Untitled - Shopping24

Transcript

Untitled - Shopping24
FINANZA & MERCATI
L’ASSET MANAGEMENT PER GLI INVESTITORI PRIVATI
Mario Ghiraldelli
Eugenio Linguanti
L’ASSET MANAGEMENT
PER GLI INVESTITORI PRIVATI
Strategie di diversificazione, controllo dei rischi
e valutazione dei risultati nella gestione
individuale dei patrimoni
Prefazione di Marco Bolgiani
ISBN 88-8363-124-2
© 2000 - Il Sole 24 ORE S.p.A.
Management e Divulgazione
Sede legale: via Lomazzo 52, 20154 Milano
Redazione: via Tiziano 32, 20145 Milano
Per informazioni: Servizio clienti tel. 02.30.22.3323; fax 02.30.22.3004
Redazione: ShaKe servizi editoriali s.c.r.l.
Prima edizione: settembre 2000
Sommario
Prefazione
di Marco Bolgiani
XI
Parte Prima
Mercati e intermediari
4
4
6
11
14
16
21
23
24
25
27
29
1.
La trasformazione dei mercati finanziari e il ruolo degli
intermediari
1.1
1.2
1.3
Il quadro di riferimento per mercati e intermediari
Globalizzazione finanziaria e diversificazione di portafoglio
Effetti finanziari dell’euro e ruolo degli intermediari
2.
Le determinanti dello sviluppo del risparmio gestito
2.1
2.2
2.3
2.4
Lo scenario
Come cambia lo stile finanziario degli investitori
La distribuzione della ricchezza delle famiglie italiane
Annotazioni sui cambiamenti del risparmio privato
3.
L’assetto organizzativo degli intermediari finanziari
e il modello della banca rete
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
I mutamenti organizzativi nel sistema bancario italiano
La ricerca delle relazioni tra business
Make or buy
Il modello business unit
La banca universale e i gruppi bancari
Parte Seconda
Il rapporto con l’investitore
4.
Il rapporto tra intermediario e investitore
33
34
35
4.1
4.2
4.3
37
4.4
Le problematiche legislative
Quali regole devono seguire gli intermediari autorizzati
Come individuare la propensione al rischio e l’esperienza in materia
di investimenti in strumenti finanziari
Il rispetto della normativa per i servizi di trading online
VI
SOMMARIO
38
38
4.5
4.6
Ulteriori informazioni tra gli intermediari e gli investitori: il contratto
L’offerta fuori sede di servizi di investimento, strumenti finanziari
e servizi accessori
L’offerta a distanza di strumenti finanziari e servizi d’investimento
43
4.7
5.
L’analisi del profilo finanziario degli investitori
45
47
50
51
53
55
5.1
5.2
5.3.
5.4
5.5
5.6
L’evoluzione del processo di vendita in campo finanziario
L’attività di pianificazione finanziaria nelle filiali
Situazione economico-finanziaria e obiettivi di investimento
Il profilo evolutivo del risparmio e la “teoria del ciclo di vita”
Come fronteggiare i comportamenti emotivi del cliente
Il decalogo del risparmiatore
6.
Le peculiarità dell’asset allocation per la clientela privata
57
58
60
61
6.1
6.2
6.3
6.4
Costruzione del portafoglio finanziario e rapporto con il cliente
Macro e micro allocazione finanziaria
Le tre dimensioni della gestione del risparmio privato
Strumenti del risparmio gestito e costi di gestione
Parte Terza
Parametri di valutazione
7.
67
72
73
75
76
78
80
81
82
83
84
87
90
93
94
96
97
97
99
I presupposti conoscitivi della gestione di portafoglio
7.1
7.2
7.3
7.4
7.5
Lineamenti di teoria di portafoglio
La peculiarità del Capm
Il coefficiente beta
Stima del “premio per il rischio”
L’applicazione del metodo media/varianza: il caso del mercato
italiano
7.6 Il portafoglio a varianza minima: una ulteriore applicazione al
mercato italiano
7.7 Gli investimenti alternativi nella gestione di patrimoni individuali
7.8 La diversificazione in campo internazionale
7.9 Il ruolo della liquidità nelle decisioni di investimento
7.10 Il valore segnaletico dei rendimenti di periodo
7.11 La valutazione dell’efficienza gestionale
8.
Misurazione e controllo del rischio finanziario
8.1
8.2
8.3
8.4
Il rischio di investimento
Analisi statistica e rischio finanziario
Rischio finanziario e holding period: un approfondimento
Il Value at Risk
8.4.1 I modelli parametrici (delta normal)
8.4.2 I modelli di simulazione
8.4.3 Un esempio concreto: il Kilovar®
Asset allocation e shortfall risk
8.5
VII
SOMMARIO
103
106
110
118
9.
La variabile fiscale nell’ottimizzazione del risultato
economico
9.1
9.2
9.3
9.4
Il contesto operativo
La situazione attuale in Italia
L’influenza della variabile fiscale nell’asset allocation internazionale
Alcune problematiche successorie
Parte Quarta
Strumenti di gestione
10. Il ruolo dell’analisi di scenario
123
125
127
129
131
132
133
133
135
137
138
142
10.1 Previsioni economiche e teoria della “passeggiata casuale”
10.2 L’analisi fondamentale e lo studio dell’economia
10.3 I parametri dello scenario macroeconomico
10.4 Gli strumenti della politica economica
10.5 L’interpretazione del ciclo economico
10.6 Come costruire la previsione congiunturale
10.7 L’analisi fondamentale a fini operativi
10.8 Ciclo economico e tassi di interesse
10.9 Ciclo economico e indici di Borsa
10.10 Lo stock picking in campo azionario
10.11 Un approfondimento sul metodo empirico (o dei moltiplicatori)
10.12 La peculiarità della valutazione delle società Internet
11. Strategie d’investimento e stili di gestione
145
145
148
153
154
156
157
11.1
11.2
11.3
11.4
11.5
11.6
11.7
Lo scenario competitivo di riferimento
Globalizzazione e diversificazione internazionale
Asset allocation strategica e tattica
Alcune strategie di investimento alternative
Portafoglio neutro e stile di gestione
I diversi aspetti della movimentazione di portafoglio
Regole operative: una sintesi
12. L’impiego degli strumenti derivati
160
162
163
167
168
12.1. I future
12.2 Le opzioni
12.2.1 Le determinanti del valore di un’opzione
12.2.2 Impieghi operativi delle opzioni
12.3 I principali contratti di opzioni e i prodotti “strutturati”
13. Valutazione dei risultati mediante l’impiego
del benchmark
176
178
181
182
13.1
13.2
13.3
13.4
Le caratteristiche del benchmark
Modalità di costruzione del parametro oggettivo di riferimento
Lo stile di gestione e il benchmark
Il benchmark come elemento di identificazione di rischio
VIII
SOMMARIO
Parte Quinta
Prospettive
14. Intermediazione finanziaria e sviluppo della rete Internet
189
190
191
194
195
14.1
14.2
14.3
14.4
14.5
Lo sviluppo delle reti informatiche
Da banca elettronica a banca virtuale
Internet e gli intermediari finanziari
Le indicazioni delle autorità di vigilanza
Internet e l’evoluzione del servizio di consulenza
197
15. Le prospettive dell’asset management
201
Appendice normativa
203
Appendice
Comunicazione Consob, anno VI, n. 22-29, maggio 2000
207
Bibliografia
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano per la preziosa collaborazione Annarosa Bissaro,
Luca Gianelle, Andrea Giorio, Paolo Leandri, Mauro Marini, Fiorella Porsi,
Dario Tramarin, Massimo Villani, Maria Grazia Zesaro.
Prefazione
Piuttosto che richiamare estratti del libro ho ritenuto che fosse più opportuno offrire, a chi dovesse decidere se comprarlo, o se leggerlo dopo averlo comprato, una sintesi di quello che mi sembra essere il pregio di un’opera come questa: evidenziare il senso del lavoro che tutti noi svolgiamo
nel mondo della finanza, lontani dal clamore di più nobili professioni, consentendo a tutti di vedere soddisfatti i propri bisogni personali e al mondo
intero di migliorare le proprie condizioni. In fin dei conti, quel comprare e
vendere denaro, che sembra così arido ed è spesso ritenuto persino riprovevole, rappresenta in realtà la linfa vitale del progresso del mondo (e non
solo di quello occidentale).
Il mondo, oggi, è interessato da grandi mutamenti, provocati dal progresso tecnologico: esso permette il superamento di numerosi ostacoli
che per molto tempo hanno condizionato il vissuto storico quotidiano della società. L’espansione delle reti stradali e ferroviarie nel XIX secolo ha
favorito la riduzione delle distanze, lo sviluppo di Internet ha creato nuovi
campi di interesse e nuove opportunità commerciali. Tutto questo ci porterebbe a pensare che il miglioramento della qualità della nostra vita sia
dovuto principalmente alla tecnologia. Una valutazione di questo genere,
tuttavia, risulterebbe piuttosto miope e riduttiva.
La tecnologia costituisce, infatti, il mezzo utilizzato per il miglioramento del benessere collettivo: in realtà, il fattore determinante è rappresentato dall’accettazione del rischio quale valore fondamentale nell’agire contemporaneo. L’assunzione di rischi (intesi in senso economico) nella società odierna è un “compito” che non spetta più solo a individui con un
elevato grado di istruzione o che rivestono particolari ruoli sociali, ma a
ognuno di noi.
La responsabilizzazione individuale in tutte le attività tipiche del Welfare State (come l’accantonamento di fondi per la pensione, la copertura
finanziaria per le spese sanitarie ecc.) dovrebbe rendere più efficiente ed
efficace l’utilizzo delle risorse, rendendo migliori i servizi erogati. Il “cittadino-investitore”, che sostiene l’onere sociale di esporsi al rischio, non
può però essere sempre informato e sufficientemente preparato per poter
accedere a investimenti finanziari coerenti con le sue esigenze e le sue
XII
PREFAZIONE
aspettative. Un ruolo cruciale per il buon funzionamento di questo meccanismo complesso è così oggi assolto dal consulente professionale nella gestione del risparmio, collocato tra il cittadino-investitore e i mercati.
Il singolo dovrà cioè delegare l’attività di ricerca, di programmazione,
nonché di gestione del suo patrimonio, a investitori istituzionali. Sempre
più evidente e diffusa è, infatti, la richiesta di un’efficiente diversificazione
di portafoglio dettata dall’evoluzione e dalla maggiore sofisticazione dei
prodotti finanziari esistenti: la maggiore complessità dell’offerta ha infatti
amplificato la portata dei rischi finanziari. Questa “esternalizzazione” del
ruolo di cittadino-investitore deve essere considerata non come una rinuncia alla gestione attiva, ma come un’evoluzione della preparazione finanziaria dello stesso investitore. Quest’ultimo, infatti, utilizza l’investitore istituzionale come strumento a supporto delle proprie decisioni, e comunque è
sempre il singolo che sopporta l’onere della scelta, con gli sperati benefici
e le relative perdite. Il singolo opera a stretto contatto con l’investitore istituzionale, che ha il dovere di conoscere in maniera sempre più approfondita i modelli di gestione del rischio e gli strumenti finanziari che ne sono
l’applicazione, nonché di essere in grado di tradurre tali modelli in scelte
coerenti con le necessità del cittadino-investitore. Allo stesso tempo, l’investitore istituzionale deve essere capace di generare e utilizzare strumenti finanziari appropriati alla cultura individuale e al contesto sociale del singolo, realizzando quegli obiettivi che sono comuni a tutti gli investitori:
– preservare il capitale;
– rimanere coerenti con il profilo di rischio scelto;
– ottenere profitto dall’investimento.
Questo libro valorizza la nascita della nuova figura dell’investitore-cittadino e di quelli che sono i suoi rapporti di delega e fiducia nei confronti degli investitori istituzionali. Uno dei temi ricorrenti, assai presente anche
nel dibattito italiano, riguarda la possibilità che l’avvento di Internet, come canale di distribuzione innovativo dei prodotti e dei servizi di investimento, incentivi l’investimento diretto dei risparmiatori e riduca, quindi, il
ricorso al risparmio gestito. In realtà, stiamo già verificando come Internet in primo luogo consenta agli operatori professionali di meglio supportare il singolo nelle sue scelte; del pari si nota come l’ampliarsi delle opzioni accentui il bisogno del cittadino-investitore di soggetti in grado di recepire le sue esigenze e tradurle in scelte coerenti di investimento. L’accresciuta complessità dei mercati finanziari e la forte esigenza di diversificare il patrimonio comporterà comunque il ricorso a professionisti da parte dei singoli investitori. In tale prospettiva, Internet si propone come supporto aggiuntivo al servizio dell’investitore, che potrà partecipare più consapevolmente al processo di gestione del proprio patrimonio.
Marco Bolgiani
(Amministratore delegato di Eptaconsors S.p.A.)
PARTE PRIMA
MERCATI E INTERMEDIARI
2. Le determinanti dello sviluppo
del risparmio gestito
2.1 Lo scenario
L’evoluzione del mercato finanziario costringe tutti gli investitori ad assumere maggiori dosi di rischio ricercando, al tempo stesso, combinazioni di
prodotti finanziari in grado di offrire potenzialità di rendimento superiori. Il
fattore economico che ha maggiormente contribuito alla mutazione della
struttura del mercato finanziario domestico è individuabile nella forte riduzione del rendimento dei titoli di Stato. L’adesione dell’Italia alla moneta
unica ha costituito un momento di passaggio cruciale del processo che ha
condotto da una situazione finanziaria caratterizzata da scelte di investimento semplici (in prevalenza titoli di Stato), che combinavano basso rischio ed elevato reddito (nominale), a uno scenario di grande complessità,
con rendimenti attesi più contenuti e più alti livelli di rischio finanziario. Gli
intermediari finanziari hanno rinnovato la propria struttura organizzativa e
la gamma di offerta nel settore degli investimenti per soddisfare la domanda della clientela e incassare i margini connessi allo sviluppo degli strumenti di gestione del risparmio privato. Il triennio 1997-99 ha evidenziato una
forte crescita di fondi comuni, gestioni patrimoniali (specie nella componente delle Gpf) e del risparmio previdenziale (index e unit linked), in forza
di una congiuntura particolarmente favorevole che univa la riconversione
dello stock dei titoli di Stato alla crescita mondiale dei corsi azionari.
Figura 2.1 Le principali cause di trasformazione
Cause
•
•
•
•
•
•
Globalizzazione finanziaria e creazione
della moneta unica europea
Liberalizzazione dei movimenti di capitale
Crisi del Welfare State in Europa
Inflazione e tassi di interesse
più bassi e stabili
Ruolo più forte dei mercati e maggiore
offerta di strumenti finanziari
Diversificazione di portafoglio più
complessa e con minori benefici sul
rapporto rischio-rendimento
Effetti
•
Necessità per gli investitori privati di
delegare la gestione del portafoglio
finanziario ai professionisti del
settore
•
Crescente istituzionalizzazione del
risparmio privato
12
MERCATI E INTERMEDIARI
Tabella 2.1 La dinamica di crescita di fondi e gestioni
1997
1998
1999
2000 (*)
2001 (*)
2002 (*)
Tot. Fondi
(var. %)
392.750
88,1
779.059
98,4
1.040.560
33,6
1.238.658
23,4
1.523.692
18,7
1.749.220
14,8
Gestioni patrim.
(var. %)
- di cui GPF
(var. %)
375.465
44,1
63.646
676,1
542.205
44,4
177.859
179,5
673.500
24,2
282.870
59,0
781.300
16,0
375.024
32,6
880.450
12,7
466.639
24,4
956.970
9,0
537.415
15,2
Tot. Riserve tecniche
(var. %)
- di cui vita e integrat.
(var. %)
240.284
20,1
165.000
26,1
284.594
18,4
202.300
22,6
350.806
23,3
257.400
27,2
434.168
23,8
329.600
28,0
550.650
26,8
433.400
31,5
706.298
28,3
574.000
32,4
Totale
(var. %)
944.853
42,4
1.427.999
51,1
1.781.996
24,8
2.124.102
19,2
2.488.154
17,1
2.877.773
15,7
23,6
31,4
34,6
38,3
41,9
44,8
In % delle attività
finanz. delle famiglie
(*)
Proiezioni.
Fonte: Eurisko-Prometeia – marzo 2000.
Le previsioni per i prossimi anni mostrano il graduale esaurimento della
componente endogena al settore bancario in seno alla domanda e di servizi di gestione. Nonostante fondi e gestioni siano destinati ad aumentare il
loro peso sul totale delle attività finanziarie degli investitori italiani, le previsioni annunciano una dinamica di crescita in rallentamento.
L’investimento azionario, in particolare, comincia a rappresentare una
soluzione “naturale” di investimento per ottenere obiettivi di crescita del
capitale nel medio-lungo termine. Il confronto con altri paesi evidenzia,
tuttavia, una diversa composizione di portafoglio per quanto riguarda la
componente azionaria che in Italia, nonostante la forte crescita degli ultimi anni, che risulta ancora inferiore agli standard di realtà economicamente più mature. Il peso di tale componente è destinato ad aumentare ulteriormente nel portafoglio degli investitori/famiglie, sia per il rendimento
potenziale più elevato che è in grado di offrire, sia perché l’impiego del risparmio sarà sempre maggiormente “finalizzato” al raggiungimento di precisi obiettivi. È da registrare inoltre il fatto che in Italia, negli ultimi anni,
si è praticamente completata presso gli intermediari finanziari la conversione del risparmio amministrato in risparmio gestito da parte dei clientiinvestitori. Per tale motivo è ragionevole attendersi una dinamica più matura per fondi e gestioni patrimoniali. La tabella 2.2 contiene alcuni raffronti internazionali in tema di quote di risparmio privato affidato a investitori istituzionali.
Tale situazione sposterà il baricentro dell’attenzione degli intermediari
verso la relazione e la gestione dei clienti nel tentativo di massimizzare la
13
LE DETERMINANTI DELLO SVILUPPO DEL RISPARMIO GESTITO
Tabella 2.2 Famiglie: quote delle attività finanziarie affidate a investitori
istituzionali (1) (percentuali calcolate su consistenze di fine anno
a prezzi di mercato)
Anni
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999 III (2)
Italia
11,1
12,0
12,4
14,8
17,1
17,1
19,5
26,5
33,5
36,0
Germania
Ovest
26,0
26,7
27,9
Germania
unita
25,7
26,7
28,5
28,7
29,4
30,4
32,2
n.d.
Francia
Giappone
vecchia serie nuova serie
23,1
25,6
28,1
27,5
26,7
27,1
26,7
27,3
n.d.
n.d.
32,2
32,3
34,1
34,6
34,6
34,3
34,1
33,8
33,6
32,5
32,4
31,9
Stati
Uniti
Regno
Unito
35,7
36,8
38,4
38,8
40,0
40,9
42,4
43,9
46,0
46,1
44,6
47,5
48,7
52,6
51,5
53,6
54,0
55,5
57,3
58,8
(1)
Sono compresi fondi comuni, fondi pensione, assicurazioni vita. Per l’Italia e gli Stati Uniti anche gestioni
patrimoniali.
(2)
Per l’Italia 2° trimestre
Fonte: Rapporto Irs sul mercato azionario, aprile 2000.
soddisfazione dei risparmiatori nei confronti del settore finanziario. La fine del millennio segna quindi un’evoluzione importante del mercato del risparmio gestito in Italia con il progressivo spostarsi dell’attenzione degli
operatori dalla “quantità” (volumi delle attività finanziarie gestite) alla
“qualità” (soddisfazione complessiva per il servizio di gestione del portafoglio finanziario).
Si sta compiendo una mutazione culturale di enorme portata che trasforma il risparmiatore italiano (unicamente volto ad accumulare risorse
finanziarie) in investitore (orientato a impiegare le proprie disponibilità in
attività finanziarie secondo specifiche esigenze). L’evoluzione può essere
spiegata, da un lato, dagli eccezionali mutamenti nello scenario economico e, dall’altro, dalla maggiore cultura finanziaria degli investitori, dalla
crescita dei canali diretti, dalla competizione commerciale tra intermediari. Per larghe fasce di investitori poco propensi al rischio e maggiormente
attenti a preservare il valore reale dell’investimento, tuttavia, tale passaggio risulterà più lento e faticoso; sarà compito degli intermediari creare
aspettative realistiche sui risultati dell’investimento finanziario e sugli effettivi vantaggi connessi al servizio di gestione di portafoglio.
Osservando il quadro economico e finanziario di riferimento e le stime
dei principali centri di ricerca economica, appaiono al momento particolarmente elevate le possibilità di crescita per il risparmio previdenziale e
per il complesso dei prodotti finanziari e assicurativi a esso collegati. Si
tratta per molti investitori di valutare con più consapevolezza e rigore la
possibilità di non avere, alla fine del periodo lavorativo, un patrimonio
adeguato ai propri bisogni. Rispetto al passato, in cui l’investimento serviva a fronteggiare una generica incertezza sul futuro, nei prossimi anni potremmo assistere a una più forte finalizzazione degli investimenti finanzia-
14
MERCATI E INTERMEDIARI
ri, per effetto soprattutto della necessità di confrontarsi con gli effetti delle riforme del sistema pubblico delle pensioni e dell’assistenza sanitaria. Il
rischio di subire conseguenze negative per il verificarsi di eventi indesiderati ben individuabili (riduzione delle pensioni, aumento dei ticket sanitari
ecc.) consente di associare una precisa probabilità agli eventi per cui si risparmia e ciò dovrebbe spostare la domanda di investimento verso i prodotti specifici del risparmio previdenziale. In tale contesto, il focus dell’attività bancaria dovrà spostarsi soprattutto sul presidio della clientela in
essere, favorendo politiche di segmentazione in grado di ampliare e personalizzare il portafoglio dei prodotti offerti per far fronte a una domanda
complessivamente più sofisticata ed esigente.
Le banche italiane possono contare, al momento, su un forte vantaggio
competitivo legato alla loro capacità operativa e al riconoscimento da parte della clientela del loro ruolo di orientamento delle decisioni finanziarie
delle famiglie. Tale placing power potrebbe, tuttavia, essere compromesso dall’interazione di molteplici fattori:
– un quadro concorrenziale più aspro;
– l’ascesa del risparmio previdenziale;
– la difficoltà crescente nel diversificare il portafoglio su scala globale;
– lo sviluppo del cosiddetto “parabancario” (reti di vendita, assicurazioni
ecc.);
– l’affermazione crescente del canale informatico.
2.2 Come cambia lo stile finanziario degli investitori
Per analizzare le cause dello sviluppo del risparmio gestito è utile partire
da un esame dello stile finanziario del risparmiatore medio, che in questi
ultimi anni ha dovuto fronteggiare non poche burrasche finanziarie. Prima di tutto l’avvento dell’euro, che ha proiettato tutti gli investitori in
una dimensione operativa diversa, obbligandoli a prendere coscienza del
fatto che realmente si voltava pagina, che si cominciava “a fare” qualcosa
in un contesto turbolento, fortemente incerto e intrinsecamente diverso
dal passato.
Sul piano dei comportamenti finanziari, il risparmiatore sembra, tuttavia, non aver perso la sua buona dose di ottimismo, cercando di cogliere
l’aspetto positivo della flessione dell’inflazione e dei tassi di interesse e
pensando che tutto ciò gli desse la possibilità di giocare nuove carte con
investimenti diversificati in mercati sempre più globalizzati e quindi ricchi
di maggiori e migliori opportunità. In seguito, ha cercato di utilizzare i canali innovativi che gli venivano proposti rivolgendo la propria attenzione
verso il risparmio gestito e, a volte, “cavalcando” anche la novità di inve-
LE DETERMINANTI DELLO SVILUPPO DEL RISPARMIO GESTITO
15
stimenti su prodotti cosiddetti “speculativi”. Le reazioni del risparmiatore
hanno manifestato maturità, consapevolezza della situazione e fiducia nel
cambiamento e nei benefici che avrebbero generato l’euro e una lira stabile. Al tempo stesso, queste reazioni hanno delineato ed evidenziato i suoi
gusti finanziari:
– minore interesse per i titoli pubblici e per le obbligazioni;
– desiderio di partecipare alle performance della Borsa adottando e utilizzando il principio della ripartizione del rischio;
– “scoperta” dei fondi comuni di investimento;
– interesse crescente per i fondi pensione e per il risparmio previdenziale.
In riferimento alle recenti indagini condotte sugli stili finanziari dei risparmiatori italiani (si veda il Rapporto Eurisko-Prometeia e il Rapporto Centro Einaudi/Bnl) è possibile tracciare un simile identikit di sintesi.
1) “Il risparmio è indispensabile” è quanto dichiara il 95% di un campione
di indagine indicativo del risparmiatore “tipo”.
2) La “sicurezza” rappresenta il perno attorno al quale ruotano tutti i desideri del risparmiatore, la caratteristica più ricercata dell’investimento, un aspetto che muove dalla consapevolezza della difficoltà di impiegare il denaro in mercati così altalenanti.
3) L’investitore dei nostri giorni si mostra particolarmente esigente: pretende servizi sempre più affidabili ed efficienti per potersi muovere
agilmente tra le difficoltà dei mercati e chiede alla propria banca un
servizio a 360 gradi che vada dalla semplice tenuta del conto corrente
al supporto morale e materiale per tutto ciò che riguarda gli investimenti. In tale contesto, indirettamente si chiede alla banca di rinnovarsi per venire incontro alle esigenze del risparmiatore. Suscitano sempre maggiore interesse la “banca telefonica” e tutti i principali servizi a
disposizione del cliente senza l’obbligo di spostamenti che, soprattutto
nelle città più grandi, sono sempre più difficili.
4) L’investimento immobiliare dopo quasi un decennio riesce a “ricatturare” l’attenzione degli investitori (visti anche i redditi ridotti dei titoli
pubblici) che confermano il loro interesse ad avere la proprietà della
casa in cui vivono.
Gli italiani negli ultimi anni hanno visto diminuire la loro riconosciuta attitudine al risparmio e alla parsimonia, in quanto si è rivelato più difficile
raggiungere gli obiettivi di accumulo a causa della maggiore pressione fiscale che ha colpito i bilanci familiari negli anni Novanta. Così il risparmiatore italiano si è avvicinato al modello europeo non solo per l’ampia
16
MERCATI E INTERMEDIARI
Figura 2.2 La motivazione prevalente del risparmio
(valore percentuale sul totale degli intervistati)
effettuare altri investimenti
6%
difendere la salute
7%
lasciare un’eredità
5%
far fronte a eventi imprevisti
36%
integrare la pensione
9%
aiutare i figli
12%
acquistare la casa
25%
Fonte: Bnl/Centro Einaudi, Rapporto annuale sul risparmio e sui risparmiatori.
possibilità delle scelte di investimento, ma anche per aver contribuito a
“saldare il conto” dell’allineamento della finanza nazionale a quella degli
altri paesi europei. Il risparmio degli anni Novanta è permeato da una particolare motivazione: lo scopo precauzionale. Infatti, ormai da diversi anni, il risparmiatore sente di dover risparmiare per fare fronte alle incertezze del futuro rappresentate, per esempio, dall’esigenza di un’eventuale integrazione delle cure sanitarie pubbliche non sempre all’altezza delle
aspettative, oppure dalla necessità di sostenere economicamente i figli
per un periodo più lungo, rispetto al passato, a causa della disoccupazione. A tutto ciò si aggiunge un ulteriore fattore: la consapevolezza del fatto
che il sistema previdenziale pubblico non sarà più generoso come in passato e che di conseguenza occorre rimediare destinando quote crescenti
di risparmio a finalità previdenziali.
2.3 La distribuzione della ricchezza delle famiglie italiane
Gli orientamenti strategici degli intermediari finanziari impegnati nell’asset management sono influenzati dalle modalità di distribuzione della
ricchezza presso la clientela privata.
Analizzando la situazione attuale delle famiglie italiane attraverso la rilevazione dei flussi di reddito e il patrimonio finanziario disponibile (cioè
l’insieme della liquidità familiare e del risparmio accumulato nel tempo) si
possono trarre indicazioni utili sia per le politiche di marketing sia per il
potenziamento del servizio di consulenza. A tal proposito riportiamo una
fotografia del bilancio della famiglia media italiana:
– ha un reddito medio di 48 milioni di lire annui;
– riesce a risparmiare circa 8 milioni annui al netto dei rendimenti sugli
investimenti;
PARTE SECONDA
IL RAPPORTO CON L’INVESTITORE
5. L’analisi del profilo finanziario degli
investitori
5.1 L’evoluzione del processo di vendita in campo finanziario
L’approccio alla clientela degli intermediari finanziari italiani è stato storicamente focalizzato più sulla vendita dei prodotti che sull’analisi dei bisogni e delle esigenze dei risparmiatori. Da alcuni anni anche il sistema finanziario italiano, tenendo conto delle evoluzioni in atto, ha concentrato
la propria attenzione sul cliente, considerandolo come fonte di richieste e
non più solo come “terminale” a cui vendere ciò che era strategicamente
importante per l’azienda (figura 5.1).
Il processo di vendita introdotto negli ultimi anni ha sicuramente procurato grandi vantaggi per la clientela, creando tuttavia notevoli difficoltà
agli intermediari finanziari, che hanno dovuto risolvere il problema della
corretta individuazione dei bisogni della clientela tenendo conto di variabili quali:
– la propensione al rischio;
– l’arco temporale disponibile per gli investimenti;
– la corretta asset allocation dei prodotti disponibili;
– la verifica periodica e l’eventuale correzione dei portafogli.
Figura 5.1 Il valore aggiunto per il processo di vendita
IERI
IL PROCESSO DI
VENDITA
Affidato
esclusivamente
alle competenze
dell’operatore
Focalizzato sul
prodotto
OGGI
Guidato attraverso
un approccio
strutturato, dinamico
e controllabile
Con maggiore
focalizzazione sul
cliente
46
IL RAPPORTO CON L’INVESTITORE
Figura 5.2 Interazione cliente/intermediario
CLIENTE
INTERMEDIARIO
Analisi dei bisogni individuati
Corretto mix azioni/
obbligazioni
Verifica periodica ed eventuale correzione portafoglio
Bisogni da soddisfare
Propensione al rischio
Arco temporale disponibile
per gli investimenti
L’interazione fra cliente e intermediario finanziario è quindi graficamente
esprimibile come indicato nella figura 5.2.
L’analisi dei bisogni della clientela e della propensione al rischio è la base
sulla quale la professionalità dell’intermediario finanziario può costruire
adeguate proposte di asset allocation. Ai responsabili clientela (operatori
bancari, promotori finanziari, private bankers) spetta quindi l’onere più gravoso, in quanto devono riuscire a catturare le informazioni dal cliente per
poter definire un quadro chiaro al gestore. Molti intermediari, al fine di evitare personalizzazioni nell’interpretazione delle esigenze, hanno predisposto
articolati questionari che, debitamente compilati dai clienti con l’aiuto dei
responsabili clientela, permettono, grazie a sofisticati algoritmi, di ottenere
risposte omogenee in termini di macro allocazione percentuale dei capitali
nei comparti liquidità / obbligazionario / azionario. Solo a questo punto, previa accettazione da parte del cliente di quanto accertato, sarà possibile chiedere alla struttura predisposta alla gestione dei capitali una corretta asset allocation degli strumenti finanziari atti a soddisfare i bisogni emersi. Dal punto di vista formale, il processo che si disegna è evidenziato nella figura 5.3.
Figura 5.3 Il processo logico
QUESTIONARIO
Un algoritmo elabora il profilo
di rischio del cliente in base
alle risposte del questionario
e alla cifra da investire
}
Il profilo di rischio viene
selezionato all’interno di
alcune tipologie predefinite
}
L’asset allocation suggerito
tende a coniugare i bisogni
del cliente e le politiche
aziendali. La proposta formulata al cliente sarà adeguata
alla composizione di partenza
del suo portafoglio
}
ALGORITMO
PROFILO DI RISCHIO
ASSET ALLOCATION
DEL CLIENTE
REVISIONE PERIODICA
DELL’ASSET IN BASE
AL MODIFICARSI NEL
TEMPO DELLE ESIGENZE
DEL CLIENTE
% Liquidità
% Obbligazionario
% Azionario
L’ANALISI DEL PROFILO FINANZIARIO DEGLI INVESTITORI
47
Figura 5.4 Le fonti informative Internet
Fonte: www.schwab.com
L’evoluzione dei software informatici ha permesso nell’ultimo periodo ulteriori implementazioni dei sistemi di Personal Financial Planning. È ora
possibile ipotizzare i capitali disponibili al termine di un arco temporale
individuato, con simulazioni basate sull’evoluzione dei risparmi all’avverarsi di particolari variabili di mercato, stabilite utilizzando analisi storiche delle performance dei mercati di riferimento e proiezioni statistiche,
che permettono di calcolare il rendimento atteso e il VaR (Value at Risk)
dell’intero portafoglio (figura 5.4).
5.2 L’attività di pianificazione finanziaria nelle filiali
La dimensione del business del risparmio gestito sta inducendo gli intermediari finanziari a differenziare quantità e qualità del servizio, canali di
vendita, stile di comunicazione e strumenti offerti. È ormai diffusa la divisione del segmento famiglie in macro categorie retail e private. La personalizzazione del rapporto, tuttavia, costituisce l’autentico comune denominatore nell’ambito della gestione del risparmio privato. Ma qual è il significato della centralità del cliente nel processo di consulenza finanziaria? Quali sono le modalità operative da seguire per coniugare la soddisfa-
48
IL RAPPORTO CON L’INVESTITORE
zione della clientela con il raggiungimento di adeguati standard di redditività per gli intermediari finanziari? La risposta sta nel predisporre un mix
adeguato di abilità relazionali e tecniche degli operatori di rete e di offerta
congiunta di servizi e prodotti in grado di ottimizzare il risultato economico per il cliente. Ciò significa:
– raccogliere le informazioni necessarie per l’analisi preventiva dei bisogni;
– organizzare tali informazioni per identificare il portafoglio “ideale” per
ogni singolo cliente.
Lo sviluppo massiccio della raccolta gestita appare come una sfida molto
più ambiziosa della semplice conversione del risparmio amministrato in
risparmio gestito. Per incrementare stabilmente la redditività del comparto finanziario è necessario aumentare il valore aggiunto della propria offerta alla clientela. Il valore aggiunto che un intermediario bancario può
offrire in tale ambito è rappresentato da un mix di fattori:
– visione dei mercati di lungo periodo;
– capacità di gestire in maniera completa le esigenze finanziarie della
clientela;
– stabilità nel tempo del rapporto consulente-cliente.
Nonostante i progressi nei comportamenti finanziari dei risparmiatori, la
rapida evoluzione dei mercati impone una cura continua degli investimenti. Si modifica il ruolo dell’esperto del settore finanziario che opera
con la “sua” clientela di riferimento: da operatore in titoli (specializzato
nella compravendita di azioni e obbligazioni) a consulente finanziario
(specializzato nell’attività di asset allocation e negli strumenti più specifici del risparmio gestito). L’attività di financial planning personalizzata
sta accrescendo la sua importanza per piccoli e grandi patrimoni.
La pianificazione finanziaria è il processo che va dall’identificazione
dei bisogni finanziari di un individuo, o di una famiglia, alla loro soddisfazione attraverso opportune soluzioni di investimento/finanziamento. Si
tratta di programmare, indirizzandola, l’azione finanziaria di un cliente in
funzione della sua condizione soggettiva. Il metodo consente di affrontare
gli impegni finanziari della famiglia in base all’interazione di alcuni parametri fondamentali:
– capacità di reddito;
– tempo;
– rendimento finanziario.
L’ANALISI DEL PROFILO FINANZIARIO DEGLI INVESTITORI
49
Programmare gli investimenti vuol dire essere consapevoli del fatto che
ogni decisione finanziaria comporta conseguenze di varia natura che
vanno esaminate e quantificate per ottimizzare le decisioni da prendere.
Si tratta, cioè, di non subire gli eventi del mercato come qualcosa di ineluttabile, ma di concepirli come conseguenza di comportamenti soggettivi dell’investitore, come il risultato di precise azioni impostate per raggiungere il miglior risultato in funzione del grado di rischio tollerabile.
Per un consulente finanziario si tratta di coniugare in modo ottimale tre
macro variabili:
– cliente (informazioni personali);
– scenario (ciclo economico / finanziario);
– intermediario finanziario (indirizzi commerciali).
La programmazione finanziaria è subordinata alla conoscenza del cliente;
la convenienza dell’investimento finanziario dipende da come esso si adatta alla specifica situazione del cliente e alla sua propensione al rischio. È
necessario, quindi, “tagliare su misura” il servizio soprattutto nella fase
iniziale del rapporto con la clientela. Per avviare un rapporto di pianificazione finanziaria risulta dunque necessaria la disponibilità di informazioni
concernenti la sfera sia personale sia finanziaria del cliente. È opportuno
per il consulente finanziario approfondire con cura la conoscenza del
cliente e la comprensione dei suoi obiettivi di investimento, tracciandone
un “identikit finanziario” dettagliato. Per disegnare il profilo finanziario
del cliente sono individuati alcuni parametri oggettivi e soggettivi. Gli elementi di natura oggettiva essenziali sono:
– età e professione;
– composizione del nucleo familiare;
– situazione finanziaria;
– reddito e capacità di risparmio;
– posizione fiscale.
Gli elementi di natura soggettiva essenziali sono:
– esperienza;
– propensione al rischio;
– disponibilità a delegare su base fiduciaria.
PARTE TERZA
PARAMETRI DI VALUTAZIONE
8. Misurazione e controllo del rischio
finanziario
8.1 Il rischio di investimento
La gestione del rischio rappresenta l’essenza stessa dell’attività finanziaria ed è connaturato a qualunque forma di attività economica. In termini
generali il rischio può essere definito come la possibilità che il risultato
effettivo di un dato investimento finanziario possa divergere dal risultato atteso. Operando in condizioni di certezza, la probabilità di ottenere
un risultato in linea con le attese è del 100%, diversamente in condizioni
di incertezza è necessario valutare “quanto” il risultato effettivo possa
allontanarsi dal risultato atteso. In tale ottica, il rischio di un investimento si identifica con la distribuzione dei possibili risultati in un dato arco
temporale.
Si riporta di seguito la rappresentazione grafica di tale situazione in riferimento a due ipotetiche gestioni di portafoglio, una di natura obbligazionaria (figura 8.1) e una di natura azionaria (figura 8.2).
In realtà chi si occupa di asset management per clientela privata deve
tenere in considerazione due differenti tipologie di rischio:
–
il rischio individuale, connesso essenzialmente alla condizione soggettiva del cliente e alla sua esperienza in campo finanziario;
–
il rischio di mercato, connesso alle oscillazioni “naturali” del mercato
dei capitali misurabili statisticamente.
Per apprezzare la percezione “individuale” del rischio il consulente è
chiamato a svolgere un ruolo prettamente “psicologico”, di comprensione
dei convincimenti (spesso sbagliati) del cliente in materia di interpretazione dei rischi di mercato e investimenti finanziari. Per valutare i rischi
di mercato, invece, si deve rilevare in modo oggettivo quanto il risultato
effettivo di un investimento in un dato arco temporale possa divergere
dal risultato atteso in relazione al mutare delle condizioni di mercato. In
questo paragrafo l’attenzione viene rivolta a questa seconda tipologia di
rischio, attraverso l’analisi degli strumenti operativi da impiegare nel
88
PARAMETRI DI VALUTAZIONE
Figura 8.1 Rischio di investimento (gestione obbligazionaria)
Probabilità
Gestione
obbligazionaria %
–0,5%
0,5%
1,5%
2,5%
3,5%
Rendimento trimestrale
Figura 8.2 Rischio di investimento (gestione azionaria)
Probabilità
Gestione
azionaria %
–0,5%
0,5%
1,5%
2,5%
3,5%
Rendimento trimestrale
campo della consulenza e della gestione di portafoglio. Un consulente in
sostanza deve:
– identificare il rischio;
89
MISURAZIONE E CONTROLLO DEL RISCHIO FINANZIARIO
– misurare il rischio;
– governare il rischio.
Secondo il documento Consob sui rischi generali, che gli operatori del settore finanziario hanno l’obbligo di consegnare ai clienti, la variabilità dei
prezzi sul mercato finanziario è dovuta a:
–
titoli di capitale e titoli di debito;
–
rischio specifico e rischio generico;
–
rischio emittente/cambio;
–
rischio di interesse;
–
effetti della diversificazione.
Il rischio di un investimento può essere idealmente scomposto in due
componenti:
–
rischio specifico (dipendente dalle caratteristiche peculiari dell’emittente – o del settore – e può essere annullato attraverso un’opportuna
diversificazione);
–
rischio sistematico (che rappresenta la variabilità di un titolo “spiegata” dalle fluttuazioni del mercato in generale).
Come evidenzia la figura 8.3, con la gestione di portafoglio e la diversificazione finanziaria si può ridurre (fino ad annullarlo) il rischio specifico
di un dato investimento finanziario, ma non quello sistematico.
Figura 8.3 Rischio specifico e rischio sistematico
Rischio
totale
Rischio specifico
Rischio sistematico
Numero titoli in portafoglio
90
PARAMETRI DI VALUTAZIONE
Il rischio di un investimento finanziario è costituito dalla sua possibilità
di realizzare in un dato arco temporale risultati diversi da quelli attesi.
La negoziazione di qualunque strumento finanziario prevede la possibilità della fluttuazione del suo valore; per l’investitore non si tratta di decidere se prendere o meno rischi di mercato, ma piuttosto di assumerne
una dose più o meno forte in relazione alla sua condizione soggettiva. La
misurazione del rischio presuppone l’identificazione dei principali elementi che possano generare variazioni nel valore di mercato di un portafoglio finanziario (figura 8.4). La variabilità del valore di una posizione finanziaria dipende, quindi, dal mutare delle condizioni generali di
mercato in termini di:
–
tassi di interesse;
–
rapporti di cambio;
–
indici di Borsa;
–
prezzi delle commodities;
–
variazioni di volatilità.
8.2 Analisi statistica e rischio finanziario
La prassi operativa prevede diverse metodologie per quantificare in modo oggettivo la volatilità di mercato. La globalizzazione crescente dei
mercati finanziari e la ricerca da parte degli intermediari di prodotti sempre più complessi e (spesso) di difficile interpretazione per l’investitore
non professionale evidenziano l’inadeguatezza dei vecchi sistemi di quan-
Figura 8.4 Le componenti del rischio di mercato
Tassi di
interesse
Tassi di
cambio
Indici di
Borsa
Rischio di mercato
Commodities
Volatilità
91
MISURAZIONE E CONTROLLO DEL RISCHIO FINANZIARIO
Tabella 8.1 Classe di rischio e volatilità
Classe di rischio
Range
Categoria Assogestioni
Volatilità
1
0
2,5
Liq. Area euro
Obbl. Area euro BT
0,1%
1,0%
2
2,5
5
Obbl. Area euro M/LT
Obbl. Area Europa
3,7%
3,9%
3
5
10
Obbl. Internaz.
Obbl. Misti
5,5%
6,9%
4
10
Obbl. Area Dollaro
Bilanciati
Obbl. Area Yen
9,8%
13,4%
14,7%
Az. Internaz.
Az. Europa
Az. Area euro
17,8%
18,2%
20,3%
21,0%
22,6%
23,8%
23,9%
26,9%
15
5
15
20
6
20
25
Az. America
Obbl. Paesi Emerg.
Az. Pacifico
Az. Italia
7
>25
Az. Paesi Emerg.
Fonte: Assogestioni, Benchmark e Fondi comuni.
tificazione dei rischi. Il processo di trasformazione dei mercati suggerisce l’adozione di tecniche più sofisticate che, grazie all’impiego più intenso della tecnologia, consentono stime più appropriate del rischio, soprattutto nei casi di orizzonti operativi di breve termine. L’osservazione storica dei mercati finanziari può consentire di valutare il rischio attribuibile
sia a singoli titoli che a intere classi di investimento, a partire dall’ipotesi
che lo studio dei rischi sperimentati nel passato possa offrire una prospettiva plausibile riguardo ai rischi attesi. Si presume, infatti, che osservando i mercati in un arco temporale adeguato si possano trarre indicazioni “oggettive” per stimare rischi e rendimenti attesi. Sul piano statistico è possibile condensare tutte le determinanti della volatilità di un investimento in unico numero. Riportiamo (tabella 8.1) una classificazioni
dei rischi di investimento per macroclassi di investimento prodotta da
Assogestioni in una recente analisi sulla volatilità delle diverse categorie
di fondi di investimento.
Lo scarto quadratico medio dei risultati di periodo rappresenta lo strumento statistico più utilizzato dai gestori di portafoglio per quantificare la
volatilità storica di un’attività finanziaria. Quando per la determinazione
dei rischi si fa riferimento a un breve arco temporale, la soluzione più utilizzata prevede di moltiplicare la volatilità di breve periodo per la radice
quadrata del tempo. Sul piano pratico si rilevano i rendimenti giornalieri
dell’attività o del portafoglio considerati e se ne calcola lo scarto quadratico medio come segue:
Rendimento giornaliero = (Pt – Pt-1) / Pt
S.q.m. = √1/n ∑(xi – xm)2
92
PARAMETRI DI VALUTAZIONE
dove:
Pt = prezzo dell’attività considerata al giorno t
Pt = prezzo dell’attività considerata al giorno t-1
n = numero di rendimenti giornalieri osservati
252 = sono convenzionalmente i giorni di Borsa aperta di un anno
xi = rendimento giornaliero
xm = rendimento giornaliero medio.
Lo scarto quadratico medio si identifica con la volatilità giornaliera dell’investimento finanziario considerato. Tuttavia gli operatori di mercato impiegano convenzionalmente la volatilità annua procedendo, nei casi in cui
la frequenza di rilevazione dei rendimenti risulti inferiore a un anno, all’annualizzazione del rischio mediante alcuni semplici passaggi matematici che si riportano di seguito:
Vol. annua = Vol. giornaliera x √252 (252 sono i giorni “convenzionali”
di Borsa aperta)
Vol. annua = Vol. settimanale x √52 (52 sono le settimane di un anno)
Vol. annua = Vol. mensile x √12 (12 sono i mesi di un anno).
L’eccessivo orientamento ai risultati economici di breve periodo, in particolare, può spingere gli operatori a sottodimensionare gli effetti negativi
di improvvisi cambiamenti nelle condizioni generali di mercato, trascurando così il legame tra rischio e tempo di possesso di un’attività finanziaria.
La variabilità dei risultati tende (tabella 8.2) a ridursi progressivamente all’allungarsi dell’orizzonte operativo dell’investitore. Nell’impiegare
misure storiche di volatilità, si pone spesso il problema di quale arco temporale selezionare per calcolare la deviazione standard. Di norma si cerca
di adattare la lunghezza della serie storica osservata all’orizzonte temporale dell’investitore; tali considerazioni inducono chi si occupa di risparmio gestito a privilegiare serie storiche pluriennali perché statisticamente
più significative. Purtroppo lo scarto quadratico medio (o deviazione
Tabella 8.2 Rendimenti reali in relazione all’orizzonte di investimento
(mercato Usa 1802-1997)
1 anno
Max
Min
2 anno
Max
Min
5 anni
Max
Min
10 anni
Max Min
20 anni
Max
Min
30 anni
Max
Min
1,0 10,6
2,6
Azioni
66,6 –38,6 41,0 –31,6 26,7 –11,0 16,9 –4,1 12,6
Obblig. a lungo
35,1 –21,9 24,7 –15,9 17,7 –10,1 12,4 –5,4
8,8 –3,1
7,4 –2,0
Obblig. a breve
23,7 –15,6 21,6 –15,1 14,9
8,3 –3,0
7,6 –1,8
Fonte: J.J. Siegel, 1998.
8,2 11,6 –5,1
93
MISURAZIONE E CONTROLLO DEL RISCHIO FINANZIARIO
standard) dei risultati offre stime molto approssimate della massima perdita potenziale di un singolo titolo o di un portafoglio finanziario in un dato arco temporale di investimento. La maggiore volatilità che caratterizza
il mercato finanziario globale induce a ricercare metodologie più raffinate
che consentano di migliorare le attese degli investitori in termini di rischio/rendimento.
8.3 Rischio finanziario e holding period: un approfondimento
Sebbene ci si possa ragionevolmente aspettare rendimenti superiori dagli
investimenti azionari di lungo termine, sono pochi coloro che appaiono in
grado di tollerare passivamente e con disinvolta serenità le oscillazioni a
cui sono sottoposti i loro investimenti nel breve andare. Per fare un esempio, si potrebbe ricordare come gli intermediari finanziari che in Italia si
occupano di gestioni di portafoglio per clientela privata siano obbligati
dalla normativa a uno standard di comunicazione trimestrale dei risultati.
Il fatto di calcolare un rendimento in ipotesi di smobilizzo con tale frequenza rende particolarmente espliciti gli effetti della volatilità (soprattutto laddove è presente una significativa componente azionaria e/o valutaria). Poiché l’esistenza del rischio è connaturata al tempo, la durata dell’investimento deve essere valutata con molta attenzione nella fase che
precede la decisione di investimento. Osservando alcuni dati storici relativi al mercato Usa su un periodo di investimento (holding period) di 12
mesi, si nota come le azioni abbiano “sovraperformato” le obbligazioni solo nel 40% circa dei casi (tabella 8.3).
Tabella 8.3 Performance azioni/obbligazioni
Periodo di investimento
Periodo di osservazione
Azioni sovraperformano Azioni sovraperformano
Obbligazioni a lunga (%) Obbligazioni a breve (%)
1 anno
1802-1996
1871-1996
60,5
59,5
61,5
64,3
2 anni
1802-1996
1871-1996
64,9
64,8
65,5
69,6
5 anni
1802-1996
1871-1996
70,2
72,1
73,3
75,4
10 anni
1802-1996
1871-1996
79,6
82,1
79,6
84,6
20 anni
1802-1996
1871-1996
91,5
94,4
94,3
99,1
30 anni
1802-1996
1871-1996
99,4
100,0
97,0
100,0
Fonte: J.J. Siegel, 1998.
PARTE QUARTA
STRUMENTI DI GESTIONE
148
STRUMENTI DI GESTIONE
11.3 Asset allocation strategica e tattica
L’asset allocation rappresenta la procedura con cui ripartire il capitale tra
varie classi di investimento. A livello generale, tali classi sono di norma
rappresentate da:
– liquidità;
– obbligazioni;
– azioni.
La ragione di tale ripartizione per prodotti è duplice: da un lato si individuano categorie di strumenti finanziari che presentano combinazioni rischio/rendimento similari, dall’altro si tende a generare risultati statisticamente indipendenti (bassa correlazione). Sul piano teorico possiamo distinguere due tipi di asset allocation: la prima, quella strategica, è legata
essenzialmente alla condizione soggettiva di chi investe, la seconda, quella tattica, all’analisi della situazione di mercato attesa.
Asset allocation “strategica”
È rappresentata dalle scelte di investimento di medio-lungo periodo basate sulle esigenze di investimento dell’investitore e sulla capacità degli intermediari di saper prevedere i mercati a lungo termine. Questo tipo di attività assegna la massima importanza all’individuazione delle esigenze di
investimento del cliente, prescindendo dalle indicazioni che si desumono
dallo studio della congiuntura economica di breve durata. Gli obiettivi di
investimento determinano l’orizzonte temporale dell’investitore, di conseguenza rappresentano il principale aspetto a cui il consulente-gestore di
portafoglio deve fare riferimento. I migliori risultati associati all’investimento azionario per il lungo periodo spingono gli intermediari a preferire
questa tipologia quando l’orizzonte operativo del cliente lo consente.
Figura 11.1 Asset allocation strategica e tattica
Strategica
(basata su previsioni
di lungo termine)
Asset allocation
Tattica
(basata su previsioni
di breve termine)
149
STRATEGIE D’INVESTIMENTO E STILI DI GESTIONE
In via semplificata gli obiettivi di investimento della clientela che determinano il comportamento operativo sui mercati sono due:
– stabilità (si punta a preservare il valore del capitale sia nel breve sia
nel lungo periodo, preferendo liquidità e obbligazioni);
– crescita (si punta alle potenzialità di reddito nel lungo periodo, preferendo gli strumenti del mercato azionario).
A seconda dell’obiettivo prevalente si preferiranno alternativamente le
due principali forme di investimento: azioni da una parte (il rendimento
deriva dal loro incremento di valore nel lungo periodo) e liquidità-obbligazioni dall’altra (il rendimento deriva dal pagamento periodico degli interessi e il loro valore tende a rimanere più stabile nel breve come nel
lungo periodo). L’intermediario una volta determinato il grado di rischio
tollerabile, deve porsi il problema di ottimizzare il rapporto rischio/rendimento del portafoglio. Si tratta, in questo caso, di stabilire i pesi da attribuire alle componenti del portafoglio (liquidità, obbligazioni, azioni)
in funzione della complessa condizione soggettiva di chi investe. La
strategia di investimento si esprime, come detto in precedenza, in termini di suddivisione del portafoglio in macroclassi di investimento che
presentano caratteristiche simili in termini di rapporto rischio/rendimento. In termini più schematici si tratta di individuare, dato il livello di
rischio tollerabile del cliente, il portafoglio ottimo sulla frontiera efficiente (figura 11.2).
L’asse ideale del portafoglio sarà tanto più spostato verso la componente azionaria quanto maggiori saranno il tempo di investimento e la tolFigura 11.2 La costruzione di portafogli “ottimi”
Scelta delle classi di investimento
RENDIMENTI
VOLATILITÀ
Ottimizzazione statistica e
individuazione dei portafogli-tipo
CORRELAZIONI
150
STRUMENTI DI GESTIONE
leranza al rischio dell’investitore. A scopo esemplificativo si riportano nella figura 11.3 alcuni portafogli-tipo tratti dal sito Internet di Charles
Schwab con le indicazioni del rendimento medio di lungo periodo (ossia
la legittima aspettativa di rendimento per il futuro) e di quello migliore e
peggiore su base annua (il loro differenziale rappresenta una misura approssimata di volatilità dei risultati nel breve periodo).
È molto importante, per chi si occupa di consulenza agli investimenti,
non trovarsi nella condizione di dover giustificare ex post un risultato non
in linea con le attese del cliente. A tal proposito la presentazione della
frontiera efficiente per dati archi temporali ha il vantaggio di rendere
esplicito per il cliente il trade-off tra rischio e rendimento; in tal modo si
offre l’occasione per porre l’accento sul fatto che la possibilità di realizzare maggiori rendimenti comporta l’assunzione di rischi crescenti nel breve periodo.
Le verifiche empiriche condotte sul mercato americano individuano
nella definizione della struttura iniziale del portafoglio la fase più rilevante
per spiegare la performance in un periodo di 5-10 anni. L’importanza dell’asset allocation aumenta dunque al crescere dell’orizzonte operativo di
riferimento degli investitori. Gli studi condotti sui fondi pensione americaFigura 11.3 Portafogli tipo
1. Strategia a breve termine
cash
40%
Rendimenti (1970-1998)
- annuo medio
- annuo massimo
- annuo minimo
7,73%
17,96%
0,28%
short-term bonds
60%
cash
25%
2. Strategia conservativa
equities
20%
Rendimenti (1970-1998)
- annuo medio
- annuo massimo
- annuo minimo
9,59%
21,81%
–1,25%
bonds
55%
3. Strategia moderatamente conservativa
equities
40%
cash
15%
Rendimenti (1970-1998)
- annuo medio
- annuo massimo
- annuo minimo
10,84%
25,56%
–6,54%
bonds
45%
(segue)
151
STRATEGIE D’INVESTIMENTO E STILI DI GESTIONE
4. Strategia equilibrata
equities
60%
bonds
30%
Rendimenti (1970-1998)
- annuo medio
- annuo massimo
- annuo minimo
11,85%
29,75%
–12,95%
cash
10%
5. Strategia moderatamente aggressiva
equities
60%
bonds
30%
Rendimenti (1970-1998)
- annuo medio
- annuo massimo
- annuo minimo
12,77%
36,62%
–19,14%
cash
10%
6. Strategia aggressiva
cash
5%
equities
95%
Rendimenti (1970-1998)
- annuo medio
- annuo massimo
- annuo minimo
13,30%
42,38%
–32,82%
Fonte: www.schwab.com
Note metodologiche
I rendimenti sopra riportati sono medie ponderate delle performance degli indici rappresentativi
delle varie classi di investimento al lordo del reinvestimento dei dividendi maturati nel periodo
1970-1998. Per la Strategia 2 la % di Stocks è composta da 15% Large company e 5% International;
per la Strategia 3: 20% Large company, 10% Small company e 10% International; per la Strategia 4:
30% Large company, 15% Small company e 15% International; per la Strategia 5: 35% Large company,
20% Small company e 15% International; per la Strategia 6: 20% Large company, 10% Small company,
10% International. Gli indici presi a riferimento per rappresentare le varie classi di investimento sono: per il Cash, 30-day Treasury bill; per i Bonds, Ibbotson Intermediate Government Bond Index;
per le Stocks, Msci Europe, Australasia, Far East, Msci-Eafe (International), S&P 500 (Large company), Crsp 6-10 (Small company).
ni, in particolare, dimostrano quanto sia determinante la ripartizione iniziale, attribuendo il risultato economico di un investimento su un orizzonte temporale di dieci anni a:
– asset allocation strategica (ripartizione iniziale del portafoglio) per il
91,5%;
– stock picking (selezione dei singoli titoli) per il 4,6%;
– market timing (scelta del momento operativo) per l’1,8%;
– altro per il 2,1%.
152
STRUMENTI DI GESTIONE
Importanza delle attività del gestore
Figura 11.4 Rapporto tra tempo e attività del gestore
100%
Altro
75%
Marketing timing
50%
Stock picking
25%
Asset allocation strategica
0
5
10
Orizzonte temporale (anni)
Le risultanze statistiche rafforzano l’importanza di una corretta asset allocation iniziale in relazione al profilo finanziario dell’investitore. Una volta
definito l’orizzonte operativo, è opportuno individuare il corretto posizionamento sulla frontiera efficiente, selezionando il mix di portafoglio coerente con la propensione al rischio del cliente considerato. Merita, infine,
sottolineare l’importanza dell’impegno costante sui mercati finanziari. Per
fare un esempio, aver perso i dieci mesi migliori in termini di rendimento
dell’indice Usa S&P 500 nel periodo 1960-1998 significa conseguire un rendimento medio simile a quello di un investimento obbligazionario a breve
scadenza (passando da un valore dell’11,5% all’8,3%).
Asset allocation “tattica”
L’asset allocation tattica prevede la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio le previsioni a breve termine riguardo sia l’evoluzione dell’intero
mercato finanziario, sia le potenzialità di crescita dei singoli titoli. Nella
sostanza si tratta di modificare temporaneamente i pesi assegnati alle varie classi di investimento, sovrappesandone alcune per prevenire un trend
rialzista e sottopesandone altre per anticipare un trend ribassista. Coerentemente con l’assegnazione dei pesi a seconda della congiuntura del momento, si procede anche alla selezione dei titoli a più alto potenziale a partire dalle indicazioni fornite dall’analisi fondamentale e/o tecnica. L’attuazione di un’asset allocation tattica comporta l’accettazione di un grado di
rischio più elevato, data la possibilità di ottenere un risultato migliore rispetto a quello medio del mercato in cui si investe.
Il presupposto essenziale di un’asset allocation tattica è costituto dalla
ricerca economica; servono cioè idee forti di investimento su mercato,
settori, singoli titoli per tentare di anticipare gli eventi e giustificare l’accettazione di maggiori rischi finanziari. L’esperienza degli ultimi anni, tut-
153
STRATEGIE D’INVESTIMENTO E STILI DI GESTIONE
tavia, dimostra che in molti casi (purtroppo!) manca una correlazione significativa tra le aspettative degli operatori e i movimenti di mercato conseguenti all’informativa di carattere economico e politico. In futuro è probabile che le influenze esogene globali possano prevalere più spesso sugli
andamenti economici interni, contrastando così lo sforzo di analisti e gestori teso ad anticipare il comportamento di singoli mercati, settori, società attraverso la ricerca economica.
Si riporta la comparazione tra asset allocation strategica (strutturata
per macroclassi di investimento) e tattica nel caso di una gestione individuale per un cliente con media propensione al rischio e orizzonte operativo di 3-5 anni (tabella 11.2).
Per modificare temporaneamente l’assetto del portafoglio in funzione
del mutare della congiuntura economica può risultare particolarmente utile l’impiego di prodotti derivati. Tali strumenti consentono, infatti, rapide
manovre di aggiustamento del profilo rischio/rendimento di un portafoglio,
migliorando l’efficienza gestionale e contenendo i costi di intermediazione.
11.4 Alcune strategie di investimento alternative
Nell’ambito delle gestioni dei patrimoni esistono approcci alternativi a
quelli presentati nei paragrafi precedenti. In particolare si possono individuare le tre seguenti tipologie:
– Strategia di valore e comportamento contrario, che si estrinseca nella
ricerca da parte del gestore di titoli sottovalutati che possano presumibilmente offrire una performance positiva nel successivo medio/lungo
termine rispetto al benchmark di riferimento. La strategia essenzialmente viene implementata confidando nel fatto che il mercato possa
premiare i titoli che fino a quel momento sono stati trascurati, pur possedendo un valore intrinseco maggiore di quello corrente. I metodi utilizzati per individuare i titoli sono diversi e vanno dall’analisi dei dati
economici sottostanti al bene (la cosiddetta “analisi fondamentale”) fino alle più spinte strategie di comportamento contrario, che si concreTabella 11.2 Gestione “individuale” di patrimonio (un esempio)
Classi di
investimento
Liquidità
Obbl. Int.li
Azioni Int.li
(*)
Asset allocation
strategica (*)
(basata sulle esigenze di
investimento del cliente)
Asset allocation
tattica (**)
(basata sulle previsioni
economiche del gestore)
5%
55%
40%
10%
45%
55%
Scostamenti
+5%
–10%
+15%
Si tratta del portafoglio selezionato sulla frontiera efficiente in base alle esigenze di investimento del cliente.
Si tratta del portafoglio costruito dal gestore in base alla sua personale valutazione del quadro economico-finanziario del momento.
(**)
13. Valutazione dei risultati mediante l’impiego
del benchmark
Nel linguaggio quotidiano dei risparmiatori risulta sempre più frequente
l’utilizzo di vocaboli che in un recente passato sembravano riservati a operatori istituzionali, gestori e organi di vigilanza. Uno dei termini più presenti nei dialoghi tra la clientela e gli operatori bancari da qualche anno a questa parte è benchmark. Ma cosa si intende per processo di benchmarking?
In termini generali lo si può descrivere come un processo di continua
comparazione e misura dei propri standard in relazione all’universo esterno, al fine di ottenere informazioni, metodologie o quant’altro per migliorare la propria performance. Lo si può quindi definire come un processo
di comparazione con i cosiddetti “indici d’eccellenza” volto a migliorare i
propri risultati, in termini sia d’efficacia che di efficienza e replicare i parametri di riferimento.1 La teoria del benchmarking classica riconosce generalmente tre tipologie di indice:
– Benchmark di processo: che focalizza la propria attenzione sui sistemi
operativi. Analizza il servizio clienti. Tenta di identificare le pratiche operative migliori estrapolandole da realtà eccellenti prese come riferimento.
– Benchmark di performance: che permette di ritarare la propria competitività in funzione del confronto continuo con il comportamento del
prodotto e del servizio definito eccellente.
– Benchmark strategico: che analizza le modalità in cui l’azienda compete, alla ricerca delle strategie vincenti per realizzare l’eccellenza e poterla replicare nella propria realtà aziendale.
In quest’ottica di continuo riferimento a uno standard considerato come
“faro” della gestione, la Consob con il regolamento 10943/1997 2 ha stabilito per l’intermediario l’obbligo di inserire nel rendiconto periodico di gestione il cosiddetto “parametro oggettivo di riferimento” (o benchmark).
Il processo di benchmarking è stato introdotto per la prima volta dalla Xerox Corporation nel 1979.
“Regolamento relativo alla prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori” in attuazione del decreto legislativo 415/1996.
1
2
176
STRUMENTI DI GESTIONE
13.1 Le caratteristiche del benchmark
Il parametro oggettivo di riferimento come inteso dalla Consob può quindi
essere definito come un indice o un insieme di indici finanziari che si possono utilizzare per confrontare e valutare le caratteristiche di uno strumento finanziario, sia esso fondo o gestione patrimoniale, al fine di meglio
comprendere:
– le caratteristiche peculiari di un prodotto e confrontarlo con strumenti
che si rivolgono ai medesimi settori di mercato;
– la sua rischiosità;
– la sua redditività.
L’indice è quindi uno strumento che permette al risparmiatore di valutare
oggettivamente la qualità e lo stile della gestione, i mercati o settori considerati dal gestore e il profilo rischio/rendimento a cui si espone investendo in un determinato asset.
Il benchmark caratterizza dunque il prodotto finanziario offerto, evidenziandone sia le caratteristiche di composizione sia i legami esistenti
fra il portafoglio in gestione e l’indice. La scelta del parametro di riferimento implica un lavoro rigoroso e attento volto a fornire all’utenza un riferimento valido per valutare tutti gli aspetti della gestione. Il benchmark
per essere considerato un indicatore efficiente deve possedere le seguenti
caratteristiche:
– chiarezza e trasparenza. Gli indici devono essere calcolabili in modo
trasparente e utilizzabili in modo univoco per replicare in maniera precisa il benchmark di riferimento. Il nome e la ponderazione dei titoli
che lo compongono devono essere chiari. (Per esempio, l’indice S&P
500 è un benchmark univoco in quanto gli analisti possono evincere i
titoli da cui deriva e i pesi per ricalcolare sinteticamente il paniere.)
Questa caratteristica permette di valutare i cambiamenti periodici della composizione, consentendo all’utente finale di valutare se le nuove
peculiarità del prodotto sono adeguate alle caratteristiche dell’investimento obiettivo e al rischio che si vuole correre;
– replicabilità e oggettività. Un valido parametro di riferimento deve poter essere replicato in maniera univoca e oggettiva soprattutto in un ottica di gestione passiva. Esso deve permettere di stilare univocamente
una market list che, ponderata opportunamente, conduce alla creazione di un portafoglio coerente con il benchmark di riferimento;
– coerenza. Deve essere un’indicazione da cui traspare la politica di investimento definita dalle linee guida della gestione del prodotto finanziario;
VALUTAZIONE DEI RISULTATI MEDIANTE L’IMPIEGO DEL BENCHMARK
177
– stabilità. In ogni momento deve essere uno specchio fedele dell’evoluzione delle dinamiche del mercato di riferimento;
– misurabilità e tempestività. Il gestore deve fare continuamente riferimento al parametro prescelto, per poter attuare una tempestiva correzione del proprio operato in caso di grossi scostamenti rispetto al paniere assunto come parametro;
– manager oriented. Il benchmark deve riflettere lo stile manageriale del
gestore e può rappresentare uno strumento utile per una corretta
performance attribution;
– semplicità. Per quanto possibile l’indice preso a riferimento deve avere caratteristiche di semplicità. Questo al fine di renderlo più comprensibile alla clientela e meglio utilizzabile per una gestione fattiva.
In generale, l’aspetto sicuramente più importante è quello della fissazione
preliminare dell’indice di riferimento attraverso una chiara definizione del
paniere di titoli, con il relativo peso, necessari alla sua composizione. La
scelta del benchmark non necessariamente deve ricadere su un indice
preesistente. Esso può anche essere costruito da una società di gestione
in funzione delle caratteristiche che si vogliono dare al proprio prodotto
finanziario. La personalizzazione, se da un lato permette una migliore
esposizione della filosofia gestionale, deve comunque possedere le caratteristiche summenzionate e ciò può implicare costi di gestione non sostenibili da tutte le società.
Valutazione della bontà del benchmark
Il passo successivo, una volta scelto il benchmark di riferimento, è quello
di testarne l’effettiva efficacia nell’esprimere sia la politica di gestione sia
lo scostamento dei rendimenti rispetto all’indice di riferimento. Gli elementi da valutare possono essere così riassunti:
1) la copertura. Confrontare la presenza degli asset componenti il benchmark con la composizione attuale del portafoglio gestito;
2) il turnover. La velocità di rotazione dei titoli presenti nel benchmark
può essere un valido ausilio nella valutazione della scelta effettuata, in
quanto permette di evidenziare l’effettiva efficienza dell’indice in riferimento alla realtà operativa attuale. Una variabilità troppo elevata nella
composizione degli indici presi a riferimento comporterebbe eccessivi
costi relativi al ribilanciamento continuo del portafoglio;
3) gestione attiva. Permette la valutazione della performance del gestore
nel caso questi si scosti in maniera significativa (in termini di peso o tipologia dei titoli) dalla composizione dell’indice di riferimento;
4) valutazione del rischio. Una eccessiva variabilità del rendimento del
178
STRUMENTI DI GESTIONE
portafoglio e il conseguente rischio associato può essere considerato
un utile strumento per evidenziare se la scelta di un particolare benchmark identifichi il miglior profilo di rischio/rendimento che si vuole ottenere da una determinata linea di gestione.
13.2 Modalità di costruzione del parametro oggettivo
di riferimento
Nel costruire un benchmark si deve perseguire lo scopo di ottenere un
paniere rappresentativo di un portafoglio efficiente, intendendo come tale la combinazione di titoli che relativamente al mercato obiettivo permette il migliore differenziale rischio/rendimento. La scelta del benchmark è quindi da considerarsi strategica in quanto l’utilizzo di un indice
rispetto a un altro comporta uno stile di investimento e gestione diverso.
Esso deve essere rappresentativo di un portafoglio il più possibile rispondente alle esigenze del risparmiatore-obiettivo. L’attenzione nella
scelta del parametro oggettivo di riferimento ha inoltre un’ulteriore valenza strategica in quanto rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per la valutazione dell’operato del gestore, che verrà quindi giudicato in termini di trecking-error, a partire cioè dal differenziale positivo
o negativo di rendimento tra il benchmark e il paniere di titoli effettivamente detenuto nel portafoglio dal gestore nel periodo di tempo preso in
considerazione.
La teoria del benchmarking classica prevede 10 steps per creare un parametro di riferimento significativo:
1) identificare il prodotto che deve essere valutato in relazione al benchmark;
2) scegliere il parametro da utilizzare per il confronto;
3) definire le modalità di raccolta e gestione dei dati al fine di giungere a
un confronto significativo fra i diversi indici;
4) determinare i livelli di performance correnti del prodotto, identificando i gap tra il rendimento attuale e quello proposto dal benchmark alternativo;
5) ipotizzare i propri futuri livelli di performance in relazione ai potenziali
miglioramenti del parametro di riferimento;
6) comunicare gli obiettivi previsti per il benchmark;
7) comunicare gli obiettivi di performance che si vogliono ottenere e definire le strategie idonee al loro raggiungimento;
8) ridefinire i processi in funzione degli obiettivi prefissati;
PARTE QUINTA
PROSPETTIVE
191
INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA E SVILUPPO DELLA RETE INTERNET
Figura 14.1 Crescita dell’Internet banking in Europa (in milioni di clienti)
21
18
14
11
7
4
1999
2000
2001
2002
2003
2004
Fonte: Atti del convegno Assobat-Aiote (Milano 20 giugno 2000). www.assobat.it
La clientela che si avvale dell’Internet banking in Europa è in forte crescita. Si stima che il numero di utenti passerà dai circa 5 milioni della fine del
1999 agli oltre 21 milioni nel 2004.
Quando nei servizi bancari e finanziari si sarà raggiunta la saturazione
di funzionalità e una conseguente decrescente capacità di differenziazione
del prezzo, il vero valore aggiunto verrà dalla qualità del servizio erogato e
dalla sua personalizzazione.
14.3 Internet e gli intermediari finanziari
Lo sviluppo di Internet obbliga l’alta dirigenza delle imprese di intermediazione finanziaria a prendere decisioni che possono condurre a profonde
modifiche delle strategie e dello stesso modello organizzativo dell’azienda. Naturalmente le banche e gli intermediari finanziari in genere, al pari
di altre aziende, non solo non possono permettersi di ignorare il fenomeno, ma anzi sono spinte ad assumere atteggiamenti attivi nei confronti delle opportunità offerte dalla rete Internet. In proposito, si sono registrati
due tipi di comportamenti:
–
un atteggiamento di gestione del fenomeno, che sfruttando le nuove
tecnologie, si propone di fare in maniera nuova e/o a costi minori le
cose di sempre;
–
un atteggiamento imprenditoriale, teso a fare cose completamente nuove, considerate impossibili in precedenza.
Nel management bancario italiano si sta consolidando l’idea che la nuova
dimensione della competitività risieda nella globalità dei mercati e dei ser-
192
PROSPETTIVE
vizi. Di conseguenza, l’atteggiamento imprenditoriale sembra presentare
maggiori possibilità di successo. La banca deve infatti affrontare con spirito imprenditoriale le opportunità dell’innovazione, analizzandone gli aspetti strategici, organizzativi e tecnici al fine di sviluppare un efficace progetto di banca telematica che rappresenta oggi l’espressione più avanzata della progressiva migrazione delle attività bancarie dal ruolo tradizionale (lo
sportello) verso nuovi luoghi richiesti dalla clientela (l’abitazione, il luogo
di lavoro, il mezzo di trasporto personale, i luoghi di transito). Viene meno
l’esigenza della fisicità del luogo di scambio (Borsa): il mercato va dal
cliente. Risultano sempre meno importanti gli aspetti geografici e sempre
più decisivi quelli demografici: chi e non più dove! Gli scambi sono regolati non più sulle esigenze di quotazione dei valori mobiliari (titoli tedeschi
alla Borsa di Francoforte e titoli giapponesi alla Borsa di Tokyo), ma su
quelle dei clienti che dal proprio terminale domestico possono raggiungere
quando vogliono le Borse di tutto il mondo.
Un’ulteriore spinta verso il cambiamento delle abitudini di mercato
proviene inoltre dalle nuove generazioni, caratterizzate da una spiccata attitudine all’uso estremamente disinvolto delle nuove tecnologie e all’effettuazione di acquisti a distanza. È opportuno però tenere conto che ci sarà
sempre e comunque una porzione di clientela geneticamente non disposta
ad accollarsi il rischio delle transazioni via Internet. Rimane quindi elevato e di importanza strategica il ruolo dell’agenzia: è tramite essa che si
possono mantenere i collegamenti fisici con il mercato, percepirne gli
orientamenti, interagire con lo stesso.
Si procede quindi verso una progressiva smaterializzazione della banca
e dei suoi servizi e conseguentemente verso una nuova forma di istituzione che diviene evidentemente universale, senza vincoli e limitazioni territoriali e quindi geograficamente non collocabile. La smaterializzazione degli oggetti e la conseguente valorizzazione dell’informazione rappresenta
l’elemento forte del cambiamento. Appare quindi indispensabile essere in
grado di operare sui contenuti informativi con rapidità ed efficacia, portando a traino l’oggetto reale.
I più attenti osservatori delle evoluzioni dei mercati finanziari si pongono la seguente domanda: la rete Internet rafforza o incrina la fidelizzazione del cliente? Innanzitutto si deve tenere conto del fatto che tramite il
modello della banca virtuale hanno potuto presentarsi sul mercato con
molta autorità anche operatori finanziari non bancari, privi della classica
struttura di sportelli inserita nel territorio geografico, ma forti delle cosiddette “reti di vendita” (i promotori finanziari), particolarmente aggressive
nel settore privato. Va inoltre considerato che via rete la banca entra in casa del cliente a qualsiasi ora, senza costringerlo alla scomodità di passare
in agenzia, ma con lo stesso mezzo la rete porta sul monitor del cliente anche tutte le proposte della concorrenza, che potrebbero tentare anche il
più fidelizzato dei clienti.
La rete Internet spinge ineluttabilmente il mercato verso la competizione globale svincolata da ogni limite geografico, sia in termini di opportu-
193
INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA E SVILUPPO DELLA RETE INTERNET
Figura 14.2 Internet e le banche: evoluzione del rapporto
Banca
tradizionale
- Dimensioni
del
mainframe
- Comunicazioni
centri/filiali
Emerge la
banca
virtuale
- Riduzione
dei costi
- Servizi
migliori
- Nuovi
possibili
fornitori
IERI
Gestione
della
banca
virtuale
- Sistemi
“cliente al
centro”
- Cambiamenti
organizzativi
- Nuovo
ruolo della
tecnologia
- Crossselling
Creazione
del
network
del valore
- Segmentazione dei
clienti
in gruppi
- Identificazione dei
servizi da
fornire ai
gruppi
- Nuovi
servizi e
prodotti
- Nuove
applicazioni
OGGI
Gestione
del
network
del valore
- Customer e
Knowledge
warehouse
- Gestione
dei contatti
“1 2 1”
- Gestione
dinamica
di prodotti
servizi e
bundling
Servizi
non
finanziari
- Gestione
integrata
di prodotti
non
finanziari
- Web
hosting
DOMANI
Fonte: Atti del convegno Assobat-Aiote (Milano 20 giugno 2000).
nità che di concorrenza: ogni investitore ha la possibilità di accedere ai
mercati di tutto il mondo ma, allo stesso modo, ogni operatore finanziario
può entrare nei terminali di tutti gli investitori collegati alla rete, senza limitazioni geografiche. Per il sistema degli intermediari finanziari, la presenza in rete rappresenta un vantaggio competitivo importante ma non assoluto: è indispensabile esserci, ma il semplice fatto di esserci non garantisce il successo! Gli operatori si orientano prevalentemente verso la proposta di servizi che, da un lato, perseguono l’obiettivo di fidelizzare e consolidare il rapporto con i clienti già raggiunti, dall’altro di accrescere il numero di nuovi rapporti d’affari.
Per la penetrazione nel bacino dei possibili clienti di rete, il modello
promozionale che attualmente va per la maggiore è quello di offrire gratuitamente il bene X (personal computer) necessario e indispensabile per fare affari con il bene Y (prodotti finanziari). In questo modo appare certamente più probabile realizzare l’obiettivo di guidare la domanda dei prodotti finanziari, almeno per quella quota di clientela che ha accettato la
gratuità del personal computer. Le principali variabili di cui le banche dovranno tenere conto nella sfida con la concorrenza in rete saranno sempre
maggiormente le seguenti:
–
essere dotate di sistemi, processi e strutture organizzative efficienti
ma flessibili, capaci di presenza ubiqua ma invariante nell’interfaccia presentata al cliente;
194
PROSPETTIVE
–
inseguire le esigenze del cliente presentando i propri prodotti/servizi
in modo qualitativamente competitivo e personalizzato;
–
capitalizzare ogni interazione con il cliente per aggiornare e consolidare la relazione con lo stesso.
14.4 Le indicazioni delle autorità di vigilanza
In questo contesto di continua espansione dei mercati telematici, le massime preoccupazioni delle autorità di vigilanza sono le seguenti:
–
garantire la trasparenza informativa;
–
assicurare mercati equi ed efficienti;
–
azzerare il rischio sistemico.
Tale è stata la velocità del cambiamento che molte delle regole vigenti fanno ancora riferimento a mercati legati a limiti territoriali.
Secondo molti osservatori l’elevato numero di competitori dovrebbe
teoricamente ridurre le necessità di regolamentazione, tuttavia è innegabile che lo stesso sviluppo dei mercati finanziari via Internet appaia condizionato in misura decisiva dalla soluzione di importanti problemi di regolamentazione e vigilanza. La stessa immaterialità e la “delocalizzazione”
del circuito Internet rendono critici profili quali la legislazione applicabile,
l’autorità di vigilanza competente, le modalità per la soluzione di eventuali
controversie. Negli Stati Uniti la Sec, preso atto dell’affermarsi delle nuove modalità di comunicazione (tra cui Internet), ha provveduto a rendere
note alcune sue linee interpretative in merito, attraverso la pubblicazione
di Use of Electronic Media for Delivery Purposes, Securities Act Release
n. 7233, Exchange Act Release n. 36.345 (6 ottobre 1995).
Un documento successivo tratta dell’uso dei media elettronici da parte
di broker-dealers e investment advisers: Use of Electronic Media by
Broker-Dealers, Transfer Agent, and Investments Advisers for Delivery
of Information; Additional Examples Under the Securities Act of 1933,
Securities Exchange Act of 1934, and Investment Company Act of 1940,
Securities Act Release n. 7288, Exchange Act Release n. 37.182 (9 maggio
1996). La Consob è stato il primo organismo di vigilanza che in Europa ha
affrontato il problema della regolamentazione dei mercati organizzati Icn.
Sullo stesso argomento (rif. parte 2) si veda anche Il rapporto tra intermediario e investitore: alcuni aspetti normativi (Comunicazione Consob n. DI/30396 del 21 aprile 2000).
Per favorire l’analisi di tali problematiche si riporta in appendice la versione integrale della Comunicazione Consob, anno VI, numero 22-29, maggio 2000.
Appendice normativa
Comunicazione Consob, anno VI, numero 22-29, maggio 2000
Conferenza Iosco 2000: documento sulla new economy
Il Comitato tecnico della Iosco (International organization of securities commissions) ha
approvato il 19 maggio – durante la Conferenza annuale di Sydney [...] – un Documento
sulla “Tutela degli investitori nella new economy”.
La Iosco ha rilevato che oggi gli investitori individuali, grazie alla tecnologia, hanno accesso a una maggiore informazione relativa agli investimenti, ma non necessariamente è
cresciuta anche la qualità dell’informazione o la capacità di utilizzarla.
Alcuni investitori hanno abbandonato le strategie di investimento di lungo termine basate sulle informazioni relative alla singola società, in favore di strategie di trading a breve
termine basate su indicatori di mercato. Inoltre, la tecnologia e il trading online hanno fatto diminuire le commissioni di intermediazione, ma l’uso dei margini per acquistare titoli
espone gli investitori a maggiori rischi in caso di andamenti negativi dei mercati. È stato
poi osservato che potrebbe venire compromessa la tradizionale funzione di filtro e di consulenza degli operatori del mercato a beneficio degli investitori, a causa dell’euforia portata dagli investimenti nelle società tecnologiche.
Infine, è stato osservato che la new economy è un’economia globale e che i trend si riflettono istantaneamente in tutti i mercati, determinando, come mai prima d’ora, l’esigenza
di una cooperazione globale tra le autorità di regolamentazione.
Il documento – nella consapevolezza che gli investitori devono comprendere pienamente le conseguenze degli investimenti in società della new economy per non rimanere
vittime di un eccesso di ottimismo – mette in luce le quattro aree considerate di particolare importanza soprattutto per gli investitori e gli operatori della new economy.
Offerte al pubblico (tipo – initial public offering)
–
–
Bisogna informarsi prima di investire: gli investitori devono leggere attentamente
i prospetti informativi e, in particolare, la descrizione del business attuale e futuro, i
fattori di rischio associati all’area di attività della società e all’offerta, e i documenti finanziari. Investire in Ipo è un’attività ad alto rischio, adatta a investitori che possono
diversificare il portafoglio e che hanno abilità finanziaria e possibilità di tollerare anche gravi perdite. Se si ricevono informazioni supplementari rispetto al prospetto, documento del quale la società si assume la responsabilità, bisogna valutare chi ha predisposto le informazioni, per conto di chi e se queste persone traggono beneficio dall’adesione all’offerta.
La determinazione del prezzo e la legge della domanda e dell’offerta: la determinazione del prezzo di un’IPO presenta rischi significativi; in sostanza la decisione è
basata su elementi soggettivi e sugli accordi tra il management dell’emittente, interessato alla minima diluizione della proprietà, e i collocatori, che sono interessati alla fissazione di un prezzo corretto per l’emittente, ma al tempo stesso sono condizionati
dal fatto che le loro commissioni dipendono proprio dal prezzo. Inoltre, poiché le
azioni collocate presso il pubblico rappresentano spesso una piccola percentuale del
capitale, un buon andamento del prezzo sul mercato secondario è il risultato di una
forte domanda, sostenuta dall’attività di marketing legata al collocamento, a fronte di
un’offerta limitata. In tal caso non c’è nessuna garanzia che il prezzo rimanga alto successivamente. Analogamente, un rovesciamento di tali condizioni, quando la domanda
204
–
–
–
APPENDICE NORMATIVA
diminuisce perché gli investitori riconsiderano la prospettiva della società o del mercato ovvero quando l’offerta aumenta per il collocamento di nuove azioni, può far
crollare i prezzi.
Gli interessi degli investitori e gli insider: i collocatori, le società di venture capital, il management della società e altri particolari categorie di soggetti possono guadagnare molto grazie al successo di un’Ipo. Essi possiedono azioni che non vengono
collocate presso il pubblico. Quando gli investitori, dovendo dividersi un numero limitato di titoli, fanno aumentare il prezzo, questi “insider” beneficiano di tale aumento vendendo le azioni in loro possesso. Per questi motivi, gli investitori devono porre
particolare attenzione alle informazioni del prospetto che si riferiscono ai possessi
azionari del management, comprese le stock options. Essi dovrebbero sempre porsi
le seguenti domande: il management sta utilizzando l’offerta per vendere le azioni in
suo possesso? Ci sono accordi di “lock up” o altri vincoli che riguardano la vendita
delle azioni sul mercato secondario da parte del management? Ci sono progetti di
stock option che incentivano il management a rimanere con la società e farla crescere? Gli investitori dovrebbero anche considerare l’impatto sul prezzo della vendita di
blocchi di titoli significativi da parte del management o di altri azionisti di rilievo o
dello stesso emittente.
Fattori che possono limitare il rendimento dei titoli: gli investitori devono valutare se le proprie prospettive di rendimento sono allineate con le prospettive della società. Oltre agli altri prezzi di collocamento, che riducono il rendimento potenziale per
l’investitore, vi sono altri fattori da considerare, quali la potenziale diluizione del capitale dovuta a future emissioni di titoli o particolari vincoli derivanti da accordi con altre società.
Gli standard di quotazione sul mercato: gli investitori devono valutare la disciplina cui sarà sottoposto l’emittente in materia di informativa sui principali fatti ed eventi che influenzano il prezzo dei titoli, certificazione dei bilanci annuali e diffusione di
risultati infrannuali, corporate governance.
La valutazione delle società high tech
–
–
–
–
Trading vs. investing: le strategie di trading sono indipendenti dal valore che si ritiene abbia l’azione e sono spesso strategie a breve termine basate sull’analisi tecnica del
movimento dei prezzi. L’investimento richiede invece la comprensione dei valori fondamentali della società (il management, la qualità dei servizi e dei prodotti) che sono
di particolare aiuto nella valutazione di società prive di “passato” come le società della new economy.
L’importanza del fattore tempo: oggi spesso gli investitori si dimenticano del fattore tempo; molte società della new economy che dichiarano di non attendersi utili
per molti anni sono spesso valutate come o meglio di società che hanno utili e le
stesse aspettative di crescita. Gli investitori, in altre parole, valutano, e poi decidono
di comprare, un’idea. La valutazione delle idee è però basata su fatti immateriali (capacità ecc.).
I modelli di valutazione degli investimenti e le pratiche contabili: le valutazioni
delle società high-tech sono spesso basate non sul reddito indicato in bilancio, ma su
indicatori diversi (come il cash-flow). Considerato il basso livello di regolamentazione
specifica dei bilanci di queste società, tali indicatori potrebbero non essere comparabili. Sorge quindi la necessità di elaborare linee-guida contabili specifiche che assicurino l’utilizzo di regole omogenee per transazioni simili.
La qualità del reddito e del cash-flow: per tali società è particolarmente importante che gli investitori comprendano, oltre all’aspetto quantitativo del reddito, anche la
sua qualità, per esempio, il suo perdurare nel tempo, la sua capacità di produrre cashflow positivo, la sua eventuale correlazione a esigenze di spese future.
APPENDICE NORMATIVA
205
Gli effetti sui rischi e le aspettative di strategie di investimento
a breve termine
–
–
–
La negoziazione online: la negoziazione online ha cambiato le relazioni degli investitori con gli intermediari, aumentando la disponibilità e la ricchezza di informazioni,
sulla cui base vengono adottate decisioni in tempi rapidissimi. Ciò non ha tuttavia
cambiato gli obblighi per gli intermediari di rispettare le regole di condotta, in particolare in materia di best execution degli ordini e di adeguatezza delle operazioni per l’investitore. Le società che offrono servizi di investimento online devono sottostare alla
stessa disciplina degli intermediari tradizionali. Gli investitori devono quindi verificare
l’autorizzazione e il rispetto della normativa da parte dei soggetti che operano online.
I ritardi nell’esecuzione degli ordini: la possibilità di immettere un ordine online
non assicura la tempestiva esecuzione dell’ordine o la sua realizzazione in tempi ridotti rispetto a quelli degli ordini impartiti tradizionalmente. Quando i sistemi di gestione
degli ordini online subiscono dei ritardi, il prezzo dei titoli può nel frattempo cambiare, soprattutto in mercati volatili. Gli investitori devono quindi valutare la possibilità
di impartire ordini a prezzo limitato.
Investire sui margini: l’operatività in strumenti derivati (con il pagamento del solo
margine iniziale) o l’investimento finanziato dall’intermediario (con i titoli a garanzia
del finanziamento) presentano rischi di perdite maggiori. In alcuni ordinamenti, inoltre, gli intermediari possono vendere i titoli posti a garanzia dei finanziamenti a prezzi
svantaggiosi per l’investitore e senza l’obbligo di informarlo. Tale operatività moltiplica sia le opportunità di guadagno che i rischi di perdita.
Tutelare la fiducia degli investitori
La pressione competitiva sul mercato, probabilmente intensificata per le società della
new economy, può portare gli operatori ad allentare i propri standard professionali sul primario e sul secondario. È quindi importante che le autorità vigilino attentamente su tale fenomeno. Le aree di maggiore preoccupazione riguardano l’allontanamento dagli standard
di trasparenza e correttezza, da quelli di quotazione, la variazione dei periodi di lock-up e
l’incapacità degli intermediari di adempiere agli obblighi cui sono soggetti.
Bibliografia
BARAVELLI M., Strategia e organizzazione della banca, Egea, Milano 1999.
BLANCHARD O., Macroeconomia, il Mulino, Bologna 1998.
BOGLE J.C., Common Sense on Mutual Fund: New Imperatives for the Intelligent Investor, Wiley, New York 1999.
BOLELLI G., CALORI A., PIAZZA M., La tassazione delle rendite finanziarie,
Il Sole 24 ORE-Pirola, Milano 1999.
BNL-CENTRO EINAUDI, XVII rapporto sul risparmio e sui risparmiatori in
Italia, Roma 1999.
CALAMAI S., SEGHELINI M., Internet e i mercati finanziari, Atti del convegno Assobat-Aiote (Milano 20 giugno 2000), www.assobat.it.
CAVAZZUTI F., GIANNINI S., Sistemi fiscali e integrazione europea: prodotti,
intermediari e mercati finanziari tra concorrenza e armonizzazione, il Mulino, Bologna 1991.
CIPOLLETTA I., Congiuntura economica e previsione, il Mulino, Bologna
1992.
COLIVA E., GALATI L., Analisi tecnica finanziaria, Utet, Torino 1992.
ELTON E.J., GRUBER M.S., Modern Portfolio Theory and Investment Analysis, Wiley, New York 1987.
EURISKO-PROMETEIA, Osservatorio sui risparmi delle famiglie. Rapporto
marzo 2000, Bologna 2000.
FALETTI C., MARCANDALLI R., PACCHIARDO E., La banca virtuale, Zanichelli,
Bologna 1999.
FABOZZI F.J., MODIGLIANI F., Mercati finanziari (strumenti e istituzioni),
il Mulino, Bologna 1995.
FABRIZI P., L’attività in titoli con la clientela nelle banche di deposito,
Giuffrè, Milano 1982.
FORESTIERI G., MOTTURA P., Il sistema finanziario, Egea, Milano 1998.
FUSCONI A., Economia e struttura dei mercati degli strumenti finanziari, Giappichelli, Torino 1999.
GABBI G., La previsione nei mercati finanziari, Bancaria Editrice, Roma
1999.
GARBADE K., Teoria dei mercati finanziari, il Mulino, Bologna 1989.
GUATRI L., La valutazione delle aziende, Egea, Milano 1990.
208
BIBLIOGRAFIA
GUERRA M.C., in Imposte e mercati finanziari, il Mulino, Bologna 1989.
HULL J., Introduction to Future and Options Market, Prentice-Hall Int.,
New Jersey 1991.
IRS, Rapporto sul mercato azionario, Il Sole 24 ORE, Milano 1999.
IRS, Rapporto Borsa 2000, Il Sole 24 ORE, Milano 2000.
IZZO C., MARCIALIS R., ORIOLI M., in Il benchmark: strumento per il gestore
o per il risparmiatore?, Atti del Convegno Assobat (Milano 29 maggio
2000), www. assobat.it.
JORION P., Value at Risk, Irvin Professional Pub., Toronto 1996.
LEIBOWITZ M.L., BADER L.N., KOGELMAN S., Return Targets and Shortfall at
Risk, McGraw-Hill, New York 1996.
LUSIGNANI G., La gestione dei rischi finanziari della banca, il Mulino, Bologna 1996.
MALKIEL B.G., A Random Walk Down Wall Street, Paperback, Usa 1996.
MASSARI M., Finanza aziendale. Valutazione, McGraw-Hill, Milano 1998.
MARKOWITZ H., Portfolio Selection, Wiley, New York 1959.
METELLI F., Manuale del risparmio gestito, Il Sole 24 ORE, Milano 1998.
MILLEN J., Stock Index Option and Future, McGraw-Hill, New York 1992.
MIGNARRI E., Guida pratica alla tassazione delle attività finanziarie,
Bancaria Editrice, Roma 1999.
MORGAN J.P., Introduction to Riskmetrics, 4, J.P. Morgan, New York 1995.
MURPHY J.J., Analisi tecnica intermarket, Il Sole 24 ORE, Milano 1996.
KPMG, Gli strumenti derivati, Edibank, Milano 1998.
ONADO M., La banca come impresa, il Mulino, Bologna 1996.
O’SHAUGHNESSY J.P., What Works on Wall Street, McGraw-Hill, New York
1997.
PIAZZA M., Guida alla fiscalità internazionale, Il Sole 24 ORE-Pirola, Milano 1999.
PRING M.J., Analisi tecnica dei mercati finanziari, McGraw-Hill, New
York 1989.
QUARANTINI G., GAMBINI F., ORAZI F., in La nuova fiscalità delle rendite finanziarie, Atti del convegno Assobat (Milano 14 marzo 2000),
www.assobat.it.
SHARPE W., Investments, Prentice-Hall Int., New Jersey 1992.
SHARPE W., Portfolio Theory and Capital Markets, McGraw-Hill, New York
2000.
SIEGEL J.J., Stocks for the Long Run, McGraw-Hill, New York 1998.
STEWART III G.B., La ricerca del valore, Egea, Milano 1998.
TREMONTI G., MAJOCCHI A., Le imposte del 1992: aspetti fiscali del completamento del mercato interno europeo, Franco Angeli, Milano 1990.