su prodotti ittici e su altre materie prime; alquanto variabili, invece, i valori di coliformi totali e coliformi fecali. In rarissimi i casi sono stati isolati Stafilococcus aureus e Bacillus cereus; la presenza del primo era dovuta, probabilmente, all’operatore mentre quella del secondo è stata attribuita alla scorretta preparazione del riso utilizzato, soprattutto in fase di raffreddamento. Sulla base degli esiti delle analisi si può affermare che la materia prima utilizzata è di buona qualità e che sono assenti gravi carenze igieniche di strutture e attrezzature; tuttavia, persistono comportamenti scorretti dal punto di vista igienico-sanitario da parte del personale che si occupa della ristorazione. Emerge, quindi, la necessità di organizzare corsi di formazione per gli OSA, con particolare attenzione agli operatori orientali e migliorare l’informazione dei consumatori riguardo alla necessità di utilizzare pesce surgelato. Molti di essi, infatti, a causa della scarsa conoscenza del rischio, non gradiscono che il pesce sia preventivamente sottoposto a congelamento in quanto temono un deterioramento delle caratteristiche organolettiche. Potrebbe essere opportuno, in tal senso, descrivere nel menù il motivo per cui è necessario adottare tale trattamento e naturalmente integrare l’informazione sottolineando che un corretto congelamento non determina il deprezzamento della qualità organolettica del prodotto. Diagnosi caso 9: La selvaggina può essere Kashèr o Halal? In base a quanto ho appena ricordato per quanto riguarda la religione ebraica, tra gli animali selvatici potranno quindi essere destinati a produrre carne kashér i ruminanti come cervi, daini, caprioli, renne e simili mentre sono da vietare i camelidi. Ovvio il divieto di ricavare carni dai cinghiali come pure dai rettili e dai roditori, visto che non sono ammessi. Sono, invece, ammessi alla produzione di carni kashér tutti i volatili per cui anche i ratiti che sono l’unica selvaggina allevata riconosciuta dalle norme comunitarie, purché si rispettino le regole, già elencate, della Shechità. Non abbiamo, invece, indicazioni sul fatto che sia permesso o meno di consumare carni di selvaggina cacciata, sempre parlando delle specie ammesse per uso alimentare dei fedeli di religione ebraica. Per quanto concerne, invece, i fedeli musulmani, da quanto già riportato desumiamo che essi potranno consumare sia le carni di selvaggina allevata sia quelle di selvaggina cacciata, purché di specie ammesse dal Corano. Per gli animali selvatici allevati, valgono in tutto e per tutto le regole di macellazione degli animali domestici. Nel caso della selvaggina cacciata, invece, occorre che il cacciatore che abbatte le prede sia egli stesso di fede musulmana e che nel farlo pronunci la frase di rito prima indicata. Va anche ricordato che: (1) le carcasse di selvaggina grossa abbattuta a caccia dovranno riportare il bollo sanitario del Veterinario Ufficiale che ha eseguito la visita post mortem; (2) in fase di vendita le carni sezionate dovranno riportare sulla confezione tutte le indicazioni di legge previste, a partire dal marchio di identificazione dello stabilimento in cui le carni sono state prodotte, stabilimento che deve essere in possesso della specifica autorizzazione sanitaria rilasciata dall’ASL (riconoscimento). Diagnosi caso 10: Come seguire la pista dei gelati, rispettando la legge Sulla base di quanto appena detto, il veterinario, protagonista del caso esaminato, può proporre al proprio cliente di utilizzare le bolle di consegna delle materie prime per indicare il periodo di utilizzo del prodotto stesso, purché si assicuri, anche tramite verifiche periodiche, che l’operatore rispetti quanto stabilito e che gli obiettivi prefissati siano raggiunti. L’OSA della gelateria non è obbligato a documentare la rintracciabilità dei suoi prodotti verso valle perché l’anello successivo al suo è costituito, nel caso specifico, dai consumatori finali. A tal proposito un aspetto da non trascurare sarà quello di provvedere alla formazione dell’OSA affinché comprenda l’importanza di operare secondo quanto prescritto nel manuale di autocontrollo, per ottenere un prodotto valido dal punto di vista organolettico ed igienicosanitario, riducendo al minimo il rischio di alterazioni del prodotto finito e/o l’insorgenza di intossicazioni alimentari.