Come Walt Disney ha cambiato tutto
Transcript
Come Walt Disney ha cambiato tutto
sito diretto da fabrizio bottini -1/17 - http://mall.lampnet.org T. D. Allman Come Walt Disney ha cambiato tutto National Geographic, marzo 2007; Titolo originale: How Walt Disney changed everything. The Theme-Parking, Megachurching, Franchising, Exurbing, McMansioning of America – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini Tutto quello che succede oggi in America accade qui, lontanissimo dal suburbio di scatolette bianche di una generazione fa. La regione di Orlando è diventata la Sala Principale della Mostra per il crescente potere dei nostri esurbi: grumi informi e ameboidi spuntati dal nulla in cui si concentra popolazione, lontana dai centri urbani. Enormi comunità sparpagliate, dove sempre più americani scelgono di stare, dove crescono più rapidamente i posti di lavoro, è più veloce la costruzione delle case, centri commerciali e megachiese si moltiplicano man mano arrivano nuove persone. Chi sono, tutte queste persone? Sono me, sono voi, e assomigliano sempre di meno ai mitici “Dick e Jane” cogli occhi azzurri dell’America suburbana. L’esplosione di Orlando è visibile in qualunque centro commerciale o ingorgo del traffico. La si vede anche dallo spazio. Quando sono stati lanciati i primi satelliti, la Florida fotografata di notte avea l’aspetto di due “L” una di fronte all’altra: una lunga fila di luci sul lato atlantico della penisola; un’altra lungo il Golfo del Messico. In mezzo, l’oscurità. Oggi le due “L” sono diventate una “H” inclinata. La Florida centrale brilla come se dallo spazio esterno ci fosse atterrata una creatura fosforescente che ha cominciato a riprodursi. Ingoia gli insediamenti che esistono trasformando brughiere e acquitrini in una piatta conurbazione di superstrade congestionate e parcheggi. Tutto ciò si chiama “Orlando”, marchio di fabbrica per una regione con due milioni di abitanti. Quando la gente l’incredibile trasformazione di Orlando da buco sperduto in una palude a metropoli del XXI secolo, inevitabilmente comincia dall’uomo e dal topo. Il topo è Mickey, l’uomo Walt Disney. Se non fosse per Disney, si dice qui, la regione di Orlando si chiamerebbe Ocala, città rivale sulla stessa strada. Disney volò per la prima volta sopra la Florida centrale in un aereo affittato con nome falso per tenere il segreto sulla missione. Era il fatale 22 novembre 1963. L’assassinio di Kennedy avrebbe segnato per sempre l’America. Lo stesso, la decisione presa da Walt Disney il medesimo giorno, di trasformare un centro agricolo nell’interno della Florida in un epicentro del turismo mondiale. sito diretto da fabrizio bottini -1/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -2/17 - http://mall.lampnet.org Orlando era il capoluogo della Orange County, ma non erano gli agrumeti ad aver spinto Disney alla sua spedizione aerea segreta. Durante il volo, si concentrò su un’area deserta a sud-ovest di Orlando, dove gli alligatori erano molto più numerosi delle persone. C’era roccia porosa calcarea sotto il fango vegetale. Quella che appariva terraferma era punteggiata da bacini chiusi di acque torbide, qualcuno grande come una casa, altri come un grosso villaggio. “Eccolo” proclamò Disney indicando il luogo selvaggio della Florida dove sognava di creare Epcot, Prototipo Sperimentale della Città Americana del Futuro. Nei due anni seguenti, con la complicità del ceto dirigente locale di Orlando, Disney acquistò in segreto oltre 10.000 ettari. La gente era lieta di vendere a buon prezzo quella terra di poco valore. Il suolo fangoso era inutile per l’agricoltura. Lontano dalle spiagge della Florida. Caldo e afoso gran parte dell’anno, ma tanto freddo nei brevi inverni della Florida centrale che periodicamente si gelavano i raccolti di agrumi. Chi mai avrebbe voluto venire in vacanza in un posto del genere? La gran parte degli americani, pensava Disney, dopo il trattamento della sua magia di marketing. Negli anni ’60 in tutto il paese i suburbi stavano sostituendo i vecchi quartieri urbani. I centri commerciali facevano fallire le vecchie vie di negozi. Non c’era una casa di campagna o di città che non avesse la sua antenna TV sul tetto. Disney capì che nei decenni a venire sarebbero stati spettacoli come Il Club di Topolino, non il clima o la geologia, a decidere i posti di vacanza preferiti dalla famiglia americana come sicuri e gradevoli. Quel giorno, volando sopra la Florida centrale, Disney decise che sarebbe stato lui, non la realtà, a decidere cosa dovesse essere il Regno Magico nella fantasia e nelle abitudini di spesa di milioni americani negli anni seguenti. Il sistema autostradale interstate, cominciato dall’amministrazione sito diretto da fabrizio bottini -2/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -3/17 - http://mall.lampnet.org Eisenhower come parte della Guerra Fredda al comunismo, si stendeva già attraverso l’America. Disney scelse Orlando perché stava alla confluenza di due tra le più importanti di queste nuove arterie, quelle che oggi sono la Interstate 4 e la Florida Turnpike. C’era anche un motivo profondamente personale per collocare Disney World qui: lo stesso che attira ancor oggi le persone a Orlando. In questa zona centrale della Florida, paludosa, vuota, piena solo di insetti, Walt Disney sentiva la possibilità di una seconda occasione. Il suo parco a tema originale – Disneyland, nella California meridionale – si stendeva su meno di 120 ettari. Era stato immediatamente circondato dal pasticcio suburbano inevitabilmente attirato dal suo successo: motel, fasce commerciali, parchi di divertimenti che lo scopiazzavano. Disney non si era mai perdonato di aver fatto Disneyland troppo piccola, e ora in Florida sperava di rimediare all’errore. Iniziò a pensare a una Adventureland dove niente era lasciato al caso. I visitatori in arrivo non potevano scegliersi da soli dove parcheggiare; sorridenti personaggi della Disney l’avrebbero fatto al loro posto. In questo nuovo Magic Kingdom più grande e più bello, l’acqua non poteva essere certo quella torbida normale della Florida centrale. E così fu prosciugato il lago Bay, tolti i fanghi, pompata acqua pulita nella laguna vuota. Anche la terra ferma si trasformava in un’altra illusione alla Disney: ora attraversando il parco a tema in realtà si cammina sul tetto di un immenso edificio di controllo sotterraneo da cui tutto viene deciso, gestito, alimentato. Veduta di una delle sedi della First Baptist megachurch (GoogleEarth) sito diretto da fabrizio bottini -3/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -4/17 - http://mall.lampnet.org Il nuovo impero Disney della Florida centrale sarebbe stato venduto come di Disney World. La denominazione ufficiale era, e resta, Reedy Creek Improvement District. Grazie a una perfetta intesa con l’amministrazione statale, i terreni comprati dalla Disney furono separati dal resto della Florida a formare il Magic Kingdom, al di fuori e al di sopra della legge. Ancora oggi, le attrazioni di Disney World sono esenti dalle ispezioni di sicurezza statali. Ne resta fuori anche il processo democratico. Il potere resta nelle mani di un comitato di controllo composto di alleati della Disney. Per quanto siate disposti a pagare un appartamento in comproprietà a Disney World, non potete diventarne del tutto proprietari, e ufficialmente residenti, e dunque votare per il comitato. Celebration, l’area residenziale a tema della Disney che evoca l’atmosfera di una cittadina americana prima degli anni ‘40, è dotata di un municipio, ma non di un governo municipale. Il parco a tema più rivelatore di Orlando non è nemmeno della Disney. SeaWorld è popolato da squali e balene presi dall’oceano e trasportati per ottanta chilometri all’interno (Marineland, l’attrazione acquatica originaria della Florida, è ridotta a un fossile di sé stessa). Ogni anno, centinaia di migliaia di persone scendono lungo la costa atlantica e poi si inoltrano nella terraferma a visitare la principale attrazione di acqua marina d’America. SeaWorld esprime l’essenza di Orlando, un luogo la cui particolarità è quella di staccare l’esperienza dal contesto, di estrarre la forma dalla sostanza, e poi vendere il biglietto di ingresso. In questo spazio dei pionieri esurbani, c’è una enorme possibilità di scelta anche se le scelte sono illusorie. Qui la vita è davvero uno stile: non si vuole abitare in un quartiere che sa un prodotto di massa, una “comunità”? Nessun problema. I costruttori di Orlando, come i fabbricanti di caffè solubile, propongono una quantità di sapori, compreso il gusto Tradizione. Dal punto di vista strutturale, sembra identico agli altri. Soltanto, invece di particolari decorativi vagamente mediterranei, le case al gusto Tradizione hanno finiture in stile coloniale. Nel vivace centro di Orlando, si può anche abitare in un loft, come si farebbe a Chicago o New York. Ma questi sono loft nuovi di zecca per chi predilige lo stile postindustriale, in un posto che non è mai stato industriale. Le mille luci di Orlando non sono la sfarzosa sfilata di Las Vegas o le orgogliose insegne di New York. Orlando brilla invece dei noti marchi dell’America delle grandi catene: Denny's, Burger King, Quality Inn, Hampton Inn, Hertz. C’è anche la trasformazione dell’esotico nel familiare. Dai suoi uffici centrali di Orlando, la Darden Corporation, la prima della città a entrare nella classifica delle 500 di Fortune, distribuisce in massa alimenti tematizzati. Trasforma in standard aragoste giganti e olive ovunque. Ovunque a Orlando si vedono all’opera le forze che stanno trasformando sito diretto da fabrizio bottini -4/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -5/17 - http://mall.lampnet.org l’America, da Fairbanks a Little Rock. É il vero paradigma del XXI secolo: una crescita basata sul consumo, non sulla produzione; una società non fondata sulle risorse naturali, ma sulla dissipazione di capitali accumulati altrove; luogo delle possibilità infinite, tenuto insieme – per quanto sia possibile i qualche modo farlo – dal riconoscersi condiviso nei segnali stradali, nei marchi, negli spettacoli TV, nelle personalità, anziché in una storia comune. In nessun luogo è rappresentata in modo più vivo e rivelatore la sovrapposizione di cos’è in realtà l’America, rispetto a cosa dovrebbe essere. Benvenuti nel paese che è un parco a tema “Mi sono innamorato della sensazione di possibilità” racconta Rick Tesch, uno dei protagonisti dello sviluppo moderno di Orlando. “La vedo come una grande occasione, globalmente”. Tesch ne parla come ci si potrebbe riferire a una catena di agenzie per auto a noleggio. Invece, sta parlando di religione. Negli anni ‘80, il ceto dirigente di Orlando ha deciso che poteva diventare un luogo di punta anche nella fede oltre che nei parchi a tema. Per Tesch, uomo devoto che lavorava all’epoca alla Orlando Economic Development Commission, l’occasione di attirare qui le organizzazioni religiose fu al tempo stesso un privilegio e una sfida. Uno dei primi coinvolti fu Bill Bright, lo scomparso fondatore della Campus Crusade for Christ. Come Disney, Bright era partito dalla California meridionale; la sua impresa spirituale, come già quella di Disney per l’intrattenimento, presto ebbe bisogno di nuovi spazi. Tesch si impegnò a dimostrare che Orlando era il posto giusto dove la Campus Crusade poteva mettere radici. Il simbolo di Hometown U.S.A. a Orlando era un elemento di attrazione. Lo stesso valeva per il fatto che, in campo religioso come in altri, Orlando fosse all’apice dei grandi cambiamenti in America. Originariamente appendice meridionale dell’area della Bible Belt, Orlando si stava evolvendo verso forti valori spirituali e culturali di tipo Middle American, grazie alla migrazione di massa verso la Florida centrale da tutti gli Stati Uniti. Si dice che Bright abbia affermato, Dio vuole che io venga qui, dopo una visita di esplorazione. E voleva la stessa cosa anche la Orlando Economic Development Commission. Con la collaborazione di leaders civici e associazioni private, si perfezionò un accordo secondo il quale alla Campus Crusade for Christ, per realizzare qui a Orlando il suo World Center for Discipleship and Evangelism, venivano ceduti gratuitamente 67 ettari di terreno. Un equivalente del contratto della Disney per Reedy Creek, che rapidamente trasformò Orlando in un importante fulcro di attività religiose. Oggi nell’area sono insediate decine di megachiese e organizzazioni religiose, molte con bilanci multimiliardari. La megachiesa rappresenta il culmine – almeno sinora – dell’integrazione sito diretto da fabrizio bottini -5/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -6/17 - http://mall.lampnet.org della pratica religiosa nello stile di vita americano fatto di autostrade, attenzione al borsellino, grande distribuzione. L’ascesa a Orlando della megachiesa principale, First Baptist Church, da piccola congregazione a organizzazione potente e ricca, va di pari passo con la trasformazione della città. Il punto di svolta, come tante volte accade qui, è quando lo spirito della missione si incrocia con l’occasione immobiliare. Nei primi anni ‘80, il pastore della First Baptist Jim Henry, pensa che la chiesa debba uscire dal centro di Orlando. É arrivato qui nel 1977 dalle zone rurali del Mississippi. “Sentivo che a città stava decollando. C’erano buoni collegamenti: spirituali, d’affari, politici” racconta. Ha previsto che la vecchia zona centrale non sarebbe stato più l’epicentro di Orlando. Dietro sua insistenza si forma un comitato per la ricerca di nuovi spazi. “Ho detto cercate dei terreni e pensate con 150 anni d’anticipo. Volevo che ci trasferissimo dove sarebbe nato il nuovo centro di Orlando”. Il gruppo individua un terreno di 65 ettari vicino all’incrocio di due superstrade, che danno accesso sia all’aeroporto che a Disney World, e Henry capisce che la First Baptist ha trovato la sua terra promessa. Oggi la chiesa mette a disposizione gli stessi elementi di spazio verde, ampi parcheggi, edifici bassi che si trovano nei migliori complessi commerciali o residenziali di Orlando. La crescita è avvenuta adattando i servizi ai bisogni di una comunità avida di appartenenza. Offre laboratori per genitori, sale gioco per adolescenti, gruppi di sostegno per divorziati. “Abbiamo fato la stessa cosa che fanno Wal-Mart o il football” spiega Henry. “Abbiamo abbandonato l’idea che grande è brutto”. Alla trasformazione fisica della chiesa si è accompagnata quella filosofica. “Non siamo qui a imporre la nostra fede” dice Henry, già presidente della Southern Baptist Convention. É stato uno dei promotori della decisione della Southern Baptist di pubblicare scuse ufficiali agli afroamericani per il sostegno dato nel passato a schiavitù e segregazione. Henry si è opposto al boicottaggio della Southern Baptist, poi terminato, di Disney World perché ammetteva visitatori apertamente omosessuali. É un percorso rivelatore, quello da una piccola congregazione del Mississippi alla megachiesa di Orlando, non solo più grande, ma diversa in modo che sembra inimmaginabile. Nel frattempo Henry, che non è più pastore, è diventato un’autorità nella gestione e sviluppo delle megachiese. Il suo libro Dangerous Intersections spiega come le chiese si devono confrontare con la propria crescita. Come racconta Henry, uno dei trucchi più riusciti per portare la gente a pregare è quello di guidarla dentro e fuori dai parcheggi. Alla First Baptist, i sermoni sono coordinati col tempo necessario ai fedeli a salire in macchina e inserirsi in superstrada. C’è un sistema in codice a colori che impedisce ai predicatori di dilungarsi troppo, e di creare così degli ingorghi sulle rampe di accesso, o caos nei parcheggi. “Si comincia dalla fede” dice Henry, e almeno nel suo caso si diventa esperti di gestione del traffico. sito diretto da fabrizio bottini -6/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -7/17 - http://mall.lampnet.org Molte poche persone, parlando degli immensi cambiamenti che stanno rimodellando Orlando e le loro vite, si ricordano di un altro genio americano che ha lasciato il suo segno qui, prima ancora che arrivasse Disney. Jack Kerouac – guru, cattivo ragazzo, superstar letteraria autore del manifesto della Beat Generation, Sulla Strada – arrivò qui a Orlando, in autobus, nel dicembre 1956. Un anno dopo, in un furore creativo durato undici giorni, scrisse I Vagabondi del Dharma in una casa con una pianta di mandarini sul retro, spalando parole nella sua macchina da scrivere qui nel cuore della piatta e rovente Florida. La tumultuosa visione di Kerouac è un urlo di avvertimento contro le catene di plastica che, lui intuiva, stavano imprigionando lo spirito dell’uomo nell’America a metà del secolo. Guardando i suoi vicini dalla finestra, ne disprezzava “la mancanza di identità middle-class che trova la sua perfetta espressione … nelle file di case decorose col prato e la televisione in ogni soggiorno, tutti che guardano la stessa cosa e pensano la stessa cosa nello stesso momento”. Se Disney cercava di dominare, Kerouac impersona l’ansia Americana di evitare il dominio. Disney seguiva la vecchia idea secondo cui se si riesce a dominare a sufficienza la natura si può costruire un mondo libero dai problemi che assillano le persone in posti come la fascia fredda settentrionale. Kerouac evoca una America senza radici, dove per quanto si vagabondi non si raggiunge mai la destinazione. Non esistono due personalità più profondamente americane e più radicalmente diverse, e tutte e due sono finite a Orlando. Una convergenza profetica che solleva una domanda: riguardo al futuro americano, chi dei due è stato il miglior profeta, rispetto a quello che noi e il nostro paese siamo diventati da allora? Come popolo, come nazione, siamo come le sorridenti “maschere” di Disney? O assomigliamo di più a personaggi vagabondi e un po’ smarriti, come Kerouac e la sua banda? La casa di Kerouac a Orlando La risposta sembra chiara: in tutto il mondo, Orlando è sinonimo della cultura da parco a tema che si è impossessata dell’America. In nessun sito diretto da fabrizio bottini -7/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -8/17 - http://mall.lampnet.org altro luogo appare così totale il trionfo dell’ethos Disney, e pure emerge qualcosa di paradossale conoscendo il luogo. A cinquant’anni di distanza, lo spirito inquieto di Kerouac aleggia ancora libero per i centri commerciali discount di Orlando. Si insinua nei cinema multisala e frequenta i chioschi fast-food delle grandi catene. Ovunque ci si stufa di tosare il prato, o si mandano a quel paese le rate dell’auto, rieccoci nella Orlando di Kerouac, perché tutti, come lui, un tempo stavano altrove. E almeno per un attimo, Orlando è sembrata loro, come fu per l’apostolo del Beat, un posto dove le bollette non hanno mai una scadenza, e il passato non ci perseguita. “Perché non venire a Orlando e mollare la pazza Florida delle superstrade immacolate e fantastici supermarket?” scriveva Kerouac al poeta Beat Lawrence Ferlinghetti, nel 1961. Ma anche a Orlando, come in tutti gli altri posti dove vagava, Kerouac non trovò pace. La Florida diventò per lui, dopo che aveva smesso di scrivere, un posto per bere, alla fine un posto per morire. La casetta al 1418 di Clouser Avenue dove Kerouac scrisse il suo romanzo ora è una specie di multiproprietà letteraria, con gli scrittori che ci passano tre mesi per volta, sperando di incrociare la maniacale vena del genio di Kerouac. Epcot nel pieghevole pubblicitario Le cose non sono poi nemmeno andate come intendeva Walt Disney. La gente si affolla al Magic Kingdom per vedere coi propri occhi quello che ha già visto in TV, ma Epcot, l’amato progetto di Disney di creare la città del futuro dove le persone abitano e lavorano immerse in una armonia high-tech, non è mai diventato realtà. La gente non era interessata alle visioni future estreme di Disney. Epcot è stata un tale fallimento che i responsabili della Disney si sono trovati di fronte all’imbarazzante sito diretto da fabrizio bottini -8/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -9/17 - http://mall.lampnet.org prospettiva di abbandonarla. Invece, l’hanno trasformata in un’altra attrazione turistica. Oggi Epcot offre un nostalgico pastiche di cittadina turistica della costa anni ’40, a 97 chilometri dal mare più vicino, con scelte di ristorazione tematizzate su luoghi come Gay Paree, percorso nello spazio profondo, multiproprietà “Key West”. Ma nel suo tentativo di creare un Magic Kingdom esente da squallore e complicazioni, Disney ha innescato un’orgia di crescita fuori controllo, che ancor oggi non mostra segni di rallentamento. Ci sono relitti di parchi a tema sparsi su tutto il paesaggio di Orlando, nello stesso modo in cui ci sono fabbriche vuote nelle aree industriali. Attrazioni ora defunte, come Splendida Cina, che proponeva una Grande Muraglia in miniatura, andate in bancarotta perché troppo realistiche. Non hanno proposto quello che si vuole assolutamente dai parchi tematici: fantasie corrispondenti a quello che cerca il pubblico pagante. Epcot: veduta da GoogleEarth Oggi Orlando è un crogiolo di tutti gli elementi che Disney tentava di dominare. Nel quartiere Parramore, si può fare provvista di crack, anfetamine, polvere degli angeli. Secondo l’istituto di ricerca Morgan Quitno, nel 2006 qui si sono raggiunte città come Detroit o St. Louis, entrando fra le 25 aree più pericolose d’America. Da qui le guardie armate all’ingresso delle “communities” dove si entra soltanto per invito. La zona di Orlando ha anche uno dei più alti tassi di mortalità di pedoni in incidenti stradali fra le aree metropolitane del paese. Quarant’anni dopo il sorvolo del destino di Disney, Orlando è un luogo di enorme vitalità, diversità, sito diretto da fabrizio bottini -9/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -10/17 - http://mall.lampnet.org bruttezza, contrasti, inventiva, possibilità, e speranze deluse, e non c’è nessun figurante in costume da personaggio dei cartoni che possa spiegare alle gente come vivere, figuriamoci dove parcheggiare. Nel pomeriggio di mercoledì 2 febbraio 2005, migliaia di persone sono rimaste scioccate accendendo la radio mentre tornavano verso casa. Le Supremes erano state abolite; a Kenny Rogers era stato dato il benservito. Senza preavviso o spiegazioni, le frequenze FM 100,3, famosa stazione “golden oldies” di Orlando (nota come Big 100s), era sparita. Il suo posto era stato preso da Rumba 100,3, nuova emittente della Florida centrale specializzata nel sound latino. Per gli appassionati del genere oldies, è stato come se un gruppo si ispanici armati di tamburelli avesse fatto irruzione nell’abitacolo dell’auto. Un incidente che rappresenta un buona guida per leggere la Orlando di oggi. Venticinque anni fa, appariva un’oasi sicura a chi cercava di evitare tutti gli immigrati che si riversavano a Miami e rimodellavano la vita di tutto il paese. Si soleva dire: “Per favore, l’ultimo americano ad andarsene si ricordi di portare la bandiera”. Ora, come dimostrava la morte di Big 100s, Miami era stata soltanto un’anticipazione, non un’aberrazione. Oggi nell’area di Orlando ci sono circa 400.000 ispanici: il 20% della popolazione totale. L’improvvisa intrusione di Rumba 100,3 sta a indicare qualcosa di più che non la semplice maggior diversificazione etnica di Orlando. Una generazione fa, la decisione segreta di Walt Disney ha cambiato il destino della città senza che a nessuno fosse chiesto se era d’accordo o meno. Ora c’è un’altra decisione segreta, stavolta dei lontani dirigenti della Clear Channel Communications, gigante conglomerato radiofonico, che determina quale musica ascolterà la gente di Orlando. Anche la stessa crescita della popolazione ispanica è stata stimolata da una scelta di marketing. Negli anni ‘90, una compagnia immobiliare aveva delle difficoltà a vendere spazi in un complesso chiamato Buenaventura Lakes, e i responsabili delle vendite decisero di fare pubblicità in spagnolo sui principali giornali di Puerto Rico. Di colpo, iniziarono ad arrivare in massa portoricani nell’area di Orlando, creando un’alternativa ispanica in Florida alla Miami prevalentemente cubana. Oggi Orlando è multiculturale quanto New York, nel vortice della globalizzazione come qualunque nodo dell’import-export. Il suo sviluppo ha portato qui nella Florida centrale gente che parla 70 lingue diverse. Kissimmee, a sud e appena a est di Disney World, in meno di dieci anni da cittadina di cowboy è diventata centro principalmente ispanico. I tentacoli della diversità si sono insinuati anche dentro a Disney World. Pochi turisti se ne accorgono, ma quando i loro bambini abbracciano Pippo o Minnie, probabilmente stanno abbracciando lavoratori sottopagati che vengono dallo Sri Lanka o dalla Repubblica Dominicana. Qualcuno lamenta che i nuovi venuti dai paesi in via di sviluppo non sono “veri americani”. Altri che chi è venuto dal nord non è un “vero floridiano”. sito diretto da fabrizio bottini -10/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -11/17 - http://mall.lampnet.org “Abbiamo dei cittadini occasionali” spiega Linda Chapin, ex consigliera della Orange County. La gente si trasferisce in Florida, ma non trasloca la propria appartenenza. In una situazione del genere, di sradicamento psicologico e scollamento morale, la questione non è se si riusciranno a risolvere i problemi della crescita incontrollata. É se esiste qualche probabilità di provare ad affrontarli. “Abbiamo consentito alla Florida di trasformarsi tutta in una fascia commerciale” dice la Chapin. “É questa la nostra grande tragedia”. Quando presiedeva il consiglio della contea, ha svolto un ruolo chiave nello scatenare l’irrefrenabile boom edilizio di Orlando. É stata la stratega del nuovo centro congressi, e di altri progetti pensati per assicurare un flusso in ingresso di persone nell’area. “C’è il mio nome scritto a lettere d’oro al centro congressi” racconta. “Mia madre ne era molto orgogliosa”. Oggi, direttrice per la pianificazione urbanistica all’Università della Florida Centrale, sta pensando ai modi per rallentare la crescita di Orlando, e per umanizzarla. La Chapin è una fra i pochi protagonisti della scena di Orlando che sia nata qui. A quei tempi, naturalmente, la casa sulla riva del lago dove ancora abita non era considerate parte di Orlando. Era parecchio fuori in campagna. Oggi sta sullo stesso lato del centro dell’aeroporto e di Disney World. Una volta questo era l’Eden. Adesso gli aranceti sono spariti dal paesaggio. Gli aerei rombano mentre si preparano ad atterrare nell’aeroporto più affollato della Florida. Lì vicino, South Orange Blossom Trail [Sentiero dei Germogli d’Arancio n.d.t.] è un caso studio sulla bruttezza in sei corsie, dove si vende di tutto, dai video per adulti all’ingrosso ad autentica cucina vegetariana dal sud dell’India. E pure il vecchio quartiere della signora Chapin possiede ancora quello che qui a Orlando manca di più: autenticità. “Siamo qui; non siamo in nessun altro posto” raccontano le basse acque torbide, l’aria pesante, i ciuffi di barba dei frati coi piccoli insetti rossi. sito diretto da fabrizio bottini -11/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -12/17 - http://mall.lampnet.org Pubblicità del complesso Belavida Resort, Orlando La Chapin parla dei motivi per cui, all’inizio, cambiare e crescere apparivano come un’indiscutibile manna. “Credevamo di poter governare lo sviluppo” ricorda. Nell’arco della sua vita, un contesto da “l’unico limite è il cielo” ha trasformato Orlando nella città del dilemma suburbano, e umano. Ma questa è ancora l’America del si-può-fare. Per dirla con una Linda Chapin che improvvisamente ridiventa ottimista: “Il fatto che abbiamo distrutto il 90% di tutto non significa che non si possano fare cose magnifiche col 10% che rimane!”. Lo sprawl di Orlando si vede anche dallo spazio. Basta andare alla Cypress Creek High o alla Meadow Woods Middle School, a leggere la complessità umana negli occhi degli studenti. Il cielo è striato dal rosa dell’alba quando mi sposto verso il mobile confine esterno di Orlando. 24 chilometri a sud-ovest del centro, raggiungo l’ultimo punto in cui la natura selvaggia della Florida centrale con l’esplosione demografica si è trasformata da un giorno all’altro in lottizzazioni residenziali. Se si dovesse colonizzare la Luna, ecco come fare. Interi quartieri, centinaia di case, che arrivano all’istante. Lo stesso accade alle persone che ci abitano dentro. Dal punto di vista della composizione demografica, queste due scuole corrispondono all’area di Orlando. Sia bianchi che neri sono la minoranza; la maggioranza etnica dominante è “altri”. Le ho scelte perché sono scuole caratteristiche, ma visitandole ho scoperto qualcosa di straordinario : due posti dove oltre 8.000 studenti e insegnanti stanno trovando nuovi modi di imparare, nuovi modi di vivere insieme. Alla Cypress Creek e alla Meadow Woods, i grandi avvenimenti non sono solo quello che ragazzi e professori vedono alla TV. Sono immersi nella sito diretto da fabrizio bottini -12/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -13/17 - http://mall.lampnet.org vita della gente. Alla Cypress Creek, la vicepreside, Vanessa Colon Schaefer, si sta ancora ricomponendo la vita dopo oltre un anno in Iraq. Quando la sua unità della Guardia Nazionale è stata inviata là, ha lasciato un vuoto nella vita della figlia, e di questa scuola. Ci sono ragazzi da oltre 200 paesi diversi che studiano nelle due scuole. “Normalmente gridano il nome del proprio paese quando glie lo chiedo” racconta Chuck Rivers, preside alla Meadow Woods. “Una volta però un ragazzino parlava sottovoce. Gli ho chiesto di ripetere ma continuava a sussurrare, così mi sono chinato per sentire. Mi ha sussurrato nell’orecchio: Iraq”. E Rivers aggiunge, senza alcun falso sentimentalismo, “Sono tutti i miei ragazzi”. Parlo con studenti dalla Colombia, Brasile, Haiti, Giamaica, Corea, Cina, Filippine, Iran, Russia, Slovacchia, India, e ho soltanto cominciato a immergermi nella mutazione. “Mia madre viene dalla Germania” dice una ragazzina, “e mio padre dal Madagascar”. La diversità non è un obiettivo, un programma, uno stile di vita. É la vita. Alla Cypress Creek parlo con quelli del programma nazionale per gli studenti meritevoli. Giro per classi con studenti autistici, o non udenti, o in qualche modo diversamente abili. Avverto quanto importante sia per i ragazzi sentirsi integrati, ogni giorno, ad altri diversi da loro mentalmente, fisicamente, dal punto di vista della razza e della cultura. Il preside della Cypress Creek è una donna; quello della Meadow Woods è nero. Ricorda i giorni della segregazione razziale. Ora è responsabile di un processo di apprendimento in cui le barriere razziali sono l’unica cosa priva si significato. Qui non si appiattisce nulla. Alla scuola media, i ragazzi studiano cose che io non ho imparato in tutto l’arco della formazione scolastica: come dirigere una sinfonia, come circola il sangue, come riparare un rubinetto, come risolvere controversie apertamente e in modo nonviolento. Mentre ci salutiamo, il preside dice una cosa che mi rimane impressa: “Lo facciamo tutti i giorni”. sito diretto da fabrizio bottini -13/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -14/17 - http://mall.lampnet.org Una mattina mi capita quella che qui a Orlando chiamano “Esperienza I4”. Esco in macchina per un appuntamento di mezzogiorno. Che diventa poi un appuntamento pomeridiano, vista l’ora a cui ci arrivo. Per quasi un’ora, le auto se ne stanno ferme. É la prima volta che capisco davvero cosa vuol dire la gente quando definisce la I-4 “il parcheggio di Orlando”. Non c’è niente di più evidente della necessità di un sistema di metropolitana a collegare Disney, il centro, l’aeroporto, e tutto quello che ci sta in mezzo. Ma a Orlando la gente ama la propria macchina, tanto quanto odia pagare le tasse. Le strade, tracciate nel nulla tanto poco tempo fa, si stanno già deteriorando. Essere bloccati nel traffico dà tempo per pensare; mi viene in mente quanto si diversa dalla realtà l’immagine di Orlando. L’ironia è che la gente ci va alla ricerca di una tranquillità disneyana: ma nel farlo scatena qui tutte le sradicate e inquiete contraddizioni d’America. Il traffico da grande città, la grande criminalità, ma la gente qui a Orlando coltiva l’idea di essere sfuggita alle difficoltà che le persone incontrano altrove. Stamattina fa freddo, così in auto accendo il riscaldamento, anche se per la maggior parte dell’anno fa spaventosamente caldo. Sopra di me passa un ponte, e giusto a completare l’immagine della Orlando lontanissima dal modello all-American, un grosso camion attraversa il sovrappasso. Caratteri rossi giganteschi sulla fiancata proclamano “Lucky Noodles”, in inglese e in cinese; trasporta derrate verso i supermercati asiatici della città. Per qualche motivo gli aggraziati caratteri cinesi sul camion mi fanno tornare in mente le strofe di quella vecchia canzoncina Disney: sito diretto da fabrizio bottini -14/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -15/17 - http://mall.lampnet.org Quando esprimi un desiderio a una stella Non importa chi sei Qualunque cosa voglia il tuo cuore Si avvererà. “Se credi davvero nei sogni” prosegue la canzone, “Nessun desiderio è esagerato”. Walt Disney ha sempre taciuto sull’argomento religione; non si parla di Dio nei suoi oltre 40 film animati, e in nessuno dei parchi a tema c’è una chiesa. Invece, il vangelo secondo Disney è un messaggio ottimistico di autorealizzazione, di voler qualcosa con tanta convinzione da trasformare i propri sogni in realtà. I risultati sono evidenti ovunque si guardi, a Orlando. La Orange County non produce più arance. Gelate, parassiti, urbanizzazione, hanno distrutto le piantagioni. Cosa succede alla terra, quando smette di produrre quello che la pubblicità chiama raggio di sole liquido? Un giorno vado a vedere un ex aranceto, che adesso si chiama Isleworth. É la gated community più esclusiva di Orlando. Le case si vendono per milioni di dollari, anche se né l’ambiente – normali appezzamenti sulla riva del lago né le case – del genere McMansion, da dimensioni solo immense fino a meravigliosamente pantagrueliche – giustificano tanto prezzo o tanto prestigio. La gente spende così tanto, per entrare a Isleworth, perché così si compera anche il biglietto di ingresso a un sogno. Sogno che in questo caso vuol dire stare gomito a gomito con Tiger Woods e simili. Arnold Palmer ha comprato qui quando è venuto a Orlando, e in meno di vent’anni 20 la sua è diventata quella che si considera una ricchezza antica. Non molto lontano, a Kissimmee, sulla statale 192 si affollano motel che affittano stanze per lunghi periodi a famiglie che non possono permettersi un appartamento, e piccoli campi da golf per chi non potrà mai giocare a Isleworth. La strada college la I-4 con la Florida Turnpike, ed è diventata una discarica di tutto, sogni compresi, quanto si incanala verso la Florida centrale. Vicino a un’insegna che offre voli in elicottero a prezzi ridotti, l’aeromobile sta a terra ronzante, il motore gira, le pale ruotano, giusto di fianco alla strada, su uno spiazzo non più grande del prato di una villetta. sito diretto da fabrizio bottini -15/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -16/17 - http://mall.lampnet.org Veduta aerea della gated community di Isleworth Potrei terminare qui la mia odissea a Orlando, con la grande fuga americana che ci abbandona qui sperduti a Kissimmee, ma Orlando mi ha insegnato che lo spirito umano si esalta anche nei posti più strani. Orlando ci mostra come, nonostante la nostra ansia di costruire utopie, il vero paese delle meraviglie rimane la nostra diversità, la nostra imprevedibilità. Alla scuola Cypress Creek, uno studente mi ha detto: “Ho trovato la bellezza a Kissimmee”. Eric Strunz, all’epoca nelle classi superiori, era come un pellegrino, smarrito in un deserto spirituale, quando l’ha trovata. “Un tempio buddista, proprio lì, a Kissimmee. Mi sono tolto le scarpe e sono entrato. Mi piaceva la calma, la serenità. Ha cambiato la mia vita. Ho capito per la prima volta che c’erano altri modi di capire il mondo”. Poi Eric mi ha mandato via e-mail l’indirizzo web del tempio buddista. Ho scoperto che Wat Florida Dhammaram non era un’altra “attrazione” a tema buddista, dove si paga un biglietto per essere infilato in una versione da cartoni animati di una cultura straniera. Si tratta di un vero tempio, sito diretto da fabrizio bottini -16/17 - http://mall.lampnet.org sito diretto da fabrizio bottini -17/17 - http://mall.lampnet.org costruito per le necessità spirituali della crescente comunità buddista della Florida centrale. Mentre me ne andavo da Disney World, alla fine avevo trovato la vera Epcot d’America, nello stesso modo in cui Eric aveva trovato la sua rivelazione alla Kerouac. “Il Monaco mi ha benedetto”, ricordava. sito diretto da fabrizio bottini -17/17 - http://mall.lampnet.org