questioni connesse all`igiene degli alimenti

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questioni connesse all`igiene degli alimenti
AGGIORNAMENTI IN MEDICINA VETERINARIA: questioni connesse
all’igiene degli alimenti
Diagnosi caso 1: Il banco del pesce si aggiorna
L’etichettatura dei prodotti della pesca che rientrino nel cap. 3 della nomenclatura combinata
è un obbligo di legge che prevede la conoscenza di insieme di norme comunitarie e nazionali
che sono aggiornate molto spesso. Chi si occupa di igiene dei prodotti della pesca, come
Autorità sanitaria di controllo o come consulente veterinario di aziende della filiera ittica, non
può esimersi da un aggiornamento continuo in questo settore legislativo. In caso contrario
l’Autorità sanitaria di controllo rischia di non potere contestare fondatamente eventuali errori
di etichettatura fatti dagli Operatori del Settore alimentare mentre i consulenti specializzati
rischiano di indurre in errore l’Operatore esponendolo al pericolo di sanzioni per non avere
messo in vendita i suoi prodotti con la giusta etichettatura. Non va dimenticato, infatti, che
l’etichetta contribuisce a formare il concetto di genuinità di qualunque prodotto alimentare: se
un alimento è messo in commercio con un’etichetta non conforme al dettato delle leggi
vigenti, questa sua condizione di non conformità può farlo diventare un alimento “a rischio”
secondo l’art.14 del Reg. CE 178/02 e quindi farlo escludere dalla vendita, con possibili
conseguenze anche sul piano giuridico.
Tabella 1
Sintesi schematica dei principali requisiti di legge per l’etichettatura di prodotti ittici secondo
la nuova normativa comunitaria.
Tipologia di prodotto ittico
Indicazioni obbligatorie
Prodotti ittici pescati in
Denominazione commerciale e nome latino (Dentice –
acque marine
Dentex dentex)
Indicazione
di
provenienza
indicazione del mare specifico(**)
con:
Zona
FAO(*)
o
“pescato”
Se congelato e scongelato: “decongelato” (***)
Prodotti ittici pescati in
Denominazione commerciale e nome latino
acque dolci
Indicazione di provenienza con: specchio d’acqua dolce in
cui si è pescato
“Pescato in acqua dolce”
Se congelato e scongelato: “decongelato” (***)
Prodotti ittici allevati
Denominazione commerciale e nome latino (Salmone –
Salmo salar)
Indicazione di provenienza con: Paese in cui si è avuta la
maggior parte dell’allevamento
“allevato”
Se congelato e scongelato: “decongelato” (***)
(*)
da indicare nelle fasi precedenti alla vendita al dettaglio
(**)
da indicare in vendita al dettaglio (anche su cartelloni invece che sui singoli cartellini).
(***)
non obbligatorio se il prodotto è usato come ingrediente di altri alimenti, se è destinato a
trasformazione con salatura, marinatura, ecc. o se il congelamento era per fare la bonifica di
eventuali larve anisakidi.
Tabella 2
Prodotti della pesca soggetti agli obblighi di etichettatura aggiuntiva, così come previsto del
Reg. CE n.1379/13 che entrerà in vigore il 13 dicembre 2013
Diagnosi caso 2: Un caso di nuova alterazione cromatica della ricotta
Le nicchie ecologiche preferenziali del genere Serratia sono le acque e i vegetali, da questi
habitat possono causare infezioni nell’uomo e negli animali o contaminare alimenti.
In particolare S. marcescens, patogeno opportunista, può essere causa di infezioni gravi sia
perché coinvolge, di norma, pazienti debilitati sia per la scarsa sensibilità del germe agli
antibiotici, costituendo un patogeno emergente nella salute pubblica.
In medicina umana sono state diverse le segnalazioni di infezioni opportunistiche localizzate
all’occhio, alla cute e alle vie respiratorie.
Negli animali, in particolare nei bovini, l’infezione da S. marcescens e S. liquefaciens può
provocare mastiti contaminando il latte.
Oltre alla potenziale patogenicità del genere, alcuni ceppi possono alterare gli alimenti, visto
che sono in grado di idrolizzare i peptidi e i glucidi, scindere i lipidi, sintetizzare idrogeno
solforato dalla cisteina e moltiplicarsi a temperature comprese tra 1 e 5°C.
I ceppi, inoltre, riescono a sopravvivere in soluzioni disinfettanti normalmente utilizzate
nell’industria alimentare, possono propagarsi su diverse superfici quali materiali di
imballaggio per alimenti ed impianti di mungitura.
Nel nostro caso preso in esame (le ricotte con alterazione cromatica) sembrerebbe che la
fonte di contagio sia stata rappresentata da latte proveniente da una vacca affetta da mastite.
Il primo caso di isolamento di Serratia spp. è stato descritto nel 1823, quando fu causa di
contaminazione nella polenta, il cosiddetto “miracolo della polenta sanguinante”; le colonie
simulavano, infatti, l’aspetto di gocce di sangue.
Serratia spp. è stata coinvolta anche nell’alterazione di alimenti quali uova, burro, latte e
pane.
Ricordiamo ancora S. liquefaciens e S. rubidaea che sono in grado di moltiplicare sulla
superficie di pesci affumicati ed essiccati; S. odorifera che cresce rapidamente sulla superficie
degli insaccati crudi in cui provoca la comparsa di odore pungente e la rottura del budello,
quest’ultima dovuta all’azione collagenolitica; S. marcescens, S. fonticola e S. plymuthica che
sono state isolate dal tonno e sono state in grado di decarbossilare l’istidina formando
istamina.
La possibilità delle Enterobatteriaceae e quindi anche del genere Serratia di tollerare le basse
temperature (ad esempio S. liquefaciens e S. fonticola crescono rispettivamente fino a 1,7 e
2°C) e di conseguenza la loro capacità di crescere in alimenti refrigerati è un rischio per la
salute umana, soprattutto se questi alimenti sono conservati per lungo tempo o sono
consumati senza essere preventivamente riscaldati.
Visto l’incremento di mastiti croniche sostenute da batteri Gram negativi tra cui S.
marcescens e considerando che non sempre si riesce ad identificare un serbatoio ambientale di
Serratia spp., l’evoluzione tecnologica impone la necessità di una maggiore precisione e
rapidità di identificazione degli ecosistemi microbici negli alimenti al fine di gestire ed
individuare forme adeguate di ispezione. Particolarmente approfondita dovrebbe essere
l’individuazione e la tipizzazione dei ceppi presenti nei latticini, considerato il numero di
batteri di incerta posizione tassonomica.
Diagnosi caso 3: Un difetto di gonfiore “a frigore”
Nel nostro caso specifico le confezioni che manifestavano gonfiore sono state sottoposte ad
analisi microbiologiche per la quantificazione di CMT, enterobatteri totali, coliformi, batteri
lattici e Clostridium non solfito-riduttori. Le analisi hanno rivelato la presenza nella
confezione rigonfia di alte cariche di Clostridium psicrotrofi, in media intorno a 2,3 x 106
ufc/g di carne. Né gli enterobatteri né i batteri lattici erano presenti in cariche così elevate da
attribuire a questi due gruppi di microrganismi il difetto di gonfiore. Siamo quindi di fronte a
un insolito difetto di gonfiore sostenuto da forme vegetative di specifici Clostridium
psicrotrofi, adattati a crescere in condizioni di refrigerazione profonda.
Il genere Clostridium conta oltre un centinaio di specie: poche sono patogene per uomo e
animali, per infezione diretta o tramite consumo di alimenti (C. tetani, C. perfringens, C.
botulinum), altre sono dei tipici alteranti dei formaggi stagionati (i Clostridium “butirrici”)
mentre la maggior parte delle specie sono del tutto saprofite e albergano nel contenuto
intestinale umano, degli animali o nel terreno. In ogni caso, fino a qualche anno fa si riteneva
che i Clostridium fossero batteri nettamente mesofili e che non fossero in grado di duplicare a
temperatura di refrigerazione. Solo in tempi recenti si sono scoperte alcune nuove specie di
Clostridium nettamente psicrotrofe e che per di più sono in grado di produrre enzimi
proteolitici, saccarolitici e/o lipolitici che possono provocare serie alterazioni delle carni
fresche confezionate sotto vuoto.
Vediamo qui di seguito le caratteristiche salienti di queste specie.
Caratteristiche dei Clostridium psicrotrofi alteranti
Tutti i Clostridium sono in grado di sintetizzare enzimi protolitici, saccarolitici e anche
lipolitici; dalla scissione di proteine, carboidrati e/o lipidi, i clostridi possono produrre
composti aromatici quali aldeidi e chetoni, acidi grassi liberi, acidi organici e/o anidride
carbonica. Non c’è da stupirsi, quindi, che quando proliferano in modo eccessivo in una
matrice alimentare che ne permette la crescita, questi batteri possano deteriorarne a fondo le
caratteristiche sensoriali, causando vari quadri di putrefazione profonda.
I Clostridium sono quasi tutti batteri mesofili, in grado di duplicare tra 7° e 45°C; alcune
specie sono addirittura termotrofe e crescono tra 10°C e 54°C; di recente, però, sono state
scoperte anche nuove specie di Clostridium nettamente psicrotrofe, capaci di moltiplicare
anche fino a 2°-3°C e sono proprio queste specie le responsabile di importanti difetti di
gonfiore delle carni fresche confezionate sotto vuoto. I Clostridium alteranti delle carni
fresche si chiamano C. estertheticum, C. laramiense, C. algidicarnis, C. frigidicarnis, C.
gasigenes, C. lacusfryxellense, C. bowmanii, C. psychrophilum e C. tagluense (Cavill et al.,
2011).
Una volta scoperto come si sviluppa il difetto di “gonfiore freddo” nelle carni sotto vuoto,
bisogna però scoprirne le cause e soprattutto individuare le strategie per evitare che il difetto
ricompaia.
Le cause: i Clostridium psicrotrofi che sono all’origine del difetto sono batteri essenzialmente
agrigeni, molto diffusi nel terreno e sui vegetali, sotto forma di spore; con i vegetali e gli
insilati le spore clostridiche possono arrivare nell’intestino dei bovini e con le feci tornano a
contaminare l’ambiente e la cute degli animali, in un circolo vizioso che è arduo interrompere.
I Clostridium psicrotrofi arrivano, quindi, alle carni fresche in fase di macellazione e poi di
sezionamento, per cui tanto più basso è il livello igienico delle lavorazioni tanto maggiore
sarà la carica di spore clostridiche che possono arrivare alle carni. Le spore possono
contaminare facilmente anche le superfici di lavoro all’interno del laboratorio di
sezionamento; tanto più accurate sono le operazioni di detersione e disinfezione tanto più
basso sarà il rischio di contaminazione. Un fattore che favorisce la comparsa del gonfiore da
freddo è la docciatura con acqua calda cui si sottopongono le confezioni di carne appena
messe sotto vuoto, per migliorare il grado di adesione della pellicola alle carni, con un effetto
di coartazione della pellicola sotto l’effetto del calore (shrinkage).
Come si sa, quando sono esposte ad uno shock termico le spore di Clostridium possono
germinare dando origine a cellule vive e vitali in grado di produrre gli enzimi litici.
Le strategie per ridurre il difetto: viste le cause favorenti e scatenanti il difetto di gonfiore
clostridico, le strategie per ridurre la frequenza dello stesso prevedono di:
(1) migliorare l’igiene delle operazioni di macellazione e poi di sezionamento delle carni
fresche;
(2) mettere sistematicamente in atto accurate operazioni di detersione e disinfezione delle
superfici di lavoro per ridurre il grado di contaminazione delle carni da spore;
(3) fare un ottimo sottovuoto alle carni e poi docciare le confezioni con acqua bollente ad
almeno 87°C o ancora più calda. Prove sperimentali hanno infatti dimostrato che
docciare le carni già confezionate con acqua a temperatura inferiore a quella citata
aumenta significativamente la probabilità di comparsa del difetto di gonfiore;
(4) assicurare il mantenimento costante della catena del freddo in deposito e
commercializzazione delle carni.
Diagnosi caso 4: Refrigerato o congelato?
L’attività di congelamento/scongelamento, così come previsto dalla normativa vigente, il Reg.
852/2004, non è considerata un
trattamento e i prodotti che ne derivano non sono da
considerarsi prodotti trasformati. In particolare, nel caso delle carni, il Reg. 853/2004 fa
rientrare le carni congelate tra le carni fresche.
Il congelamento e lo scongelamento degli alimenti può essere effettuato in stabilimenti
riconosciuti o registrati e non è un’attività soggetta a riconoscimento; infatti, nessuna norma
prevede espressamente il rilascio di uno specifico atto amministrativo (autorizzazione
sanitaria).
Tuttavia, un’industria alimentare riconosciuta/registrata che decida di intraprendere,
successivamente, un’attività di congelamento/scongelamento deve portarne a conoscenza
l’Autorità competente nei modi e nei tempi dovuti (Reg. 852/2004).
Diversamente da quanto appena detto, presso gli esercizi di vendita al dettaglio non è
consentito congelare alimenti acquistati allo stato di refrigerazione.
Le uniche deroghe sono concesse nel caso di alimenti commercializzati previa
trasformazione presso i laboratori annessi agli spacci, su cui dovrà essere indicato che si tratta
di prodotti ottenuti da materie prime congelate e nel caso di profilassi delle parassitosi dei
prodotti della pesca (Anisakis), con possibilità di effettuare il congelamento presso lo spaccio
di vendita.
Diagnosi caso 5: Un hamburger … di grande etichetta
Impostare l’etichetta di un hamburger di pesce nello spirito delle norme comunitarie di
prossima adozione anche in Italia è fattibile, ma bisognerà tenere conto di varie norme
nazionali e comunitarie che si intrecciano fra loro nel formare, appunto, un’etichetta conforme
alla legge.
In particolare, occorre tenere ben presente quanto è previsto dal Reg. CE n.1924/06 prima di
portare sulle confezioni indicazioni che attirano l’attenzione del consumatore sul ridotto
apporto calorico di quel cibo e la relativa abbondanza di acidi grassi insaturi della serie
omega-3.
Altro punto importante da tenere presente sono le indicazioni di produzione (pescato,
allevato) e la zona di mare o il paese nei quali i vari pesci sono stati pescati o allevati.
Da non scordare che con l’entrata in vigore del Reg. CE n.1169/11 l’etichetta nutrizionale
diventerà obbligatoria per tutti gli alimenti e che in essa andranno citati anche la
composizione di zuccheri e quella di acidi grassi, nonché la quantità di sale eventualmente
aggiunto.
Diagnosi caso 6: Celiachia, OSA e controlli ufficiali: quali problematiche?
Tutti gli esercizi di vendita che intendono iniziare un’attività in cui sia prevista la produzione di
alimenti destinati a soggetti celiaci devono notificare all’ASL competente l’inizio di tale attività,
indicando gli alimenti che si intendono somministrare, il ciclo produttivo, le caratteristiche dei
locali, le attrezzature utilizzate. Naturalmente, nel piano di autocontrollo dovranno essere
individuate tutte le fasi del processo in cui sussiste il rischio di contaminazione e dovranno essere
indicate le eventuali azioni correttive da adottare in caso di non conformità, nonché le modalità di
verifica dell’effettiva validità del piano.
Nel piano di autocontrollo potrebbero essere previste analisi di laboratorio finalizzate a verificare
che le procedure per escludere la presenza di glutine nei prodotti alimentari sia correttamente
applicata ed efficace.
Invece, non hanno tali obblighi le strutture che eseguono preparazioni occasionali, su richiesta del
cliente, di piatti destinati a persone intolleranti al glutine, in quanto basati su prodotti naturalmente
privi di glutine o con alimenti sostitutivi notificati ai sensi D.L.vo 111/1992.
Inoltre, l’attività di preparazione di tali prodotti potrà essere svolta negli stessi locali dove vengono
lavorati altri alimenti, purché vengano messe in atto le necessarie precauzioni che dovranno essere
opportunamente documentate e messe a disposizione dell’Autorità competente. In particolare:
•
modalità di pulizia/sanificazione dei locali ed igiene del personale;
•
differenziazione temporale delle preparazioni;
•
formazione del personale.
Bisogna, però, rimarcare che non è assolutamente semplice eliminare residui di glutine dalle
superfici di lavoro. Di conseguenza, è opportuno che l’OSA predisponga adeguati protocolli di
sanificazione ed eventualmente una verifica di laboratorio sulle superfici dopo sanificazione, per
accertarsi dell’effettiva assenza di residui di glutine.
Per alcune imprese può essere prevista una procedura semplificata nel caso in cui le prescrizioni di
buona pratica operativa, conseguano l’obiettivo del controllo dei pericoli alimentari e nelle quali gli
addetti allo specifico ciclo produttivo non superino le 10 unità (in linea con la definizione di
“microimprese” di cui alla Raccomandazione 2003/361 CE della Commissione Europea).
Diagnosi caso 7: Un prosciuttificio molto scrupoloso
Valutato il ciclo vitale di Toxoplasma gondii, arriviamo alla conclusione che nelle carni di
maiale crude da avviare a produzione di prosciutto o spalla cotti il protozoo deve per forza di
cose trovarsi sotto forma di bradizoiti raccolti all’interno di una pseudocisti.
Abbiamo già annotato prima che i cistozoiti presenti nelle pseudocisti resistono fino a 6 ore
all’effetto litico degli enzimi gastrici e intestinali e che occorrono almeno 10 minuti a 60°C
per inattivarli. Tenuto presente il processo produttivo del prosciutto cotto che prevede
trattamenti termici ad almeno 65°-75°C per non meno di 8-12 ore, possiamo quindi
concludere che la stufatura del prosciutto cotto è un procedimento più che sufficiente per
annullare del tutto le eventuali pseudocisti toxoplasmi che presenti nelle masse muscolari del
suino. Di conseguenza possiamo concludere con sufficiente fondatezza scientifica che il
trattamento di salatura/salagione e cottura di questi prodotti di salumeria è tale da ridurre al
minimo il rischio, per l’uomo, di contrarre la toxoplasmosi mangiando qualche fetta di
prosciutto o di spalla cotti.
Potrebbe essere tutto, ma manca ancora un dato da considerare: qual è la prevalenza dei
soggetti infetti da Toxoplasma gondii, fra i suini allevati?
Secondo dati epidemiologici forniti dall’EFSA europea, fra gli animali da reddito quelli che
presentano le maggiori prevalenze di soggetti infetti sono, in ordine di importanza
decrescente:
(1) ovicaprini
(2) suini
(3) bovini
(4) pollame
(5) solipedi domestici.
Secondo alcuni Autori, ogni anno negli Stati Uniti vengono macellati oltre 110 milioni di
maiali; in base ai dati epidemiologici a disposizione, si può quindi ragionevolmente ritenere
che almeno 2,8 milioni di suini arrivi ogni anno al macello infetto da Toxoplasma.
In Cina, la prevalenza di suini infetti da Toxoplasma è stata rilevata per la prima volta nel
2012 con una prevalenza di circa il 18% dei soggetti valutati.
In Svizzera, alcuni Autori hanno stabilito che i suini sono infetti da Toxoplasma in media nel
3,2% dei capi, ma ancora più diffusa è la toxoplasmosi tra i cinghiali (3,7%).
Come vedete, i suini sono tra gli animali da reddito che presentano le maggiori prevalenze di
capi infetti da Toxoplasma gondii, per cui la probabilità che nelle carni di maiale vi possano
essere delle pseudocisti di toxoplasmi è tutt’altro che remota.
Il ciclo di produzione del prosciutto cotto, in ogni caso, assicura la completa devitalizzazione
delle forme parassitarie.
Diagnosi caso 8: Nuove mode in cucina:rischi e vantaggi
La Normativa Europea sulla sicurezza alimentare (Reg. CE 178/2002, Reg. CE 852/2004, Reg. CE
853/2004, Reg. CE 854/2004, Reg. CE 882/2004) ha apportato numerose modifiche rispetto alla
precedente normativa, con l’obiettivo di garantire la tutela della salute del consumatore. Riguardo
alla vendita e alla somministrazione di preparazioni a base di pesce crudo è fatto obbligo di
sottoporre il pesce a operazioni di bonifica tramite processi termici di congelamento o
surgelamento. In particolare, il Reg. 853/2004 stabilisce che vengano “congelati ad una temperatura
non superiore a -20°C in ogni parte della massa per almeno 24 ore i prodotti della pesca che vanno
consumati crudi o praticamente crudi…..” Nel corso di studi effettuati presso esercizi di
preparazione e vendita di prodotti ittici da consumarsi senza cottura, su locali e attrezzature nonché
su campioni di pesce crudo, se da un lato è stata messa in evidenza, complessivamente, l’assenza di
gravi carenze igienico-sanitarie di strutture e attrezzature è anche vero che dall’altro lato è emersa la
persistenza di comportamenti scorretti da parte di alcuni OSA riguardo al rispetto delle buone
norme igieniche. Sono risultati, infatti, piuttosto alti i valori di carica microbica totale su prodotti
ittici e su altre materie prime; alquanto variabili, invece, i valori di coliformi totali e coliformi
fecali. In rarissimi i casi sono stati isolati Stafilococcus aureus e Bacillus cereus; la presenza del
primo era dovuta, probabilmente, all’operatore mentre quella del secondo è stata attribuita alla
scorretta preparazione del riso utilizzato, soprattutto in fase di raffreddamento. Sulla base degli esiti
delle analisi si può affermare che la materia prima utilizzata è di buona qualità e che sono assenti
gravi carenze igieniche di strutture e attrezzature; tuttavia, persistono comportamenti scorretti dal
punto di vista igienico-sanitario da parte del personale che si occupa della ristorazione. Emerge,
quindi, la necessità di organizzare corsi di formazione per gli OSA, con particolare attenzione agli
operatori orientali e migliorare l’informazione dei consumatori riguardo alla necessità di utilizzare
pesce surgelato. Molti di essi, infatti, a causa della scarsa conoscenza del rischio, non gradiscono
che il pesce sia preventivamente sottoposto a congelamento in quanto temono un deterioramento
delle caratteristiche organolettiche. Potrebbe essere opportuno, in tal senso, descrivere nel menù il
motivo per cui è necessario adottare tale trattamento e naturalmente integrare l’informazione
sottolineando che un corretto congelamento non determina il deprezzamento della qualità
organolettica del prodotto.
Diagnosi caso 9: La selvaggina può essere Kashèr o Halal?
In base a quanto ho appena ricordato per quanto riguarda la religione ebraica, tra gli animali
selvatici potranno quindi essere destinati a produrre carne kashér i ruminanti come cervi,
daini, caprioli, renne e simili mentre sono da vietare i camelidi. Ovvio il divieto di ricavare
carni dai cinghiali come pure dai rettili e dai roditori, visto che non sono ammessi. Sono,
invece, ammessi alla produzione di carni kashér tutti i volatili per cui anche i ratiti che sono
l’unica selvaggina allevata riconosciuta dalle norme comunitarie, purché si rispettino le
regole, già elencate, della Shechità. Non abbiamo, invece, indicazioni sul fatto che sia
permesso o meno di consumare carni di selvaggina cacciata, sempre parlando delle specie
ammesse per uso alimentare dei fedeli di religione ebraica. Per quanto concerne, invece, i
fedeli musulmani, da quanto già riportato desumiamo che essi potranno consumare sia le carni
di selvaggina allevata sia quelle di selvaggina cacciata, purché di specie ammesse dal Corano.
Per gli animali selvatici allevati, valgono in tutto e per tutto le regole di macellazione degli
animali domestici. Nel caso della selvaggina cacciata, invece, occorre che il cacciatore che
abbatte le prede sia egli stesso di fede musulmana e che nel farlo pronunci la frase di rito
prima indicata.
Va anche ricordato che:
(1) le carcasse di selvaggina grossa abbattuta a caccia dovranno riportare il bollo sanitario
del Veterinario Ufficiale che ha eseguito la visita post mortem;
(2) in fase di vendita le carni sezionate dovranno riportare sulla confezione tutte le
indicazioni di legge previste, a partire dal marchio di identificazione dello stabilimento
in cui le carni sono state prodotte, stabilimento che deve essere in possesso della
specifica autorizzazione sanitaria rilasciata dall’ASL (riconoscimento).
Diagnosi caso 10: Come seguire la pista dei gelati, rispettando la legge
Sulla base di quanto appena detto, il veterinario, protagonista del caso esaminato, può
proporre al proprio cliente di utilizzare le bolle di consegna delle materie prime per indicare
il periodo di utilizzo del prodotto stesso, purché si assicuri, anche tramite verifiche
periodiche, che l’operatore rispetti quanto stabilito e che gli obiettivi prefissati siano
raggiunti. L’OSA della gelateria non è obbligato a documentare la rintracciabilità dei suoi
prodotti verso valle perché l’anello successivo al suo è costituito, nel caso specifico, dai
consumatori finali.
A tal proposito un aspetto da non trascurare sarà quello di provvedere alla formazione
dell’OSA affinché comprenda l’importanza di operare secondo quanto prescritto nel manuale
di autocontrollo, per ottenere un prodotto valido dal punto di vista organolettico ed igienicosanitario, riducendo al minimo il rischio di alterazioni del prodotto finito e/o l’insorgenza di
intossicazioni alimentari.