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1 Steven Johnson, Tutto quello che fa male ti fa bene. Perché la
Steven Johnson, Tutto quello che fa male ti fa bene. Perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono più intelligenti. Mondadori 2006, Pp 216 Everything Bad is God for You Giovanni Federle 23 ottobre 2007-10-22 Abstract La prima parte del volume passa in rassegna il funzionamento dei nuovi media. La lettura e i benefici che dà, gli stessi criteri applicati all’uso dei videogiochi che sono difficili e dalla gratificazione posticipata. La televisione e le storie complesse che vengono trasmesse: Nel seguire la televisione parte dello sfrozo cognitivo deriva dal seguire storie multiple, dipanando il filo di trame narrative spesso strettamente intrecciate. Un’altra parte richiede il “completamento” comprendere le informazioni che sono state occultate. I reality mettono alla prova la nostra intelligenza emotiva. Internet ci costringe a esplorare strutture ipertestuali non lineari. Anche i film sono diventati più complessi nella struttura narratica. La seconda parte del libro prende in considerazione gli indici che ci segnalano come di fatto in questa società multimediale l’intelligenza media sia cresciuta. tutte le vecchie forme di attività culturali stanno perdendo terreno in favore delle nuove: internet, email, videogiochi, DVD. L’autore sostiene che il fattore “contenuto negativo” dei media popolari rispetto al cervello ha meno effetto dell’esercizio del problem solving che questi inducono. Recensione “l’apprendimento collaterale, la formazione di attitudini durature o di repulsioni, può essere e spesso è molto più importante. Codeste attitudini sono difatti quel che conta veramente nel futuro.” Dewey “Non sui contenuti morali dobbiamo ragionare ma sul tipo di esperienza culturale dei nuovi media.” Johnson Johnson, studioso di scienze cognitive e divulgatore degli sviluppi delle nuove tecnologie, arriva a contestare la oramai storica accusa mossa a televisione, videogiochi e (recentemente) mondi virtuali, colpevoli di un impoverimento culturale delle nuove generazioni. Quello che Johnson contesta è, in questo ambito, il metodo degli accusatori: si possono giudicare i nuovi media tramite criteri disegnati per valutare la lettura di un romanzo? Per chiarire meglio, l’autore ci propone un singolare esperimento: immaginate un mondo alternativo identico al nostro fatta eccezione per un cambiamento tecno-storico: i videogiochi sono stati inventati e diffusi prima dei libri. In questo universo parallelo, i bambini da secoli giocano con i videogame e a un certo punto arrivano questi testi impaginati che subito fanno furore. Che cosa direbbero gli insegnanti, i genitori e le autorità culturali di questa frenesia per la lettura? Il sospetto dell’autore (volutamente esagerato e provocatorio) è che i loro interventi suonerebbero più o meno così: 1 “Leggere libri sottostimola cronicamente i sensi. A differenza della lunga tradizione dei videogiochi – che assorbono il bambino in un mondo vivido, tridimensionale, pieno di immagini in movimento e paesaggi sonori, che si esplora e si controlla attraverso complessi movimenti muscolari – i libri sono semplicemente un’inutile striscia di parole su una pagina. Durante la lettura viene attivata soltanto una piccola parte del cervello dedicata all’elaborazione del linguaggio scritto, mentre i videogiochi impegnano l’intera gamma delle cortecce sensoriali e motorie.” I libri inoltre portano tragicamente a isolarsi. Mentre i videogiochi da anni impegnano i giovani in complesse relazioni sociali con i loro coetanei, che costruiscono ed esplorano mondi insieme, i libri costringono il bambino a rinchiudersi in uno spazio silenzioso, lontano dall’interazione con altri bambini. Queste nuove “biblioteche” che sono sorte negli ultimi anni per facilitare le attività di lettura sono spaventose alla vista: decine di ragazzini, normalmente vivaci e socialmente interattivi, seduti soli in degli stanzini, a leggere in silenzio, incuranti dei propri coetanei. Molti bambini amano leggere libri, ovviamente, e di certo alcuni voli di fantasia trasmessi dalla lettura hanno i loro meriti. Ma per una considerevole percentuale della popolazione, i libri sono assolutamente discriminatori. La mania della lettura degli ultimi anni è una crudele derisione per i 10 milioni di americani che soffrono di dislessia: una condizione che non esisteva nemmeno in quanto tale prima che il testo stampato facesse la sua comparsa a stigmatizzare chi ne è affetto. Ma forse la caratteristica più pericolosa di questi libri è il fatto che seguono un percorso lineare fisso. Non è possibile controllarne la narrazione in alcun modo: ci si siede semplicemente in disparte e la storia viene imposta. Per chi di noi è cresciuto con la narrazione interattiva, questa caratteristica può sembrare incredibile. Perché dovremmo imbarcarci in un’avventura totalmente preparata da un’altra persona? Eppure la generazione di oggi lo fa milioni di volte al giorno. Questo rischia di instillare una passività generale nei nostri figli, facendoli sentire impotenti di cambiare gli eventi. Leggere non è un processo attivo, partecipatorio; è un processo remissivo. I lettori di libri della generazione dei giovani stanno imparando a “seguire la trama” invece di imparare a condurla.” Secondo l’opinione comune si ritiene che i prodotti della cultura di massa come il cinema, i videogiochi e i programmi televisivi siano dannosi per i loro più giovani e accaniti consumatori, non solo per una pretesa scarsa qualità estetica ma perché creino dipendenza e alla fine inebetiscano. Non è così per l’autore che sostiene, al contrario che queste tecnologie di intrattenimento multimediale e di massa contribuiscano a renderci più intelligenti. È un paradosso? L’autore vuole dimostrare il contrario. Quello che accomuna i mezzi elencati è una progressiva complessità cognitiva, la difficoltà di utilizzo, che è allo stesso tempo lo stimolo a superare sé stessi (nel proseguire un’azione di gioco, nel comprendere la trama di una serie tv) e a risolvere uno dopo l’altro problemi sempre più complessi che via via ci vengono proposti: il fascino dei videogiochi risiede proprio in quello. Con il risultato allenare le nostre capacità cognitive e quindi di rafforzarle. I videogiochi: nel tempo la loro complessità è cresciuta in modo esponenziale. Sono sempre più difficili da eseguire e richiedono capacità di coordinamento e strategiche sempre più affinate: bisogna difendersi dagli avversari, evitare i trabocchetti, sapere dove ci muove tenendo d’occhio una mappa del luogo, cercare o procurarsi tutti gli oggetti che possono servire immediatamente oppure in una successiva fase del gioco e prevederne il possibile uso, parlare 2 con i personaggi per trarne informazioni, tenere d’occhio i livelli di “energia” a disposizione e, nel caso dei giocatori multipli, farlo su una porzione di uno schermo dove altri due o tre concorrenti stanno facendo cose diverse. Basta avere osservato un gruppo di adolescenti davanti allo schermo e intenti al gioco per capire quanto la complessità di ciò che accade sia di livelli veramente sconcertanti. I videogiochi secondo l’autore sviluppano il pensiero predittivo incoraggiando la creazione o l’intuizione di legami cognitivo tra ambienti diversi. Occorre avere una visione del livello in cui ci si trova che tenga conto di tutte le sue caratteristiche, prevedere e attivare complesse strategie di gioco in vista di passaggi successivi, in un vero e proprio problem solving, e con una gratificazione così ritardata e continuamente rinviata da sembrare da far pensare che non arriverà mai. E per avere la misura di quanto sia complesso un videogioco basti pensare all’attività sociale di scambio di soluzioni, trucchi, mappe, espedienti, che in presenza o a distanza ci viene attivata intorno. Avvicinarsi alla soluzione di un videogioco è paragonato dall’autore a “colmare un divario informativo”. Anche molti programmi televisivi hanno un grado di complessità cognitiva assai alto: si è visto che dall’avvento della televisione di massa in avanti lo sforzo per seguire le trame multiple, i diversi fili narrativi che si intrecciano, la complessità delle storie e la mancanza di segnali di contesto (la pistola che è stata anticipata e mostrata prima, senza un reale motivo, in questo nuovo contesto sparerà – le bandierine di Hitchcock). Internet stesso ha contribuito alla complessità cognitiva perché è aumentato il numero di norizie disponibili e la necessità di filtrarle, e si è creato un circolo virtuoso tra tutti i media con al centro internet: ricordiamo i siti e i blog creati dalle comunità dei giocatori che si scambiano notizie in rete. A riprova del miglioramento dell’intelligenza di intere generazioni nel tempo porta l’esempio dei test QI che sono diventati più complessi nel tempo e questo su una statistica di massa. “Le loro classi potranno essere sovraffollate e gli insegnanti sottopagati, ma nel mondo al di fuori della scuola, le loro menti sono continuamente sottoposte a nuove sfide da nuove forme di comunicazione e di tecnologia che fanno crescere la loro capacità di risolvere problemi.” Un luogo comune racconta della abilità dei bambini nell’usare le tecnologie, ma in realtà essa non è innata ma deriva dall’abitudine e dall’allenamento all’uso di apparecchiature (compure, videogiochi, videolettori) grazie ai quali hanno assimilato i principi cognitivi e gli schemi che possono applicare con successo a qualsiasi nuovo sistema complesso. Il procedimento va verso il saper come fare a scoprirne il funzionamento piuttosto che saperlo in anticipo. Non si dà qui un giudizio di valore a ciò che viene guardato in tv: “... chiediamo con insistenza ai genitori di instillare nei propri figli l'amore per la lettura, senza preoccuparci allo stesso modo di cosa i bambini leggano: perché riteniamo ci sia un beneficio cognitivo apprezzabile anche nel semplice atto di leggere, al di là del contenuto. Lo stesso principio è valido per la televisione, i film o i videogiochi.” Di fronte ad un calo del tempo dedicato alla lettura (in generale o di libri in particolare?) si constata l’aumento del tempo che si passa ascrivere e a più media anziché a uno solo. Ci sono ovviamente degli elementi critici - soglia dell'attenzione bassa, scarsa capacità di concentrazione, contenuti discutibili - ma questi elementi critici sono comunque compensati dai vantaggi. Insomma non guardiamo alla TV e 3 ai videogiochi solo come ad un elemento di disturbo nello sviluppo cognitivo di un bambino. Apprezziamone invece i lati positivi e cerchiamo piuttosto di sfruttarli ed esplicitarli. Indice Parte prima Parte seconda Autore Steven Johnson, studioso di neuroscienze. Bibliografia essenziale Mind Wide Open: Your Brain and the Neuroscience of Everyday Life. Link Videogichi JP Gee What Videogames Have to teach Us about Learning and litercy Sulla cultura e il linguaggio Steven Pinker, L’istinto del linguaggio O. Wilson, L’armonia meravigliosa Mondadori 99 S. Johnson Mind wide Open 4