Tsunami, AA.VV. - POESIA
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Tsunami, AA.VV. - POESIA
Afp Tsunami Tsunami MARIO LUZI Cataclisma È impossibile non disorientarci e mantenere le proprie elementari certezze al cospetto di carneficine e devastazioni che superano la nostra capacità di misurarle e di comprenderle, per non dire poi della nostra sopportazione. Siamo oltre il suo limite, non sopportiamo, subiamo. Proprio da una plaga privilegiata dal desiderio, dal sogno e dalle illusioni degli uomini ci arriva un colpo di smisurata violenza ad avvisarci che i fondamentali antagonismi dell’universo – la luce e la tenebra, la vita e la morte, il bene e il male – che talora si fanno dimenticare e ci ingannano con qualche loro splendida stasi, nell’armonia della forma e della coscienza, sono invece all’opera da sempre nel travaglio incessante della metamorfosi. Niente dell’essere è definitivo se non il suo divenire; e troppa realtà vive oltre il perimetro angusto della nostra intelligenza, tanto che questa ha finito per elevare a suo sommo fastigio l’umiltà del sapere crescente di non sapere. Da quella plaga concupita dal senso e dall’immaginazione di molti uomini ci arriva la funesta doppia conferma della gracilità dell’esistenza e della conoscenza. L’effetto è per ora forse più stordimento che vera pietà, sgomento che non è ancora dolore. Prende campo però un’altra meravigliosa sorpresa. Per quanto incerta e precaria la specie umana che oggi sentiamo derelitta gioca una parte di grande forza nelle colluttazioni dell’universo. Ero in Sicilia quando rimuginavo questi pensieri. Messina era vicina. Messina meno di un secolo fa fu rasa da un fenomeno analogo. Centomila morti d’un colpo. Messina è oggi una città bella e viva. L’uomo non si è arreso, ha avuto incredibilmente ragione. Firenze, 3 gennaio 2005 OMERO LUCREZIO E sotto fugge, ma l’onda gli sta addosso con fragore; come il colono quando scava un fosso da una fonte profonda e l’acqua guida ai giardini e ai frutteti e con la zappa sgombra il canale, portata dal flusso tutta la ghiaia rotola via, e l’acqua giù dal pendio gorgoglia in fretta, è oltre chi la guidò; così l’ondata incalza Achille senza sosta, benché corra veloce: gli dèi sono più potenti degli uomini. E appena il rapido Achille si ferma per vedere se abbia dietro tutti quanti gli dei dell’universo, l’onda di Zeus gli percuote le spalle; allora, sconvolto, ecco che si slancia in avanti; ma gli assalti violenti dell’acqua tolgono forza ai ginocchi, di sotto i piedi dilegua la terra. Pensa ai mari, alle terre e al cielo; triplice natura, tre corpi, Memmio, tre forme tanto dissimili, tre tali strutture – un solo giorno le manderà a morte e dall’alto di tante stagioni la macchina universale cadrà di schianto. So bene quanto strana e miracolosa debba apparire la morte del cielo e della terra, e quanto difficile ti sia credere a queste parole; capita quando arriva alle orecchie un fatto inconsueto che non puoi mettere davanti agli occhi o far toccare con mano – le vie che portano direttamente la fede nel cuore e nel pensiero. Ma parlerò. La realtà stessa darà fede al discorso, forse, e da un gravissimo terremoto presto tutto vedrai sconvolto. Ma possa la fortuna seguire altre rotte e il ragionamento più che la realtà persuaderci che, vinto, il mondo rovinerà con un orrendo boato. Iliade XXI, 256-271 De rerum natura V, 93-109 Traduzione di Nicola Gardini Traduzione di Nicola Gardini 19 Tsunami SEAMUS HEANEY ADAM ZAGAJEWSKI Coro Il mare Beati quelli che non hanno visto il peggio. Quando dèi potenti scuotono una casa, il male si mette a correre come il mareggio sotto l’acqua, un flutto che pompa sabbia nera dal fondo e poi diventa ondata di tempesta che sferza i tetti e squassa i promontori. Scintillante tra le rocce, blu scuro a mezzogiorno, minaccioso quando lo chiama il vento dell’ovest, ma silenzioso di sera, disposto alla riconciliazione. Il mondo è una casa scossa, vedo grandi pene infrangersi sugli uomini e infrangersi ancora come onda su onda schiumando alla riva. Non stanno in piedi, eppure vanno avanti ma gli dèi non smettono l’attacco e i vivi tremano in un nuovo immemorabile orrore. Ai mortali non viene buona sorte che non costi moneta di dolore. Qualcuno l’ha detto: l’uomo fortunato è un sonnambulo; il buio comincia appena si risveglia al mondo. La fortuna è un attimo di sosta, non altro. Instancabile nelle piccole baie, possiede milizie incalcolabili di granchi, che procedono di lato come umidi veterani delle guerre puniche. A mezzanotte i pescherecci escono dal porto: la luce forte di un singolo riflettore squarcia l’oscurità, fremono i motori. Sulla spiaggia presso Cefalù, in Sicilia, abbiamo visto incalcolabili quantità di immondizia, scatole, preservativi, cartoni del latte vuoti e un’asse con una parola sbiadita, “Antonio”. Innamorato della terra, eternamente si sforza di raggiungere la riva, onda dopo onda – e ognuna muore di debolezza, come un messaggero greco. (Adattato dall’Antigone di Sofocle, vv. 583-625) Traduzione di Nicola Gardini Al tramonto si fa vivo con un fruscio, il violento sussurro dei sassolini gettati sulla ghiaia (si sente persino in piazzetta, nel villaggio dei pescatori). Il Mediterraneo: lì nuotavano gli dèi. E il freddo Baltico, vi entravo tremando di freddo, dodicenne, magra anguilla. Chorus - Whoever has been spared the worst is lucky. / When high gods shake a house, the harm / Starts like an undulation under water, / A surge that hauls black sand up off the bottom, / Then turns itself into a tidal current / Lashing the shingle and shaking promontories. // The world is a shaken house, I see great woes / Break on the people and keep breaking on them / In foaming wave on wave across a strand. / They stagger to their feet and struggle on / But the gods do not relent and the living quail / At immemorial dread now come to pass. // No windfall or good fortune comes to mortals / That isn’t paid for in the coin of pain. / Well has it been said: the fortunate man / Is a sleepwalker about to enter blackout / The minute he awakes to reality. / Our luck is little more than a short reprieve. (Adapted from Antigone, lines 583-625) Innamorato della terra, entra nelle città, a Stoccolma e Venezia, ascolta i discorsi e la risata dei turisti e dopo torna nel suo scuro, immobile nucleo. Il tuo Atlantico, occupato a sollevare bianche dune e il timido Pacifico, che si nasconde nelle profondità. I gabbiani dalle ali leggere. Gli ultimi velieri sui quali si gonfia la bianca vela a croce. Attenti cacciatori navigano su scialuppe sottili e il sole si alza in un estremo silenzio. Il grigio Baltico, l’Oceano Artico, muto, il mare Ionio, l’inizio e la fine del mondo. Traduzione di Paola Malavasi 20 Tsunami LUCIANO ERBA DONATA BERRA Tsunami Tsunami Sgambettano i bambini davanti all’onda ma sono troppo piccoli e leggeri appena usciti dal paradiso terrestre. Il mistero sta in questa totalità non guarda in faccia a nessuno e sacrifica anche gli ultimi agnelli resta la palma si piega e si rialza un turista nuota, un altro galleggia senza vita. Quando sull’arco del giorno si schiaccia la notte e abbruna la linfa alle nostre membra sfatte passa la mano dell’onda e subito abbiamo tutti lo stesso nome i giochi le reti gettate gli sguardi la compiacenza il lungo, faticoso metterci in scena niente più appare sotto il cielo ragnato da un inutile sole come se il tempo si trovasse altrove GIOVANNI ORELLI calma è soltanto la voce nostra, che dice – in fondo noi lo sapevamo La cognizione di maelstrom 1 è giunta a me, della montagna, attraverso favola letteraria.2 Ora un suo vortice sterminatore, vero, per un’onda di mar commosso 3 da altre spiagge ha mandato immensi pianti, mare che latra, mare che torna a suoi silenzi. Nuovi toponimi si imparano, Sumatra et coetera, come con le guerre immonde, con le altre stragi di innocenti di nostri e di altri tempi quando i muti soccombenti con loro grandi occhi aperti verso il vuoto potevano possono potranno chiedere a Dio onnipotente, che diranno ancora immensamente giusto e buono: “Perché da Erode-il-Male hai salvato Gesù e i nostri figli dalla strage no? O non sei buono o non sei onnipotente”. O non è vero che esisti? L’Oltrecielo non c’è. C’è il Niente? E qui c’è l’uomo, o prepotente o inane, c’è la Natura indifferente che può con suoi tsunami annichilare in tutto.4 Fenomeno vorticoso, dall’olandese malen, girare, e stroom, corrente. (Devoto-Oli) 2 E.A. Poe, A Descent into the Maelström, in Racconti, trad. di Giorgio Manganelli, Einaudi 1983, II, 373-395. 3 Giacomo Leopardi, “La ginestra”. 4 Ibidem. 1 vieni, riposa, voglio accarezzarti di buio, buio sulla tua pelle, a piene mani ti accarezzo di buio che renda cieca la voce. ALDA MERINI L’ira di Dio E quando noi ci amavamo e pensavamo a T.S. Eliot e alle belle parole. Allora andiamo tu ed io tenendoci per mano come un paziente in preda alla narcosi. Avremo narcotizzato il male che ci ha sepolti perché con questi morti abbiamo scoperto che il mondo non è fatto solo d’amore e che noi ci siamo ingannati dimenticando gli altri. Quanto siamo stati superbi nel pensare che le nostre tracce non venissero cancellate dall’acqua. Ma Dio che ci osservava ha sentito intollerabili le nostre pretese. Anche noi siamo morti insieme a tanti innocenti. 21 Tsunami MARIA GRAZIA CALANDRONE LUCIO MARIANI Nel rogo del mare La mente cosmica La terra è un disco fatto del nostro fango respirante e del cerchio perfetto del nostro amore in bilico su un albero: questo e le spire limpide dei nostri sogni che le bestie non sognano cadrà nel mare del paleolitico (ripetevano i vecchi delle Andamane). Al folclore usuale della Terra non bastava il festino dei tre milioni l’anno di bambini, di uomini e di donne presi e finiti da pesti, fame e sete o invece usati dai belligeranti per pienire tasche e ventre col barbaro destino degli inermi, seguendo il corso della storia nota di martìri e di santi senza dulìe. Questa volta, Natale era appena tramontato, l’attenta Mente Cosmica – o come altro si voglia apostrofare l’ilare provvidenza degli dèi – per celebrare il turno bisestile ha voluto provare la sapienza misericorde della propria mano, colpendo con la schicchera paterna la pallina del mondo nel profondo dell’Oceano Indiano ed ancora ha deciso di aggiungere al tremoto da giganti giochi d’acqua speciali, un’onda maestosa di ritorno per sgrullare la costa d’ogni sembiante umano e perderlo come indistinta foglia, d’un colpo e senza allerta per non meno di quattrocentomila pezzi, lo vedrete, fra pescatori di povera fortuna, figli ignoti ed amanti in trasferta. Noi, l’Occidente dei riti piacolari, ne siamo stati colti di sorpresa con perfetto baccano per avere concorso in poca spesa alla buona riuscita del meccano. Dal tributo di morte dovuto al sovrappiù nelle destrezze di benigna Natura sono rimasti esenti, e non per sorte, gli animali selvaggi, quei viventi che avvertono d’istinto pericoli latenti nei miraggi e nell’arte dei giocolieri e nei loro esercizi sopra il mare, tra i fuochi e per le terre, uniche bestie a non aver subito nei millenni corruzione dei sensi né malìa delle carte ed ancor meno quei sanguinosi intralci d’un pensiero che ci fa costruire favolelli da tempi folti e inesaurite fonti su un immortale pneuma, fermo nella ricerca irriducibile di fuggenti orizzonti. L’albero è il cieco asse della terra travestita dal mare che sposta l’orizzonte verso miglia di caos – di corpi nell’epicentro-affanno tra le braccia gremite dell’oceano del niente disumano delle madri nella compostezza del fango che hanno i volti dei bambini rivelata dallo schianto. L’imbarcazione livida del mareciclope nel vuoto dove erano le case disincarnate stoviglie – prive di allarme, lucenti fasci di corpi del colore del mare: una vernice – uno strato di disastro salato sui volti – nella camera liquida dei polmoni del mare nel fuoco azzurro delle ossa come spuntano cose macchine soverchiate e la paglia del ventre la poca gioia che c’era in quello che viene gonfiato e disperso. Quante volte ripetere mare: requiem e affiliazione. A lei – precocemente espulsa – resta il nome della maceria lucida del mare sui binari. Adesso la ninfa Europa scavi nelle acque della sua fine con la sua libertà violentata e riunita – prima del paradosso della sete e della voragine industriale, sterri mine del tipo T-27 – prima dei deliquiali versamenti del colera, della colpa che assalirà i superstiti nei letti come un effetto chimico di questa cosa collettiva che vola senza essere nuvola o uccello, solo fiato pulito della terra – fuoco fatuo – gasdotto che rimetta l’Oceano nel suo letto – sopra la nudità della sepoltura. 22 * E per cento anni basta così. Anzi, nel più lungo futuro gradiremmo che la Cosmica Mente ci abbandoni e s’astenga dal provvedere: ad altri guasti penseremo noi soli finalmente, come abbiamo saputo fare spesso. Tsunami ALDO NOVE Il delicato compito della poesia gli uomini sono fatti a immagine e somiglianza di dio hanno la stessa feroce volontà di distruzione da millenni la mettono in pratica perché qua non c’è perché veniva risposto nei lager nazisti in realtà i perché sono molti ed è delegato al delicato cuore della poesia carpirne i motivi reconditi e l’inversione di senso rispetto alle catastrofi solo apparentemente tali ad esempio il gentile poeta il gentile lettore sanno che in iraq dio a somiglianza dell’uomo sta portando la democrazia quanto nel frullato di pedofili europei papponi puttane nativi dei luoghi colpiti dal maremoto l’uomo a somiglianza di dio ha subìto se stesso la sua intrinseca profonda natura di escrescenza universale nell’ordine silenzioso delle galassie non c’è nessun dio nessuna democrazia il cuore delicato della poesia si ripieghi dunque su se stesso per l’ennesima volta si ritrovi a piangere la sua inesistenza pacifica come una costellazione remota e lasci all’esercito alleato a dio il compito di distruggere ad esempio di nuovo ALBERTO CAPPI Il fischio del delfino 1. Salgono al mare come fiori il gambo è sghembo affiora appena da acque che la dolce parola ha scordato. Gli echi del risucchio mormorano e muovono accenti o tarpate nenie e assenze o mute ossa e voci. 2. Che ne è del tuo fischio di delfino? La marina pettina la rena la barca è nel solletico del sole. Ci sono morti che serrano le palpebre al sonno del destino, conchiglie e chiglie e figli o gigli e arsi suoni. 3. Viene cantando col suo lamento di piccola sirena, viene dai silenzi del fondo dove sguscia la roccia dal nido di remote tracce e cristalli ciechi. Come potranno le reti imbrigliarne i sogni? Angeli d’umide maglie. Doni. 4. Hanno scaglie come specchi solari e tendini che vibrano al soffio dei venti. Hanno tramonti e iridi e ventri che aggallano come spenti tamburi. O vortice o improvviso forcipe o viso della sorte! Umana onda nascita morte. ANTONELLA ANEDDA Antigone Arriva un lamento dalla nebbia: forse un gatto che gli aghi sotto i pini tormentano. Sul suo manto si specchiano le stelle o i loro resti il suo muso divampa sotto un lembo di fumo. Forse per questo un caldo malato tesse lentamente la terra? Soffio il corno d’ariete slego le campane spente. Sveglio gli alberi e ancora prima gli uccelli, sveglio la casa grigia con le crepe ai balconi e lo scricchiolio dei passi ha un respiro e chiede: Che cosa era il silenzio. Quanti morti salgono dalla marea della pianura. La resina scivola dai tronchi. Mi sollevo le maniche sui polsi, scavo per sotterrare usando carta e lenzuoli. Il loro frusciare si dirada in fredda luce sui prati. Gli uni vicini agli altri unici in pace riposano i dettagli. 23 Tsunami SILVIO RAMAT CESARE VIVIANI (padre furtivo) Improvviso disordine Nulla di grandioso ha l’inquadratura. Ma è il pudore, l’umiltà del dolore. La lingua muta che non si fraintende. Quel padre che furtivo si assicura un lembo di terra in ombra, vi appoggia il tesoro che aveva tra le braccia, scava per il figlio una vera tomba ............................ Ho conosciuto uno scrittore che non improvvisava nemmeno le dediche ai critici e agli amici sui suoi libri, ma teneva un quaderno con le dediche già scritte e sempre le stesse, da ricopiare sui volumi ogni volta. Ora l’improvviso di una calamità naturale è un movimento che porta disordine nell’ordine degli uomini. È ordinata una città, un’architettura, una distesa urbana, è ordinata una vacanza silenziosa e serena, e all’improvviso arriva un maremoto a rovesciare gli ordini. Anche l’ordine logico, e l’ordine del senso. È come andare in ospedale a curarsi, per guarire, e trovare un’infermiera che uccide i ricoverati. Ma la natura, come la follia, non è colpevole, non è matrigna, non è indifferente: è innocente. La terra si muove, e non vuole distruggere: si muove soltanto, perché è viva. La vitalità della terra a volte non è compatibile con la vita umana. La terra non è stata ancora completamente ordinata dagli uomini. Viene da dire che completamente non lo sarà mai. Allora, invece che aumentare l’ordine, gli uomini farebbero meglio ad onorare la terra, questo straordinario dono che è la vita, questo straordinario luogo per vivere, e ad accettare anche i movimenti improvvisi. E non fare, in ogni senso, costruzioni sempre più solide per aumentare la sicurezza, ma semmai affinare la percezione dei segni della terra: come gli animali, che avvertono il pericolo e si allontanano. Oh se gli uomini, invece che dall’intolleranza delle religioni e delle ideologie, imparassero dal fiuto degli animali! Dopo il maremoto, colomba e corvo sorvolarono la distesa di fango? si domanda, remoto, l’Occidente. Prega e rinuncia: accende un razzo in meno, digiuna, per un giorno. Bei fioretti freschi di contrizione. E intanto Vienna sacrifica la Marcia di Radetzky. DANIELE PICCINI Pietà, cosmo I Pietà cosmo ne hai? ne hai di noi, della città che affiora? Pietà non hai di noi, e di che pianger suoli? di che ti fai affranto? delle bestie, delle nascite inermi? pietà cosmo ne hai? o soli ti sogniamo con occhi cristallini soli sogniamo occhi che non hai? MICHELE SOVENTE La materia oscura II E che cosa, se vuoi, cosa vuoi dirci a distese di lacrime, a costati bucati? Il male di due secoli ci fruga se un senso è anche nel fulmine che brucia la quercia o la creatura zoppicante innocente che ti prega. Corpi sommersi corpi portati via da un mare perfettamente fuori di sé in luoghi così cari e vitali. Non c’è limite alla cieca follia della natura né c’è un perché al dolore degli esseri mortali. Rotola su sé la materia oscura e come può resiste la scrittura. 24 Tsunami MARIA LUISA SPAZIANI CORRADO CALABRÒ La fatica inutile Precessione Giunse a contare, Anassagora il Saggio, trecento stelle nella notte più oscura. Un suo seguace ne contò duemila. Qualche secolo dopo un altro astronomo, Arcesilao, centuplicò quel numero ma corse all’Akademia e scoppiò in lacrime: “Nessun calcolo umano le contiene”. Tutti i giorni la stessa processione – feriali, festivi, Natale: un trenino di granchi velocissimo sgamba all’indietro parallelo al mare. E oggi lo Sri Lanka, l’Indonesia, piangono quell’angoscia dell’abisso. I morti risucchiati dalle ondate non li contiamo più, fatica inutile. Impotenti computer, telescopi. Quante fosse comuni, quanti roghi, – come le stelle – smettiamo di chiederci. BIANCA TAROZZI I bambini salvati dalle acque Alcuni, pochi. Una su un materasso, Pollicina! Un altro invece, trovato lungo il ciglio della strada: incolume, seduto, si guardava attorno quietamente. Uno aggrappato a un albero, ed infine il fortunato, stretto a un genitore. Perché loro, e non altri? Capiranno il miracolo, il dono, poi, più tardi? E noi? “Se non sarete come loro…”. “Chi tra voi è il più piccolo è il più grande”. Quell’antico “salvato dalle acque” che replicando a Dio disse “Chi sono io per poter salvare questo popolo?” poi lo condusse in salvo oltre il deserto. Da voi soltanto viene la salvezza. Erode, “non sapeva che pensare”. Solo oggi – Santo Stefano – scomparsi; avranno stramangiato anch’essi ieri. Mi piace da sempre, da ragazzo, venire al mare la mattina presto quando, spente le stelle, c’è nell’aria un momento di strana sospensione. Anche stamani si rinnova il rito: potrebbe forse non levarsi il sole? Qualche volta lo sogno, come sogno una luna gigante, vicinissima. Poi l’alba reifica i miraggi e il mare stende fino all’orizzonte la sua liquida coltre sopra gli incubi. Il mare, insonnolito, si stiracchia. Ma cosa accade? Arriva una grande piattonata… il mare… il mare si ritrae negli intestini scodellando l’isola in plateau… E l’orizzonte sembra si avvicini. No, è passato; è stato come in sogno, solo un forte rifiato; ecco che torna. Ma… quel rimbocco quell’increspatura un’onda che sormonta – Dio! – quel surf … quella quello sembra… è proprio… è l’orizzonte che ci corre incontro alla velocità d’un aeroplano – lo spaziotempo ridotto a un solo evento, l’avvento che precede la distanza come l’inghiottitoio la cascata… … aah! Da cinque giorni rivolto cadaveri. Mi guardano con facce conosciute ignari di questo contrattempo: sì, a nostra e forse a loro insaputa i morti – se non sogno – ci somigliano tutti. 25 Tsunami FERNANDO BANDINI ANNA BUONINSEGNI Natale 2004 (all’appello tutti hanno risposto) Ecco rispunta in pieno inverno il fiore della ginestra e ripete il suo desolato monito tra le note ingannevoli di qualche Stille Nacht. Perché questo, Divino Infante, accade nei giorni pieni d’angeli della tua santa festa? Noi guardavamo il mondo dai vetri immacolati di una calma finestra ornata di lumini, contemplando il futuro con occhi di bambini che si aspettano doni. Ma nelle braci inferne di un pianeta che non finisce mai di nascere e non cessa mai di morire, che non ha mai vagito ma emette solo tuoni e copre col suo rombo le nostre parole e quelle dei Celesti, ogni vita ha il suo perno. Stirpe di Adamo in cerca di certezze gridiamo che la terra è il nostro regno e quest’Oceano in furia resta l’unico segno che abbiamo dell’Eterno. all’appello tutti hanno risposto i senza nome i sepolti vivi i lussuriosi i turisti dei tramonti a pagamento i sopravvissuti nati due volte gli orfani dalla piccola ombra gli ingenui e i maledetti quelli con la fame sul torace quelli usciti dal proprio nome e dal proprio volto Abey lontano dall’imboscata dell’oceano Kanti e Chatalani che giocavano all’inizio della vita hanno risposto tutti all’appello tutti li ha adunati la numerosa morte in uniforme di sterminio li ha rovistati nel mucchio dei sembianti ad alcuni è toccato essere illividiti testimoni perché il dolore possa non addormentarsi nel sonno peggiore dell’indifferenza DAVIDE RONDONI Lo tsunami è la poesia, la sua tremenda furia di prendere, portare via, in un altro posto, scaraventando quello che gli uomini dispongono. La sua mano dal mare profondo, da una ferita sommersa del mondo. Da quel che si dimentica, che si maledice. Invece che con gli occhi chiusi e tutti i volti cari come stelle interiori venerare. Non sono persi, non sono più, non sono mai stati soltanto nei loro corpi gonfi, riversi. Hanno dato l’anima all’acqua, all’oceano, al vento. Il loro respiro ci verrà a visitare. Nei canti, nelle grida improvvise degli uccelli, in quel che scriveremo o che non saremo degni di fare, nella voce che ci chiamerà a un tratto alle spalle, e si vedrà a che livello di profondità avevamo il cuore. 26 è caduto il rudere del giorno europeo sbriciolato nella mappa del disastro scosso dal cuore furioso della terra nascendo dalla piega più dolce dell’orrore anche un vagito ha risposto all’appello con lo stesso nome Tsunami il maremoto anche chi sapeva è chiamato chi sapeva e ha taciuto nel disguido di sé stesso per superbia disprezzo inganno avidità la prima scoperta di sapienza è l’implacabile leggerezza del nostro errore è crederci appena fuori dall’appello Tsunami DONATELLA BISUTTI Diluvio ingiusto Io manderò sulla terra il diluvio delle acque. (Genesi, 6,17) La Terra non sopporta l’uomo – dice chi crede che la fine del mondo sia vicina. Siamo troppi nel mondo, è bene che ne muoiano un po’ – dice quello che pensa solo ai soldi, alle cose da dividere: è un mostro, ma non se ne accorge – il suo occhio è vitreo – la vita per lui non ha valore neanche la sua, a ben guardare. Ma perché, chiede un altro, il dio si accanisce sui diseredati, sempre loro? perché aggiunge dolore a chi già soffre? perché non i più ricchi? È questo il suo ingiusto diluvio? oppure è perché si sgeli infine il loro cuore – ai ricchi – perché infine provino rimorsi abbiano occhi per vedere riflettano che chi non ha niente ha pur sempre qualcosa di meraviglioso: la vita? Ma è un’illusione anche questa: hanno già trovato il modo di far soldi sul dolore degli altri. Speriamo in un altro diluvio più mirato. perché è detto “egli che comprende le pulsazioni della diga e che la provincia galleggia sul molle stimolate le catene dal fango sarà in grado di alloggiare i suoi” quale opera nell’allineato bianco che scortano le aste e nel continuo dolore che non produrrà memoria né evoluzione più raffinata raccolti nel misero atto soddisfatti nell’incompleta risposta mentre l’insetto scava nei bracciali delle vene e gli esseri si avventano sulle carni incompiute loro le anime come blocchi rovinati di sale rovesciano i barili opere di cui possedete solo l’estratto porzioni prive di precisione la torre che s’immerge e poi giganteggia dopo la meticolosa stagione di giardinaggio ma io sorvolo il flutto e passo sopra i dorsi e le costruzioni sbandate e il remo è la grande opera con cui senza uguaglianza sezionerò le acque sul cui volto e privo di avversari gareggio e distinguo la luce dai fiocchi luminosi che gravitano come satelliti o precisi simulacri attorno ai corpi e saldata al gancio la crosta che l’enorme mano ha sfogliato dirigo a mio piacere la truppa delle anime e il mio comprensivo pensiero accoglie ogni cosa come l’anello delle acque che dopo essersi rassicurato di ogni creatura torna nella misera pozza nello zero da cui senza disobbedire si moltiplicò SUSANNA RAFART Natura morta Accanto alla spiaggia, il ragno annoda l’alba sul becco dell’alcedine. DAVIDE BRULLO adirato il punto di rottura dell’acqua deviate le zolle dalla magnetica morsa e rotolato fino al filtro delle alghe il canale egli osservava il ballo dei corpi avvolti e svolti come assecondando il millenario benessere di una migrazione di nessuno di loro io ho smarrito il ciclo le creste cadenti di animali che solo ora ho creato travisata la barra dello spazio e del tempo sbattono le liquide ali e il maestoso decollo che ci mozza ed è così cristallina così ampia ora l’iride della terra disse smontando il volto dalla verità mentre le mani sbattevano come continenti sulla panca Una palma allatta l’ombra d’un bimbo con datteri mentre il ricordo di un astro fa galleggiare fiamme sull’orizzonte. I seni azzurri di una ragazza, terminato il canto, li conserva l’alga sul fondo. Traduzione di Francesco Ardolino 27 Tsunami GIUSEPPE CONTE All’arrivo delle notizie sul maremoto nel Sud Est asiatico, ho rivisto nella mia mente, tra l’agitazione e l’angoscia, le immagini della spiaggia di Madras, oggi chiamata Chennai. Ho rivisto la folla di uomini, donne, vecchi, bambini che, lontani da ogni atteggiamento tipico degli Occidentali, non viveva quella lunghissima distesa di sabbia rosata come un luogo dove stare distesi al sole e prepararsi a un bagno, ma come un luogo libero tra città e onde in cui sedersi, passeggiare, meditare, giocare, mentre passavano i carretti dei venditori d’acqua e dei venditori di gelati, e, man mano che si avvicinava il tramonto, scendevano sempre più numerosi i corvi. Ricordo un uomo tarchiato, con uno straccio avvolto alla fronte, che, nell’acqua sino ai polpacci, lavava con un impegno, un’umiltà, una reverenza per noi impensabili una vacca sacra. Il pensiero che lo tsunami ha fatto a pezzi quell’armonia mirabile e drammatica mi ha aggiunto lutto al lutto. Ho pensato a Bose, l’autista che mi portava sulle strade di Kanchipuram, di Mahabalipuram, le cui meraviglie sono rimaste intatte. Credo che nessuno di quegli indù del Tamil Nadu abbia accusato il dio Siva dell’accaduto. Se qualcuno poi ha pensato di accusare il Dio dei mussulmani e dei cristiani, gli dedico i versi che seguono. Non chiamate colpevole la natura né il Dio che la governa. Colpevole è la povertà dei popoli, chi la produce e la eterna. Un’onda non puoi chiamarla né Male né Assassino. Chi uccide te e non altri è, insondabile, il destino. In due gocce di lacrime, nel loro atomo di sale stia tutto il nostro oceano di pietà – l’unica che ora vale. GABRIELLA LETO Il mare Quel giorno senza ragione si fermò la vita. Espresse tutta la sua forza il mare. Nell’onda spaventevole – infinita che i corpi umani non volle lasciare se non perduti – senza più ritorno. 28 MAURA DEL SERRA Apocalisse Nascosto nella coda velenosa dell’anno il drago del diluvio eruttando ha cancellato paradisi turistici e limbi di Terzo Mondo, dove le arche profane dei soccorsi atterrano nel fango sanguinoso di un babelico lutto millelingue, profondo come l’abisso che l’ha generato. Percossa dal mistero del male non umano, la madre Asia vacilla insieme all’asse terrestre alzando mani tronche allo Zodiaco crollato; ma il suo cuore, trasfuso nei figli d’Occidente, senza riposo batte, e salva mentre è salvato. LORETTO RAFANELLI Lo sguardo è fisso sul sacro mare che scivola scuro sui volti in una spianata di pietra, lo sguardo è fisso allo sciabordare dei flutti che divengono calce e spengono i bambini festosi adagiati nella risacca, e spengono lo stupore che li avvicinava a un Dio amico che fiondava il sole nella fonda luce dell’oceano, e si perde ora il colore di grano, e l’oro nei capelli distesi nell’azzurro, e le verdi schiume delle onde di canto, guardo il loro cibo di pianto che è la contrada arida e piagata di un manto di marmo, guardo i popoli di queste terre che battono i pugni sui loro corpi, come a chiedersi di una colpa segreta, e fissano vuoti la sconfinata distesa di pece, dobbiamo trascinare questo giorno sull’altare del dolore, nel cieco passare della scarnificante cappa di fuoco, dobbiamo portarci nella piana di ghiaccio che leviga l’occhio e mura il muto sorriso. Tsunami GIACOMO TRINCI L’assalto di un’oscura materia fuocherello superstite e reietto. che s’alza in cielo e scende nell’inferno. quello che resta è silenzio d’interno e basta. niente più che rimane solo quello. un bisbiglio. un soffio inane. una ruina involve… G. LEOPARDI, “La Ginestra” 1. pasticcio d’anitra. fegati sparsi. riccio di sangue. traccia di scomparsi. furia di grida. corpi d’annegati. lurida fame che sempre ci infamia. non senti proprio quello che non senti. non capisci la striscia dell’insania. non non. se capovolti gli elementi da cielo in terra a miracol mostrare. mi dicono barocco apocalittico. o la natura un fenomeno asfittico. natura leopardiana di matrigna. nella natura d’uomo che digrigna. son giorni poi di paroloni a caso. di massimi sistemi alla giornata. d’ordigni congegnati a fil di raso. scoppia la furia fuori della grata. scoppia la foga poi delle interviste. il vento l’aria l’acqua le sue sviste. mi sente l’uomo il microbo le liste. ELIO PECORA Inquilino del pianeta che ruota e sobbalza nella sterminata galassia, sotto miliardi di stelle, uomo di fiati brevi, di attese eccessive, che puoi contro l’onda immensa di paura e di morte che t’assedia? Lungo i millenni hai eretto dimore ai fantasmi, seminato i deserti, aperto strade nei cieli, inventato dèi per ingraziarli al bisogno. Di quali poteri, di quali vittorie vantarti se non v’è tetto o recinto in cui tenerti sicuro? Forse tu puoi soltanto conoscerti uguale nell’ora che muta allo sterpo, alla rosa, forse puoi darti e dare compassione che è camminare insieme, andarsene lievi e guardinghi portando insieme il bagaglio di stazione in stazione. 2. dove sono. che arriva che protegge. mi ripara la furia o non ripara. attraverso lo schermo di chi legge quel che resta non resta non si para “non c’è che dire è il male di natura” non madre ma matrigna dura e pura. ROBERTO DEIDIER La moglie di Lot si sfogliano le foglie del disastro una per una d’una in altra sera. ci propina il cronista un altro impiastro. e di nuovo. “è natura crudele che devasta”. scodella i suoi sofismi ben fitti fitti di leopardismi. ma come si ci arrende alla sua offesa non si sa. non è. non più. si va. senza più carità senza difesa. avvolti. svolti nel senza pietà. il sapere crudele che affatica di moto in moto qualunque fatica. Che si chiami dio o natura, Certamente deve vergognarsi Se impedisce al giusto di osservare La distruzione. Ma la morte Arriva comunque, in differita, L’onda salata ha lasciato sugli occhi Una crosta, e alla pietà Un silenzio duro, senza nostalgia. quel poco che rimane quel fuochetto. 29 Tsunami PAOLA MALAVASI L’onda è passata, ha preso loro. Noi non li abbiamo seguiti. Ora dobbiamo muoverci per le cose da fare come conviene ai vivi aggrappati all’aria, paglia sollevata dal vento, attraversata senza volontà dal sole. Una pietra ci affoga ma siamo agili, vedi? Dobbiamo muoverci, fare. Beviamo. L’acqua scivola in gola. Lucidi, non diciamoci morti, nemmeno stasera, solo un po’ contagiati. ARNALDO EDERLE Tsunami Tsunami, non conosco il tuo significato, né la tua origine. Sei comunque un nome strano al mio orecchio. Potresti essere il nome d’una bella dolce orientale, o l’esotico nome d’un fiore che cresce in quella geografia con petali grandi e un gran pistillo d’oro nel mezzo della sua corona. Ahimè, Tsunami, sei tutta un’altra cosa. Alito feroce della terra sfuggito alla ronda celeste. Il tuo glossario: vittima, disperazione, morte, fame, malattia, flagello, tremito e onda che i vivi hanno sofferto in nome della povera fragilità, umanità, dolenza, inerme comprensione del tuo essere forza senza odio e rancore, e senza attenzione: distratta, solo un’assurdità. 30 PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA “ATTILIO BERTOLUCCI” 2ª edizione 2005 La Provincia di Parma e l’Archivio di Stato di Parma, in collaborazione con il Comitato Pro Casarola, la Comunità Montana Appennino Parma Est, il Parco dei Cento Laghi e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Parma, bandiscono la seconda edizione del Premio Internazionale di poesia “Attilio Bertolucci”. Il Premio si articola in tre sezioni, dedicate rispettivamente: – a un poeta italiano o straniero di rilievo internazionale (premio alla carriera di euro 5.000,00); – a un libro di poesia di un autore italiano edito a partire dal 1° gennaio 2004 (premio di euro 2.000,00); – a un libro di un critico italiano sulla poesia italiana o straniera, antica o moderna, edito a partire dal 1° gennaio 2004 (premio di euro 2.000,00). La giuria è composta da: Bernardo Bertolucci (presidente), Giuseppe Bertolucci, Paolo Bertolani, Patrizia Cavalli, Nicola Crocetti, Paolo Lagazzi (segretario) e Giancarlo Pontiggia. I libri andranno inviati in 8 copie, entro e non oltre il 30 aprile 2005, alla Segreteria del Premio (c/o Servizio Cultura della Provincia di Parma, viale Martiri della Libertà 15, 43100 Parma) con l’indicazione dell’indirizzo e del recapito telefonico dell’autore. Le copie inviate non saranno restituite. La cerimonia di premiazione avrà luogo a Parma nel novembre 2005. Informazioni: Provincia di Parma - Servizio Cultura telef. 0521.931608; e-mail: a.bonardi@provincia. parma.it - sito internet: www.provincia.parma.it