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TESTO PROVVISORIO
VI CORSO DI AGGIORNAMENTO IN
DIRITTO MATRIMONIALE E PROCESSUALE CANONICO
martedì 20 settembre 2016
La fase previa all’introduzione del libello e la consulenza tecnica
Prof. Marino MOSCONI
La responsabilità dei coniugi nella fase previa all’introduzione del libello
Poniamo la nostra attenzione sulla fase del procedimento canonico di nullità che precede
l’introduzione del libello. Titolare di questa prima fase, ai sensi del can. 1674 § 11, possono essere i
coniugi (o uno di essi) oppure il promotore di giustizia, ma solo «quando la nullità sia già stata
divulgata» («cum nullitas iam divulgata est») e «non si possa convalidare il matrimonio o non sia
opportuno» («si matrimonium convalidari nequeat aut non expediat»). La nostra attenzione sarà
limitata ai casi in cui l’iniziativa della fase previa sia assunta congiuntamente dai due coniugi o da
uno due: d’intesa con l’altro coniuge o del tutto autonomamente, nell’impossibilità di contattare
l’altro o nella sua indifferenza o ancora contro la sua volontà. Resta invece esclusa la
considerazione del caso in cui la causa è promossa dal promotore di giustizia.
La scelta di limitare l’attenzione a questa situazione si motiva non solo per il fatto che è certamente
la fattispecie più comune ma perché il punto delicato della fase previa all’introduzione del libello è
proprio quello che, colui (o coloro) a cui compete, possa essere in grado di discernere quando sia
opportuno introdurre una causa di nullità e giungere sino alla definizione di una simile volontà con
un grado di precisione tale che possa poi essere tradotto nel libello. Mentre i requisiti per conseguire
queste finalità sono facilmente accessibili al promotore di giustizia (per competenza propria, can.
1435 e per la possibilità di disporre del sostegno della struttura del tribunale), sono normalmente
carenti (salvo il caso del tutto eccezionale in cui i coniugi o uno di essi siano competenti in ambito
canonico) nel coniuge. Il non affrontare questa difficoltà potrebbe comportare una negazione di
fatto della possibilità stessa di dare avvio a una causa di nullità, a detrimento del diritto dei fedeli di
ricorrere al foro ecclesiastico di cui tratta il can. 221 § 1.
Le valutazioni e le scelte a cui il coniuge è chiamato, nella fase che precede il libello, sono del resto
particolarmente rilevanti e complesse da attuare e possono essere così compendiate:
- ripercorrere la propria vicenda sentimentale e coniugale, con verità (non basta la coerenza del
giudizio logico, si pensi ad es. ai casi implicanti la fattispecie di cui al can. 1095, 2°-3°) e una certa
terzietà, per farne emergere gli snodi problematici (che non sono solo quelli che hanno condotto al
fallimento della vita coniugale, essendo i motivi di nullità talvolta afferenti a cause per sé
estrinseche alla qualità della vita di coppia);
- acquisire una consapevolezza adeguatamente motivata dell’impossibilità di superare i motivi di
contrasto insorti nella vita coniugale e, nel caso in cui sia già stata assunta la scelta della
separazione (o persino del divorzio), confrontarne la coerenza con i principi stabiliti
dall’insegnamento morale della Chiesa e dal diritto canonico (cf cann. 1151-1155);
- verificare, nel confronto con un esperto, la propria attitudine ad agire come parte attrice in una
causa di nullità (cf can. 1476 e can. 1478);
1
La citazione dei canoni nel presente contributo farà sempre riferimento al testo vigente del Codice di
diritto canonico, così come modificato da: FRANCESCO, motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus, 15 agosto
2015, entrato in vigore in data 8 dicembre 2015.
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- verificare, sempre nel confronto con un esperto, se uno o più dei nodi problematici individuati
possono rientrare in uno dei capi di nullità previsti dall’ordinamento canonico o se non vi siano altri
nodi problematici sfuggiti alla prima disamina ma che emergono dalla migliore conoscenza della
legge della Chiesa (ad es. l’assistenza alle nozze da parte di un ministro sprovvisto di valida delega,
can. 1111 e can. 144) o ancora se non vi siano elementi che non comportano la nullità ma aprono
alla possibilità di chiedere lo scioglimento del vincolo per inconsumazione o per favor fidei;
- nel caso in cui vi siano elementi di possibile nullità, definirli con accuratezza e attribuirne la
responsabilità;
- definire una ricostruzione organica ed ordinata della vicenda in cui emergano gli elementi di
possibile nullità e verificare la possibilità di provare adeguatamente quanto asserito, possibilmente
acquisendo già gli elementi di prova accessibili e indicando quelli la cui acquisizione dovrà essere
chiesta al tribunale;
- se non è ancora stato fatto, coinvolgere l’altro coniuge o quantomeno individuare gli elementi per
la sua reperibilità;
- individuare il foro ecclesiastico competente cui rivolgersi;
- individuare la forma processuale da scegliere: processo breve, processo ordinario o processo
documentale;
- in una qualsiasi delle fasi sinora considerate o, se non è stato fatto prima, a conclusione delle
azioni precedenti, individuare un patrono che possa assistere il coniuge come attore (o i due
coniugi, se agiscono congiuntamente) nel corso del procedimento canonico (salvo il caso in cui la
parte voglia chiedere di essere autorizzata a stare in giudizio da sola, come prevede il can. 1481 §3).
Ovviamente tutti questi articolati adempimenti devono essere soddisfatti al momento della
introduzione del libello.
Nel caso in cui si tratti di introdurre una nuova causa dopo il rigetto di un’istanza precedente i
requisiti saranno meno onerosi in quanto alcuni compiti sono già stati svolti, sebbene per certi
aspetti sarà ancora più importante in questo caso il rigore del discernimento e delle valutazioni da
assumere.
L’onerosità degli adempimenti cui un coniuge deve sottoporsi nel momento in cui intende chiedere
alla Chiesa una verifica della nullità del proprio matrimonio è pertanto davvero notevole. Ci si può
chiedere in questo senso se non ci sia una sproporzione esagerata tra il numero (purtroppo ancora
molto elevato) di divorzi (almeno nel mondo occidentale) e il numero comunque molto esile delle
cause canoniche di nullità introdotte (numero che resta decisamente ridotto anche se considerassimo
pure gli scioglimenti). Ovviamente questo aspetto deve essere considerato con una certa cautela,
senza cadere in conclusioni superficiali dedotte dalla semplice sproporzione numerica tra i due dati:
si consideri a questo proposito che non tutti i matrimoni (già di per se numericamente limitati,
essendo ad es. il tasso di nuzialità in Italia quello di 2,2-2,3 matrimoni annui per mille abitanti: la
metà di quello europeo, a sua volta comunque modesto rispetto ad altre parti del mondo) sono
canonici (ad es. oggi lo sono a Milano solo il 35,7% dei matrimoni celebrati), non tutti i matrimoni
canonici che finiscono nella separazione o nel divorzio sono per ciò stesso nulli e non tutti coloro
che hanno contratto un matrimonio nullo hanno interesse a una causa di nullità (perché non hanno
l’interesse o la forza per realizzare una nuova unione o perché per vari motivi non sono interessati a
un giudizio oggettivo sull’esperienza passata).
Nonostante tali osservazioni, è un dato di fatto che i fedeli si trovano in grande difficoltà quando si
trovano a valutare se sia il caso di chiedere un giudizio di nullità sul proprio matrimonio e di questo
fanno fede le numerose risposte raccolte dalle conferenze episcopali (ma anche da altri soggetti
ecclesiali che sono stati coinvolti nella consultazione) in occasione dei due Sinodi dei Vescovi sulla
famiglia: quello straordinario del 2014 e quello ordinario del 2015. In particolare i dati raccolti nella
consultazione hanno messo in luce, prima ancora della difficoltà ad espletare tutti gli adempimenti
necessari, una marcata e diffusa diffidenza dei fedeli verso i tribunali ecclesiastici, che porta alla
scelta di rifiutarne previamente l’apporto. Diversi gli aspetti di questa diffidenza:
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- il costo eccessivo attribuito a tali procedimenti: sebbene perlopiù si tratta di oneri ben minori ad
altri procedimenti giudiziali e alcuni paesi (tra i quali l’Italia 2 ) prevedono da tempo forme
significative di sostegno economico, questa continua ad essere la convinzione comune;
- il convincimento che si tratti di processi molto lunghi e faticosi (purtroppo in non pochi casi non si
tratta solo di un’impressione, anche se questo non vale per tutti i processi e per tutte le sedi);
- l’impressione che si tratti di strutture molto fredde e lontane dall’esperienza dei fedeli, rafforzata
talvolta dal fatto che la stessa sede del tribunale è geograficamente distante (e non tutti i paesi
hanno la stessa agibilità negli spostamenti);
- la difficoltà psicologica nel pensare di affidare la rilettura della propria vita a persone terze e
pensate come potenzialmente poco rispettose del singolo (in questo l’esperienza di alcuni tribunali
civili appare talvolta pregiudizievole);
- il convincimento (che purtroppo trova alcune conferme, anche se ben rare rispetto all’insieme dei
tribunali della Chiesa) che i tribunali ecclesiastici siano arbitrari nel loro agire e ultimamente
compromessi con interessi di natura economica.
Le difficoltà operative precedentemente ricordate e i giudizi malevoli appena esposti si assommano
alfine nell’allontanare i fedeli dai tribunali ecclesiastici e nel fare apparire a molti come
difficilmente percorribile la via della richiesta di verifica di nullità del proprio matrimonio. L’opera
di molti avvocati e patroni (tra i quali in modo speciale i patroni stabili) è stata ed è indubbiamente
di supporto nel superare tali difficoltà, affiancandosi al fedele e sciogliendo i suoi dubbi e le sue
precomprensioni ma questo non è sufficiente, sia perché anche queste figure ricadono in alcuni dei
pregiudizi sopra rammentati (gli avvocati ecclesiastici spesso non sono conosciuti o sono temuti per
l’onorario che possono richiedere e che molti ritengono pregiudizialmente esagerato, anche se in
alcuni paesi esistono criteri ben precisi di limitazione previa delle spese), sia perché in ogni caso
non rispondono all’obiettivo di rendere disponibile il fedele incerto e dubbioso a una lettura in sede
giudiziaria della propria vicenda. Ne deriva pertanto il dovere di delineare qualche passo ulteriore in
favore di un più libero e sereno approccio dei fedeli al giudizio ecclesiastico, come infatti già
ricordava Benedetto XVI: «è un obbligo grave quello di rendere l'operato istituzionale della Chiesa
nei tribunali sempre più vicino ai fedeli»3.
Papa Francesco affronta espressamente questo tema al n. 244 dell’esortazione apostolica
postsinodale Amoris laetitia, del 19 marzo 2016, laddove indica tre chiari strumenti che rispondono
alla difficoltà sopra individuata:
- l’approvazione in data 15 agosto 2015 (a seguito del Sinodo straordinario del 2014) del motu
proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (e per le Chiese orientali del motu proprio Mitis et Misericors
Iesus)4 di cui il Papa ricorda in Amoris latetia l’apporto per la «semplificazione delle procedure» e
per l’evidenziazione del ruolo del Vescovo come «giudice tra i fedeli a lui affidati»;
2
Per quanto riguarda i costi è da menzionare quanto disposto dalla CEI con le Norme circa il regime amministrativo
dei tribunali ecclesiastici regionali italiani e l’attività di patrocinio svolta presso gli stessi, del 30 marzo 2001. In forza
di tali norme il costo dell’accesso al tribunale ecclesiastico in questi anni si è mantenuto a un livello di onerosità
(considerata anche la vigilanza sulle parcelle che possono essere chieste da chi effettua il patrocinio) del tutto coerente
con la possibilità reddituale dalla maggior parte dei richiedenti, garantendo sempre il gratuito patrocinio a tutti coloro
(parti attrici e convenute) che non fossero in grado di provvedervi, così che è possibile affermare che, almeno in questi
anni, nessuno è stato trattenuto «dall’adire i tribunali … per le eccessive spese» (PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI
LEGISLATIVI, istruzione Dignitas Connubii, 25 gennaio 2005, art. 308). Su impulso di Mitis Iudex Dominus Iesus
tuttavia tali norme sono in via di ridefinizione per meglio garantire i fedeli e tener conto della nuova organizzazione che
possono assumere i tribunali ecclesiastici: cf CEI, Comunicato finale della 69° Assemblea generale, n. 4, in «Avvenire»
20 maggio 2016, p. 25.
3
BENEDETTO XVI, Discorso al tribunale della Rota Romana in occasione dell’inaugurazione dell’anno
giudiziario, 28 gennaio 2006.
4
Tra i primi contributi per una lettura delle nuove norme, relativamente a Mitis Iudex Dominus Iesus, si
segnalano: L. SABBARESE, Nuove norme per la dichiarazione di nullità del matrimonio, Bologna 2016 e
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- il richiamo al dovere (posto in capo ai Vescovi) di attuare il motu proprio, per «assicurare un
accesso più facile dei fedeli alla giustizia» e questo anche preparando «personale sufficiente che si
consacri in modo prioritario a questo servizio ecclesiale» (da evidenziare l’attributo concernente la
priorità di questo servizio ecclesiale almeno in alcune delle persone scelte, a dispetto della realtà
fattuale in cui il personale impiegato nel tribunale è sovente gravato da altre e rilevanti attività);
- il chiedere agli ordinari diocesani di mettere a disposizione dei fedeli un servizio di informazione,
consiglio e mediazione.
Poniamo la nostra attenzione proprio su quest’ultimo aspetto, che in fase introduttoria della causa è
preminente perché è quello che consente di superare quella diffidenza iniziale che è del tutto
ostativa rispetto al compimento di qualsiasi ulteriore passo. Si tratta di affiancare in qualche modo il
coniuge che intende introdurre la causa di nullità, così che abbia a riconoscere che anche attraverso
i giudizi canonici la Chiesa esprime il proprio volto buono, riflesso del volto misericordioso e
buono di Cristo.
L’aiuto all’esercizio della responsabilità dei coniugi in vista dell’introduzione delle cause di nullità:
un servizio da svolgere «nell’ambito della pastorale matrimoniale diocesana unitaria»
Come precedentemente evidenziato il primo e fondamentale ostacolo che allontana i coniugi dal
prendere in considerazione anche la sola ipotesi di chiedere una verifica dell’eventuale nullità del
proprio matrimonio è la lontananza dalla realtà del tribunale ecclesiastico, considerato avulso e
improprio rispetto all’esperienza concreta della vita di fede. Nell’ambito della vita ecclesiale questa
diffidenza trova la propria radice nella radicale frattura che talvolta sembra crearsi tra l’impegno
della Chiesa per accompagnare pastoralmente i coniugi, anche nelle situazioni di crisi coniugale
(con l’attenzione comune della pastorale parrocchiale ma anche con il ricorso a soggetti specifici,
quali in primo luogo i consultori familiari) e la realtà dei tribunali, intesa come strettamente
giuridica e perciò stesso (secondo una lettura pregiudicata e riduttiva del concetto stesso di diritto e
in particolare di diritto canonico) estranea al grande compito della Chiesa di condurre gli uomini
sulle vie della salvezza. Si tratta di quello che, con lucidità il Giraudo definisce «lo scollamento che
in alcuni contesti ecclesiali si può registrare tra il grande sforzo di accompagnamento pastorale per
le unioni matrimoniali in crisi o irregolari, e l’azione del tutto periferica dei tribunali, intesi come
luoghi del giuridico e non dell’attenzione al bene salvifico delle persone»5.
In questa linea già l’instrumentum laboris per il Sinodo straordinario del 2014, al n. 102, segnalava
che molti pareri raccolti nel corso dei lavori preparatori al Sinodo (la raccolta di pareri è avvenuta
sia in occasione del Sinodo straordinario che in occasione del Sinodo ordinario, ma ovviamente la
prima consultazione è risultata più importante perché introduttiva dell’intero percorso) chiedevano
di collocare la questione dell’accesso ai processi matrimoniali nel contesto integrale della pastorale
familiare: «in molte risposte si insiste sul fatto che snellire il processo canonico sia utile solo se si
affronta in modo integrale la pastorale familiare»6.
Alla luce di questa osservazione, l’art. 2 delle regole procedurali del motu proprio Mitis Iudex
Dominus Iesus7 (d’ora in poi: regole procedurali) prevede che l’indagine pregiudiziale o pastorale
AA.VV., La riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco. Una guida per tutti (a cura della
redazione di Quaderni di diritto ecclesiale), Milano 2016.
5
A. GIRAUDO, Snellimento della prassi canonica in ordine alla dichiarazione di nullità del vincolo
matrimoniale, in «Quaderni di diritto ecclesiale» 28 (2015) 319-325: 321.
6
SINODO DEI VESCOVI, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione (instrumentum laboris), 24
giugno 2014, n. 102.
7
Il riferimento è alle Regole procedurali per la trattazione delle cause di nullità matrimoniale («Ratio
procedendi in causis ad matrimonii nullitatem declarandam»), approvate congiuntamente al motu proprio
Mitis Iudex Dominus Iesus.
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che prepara all’eventuale introduzione del libello sia effettuata «nell’ambito della pastorale
matrimoniale diocesana unitaria» («intra pastorale opus dioecesanum de matrimonio unitarium
evolvetur»). Il termine «unitaria» suggerisce pertanto che l’accompagnamento verso l’eventuale
causa di nullità è da considerarsi parte dell’accompagnamento più complessivo offerto al fedele il
cui matrimonio è entrato in crisi. Papa Francesco in Amoris Letitia al n. 244, giudica pertanto
«necessario» che vi sia un «servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla
pastorale familiare, che potrà pure accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al
processo matrimoniale». In questo modo il mediare tra i coniugi in crisi, il dare le giuste
informazioni e il consigliare circa le scelte da assumere diventano attività già capaci di
ricomprendere al loro interno un’attenzione all’eventuale possibilità di una dichiarazione di nullità,
a cui il fedele si troverebbe così introdotto senza difficoltà, cogliendo tale sbocco come un naturale
sviluppo del percorso di approfondimento della sua situazione di crisi coniugale, sostenuto e
illuminato dalla sapienza della Chiesa.
Si potrebbero in tal senso raccogliere in unità le attività di informazione, mediazione, consulenza e
introduzione all’eventuale causa di nullità attorno alla cifra sintetica ed emblematica dell’ascolto.
La relatio synodi del Sinodo straordinario del 2014 poneva infatti l’ascolto come una priorità della
pastorale familiare, esprimendolo in termini particolarmente efficaci: «ogni famiglia va innanzitutto
ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla
strada di Emmaus. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di Papa Francesco:
“la Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa arte
dell’accompagnamento, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra
dell’altro (cf. Es 3,5)”»8.
Da questo modo di intendere l’accompagnamento delle situazioni di crisi coniugale come ascolto
deriva un'altra prospettiva con cui interpretare il riferimento dell’art. 2 delle regole procedurali alla
«pastorale diocesana matrimoniale unitaria» ed è intendere con questa espressione il superamento di
una previa e troppo netta distinzione dell’attenzione della Chiesa verso i coniugi in crisi tra quelli
che sono interessati a una verifica di nullità e quelli che non prendono in considerazione tale ipotesi
(perché non possono o perché non vogliono).
I fedeli che vivono un’esperienza di crisi coniugale sono in tal modo invitati in primo luogo ad
affidarsi all’accompagnamento amorevole della Chiesa, per scoprire nell’ambito di tale percorso le
ragioni di una possibile causa di nullità (ovviamente restando per tutti impregiudicata la possibilità
di rivolgersi direttamente a del personale qualificato per essere introdotti subito a una verifica di
nullità, che evidentemente già si intravede come plausibile). L’ascolto, unico per tutti, si potrà così
precisare solo successivamente in percorsi differenziati, che possono condurre a diversi esiti, che
possono essere così esemplificati:
1) Alcuni coniugi verranno condotti al superamento delle difficoltà emerse, perché se ne ravvisano
la possibilità e l’opportunità. Se si sospettasse in questo caso una nullità del matrimonio si possono
esortare i fedeli a ricorrere alla convalidazione delle nozze (matrimonio putativo, can. 1061 § 3),
secondo le figure giuridiche previste dall’ordinamento canonico della convalidazione semplice
(cann. 1156-1160) o della sanazione in radice (cann. 1161-1165, che per grave causa può essere
concessa anche all’insaputa di una o di entrambe le parti, can. 1164).
2) Alcuni coniugi potranno concludere che è per loro opportuno il ricorso alla separazione
coniugale, semplicemente attuata di fatto o legalizzata in forma civile e/o canonica. I fedeli saranno
aiutati in questo caso a conoscere quali sono le condizioni che rendono possibile o persino
opportuno anche per un cristiano giungere alla separazione (sulla base della dottrina di cui ai cann.
8
SINODO DEI VESCOVI, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione (relatio
synodi), 18 ottobre 2014, n. 46. Il riferimento alle parole del Papa è a: FRANCESCO, esortazione apostolica
Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 169.
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1151-1155 ) o addirittura al divorzio (che per il fedele avrà sempre il significato di una
separazione10), superando da un lato la falsa opinione secondo cui la separazione o quantomeno il
divorzio sono sempre moralmente impossibili per un credente e dall’altro l’altrettanto falsa
opinione secondo cui la separazione (e finanche il divorzio) è semplicemente il frutto legittimo
della propria libera scelta, quali che siano i motivi che la sostengono. Diversi potranno poi essere i
modi con cui vivere la realtà della separazione: come un’esperienza grave ma che può ancora essere
vinta dal perdono e dalla riconciliazione; come un momento di rottura definitiva che potrebbe
sfociare canonicamente nello scioglimento o nella nullità; come un momento definitivo ma da
vivere nella permanenza del vincolo coniugale originario (potendosi dare o meno in questo caso per
il fedele separato un nuovo legame affettivo).
In quest’ultima situazione i fedeli devono anche essere aiutati a sapere che, sulla base di ragioni di
coscienza, possono chiedere al Vescovo (anche in Italia, dove pure la normativa CEI11 rimanda per
le cause di separazione con permanenza del vincolo alla competenza dei tribunali civili, certamente
più qualificati per trattare le controversie patrimoniali e personali ma meno qualificati per
valutazioni di ordine morale) il decreto canonico che riconosce la legittimità della separazione (can.
1692 § 1), venendo così sollevati da dubbi circa la legittimità della condizione di separazione con
un’attestazione autorevole, valevole anche presso terzi12.
In questo caso, inoltre, i fedeli potranno essere opportunamente rimandati alle realtà pastorali e
aggregative (associazioni, centri pastorali, consultori) che aiutano i fedeli a vivere la condizione di
separati, sia nel caso in cui si ritrovino soli, che nel caso in cui vivano un nuovo legame che preveda
o meno un matrimonio civile13. In ogni caso i fedeli separati dovranno essere aiutati a superare
l’impressione, che talvolta emerge inappropriatamente, di una loro condizione di emarginazione
nella Chiesa14
3) Alcuni coniugi, verificata l’irreparabilità della crisi coniugale, potranno rilevare la sussistenza di
elementi idonei per chiedere lo scioglimento del matrimonio per inconsumazione o per favor fidei.
Quando tale possibilità emerge dalla consulenza effettuata e si ravvisa che un tale atto è anche
opportuno (can. 1698 «de facto inconsumationis matrimonii et de existentia iustae causae ad
dispensationem concedendam»), i fedeli devono essere resi consapevoli di questo e aiutati a
comprendere il senso proprio dell’istituto canonico dello scioglimento del vincolo e soprattutto le
sue ragioni, ben distinguendo ovviamente il caso di inconsumazione dai casi di scioglimento per
favor fidei.
Analogamente a quanto può essere attuato nella fase precedente al libello per le cause di nullità, si
potranno aiutare anche in questo caso i fedeli a preparare tutto il materiale utile per l’introduzione
della domanda di scioglimento e a individuare gli elementi atti a sostenerla. Il fedele, avendo ben
istruito la sua richiesta e avendo ricevuto una precisa indicazione di quale sia l’autorità ecclesiastica
competente cui rivolgersi, potrà in tal modo portare avanti il procedimento verso lo scioglimento,
anche senza ricorrere ad ulteriori consulenze.
4) Per alcuni coniugi, infine, verificata ancora l’irreparabilità della crisi coniugale (e quindi la
sussistenza delle condizioni per addivenire alla separazione), si apre come plausibile una ricerca
9
Per una presentazione dei procedimenti canonici di separazione cf il capitolo 10 di: I. LLOBELL, I
processi matrimoniali nella Chiesa, Roma 2015, pp. 283-302.
10
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2383: «Si divortium civile unus restat modus ad quaedam iura legitima
praestanda, filiorum curam vel patrimonii defensionem, potest tolerari quin culpam constituat moralem».
11
CEI, Decreto generale sul matrimonio canonico, 5 novembre 1990, nn. 54-55.
Attualmente uno dei rari casi in cui si ricorre a questo decreto è quello, richiesto dalla Santa Sede, dei
fedeli separati che chiedono di essere ammessi nella vita religiosa.
13
Ad es. vivendo questa condizione secondo le indicazioni di: GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio,
22 novembre 1981, n. 84 e tenendo conto delle indicazioni di: FRANCESCO, Amoris laetitia, nn. 298-300.
14
Cf FRANCESCO, Amoris laetitia, cap. VIII.
12
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volta all’approfondimento della possibile nullità del vincolo contratto (questa fattispecie potrebbe
sussistere insieme alla precedente, ossia il matrimonio potrebbe essere sospettato nullo e risultare
scioglibile: in caso di inconsumazione il can. 1678 § 415 indica chiaramente la possibilità di
intraprendere il percorso verso lo scioglimento anche dopo l’avvio della fase probatoria di una
causa di nullità, ponendo come condizione che per l’assunzione di tale scelta vengano prima sentite
le parti). Il fedele sarà in tal caso condotto a ripercorrere con libertà la propria vicenda, aiutato da
personale esperto nella valutazione delle condizioni per la nullità. I convincimenti personali del
fedele in questa fase del percorso possono essere quelli del dubbio sulla nullità del matrimonio o
della convinzione della sua nullità, sia che queste opinioni siano sorte spontaneamente, sia che
siano state originate da un percorso di accompagnamento. In ogni caso quella che si apre in una
simile circostanza è l’esigenza di una vera e propria indagine, che costituirà di fatto la parte
predominante della fase precedente al libello in una causa di nullità.
Lo svolgimento della «indagine pregiudiziale o pastorale»
L’esortazione Amoris laetitia, al n. 244, indica con il termine generico di «indagine preliminare al
processo matrimoniale» quella che le regole procedurali, all’art. 2, definiscono più precisamente
«indagine pregiudiziale o pastorale» («investigatio praeiudicialis seu pastoralis») indicando con
questa espressione sia il fatto che non si tratta ancora di un’indagine giudiziale (di conseguenza non
è riservata solo a chi è poi qualificato per agire in sede processuale, come procuratore o avvocato),
sebbene sia orientata espressamente a tale esito (e non può essere compiuta pertanto da qualsiasi
operatore pastorale, per quanto generoso, ma esige una ben qualificata conoscenza e competenza in
ambito canonico), sia il fatto che tale indagine è comprensiva di una più ampia valutazione di
carattere pastorale (per cui dovranno essere considerati non solo gli aspetti tecnici in ordine
all’eventuale nullità ma tutto quanto configura il cammino umano e religioso del fedele e il suo
rapporto con la Chiesa).
Gli scopi e i contenuti di questa indagine, così come ricordati nel succitato articolo delle regole
procedurali, sono due: conoscere la condizione dei fedeli che vogliono verificare la validità del loro
matrimonio (certamente un aspetto di carattere più globalmente pastorale) e «raccogliere elementi
utili per l’eventuale celebrazione del processo giudiziale» (il sussidio applicativo predisposto dalla
Rora romana16 ricorda solo la seconda finalità).
Il compito dell’indagine pregiudiziale (useremo di seguito quest’unico termine per qualificare
l’indagine in oggetto) è pertanto condurre i fedeli a una vera e propria rilettura attenta della propria
intera vicenda coniugale, che consenta di superare giudizi superficiali e soprattutto di prevenire
quelle non rare contrapposizioni tra i coniugi che spesso rendono difficili le successive cause
canoniche (a partire dalla troppo frequente assenza in giudizio delle parti convenute, sovente frutto
proprio di un rapporto tra le parti segnato da incomprensioni e contrasti). Evidentemente questa
finalità è più facilmente perseguita quando entrambi i coniugi collaborano all’indagine, sebbene
l’indisponibilità di un coniuge non potrà essere considerata una condizione per sé ostativa del
prosieguo dell’approfondimento.
Nella rilettura della sua vicenda il fedele dovrà essere condotto a mettersi in un atteggiamento
oggettivo di ricerca della verità, capace anche di riconoscere i propri torti, pur sapendoli perdonati o
perdonabili nella fede. Il riconoscimento della possibile causa di nullità o della mancanza di una
15
Cf can. 1678 § 4: «Quoties in instructione causae dubium valde probabile emerserit de non secuta
matrimonii consummatione, tribunal potest, auditis partibus, causam nullitatis suspendere, instructionem
complere pro dispensatione super rato, ac tandem acta transmittere ad Sedem Apostolicam una cum petitione
dispensationis ab alterutro vel utroque coniuge et cum voto tribunalis et Episcopi».
16
TRIBUNALE APOSTOLICO DELLA ROTA ROMANA, Sussidio applicativo del motu proprio Mitis Iudex
Dominus Iesus, I b).
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causa di nullità diventa in tal modo il frutto di un’attenta e sincera ricostruzione del proprio vissuto.
Questo non potrà che arricchire anche il successivo sviluppo della causa di nullità, rendendolo più
agevole e proficuo; come osserva infatti il Giraudo: «una causa che giunga al tribunale dopo un
percorso, anche lungo, di assunzione del passato da parte di entrambi molto probabilmente risulterà
anche processualmente agile»17. In questo senso la rilettura della vicenda coniugale, superando
fraintendimenti e sciogliendo resistenze a una ricostruzione integrale e senza remore del proprio
passato, costituisce il primo e fondamentale contributo al successivo svolgimento di un processo
rapido e lineare e può esigere l’investimento di un lungo tempo di ascolto e di verifica, per una vera
conversione del cuore.
L’impegno poi a raccogliere elementi utili per l’eventuale introduzione della causa di nullità
(sottolineato dall’art. 4 delle regole procedurali18) è praticamente già ricompreso, almeno in parte,
nell’ascolto dei coniugi, che sono la prima fonte di conoscenza della vicenda sentimentale e
coniugale e le cui dichiarazioni costituiscono un elemento di primaria importanza per lo stesso
giudizio canonico, come afferma il can. 1678 § 1. La norma19, modificata dal motu proprio Mitis
Iudex Dominus Iesus, accorda il valore di prova piena alla confessione giudiziale e alle
dichiarazioni delle parti, a condizione che soddisfino alcuni requisiti: l’eventuale sostegno di testi di
credibilità delle parti; la presenza di indizi e amminicoli; l’assenza di elementi atti a confutare la
stessa confessione giudiziale o le dichiarazioni delle parti (in precedenza la materia era regolata dal
can. 1679, da leggersi unitamente al can. 1536; questo secondo canone non è stato ovviamente
modificato). La raccolta di elementi utili per l’eventuale introduzione della causa di nullità si spinge
tuttavia oltre, comprendendo l’acquisizione di documenti e la possibilità di sentire altre persone che
siano utili per chiarire la situazione; il can. 1678 § 2 pone a questo proposito con particolare rilievo
il tema del valore probatorio peculiare del teste qualificato20 (in coerenza con quanto previsto a
livello generale dal can. 1573). Quando opportuno tutti gli incontri, sia l’ascolto dei coniugi che
quello di altri soggetti, possono essere formalmente verbalizzati già nell’indagine pregiudiziale:
sebbene non si tratti ovviamente di escussioni giudiziali, tali verbali potranno avere un valore anche
nel corso della successiva causa canonica (questo dipende ovviamente anche da chi conduce
l’indagine pregiudiziale: se si tratta di personale in servizio in curia con qualifica di tipo notarile21 o
di semplici incaricati dell’indagine, privi di un’adeguata qualificazione canonica). Nell’indagine
pregiudiziale non si esclude peraltro il ricorso a periti che possono approfondire aspetti specifici,
soprattutto per i capi di nullità relativi all’impotenza o al difetto di consenso per malattia mentale o
per anomalia di natura psichica (can. 1678 § 322).
In ogni caso l’indagine dovrà restare ricompresa entro margini ragionevoli, tenendo conto del fatto
che il compito di asseverare i fatti resta affidato al successivo processo e peraltro questa fase del
procedimento, rientrando in un servizio di ascolto garantito dalla Chiesa stessa, deve rientrare
sostanzialmente nella prospettiva di un servizio gratuito (si potrà al più chiedere una contribuzione
nel caso in cui, ad es., vengano effettuate delle perizie), sebbene non ci siano perentorie indicazioni
17
A. GIRAUDO, Snellimento della prassi canonica in ordine alla …, cit., 322.
Cf Regole procedurali, art. 4: «investigatio pastoralis elementa utilia colligit ad causae introductionem
coram tribunali competenti a coniugibus vel eorum patrono forte faciendam».
19
Cf can. 1678 § 1: «in causis de matrimonii nullitate, confessio iudicialis et partium declarationes,
testibus forte de ipsarum partium credibilitate sustentae, vim plenae probationis habere possunt, a iudice
aestimandam perpensis omnibus indiciis et adminiculis, nisi alia accedant elementa quae eas infirment».
20
Cf can. 1678 § 2: «in iisdem causis, depositio unius testis plenam fidem facere potest, si agatur de teste
qualificato qui deponat de rebus ex officio gestis, aut rerum et personarum adiuncta id suadeant».
21
Cf cann. 483-484.
22
Cf can. 1678 § 3: «in causis de impotentia vel de consensus defectu propter mentis morbum vel
anomaliam naturae psychicae iudex unius periti vel plurium opera utatur, nisi ex adiunctis inutilis evidenter
appareat; in ceteris causis servetur praescriptum can. 1574».
18
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TESTO PROVVISORIO
23
in merito . L’indagine pregiudiziale giunge al suo esito maturo quando focalizza le ragioni della
possibile nullità (sempre che si diano) in uno o più capi di nullità: è per certi aspetti la scelta che
maggiormente incide sull’esito successivo della causa e pertanto deve essere effettuata con grande
attenzione.
Resta invero ancora un elemento che deve essere valutato ed è la decisione concernente quale tipo
di processo celebrare, visto che la norma canonica ne prevede tre: quello ordinario, quello breve (o
più breve) e quello documentale.
Posto che nel can. 168824 restano definite con chiarezza le condizioni molto limitate e precise per il
processo documentale (la causa concerne un impedimento dirimente o il difetto della forma
legittima, provati da un documento che non sia soggetto a contraddizione o ad eccezione alcuna,
verificato che non fu concessa la dispensa, oppure che difettasse un mandato valido in capo al
procuratore) la questione più complessa da approfondire è quella relativa alla possibilità del
processo breve, restando in tutte le altre situazioni la riserva al processo ordinario. Gli elementi da
approfondire, la cui valutazione competerà poi al Vicario giudiziale in forza del can. 1676 § 2, sono
due ed entrambi hanno a che fare con l’indagine pregiudiziale: il fatto che la domanda di nullità «sia
proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi, col consenso dell’altro» e il verificare la presenza di
«circostanze di fatti e di persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedano una
inchiesta o una istruzione più accurata, e rendano manifesta la nullità»25.
A proposito della prima condizione l’art. 4 delle regole procedurali prevede peraltro espressamente
che «si indaghi se le parti sono d’accordo nel chiedere la nullità» («requiratur an partes consentiant
ad nullitatem petendam»), condizione che non incide comunque solo sulla valutazione relativa alla
scelta del tipo di processo da richiedere. Appare di tutta evidenza come la fase pregiudiziale, per il
suo carattere introduttorio e perché è la meno configurata formalmente e soprattutto ancora libera
dai contrasti che possono più facilmente insorgere tra le parti nel corso della necessaria
rigorizzazione della ricostruzione dei fatti richiesta dalla causa canonica, sia la più proficua per
verificare la posizione dei due coniugi rispetto alla scelta stessa di introdurre la causa di nullità e
quindi di valutare la possibilità (stanti le altre condizioni) di richiedere il processo breve.
La verifica del fatto che il matrimonio è «irreparabilmente fallito»
Il can. 1675 pone in capo al giudice il compito di verificare che con certezza si possa affermare che
il matrimonio è «irreparabilmente fallito» («certior fieri debet matrimonium irreparabiliter pessum
ivisse»), espressione ulteriormente precisata con la clausola che è «impossibile ristabilire la
convivenza coniugale» («ita ut coniugalis convictus restitui nequeat»). La verifica è quindi di
competenza del giudice e afferisce alla fase successiva all’introduzione del libello e antecedente
all’accettazione della causa, sebbene il sussidio applicativo della Rota Romana, osserva
correttamente quello che è il dato fattuale: «l’esperienza dice che, quando si arriva alla causa di
nullità, è già del tutto impossibile ricomporre la convivenza. Pertanto basterà che il giudice, prima
23
Amoris laetitia, al n. 244, afferma genericamente che le cause di nullità devono essere «possibilmente
del tutto gratuite». La condizione appare tuttavia ben più stringente per la fase dell’indagine pregiudiziale,
che peraltro è anche di carattere pastorale.
24
Cf can. 1688: «recepta petitione ad normam can. 1676 proposita, Episcopus dioecesanus vel Vicarius iudicialis vel
Iudex designatus potest, praetermissis sollemnitatibus ordinarii processus sed citatis partibus et cum interventu
defensoris vinculi, matrimonii nullitatem sententia declarare, si ex documento, quod nulli contradictioni vel exceptioni
sit obnoxium, certo constet de exsistentia impedimenti dirimentis vel de defectu legitimae formae, dummodo pari
certitudine pateat dispensationem datam non esse, aut de defectu validi mandati procuratoris».
25
Cf can. 1683: «ipsi Episcopo dioecesano competit iudicare causas de matrimonii nullitate processu
breviore quoties: 1° petitio ab utroque coniuge vel ab alterutro, altero consentiente, proponatur; 2° recurrant
rerum personarumque adiuncta, testimoniis vel instrumentis suffulta, quae accuratiorem disquisitionem aut
investigationem non exigant, et nullitatem manifestam reddant».
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TESTO PROVVISORIO
di accettare la causa, abbia la certezza che il matrimonio sia irreparabilmente fallito, e sia
impossibile ristabilire la convivenza coniugale» (sottolineatura nel testo originale)26. In definitiva il
giudice certifica quindi una situazione che di fatto è già stata opportunamente verificata. Il formarsi
di questa convinzione sul carattere irreparabile della crisi coniugale non può essere tuttavia
opportunamente lasciato ai soli coniugi, dovendo la Chiesa sempre aiutare la coppia a porre in
essere tutto quanto possibile per superare le situazioni di conflitto, posto ovviamente che non ci
siano motivi evidenti che suggeriscono da subito il ricorso alla separazione (come ad es. la prima
condizione di cui al can. 1153 § 1). Evidentemente il periodo in cui effettuare questa verifica è
relativo proprio alla fase precedente alla presentazione del libello e il servizio richiesto per
accompagnare i fedeli verso l’introduzione di una causa di nullità non potrà pertanto prescindere
dall’assunzione di questo compito.
La concreta attuazione di questa verifica dovrà ovviamente essere attentamente declinata in
riferimento ai singoli fedeli che si presentano, che possono provenire da un lungo e fallito tentativo
di riconciliazione, magari sostenuto dall’opera dei consultori familiari (che dovrebbero essere
organicamente connessi al servizio di consulenza per le cause di nullità), così come possono
presentarsi a chiedere una verifica di nullità senza avere mai considerato adeguatamente il tentativo
di recuperare il loro rapporto. La competenza canonistica che non potrà mancare al servizio di
consulenza potrà peraltro aiutare la coppia in crisi a considerare alcuni aspetti per il recupero della
loro relazione che sono stati meno considerati in altri ambiti di ascolto (ad es. nei servizi di
mediazione familiare che, certamente competenti sull’aspetto psicologico e relazionale, possono
avere una minore attenzione alle risorse straordinarie che vengono dalla fede, primo tra tutti il
perdono cristiano). Se pertanto la nuova formulazione del già citato can. 1675 lascia nella
competenza del giudice la puntuale ma inevitabilmente sommaria verifica dell’irreparabilità della
crisi nuziale si può sostenere che è affidata alla fase previa all’introduzione del libello la più ampia
e organica verifica che era richiesta nella precedente formulazione del can. 1676 e che concerne
l’attiva ricerca di un «buon esito» nel tentativo di salvaguardare il prosieguo della vita e dell’intesa
coniugale, facendo «ricorso a mezzi pastorali per indurre i coniugi, se possibile, a convalidare
eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale» 27 . Questo compito sarà
ovviamente affrontato a più livelli e in diverso modo, a partire dalla parrocchia sino ai consultori
familiari interparrocchiali o diocesani, ma anche la fase della preparazione all’eventuale
introduzione di una causa di nullità non potrà prescindere dalla considerazione di questa
problematica, almeno per verificare che effettivamente i passi per la ricerca di una conciliazione
siano stati compiuti e ci siano poi per il giudice le condizioni per accettare la causa.
L’introduzione al senso della causa canonica
Pur non essendo un compito che i documenti evidenziano nella fase introduttiva alle case di nullità
è evidente che l’accostamento di un fedele con la realtà del tribunale esige un’opportuna
preparazione. In particolare il fedele dovrà essere aiutato a comprendere il significato dichiarativo
del giudizio canonico cui si affida e quindi deve essere esortato a collaborare rettamente alla ricerca
della verità, nella consapevolezza che il riconoscimento o meno della nullità non ha per sé alcun
carattere premiale o punitivo (al contrario, non raramente, una causa di nullità mette in luce il
comportamento scorretto della stessa parte che promuove il giudizio). Questa informazione del
fedele del resto potrà ricadere a vantaggio di un positivo svolgimento della successiva causa di
nullità, così come suggerivano alcuni soggetti il cui parere è confluito nell’instrumentum laboris per
26
TRIBUNALE APOSTOLICO DELLA ROTA ROMANA, Sussidio applicativo …, cit., II, b).
Cf can. 1676 del Codice 1983, precedente al motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus: «Iudex, antequam
causam acceptet et quotiescumque spem boni exitus perspicit, pastoralia media adhibeat, ut coniuges, si fieri
potest, ad matrimonium forte convalidandum et ad coniugalem convictum restaurandum inducantur».
27
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TESTO PROVVISORIO
il Sinodo straordinario del 2014: «una più adeguata formazione dei fedeli riguardo ai processi di
nullità aiuterebbe, in alcuni casi, ad eliminare difficoltà»28.
Si possono enucleare a questo proposito le seguenti attenzioni, da affidare alla fase previa
all’introduzione del libello, in riferimento alla preparazione dei coniugi ad affrontare la successiva
relazione con il tribunale:
- presentare la realtà del tribunale ecclesiastico evidenziandone la natura prettamente pastorale e la
peculiarità rispetto ai tribunali di altri ordinamenti;
- offrire elementi conoscitivi (ad es. in relazione alle condizioni economiche, anche in riferimento al
patrocinio) che consentano di superare pregiudizi e informazioni comunemente distorte, soprattutto
circa gli aspetti di natura economica e la reale terzietà del giudizio;
- illustrare la modalità di lavoro del tribunale e la possibile dinamica che potrà assumere la causa,
così che il fedele possa collaborarvi nel migliore dei modi e con adeguata consapevolezza;
- come già evidenziato, illustrare la natura dichiarativa del giudizio di nullità e invitare a superare
ogni conflittualità impropria sull’attribuzione delle cause del fallimento del coniugio;
- richiamare al senso ecclesiale del procedimento di nullità i fedeli che, pur chiedendo alla Chiesa la
dichiarazione di nullità delle nozze (magari solo associandosi alla richiesta dall’altro coniuge o
mossi dalla richiesta di un nuovo compagno/a), hanno di fatto abbandonato la vita di fede o i
coniugi non battezzati (che ovviamente hanno contratto matrimonio non sacramentale con un
battezzato e che ora chiedono la verifica di nullità).
Fino a dove deve giungere l’indagine pregiudiziale?
L’indagine pregiudiziale deve per sua natura giungere sino al momento in cui si consegna ai fedeli,
al termine del servizio di ascolto, una chiara indicazione sulla possibilità o meno di introdurre una
causa di nullità, individuando con chiarezza, in caso affermativo, i capi di nullità da indicare nella
domanda e le ragioni che li sostengono. Deve essere quindi consegnato al fedele tutto il materiale
raccolto nel corso dell’indagine (salvi ovviamente elementi particolarmente riservati che
risultassero non trasmissibili o elementi acquisiti ma che si sono rivelati del tutto inutili) e che potrà
giovare all’avvio e al prosieguo della causa: l’ascolto dei coniugi e di altri soggetti, eventualmente
verbalizzato, i documenti acquisiti, i pareri degli esperti consultati.
Si dovranno altresì consegnare al fedele gli elementi per scegliere tra la modalità del processo
breve, quella del processo ordinario e quella del processo documentale. Contestualmente devono
essere anche chiarite al fedele le diverse modalità con cui i coniugi possono introdurre la domanda
di nullità: in modo congiunto (da favorire per il processo breve, anche se basta il consenso dell’altro
coniuge per presentare tale domanda) o a iniziativa di uno dei due (l’altro coniuge potrà essere
favorevole, indifferente o contrario, per sé non dovrebbe rifiutarsi quantomeno di partecipare al
processo).
L’indagine pregiudiziale deve infine concludersi consegnando al fedele l’indicazione dei diversi
tribunali cui può rivolgersi in base al can. 1672 (che amplia notevolmente le possibilità stabilite in
precedenza dal can. 1673), che prevede quattro possibili fori competenti: quello del luogo in cui il
matrimonio fu celebrato; quello del domicilio o quasi domicilio della parte attrice; quello del
domicilio o quasi domicilio della parte convenuta; quello del luogo in cui di fatto si debba
raccogliere la maggior parte delle prove. Come afferma il sussidio applicativo della Rota Romana i
titoli di competenza dei diversi tribunali sono equivalenti ma «nella scelta si dovrà salvaguardare,
28
SINODO DEI VESCOVI, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione (instrumentum
laboris), cit., n. 102.
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TESTO PROVVISORIO
per quanto possibile, il principio di prossimità fra il giudice e le parti29, e si dovrà ricorrere alla
cooperazione con altri tribunali perché parti e testi possano partecipare al processo col minimo
dispendio»30. L’indagine pregiudiziale dovrà pertanto concludersi aiutando il fedele a effettuare la
scelta più opportuna, tenendo conto della situazione concreta e delle possibili soluzioni cui
ricorrere.
L’art. 5 delle regole procedurali prevede tuttavia che non ci si limiti a quanto sopra richiamato, ma
che «omnibus elementis collectis, investigatio perficitur libello, si casus ferat, tribunali competenti
exhibendo». Si introduce quindi un riferimento alla stesura del libello come esito dell’indagine
pregiudiziale.
La questione è di evidente rilievo per ogni processo (è il libello l’atto con cui la parte chiama in
causa il ministero del giudice: can. 1502) ma assume una particolare importanza se si vuole adire al
processo breve, in quanto in questo caso in fase preliminare deve essere verificata la possibilità
stessa di essere ammessi a questo tipo di processo e la valutazione implica un giudizio sulla non
necessità di un’istruttoria più accurata. I requisiti della redazione dello stesso libello sono infatti in
questo caso più stringenti, come ricorda la norma del can. 168431.
Si noti tuttavia che la stesura del libello non rappresenta un esito necessario dell’indagine e peraltro
non risulta neppure che debba essere necessariamente chi conduce la stessa indagine pregiudiziale a
dare corpo alla redazione del libello: il senso dell’espressione utilizzata dall’art. 5 delle regole
procedurali sembra essere piuttosto quello che è logicamente la stesura del libello a portare a
compimento un’indagine pregiudiziale in cui siano emersi elementi adeguati rispetto
all’introduzione di una causa di nullità.
Si noti peraltro che in base all’art. 10 delle regole procedurali32 la domanda della parte attrice può
essere presentata anche oralmente (quando la parte è impedita dal presentare il libello), venendo poi
redatta in forma scritta dal notaio e acquisendo in tal modo il posto proprio del libello (come
previsto, a livello generale, dal can. 1503). Il sussidio applicativo della Rota Romana si esprime
infatti sull’esito a cui deve giungere l’indagine pregiudiziale nei termini seguenti: «l’indagine si
conclude con la stesura della domanda e/o del libello, da presentare, se è il caso, al competente
giudice»33.
In ogni caso, si tratti del libello con cui chiedere anche il processo breve, si tratti di un libello per il
processo ordinario (o per il processo documentale) o si tratti della semplice domanda orale, il fatto è
che compito proprio dell’indagine pregiudiziale non è necessariamente il giungere fino
all’approntamento di questi pur essenziali e importanti strumenti ma fornire ai coniugi tutti gli
elementi necessari per la loro predisposizione (can. 1540): individuazione del foro cui rivolgersi e
del tipo di processo richiesto; presentazione della parte attrice e della parte convenuta, con i dati per
la loro reperibilità (se la causa non è presentata congiuntamente dai due coniugi); indicazione di uno
o più capi di nullità; esposizione organica dei fatti da cui emerga il fondamento dei capi indicati;
documenti necessari o comunque utili per dare forma e appoggio alla richiesta; eventuale richiesta
al tribunale di acquisire determinate prove (in primo luogo indicazione di testi da escutere). Si tratta
29
Così si esprime anche l’art. 7 § 1 delle norme procedurali di Mitis Iudex Dominus Iesus: «tituli
competentiae de quibus in can. 1672 aequipollentes sunt, servato pro posse principio proximitatis inter
iudicem et partes».
30
TRIBUNALE APOSTOLICO DELLA ROTA ROMANA, Sussidio applicativo …, cit., II, C.
31
Cf can. 1684: «libellus quo processus brevior introducitur, praeter ea quae in can. 1504 recensentur,
debet: 1° facta quibus petitio innititur breviter, integre et perspicue exponere; 2° probationes, quae statim a
iudice colligi possint, indicare; 3° documenta quibus petitio innititur in adnexo exhibere».
32
Cf Regole procedurali, art. 10: «Iudex petitionem oralem admittere potest, quoties pars libellum
exhibere impediatur: ipse tamen notarium iubeat scriptis actum redigere qui parti legendus est et ab ea
probandus, quique locum tenet libelli a parte scripti ad omnes iuris effectus».
33
TRIBUNALE APOSTOLICO DELLA ROTA ROMANA, Sussidio applicativo …, cit., I, b).
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TESTO PROVVISORIO
di un esito di grande importanza perché una causa ben istruita sarà anche di sua natura celere
riguardo allo svolgimento, di minor onere per il tribunale e in particolare per le forze sovente
limitate di cui dispone e potrà anche comportare un minor costo (anche il servizio richiesto alla
consulenza tecnica34 usufruisce infatti di elementi già acquisiti ed è quindi alleggerito nei suoi
compiti).
Il fatto che ci si spinga effettivamente sino alla stesura del libello (o alla preparazione della
domanda orale) in sede stessa di indagine pregiudiziale, assistendo il coniuge o i coniugi anche in
tali adempimenti, è una possibilità, che risulterà particolarmente preziosa se la parte volesse agire
chiedendo di essere autorizzata a stare in giudizio da sola, senza consulenza tecnica.
Se, al contrario, la scelta del fedele è quella, al termine dell’indagine pregiudiziale, di ricorrere alla
consulenza tecnica per lo svolgimento della causa (come avviene di consueto), sembra essere più
opportuno che sia il consulente stesso (il servizio di consulenza offrirà peraltro tutto il supporto
necessario per scegliere correttamente e senza difficoltà tale figura professionale) a stendere
materialmente il libello insieme ai coniugi o al coniuge (a prescindere da chi poi lo sottoscriva); la
stesura del testo agevolerà del resto il compito del patrono, facilitando ancora una volta lo sviluppo
successivo della causa.
Il servizio giuridico-pastorale
Amoris laetitia al n. 244 invita gli ordinari diocesani a garantire per i separati e le coppie in crisi un
«servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione». Il Sussidio applicativo della Rota Romana
utilizza a questo proposito 35 l’espressione che appare sostanzialmente adeguata di «servizio
giuridico-pastorale». Il termine evidenzia che deve essere una realtà capace a un tempo di
sensibilità e accompagnamento pastorale ma anche di consulenza canonica competente.
La prima caratteristica di questo servizio è quello di essere espressione dell’ordinario diocesano, in
primo luogo quindi del Vescovo, che ha la responsabilità ultima di tutta la cura pastorale e quindi
anche della cura dei coniugi separati o divorziati. Così si esprime a questo proposito l’art. 1 delle
regole procedurali: «il Vescovo in forza del can. 383 § 1 è tenuto a seguire con animo apostolico i
coniugi separati o divorziati, che per la loro condizione di vita abbiano eventualmente abbandonato
la pratica religiosa»36.
Questa cura ovviamente comprende molti aspetti della vita pastorale e, come ricorda anche il
succitato articolo delle regole procedurali, coinvolge anche la competenza propria dei parroci37, ma
per essere adeguatamente efficace non può prescindere dall’esigenza di un servizio giuridicopastorale organizzato o almeno coordinato a livello diocesano. Del resto già la relatio synodi del
Sinodo straordinario del 2014 poneva espressamente in capo al Vescovo il compito di favorire il
servizio di consulenza in vista di eventuali cause di nullità: «circa le cause matrimoniali lo
snellimento della procedura, richiesto da molti […] esige di sottolineare la responsabilità del
Vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente
preparati che possono gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio» 38.
34
Con questa espressione si intende qui sia la figura del procuratore, che detiene la rappresentanza, che
quella dell’avvocato, che è colui che scrive o presenta la difesa.
35
TRIBUNALE APOSTOLICO DELLA ROTA ROMANA, Sussidio applicativo …, cit., I.1.
36
Cf Regole procedurali, art. 1: «Episcopus vi can. 383 § 1 animo apostolico prosequi tenetur coniuges
separatos vel divortio digressos, qui propter suam vitae condicionem forte a praxi religionis defecerint».
37
Cf idem: «Ipse igitur cum parochis (cfr. can. 529 § 1) sollicitudinem pastoralem comparticipatur erga
hos christifideles in angustiis constitutos».
38
SINODO DEI VESCOVI, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione (relatio
synodi), cit., n. 49. Il testo è stato approvato con 154 placet contro soli 23 non placet ed esprime quindi un
orientamento particolarmente condiviso tra i padri sinodali.
- 13/18 -
TESTO PROVVISORIO
Oltre al legame col Vescovo il servizio giuridico-pastorale dovrà garantire la disponibilità di
personale adatto per svolgere i compiti che gli sono assegnati. L’art. 3 delle regole procedurali
stabilisce a questo proposito che per lo svolgimento dell’indagine pregiudiziale è necessario
ricorrere a «persone ritenute idonee dall’Ordinario del luogo, dotate di competenze anche se non
esclusivamente giuridico-canoniche» 39. Lo stesso articolo indica tra questi soggetti il parroco
proprio dei coniugi o chi li ha preparati alle nozze, anche se è di immediata evidenza che una vera
indagine per la verifica della possibilità di introdurre una causa di nullità esige personale con una
specifica preparazione e competenza. La natura nel contempo canonica e pastorale del servizio
esigerà certamente che si tratti di persone non solo competenti in ambito canonico ma dotate anche
di una genuina sensibilità pastorale. Del resto nella vera natura della competenza canonica non può
che essere ricompresa anche un’attenzione concreta alla missione pastorale della Chiesa.
All’interno dell’unico servizio potranno essere ovviamente operanti diversi livelli di qualificazione:
attorno a un nucleo centrale competente in ambito canonico e pastorale potranno esserci pertanto
esperti (che possono essere parte organica del servizio o semplicemente dei consulenti da
coinvolgere a seconda del bisogno) in discipline specifiche, quali la teologia sacramentaria, la
teologia morale, le discipline giuridico-civili, le scienze psicologiche. Il nucleo maggiormente
preparato di operatori di cui dispone il servizio potrà inoltre promuovere iniziative di formazione
sul territorio, così che sia sempre più capillare la presenza di persone che possano almeno accostare
i fedeli per un primo livello di discernimento della loro situazione, da approfondire poi in quella che
è l’indagine pregiudiziale vera e propria.
Venendo infine a delineare nel concreto i modi in cui il servizio giuridico-pastorale può essere
articolato è opportuno prendere le mosse da quanto affermato da Arroba-Conde: «le urgenze attuali
esigono un’organizzazione più accurata, collegata con la pastorale familiare e con le parrocchie,
non volta solo ad introdurre cause, ma comprendente una saggia attività di mediazione, nella quale
coinvolgere, in vario modo (per es. con norme deontologiche adeguate), tutti gli esperti ammessi al
patrocinio canonico»40.
Gli elementi così delineati sono pertanto diversi: l’abilità a introdurre cause di nullità; il legame con
la pastorale familiare; il legame con il territorio e quindi con le parrocchie. Le modalità attuative di
questo servizio possono essere pertanto molteplici. A titolo esemplificativo si evidenziano ora due
modelli:
A) Una struttura stabile e specializzata, secondo una possibilità prevista all’art. 3 delle regole
procedurali: «la diocesi, o più diocesi insieme, secondo gli attuali raggruppamenti, possono
costituire una struttura stabile attraverso cui fornire questo servizio e redigere, se del caso, un
Vademecum che riporti gli elementi essenziali per il più adeguato svolgimento dell’indagine»41.
Rientra in questa tipologia l’Ufficio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati, istituito
nell’Arcidiocesi di Milano (cf lettera di presentazione42 e decreto arcivescovile43 del Card. Angelo
Scola) in data 6 maggio 2015, con effettivo avvio in data 8 settembre 2015 (festa di Maria
39
Cf Regole procedurali, art. 3: «eadem investigatio personis concredetur ab Ordinario loci idoneis habitis,
competentiis licet non exclusive iuridico-canonicis pollentibus».
40
M.J. ARROBA CONDE, Le proposte di snellimento dei processi matrimoniali nel recente Sinodo, in AA.VV., Sistema
matrimoniale canonico in synodo (a cura di Luigi Sabbarese), Roma 2015, pp. 61-85: p. 78.
41
Cf Regole procedurali, art. 3: «Dioecesis, vel plures dioeceses simul, iuxta praesentes adunationes,
stabilem structuram constituere possunt per quam servitium hoc praebeatur et componere, si casus ferat,
quoddam Vademecum elementa essentialia ad aptiorem indaginis evolutionem referens».
42
A. SCOLA, Lettera di presentazione del nuovo Ufficio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati (6
maggio 2015), in «Rivista diocesana milanese» 106 (2015) 726-728.
43
A. SCOLA, Decreto di costituzione dell’Ufficio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati (6 maggio
2015), in «Rivista diocesana milanese» 106 (2015) 749-752. Il decreto è suddiviso in una parte iniziale in cui
si dispone la costituzione del nuovo organismo e in una parte successiva in cui si descrivono le competenze
dell’Ufficio e la sua articolazione.
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TESTO PROVVISORIO
Nascente, titolo della chiesa cattedrale e giorno tradizionale di inaugurazione del nuovo anno
pastorale a Milano). L’organismo, previsto prima ancora delle indicazioni di Mitis Iudex Dominus
Iesus (il Card. Scola è stato padre sinodale sia in occasione del Sinodo straordinario del 2014 che in
occasione del Sinodo ordinario del 2015 e pertanto ne ha seguito da vicino lo sviluppo; peraltro già
il Sinodo diocesano 47° di Milano, del 1995, prevedeva qualcosa di simile, alla cost. 423, §§ 3-4,
rimasto però inattuato), ha la forma di un vero organismo di curia44, è affidato a persone competenti
sia in ambito canonistico che pastorale e opera in diverse sedi dell’ampio territorio ambrosiano
(Lecco, Milano, Varese), così da garantire una presenza che sia la più prossima possibile ai luoghi
di vita delle persone. Tra le sue finalità vi è espressamente l’introdurre a possibili cause di nullità,
ma questo è solo uno dei quattro compiti assegnati, che comprendono, nei confronti dei soli separati
(per i coniugi che sono in crisi e non separati, neanche di fatto e neppure in procinto di separarsi, il
rimando è piuttosto alla competenza dei consultori familiari), anche il tentativo di riconciliazione,
l’introduzione di possibili domande di scioglimento e l’accompagnamento canonico di quanti
intendono vivere da separati con la permanenza del vincolo coniugale. Punti forti sono il rapporto
diretto col Vescovo e la competenza e unitarietà del lavoro svolto: gli incaricati per il servizio (un
sacerdote responsabile e altri collaboratori, anche laici), che possono avvalersi di esperti esterni,
lavorano tra loro in équipe e sono tutti tenuti per giuramento a particolari vincoli di riservatezza,
oltre a poter asseverare gli atti che compiono, rivestendo la qualifica di officiali di Curia. L’Ufficio
così delineato ha poi particolari compiti di relazione sia con i consultori familiari che con quanti
operano a diverso livello (dalla Curia alle singole parrocchie) nella pastorale familiare,
promuovendone anche la formazione con specifiche iniziative. A garanzia di questa sinergia di
diversi apporti vi è il fatto che il Vicario episcopale di riferimento (nella Curia arcivescovile di
Milano ogni organismo ha un Vicario episcopale da cui dipende e che ne garantisce il raccordo con
altri organismi analoghi) per tale Ufficio è il Vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la
Missione e l’Azione sociale, da cui dipende anche il Servizio per la Famiglia, cui fanno ovviamente
riferimento sia i consultori familiari di ispirazione cristiana che la pastorale familiare a livello
diocesano e parrocchiale.
Non sono invece parte dell’Ufficio i consulenti tecnici per le cause di nullità (procuratori, avvocati
e patroni stabili), con cui pure sono conservati particolari legami di reciproca collaborazione e che
di fatto costituiscono pertanto una risorsa in qualche modo parallela, cui i fedeli possono ricorrere
sin dall’inizio, a loro libera scelta. Per un confronto tra i diversi percorsi, si consideri che nel corso
dell’anno 2015 i due patroni stabili in forze presso il tribunale ecclesiastico regionale lombardo
hanno seguito 34 cause di nullità e 3 di scioglimento e hanno effettuato 860 colloqui di consulenza,
dei quali 168 iniziali di un nuovo caso seguito45, mentre l’Ufficio diocesano per l’accoglienza dei
fedeli separati (che riguarda la sola diocesi di Milano e non l’intera Lombardia), a partire dal suo
inizio operativo in data 8 settembre 2015 e sino al 31 maggio 2016, ha avuto 602 richieste di
appuntamento (di cui 98 nelle sedi decentrare di Lecco e Varese) e ha effettuato 512 colloqui.
B) Una rete di interconnessione in cui le risorse già esistenti a livello parrocchiale e diocesano sono
poste in relazione tra loro, pur senza originare un vero e proprio organismo unitario. Questa ad es. è
44
Per la collocazione di tale servizio presso la Curia diocesana si veda quanto previsto dalla CEI nel Decreto
generale sul matrimonio canonico del 5 novembre 1990 all’art. 56: «È bene in ogni modo che nelle curie diocesane e
presso i tribunali regionali per le cause di nullità matrimoniale venga predisposto un servizio qualificato di ascolto e di
consulenza, al quale i fedeli interessati possano rivolgersi, soprattutto quando si tratta di situazioni o vicende complesse,
di propria iniziativa o su indicazione del loro parroco. La ricerca volta a verificare eventuali motivi di nullità
matrimoniale sia condotta sempre con competenza e con prudenza, e con la cura di evitare sbrigative conclusioni, che
possono generare dannose illusioni o impedire una chiarificazione preziosa per l’accertamento della libertà di stato e per
la pace della coscienza». La scelta intrapresa corrisponde ovviamente al suggerimento di collocare il servizio nella curia
diocesana.
45
Per questi dati, cf Relazione inerente l’attività del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo
nell’anno 2015, in «Rivista diocesana milanese» 107 (2016) 89-97: 96.
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TESTO PROVVISORIO
la scelta annunciata dalla diocesi di Acireale46, che definisce il servizio giuridico-pastorale istituito
alla luce delle regole procedurali come una rete di collaborazione tra persone: alcuni sacerdoti, il
direttore e i membri dell’Ufficio diocesano per la pastorale familiare, il consultorio familiare, alcuni
legali, la Cancelleria della curia diocesana. Le finalità sono sostanzialmente quelle già evidenziate:
tentare una riconciliazione, verificare la possibilità di introdurre una causa di nullità, compiere la
prescritta indagine pregiudiziale.
Come si nota tra i due modelli non ci sono differenze sostanziali ma importanti diversità di carattere
organizzativo. Nel primo caso l’attenzione sarà quella di garantire che l’Ufficio appositamente
costituito sia in debita relazione con una rete più ampia di soggetti pastorali. Nel secondo caso
l’attenzione è quella di mettere in organico rapporto le diverse realtà indicate così che il fedele
possa essere effettivamente condotto, quando è il caso, a incontrare soggetti capaci di condurre
l’indagine preliminare in vista di una possibile causa di nullità. Il pur valido e prezioso contributo
dei sacerdoti (in primo luogo i parroci) e degli operatori pastorali e ancor più quello dei consultori,
anche per la mancanza di una diffusa e adeguata preparazione canonistica, risulta in ogni caso
spesso insufficiente per condurre con efficacia i fedeli a ricorrere all’aiuto che possono trovare in
quanto previsto dall’ordinamento canonico.
Ovviamente sulla scelta tra un modello e l’altro incide la considerazione della realtà specifica di
ogni diocesi: dimensioni, presenza o meno di adeguate risorse umane, estensione del territorio,
analisi della struttura organizzativa già esistente.
Il servizio giuridico-pastorale e la consulenza tecnica
L’indagine pregiudiziale richiesta dalle regole procedurali può essere chiaramente svolta da chi
assume il compito di consulenza tecnica nello svolgimento delle cause di nullità matrimoniale,
come del resto avvenuto sinora in modo pressoché esclusivo.
Tale compito di consulenza trova peraltro un importante sviluppo nel Codice del 1983 con
l’introduzione della figura dei patroni stabili, previsti dal can. 149047 proprio per agevolare la
partecipazione dei fedeli alle cause di nullità, essendo assistiti da figure professionali qualificate e
stipendiate dallo stesso tribunale per esercitare l’incarico di procuratori e/o avvocati. Tale
previsione normativa trova poi piena rispondenza, in Italia, nelle norme CEI sul regime
amministrativo dei tribunali, che stabiliscono48 le modalità con cui garantire la presenza di almeno
due patroni stabili in ogni tribunale. Tale possibilità trova poi un ulteriore consolidamento49 in quanto disposto dall’istruzione Dignitas
connubii, art. 113, laddove il documento prevede la costituzione presso il tribunale di un ufficio (o
di una persona) che assolva a due finalità, da garantire liberamente e sollecitamente: consigliare i
fedeli circa la possibilità di introdurre una causa e, se ciò è possibile, sul modo con cui procedere.
Questa modalità di configurare il servizio di consulenza si è venuta precisando nel corso dei diversi
schemi dell’istruzione Dignitas connubii, rendendo obbligatorio quanto inizialmente era facoltativo
(da «valde commendatur» del primum schema e dello schema recognitum al «sit officium seu
persona» del novissimum schema e del testo promulgato), stabilendo l’obbligo di garantire ai fedeli
il libero accesso e la rapida trattazione delle questioni (da «aptum consilium dare» del primum
46
47
Per le notizie circa la costituzione di questo servizio cf «Avvenire» 15 maggio 2016, p. 20.
Cf can. 1490: «in unoquoque tribunali, quatenus fieri possit, stabiles patroni constituantur, ab ipso tribunali
stipendium recipientes, qui munus advocati vel procuratoris in causis praesertim matrimonialibus pro partibus quae eos
seligere malint, exerceant».
48
Cf CEI, Norme circa il regime amministrativo dei tribunali ecclesiastici regionali …, cit., art. 2 § 2; art. 5 § 6 e art.
6 § 1.
49
Sul rapporto tra Dignitas Connubii, art. 113 e il can. 1490, cf J.I. ARRIETA, Integrazioni e determinazioni apportate
dall’istruzione “Dignitas Connubii” ai canoni del Codice di Diritto Canonico, in AA.VV., L’istruzione Dignitas
Connubii nella dinamica delle cause matrimoniali, Venezia 2006, pp. 123-162: 138-139.
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TESTO PROVVISORIO
schema e dello schema recognitum al «libere expediteque consillium obtinere» del novissimum
schema e del testo promulgato) e precisando che la consulenza si deve estendere anche al modo di
procedere (da «de opportunitate vel minus causam nullitatis introducenda» del primum schema e
dello schema recognitum al «de possibilitate et procedendi ratione ad suam nullitatis matrimonii
causam, si et quatenus, introducendam» del novissimum schema e del testo promulgato))50.
Secondo il disposto dell’art. 113 l’ufficio può essere costituito da addetti al tribunale (che non
possono aver poi parte nella causa, né come giudici, né come difensori del vincolo, § 2), o da
patroni stabili (se il compito è svolto da avvocati stabili possono poi patrocinare la causa solo come
avvocati stabili, § 4; è in ogni caso fatto obbligo al Vescovo di rendere noto l’albo degli avvocati e
dei procuratori del suo tribunale: art. 112 § 1), anche se non sono escluse altre figure che possano
assumere tali compiti.
Nonostante questi rilievi non deve però sfuggire che il servizio giuridico-pastorale richiamato in
precedenza si colloca a un ulteriore e ben diverso piano rispetto a queste figure. Si consideri infatti
che il patrono stabile, così come l’ufficio è delineato da Dignitas connubii, assume un compito
collocato presso il tribunale e quindi è partecipe delle già evidenziate difficoltà dei fedeli nel
rivolgersi immediatamente a un livello organizzativo così qualificato: da osservare, a tale proposito,
che nei primi schemi di Dignitas conubii (primum schema e schema recognitum), il servizio era
previsto non presso il tribunale ma presso ciascuna diocesi, essendo inoltre assegnato a dei canonisti
esperti, distinti dai ministri del tribunale («in unaquaque diocesi iuris canonici periti habeantur, a
ministris tribunali distincti»). Inoltre il ricorso al patrono stabile o a qualsiasi altra forma di
consulenza tecnica è per se limitato (salvo eccezioni personali che però non rilevano per un discorso
di carattere generale51) al solo fine della consulenza in vista dell’introduzione di una causa, senza
offrire al fedele la possibilità di un ascolto più ampio e alla fine, almeno potenzialmente, più
proficuo per il suo percorso personale: in altri termini manca la considerazione complessiva
dell’aspetto pastorale. Si aggiunga infine, come osservato dal Giraudo, che la figura del consulente
tecnico, salvo il caso in cui i due coniugi siano già pienamente concordi (non solo nel chiedere la
nullità ma anche nel sostenerne le motivazioni e gli eventuali addebiti) corre il rischio di interferire
sulla fase dell’indagine preliminare caricandola di un’indebita valenza conflittuale: «se si lascia
questo delicato ambito di mediazione soltanto ai patroni, il cui compito precipuo è l’assistenza delle
parti nel processo, a volte si potrebbe correre il rischio di ingenerare, pur nelle migliori intenzioni,
la logica del contenzioso giuridico dove si abbia una personale verità da vedere riconosciuta»52. Il
carattere di terzietà rispetto agli stessi coniugi che vengono ascoltati è infatti garantito dal servizio
giuridico-pastorale in modo del tutto peculiare, diversamente riproducibile nel rapporto con un
consulente di parte.
Come osservava Arroba Conde nel parere già richiamato i consulenti tecnici e in particolare i
patroni stabili possono essere eventualmente coinvolti nella costituzione del nuovo servizio
giuridico-pastorale, ma questo implica in ogni caso di delineare un ampio ripensamento del loro
compito che altrimenti, come osserva lo stesso esperto53, sarebbe da considerare insufficiente
rispetto ai fini evidenziati.
50
Per il confrontino del testo del primum schema e dello schema recognitum con quello del novissimum
schema e del testo definitivo, cf Instructiones Dignitas connubii synopsis historica, Roma 2015, pp. 120121.
51
Si veda ad esempio quanto riferito nel contributo di Vanzetto, che si riferisce tuttavia alla sua figura di
patrono stabile e sacerdote: T. VANZETTO, Procuratori, avvocati e patroni: a tutela dei diritti dei fedeli, in
«Quaderni di diritto ecclesiale» 10 (1997) 421-435: 426-427.
52
A. GIRAUDO, Snellimento della prassi canonica in ordine alla …, cit., 322:
53
Per questa valutazione si veda anche: M.J. ARROBA CONDE, Le proposte di snellimento dei processi matrimoniali
…, cit., p. 78: «la preparazione della causa è debolmente trattata nelle norme vigenti, che si limitano a prevedere,
peraltro in termini facoltativi, l’istituzione del patrono pubblico, al quale affidare la consulenza previa in vista di una
successiva assistenza gratuita nel processo».
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TESTO PROVVISORIO
Non vi è invece alcun dubbio sul ruolo che la consulenza tecnica deve continuare a svolgere rispetto
all’effettiva introduzione della causa dopo l’indagine pregiudiziale. Lo stesso art. 4 delle regole
procedurali si riferisce infatti espressamente al servizio che continua ad essere richiesto al patrono:
«l’indagine pastorale raccoglie gli elementi utili per l’eventuale introduzione della causa da parte
dei coniugi o del loro patrono davanti al tribunale competente» 54. Preferibilmente, come già
evidenziato, questo servizio inizia con la stessa stesura del libello.
In questa consegna al patrocinio tecnico dell’esito dell’indagine pregiudiziale, confermato il ruolo
proprio che è assegnato ai patroni stabili, continuano ad essere ricomprese anche figure
professionali per le quali deve essere garantito un legittimo onorario (in quanto non remunerate dal
tribunale e in quanto è un principio irrinunciabile della morale cattolica quello che prevede per chi
lavora il diritto alla sua mercede). La legittimità del ricorso a tali figure di consulenza tecnica trova
del resto riscontro in una serie di fattori: le parcelle dei liberi professionisti possono essere
debitamente calmierate (come avviene già ora in Italia); lo svolgimento dell’indagine preliminare
presso il servizio giuridico-pastorale (di sua natura invece gratuito o pressoché gratuito)
contribuisce ad alleviare il lavoro e quindi anche il costo del libero professionista che svolge il
compito di consulente tecnico; per le persone che non fossero in grado di remunerare un libero
professionista è in ogni caso prevista la possibilità del ricorso all’avvocato d’ufficio (che perlopiù
sarà un patrono stabile, anche se secondo il disposto dell’art. 112 di Dignitas connubii vi è tenuto
ogni avvocato iscritto all’albo).
54
Cf Regole procedurali, art. 4: «investigatio pastoralis elementa utilia colligit ad causae introductionem
coram tribunali competenti a coniugibus vel eorum patrono forte faciendam».
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