Il Cilento deve Cambiare – Franco Chirico

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Il Cilento deve Cambiare – Franco Chirico
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Franco Chirico, nato a Vallo della Lucania il 30/1/1934, oltre a fare l’avvocato, ha
ricoperto i seguenti incarichi:
• presidente del Consorzio Irriguo di Miglioramento Fondiario di Vallo della Lucania
dal 1964 ad oggi;
• presidente del Consorzio Velia dal 1978 al 28/7/2002 e successivamente dal 2005 ad
oggi.
Il Consorzio Velia, con la presidenza Chirico, pur partendo da una situazione di totale
inesistenza, senza personale, né mezzi, in pochi anni, ha realizzato il sistema Palistro, costituito dalla diga Fabbrica e due laghetti collinari e il sistema integrato Alento, costituito dalla diga Alento e da numerose altre opere. Il Consorzio Irriguo, invece, ha realizzato
il sistema Carmine-Nocellito.
È stato fondatore e presidente della Banca del Cilento dal 1990 a giugno 2011, nonché
cofondatore della Fondazione Alario per Elea – Velia. Infine ha costituito ex novo una
rete di soggetti nuovi con finalità di pubblico interesse tra cui si ricordano il Consorzio
Centro Iside; la società Idrocilento S.c.p.A., S.r.l. SIPAT, la Cooperativa Cilento Servizi ecc.
Nello svolgere i suddetti incarichi, Franco Chirico ha dimostrato di possedere capacità
programmatorie, organizzative, amministrative e gestionali.
La lettura del libro può costituire l’occasione per la scoperta di quanti fatti e risultati
siano stati realizzati, di quante idee innovative siano state messe a frutto, e di quanti
processi diversi siano stati portati avanti fino a creare un sistema coerente e virtuoso,
aperto ad una visione di un futuro possibile del territorio.
L’augurio a tutti coloro che leggeranno il libro è che esso riesca a fornire loro gli elementi
per cogliere il disegno e per far loro capire che è necessaria la presenza di altri protagonisti, e non solo spettatori, per promuovere nuovi progetti di sviluppo sostenibile.
Approfondimento on line
Esprimete le vostre opinioni
Invito i lettori, attraverso il blog ilcilentodevecambiar.blogattivo.com (e-mail
[email protected]) a voler commentare il libro e le proposte fatte nei
diversi settori facendo anche obiezioni e controproposte e suggerendo ricette, nella
prospettiva di aprire un dibattito sullo sviluppo del Cilento.
In particolare invito i giovani, disponibili a collaborare con la Fondazione Alario
per dare una spinta alla crescita non solo economica, ma anche sociale della realtà
cilentana.
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Il Cilento deve cambiare
Indice
introduzione
Contrastare la tendenza al declino, guardare avanti
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capitolo primo
I punti di debolezza e i punti di forza del territorio cilentano
Le condizioni esterne al sistema imprenditoriale
Elementi critici del sistema delle imprese
Atteggiamenti e conseguenze
I punti di forza del territorio
Il “capitale fisso”
Altre tre opportunità. La “dieta mediterranea”
Il contesto economico e sociale
I settori produttivi
L’agricoltura
L’industria e l’artigianato
Il turismo e il commercio
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capitolo secondo
Una questione di mentalità investire sul “capitale sociale”
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capitolo terzo
Fare il primo passo: la “Fondazione Alario”
La Fondazione Alario per Elea-Velia
Le diverse fasi della Fondazione: il grande contributo di Ubaldo Scassellati
La missione della Fondazione
Le attività culturali svolte dalla Fondazione
Non solo cultura
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capitolo quarto
Idrocilento, la società capofila
Il Consorzio di Bonifica Velia
Il Consorzio di Miglioramento Fondiario di Vallo della Lucania
Una intuizione strategica
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La società Idrocilento oggi
Uno sguardo alle società partecipate
Le attività a favore dello sviluppo locale
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capitolo quinto
Il Laboratorio per lo sviluppo locale
Nucleo tecnico sviluppo imprese
Elea Congressi, un vuoto da colmare
Cooperativa Cilento Servizi
Confidi Cilento
La Banca del Cilento
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capitolo sesto
Non solo Fondazione Alario e Idrocilento
Il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano
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capitolo settimo
Premessa sulla proposta di un disegno di sviluppo del Cilento
Far ripartire l’agricoltura cilentana
Investire sulla dieta mediterranea
Giocare la carta dei consorzi tra i produttori
E adesso parliamo della formazione
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capitolo ottavo
Artigianato, commercio e servizi: il sistema delle piccole e medie imprese
Come migliorare la finanza aziendale: il potenziamento del Confidi Cilento
Risorse per il capitale di rischio delle PMI
Fondo di garanzia per il microcredito
Un altro motore per la crescita delle PMI: la formazione delle risorse umane
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capitolo nono
La grande leva del turismo, carta vincente per il futuro
Il turismo rurale e quello enogastronomico
Rafforzamento dell’offerta di servizi
Il campo da golf e il villaggio agrituristico
Il “prodotto congressuale”
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capitolo decimo
I “cani sciolti” del Terzo Settore e il possibile ruolo della Fondazione Alario
Limiti patrimoniali della Fondazione Alario
La possibile autonomia finanziaria della Fondazione Alario
Riposizionamento del ruolo della Banca del Cilento nel sistema territoriale
Un giornale locale e un sito web per comunicare e informare
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conclusione
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postfazione
Pasquale Persico
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Introduzione
Contrastare la tendenza al declino,
guardare avanti
E
bbene sì. Più di ogni altra cosa, questo libro è un appello. Un accorato appello a
non rimanere indietro, a non perdere ulteriori occasioni di sviluppo, a rafforzare la
base produttiva del territorio. Ma per combattere il ritardo bisogna avere la consapevolezza piena che esso esiste, è intorno a noi e continua da molti decenni. Non
basta nemmeno la sola consapevolezza, perché poi bisogna comprenderne le cause,
odierne e remote, che lo hanno determinato. Riconoscere apertamente, con grande
coraggio, che la nostra terra – la terra dove l’uomo ha trovato ospitalità da almeno
mezzo milione di anni, che ha ispirato poeti e cantori ed allevato menti eccelse –
non sta reggendo il passo con il resto dell’Italia e con gran parte d’Europa. I numeri,
chiari e inequivocabili indicatori quantitativi, testimoniano la continua e progressiva
emarginazione del Cilento in ambito economico. E ci sono svariati segni, difficili da
esprimere in cifre, che pure preoccupano, perché la tendenza al declino non riguarda
solo la sfera economica ma è come una grigia nebbia sottile che coinvolge la società,
la politica, la cultura, l’ambiente. D’altra parte, capire è il primo passo per guardare
avanti e individuare i passi che conviene fare.
Ecco allora lo scopo di questa pubblicazione: sollecitare, stimolare, riproporre all’attenzione degli amministratori locali, delle forze politiche e della società civile la questione chiave che mi sta a cuore: lo sviluppo del Cilento.
Si tratta di un tema così complesso, che mi coinvolge ed appassiona da quasi cinquant’anni. Io non sono un economista di professione. Ma per una serie di ragioni che
mi accingo a esporre, penso di essere in una posizione privilegiata di osservazione,
che mi consente di individuare con una certa chiarezza dove ha origine la crisi e quali
sono i possibili rimedi.
In questi ultimi anni mi sono sempre più convinto che il Cilento, la terra dove sono
nato io, mio padre, mio nonno, il mio bisnonno, mia moglie e i miei figli, è in affanno
perché il suo tradizionale modello di sviluppo non è più adeguato alle sfide poste
dalla globalizzazione dell’economia e dalla società della conoscenza. E mi sono convinto che non abbiamo più tempo. Urge una rapida inversione di rotta e ci sono le
condizioni per imprimere al Cilento una svolta capace di fargli bene, ma bisogna affrettarsi e unire le forze, perché altrimenti il Cilento rischia di pagarne le conseguenze
per decenni e le future generazioni avranno tutto il diritto di giudicarci, biasimarci e
condannarci per la nostra incapacità, la nostra indolenza, la nostra sciatteria.
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Perché questo non accada, occorre una strategia globale di sviluppo, un complessivo
sforzo di modernizzazione e, in sintesi, un progetto che possa indicare la nuova direzione di marcia e di crescita per gli anni a venire.
So bene che è un lavoro immane. Un lavoro che per essere attuato in maniera efficace
richiede – preliminarmente – una conoscenza aggiornata del territorio, dei suoi bisogni, delle sue risorse e delle sue vocazioni, dei suoi punti di debolezza e di forza, delle
infrastrutture e di tutto quanto – per poco o molto che sia – è stato realizzato. Ma
richiede anche un esame profondo della missione dei nuovi soggetti nati negli ultimi
anni e una valutazione delle iniziative da mettere in campo per dotare il Cilento di
uno strumento di crescita che passi attraverso l’allargamento della base produttiva e,
quindi, dell’occupazione.
Vi confesso che non sono mancati i dubbi sull’opportunità di cimentarmi su un tema
così difficile quale si configura lo sviluppo locale.
Ma, a convincermi, sono state una serie di motivazioni che sintetizzo qui di seguito
in maniera schematica:
• la volontà di offrire, dopo le numerose iniziative di interesse generale portate a
termine, un ulteriore contributo di idee e di proposte per ampliare, potenziare e
diversificare l’apparato produttivo locale, mettendo a frutto la pluriennale esperienza da me maturata nei settori delle grandi opere idrauliche, degli impianti di
irrigazione, della difesa del suolo e in quelli del credito, della formazione e della
cultura;
• la consapevolezza e la conoscenza dei punti di forza e di debolezza del territorio;
• l’opportunità di mettere in luce che, a differenza di altri territori a maggiore esposizione mediatica, ma a minore “tasso realizzativo”, il Cilento dispone oggi di una
robusta filiera istituzionale costituita dal Parco Nazionale, dalla società Idrocilento,
dalla Fondazione Alario, dalla Banca del Cilento, dal Confidi Cilento, dalla Società
Sistema Patto Territoriale e da altri organismi minori. Una realtà unica, dunque,
perché composta dai tasselli di un mosaico capace di concorrere allo sviluppo
socio-economico e di integrare l’azione degli enti locali e territoriali.
Alle suddette motivazioni se ne sono aggiunte anche altre:
• la constatazione che le cospicue risorse dei POR Campania, dei PIT, dei GAL e del
Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, arrivate sul territorio, da queste
parti sono state impiegate secondo la vecchia e improduttiva logica della distribuzione a pioggia dei progetti, fatta comune per comune, senza raggiungere alcun
risultato positivo sul piano dell’avanzamento complessivo del territorio;
• la constatazione che la proposta intersettoriale di sviluppo, elaborata dal Consorzio Velia e dalla Fondazione Alario, con la collaborazione di Ubaldo Scassellati
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nel 1994, in occasione della redazione del Patto Territoriale – proposta capace di
innescare nell’area un processo di crescita auto propulsivo –, è finita nel dimenticatoio benché su di essa si fosse realizzata un’ampia convergenza locale;
• il desiderio di non essere spettatore inerte di fronte alla crisi e all’emarginazione
geo-politica che sta vivendo oggi il Cilento e la convinzione di poter contribuire
ad un percorso di crescita e di sviluppo dell’area;
• la certezza che il processo di decentramento in atto imporrà agli enti locali di
trasformarsi in soggetti economici attivi sul territorio in cui operano.
Confesso di essermi forse distratto o di non essere adeguatamente informato, ma non
ricordo di aver visto negli ultimi anni, dopo la pubblicazione ad opera del Consorzio
Velia e della Fondazione Alario dei volumi Un Cilento possibile, Cilento domani (1996),
Per il Patto Territoriale del Cilento Centrale (1994), nessun serio progetto di sviluppo
complessivo del territorio, nulla che potesse rappresentare un quadro di riferimento
per lo sviluppo del Cilento e che avesse la finalità di abbracciare in un unico disegno comportamenti e risorse pubbliche e private. È accaduto invece che nel Cilento
ognuno ha continuato ad andare per la propria strada. Il motivo? Forse perché un
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progetto comune per lo sviluppo del territorio non è mai diventato un percorso analizzato, dibattuto, messo a punto e condiviso.
Sono rimasti del tutto inascoltati gli inviti a superare il campanilismo esasperato e a
concentrare le risorse su progetti di grossa rilevanza ed impatto, capaci di ridurre la
marginalità del Cilento e di contenere il drammatico spopolamento dei paesi di alta
collina e dell’interno. Purtroppo, sopravvive ancora – perché è dura a morire – la
logica degli interventi isolati, avulsi dal contesto ed episodici.
A ciò va aggiunto l’inconveniente dell’eccessiva frantumazione della comunità locale
e della debolissima propensione a mettersi insieme, a darsi forza, a fare rete. Voglio
ricordare che la nostra realtà geopolitica è caratterizzata dalla presenza di piccoli comuni sparsi su un territorio molto vasto. Ogni comune si limita a considerare il suo
particulare, cioè i propri problemi, e a procedere per proprio conto, e così ignora
quelli del territorio più ampio che lo circonda. Senza vedere che l’attuale assetto istituzionale è penalizzante e frenante perché nessun comune, a causa delle sue ridotte
dimensioni, è in grado di svolgere un ruolo effettivo di autogoverno del territorio, né
tantomeno di guida del comprensorio partendo proprio da tutte quelle funzioni che
richiedono un’unità di azione fra più enti locali, come la politica agricola, turistica,
industriale, culturale, formativa, etc.
L’aspetto più grave, poi, è che, oltre a non aver fatto nulla di ciò che venne proposto
e suggerito al momento del lancio del Patto territoriale, non si avvertono neppure
segnali di svolta, di inversione di tendenza, né si registra un impulso a costruire le
condizioni per accelerare il cambiamento e diventare artefici del proprio futuro.
Troppo spesso, in questi anni, si è tirato a campare senza stimoli, senza dinamismo,
senza spirito d’iniziativa. Col risultato che non è maturato uno sforzo di coesione istituzionale, una politica di coordinamento unitaria tra le comunità locali, una coscienza collettiva capace di scuotere l’apatia, di sconfiggere la rassegnazione e perseguire
obiettivi di interesse generale. Ovunque si guardi, nessuno sembra intenzionato ad
abbandonare il vecchio e sonnolento modo di amministrare la cosa pubblica: il piccolo favore, il sussidio, la raccomandazione, la clientela. E il tirare a campare…
Ancora una volta, quindi, è prevalsa l’inerzia, l’apatia, l’abulia. A quella antica delle
istituzioni, si è via via aggiunta quella della cosiddetta società civile, generando così
un senso di frustrazione e di impotenza ad affrontare le difficoltà. È noto infatti che
tra i cilentani è ancora molto diffuso il rifiuto a priori di ogni stimolo al mutamento,
la fatalistica rassegnazione ad una sopravvivenza che si accetta così com’è, per come
viene, come se fosse generata dalla volontà celeste, e perciò immodificabile. Ancora
è raro scoprire nei cilentani la consapevolezza che, malgrado tutto, si percepiscono
anche segni non trascurabili di un processo evolutivo, sia pure lento e faticoso, ma
fondato su presupposti e potenzialità reali.
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La prolungata attenzione a tutto ciò che accade nel territorio e l’analisi approfondita
degli avvenimenti cilentani, alla fine, mi hanno indotto a scrivere questo saggio che
ha un solo obiettivo: sollecitare un dibattito, spingere, provocare una discussione che
coinvolga la società civile, le forze politiche e i giovani nella speranza di una svolta,
di un percorso nuovo. È questa l’ultima possibilità che ha il Cilento per rimuovere le
cause del ritardo, per ammodernare la scarsa produttività del suo sistema e realizzare
un ambiente adatto all’innovazione e al dinamismo economico.
So bene che non è facile vincere le difficoltà politiche ambientali e culturali che frenano il cambiamento. Non siamo in Val d’Aosta o nel Triveneto. Ma senza cambiamento
e senza innovazione – sia ben chiaro a tutti – il Cilento non andrà da nessuna parte,
anzi non avrà futuro.
La crisi dell’Italia incrocia un’economia debole con gravi ripercussioni sull’occupazione, sui consumi, sul tenore di vita delle famiglie e sulla capacità di acquisto dei
prodotti. Viviamo in un momento nel quale si verifica una progressiva riduzione di
risorse finanziarie pubbliche.
Certo non piace a nessuno assumersi il ruolo di Cassandra o di catastrofista, ma io
avverto la chiara sensazione che, a livello di decisori locali, non vi sia consapevolezza
di quanto grave sia la situazione, né del fatto che le casse pubbliche non hanno più
risorse per lo stato sociale e che dunque non si può più fare conto sulle famose sovvenzioni del passato.
Per invertire questa rotta e lasciare il tempestoso mare della crisi è opportuno reagire
da subito con una riflessione sui problemi e con l’individuazione di valide alternative.
In altre parole, occorre mettersi intorno a un tavolo e trovare l’accordo sulle azioni
da intraprendere per rilanciare un progetto organico che sia su misura per il Cilento.
Questo è il punto cruciale.
So bene che è una cosa più facile a dirsi che a farsi. Ma, proprio per questo, sono
essenziali i passi concreti che propongo con questa mia pubblicazione. Che non è,
né vuole essere, il libro dei sogni, perché io – e dopo tutto non sono il solo – ho la
concreta speranza che il declino del Cilento possa essere arrestato, che i cilentani
riconosceranno e accetteranno le nuove sfide, e che alla fine inizierà un nuovo ciclo
di sviluppo sostenibile. L’esperienza che ho maturato in tanti anni, fino a fare i capelli
bianchi, mi dice che, per quanto lontano, l’obiettivo sembra maturo nella coscienza
della nostra comunità, specie dei giovani.
L’ambizione di riaprire un confronto, una riflessione, e magari di introdurre una logica
nuova, mi ha spinto a fermare sulla carta queste mie idee nella speranza di indurre la
classe dirigente locale ad impegnarsi di più per valorizzare le risorse del territorio. E
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poi a dare spazio a nuove imprese, maturando una consapevolezza reale dei problemi, delle difficoltà del Cilento e della necessità di nuove e più efficaci azioni.
Niente luci della ribalta, dunque, nessun protagonismo fine a se stesso. Non ho più
né la voglia né l’età. Mi anima soltanto l’orgoglio di poter offrire alla mia comunità,
alla gente in mezzo a cui sono cresciuto, una proposta di sviluppo per i decenni a
venire, per farla guardare avanti. Il mio desiderio, la mia speranza è di consegnare alle
nuove generazioni – questa mirabile gioventù così assetata di giustizia e di verità – un
territorio migliore.
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Per avviare, dunque, il territorio verso la crescita bisogna anzitutto capire bene che
cosa sta succedendo e che cos’è che frena lo sviluppo del Cilento. Perciò bisogna anche andare a vedere in dettaglio quali sono i punti di debolezza e i punti di forza del
territorio. Fatto questo, arriverà il momento di individuare quelle iniziative che sono
sia praticabili sia promettenti.
In tal senso, sottopongo alla riflessione comune e all’attenzione delle forze politiche
e sociali del Cilento una ricerca complessiva sulla situazione e le sue cause, le risorse
sulle quali possiamo obiettivamente contare, e una serie di proposte concrete. Ecco
una breve sintesi.
All’inizio viene fornita un’analisi del contesto socio-economico, fondamentale per verificare se esistono le condizioni per promuovere lo sviluppo. La descrizione è seguita da un’analisi dei singoli settori produttivi, da una diagnosi territoriale nella quale
vengono individuati i punti di forza e di debolezza dell’economia locale e, in terzo
luogo, dall’illustrazione della corrente di pensiero secondo cui il Mezzogiorno non è
cresciuto a sufficienza soprattutto per carenza di capitale sociale. In questo modo la
diagnosi finisce per portarmi all’individuazione degli obiettivi da raggiungere e delle
linee di azione da intraprendere per eliminare i punti di debolezza.
Una seconda parte del volume si sofferma su una serie di importanti realtà organizzative e imprenditoriali che costituiscono una risorsa e un vanto della nostra zona: la
Fondazione Alario, la società Idrocilento, la Banca del Cilento, il Consorzio Velia e non
pochi altri soggetti nati negli ultimi anni, illustrandone le caratteristiche e l’attività
svolta da ciascuno di essi dalla nascita ad oggi per servire i bisogni del Cilento. Come
vedremo, sono imprese ed altre organizzazioni che danno già un contributo importante al progresso della zona, e costituiscono una risorsa qualificante.
Verso la fine del volume, invece, mi concentro sulle proposte: un pacchetto di interventi e di azioni coordinate che riguardano i vari settori produttivi. In esso ho sintetizzato un nuovo modello di sviluppo che si fonda sulla valorizzazione delle risorse lo-
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cali e sul rafforzamento dei settori produttivi. Questo modello di sviluppo dovrebbe
incidere in profondità sull’attuale contesto economico-sociale, caratterizzato dallo
spopolamento dei centri dell’interno, dalla fragilità della cultura imprenditoriale, dal
lavoro che manca, dall’agricoltura in sofferenza e dall’emigrazione dei giovani.
Come potete vedere, ho messo molta carne a cuocere. Ma ce la possiamo fare solo se
agiremo tutti insieme con determinazione e rigore.
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Capitolo primo
I punti di debolezza e i punti di forza
del territorio cilentano
Il mondo corre. E il Cilento non tiene il passo, arranca, non cresce. Perché? Per rispon-
dere potrei appellarmi a un’intera costellazione di autorevoli osservatori. Secondo
le loro analisi, le motivazioni che hanno frenato lo sviluppo economico del nostro
territorio sono molteplici e di diversa natura. Ma quelle principali sono almeno tre: le
condizioni esterne al sistema imprenditoriale; l’esistenza di elementi critici del sistema
delle imprese; l’impatto dei fattori culturali sulle modalità di sviluppo del territorio.
Vale la pena analizzarle singolarmente per meglio comprenderle e, possibilmente,
superarle.
Le condizioni esterne al sistema imprenditoriale
• la localizzazione marginale dell’area rispetto alle principali vie di collegamento e
comunicazione della Campania contribuisce ad accentuare l’isolamento geografico delle imprese e ad incidere sui costi di gestione. Ancora oggi gli imprenditori
lamentano condizioni di scarsa accessibilità, e hanno ragione, visto che la linea
ferroviaria Salerno-Reggio Calabria attraversa longitudinalmente il territorio nella
fascia costiera e che la variante alla SS.18 lascia sostanzialmente immutate le condizioni di accessibilità di gran parte del territorio interno;
• la morfologia accidentata e il diffuso dissesto idrogeologico;
• la penuria d’acqua nel periodo estivo ed autunnale, sia perché le precipitazioni
sono scarse, sia perché il Cilento è privo di sorgenti che danno luogo a corsi d’acqua perenni. Fanno eccezione l’area dell’Alento, la conca di Vallo della Lucania e
quella del Palistro, dove il problema dell’acqua è stato ampiamente risolto con la
realizzazione di tre sistemi idrici multisettoriali;
• la difficoltà del sistema territoriale, costituito da piccoli comuni, distinti fra loro e
poco disponibili a condividere gli obiettivi. La società cilentana, nel suo complesso,
non ha mai fatto squadra né ha saputo puntare sui grandi progetti come premessa per nuovi orizzonti;
• le dinamiche demografiche. Nel Cilento si vive a lungo, ci sono molti ultracentenari
e l’indice di vecchiaia è superiore alla media nazionale. Ma se questo è positivo per
un verso dall’altro scoraggia la propensione agli investimenti in attività ad elevato
dinamismo. Ne consegue la forte emigrazione dei giovani;
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• l’assenza di una concreta politica regionale di valorizzazione delle aree interne della
Campania;
• la mancanza di “capitale sociale”;
• la carenza di “capitale umano” qualificato;
• il deficit di servizi reali alle imprese;
• il mancato ricambio generazionale nel settore agricolo e in quello artigianale;
• la cultura del posto fisso da trovare tramite raccomandazioni o l’intervento dei politici.
Tutti questi fattori si traducono in diseconomie esterne che incidono negativamente, e non da oggi, sulla competitività delle imprese e del sistema economico nel suo
complesso. Di qui l’urgenza di intervenire in tempi prevedibili.
Elementi critici del sistema delle imprese
Le debolezze che caratterizzano le imprese produttive e che influiscono negativamente sul loro sviluppo sono le seguenti:
• l’eccessivo frazionamento della proprietà fondiaria. Chi non sa che spesso, in Cilento, la micro-azienda familiare può contare su 2-3 ettari di terreno coltivabile?
Questa criticità non consente di gestire i fattori produttivi con criteri di economicità, non permette di accumulare risorse finanziarie da investire, impedisce di
costituire una “massa critica” di prodotti da immettere massicciamente sul mercato nazionale e di conseguenza rende il prodotto agricolo cilentano “invisibile” in
Italia. In una situazione del genere, l’azienda agraria finisce per non trovare radici
per il suo sviluppo. Invece in molte altre parti d’Italia e dell’Europa si è capito
ormai da tempo che per sostenere le spese fisse, consolidarsi ed avere una lunga
vita produttiva ci vogliono aziende medie o grandi, o almeno aziende che facciano
capo a valide strutture cooperative;
• l’adozione di sistemi e tecniche colturali arcaici in agricoltura. Le famiglie contadine
con il loro semplicistico meccanismo fanno direttamente gravare su un’economia
gracilissima il costo di una trasformazione condotta con criteri arretrati e dispendiosi;
• la ridotta predisposizione alla commercializzazione dei prodotti, sia sul mercato
locale, connotato da rilevanti flussi turistici, sia sul mercato esterno attraverso
confezioni protette da marchi riconoscibili. Si tratta di una debolezza che incide
sulla redditività delle imprese e provoca una serie di conseguenze negative, tra cui
quella di scoraggiare i giovani ad intraprendere un’attività in proprio;
• la ridotta capitalizzazione delle imprese dei settori primario, terziario e PMI (piccole e medie imprese). Quasi tutte le aziende hanno livelli di indebitamento elevati,
condizione che contribuisce a ridurre la propensione agli investimenti;
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• il basso ricorso all’innovazione tecnologica in tutti i settori produttivi. Tale carenza
non riguarda solo il processo produttivo, ma anche quello commerciale. La mancata adozione di tecnologie innovative non consente di produrre nuovi prodotti
e di conquistare nuovi mercati, e quindi di aumentare la capacità produttiva e il
fatturato;
• la mancanza di cultura imprenditoriale e, dunque, di iniziativa, di propensione al
rischio, di assunzione di decisioni, di proiettarsi nel futuro e così via.
Atteggiamenti e conseguenze
A questo punto vorrei dare la parola al dottor Ubaldo Scassellati che, con l’acutezza e la sincerità che lo caratterizzano, negli anni addietro ha condotto un’articolata
analisi di tipo socio-antropologico (cfr. Cilento domani,1996 pag. 44-48) arrivando ad
identificare gli ostacoli allo sviluppo del Cilento che vanno, secondo lui, imputati a tre
tipologie di fenomeni di natura culturale:
1) la tendenza degli adulti ad accettare la “modernizzazione” solo limitatamente alle
forme del consumo;
2) la lentezza e l’occasionalità delle decisioni prese dalle autorità locali, che hanno
privilegiato i rapporti di forza e i partiti politici piuttosto che la cultura dell’impegno ad agire per il territorio;
3) il consolidarsi, da molto tempo, di situazioni socio-economiche di manifesta decadenza e di estesa arretratezza nelle attività produttive, in assenza di azioni imprenditoriali e di impegno organizzativo su attività che prevedono ritorni non
immediati.
Ha scritto Scassellati: «Se la situazione di fatto – legata alla durezza del lavoro agricolo-contadino, alla sua bassa produttività e alle ritualità spesso “crudeli” che permeavano l’esistenza della famiglia contadina – si è venuta a modificare in Cilento negli
ultimi 40 anni, essa continua a pesare nella memoria, nella mentalità degli anziani, nel
rifiuto dei giovani, nella cultura diffusa della popolazione. Sui comportamenti diffusi
degli abitanti pesano anche quasi tutti i fenomeni più importanti, che si sono verificati nello stesso periodo, molti dei quali sono stati vissuti come “vincoli” oggettivi
e psicologici, come “coercizioni” pesanti sulle persone e sconfitte della comunità nel
convincimento che negli anni 60 e 70 sia stata privilegiata la gestione del sottosviluppo per confermare nella popolazione comportamenti di dipendenza, di attesa, di
rinuncia e di rassegnazione».
Questo è un ostacolo di natura culturale, e non è il solo. C’è anche:
• una bassa attitudine degli enti locali e territoriali, nonché dei cittadini e delle
persone giuridiche, alla collaborazione e al coordinamento, all’agire insieme per
il conseguimento di un fine comune. Purtroppo la comunità cilentana – non mi
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stancherò mai di ricordarlo – non è coesa ed unita, ma conflittuale, divisa e tendente all’individualismo. Il che significa, in altre parole, che non riesce a mettersi
d’accordo sui grandi obiettivi, essendo prigioniera di invidie, gelosie e di un vasto
campionario di altre meschinità. In effetti continua a predominare la cultura della separatezza, quel costume per cui ogni amministrazione pubblica o individuo
agisce e spende senza coordinarsi e collaborare con quanto fanno gli altri enti.
Manca la capacità di realizzare progetti di interesse generale e di coalizzarsi per il
conseguimento di obiettivi strategici vantaggiosi per tutti;
la mancanza di ambizione, di spinta propulsiva e di orgoglio per mettersi al passo
con altre aree;
l’arretratezza culturale, frutto di secoli di isolamento, che si manifesta nei diffusi
atteggiamenti di scetticismo nei confronti dell’innovazione, delle novità tecniche
e scientifiche, nella gestione della cosa pubblica e nel sistema di organizzazione e
conduzione aziendale;
la concentrazione delle aspirazioni personali su risultati a breve termine, elementari, di pura sopravvivenza e strettamente individuali;
l’inesistenza di una cultura di impresa, organizzativa e finanziaria;
il diffuso senso di impotenza di fronte al sottosviluppo locale percepito come vincolo fatalistico, ineluttabile, senza spazi riconosciuti di movimento e di iniziativa;
il permanere di una diffusa soggezione al potere, anche verso coloro che dovrebbero solo assicurare l’esercizio di un diritto;
la mancanza di una vera classe dirigente degna di questo nome, cioè di un gruppo
di persone di riconosciuta dignità con attitudine a guidare una comunità, capace
di elaborare prospettive strategiche, e di avere una visione generale.
Continua ancora Scassellati:
«La predetta situazione socio-culturale comporta:
• la cultura del lamento più che del fare e dell’agire;
• la cultura del “sospetto” come costume intellettuale, e della “separatezza”;
• l’inerzia, indolenza ed approssimazione di molti amministratori;
• il privilegio alle opere materiali e non ai progetti che introducono meccanismi di
attività;
• un clima di conflittualità fra enti locali, interessati più alla tutela delle proprie
competenze che allo sviluppo della comunità locale;
• il convincimento che tocchi ai politici risolvere i problemi della società cilentana.
A sua volta, l’uso di puntare tutto e sempre sulla politica ha prodotto come conseguenza:
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• un clima di conflittualità tra gli enti locali e gli enti tecnici economici, più interessati alla tutela di una autonoma amministrazione delle proprie modeste risorse,
che alla ricerca della pubblica utilità;
• una assenza di programmazione considerata più come vincolo che come condizione favorevole al reperimento delle risorse e alla loro successiva gestione;
• una inadeguatezza tecnico-progettuale delle Comunità Montane che non sono
riuscite ad elaborare progettazioni e, spesso, a realizzare i lavori;
• un gran numero di interventi occasionali, con livelli occupazionali scarsi e limitati
nel tempo e nessuna prospettiva di sviluppo economico.
Infine, il permanere per anni di situazioni socio-economiche di non sviluppo e arretratezza ha oggi come conseguenza:
• la crisi, in prospettiva, dei trasferimenti dall’esterno;
• i costi crescenti e non sopportabili dei servizi;
• un continuo abbassamento della produttività locale;
• l’abbondanza di risorse locali non sfruttate (culturali, agricole e turistiche);
• la totale e persistente mancanza di ogni presenza industriale e, a livello artigianale,
delle attività manifatturiere;
• la penuria di denaro che possa operare come capitale;
• la difficoltà di ottenere denaro per chiunque non abbia ereditato beni immobiliari
dalle generazioni precedenti;
• la conseguente debolezza del mercato.»
Quelli appena descritti sono i problemi che hanno concorso e concorrono al sottosviluppo e all’arretratezza culturale e socio-economica del Cilento. Dobbiamo inserire anche questi punti tra i nodi che vanno affrontati e risolti per incamminarci sulla
via dello sviluppo. Infatti queste sono le coordinate per capire il territorio e chi lo
popola. Ritornerò sull’argomento, ma un primo dato già emerge ed inquieta: non vi
sono risposte serie o interventi specifici a livello locale per eliminare i predetti punti
di debolezza.
I punti di forza del territorio
Naturalmente, ponendo tutta una serie di questioni, corro il rischio di assolvere al ruolo di Cassandra. E invece no. Il Cilento non ha solo punti di debolezza, cioè elementi
socio-culturali negativi, ma anche numerosi punti di forza che meritano di essere
richiamati anche perché rappresentano la base di partenza per il rilancio dell’area:
1) Il territorio. Il tesoro del Cilento è la sua unicità, la sua irripetibile storia, il suo territorio. In una logica di valorizzazione, la prima risorsa – quella più a portata di mano
– è il territorio stesso. Per secoli, data la sua natura accidentata, l’uomo ha potuto
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intervenire con molta difficoltà e sforzo. Forse è stato un bene. Perché questa è la
ragione per cui il Cilento rimane ancora oggi un’area della Campania, posta tra il golfo
di Salerno e quello di Policastro, capace di trasmettere al visitatore che arriva tante,
tantissime emozioni. Negli ultimi venti anni, però, c’è stato un certo sonnacchioso
‘lassismo’ nell’uso del territorio. Vi fornisco qualche dato per capire meglio.
Nei soli comuni di Ascea, Casalvelino, Castelnuovo Cilento, Omignano, Stella Cilento e Vallo della Lucania, grazie al Consorzio Velia tra il 1970 e il 1987, è cambiata la
destinazione agricola originaria di ben 5.000 ettari di pianura e di bassa collina. È
una dimensione enorme, che invita a riflettere. Qualcuno ha detto che negli anni ’80
abbiamo visto fiorire uno sviluppo urbanistico inaspettato. I frutti di questo sviluppo, ci accorgiamo adesso, erano avvelenati. Sul territorio è stata realizzata un’edilizia
qualitativamente spregevole e spesso economicamente disastrosa. Venti anni dopo
ci troviamo con problemi ancora più gravi di quelli di prima. E mentre la fascia costiera si affolla di seconde case disposte in rigide file, (lontane mille miglia dalle case
dei vecchi paesi, anguste magari, ma racchiuse in uno scenario di solenne decoro)
nei centri dell’interno si perpetua la stasi di una vita sociale depressa ed elementare,
dominata da un pauperismo endemico. D’ora in avanti, occorre quindi valutare con
grande attenzione gli usi alternativi del territorio.
Essendo scarsamente popolato, il territorio cilentano va valorizzato perché rappresenta la principale risorsa su cui si può costruire lo sviluppo. E la principale risorsa
non può essere sprecata, sfregiata o mortificata ma, al contrario, tutelata e salvaguardata.1
2) Le risorse ambientali, paesaggistiche ed archeologiche. Il Cilento non ha pianure né
industrie; ma per un dono del Signore dispone di una molteplicità di risorse naturali:
mare, monti, paesaggi, biodiversità. A cui si sono aggiunti prodotti e tradizioni locali,
clima mediterraneo, varietà gastronomica, aree naturali di pregio, siti di interesse comunitario, due parchi marini (quello di Punta degli Infreschi e quello di Santa Maria
di Castellabate). Per non parlare dei siti archeologici di Paestum e Velia che hanno
1. «In un contesto di cultura diffusa di tradizione contadina, c’è molto lavoro culturale da compiere affinché la popolazione consideri l’ambiente naturale come una risorsa positiva da migliorare e da valorizzare e non come antagonista, con cui, giorno dopo giorno, combattere con fatica o verso cui avvertire soggezione. Occorre imparare a saper
interrogare l’ambiente, analizzando integranti di paesaggio, di bosco, di colture, di luoghi storici della memoria. Ma
occorre soprattutto tanto impegno e tanta cultura per operare correttamente, perché proprio l’ambiente di maggior
pregio, soggetto alla tutela, va gestito con più intelligenza e più sensibilità. È opportuno, pertanto, non dimenticare
la differenza di atteggiamento culturale e di conoscenze sostanziali tra la coltura povera tradizionale e la coltura ecocompatibile, anche se molti dati comportamentali sembrano analoghi. Di recente, la popolazione ha cominciato a
rivolgere considerazione alla realtà ambientale e ai monumenti della storia locale, antica e meno antica: da questo
fenomeno di tipo “immateriale” si potranno in futuro ricavare, forse, esiti di grande momento, oggi ancora non prevedibili»” (Scassellati 1996, pp. 48-49).
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portato al riconoscimento complessivo dell’area cilentana come “paesaggio culturale” incluso nel Patrimonio mondiale dell’Umanità.
C’è un parco di 181.000 ettari, il più grande d’Italia, inserito nella rete mondiale MAB
(Riserve della Biosfera) e facente parte del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. C’è il
lago e l’Oasi Alento, straordinario habitat per numerose specie migratorie.
L’esistenza di questo inestimabile patrimonio, che non è omologabile né delocalizzabile, è indubbiamente in grado di fare da traino al sistema economico locale, in particolare al comparto turistico e a quello agro-alimentare, per ipotizzare la possibilità di
attrarre nel prossimo futuro grandi flussi turistici. Alla luce di tutto questo, dunque,
appare realistico dire che il nostro territorio ha molte carte da giocare.
3) La variante alla SS 18.
4)Il miglioramento della vivibilità dei numerosi centri rurali con il risanamento dei centri storici ad opera delle amministrazioni comunali.
5) Le riserve d’acqua. Negli ultimi 30 anni sono stati realizzati tre sistemi idrici, Carmine-Nocellito; Palistro e complesso Alento, mentre un quarto impianto è ora in fase
di studio. Le stesse acque piovane e superficiali che un tempo provocavano frane,
alluvioni e allagamenti, vengono oggi raccolte nei mesi invernali, in ragione del 50%,
in sei invasi per produrre acqua potabile, acqua per gli usi civili non potabili, acqua
per gli usi artigianali ed industriali, per l’energia. E soprattutto per l’irrigazione di 7.000
ettari ricadenti in quattro aree: quella di Vallo della Lucania e comuni viciniori, di Castelnuovo Cilento, del Palistro, della piana dell’Alento e colline circostanti.
La costruzione dei tre sistemi idrici – ai quali, ripeto, nei prossimi anni si potrà aggiungere un quarto sistema, – rappresenta per il territorio una svolta, il passaggio da
un periodo caratterizzato dalla carenza idrica ad un altro periodo, in cui il predetto
problema è stato risolto, nonché il passaggio dell’agricoltura dallo stadio di agricoltura secca e cerealicola ad agricoltura irrigua. È incontestabile che senza i predetti
tre sistemi idrici, il comprensorio dell’Alento sarebbe stato in crisi profonda, come
era molti anni fa, quando nella stessa identica situazione si trovavano le altre zone
interne, senza acqua per gli usi produttivi. L’arrivo dell’acqua ha avuto davvero una
portata storica. Perché ha innescato il miglioramento della qualità della vita della
popolazione (grazie alla disponibilità di un elemento vitale di base), ha impresso una
svolta all’igiene personale e ambientale, e ha dato il via alla diversificazione delle fonti
di reddito, grazie alla possibilità di poter portare sul mercato prodotti cilentani e di
avviare attività turistiche all’interno del territorio.
6) I prodotti tipici: fichi, miele, castagne, produzioni casearie, olio di oliva, vini ecc.
esaltati dalla dieta mediterranea.
7) Le risorse umane: giovani, imprenditori.
8) I bassi tassi di criminalità: il territorio non registra fenomeni di infiltrazioni mala-
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vitose da parte della criminalità organizzata né la presenza di fenomeni di microcriminalità.
9) L’accresciuta visibilità di Elea a livello nazionale e internazionale, un fatto nuovo di
grande portata, su cui avrò modo di soffermarmi in seguito.
10) la modifica del rapporto della comunità locale con l’ambiente grazie al Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, mentre si sta facendo strada la tesi che la
qualità dell’ambiente è un fattore strategico dello sviluppo.
Il “capitale fisso”
Ai predetti punti di forza va aggiunto il fatto che una parte del territorio cilentano ha
aumentato, negli ultimi cinquant’anni, il capitale fisso, costituito dalle opere realizzate. Opere che, come ho già accennato, hanno risolto cinque problemi:
• la sicurezza idraulica del territorio;
• l’acqua per tutti gli usi;
• la qualità delle condizioni igieniche personali e ambientali;
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• la distribuzione irrigua;
• la viabilità rurale.
Rispetto al lungo ciclo che arriva fino al 1950, il Cilento ha realizzato un notevole
miglioramento della situazione preesistente, imboccando una direzione decisamente innovativa rispetto alla tradizione e divergente rispetto alla realtà di altri territori
interni.
Risolto il problema dell’acqua, tra i traguardi raggiunti c’è stata la valorizzazione di
un’altra risorsa strategica: i risparmi dei cilentani. Fino alla fine degli anni Ottanta, i
risparmi venivano comunemente depositati presso gli uffici postali e presso il Banco
di Napoli. Dagli inizi degli anni Novanta, invece, grazie alla Banca del Cilento e alle altre Banche di Credito Cooperativo presenti sul territorio, si è verificata un’inversione
di tendenza. Col risultato che gran parte dei risparmi raccolti sono investiti in loco a
favore dei piccoli operatori, gli stessi che in precedenza avevano subito, in silenzio, un
pesante razionamento del credito. Si tratta di un fatto rilevante se si considera che
non si è visto nessun sistema economico crescere così velocemente e radicarsi nella
comunità territoriale, senza istituzioni finanziarie orientate a sostenere il predetto
sistema.
A tutto questo, si è aggiunta, infine, la nascita di una rete di soggetti operativi nuovi che sta concorrendo senza clamori al cambiamento della realtà economica. Ecco
quali sono:
- il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano;
- la Fondazione Alario,
- la società Idrocilento,
- la Società del Patto Territoriale,
- il Confidi Cilento,
- la Società Elea-Congressi.
Si tratta di soggetti strumentali essenziali, come vedremo, per l’avvio di un quel concreto processo di sviluppo che rimane l’unica via per andare oltre la stagnazione.
La lettura dei punti di forza sta a dimostrare che il Cilento, malgrado le molte ombre,
non parte affatto da zero. I progetti completati e realizzati con le potenzialità esistenti, opportunamente valorizzati, possono rappresentare una solida base per l’avanzamento del territorio verso uno sviluppo endogeno ed autopropulsivo.
Altre tre opportunità. La “dieta mediterranea”
Come ho cercato di spiegarvi, il Cilento non è quindi un malato in fase terminale, ma
ha anche energie sopite, punti di forza, infrastrutture e strumenti che potrebbero
avviarlo verso un concreto e auspicabile sviluppo sostenibile.
Peraltro entrano in gioco anche tre nuove condizioni esterne al territorio:
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• la forte crescita del turismo ambientale, che comporta l’aumento delle presenze
turistiche verso le aree che hanno conservato la “naturalità”;
• la crescita del consumo dei prodotti tipici;
• il riconoscimento della “dieta mediterranea” come patrimonio dell’Umanità.
Come è noto, la “dieta mediterranea” è il regime alimentare povero ma sano dei contadini: olio di oliva come condimento, ortaggi e frutta, legumi al posto delle proteine
animali, carne bianca nei giorni di festa, pasta fatta in casa, pochi dolci. Questo regime alimentare è un modello riconosciuto dalla comunità scientifica come elemento
in grado di generare effetti positivi sulle malattie del cuore e cardiovascolari. Gli studi
scientifici, che si sono susseguiti a partire da quelli dello scienziato americano Ancel
Keys intorno agli anni ’50-’602, evidenziano gli effetti benefici sulla salute per coloro
che si attengono alle abitudini alimentari della dieta mediterranea. Per non disperdere il valore di questa dieta, è opportuno che l’Ente Parco e le istituzioni locali si
facciano promotori di iniziative per la sua diffusione ed attuazione a livello locale in
ristoranti, agriturismi, alberghi ecc. Infatti si sta facendo ancora poco per far conoscere una risorsa così significativa come merita.
Il contesto economico e sociale
Comunque lo si voglia considerare, il Cilento sta vivendo una fase di transizione tra il
vecchio assetto economico-sociale, fondato sull’agricoltura, e un nuovo assetto che
però stenta ad affermarsi e a connotarsi.
Quello oggi vigente si fonda ancora su un notevole trasferimento di risorse esterne
e dunque su un’economia in larga misura assistita, ovvero in ritardo, che comunque
andrà rapidamente a finire.
La conseguenza di ciò ci deve impensierire, perché il nostro territorio, dal mare ai
monti, è un’area marginale che continua a bruciare, in maniera irrazionale, più risorse
di quante ne produca; continua a consumare i trasferimenti provenienti dall’esterno
sotto forma di stipendi, pensioni, sussidi e contributi, e nel contempo rappresenta un
buon mercato per moltissimi prodotti importati da altre aree.
La società cilentana è costituita, nel suo complesso, da un folto ceto impiegatizio, da
una rilevante componente di disoccupati, da un gruppo di imprenditori che operano
nel settore degli appalti e delle forniture pubbliche, da un esiguo nucleo di imprenditori veri che operano e si confrontano col mercato, da una borghesia professionale
ed intellettuale abbastanza lontana dai circuiti produttivi e da una residua schiera di
addetti all’agricoltura.
2. Attualmente, per ottenere un’ampia informazione su Ancel Keys e intorno alla dieta mediterranea, basta andare
su Google e digitare “Ancel Keys”.
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Osservo inoltre che, accanto al ceto delle professioni tradizionali (avvocati, ingegneri
e medici), si sono diffuse nuove figure: commercialisti, fiscalisti, architetti, informatici,
ecc. Essi rappresentano il terziario moderno e in un’area largamente assistita, quale
è quella cui ci riferiamo, risultano contigui ai centri amministrativi e quindi al potere
locale, che spesso rappresenta il committente di maggiore consistenza.
Il sistema produttivo del Cilento rimane comunque molto debole e apparentemente
incapace di formare persone con particolare apertura imprenditoriale. Il tessuto delle
imprese è a maglia larga ed è poco incisivo sul sistema economico. Che si tratti di
una questione strutturale e non congiunturale non ci sono dubbi. Negli ultimi anni
la forbice tra il Cilento e l’Europa ha continuato ad allargarsi. E tutto questo mentre
il mondo continua a crescere a ritmi sostenutissimi. Persino l’Africa, che per decenni
ha avuto un’economia stagnante, negli ultimi tempi sta crescendo al ritmo del 5,5%
annuo.
Invece il Cilento non corre affatto. E si capisce. Come può correre se la dimensione
dell’impresa oscilla tra la micro e la piccola? Se le medie imprese sono poche e le
grandi non esistono? L’attività delle poche aziende esistenti è prevalentemente incentrata sull’industria agro-alimentare e sull’edilizia. Pochissime le industrie manifatturiere. Inoltre va considerato che l’economia è sempre meno dipendente dal lavoro in
agricoltura. Allo stato, quello che era una volta il settore primario, la fonte esclusiva di
reddito della popolazione, è diventato un’attività marginale, integrativa del reddito,
con il conseguente abbandono di molti terreni agricoli.
Inoltre le imprese, mettendo a confronto i loro dati, fanno registrare un rapporto
molto elevato tra debiti e fatturato. A ciò si deve aggiungere un altro elemento di carattere strutturale: la minore capacità di autofinanziamento delle imprese derivante
dalle loro ridotte dimensioni.
Ma, nonostante le storture e le strozzature, negli ultimi 40 anni il territorio ha fatto
qualche timido passo avanti sulla strada giusta, ha cominciato a crescere. Sono nate
e cresciute numerose imprese che ruotano soprattutto attorno alle attività turistiche
stagionali. Si tratta, a volte, soltanto di segnali, che tuttavia esistono e sono significativi. Essi lasciano immaginare un contesto che potrebbe essere tonificato, stimolato e
recuperato rispetto alle aree più dinamiche della Provincia.
Tuttavia gli indicatori del ritardo sono ancora presenti in tutti i settori della vita socio-economica. I dati sociali ed occupazionali del Cilento, ad essere sinceri, mantengono tutto il loro valore drammatico. Infatti la disoccupazione giovanile raggiunge
addirittura il 60%, mentre un terzo dell’occupazione esistente si svolge in condizione
di irregolarità. Io non credo che i nostri giovani siano, in media, più fannulloni dei
loro coetanei milanesi, veneti o emiliani. Semplicemente hanno minori occasioni di
lavoro.
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Le piaghe del Cilento – che qui richiamo ancora – sono storicamente note e dibattute. C’è un lungo campionario in proposito. Mi riferisco allo spopolamento dei centri urbani dell’interno; all’invecchiamento della popolazione; al lavoro che manca;
all’emigrazione giovanile; alla ridottissima dimensione delle imprese; alla fragilità della cultura imprenditoriale; alla disaffezione per il lavoro agricolo da parte dei giovani.
Tutto questo ha diminuito, per chi vive nei comuni cilentani, le opportunità di valorizzare e sfruttare le risorse locali.
Grazie, comunque, ai sussidi, alle pensioni, alle rimesse degli emigranti, agli afflussi,
senza precedenti, di denaro pubblico per l’esecuzione di opere pubbliche vi è stata
una lievitazione dei consumi e una certa crescita del tenore di vita. Tale risultato è il
frutto della politica assistenziale dello Stato (e della Regione) che ha stimolato i consumi, ma contemporaneamente ha bloccato lo spirito di iniziativa verso l’economia
produttiva. Questa politica, oltre ad impedire l’avvio dello sviluppo “endogeno” ed
“autopropulsivo”, ha provocato l’abbandono delle campagne e delle attività agricole, trasformando il territorio in mercato di consumo di beni prodotti nel Nord del
Paese.
Attualmente, però, si assiste a un calo sempre più vistoso dei trasferimenti sociali e
dei lavori pubblici, e anche la domanda di beni di consumo ne sta risentendo. La debolezza, poi, del sistema produttivo ed il rifiuto dei giovani di proseguire il lavoro nei
campi ha provocato un eccesso di manodopera e, quindi, l’aumento della disoccupazione (che oggi ha raggiunto davvero livelli elevati) e dell’emigrazione, che ancora
spinge la gente del Cilento a cercare con disperato coraggio un destino diverso in
paesi lontani.
In conclusione, dunque, lo scenario socio-economico degli ultimi quarant’anni è cambiato profondamente, ma senza sviluppare adeguatamente la capacità di produrre
ricchezza attraverso l’ampliamento della base produttiva. E ciò perché l’aumento dei
soggetti attivi in economia è rimasto molto ridotto. Purtroppo, non è stato affrontato in alcun modo il problema dell’accesso ai processi economici da parte dei residenti.
Vi è una percentuale elevata di persone che continuano a “battere la fiacca”, inattive,
ma – altro fatto preoccupante – si registra anche la contrazione delle nascite, mentre
una massa di giovani fa la valigia e lascia il territorio. Un fenomeno drammatico che
ha portato quasi al dimezzamento della popolazione residente. Una piaga sociale che
mette sotto accusa i gestori della cosa pubblica.
Diviene pertanto prioritario accompagnare e sostenere la crescita con altri strumenti:
cioè garantendo al territorio l’espandersi di nuova cultura e nuove conoscenze, le
uniche in grado di creare valore.
Emergono ed inquietano, infine, i seguenti punti critici, che possono essere analizzati
secondo varie prospettive, con un approccio analitico:
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• in molti casi i giovani, specie quelli nella fascia dai 20 ai 35 anni, sono scettici sul
proprio futuro, inteso come costruzione, fatica, impegno, sudore, responsabilità.
Svuotati di fiducia, non puntano sulle proprie forze per utilizzare il patrimonio di
risorse che il territorio possiede;
• la carenza di cultura imprenditoriale, già più volte richiamata. Una capacità, tra
l’altro, che non può essere oggetto di trasferimento attraverso la formazione;
• la mancanza di ruolo della società civile e di senso della responsabilità comune;
• la mancanza di quel senso di appartenenza condivisa che spinge a sacrificare gli
interessi di parte per un futuro più solido per tutti;
• l’assenza di ricambio nella conduzione delle imprese agricole.
I settori produttivi
Dopo questo primo giro d’orizzonte vediamo ora più da vicino qual è la situazione
delle aziende che operano nel Cilento.
L’agricoltura
Come ho già accennato, l’agricoltura tradizionale ha subìto una flessione notevole.
Le cause sono da addebitarsi sia alla forte emigrazione e sia al fatto che i ricavi provenienti dalla vendita dei prodotti non coprono sempre i costi di produzione. In tal
modo l’agricoltura, un tempo fiorente, differenziata e remunerativa, si è trasformata
da attività principale in attività marginale e per l’autoconsumo, rendendo l’area cilentana fortemente dipendente dalle importazioni di prodotti provenienti dalla Piana
del Sele e da altre località.
L’abbandono delle aziende agricole, l’invecchiamento progressivo ed inarrestabile
degli addetti e, tra i giovani, il rifiuto di continuare l’attività dei padri sono la logica
conseguenza di una legge economica: la scarsa remunerazione del lavoro prestato e
quindi la mancata percezione di un reddito annuale adeguato. Ma anche la causa e
l’effetto della mancanza di una strategia a livello locale per organizzare la produzione,
la trasformazione e commercializzazione dei prodotti sul mercato.
Voglio qui ricordare che, a partire dagli anni cinquanta, il Cilento è passato da area di
produzione e di esportazione di prodotti agricoli ad area di importazione. Con la conseguenza che esso oggi, nel campo agroalimentare, consuma più di quanto produce.
Ma l’aspetto più grave è costituito dal fatto che l’attività agricola delle campagne non
è stata sostituita come fonte di reddito da un’altra attività produttiva, ad esempio da
quella industriale, manifatturiera o turistica. L’esodo della nuove generazioni dai campi ha solo prodotto un pericoloso abbassamento del PIL (Prodotto Interno Lordo).
La crisi dell’agricoltura e la mancanza di lavoro negli altri settori produttivi ha creato
due ceti: i vecchi che, godendo di pensioni, rappresentano il ceto che dispone di un
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reddito stabile e sicuro, ancorché ridotto, e i giovani che, essendo disoccupati, vivono
fruendo del risparmio di nonni e genitori.
Eppure, le condizioni per imprimere all’agricoltura cilentana una nuova vitalità ed
un ruolo importante nell’ambito del tessuto economico generale vi sarebbero. Ma a
patto che si superino alcuni punti di debolezza che oggi contrassegnano più che mai
la realtà agricola locale e che, dall’altro lato, si distingua l’area collinare interna, non
irrigabile e difficilmente meccanizzabile, da quella collinare e di pianura che è stata
resa irrigua.
Per il futuro immediato mi immagino quindi due possibili scenari: quello negativo è
il rischio di un’ulteriore caduta del comparto agricolo; quello positivo è immaginare
che l’agricoltura possa divenire il motore trainante e un vero asse portante del sistema produttivo del Cilento attraverso la valorizzazione dei prodotti tipici e dei prodotti alimentari di qualità, un sempre più frequente confezionamento dei prodotti in
azienda e il miglioramento della rete distributiva.
L’industria e l’artigianato
Oltre ad essere contraddistinto da un’agricoltura in crisi, il Cilento non dispone di una
struttura industriale intesa secondo gli schemi moderni. Le attività manifatturiere,
infatti, sono molto limitate, non svolgono un ruolo propulsivo né hanno un peso
rilevante nel contesto economico locale, se si eccettuano alcuni singolari casi.
L’assenza dell’industria è attribuibile alle diseconomie di cui ho già detto in precedenza, ma che è utile ancora una volta ribadire:
• marginalità geografica rispetto al resto dell’area regionale;
• morfologia del territorio;
• mancanza di capitali e difficoltà di una loro accumulazione;
• mancanza di aree PIP;
• mancanza di servizi alla produzione e difficoltà a gestire l’acquisto degli stessi;
• difficoltà del trasporto su strada;
• dipendenza dalla domanda locale;
• carenza di energia.
Da questo quadro d’assieme si deduce che il Cilento soffre di un palese sottodimensionamento del settore manifatturiero e dell’industria, collocandosi in tal modo lontano dagli indici di industrializzazione delle altre aree del Mezzogiorno.
È infatti l’edilizia il comparto attorno a cui ruota quasi tutto il settore secondario. L’attività edile ha costituito fino ad oggi un importante sbocco, una valvola di sfogo per
la manodopera espulsa dall’agricoltura. La pluralità delle imprese, per lo più artigiane,
operanti in questo settore consente di occupare un numero abbastanza elevato di
addetti, che, al di fuori dell’orario lavorativo, sono occupati part-time anche in agri-
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coltura, evitandone la completa scomparsa e mantenendo le produzioni a livello di
autoconsumo.
In realtà accade che, nel nucleo familiare, il cumulo dei redditi di provenienza diversa
(agricoltura, edilizia, turismo, sussidi di varia natura) e il contenimento delle spese
per i bisogni alimentari e abitativi rendano conveniente la permanenza in loco di una
parte della popolazione. Questo è un fenomeno che, se letto in positivo, fa capire il
raggiungimento di un certo livello di benessere, passivo ma comodo. Letto in chiave
diversa, esso appare come la causa – di natura socio economica e psico-antropologica – che maggiormente limita lo sviluppo del territorio. È cioè la dimostrazione della
bassa capacità imprenditoriale che fin qui ho più volte richiamato.
A mio modo di vedere, la mancanza di un’esperienza industriale è contemporaneamente causa ed effetto di una diffusa incapacità organizzativa. In pratica, manca la
capacità di organizzare le risorse per trasformare i desideri in progetti e i progetti in
opere concrete.
Ma, se il nostro territorio continua ad essere un’area di inarrestabile e forte emigrazione, la ragione va ricercata proprio nella mancata ristrutturazione, riorganizzazione
e crescita dei suoi settori produttivi.
Il tessuto imprenditoriale è costituito oggi da oltre 3.000 micro e piccole realtà, operanti prevalentemente nel campo delle costruzioni, dell’agro-alimentare, delle lavorazioni metallurgiche e del turismo. La dimensione media di queste imprese non supera
i 2-5 addetti, per cui è legittimo affermare che il sistema produttivo manifesta uno
scarso assorbimento di manodopera locale. Infatti nel Registro ditte della Camera di
Commercio figurano solo 50 imprese con più di 10 addetti presenti. Nel complesso
l’immagine che si ricava è quella di un apparato produttivo rachitico ed arretrato, caratterizzato dalla prevalenza dei settori tradizionali. Ciò significa che il territorio non
genera alcuna attrazione di investimenti esterni.
Sui temi dell’innovazione tecnologica emerge che le micro e piccole imprese, non
potendo contare su risorse di una certa consistenza, fanno ricorso al lavoro di bassamedia professionalità mentre le alte professionalità restano disoccupate o vanno altrove. Inoltre le ridotte dimensioni aziendali e le dotazioni tecnologiche inadeguate
limitano non solo l’attuale capacità produttiva, ma anche la possibilità di crescita
futura, in quanto gli esigui margini di guadagno non consentono la formazione di
capitali da reinvestire per l’adeguamento tecnologico e per il potenziamento delle
perfomance produttive.
Fatta eccezione per le pochissime imprese che riescono ad essere presenti sul mercato
nazionale, la maggior parte di esse produce per soddisfare il mercato locale. Del resto,
l’esiguità della struttura industriale non è compensata neppure da una forte presenza
dell’artigianato produttivo. Anzi questo comparto è ormai in via di estinzione. Anche
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l’artigianato artistico è quasi del tutto scomparso, mentre non mancano gli artigiani
di servizio (meccanici, parrucchieri, idraulici, elettricisti ecc.).
Altre attività artigianali, presenti nell’area, sono collegate alla trasformazione dei prodotti agricoli. In particolare, esistono molti frantoi per la produzione olearia e aziende
che provvedono all’impacchettamento dei fichi.
Il turismo e il commercio
Al confronto, le attività del settore terziario sono abbastanza sviluppate. In particolare si sta assistendo ad una rapida e forte espansione dell’apparato distributivo, delle
attività connesse con il turismo e del numero degli occupati nel settore dei servizi e
della Pubblica Amministrazione.
Lo sviluppo del terziario testimonia però un’ulteriore manifestazione della debolezza della struttura produttiva. Infatti, la crisi dell’agricoltura, specie nell’area interna,
combinata con la scomparsa di forme di artigianato tradizionale, dell’artigianato produttivo e con l’assenza del comparto industriale, ha provocato la crescita abnorme
dei piccoli esercizi commerciali, dell’apparato distributivo, di quello burocratico e dei
servizi.
Tra le attività del terziario, il turismo costituisce una delle maggiori risorse per l’economia dell’area, essendo diventato la fonte principale di reddito per molti degli operatori economici e dei lavoratori cilentani.
Il flusso turistico, però, è ancora concentrato lungo la fascia costiera e solo negli ultimi
tempi, in maniera marginale, ha iniziato ad interessare i comuni interni prossimi alla
costa. Inoltre, presenta le caratteristiche proprie del turismo di massa ed è tipicamente balneare, con la stagione turistica ristretta sostanzialmente ai mesi di luglio ed
agosto e marginalmente ai mesi di maggio, giugno, settembre ed ottobre.
In aggiunta al turismo balneare, si sta sviluppando rapidamente l’agriturismo, una
forma di turismo nella quale il turista è ospitato presso un’impresa agricola e l’accoglienza è organizzata in connessione con l’attività agricola. Nelle aree interne, le attività legate al tempo libero sono limitate prevalentemente a quelle della ristorazione,
mentre la presenza di strutture di ospitalità è molto ridotta ed offre una gamma di
servizi di livello ancora non adeguato.
Il sistema, comunque, appare agli analisti debole per due motivi:
• per la forte stagionalità della domanda che, come già detto, presenta picchi elevati solo nei mesi di luglio ed agosto;
• perché attorno al turismo balneare non è cresciuto adeguatamente un altro formidabile attrattore: il turismo congressuale, sportivo, ambientale e culturale.
Dobbiamo parlare, infine, della grande carta costituita da Elea-Velia e dalla celebrità
mondiale di personaggi come Parmenide e Zenone. Questa è una carta che finora
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non è stata giocata, che non si è saputo giocare perché non è facile giocarla. In effetti,
solo da pochissimi anni la riflessione su questa straordinaria risorsa è ritornata alla ribalta grazie alle iniziative prese dalla Fondazione Alario, in particolare con i convegni
di “Eleatica” ed una serie di eventi collaterali. Ma c’è un ragionamento elementare che
dobbiamo fare: in tutto il mondo ci sono più di 500 professori universitari di filosofia,
ognuno con assistenti, laureandi, dottorandi e studenti, che si occupano professionalmente di Parmenide o di Zenone e che in teoria potrebbero organizzare viaggi a
Elea con i propri allievi, per poi portarli anche a Paestum e altrove. Se poi guardiamo
all’Italia e agli innumerevoli licei dove c’è un insegnante di filosofia per ogni sezione,
capite che ogni anno sono centinaia di migliaia di studenti a occuparsi dei maestri
della Scuola eleatica. Per di più abbiamo la fortuna di ritrovare negli scavi proprio
l’ambiente descritto da Parmenide nel suo Poema (la strada, la porta, l’effetto giornonotte), tutte cose che colpiscono la fantasia, e questa è una risorsa che non può
vantare nessun altro sito archeologico. Ad Elea si determina perciò il singolare abbinamento dell’alta cultura, dei siti archeologici che colpiscono la fantasia e dei famosi
paradossi di Zenone, costruzioni mentali che non solo hanno il potere di mettere in
difficoltà le migliori intelligenze speculative, ma sono anche note in tutto il mondo.
E potrei continuare (lo farò in un altro capitolo). Qui mi accontenterò di ricordare,
con soddisfazione, un piccolo libro che è stato pubblicato nel 2009 con il contributo
della Fondazione Alario e della Banca del Cilento: I sophoi di Elea: Parmenide e Zenone, di Livio Rossetti. Si tratta di un breve testo pensato per chi va a visitare gli scavi e
vuole rinfrescarsi le idee sulla vita e le opere dei due grandi maestri di Elea. Un libro
come quello dovrebbe servire addirittura da supporto alle guide per non limitarsi a
descrivere le pietre una ad una, ma per dare almeno un’idea di quel che è stata Elea
nel V Secolo a.C. e di quel che significa oggi, in modo da riscoprire e cominciare a
valorizzare quell’autentica “miniera d’oro” che sono i filosofi eleatici. Ma ripeto, di
questo riparleremo in seguito.
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Capitolo secondo
Una questione di mentalità investire
sul “capitale sociale”
L
a mia esperienza mi dice che il Mezzogiorno, e ancor più il Cilento, per arrivare allo
sviluppo endogeno, ossia alla crescita che si autogenera, ha bisogno soprattutto di
un cambiamento culturale. E questo prima ancora di infrastrutture, innovazioni ed
incentivi finanziari.
Come è noto, il Sud dell’Italia soffre di un tenace immobilismo, pur disponendo di
risorse importanti: di università, di centri di ricerca e di eccellenze in vari settori
produttivi. Come mai? Perché nel Nord del paese non si registra il medesimo immobilismo? Perché, come abbiamo visto prima, la strada dello sviluppo è ostacolata
dai richiamati punti di debolezza, che sono principalmente di natura culturale. È
stato detto che per arrivare allo sviluppo c’è una precondizione fondamentale da
conquistare: l’eliminazione dei punti di debolezza. In che modo? La risposta degli
studiosi è semplice e netta. Attraverso la crescita culturale e sociale degli individui.
In sostanza, il Cilento, come del resto l’intero Mezzogiorno, per uscire dall’attuale
dimensione negativa, ha bisogno non solo di infrastrutture, di innovazioni e di modernizzazione delle strutture ma soprattutto di “capitale sociale”, cioè quel corpus di
regole che facilitano la collaborazione all’interno dei gruppi o tra essi. Il capitale
sociale si riferisce a quei beni intangibili che hanno valore più di ogni altro nella vita
quotidiana delle persone: precisamente, la buona volontà, l’appartenenza ad organizzazioni, la solidarietà e i rapporti sociali tra individui e famiglie che compongono
un’unità sociale.
È questa la tesi di Scassellati e di altri insigni meridionalisti. Va purtroppo preso atto
che in molti casi gli interventi pubblici non hanno trovato il substrato civile e culturale necessario per il consolidarsi delle iniziative sociali e imprenditoriali proposte e per
trasformarle nel volano di un processo virtuoso di crescita. Per rilanciare lo sviluppo
del territorio, emerge, dunque, un elemento scarsamente considerato dalle classi dirigenti politiche: il rafforzamento del capitale sociale. Vediamo meglio di che si tratta.
In termini generali si può dire che l’espressione “capitale sociale” indica l’esistenza di
una rete di relazioni capace di mobilitare l’azione collettiva e in particolare di promuovere l’agire cooperativo. Il “capitale sociale” è una risorsa collettiva. Una comunità dove prevalgono “buone relazioni” tra gli individui sarà una comunità coesa,
in grado di mobilitarsi per il raggiungimento di obiettivi comprensibili e condivisi,
capace di trovare un accordo su questioni d’interesse comune. La qualità di queste
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relazioni (franchezza, lealtà, onestà) è una risorsa collettiva: relazioni di fiducia, senso
di gratitudine, reciprocità ecc. che aiutano a risolvere i problemi.
Secondo un’autorevole corrente di pensiero, il mancato sviluppo del Sud sarebbe un
problema di mentalità e non discenderebbe da fattori oggettivi.
Il noto politologo e sociologo statunitense Robert Putnam, nel suo libro intitolato La
tradizione civica nelle regioni italiane (1993), sostiene che il sistema di norme sociali
che regola i comportamenti nel Mezzogiorno ha influito negativamente, rispetto alle
regioni del Centro-Nord, sull’efficienza e l’efficacia delle istituzioni locali e sullo sviluppo. L’opinione del meridionale – ha osservato Putnam – è quella secondo cui l’unica
istituzione in grado di fornire un aiuto è la famiglia allargata.
È utile, al riguardo, riportare alcuni passi dell’articolo di Carlo Cipolla, grande storico
economico, apparso in prima pagina sul Sole 24 Ore del 1° maggio 1996:
«Pochi sono coloro che hanno capito e capiscono che il problema del Mezzogiorno
non è un problema economico. È un problema di cultura con importanti risvolti economici.
Proprio nel momento in cui nel resto d’Italia il feudalismo entrava in crisi e si assisteva
al sorgere delle città mercantili, con i Normanni cominciò la carriera del Meridione
come paese di baroni e contadini, dove non ci fu posto per un ceto medio, per una
borghesia mercantile quale si andava affermando nelle città dell’Italia settentrionale.
Il successo dell’azione normanna significò l’eliminazione delle incipienti autonomie
cittadine e la creazione di una struttura baronale che concentrò il potere nelle mani
di pochi grandi proprietari fondiari. La struttura sociale impiantata dai Normanni
venne rafforzata a partire dal sec. XII, ma soprattutto nel sec. XIII, dalla gestione che i
mercanti Pisani, Genovesi e Fiorentini fecero dei mercati del Mezzogiorno sino al sec.
XVI: vendevano prodotti manufatti e compravano prodotti agricoli: grano, olio, vino,
lana e seta.
Quando, poi, nei sec. XVI e XVII l’Italia settentrionale decadde come potenza manifatturiera mercantile, il posto sui mercati dell’Italia del Nord fu preso da Olandesi
e Inglesi. Poi nel sec. XIX vennero, come conquistatori, i Piemontesi e fu la stessa
musica. Così nel corso di ben nove secoli, ondate successive di operatori invasero il
Mezzogiorno, come conquistatori (i Normanni, i Piemontesi) o come mercanti (Genovesi, Pisani, Fiorentini prima e Olandesi e Inglesi poi) e tutti agirono sull’economia
del Paese rafforzandone il settore agricolo mediante la domanda di prodotti agricoli e
rendendo impossibile la creazione di industrie locali e la formazione di una borghesia
mercantile.
La struttura della domanda estesa di mercato ebbe conseguenze ovvie nel settore
dell’economia, ma non meno ovvie furono le conseguenze sociali: il Paese fu e restò
un Paese di pochi ricchi e potenti baroni e proprietari fondiari e una gran massa di
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contadini analfabeti. Questa infelice struttura sociale, incancrenitasi durante il periodo di nove secoli, portò alla formazione di una cultura e di una mentalità sfavorevoli
a uno sviluppo di tipo moderno. L’ambiente fu e resta dominato da questa cultura ed
è quindi un ambiente che penalizza e rende difficili le iniziative di chi vorrebbe il cambiamento. La riprova è fornita dai meridionali che lasciarono il Paese e trasferitisi in
un ambiente culturale diverso dimostrarono capacità notevoli e ottennero successi
rimarchevoli. La lezione della storia è dunque questa: che per smuovere il Mezzogiorno occorre mutare l’ambiente e la cultura che lo condiziona.»
Parole sante, parole benedette, quelle del professor Cipolla. Il quale sottolinea l’esigenza di concepire azioni adeguate che abbiano un approccio storico e non solo economico, capaci cioè di influire su:
• mentalità
• modi di vita
• codici di moralità.
Dice ancora C.M. Cipolla:
«Ma come si fa a mutare mentalità, modi di vita, codici di moralità, forgiatisi durante
nove secoli di storia?
Noi non sappiamo, (ma) ci vuole una buona dose di ingenuità accompagnata da
una altrettanto buona dose di ignoranza per ritenere di poter raggiungere lo scopo
spendendo qualche decina di miliardi in opere pubbliche o in infrastrutture o in sovvenzioni a qualche fabbrica. Quel che occorre sono interventi ben più complessi e
articolati.
Si badi bene: io non sostengo che non si possa fare nulla a proposito nel Mezzogiorno. Ma sostengo che l’approccio deve essere di carattere storico e non solamente
economico:
• che il problema del Mezzogiorno non è un problema economico, ma è un problema culturale;
• che non si può pensare di disfare in sei o dieci anni quanto è stato martellato nel
cuore della gente durante nove secoli di loro storia.»
Naturalmente, Cipolla non è il solo studioso ad avere delineato in modo così netto i
fattori socioeconomici (e culturali) alla base del sottosviluppo del Mezzogiorno. Vale
qui riportare anche parte del contributo del sociologo Carlo Trigilia, apparso sul Sole
24 Ore del 12 aprile 1996:
«Si tratta di un obiettivo difficile ma non impossibile. Per perseguirlo occorre prendere chiaramente le distanze sia dal liberismo che dall’assistenzialismo, e puntare con
forza alla ricostruzione delle istituzioni locali e regionali come prerequisito essenziale
dello sviluppo.
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Se è certo auspicabile un’espansione del ruolo del mercato nel Sud, non ci si può
aspettare che esso possa funzionare efficacemente in mancanza di alcuni beni collettivi che il mercato da solo non è in grado di produrre: ordine pubblico, infrastrutture;
scuola; formazione; servizi sociali.»
Anche un giornalista attento alla “questione meridionale” come Gian Antonio Stella
ha posto l’accento sui temi di natura socioculturali più che socioeconomici. Così, sul
Corriere della Sera del 7 dicembre 2010:
«In realtà, come sanno moltissimi meridionali che vivono con amarezza e sofferenza
crescenti certe realtà insopportabili, larga parte della soluzione o della metastasi di
tanti problemi dipende dal senso del bene comune della collettività, della responsabilità, dello stare insieme di tante comunità che appaiono sempre più sfaldate.»
Poi aggiunge quanto ha scritto Putnam: «È impressionante che le regioni più ricche
coincidono esattamente con quelle caratterizzate da impegno civico. Quelle dove il
volontariato è più forte e le associazioni culturali, le cooperative e le società di mutuo
soccorso erano più numerose. … Dove da sempre gli abitanti sentivano un ardente
sentimento di lealtà verso la propria città, il dovere di contribuire a creare il proprio
autonomo futuro politico.»
Infine, così l’economista Massimo Lo Cicero scrive su Il Denaro (settembre 1998): «Il
Mezzogiorno deve aprirsi finalmente al gioco cooperativo cioè migliorare la capacità
di fare sistema anziché basarsi sull’individualismo familistico, perché altrimenti il confronto con i competitori stranieri lo vedrà puntualmente soccombere.»
Anche il rapporto Mezzogiorno e politiche regionali, presentato nel 2009 dalla Banca
d’Italia alla Presidenza della Repubblica, dopo aver sottolineato «il crescente divario
tra il Sud e il Centro-Nord del Paese, in termini sia economici sia di capitale sociale»,
ha evidenziato l’opportunità di passare «da una stagione di sussidi allo sviluppo del
capitale sociale, del capitale umano… Ciò significa un vero e forte investimento in
educazione.»
Ho voluto riportare queste lunghe citazioni d’autore sia perché evidenziano alcune
situazioni sulle quali la Fondazione Alario da anni ha avanzato idee analoghe, sia perché appare prudente ed opportuno tener conto anche delle riflessioni e analisi di altri
studiosi.
Alla luce di quanto sopra, non è possibile affrontare seriamente la questione dello
sviluppo del Mezzogiorno, e quindi del Cilento, se non viene affrontato e risolto il
problema di una vera e propria ricostruzione delle istituzioni del governo locale e
regionale (come non si è fatto in passato) e di un cambio di mentalità. Pensare semplicemente di saltare o di aggirare questi nodi non può che portare a nuovi fallimenti
e a nuove frustrazioni. Non va dimenticato, comunque, che il passaggio del Cilento a
una condizione di piena modernità non è legato solo al cambio di mentalità, ma resta
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legato anche al completamento della infrastrutturazione, allo sviluppo dell’agricoltura, del turismo e dell’industria minore.
Tuttavia, la mancanza della cultura dell’impegno, dell’autopromozione, del sacrificio
e l’incapacità di perseguire obiettivi globali rappresenta anche oggi una patologia
sociale da curare. A tal proposito va detto che la classe politica cilentana non ha
certo compiuto passi importanti per curarla. Emerge un’organica carenza di impegno
politico, o almeno direzionale: non si riesce a identificare gli uomini e le idee che pur
dovrebbero inserirsi attivamente nei processi economici e mettere in moto quella
serie di provvedimenti di eccezionale portata.
In definitiva si può affermare che gli errori dei politici hanno provocato una continua
distorsione di prospettive e di interessi. L’incapacità di enucleare una classe dirigente
capace di rompere la stasi è stato un modo per non spezzare la comoda e remotissima trama del conservatorismo. Purtroppo le invettive sulla incapacità della politica
locale, sul malcostume delle amministrazioni, sugli intrighi localistici, non hanno quasi mai portato alla indicazione di una forza di ricambio, capace di ristabilire l’equilibrio democratico. Sono servite assai meglio per eludere, invece, le proposte di rinnovamento istituzionale. Anche il distacco degli intellettuali dai problemi concreti si è
ripetuto fino a oggi con puntuale continuità e si ispira alla fatalistica persuasione che
è impossibile un ricambio nella leadership del Cilento. Gli intellettuali, specialmente,
hanno rinunciato a pretendere che il diritto alla cultura fosse riconosciuto a tutti
i cilentani. Invece chi crede che si possa migliorare la condizione del Cilento senza
cominciare col favorire il progresso della cultura è offuscato da strane illusioni. L’accesso alla vera cultura, che è corredo indispensabile della classe dirigente nel mondo
contemporaneo, non è ancora diventata una priorità, un’esigenza, un bisogno.
Da qui l’importanza di avere nel Cilento un’istituzione come la Fondazione Alario –
di cui parlerò in modo particolare in un successivo capitolo – che ha come missione
quella di sviluppare la cultura del cambiamento, della modernizzazione e della crescita attraverso la cultura, l’aggiornamento, la qualificazione delle risorse umane e la
ricerca scientifica.
¯
Quello che sto cominciando a delineare è una politica di sviluppo e ho il dovere di
ricordare che l’Unione Europea, partendo dalla finalità politica di portare le differenti
aree territoriali dei vari Stati membri su un livello di pari sviluppo ed opportunità,
è da tempo impegnata a promuovere una politica di sviluppo basata su strumenti
operativi in grado di favorire la programmazione e la pianificazione degli interventi
sui territori.
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Secondo l’Unione Europea i processi di sviluppo locale debbono ispirarsi alle seguenti linee guida:
a) individuazione e integrazione dei punti di debolezza e di forza;
b) valorizzazione delle risorse e dei punti di forza e trasformazione in opportunità
dei suoi punti di debolezza;
c) aderenza alla volontà e alla capacità degli attori locali, nel senso che, quanto più
essi riescono ad individuare obiettivi specifici per il proprio territorio, tanto più
essi sono vicini alle strategie che hanno successo;
d) globalità della programmazione, che deve considerare tutti i settori;
e) individuazione degli ostacoli tipici allo sviluppo (mancanza di una visione condivisa da parte degli attori locali, mancanza di risorse tecniche e di mano d’opera
qualificata, difficile accesso alle fonti finanziarie, assenza di servizi alle imprese, infrastrutture inadeguate a sostenere lo sviluppo economico e assenza sul territorio
di strumenti utili ad applicare le strategie di sviluppo locale).
Queste idee-forza costituiscono una modalità ormai usuale, da tener presente per
poter innescare su un territorio un processo di sviluppo che sia endogeno ed autopropulsivo.
La Comunità europea ha anche individuato le condizioni per lo sviluppo, intendendo
che si ha sviluppo se:
a) a livello locale, gli attori pubblico-privati più rappresentativi sanno accordarsi per
valorizzare le risorse esistenti, dopo averle riconosciute come tali, e se ciascun
attore opera in modo convergente e sinergico fino a realizzare di fatto un partenariato attivo fra istituzioni e soggetti privati;
b) si viene a realizzare un ambiente favorevole alla nascita, al rafforzamento e alla
crescita delle imprese;
c) si costruiscono filiere produttive omogenee, capaci di autodeterminarsi e di autorinnovarsi.
Senza la presenza di queste condizioni non è realistico pensare di raggiungere l’obiettivo dello sviluppo.
La metodologia dello sviluppo locale, adottata dall’Europa, è stata fatta propria dallo
Stato, dalle Regioni e dagli operatori privati locali. Pertanto, non tener conto di queste idee-guida, da osservare in sede di redazione di un piano di sviluppo locale, significherebbe non solo “partire con il piede sbagliato”, ma anche mettersi in condizione
di non essere finanziati dalla comunità europea.
Bisogna comprendere, caro lettore, che queste affermazioni non sono chiacchiere, ma
una indicazione precisa che ha già trovato conferma in molte trasformazioni già avvenute qua e là per l’Europa, e anche un criterio in base al quale accettare o meno di
finanziare determinati progetti.
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Dalla stagnazione socio-economica si può uscire e l’Unione Europea può darci una
mano, ma tocca a noi cilentani fare i passi necessari. Tocca in particolare alla classe
dirigente cilentana organizzarsi e mobilitarsi per applicare la metodologia suggerita
dall’Unione Europea d’ora in avanti, visto che non lo ha fatto in passato. Infatti, spiace
dirlo, ma è incontestabile che finora il Cilento, pur avendo molte risorse e capacità
attrattive, non ha saputo incamminarsi sulla via di uno sviluppo stabile, né ha saputo
utilizzare le notevoli risorse finanziarie che vi sono state dirottate per risolvere i suoi
mali antichi, ma curabili, come è avvenuto invece con il problema dell’acqua, della
sicurezza idraulica e della viabilità rurale nel comprensorio di Vallo della Lucania e in
quello dell’Alento.
La classe dirigente cilentana ha manifestato:
a) divisioni, contrasti e rivalità che sono state più forti delle ragioni di unitarietà e
solidarietà;
b) mancanza di uno spirito di squadra, della capacità di condividere una visione, un
progetto, della passione civica e della capacità realizzativa;
c) propensione ad accontentarsi di iniziative scollegate fra loro quando si tratta di
valorizzare le numerose risorse del territorio (mare, natura, acqua, ambiente, risorse umane, beni culturali ecc.);
d) scarso interesse per le strutture di servizio orientate alla formazione, alla ricerca e
all’innovazione.
Tutto questo ci testimonia di una classe dirigente che finora è stata incapace di indicare un senso di marcia per la società cilentana nel suo complesso e non ha espresso
una cultura di governo degna del nome.
Certo, le cose possono cambiare. Saranno i cilentani ad avere interesse a un cambiamento complessivo.
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Capitolo terzo
Fare il primo passo: la “Fondazione Alario”
S
econdo i cultori delle scienze sociali, la superiorità del sistema economico-sociale
dei paesi europei e del centro-nord d’Italia è da ascriversi, per buona parte, alla presenza sui loro territori di una pluralità di organismi no profit (associazioni, fondazioni, cooperative, volontariato ecc.) che hanno concorso a irrobustire lo spirito civico,
fatto d’impegno, di responsabilità e di partecipazione diretta nella politica e nella
società. Essi, con la loro attività, hanno contribuito a creare un ambiente, una cultura,
delle abitudini alla collaborazione, alla cooperazione e alla concertazione. La presenza
di tali soggetti organizzati si è tradotta nella capacità delle popolazioni di organizzarsi
autonomamente, per i fini più banali, come per quelli più importanti, senza invocare
l’intervento dello Stato o delle istituzioni pubbliche.
Si è sviluppata, in altre parole, la capacità di autogoverno, fondata sulla fiducia reciproca e l’impegno individuale. Grazie alla costruzione del capitale sociale prodotto
dalle istituzioni non profit, esiste nelle regioni italiane del centro-nord una società
civile con forti capacità di autogoverno.
Invece la società civile nel nostro Mezzogiorno langue essendo mancata, troppo spesso, la capacità di scommettere in iniziative “immateriali” finalizzate a valorizzare le
risorse del territorio e in iniziative non profit. Come ho accennato, per fare questo
non basta una ventata di ottimismo, bisogna essere disposti a guardare un po’ lontano, bisogna cominciare concretamente a unire le forze e partire… ma il primo passo
è sempre quello più difficile.
Anni fa, consapevole che il futuro del Cilento dipende in gran parte dal rafforzamento del capitale sociale e dalla presenza di strutture di servizio capaci di valorizzare
economicamente anche le opere realizzate negli anni ’70-’90 dal Consorzio Irriguo e
dal Consorzio di Bonifica Velia, mi posi l’obiettivo di rafforzare l’infrastrutturazione
sociale del Cilento. Come? Con la nascita di una pluralità di nuovi soggetti che, benché senza scopo di lucro, condividessero una comune strategia di valorizzazione delle
risorse del territorio. attraverso servizi ed iniziative imprenditoriali.
Sono così nate:
- la Fondazione Alario,
- la Banca del Cilento,
- la società Idrocilento,
- la società del Patto Territoriale Sistema Cilento,
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- il Confidi Cilento,
- la società Iside,
- la società SIPAT,
- la Cooperativa “Cilento Servizi”,
- la società Elea Congressi.
Ognuna di queste aziende cilentane è opportunamente collegata con le altre e tutte
insieme, anziché muoversi in modo solitario e ciascuna per proprio conto, hanno
deciso di agire in rete, di fare sistema, di fare massa critica e di ragionare insieme per
giungere a condividere gli obiettivi da perseguire, come se costituissero “un’agenzia
operativa di sviluppo per il territorio”, essendo consapevoli delle opportunità di agire
in maniera sinergica.
In particolare la società Idrocilento è stata pensata in modo tale da colmare tale
vuoto, dopo aver preso atto della mancanza di iniziativa e di presenza che esiste a
livello locale in alcuni settori di interventi rilevanti, dando vita ad una rete di soggetti nuovi.
La nascita dei predetti soggetti trova la sua ispirazione nelle seguenti finalità:
• dotare il territorio di istituzioni capaci di svolgere servizi innovativi e legittimati a
partecipare ai bandi regionali e nazionali sulla ricerca, sull’innovazione tecnologica e sulla formazione, per catturare anche risorse finanziarie esterne che, diversamente, non sarebbero giammai arrivate sul territorio;
• potenziare i servizi reali alle imprese;
• investire in loco parte della disponibilità di Idrocilento per aumentare i beni pubblici e il capitale sociale;
• incrementare il lavoro produttivo rispetto alla rendita (da pensione o da affitto di
seconde case e/o di terreni);
• rafforzare l’infrastrutturazione sociale per ridurre anche in questo settore il divario del Cilento con territori del Centro-Nord;
• realizzare nella gestione dei nuovi soggetti una netta inversione di rotta rispetto
alla gestione delle imprese pubbliche, che in Campania, anziché creare ricchezza,
valore aggiunto, nuove opportunità di lavoro e di occupazione, hanno di fatto
rinunziato alla loro funzione produttiva e privilegiato l’assistenzialismo;
• promuovere lo sviluppo locale attraverso un ventaglio di più strumenti tenendo
presente che esso è un processo complesso e che vede il concorso di diverse componenti.
Pur svolgendo, ormai da tempo, funzioni importantissime in vari settori (acqua, elettricità, credito, cultura…) questi organismi sono sconosciuti alla stragrande maggioranza dei cittadini cilentani. È quindi opportuno comunicare il senso del loro ruolo, le
ragioni della loro esistenza e della loro utilità sociale. Infatti la conoscenza è un passo
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importante per rendersi conto del ruolo sociale che questi organismi hanno svolto e
svolgono nel promuovere lo sviluppo civile ed economico della comunità cilentana.
Per cui non basta esserci ed operare, c’è anche bisogno di cominciare a far conoscere
che essi costituiscono una serie di realtà importanti, dal momento che forniscono un
concreto sostegno delle iniziative di utilità sociale per ovvie esigenze di trasparenza e
motivazione delle scelte.
Ora mi propongo, perciò, di portare la vostra attenzione su alcune di queste realtà
positive del Cilento, e anzitutto sulla Fondazione Alario, che in un certo senso costituisce il perno del sistema.
La Fondazione Alario per Elea-Velia
Questa Fondazione è stata costituita, su mia proposta, con atto notarile del 6 giugno
1986 dalla signorina Gaetana Alario, ultima erede di un’illustre famiglia cilentana. Da
allora sono passati appena venticinque anni, ma è bene ricordare che, all’epoca, nel
Mezzogiorno le fondazioni non esistevano, men che meno quelle di natura culturale
e formativa.
L’obiettivo fu (ed è) di dotare il territorio di uno strumento dedicato alla crescita endogena attraverso la cultura, la formazione e la ricerca. L’intuizione nacque nel quadro dell’intensa attività infrastrutturale svolta dal Consorzio Velia e dal Consorzio
Irriguo di Vallo della Lucania per dotare il territorio della risorsa acqua per tutti gli usi.
All’indomani della realizzazione del sistema Carmine-Nocellito, del sistema Palistro
e dell’avvio della costruzione della diga dell’Alento, si prese atto che il programma
di opere realizzate e in corso di realizzazione non avrebbe consentito al Cilento di
conseguire un sostanziale progresso, se non fosse stato integrato e completato da
un’incisiva azione a livello culturale e formativo, nonché dall’efficacia dell’azione amministrativa e dall’avanzamento della società civile sul piano della consapevolezza del
suo ruolo.
Infatti nel Cilento, prima dell’avvio della Fondazione, mancava perfino ogni tradizione di formazione professionale che non fosse quella scolastica degli istituti secondari
superiori. E la conseguenza era l’emigrazione proprio di chi ci teneva a qualificarsi,
come se per potersi affermare fosse necessario emigrare come minimo a Salerno o
meglio ancora a Napoli, a Roma o a Milano.
In sostanza, alla fine degli anni Ottanta intuii che realizzare dighe, impianti irrigui,
strade ecc. non poteva sbloccare la situazione se, nel contempo, non si operava un
mutamento di mentalità e di comportamento, se non si incentivava la competizione
imprenditoriale indirizzando le imprese lungo direttrici di efficienza e di produttività.
Per promuovere lo sviluppo di un’area, le dotazioni infrastrutturali e le opere fisiche, i
servizi finanziari e sociali, le opportunità che danno modo di produrre nuova ricchez-
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za e creare nuove opportunità di lavoro e di occupazione costituiscono una risorsa
senza dubbio preziosa, ma non bastano. Ci vogliono anche le istituzioni che incidono
sulle risorse umane, che contribuiscono al mutamento di mentalità e di comportamento delle persone. Infatti un’ormai lunga esperienza mi dimostrava che da soli
gli interventi infrastrutturali e materiali non danno frutti se non sono preceduti o
accompagnati da un’adeguata preparazione culturale e formativa.
A questa prima motivazione se ne aggiunse un’altra: quella di valorizzare, nel ricordo
della famiglia Alario, la memoria della grande civiltà eleatica.
Il Cilento oggi è un territorio in ritardo di sviluppo, però la storia di Elea-Velia ci presenta un Cilento ben diverso, non sottosviluppato, ma anzi all’avanguardia. È vero
che, a questo scopo, dobbiamo risalire indietro di duemila e cinquecento anni, ma a
quell’epoca, a un passo da Ascea Marina, ci fu una città straordinaria, Elea, con personalità di prim’ordine come Senofane, Parmenide e Zenone, che veramente hanno
dato un impulso straordinario non a Elea, non alla Campania, ma al mondo intero,
per aver elaborato idee e teorie che hanno influenzato e connotato profondamente
la civiltà occidentale moderna. Infatti è ormai assodato che la scuola filosofica di
Elea e la cultura di avanguardia delle altre città magnogreche del Mezzogiorno hanno fatto da punto di partenza e di base della civiltà e della cultura di tutto il mondo
occidentale.
Non per nulla un grande studioso dei nostri tempi, il professor Barnes, ha potuto
dichiarare che «la piccola cittadina di Elea ha dato alla filosofia un contributo maggiore di quanto abbia fatto la grande metropoli di Roma». Non per nulla all’inizio del
2011 si è presa la decisione di far incidere questa frase su una grande pietra collocata
all’ingresso della Fondazione1. Questa iscrizione ci ricorda dunque che Elea ha uno
straordinario valore immateriale da tutelare.
C’è poi una seconda iscrizione, che è stata realizzata insieme alla prima ed è stata
collocata nell’area interna della Fondazione. Questa seconda iscrizione è significativa
da un altro punto di vista: ci ricorda che l’altro grande maestro di Elea, Zenone, non
sentì per niente il bisogno di allontanarsi dalla sua città, e infatti non volle trasferirsi
nella grande metropoli dei suoi tempi, Atene. Anche questa iscrizione dice una cosa
importante: non è necessario che uno debba emigrare per qualificarsi ed esprimere
il suo valore.
Voglio però ricordare anche altre tre cose. La prima: da alcuni decenni non passa
anno senza che venga pubblicato qualche nuovo libro su Parmenide, anzi ultimamente succede che si pubblichino addirittura tre o quattro libri su Parmenide in un
1. La realizzazione della preziosa incisione è stata affidata a un eccellente artista di Ascea, Pino Fortunato, con la
supervisione dell’Arch. Antonio Irlando.
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solo anno. Anche questo è grande riconoscimento, perché vuol dire che il mondo sa
bene chi è Parmenide di Elea.
Ed ora la seconda cosa. Nel 2008 un famoso regista giapponese ha fatto un film che si
intitola Achille e la tartaruga e l’ha presentato al Festival del Cinema di Venezia. Cosa
significa tutto questo? Che in tutto il mondo la gente conosce la storia di Achille e
la tartaruga, e si sa pure che è una storia inventata da Zenone (se così non fosse, egli
non avrebbe scelto questo titolo!). Molti sanno perfino che Zenone era originario di
Elea. Ma quanti sanno dove si trova Elea? Pochi, lo sanno solo alcune categorie di specialisti, archeologi e filosofi. Però – ed è la terza cosa – si è appurato che molti filosofi
di tutto il mondo vorrebbero recarsi ad Elea e ogni tanto c’è qualcuno che realmente
fa questa sorta di silenzioso pellegrinaggio. Ora poiché, su impulso della Fondazione
Alario, il Comune di Ascea ha cominciato ad attribuire la cittadinanza onoraria di
Elea ad insigni studiosi, questo anomalo pellegrinaggio si è rafforzato: molti specialisti accarezzano l’idea che forse un giorno toccherà anche a loro di ricevere l’ambita
cittadinanza onoraria.
È dunque evidente che per i cilentani è importante rendersi conto della miniera d’oro
che hanno sotto i loro piedi da più di duemila anni e che si chiama Elea. Ma le miniere da sole non tirano fuori il loro oro. Bisogna organizzarsi per andarselo a prendere.
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Non basta. Bisogna fare qualcosa per inculcare nella mente dei cilentani l’orgoglio
delle origini e portarli a trovare a poco a poco la strada giusta.
È la popolazione che deve prendere cognizione del fatto che la Scuola eleatica costituisce il fondamento della sua specificità e della sua identità culturale. E questo è un
motivo di grande orgoglio, troppo spesso ignorato, svalutato o addirittura incompreso. Di contro, invece, la scuola filosofica di Elea-Velia continua a richiamare ancora
oggi l’attenzione e la riflessone degli studiosi del pensiero antico di tutto il mondo
per aver dato un enorme contributo alla storia universale e per aver influenzato e
connotato profondamente la civiltà occidentale moderna.
Elea-Velia, essendo il luogo originario di una grande civiltà del mondo, va fatta conoscere così com’è oggi, con le sue bellezze e il suo messaggio ai giovani europei ed
extra-europei.
La valorizzazione della memoria di Elea-Velia finora è stata colpevolmente rimossa,
trascurata e disattesa. È tempo di recuperare questo patrimonio perché rappresenta
un formidabile punto di forza capace di aumentare in maniera considerevole il numero di visitatori e turisti nel Cilento. È un valore in sé che non ha bisogno di artifici
pubblicitari per essere offerto. Ma, a ben vedere, fino ad oggi ha prodotto pochissimo
in termini economici perché i visitatori, ahimé, si fermano ai templi di Paestum.
La Fondazione Alario, consapevole della forza attrattiva e di richiamo che ha Elea–
Velia, dopo aver svolto una pluralità di convegni su Parmenide e sugli altri antichi
maestri, ha contribuito all’elaborazione del piano di interventi per Elea-Velia, come
grande attrattore, senza trascurare la formazione di giovani con competenze adeguate per inserirli nelle attività di valorizzazione del patrimonio artistico e storico
dell’area cilentana.
Si è trattato, insomma, di impostare un’azione articolata su due piani: da un lato
sostenere la formazione di giovani competenti, dall’altro riannodare i contatti con
chi sa bene che grandi personaggi sono stati Parmenide e Zenone, e dove si trova
geograficamente Elea.
Le diverse fasi della Fondazione:
il grande contributo di Ubaldo Scassellati
Adesso permettetemi di fare un passo indietro e di parlarvi brevemente del percorso
che ha portato alla nascita della Fondazione e alla sua configurazione attuale.
Proprio la consapevolezza del formidabile potenziale che era legato alla cultura e civiltà eleatica mi spinse a suggerire alla signorina Gaetana Alario di dare al suo palazzo
di Ascea una destinazione culturale e formativa.
Avuto l’assenso della proprietaria, predisposi lo schema dello statuto e dell’atto costitutivo. Il 6 maggio 1986, nella sede del Consorzio Velia, in Salerno, venne redatto
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a mezzo del notaio Carlo Alberto Festa l’atto notarile di costituzione della Fondazione Alario. Si trattava di un nuovo soggetto che, oltre a proporre la conoscenza, la
valorizzazione e la divulgazione della civiltà eleatica, si proponeva di promuovere la
formazione e la qualificazione professionale dei giovani verso impieghi concreti nel
mondo del lavoro e altre iniziative capaci di ampliare la base produttiva e l’occupazione attraverso la diffusione di cultura civica, di cultura di gestione d’impresa e di
mercato, e la promozione di nuova imprenditoria.
Nella fase di avvio, a dare un contributo di prim’ordine al corretto inserimento della
Fondazione Alario nel sistema Cilento e al suo effettivo decollo fu il dottor Ubaldo
Scassellati, una personalità di grande rilievo che, fra l’altro, era stato direttore della Fondazione Giovanni Agnelli a Torino. Ho incontrato per la prima volta il dottor
Scassellati ai primi di settembre del 1993. Egli così descrive l’incontro nell’intervista
sulla cultura dello sviluppo locale riportata nel Manifesto per lo Sviluppo locale di
Giuseppe De Rita e Aldo Bonomi:
«Arrivato a Salerno … ho dovuto cercare di capire quali fossero i problemi del territorio della Provincia di Salerno, e l’unica area dove ho incontrato chi avesse una visione
dei problemi del territorio e di come affrontarli era il Cilento, nella persona dell’avvocato Chirico ... Il problema dell’acqua aveva in Cilento una sua realtà consistente,
perché il territorio era sottoposto a una concentrazione delle piogge in periodi molto
brevi e, quindi, doveva essere gestito contro le frane e le alluvioni. Basta dire che la
città greca di Elea è stata distrutta più volte nella sua storia da alluvioni che hanno ricoperto di fango gli edifici. Chirico aveva capito che la cosa fondamentale era
accumulare l’acqua di superficie e non gravare sulle sorgenti. Aveva quindi puntato
sulle dighe, sull’uso plurimo, sulle condotte per il trasporto dell’acqua potabile e non
potabile, e sulle reti di distribuzione interconnesse. Così otteneva vari benefici. Innanzitutto, eliminava il pericolo delle alluvioni; in secondo luogo, aveva l’occasione per
sistemare la situazione idraulica del territorio; in terzo luogo, disponeva della risorsa,
durante il periodo primaverile ed estivo, quando la domanda di acqua potabile e d’irrigazione diventa alta. Infine, l’acqua poteva essere utilizzata negli altri mesi dell’anno
per generare elettricità, contribuendo al finanziamento della spesa della direzione del
Consorzio. Chirico aveva capito, aveva formulato un programma e l’aveva attuato,
via via utilizzando le occasioni e accumulando un adeguato know-how in materia di
finanziamenti pubblici e della loro corretta gestione. Chirico, quindi, non disponeva
solo della struttura del Consorzio di bonifica, ma era anche colui che aveva gli strumenti per finanziare e portare a termine le opere. Quando dico che Chirico aveva gli
strumenti per fare questo, dico che è stato capace di organizzare un progetto integrato Alento, in cui via via ha recuperato fondi dall’Agensud, dall’Unione Europea e dal
POR Campania, dalla Regione Campania, dal Ministero dell’Agricoltura. Tra due-tre
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anni tutte le opere necessarie per realizzare un esteso progetto d’irrigazione con le
acque del fiume Alento e dei suoi affluenti saranno state portate a termine.»
Ubaldo Scassellati è un grande protagonista dello sviluppo locale e verso di lui nutro stima ed ammirazione. È vero che il nome di Scassellati ricorre poche volte negli
scritti dedicati allo sviluppo locale, però è pur vero che egli, insieme a Giuseppe De
Rita, ha fatto militanza per lo sviluppo locale per moltissimi anni, a partire dal 1951,
allorché cominciò a lavorare come responsabile delle ricerche sociali dell’INACASA,
successivamente come collaboratore per i programmi di infrastrutture formative del
Comitato dei Ministri presieduto da Giulio Pastore, poi come direttore della Fondazione Giovanni Agnelli (dal 1966 al 1974), ed infine come presidente della Fondazione
Alario per Elea-Velia (dal 1994 al 2002).
Egli è stato tra i primi a sostenere che, per risolvere la “questione meridionale”, non
sono sufficienti le infrastrutture materiali, ma occorre un’azione integrata e globale
che presti la dovuta attenzione al fattore umano e quindi alla crescita culturale e
sociale nei singoli territori.
Nel corso del mio primo incontro a Salerno con Scassellati, rimasi favorevolmente
impressionato dalla tesi che sosteneva, secondo cui la “questione meridionale” era
rimasta irrisolta perché l’intervento straordinario aveva puntato prevalentemente su
interventi incentrati sulle dotazioni infrastrutturali (viabilità, dighe ecc.) e non sulle
cause dell’arretratezza e del sottosviluppo.
Interessato allo sviluppo dell’area cilentana, e preso atto dell’originalità della tesi di
Scassellati, gli proposi di assumere la presidenza della neonata Fondazione Alario.
La scelta fu quanto mai felice perché Scassellati ha avuto il grande merito di aver
disegnato le linee della politica culturale e formativa della Fondazione, e di averla
fatta operare come struttura avente come missione l’elaborazione e la diffusione della
cultura orientata dallo sviluppo locale e cioè:
• alla valorizzazione di tutte le risorse del territorio;
• all’integrazione delle attività produttive – agricoltura, artigianato, turismo, servizi
– così da generare reddito e migliorare la qualità della vita delle persone sul territorio cilentano;
• alla creazione di occupazione;
• al recupero di condizioni socio-economiche grazie alle quali le risorse umane non
sono obbligate – per poter lavorare – ad andare a vivere fuori del Cilento.
Nell’ambito di tali orientamenti, Scassellati aprì la Fondazione alla collaborazione con
quasi tutti gli enti operanti sul territorio. A riguardo si ricordano le seguenti iniziative:
1) il Patto Territoriale del Cilento Centrale negli anni 1994-1997;
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2) la prima promozione della “Bandiera Blu” presso i comuni della costa cilentana nel
1997;
3) la collaborazione con i sei comuni dell’Intesa di Programma “Giasone” (Vallo della
Lucania, Casal Velino, Gioi Ciento, Pisciotta, Pollica e Stella Cilento) per la attuazione del progetto formativo sperimentale “Chirone” per diplomati da tempo in
cerca di prima occupazione;
4) l’elaborazione, per conto del Comune di Ascea, del progetto sul Grande Attrattore
Paestum-Velia con riferimento all’area archeologica. Tale progetto ha individuato i
detrattori urbanistici e paesaggistici da eliminare e le infrastrutture finalizzate da
realizzare (2001);
5) la proposta di eliminazione del deficit di produzione locale allo scopo almeno di
soddisfare la domanda interna di prodotti agro-alimentari durante la “stagione
turistica”;
6) un modello per l’agricoltura basato su un uso razionale delle infrastrutture irrigue
realizzate, funzionale alle concrete esigenze del mercato;
7) il laboratorio per lo sviluppo locale.
Debbo pure dare atto che Scassellati ha operato, con un salario affettivo, avvalendosi
di alcune collaborazioni per lo più volontarie, e che ha lasciato una grande eredità
immateriale.
Da ultimo, non si può non ricordare il libro Una storia cilentana (2004), nel quale
ripercorre il ruolo da me svolto alla presidenza del Consorzio Velia, del Consorzio
Irriguo e degli altri soggetti nati negli ultimi quindici anni.
Sia per tale impegno, sia per l’attività svolta con dedizione, passione e professionalità
prima come presidente della Fondazione e poi come direttore del Laboratorio per lo
sviluppo locale, voglio esprimere pubblicamente gratitudine e riconoscenza a Ubaldo
Scassellati.
Il cammino percorso dalla Fondazione, dalla nascita ad oggi, non è stato affatto facile. Anzi l’avvio è stato molto difficile avendo dovuto definire preliminarmente il suo
campo di attività. Tuttavia il percorso è contraddistinto da due periodi:
a) il primo, che va dal 1986 fino al 1998, è stato utilizzato per:
• far redigere (a cura dello studio Portoghesi-Gigliotti di Roma) il progetto di restauro del palazzo Alario e di costruzione dell’auditorium, del teatro all’aperto e
della piazza;
• acquisire la concessione edilizia ed il finanziamento per la realizzazione del progetto;
• redigere un documento programmatico contenente le possibili linee di sviluppo e
le attività della Fondazione;
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• dar vita ad un’organizzazione interna capace di perseguire gli obiettivi sopra indicati;
• ottenere il riconoscimento giuridico della Fondazione da parte del Presidente della Giunta Regionale Campana con decreto n. 350/1988;
• iscrivere la Fondazione nel Registro delle persone giuridiche presso il Tribunale di
Salerno e farla inserire, da parte della Regione Campania, nella tabella degli «enti,
istituti, centri, fondazioni, associazioni che operano, in ambito regionale, per la
promozione di attività di rilevante interesse culturale ed educativo»;
• procedere alla ristrutturazione del palazzo Alario e alla costruzione delle strutture
di supporto (auditorium di 350 posti, teatro all’aperto ispirato a quello dell’Acropoli di Atene, foresteria, passeggiata filosofica, piazza monumentale, spazi verdi,
parcheggio, cioè cinque tessere di un nuovo grande spazio).
È rilevante pure la destinazione dei locali, resi agibili per le diverse tipologie di attività.
Sono state realizzate sale convegni e aule didattiche, sale per lavori di apprendimen-
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to in gruppo, stanze di studio individuali, biblioteche per la consultazione di libri, di
microfilm e predisposti strumenti informatici di accesso alle grandi banche dati nazionali ed internazionali. Invece i locali al piano terra – in passato scuderie, magazzini,
mulino, frantoio, forno, officina – sono stati destinati ad attività di servizi culturali
aperti alla fruizione attiva.
Il secondo periodo, che va dal 1998 ad oggi, è stato utilizzato per affrontare e risolvere
numerosi problemi, tra cui si ricordano i seguenti:
a) la sottoscrizione di un accordo di programma tra alcuni organismi della società
civile e la Provincia di Salerno per assicurare alla Fondazione le risorse finanziarie
atte a sostenere i costi fissi e di funzionamento;
b) l’acquisizione del know how necessario per operare in maniera autonoma, per
elaborare progetti e farli finanziare con fondi europei, nazionali e regionali, e per
assolvere alle rendicontazioni amministrative;
c) l’avvio di attività varie e la gestione di numerosi progetti;
d) la messa a norma ai sensi della legge sulla sicurezza dell’intero complesso e di tutti
gli impianti;
e) l’inserimento della Fondazione nell’elenco delle ONLUS;
f) l’accreditamento della Fondazione come ente di formazione da parte dell’Assessorato all’Istruzione e alla Formazione della Regione Campania;
g) l’approvazione di un nuovo Statuto della Fondazione che – oltre a rafforzare la
previsione di molteplici opzioni possibili finalizzate a creare un ambiente favorevole e pre-condizioni adeguate al pieno utilizzo delle risorse del territorio – ha
accentuato il carattere democratico dell’ente, prevedendo la partecipazione e il
controllo degli enti locali;
h) l’inserimento della Fondazione nella tabella degli enti, istituti, centri pubblici di
ricerca, Dipartimenti, Fondazioni e Associazioni culturali di rilevante interesse regionale;
i) la costituzione di una biblioteca specializzata sulla Magna Grecia e in particolare
sui filosofi eleatici;
l) l’organizzazione di un congresso specialistico annuale, denominato Eleatica.
La missione della Fondazione
Lo Statuto all’art. 2 definisce e determina i fini ultimi e le ragioni della sua esistenza.
Gli scopi principali sono:
• promuovere e diffondere la conoscenza della civiltà eleatica che ha fatto e fa sentire la sua influenza ed ispirazione fino ai giorni nostri, avendo dato un contributo
di prim’ordine alla civiltà occidentale;
• valorizzare la storia del Cilento come fondamento di identità culturale;
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• valorizzare i beni ambientali e paesaggistici che caratterizzano l’area del Cilento;
• valorizzare le risorse umane attraverso la formazione permanente, la promozione
imprenditoriale, la qualificazione professionale scientifica e tecnica contribuendo
così allo sviluppo del territorio cilentano;
• operare come organizzazione non lucrativa – ONLUS – finalizzata alla diffusione
della cultura orientata allo sviluppo locale e cioè:
- alla valorizzazione delle risorse del territorio;
- allo sviluppo delle attività produttive così da generare reddito;
- alla creazione di occupazione.
La Fondazione Alario, dunque, oltre a perseguire l’obiettivo della conoscenza, valorizzazione e divulgazione della civiltà eleatica e della storia propria dei cilentani, si
è autocandidata a favorire un salto di qualità della realtà cilentana promuovendo
la formazione e la qualificazione imprenditoriale dei giovani e creando una diversa
organizzazione del modo di essere cittadini a tutti i livelli: politico, amministrativo
ed economico.
È pacifico che il capitale umano sia una delle risorse critiche per lo sviluppo dell’economia. Il miglioramento del capitale umano alimenta le capacità produttive del lavoro locale e, di conseguenza, crea occasioni per promuovere la crescita delle produzioni, della domanda di lavoro, dei redditi e della domanda globale: ossia mette in moto
un circolo virtuoso di sviluppo “autopropulsivo” di lungo periodo.
Nell’ambito delle molteplici opzioni possibili previste dallo Statuto, l’obiettivo principale della Fondazione resta quello di favorire lo sviluppo socio-economico del territorio cilentano:
• potenziando e arricchendo il capitale umano di conoscenze, competenze professionali ed esperienze;
• potenziando la cultura d’impresa, di gestione, e di mercato;
• coltivando il capitale sociale e l’etica della responsabilità attraverso iniziative formative, seminari, campagne di sensibilizzazione, studi e ricerche;
• valorizzando le risorse economiche locali con particolare attenzione all’agricoltura biologica, al turismo, all’industrializzazione sostenibile;
• promuovendo a livello nazionale ed internazionale le risorse culturali ed ambientali locali, quali fattori di crescita civile e di volano del turismo di qualità;
• riannodando i legami con gli esperti di filosofia eleatica e altri intellettuali sparsi in
tutto il mondo.
Nell’ambito dei predetti settori, merita una particolare attenzione la crescita del capitale sociale perché solo con essa il territorio potrà superare le criticità che ancora
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ne impediscono lo sviluppo, quali l’individualismo, la sfiducia, la non collaborazione,
il clientelismo, il municipalismo.
Sin dalla costituzione, la Fondazione Alario è apparsa un fenomeno “insolito” perché
ha fondato la sua missione su un concetto ampio di cultura, intesa come agente di
cambiamento. La sua vocazione statutaria, infatti, è di cambiare la cultura della classe
dirigente locale nelle sue manifestazioni politiche, imprenditoriali e di servizio.
La Fondazione, nel suo atto di nascita, si configura in modo diverso rispetto alla
maggioranza delle fondazioni esistenti in Italia o all’estero, tese fondamentalmente
a promuovere azioni meritorie nel campo della cultura, dell’arte e della ricerca per
celebrare la memoria dei fondatori. Si è voluta un’istituzione diversa, che cercasse di
fare incontrare il pubblico ed il privato, in uno sforzo di collaborazione, per affrontare un tema concreto e reale: quello dello sviluppo dell’area che necessariamente
presuppone anche il recupero e la conoscenza della cultura d’impresa, il recupero
dei valori della tradizione e della propria storia, ed il rilancio della professionalità dei
quadri locali, pubblici e privati. D’altra parte, chi meglio della Fondazione Alario può
innescare una vera e propria reazione a catena finalizzata a mettere in valore il prestigio che viene comunemente riconosciuto a Elea? Infatti i cilentani se ne erano quasi
dimenticati e ci sono voluti anni per riscoprire poco a poco l’importanza dell’area archeologica e l’altissimo valore culturale degli antichi maestri di Elea. Ma chi, in questi
anni, si è mobilitato per tenere di nuovo alta la bandiera di Elea? Non c’è dubbio: la
Fondazione Alario!
La Fondazione, dunque, non è esattamente un centro di studio, ma un’istituzione che
si adopera per affiancare ed aiutare gli enti locali a promuovere lo sviluppo attraverso
la cultura e la formazione, nonché lo studio e la divulgazione della storia e della civiltà
eleatica ed altre iniziative. Essa si configura come un centro di elaborazione ed attuazione di progetti finalizzati a irrobustire il tessuto economico, sociale e culturale del
territorio, prevalentemente orientati alla formazione del capitale umano, alla ricerca
applicata delle problematiche locali, alla valorizzazione della cultura. Infatti la Fondazione, convinta che il declino del Cilento sia causato soprattutto da una carenza
di cultura e poi di economia, si è strutturata, come sarà evidenziato più avanti, per
erogare servizi culturali e formativi alla società locale.
La strada tracciata è poco nota ma, secondo gli studiosi delle scienze sociali e secondo molti meridionalisti, l’opera di trasformazione del Mezzogiorno, e specialmente
delle zone più arretrate, non avrebbe validi effetti senza la memoria d’origine, senza
una rinascita della cultura, che è poi il problema dell’istruzione, umanistica oltre che
professionale, e dell’elevazione culturale di quelli che devono essere, prima che i beneficiari, i protagonisti del desiderato ed auspicato sviluppo dell’area cilentana: i suoi
cittadini.
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È ormai pacifico che tra sviluppo culturale e sviluppo economico vi è un legame molto stretto: in un territorio che non sia culturalmente evoluto, non è possibile ottenere
un grande sviluppo sociale ed economico. Non è necessario addurre esempi per dimostrare che, laddove vi siano situazioni di arretratezza culturale, vi è pure assenza
di iniziative economiche, e quand’anche queste vi siano stentano a svilupparsi per
l’inadeguatezza e l’impreparazione dei residenti.
In conclusione si può affermare che il Cilento dispone oggi di uno strumento in più
per la sua crescita culturale e quindi per lo sviluppo del territorio, per l’aggregazione
e per il rafforzamento dell’etica sociale, oltre che per la valorizzazione del patrimonio
culturale di Elea e la sua promozione turistica.
È ormai assodato che la nascita della Fondazione costituisca un altro passo fondamentale verso la crescita endogena del Cilento, specie se si considera che essa ha
iniziato il suo cammino da pochi anni, alimentando la diffusione del sapere, la veicolazione delle idee, il valore della memoria del passato, i contatti con un numero
crescente di studiosi italiani e stranieri.
Le attività culturali svolte dalla Fondazione
È opportuno ricordare il contributo dato dalla Fondazione al fine dell’avanzamento
della società cilentana dal 1994 ad oggi.
Quando ancora non era pronta la sede di Marina di Ascea, la Fondazione ha iniziato
la sua attività nel 1994 a Salerno presso la sede del Consorzio Velia e, a Vallo della
Lucania, presso la sede del Consorzio Irriguo, partecipando all’elaborazione del progetto naturalistico-ambientale dell’Oasi Alento a valle e a monte della diga di Piano
della Rocca.
Successivamente e in collaborazione con il Consorzio Velia, ha contribuito alla promozione del Patto Territoriale del Cilento, effettuando la lettura del territorio, avviando la concertazione con le istituzioni locali, i sindaci e gli imprenditori, conducendo
l’indagine conoscitiva e facendo ricerche sul campo.
Il Patto Territoriale partì, nella fase di avvio, comprendendo solo gli 11 comuni con
cui, all’epoca, il Consorzio Velia interagiva, in attesa che il comprensorio dell’ente venisse esteso a tutto il bacino comprendente 37 comuni. Il CNEL spinse ad allargare
l’area del Patto e in successive fasi l’area interessata passò da 11 a 48 comuni, con
l’ingresso delle comunità montane operanti sul territorio.
Nel dicembre 1994 venne pubblicato il primo volume con il titolo Per il Patto territoriale del Cilento Centrale, e successivamente un nuovo documento di carattere orientativo con il titolo Programma di Sviluppo per il patto territoriale del Sistema Cilento.
Grazie al lavoro di promozione, di sensibilizzazione e di elaborazione della Fondazione, il Cilento, per la prima volta, si è potuto dotare di un piano di sviluppo globale,
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cioè di un modello di sviluppo economico ed urbanistico, compatibile con le caratteristiche e la vocazione del territorio. Non si trattò di un lavoro semplice perché fu
necessario un grosso sforzo di immaginazione e di analisi per delineare il disegno.
Infatti il modello di sviluppo elaborato venne rivolto alla valorizzazione di tutte le
componenti sociali e produttive che il contesto territoriale è in grado di esprimere.
Con tale lavoro venne superata la logica dello sviluppo settoriale, individuando un
insieme integrato di risorse di cui il settore primario non è che una componente, sia
pure di peso rilevante.
La Fondazione ha rapidamente “allungato il passo” una volta installata nella sua nuova sede nel 1997 ed è partita anzitutto l’offerta di corsi di formazione pensati per venire incontro alle più diverse esigenze dei cilentani, giovani e meno giovani. La Fondazione, inoltre, ha svolto una serie di corsi di formazione, tra cui si ricordano i progetti
Materra, Aliante, Leucotea, Lisistrata, Chirone. Va però detto che nelle citate attività
di formazione non si è riusciti a proporre il tema dei “beni sociali” né ad approfondire
i bisogni del territorio per mancanza di risorse finanziarie.
Ma è subito cominciata anche l’attività sul fronte della riscoperta dei grandi maestri
eleatici. Già nell’estate del 1997 si è tenuta la prima edizione della “Scuola Estiva di
Studi Superiori” in collaborazione con il Comune di Ascea e con il benemerito Istituto di Studi Filosofici di Napoli. Questi appuntamenti annuali sono continuati fino
al 2003 dopodiché, nella sede della Fondazione, ha preso il via Eleatica, un incontro
annuale che è rapidamente diventato importante, conosciuto e apprezzato. L’intenzione era di riportare a Elea professori e studenti, e così cominciare a utilizzare di nuovo la “miniera d’oro”, ossia l’universale prestigio di Zenone e Parmenide. La formula
prescelta si è rivelata non solo originale ma anche valida e un po’ alla volta molte altre
cose sono fiorite attorno a Eleatica. Ecco un primo elenco:
- una media di cinquanta presenze ad ogni edizione di Eleatica, con abbondante
partecipazione di stranieri, in particolare dall’America Latina;
- pubblicazione di un libro corrispondente ad ogni edizione di Eleatica, libro che si
pubblica addirittura in Germania;
- pubblicazione sia di articoli sui giornali della Campania e nazionali, sia di svariate
“cronache” di questi incontri in numerose riviste specializzate, italiane e straniere;
- contatti sempre più regolari con i docenti di filosofia italiani;
- premi per le tesi di laurea;
- progressivo aumento dei libri di filosofia che arrivano in dono e vanno ad arricchire la biblioteca della Fondazione;
- collaborazione con la Soprintendenza Archeologica.
Oltre a questo, dobbiamo sottolineare l’importanza del conferimento della cittadi-
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nanza onoraria di Elea-Velia ad opera del Comune di Ascea e con l’attivo coinvolgimento della Fondazione. Questa iniziativa si è subito rivelata significativa non solo
perché si tratta di una onorificenza molto ambita, ma anche perché è fonte di orgoglio per la popolazione; a chi non fa piacere constatare che un professore francese o
americano ci tiene moltissimo a diventare concittadino ed è orgoglioso di mettere
radici proprio nel Cilento? Infatti questo è esattamente il contrario che “scappare” dal
Cilento per emigrare in altre terre, quindi è anche un simbolo, un messaggio per tutta
la popolazione della zona. In questo senso è significativo che nel 2011, quando si è
trattato di conferire la cittadinanza ad altri due studiosi, la scuola media “Parmenide”
di Ascea si è esibita negli scavi con la sua dinamica orchestra giovanile, coinvolgendo
anche le famiglie.
Intanto si alimenta la curiosità tra i filosofi e il desiderio di venire da noi, di portarci i
propri alunni e di venire a fare cose interessanti proprio qui. Per loro c’è un’attrazione specifica, il teatro, perché per le scuole è attraente fare una gita primaverile nel
Cilento e, con l’occasione, venire a esibirsi nell’affascinante teatrino alla greca della
Fondazione.
Sempre in questo campo possiamo ricordare la “Winter School”, la scuola invernale
sui filosofi Presocratici che si è tenuta una prima volta nel gennaio 2009 e che avrà un
seguito, per cominciare, nel marzo 2012 per iniziativa, nientemeno, di due università
portoghesi e di due università brasiliane.
C’è da dire, poi, che sempre in questo campo si stanno prendendo anche iniziative
simili ma indipendenti dalla Fondazione, come il “Festival di Filosofia della Magna
Grecia” e i convegni di “Parmenideum” (che per ora sono in inglese).
Anche la Biblioteca Alario si è resa utile, se non altro perché in zona non ci sono le
biblioteche comunali. Ci sono state attività con i ragazzi, contatti con le scuole della
zona, e intanto è stata avviata la catalogazione di un patrimonio librario non piccolo:
oltre cinquemila volumi, tra i quali molti di numismatica e archeologia grazie al lascito del professor Furio Di Bello (l’autore di un famoso libro sulle monete dell’antica
Elea), e molti sulla dieta mediterranea grazie alla donazione del professor Alberto
Fidanza (dell’Università di Perugia).
Segnalo inoltre – e con soddisfazione – che, da quando la presidenza della Fondazione è stata assunta da un autorevole esponente dell’Università di Salerno, il Prof.
Pasquale Persico, essa ha moltiplicato le forme di presenza e dialogo con il territorio,
adottando un gran numero di iniziative di promozione culturale che raggiungono
sia i villeggianti, sia una sempre più vasta gamma di cittadini di Ascea e dei comuni
vicini.
Anche queste risorse meritano un commento. Il primo perché di un simile museo
c’era proprio bisogno in piena Magna Grecia, ed è significativo che esso sia nato per
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iniziativa della Fondazione. Il secondo perché, come ho detto, arrivano sempre più
spesso esperti e giovani che vengono qui a perfezionarsi. Ora questo non potrebbe
accadere senza una poderosa biblioteca specializzata. Mi fa piacere ricordare che un
decisivo contributo all’organizzazione della biblioteca si deve alla dottoressa Elisabetta Floreano, e che sempre più spesso gli studiosi che partecipano ad Eleatica arrivano
qui con pacchi di libri sotto il braccio: libri da donare alla nostra biblioteca.
Non solo cultura
Ricordo infine che, a partire dal 2009, la Fondazione si è dotata di un piccolo museo
dedicato all’uso dell’informatica nella rappresentazione dei beni archeologici e di una
biblioteca sulla Scuola eleatica.
La breve rassegna che vi ho presentato dovrebbe essere sufficiente per dimostrare
che la Fondazione è stata fedele e coerente con la sua missione statutaria, che ha
concorso al progresso del territorio e dato una testimonianza di come un soggetto
espresso dalla società civile possa essere presente nel dibattito culturale locale in maniera attiva, propositiva ed autonoma.
In effetti la Fondazione Alario si è rivelata, ben presto, un’iniziativa strategica, un essenziale filo logico con cui raccordare le molteplici realtà imprenditoriali che, parallelamente al decollo della Fondazione, si sono delineate nell’area cilentana.
Il prossimo capitolo mi permetterà di illustrare in dettaglio questa complessa rete di
aziende collegate.
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Capitolo quarto
Idrocilento, la società capofila
Nel 1994, ad otto anni dalla costituzione della Fondazione Alario, nel territorio cilentano ha preso forma un’azienda con caratteristiche fuori dal comune. È una società concepita come ente non profit obbligato perciò a impiegare gli utili per finalità
sociali. L’eccezionalità di questa decisione merita di essere fatta conoscere, tanto più
che la Idrocilento ha fatto da capofila per la nascita di un organico gruppo di aziende
cilentane collegate fra loro, ognuna con caratteristiche e funzioni sue proprie. Parliamo di cinque società, e ogni cilentano ne conosce qualcuna perché gli è capitato di
usufruire dei suoi servizi, ma ben pochi hanno una precisa idea dell’insieme. Mi pare
perciò utile dedicare un intero capitolo alla presentazione di tutte queste aziende,
una per una.
Anche se questo capitolo è incentrato sulla società Idrocilento, è necessario cominciare dicendo due parole sugli enti fondatori: il Consorzio di Bonifica “Velia” e il Consorzio Irriguo di Vallo della Lucania.
Il Consorzio di Bonifica “Velia”
Agli inizi degli anni ’70, il Consorzio Velia era un ente fantasma, esisteva solo sulla
carta, essendo privo di strutture, di uomini e di mezzi economici. Come uno dei più
piccoli consorzi di bonifica d’Italia, si limitava allo spurgo di qualche canale di scolo e
alla manutenzione delle poche opere idrauliche realizzate dal Genio Civile.
Il comprensorio del Consorzio Velia, come il resto del territorio del Cilento, viveva
nella marginalità, cioè in condizioni di abbandono e di arretratezza economica, culturale e civile.
Dopo il mio ingresso nel Consiglio dei Delegati del Consorzio la situazione cambiò.
Abbandonando la logica dell’intervento isolato, a pioggia, l’ente elaborò un disegno
strategico che prevedeva i seguenti obiettivi:
a) la sicurezza idraulica del territorio;
b) il miglioramento della viabilità minore;
c) la soluzione del problema acqua.
Il disegno venne considerato agli inizi velleitario anche in rapporto alla mancanza di
una struttura tecnica, all’assenza di tradizioni e di tecnici. Ma il disegno ha poi trovato
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via via piena attuazione utilizzando dapprima i fondi dell’Intervento Straordinario e
poi quelli della Comunità Economica Europea.
La sicurezza idraulica del territorio venne acquisita attraverso la regimazione dei corsi
d’acqua, la realizzazione della rete scolante e la costruzione della diga dell’Alento.
La rete scolante è stata portata ai migliori livelli della bonifica italiana, per cui oggi le
acque meteoriche, anche quando sono abbondanti, vengono subito allontanate dalla
piana dell’Alento.
Il ristagno delle acque nella piena e il formarsi di aree sommerse per diversi giorni
sono ormai un lontano ricordo.
Gli interventi nel campo viario sono numerosi. Ricordiamo: la Pedementana; Casalvelino – Velia la Torre – Velia – Pattano o Vallo – mare; il Paino; la “Fornari” tra Stella
Cilento e Casalvelino; “Vallurni”; Acquavella – Lacco – Torricelli – Conca d’oro e per
ultimo la strada Diga Alento-Stio.
Il maggiore merito, però, del Consorzio Velia, dopo aver focalizzato la propria attenzione sui problemi idraulici del comprensorio e sulla viabilità minore, è stato quello
di aver risolto un problema antico e secolare: la mancanza d’acqua, intesa come bene
primario e fondamentale per lo sviluppo economico e civile del territorio dotando lo
stesso di una riserva d’acqua di oltre 60 milioni di litri.
Tale questione, nel Cilento, è stata dibattuta per oltre 20 anni negli incontri e nei
convegni, ma non era mai emersa la proposta, l’idea, la soluzione e, dietro l’idea, la
volontà.
La soluzione venne trovata dal sottoscritto attraverso la proposta di invasare le acque
meteoriche e superficiali nel periodo invernale e primaverile.
A distanza di tempo, posso affermare che fu indubbiamente una scelta innovativa e
coraggiosa.
Oggi l’acqua in casa non manca, è sempre disponibile 24 ore su 24, come l’energia elettrica. La cosa ci sembra ovvia e naturale. Ma vi assicuro che non è stato sempre così.
Quelli tra voi avanti negli anni ricorderanno che fino agli anni ’80-’90 l’acqua potabile,
specie lungo la fascia costiera, veniva concessa a turni. Nei fabbricati rurali, disseminati nella campagna, non veniva data da giugno a dicembre.
Oggi, invece, l’acqua c’è. Ma non si ricorda chi ha concorso a risolvere il problema e,
soprattutto, la quantità di impegno e di lavoro che è stato necessario svolgere per
risolvere definitivamente la questione. Il passato è passato, dice Alberoni.
Non si può negare che l’attività del Consorzio Velia è eccezionalmente positiva e ricca di risultati, avendo realizzato opere di grande rilevanza a favore della collettività
locale.
Queste opere non sono scese dal cielo ma sono il frutto di una serie di fattori che
sintetizzo così:
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- l’elaborazione di un disegno strategico con l’abbandono della logica degli interventi isolati;
- l’elevata qualità della progettazione delle singole opere;
- la competenza dei tecnici coinvolti;
- il fermo rispetto della legalità nella gestione degli appalti;
- la capacità di relazione con gli interlocutori tecnici nelle sedi decisionali centrali e
regionali.
Non intendo però fare la storia dell’ente che si ritiene esaurientemente illustrata attraverso il volume Una storia cilentana di Ubaldo Scassellati.
Qui mi preme solo ricordare che, dopo la costruzione dei tre sistemi idrici (Carmine;
Nocellito; Palistro e Alento), il 1994 diventa l’anno di riferimento per l’avvio di uno
sviluppo fondato sulla gestione plurima della risorsa acqua e di una nuova fase dell’attività consortile che si fondava sulla seguente idea guida: creare valore o ricchezza al
fine di contribuire allo sviluppo del Cilento, attraverso la produzione di nuovi beni e
servizi e la nascita di nuovi soggetti, che, come poi si vedrà, stanno contribuendo a
cambiare e a rafforzare lo scenario istituzionale e infrastrutturale del territorio.
Alla luce di tale deduzione, non è azzardato affermare che il Consorzio Velia è stato
il protagonista operativo non solo per la costruzione di tre dighe, di cinque impianti
di irrigazione, della rete di condotte destinate all’uso plurimo dell’acqua raccolta negli invasi, della rete scolante dell’Alento, della viabilità minore, ma anche la struttura
propositiva attorno alla quale è nata Idrocilento e, tramite questa, altri soggetti, in un
quadro, fra l’altro, di grande latitanza istituzionale.
Non mi stancherò mai di dire che la valorizzazione della risorsa acqua, dunque, ha
portato ad allargare l’orizzonte e a dar vita ad una rete di soggetti che potessero affiancare l’azione del Consorzio Velia per l’attuazione di un disegno finalizzato al sostegno del tessuto economico e dell’imprenditoria locale. È in questa logica che sono
anche nate la Banca del Cilento e la Fondazione Alario per Elea-Velia.
La società Idrocilento, a sua volta, come si è visto, è riuscita a creare una rete istituzionale che ha beneficiato di condizioni quali il senso di appartenenza al gruppo e la
unicità del coordinamento, che sono alla base del successo di molti gruppi aziendali
pubblici e/o privati.
Benché il ruolo di tale rete rimanga ancora allo stato potenziale, i risultati della fase
“pionieristica” sono ampiamente positivi: gestione imprenditoriale delle infrastrutture; importanti ritorni economici per i soci fondatori; ingresso di partner leader sul
territorio nazionale; forte capacità di attrarre finanziamenti, nuova occupazione.
Tutto ciò è stato realizzato in un territorio che presenta antiche difficoltà di sviluppo,
e fenomeni di involuzione economica e sociale, quali la carenza di infrastrutture, l’im-
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prenditorialità vacillante, lo spopolamento e una continua perdita di risorse umane
produttive, soprattutto fra i giovani.
Molto ha già fatto il Consorzio Velia. Ma io sono convinto che moltissimo può ancora
fare per un più deciso e innovativo sviluppo del territorio. A riguardo si indicano qui
di seguito le linee programmatiche dell’ente a favore delle aree ricadenti nel nuovo
comprensorio di bonifica.
La legge regionale n.4/2003 ha esteso il perimetro del Consorzio Velia all’intero bacino dell’Alento, ai bacini del Lambro, del Mingardo e della Fiumarella, ampliando
il comprensorio da 6.400 a ben 83.000 ettari. Grazie a questa nuova dimensione, è
possibile trasferire l’esperienza del Consorzio Velia nei predetti bacini realizzandovi le
opere che quest’ultimo ha realizzato nell’Alento.
Va ricordato che l’area del nuovo comprensorio si trova nella stessa situazione di
marginalità e di arretratezza in cui si trovava il comprensorio dell’Alento prima della
costruzione dell’imponente patrimonio di opere che è stato realizzato.
Si evidenzia che il Consorzio Velia, nel tracciare le linee guida del Piano Generale di
Bonifica per il nuovo comprensorio, ha indicato come obiettivi strategici da perseguire:
- la salvaguardia idrogeologica;
- un piano invasi;
- la gestione delle acque per gli usi plurimi;
- la tutela e la valorizzazione dell’ambiente nella prospettiva di concorrere a creare
un contesto favorevole allo sviluppo locale.
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In particolare, forte dell’esperienza accumulata, il Consorzio Velia è oggi pronto a
replicare sui corsi d’acqua del Lambro, del Mingardo e della Fiumarella il collaudato “modello Alento”, sia per creare riserve idriche nel periodo invernale-primaverile
(mettendole a disposizione nel periodo estivo per gli usi produttivi) sia per realizzare
tre attrattori turistici–ambientali–naturalistici e ricreativi.
L’attuazione del predetto programma, oltre a consentire l’accumulo di acqua piovana da distribuire nel periodo estivo ed autunnale, contribuirà a migliorare la qualità
dell’immagine e la competitività del territorio.
Il Consorzio di Miglioramento Fondiario di Vallo della Lucania
Ritengo opportuno tracciare un quadro sintetico dell’attività e della storia di questo
piccolo ente operante in un ambito territoriale collinare, non avanzato economicamente: la conca di Vallo della Lucania e comuni viciniori.
Poche date sul nostro passato e sulla nostra storia che, per durata, coincide con gli
anni della mia presidenza, infatti avevo appena 30 anni quando assunsi la carica di
presidente mentre ora ho i capelli bianchi.
Ecco le tappe più importanti dell’ente:
• il Consorzio nasce in data 15/3/1936 con l’adesione di 180 utenti;
• vivacchia stentatamente per oltre trent’anni, riuscendo a distribuire, attraverso
una rete di canali in terreno battuto, circa 60 – 70 litri d’acqua al secondo delle
sorgenti del Gelbison;
• nel 1964 venne eletto presidente l’avv. Franco Chirico. Da allora il Consorzio cominciò a pensare in grande e a progettare il proprio futuro inviando alla CEE il
progetto dello studio P.VV. di Napoli.
Oggi, con il senno di poi e con l’esperienza acquisita a nostre spese negli anni successivi, possiamo dire che si trattò di una falsa partenza.
• Nel 1971 finalmente l’incontro del presidente del consorzio con la Geotecna di
Milano. Quella data segnò l’inizio di una svolta nella storia dell’ente perché rappresenta il punto di partenza per la costruzione di opere indispensabili per lo sviluppo del territorio;
• Un’altra scelta strategica fu l’intesa con il Consorzio di Bonifica Velia avente ad
oggetto la richiesta di utilizzare un terzo dell’acqua del sistema Carmine-Nocellito
per irrigare 500 ettari di terreno del Comune di Castelnuovo Cilento esistente
lungo la valle del Badolato;
• In data 28 aprile 1972 la Cassa per il Mezzogiorno finanziò la costruzione della
diga del Carmine per l’importo di due miliardi e mezzo;
• Nel 1982 vennero ultimate le dighe Carmine e Nocellito e nel 1986 venne ultimata
la costruzione dell’impianto di distribuzione irrigua.
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In quell’anno si concluse una fase importante del percorso affrontato dal consorzio
che, pur essendo privo di mezzi, senza impiegati, senza direttore, dimostrò di saper
realizzare e gestire una grande e complessa iniziativa che ha portato e porterà al nostro territorio concreti benefici.
Vorrei che si tenesse conto della posizione di partenza e si considerasse che senza il
Consorzio Irriguo non ci sarebbero oggi le opere che tutti vedono e che, senza di esse,
ci saremmo trovati nella stessa situazione in cui si trovano le altre zone interne, cioè
senza opere di sviluppo.
Dopo la costruzione del sistema Carmine – Nocellito e l’attrezzatura irrigua, l’ente
elaborò una serie di proposte e di iniziative per integrare le opere già realizzate, tra cui
l’adeguamento e il miglioramento della rete interpoderale, la sistemazione idraulica
dei corsi d’acqua, le opere per migliorare la gestione del potabilizzatore di Angellara,
l’impianto idroelettrico del Nocellito per utilizzare il salto esistente tra l’invaso del
Nocellito a quota 670 ed il lago Carmine a quota 600, mediante la costruzione di una
centralina sulla sponda sinistra idrografica del lago Carmine.
Va ricordato che gli impianti sono entrati in esercizio nella metà degli inizi degli anni
80 e che, anno dopo anno, le spese per il loro ripristino e il loro mantenimento in
efficienza aumentano. Ai maggiori costi che vi sono per l’aumento degli interventi di
manutenzione, si aggiungono i maggiori costi per la concessione delle acque, il contributo RID, i canoni per gli attraversamenti stradali, la spesa per l’energia elettrica, gli
aumenti del costo del personale.
Per far fronte alla nuova situazione, l’amministrazione del consorzio, onde evitare
l’aumento della contribuenza consortile, si è adoperata per trovare nuove entrate.
A tale scopo ha elaborato la seguente strategia:
a) l’applicazione dell’uso plurimo delle acque per diversificare le sue fonti di entrata
e ripartire i costi di esercizio e manutenzione delle opere fra i diversi usi;
b) il risparmio della risorsa acqua nel periodo irriguo, grazie all’installazione dei contatori, per poterla trasferire alle altre utilizzazioni;
c) la richiesta alla SIPAT di adeguamento del rimborso dei costi che l’ente sostiene
per mettere a disposizione dell’utenza idroelettrica i superi d’acqua del sistema
Carmine – Nocellito nel periodo invernale.
Questa strategia si è rilevata molto valida perché consente di tenere bassa la contribuenza e di curare la manutenzione delle opere e degli impianti.
Una intuizione strategica
La società Idrocilento è nata come società consortile, senza scopi di lucro, ad opera
e per iniziativa congiunta del Consorzio di Bonifica Velia e del Consorzio Irriguo di
Miglioramento Fondiario di Vallo della Lucania.
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L’antefatto da cui nasce si può riassumere col cammino dell’ultimo quindicennio che
tutti conoscono. Si tratta di 15 anni intrecciati di avvenimenti fittissimi e talvolta
contraddittori, ma interamente permeati di un immutato spirito d’iniziativa. Ci sono
voluti circa 30 anni di duro lavoro per portare a termine l’ambizioso progetto di costruzione di cinque dighe, di quattro impianti di irrigazione, di una rete idraulica e di
una rete di strade interpoderali.
La scelta di dar vita a tale società nel Mezzogiorno, venne fatta con i seguenti obiettivi:
• separare l’attività di natura imprenditoriale, tipicamente strumentale ed accessoria, dai compiti istituzionali dei consorzi per evitare la qualifica di enti commerciali;
• rimborsare ai soci fondatori parte del costo che questi ultimi sopportano per la
gestione delle dighe, delle opere di prese e degli adduttori;
• impiegare le risorse finanziare residue per la crescita di un territorio in forte ritardo.
Alla base, dunque, della nascita della società Idrocilento vi fu l’intuizione di utilizzare
i superi idrici convogliati negli invasi per produrre acqua ad uso potabile ed energia
elettrica. E ciò allo scopo di ottenere risorse finanziarie da destinare ad investimenti
di interesse della comunità locale.
Come è noto, il Cilento ha una risorsa abbondante nel periodo invernale: l’acqua piovana. Per secoli questa risorsa non è stata sfruttata. Oggi, invece, l’acqua di supero
delle dighe, prima di arrivare a mare, diventa risorsa economica grazie alla tecnologia
e all’organizzazione finalizzate alla produzione di energia elettrica.
La nascita, dunque, di Idrocilento fu una grande scelta strategica, di cui rivendico il
merito e vado orgoglioso per i seguenti motivi:
a) perché è un’azienda che ogni anno produce ricchezza utilizzando una risorsa naturale, l’acqua piovana che, per secoli, è stata sprecata, buttata a mare, senza che
prima sia stata utilizzata dall’uomo, cosa che attualmente avviene per tutti gli altri
corsi d’acqua del Cilento, come il Lambro, il Mingardo, il Bussento, il Fiumicello
ecc.;
b) perché è uno degli strumenti che ha consentito ai soci fondatori di poter contare
sul rimborso parziale dei costi di gestione delle dighe, delle opere di presa e degli
adduttori e quindi di poter mantenere bassi i contributi di bonifica e di irrigazione
a carico dei consorziati. È opportuno ricordare che, senza il predetto rimborso
parziale dei costi di manutenzione ed esercizio delle opere, i contributi a carico
dei consorziati per la manutenzione, l’esercizio ed il funzionamento dei consorzi
sarebbero stati più che doppi rispetto a quelli che attualmente pagano;
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c) perché il territorio è stato dotato di un soggetto nuovo che produce annualmente
risorse finanziarie le quali, pur non costituendo profitto, possono essere utilizzate
per promuovere la crescita del capitale umano e la nascita di nuove iniziative imprenditoriali da insediare sul territorio.
La mancata destinazione dei dividendi annuali non è un’anomalia, ma una caratteristica delle imprese sociali. Si è abituati, infatti, a pensare che gli azionisti delle società,
nella qualità di sottoscrittori del capitale di rischio, partecipino alla distribuzione periodica dei dividendi, allorché vi siano utili da distribuire. Nell’ipotesi invece, di società no profit, la distribuzione degli utili è esclusa perché per statuto i dividendi vanno
reinvestiti in progetti che riguardano la comunità locale. Questo è il caso di Idrocilento, che utilizza il reddito prodotto dalla gestione delle sue infrastrutture idriche ed
idroelettriche, sia per potenziare il suo core business sia per perseguire l’obiettivo dello
sviluppo in molteplici direzioni, che spaziano dalla promozione del credito solidale
(mediante la partecipazione al Confidi Cilento) allo sviluppo del tessuto delle imprese locali (Centro Iside, società Elea Congressi, cooperativa Cilento Servizi ecc.) e allo
sviluppo del capitale umano (mediante il sostegno alla Fondazione Alario).
Non si può non sottolineare che il disegno, strettamente industriale, di utilizzo plurimo della risorsa idrica è stato realizzato grazie agli utili derivanti dalla gestione delle
attività industriali e ai contributi della finanza agevolata.
Va preso atto che il territorio, con la costituzione della società Idrocilento e degli altri
soggetti promossi da quest’ultima, ha imboccato per la prima volta una direzione
innovativa avendo dato vita ad una importante filiera istituzionale che opera per
lo sviluppo locale e va ad integrare l’azione degli enti locali attraverso l’utilizzo delle
risorse finanziarie ricavate dalla produzione dell’energia elettrica e dalla gestione degli
altri impianti.
Questi brevi cenni di storia dimostrano che Idrocilento ha assunto sul territorio un
peso ed un ruolo di grande rilevanza per l’evoluzione complessiva dello stesso.
Mentre nel centro-nord vi sono istituti di credito e fondazioni che partecipano agli
eventi culturali, nel Cilento è questo il soggetto collettivo non territoriale che svolge
le medesime funzioni. A monte di esso, dunque, vi fu una visione giuridica, tecnologica, culturale e sociale che ha dato finora ottimi risultati.
Per ultimo giova evidenziare che oggi il Cilento, grazie alle opere realizzate dal Consorzio Irriguo e dal Consorzio Velia, oltre a disporre della risorsa acqua per soddisfare
gli usi agricoli, potabili, civili ed industriali, ha con Idrocilento una società che:
• ha incrementato il patrimonio iniziale, pari ad € 100.000, fino ad oltre due milioni
di euro, con partecipazioni strategiche in altre società per circa € 700.000 euro;
• le centrali idroelettriche da due sono diventate cinque;
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• Idrocilento sta attuando il disegno imprenditoriale di trasformare la diga Alento,
il parco e l’Oasi in un grande attrattore turistico-ambientale al servizio del Cilento
interno e della fascia costiera Paestum-Sapri.
Partendo dal nulla, i due enti fondatori non si sono dunque limitati a risolvere il problema dell’acqua per tutti gli usi, ma hanno dato vita ad una realtà imprenditoriale importante per il territorio che, oltre a creare occupazione, genera ricchezza per tutti.
Nata come braccio operativo dei due Consorzi per la gestione imprenditoriale delle
opere, per rafforzare il ruolo degli interessi pubblici in gioco e rendere più palese il
fine di agire al servizio del territorio, Idrocilento venne trasformata da mera società
di gestione in “agenzia operativa di sviluppo locale” con il verbale di assemblea straordinaria del 21/11/2001. Per consentirle di meglio perseguire i fini generali sanciti nello
statuto, fu stabilito un incremento di capitalizzazione, un riequilibrio delle quote tra
i soci fondatori, la rimozione parziale del vincolo di inalienabilità delle azioni per rendere possibile la partecipazione di altri soggetti pubblici e privati. In particolare, venne previsto (con la modifica dell’art.5 dello statuto) che «la residua quota minoritaria
del 40% potrà essere ceduta ad altri soggetti, pubblici e privati, che perseguono scopi
analoghi e che vengono ammessi a seguito di delibera favorevole dell’Assemblea dei
consorziati in seduta ordinaria».
Con questo importante atto si sono create le condizioni per la partecipazione di altri soci, ottenendo una duplice positiva finalità. Da un lato, consentire un controllo
democratico sulla società da parte dei soggetti più importanti sorti negli ultimi anni
(Banca del Cilento e Fondazione Alario) e sulla individuazione degli obiettivi di sviluppo da perseguire con i ricavi annuali e dall’altro per rafforzare i contenuti di agenzia operativa di sviluppo.
In concreto i soci fondatori introdussero la modifica per due motivi:
• evitare il rischio che in futuro gli amministratori di Idrocilento possano deviare
dagli scopi d’interesse generale utilizzando i ricavi della gestione industriale degli
impianti per finalità diverse da quelle previste;
• consentire agli amministratori delle comunità locali di partecipare e concorrere
alle scelte e alla definizione degli obiettivi da perseguire nel reinvestimento degli
utili di gestione.
L’ingresso nella compagine societaria di altri soggetti è un avvenimento importante
perché il potere di indirizzo e di controllo della società, attualmente concentrato nei
soci fondatori, viene riconosciuto anche ad altri organismi non profit del territorio.
Fino ad oggi, Idrocilento, nel rispetto del richiamato art. 5, si è limitata a cedere il 20%
del capitale sociale facendo acquisire, in uguale misura, alla Banca del Cilento e alla
Fondazione Alario quote unitarie del 10%. Ha, invece, omesso di completare l’assetto
societario con la cessione dell’altro 20% del capitale sociale a favore degli enti locali.
Bisognerà, quindi, dare seguito nel prossimo futuro a quanto previsto dallo Statuto
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circa la cessione dell’altro 20% a favore dei comuni ricadenti nel comprensorio irriguo
di Vallo della Lucania e nel vecchio perimetro del Consorzio Velia.
La società Idrocilento oggi
Come già ho ricordato, fino ad oggi la Idrocilento s.c.p.a. ha realizzato una strategia
di presenza in molteplici settori di interesse, attraverso società controllate e partecipate, tutte accumunate dall’obiettivo di potenziare l’infrastrutturazione sociale colmando i vuoti di iniziativa esistenti sul territorio, nella prospettiva della sua crescita
economica. Si tratta di una strategia che ha consentito non solo di soddisfare alcuni
bisogni della società locale, e di rafforzare il pluralismo contribuendo al cambiamento locale, ma anche di partecipare ad altri enti nel campo dello sviluppo economico,
sociale e culturale.
Uno sguardo alle società partecipate
Le società promosse sono state le seguenti:
1) la SIPAT s.c.a.r.l., costituita da Idrocilento (51%) e SEDET s.r.l., per la costruzione e
la gestione della centrale idroelettrica di Pattano;
2) la S.r.l. Centro Iside per portare a compimento l’idea di costruire nel Cilento un
centro di eccellenza nel campo del monitoraggio ambientale, capace di offrire
servizi ad alto contenuto innovativo;
3) la Pluriacque s.c.p.a. che ha come soci il CONSAC di Vallo, l’ASIS di Salerno e la
Idrocilento e che fra i suoi scopi prevede la gestione del laboratorio di analisi esistente presso la diga dell’Alento e degli usi diversi dal potabile;
4) la Cilento Servizi s.c.p.a;
5) la Confidi Cilento s.c.p.a.
La società Idrocilento ha in portafoglio anche le seguenti partecipazioni:
6) Elea Congressi c.a.r.l.
7) Consorzio PRUSST Ospitalità da Favola, con una quota di € 5.000,00 allo scopo
di entrare a far parte del contratto di programma finalizzato alla realizzazione di
investimenti di ricettività sul territorio;
8) Sistema Cilento s.c.p.a. società del patto territoriale del Cilento, con una quota di
€ 51.000,00;
9) Fondazione Comunità di Salerno (nata nel 2009) con una quota di € 30.000,00 allo
scopo di contribuire allo sviluppo di progetti con valenza sociale sul territorio.
I predetti soggetti, tutti insieme, hanno dato vita ad una Agenzia operativa di sviluppo per il territorio, atteso che ciascuno di essi, pur operando in chiave strumentale,
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in specifici settori e con una chiara impronta gestionale di tipo imprenditoriale, dal
punto di vista della finalità costitutiva è orientato allo sviluppo del territorio. La loro
nascita ha risposto all’intento di stimolare la crescita economica e l’accumulazione
del capitale sociale ed umano nel Cilento, sull’esempio di quanto al centro-nord viene
perseguito da una ricca pluralità di enti non profit (cooperative sociali, associazioni di
volontariato, fondazioni, associazioni di promozione sociale ecc.).
Le attività a favore dello sviluppo locale
Come ho già detto, lo Statuto della Idrocilento prevede la destinazione delle risultanze attive di gestione all’attuazione di nuove iniziative di produzione o alla promozione di programmi e di progetti sostenibili del territorio.
L’Assemblea dei soci ha approvato, sin dal 2003, un programma di obiettivi che ha
pubblicizzato ed ampiamente diffuso attraverso la sua pubblicazione nel volumetto
recante il titolo: Idrocilento: la missione e il programma.
Le azioni individuate e descritte in tale programma sono state raggruppate in quattro
grandi obiettivi:
1) rafforzare il core business della società attraverso la realizzazione di altre centrali
idroelettriche;
2) accrescere la collaborazione con i soggetti locali, pubblici e privati, per promuovere lo sviluppo sostenibile;
3) rafforzare la struttura istituzionale ed operative della società;
4) promuovere nel bacino dell’Alento un polo agricolo caratterizzato da tipicità,
qualità, valore mercantile e sostenibilità.
Oltre a portare avanti con energia le iniziative industriali, la società non ha mancato
di attivare alcune iniziative per contribuire al potenziamento dell’imprenditoria locale e di dare anche alcune indicazioni sulle cose da fare per estendere nel Cilento la
capacità di operare per lo sviluppo sostenibile.
Le iniziative più significative poste in essere sono state le seguenti:
1) la nascita del “Laboratorio per lo Sviluppo locale” presso la Fondazione Alario;
2) la costituzione del “Nucleo Tecnico Cilento più imprese”;
3) la costituzione di “Elea Congressi s.c.a.r.l.”;
4) la costituzione della cooperativa “Cilento servizi”;
5) la costituzione del “Confidi Cilento”.
Per eliminare le carenze di comunicazione fino ad oggi esistenti, ritengo necessario
riportare più precise informazioni su ciascuna iniziativa e soggetto.
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Capitolo quinto
Il Laboratorio per lo sviluppo locale
U
n territorio non vive solo di acqua ed elettricità. Molti altri bisogni richiedono
di essere intercettati, ed è così che attorno al Consorzio Velia e a Idrocilento sono
nati numerosi organismi complementari, ognuno con la sua particolare vocazione.
Vediamo.
La società Idrocilento ha voluto utilizzare la Fondazione – e specificamente il Laboratorio per lo sviluppo locale – per attività di ricerca e sviluppo di proprio interesse sui bisogni, le risorse, le modalità e i processi, nella prospettiva di poter sempre
meglio individuare gli obiettivi dei propri investimenti, soprattutto immateriali, sul
territorio.
In particolare esso è nato per perseguire le seguenti finalità:
• realizzare una “lettura” del territorio, delle sue risorse e delle sue potenzialità produttive;
• individuare i fabbisogni di qualità di vita dei suoi abitanti;
• svolgere azioni finalizzate al potenziamento dell’imprenditore locale per contribuire ad accrescerne la dimensione e il peso socio-economico.
Il Laboratorio, nell’ambito delle suddette finalità, ha individuato nel settore agroalimentare dieci filiere produttive. I settori interessati sono stati:
- olio,
- lavorazione prodotti ittici,
- marmellate,
- formaggio caprino,
- vino,
- legumi.
Per ogni settore il Laboratorio ha individuato anche gli imprenditori ai quali riferirsi.
In aggiunta a quanto sopra ha elaborato numerosi progetti immateriali di interesse
strategico per il territorio, tra cui il più importante è lo studio del progetto integrato
Grande attrattore culturale Paestum-Velia.
Infine il Laboratorio, grazie alle competenze ed alle esperienze accumulate dal suo
direttore Ubaldo Scassellati, ha ottenuto finanziamenti per attività di formazione in
partnership con prestigiosi soggetti terzi, dando così agli sforzi finanziari fatti la qualifica di investimento per la crescita del capitale umano locale.
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Nucleo tecnico sviluppo imprese
Il Nucleo Tecnico è nato nel 2003 in seno alla società Idrocilento per accrescere la
competitività del sistema produttivo locale e per sostenere le aziende esistenti nei
loro percorsi di sviluppo innovativo.
Il primo impegno del Nucleo è stato quello di costituire un Focus Group di imprenditori e manager nella prospettiva di impostare un percorso di valorizzazione del
potenziale di crescita delle imprese cilentane. In tal senso, il Nucleo ha intervistato
i responsabili di una quarantina di imprese per individuare i loro bisogni. Tutte le
imprese intervistate hanno lamentato l’assenza di strutture di base sul territorio: aree
attrezzate, zone industriali, laboratori di ricerca, incubatori d’impresa ecc.
In seguito, ha supportato alcuni imprenditori locali che hanno, a loro volta, presentato progetti di ricerca applicata in partnership con strutture di ricerca e società di
ingegneria elettronica ed elettrotecnica.
Infine, ha redatto un rapporto su Problemi e prospettive delle piccole imprese nel Cilento centrale – crescita dimensionale, nuova impresa e competitività, che si allega in
appendice.
La lettura di tale rapporto consente di ricavare le seguenti impressioni:
• esistono imprese cilentane che in campo industriale operano sul mercato aperto,
dimostrando che le condizioni di marginalità del territorio sono superabili;
• esistono imprese pronte ad investire, ove esistessero le possibilità di lotti attrezzati per rinnovare il loro impianto, e disponibili poi a collaborare alla gestione in rete
di alcuni servizi logistici;
• esistono imprenditori che hanno manifestato disponibilità non episodica ad avviare percorsi di aggiornamento professionale per superare i punti di debolezza
della propria impresa e acquisire nuove abilità e metodi per qualificare e valutare
il proprio lavoro.
Ha poi promosso la costituzione dell’Associazione Cilento più impresa ed organizzato
i forum Cilento d’impresa nel corso dei quali sono stati approfonditi e dibattuti i problemi delle imprese cilentane.
Elea Congressi, un vuoto da colmare
Tra le tante carenze che annovera, il Cilento è anche privo di una struttura a destinazione congressuale capace di soddisfare una domanda congressuale di dimensioni
medio-piccole.
Tra i segmenti che compongono il mercato turistico, quello congressuale rappresenta
uno tra i più remunerativi ed interessanti. Basti considerare che la domanda di turismo congressuale cresce di anno in anno e che, allo stato, circa sei milioni di persone
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si muovono per partecipare a congressi provinciali, regionali, nazionali ed internazionali.
Nel centro-nord gli operatori alberghieri, pur di aumentare il livello della loro attività nei periodi di bassa stagione, hanno organizzato una vastissima gamma di centri
congressuali.
A loro volta molti enti sovra-comunali (Camere di Commercio, Province ecc.) hanno
creato centri congressuali d’avanguardia e società in grado di fornire tutti i servizi
legati allo svolgimento degli eventi, in modo da esonerare il promotore da ogni incombenza, occupandosi di tutto e fornendo un servizio completo “chiavi in mano”.
L’intento è quello di superare la stagionalità delle presenze ed estendere il soggiornovacanze in periodi diversi dai mesi di luglio-agosto, mentre in Cilento non esiste nessun centro congressi e quindi nessuna possibilità di catturare una parte del turismo
congressuale.
La società Idrocilento, preso atto della constatata mancanza sul territorio di una
simile struttura, d’intesa con la Fondazione Alario, è venuta nella determinazione
di colmare questo vuoto dando vita ad una società consortile avente ad oggetto la
gestione dell’auditorium, del teatro all’aperto, del locale destinato a bar e della foresteria, realizzando così un Centro congressuale con l’uso di alcuni volumi urbanistici
scarsamente utilizzati.
Come è noto, la Fondazione Alario, oltre a disporre dell’Auditorium Parmenide (che ha
una capienza di 350 persone), ha una serie di strutture di contorno, con possibilità di
allestire tre sale per riunioni con una capienza da 40 a 60 persone e una sala stampa.
Per adeguare queste strutture e dotare il territorio di un Centro congressuale di avanguardia occorre un investimento di circa un milione di euro.
Al fine di conseguire il predetto obiettivo, si è dato vita alla società consortile “Elea
Congressi s.c.a.r.l.” per consentire l’adesione della Provincia di Salerno, della Camera
di Commercio, dell’Ente Parco, dei Comuni, degli albergatori, dei titolari di agenzie
di viaggio, della ristorazione e di altri operatori turistici interessati a promuovere il
territorio come nuova meta del turismo congressuale e d’affari.
Allo stato la società Elea Congressi, nata nel 2004, è costituita da Idrocilento, dalla
Fondazione Alario e da alcuni partner locali.
Cooperativa Cilento Servizi
Questa Cooperativa è stata costituita nel 2006 con la finalità di erogare servizi omnicomprensivi sia per la valorizzazione, in chiave turistica, dell’Oasi Alento, sia per la
manutenzione.
Essa è composta da nove cooperatori locali e importanti soci sovventori (Banca del
Cilento, Cooperativa Deltambiente di Ravenna, Cooperativa Atlantide, Fondo Svilup-
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po, società Patto Territoriale Sistema Cilento) ed è dotata di capitali e mezzi finanziari
proporzionati al core business.
La cooperativa, essendosi strutturata sia dal punto di vista della compagine sociale
sia in termini di dotazioni finanziarie, organizzative e strumentali, ha consentito da
subito di fornire immediati riscontri operativi sul fronte della manutenzione e della valorizzazione dell’Oasi Alento e del Parco, raggiungendo significativi risultati sul
fronte delle attività di fruizione degli stessi: in seguito ad attività ed azioni immateriali
di marketing e formazione, è partita l’attività ricettiva dell’area verso la generalità degli utenti turistici e in particolare verso quelli del segmento del turismo scolastico.
Confidi Cilento
Costituito nel 2003, il Consorzio Confidi Cilento è stato ideato come un valido strumento di accesso al credito per il tessuto imprenditoriale ed artigianale del Cilento.
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Esso rappresenta il punto di arrivo di un’intensa attività progettuale attivata, sin dal
2002, per favorire l’accesso al credito delle PMI, mitigare il rischio delle banche e usufruire delle migliori condizioni di tasso.
La sua nascita è stata possibile grazie al supporto finanziario e professionale di Idrocilento nell’indispensabile fase amministrativa.
Come è noto, nell’attuale quadro normativo, le garanzie concesse dal Confidi sono
di fatto assimilabili ad una fideiussione di un privato. Molte imprese, a causa della
mancanza di beni immobili e di redditi, non vengono prese in considerazione dalle
banche al fine di ottenere un mutuo.
In questi ultimi anni i prestiti a favore dei soggetti deboli e svantaggiati sono aumentati di 4-5 volte grazie proprio al ruolo dei Confidi e del Medio Credito Centrale.
Per far crescere, però, la capacità competitiva delle imprese, occorre patrimonializzare il Cilento Confidi per colmare il grande vuoto nel settore strategico dell’accesso al
credito da parte delle PMI cilentane.
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Non deve sfuggire che l’accesso al credito rappresenta, per un sistema economico,
l’ossigeno in grado di garantire sopravvivenza e sviluppo alle attività produttive. Il
ruolo del Confidi, inoltre, è quanto mai importante nell’attuale momento di difficoltà
economica e sociale per aiutare gli imprenditori e le aziende a superare la crisi.
La Banca del Cilento
Tra i soggetti che stanno dando al territorio un contributo concreto per la costruzione di un futuro migliore, la Banca del Cilento ha una rilevanza primaria.
Ormai opera da ben 21 anni. In questo periodo è cresciuta, senza soste, sul piano
dimensionale e territoriale, in qualità e quantità, avendo oggi 10 sportelli in piena
operatività, più di duemila soci, 59 dipendenti, un patrimonio di 30 milioni di euro,
impieghi per 158 milioni, una raccolta di 225 milioni e bilanci annuali di tutto rispetto
in termini di utili.
Nel panorama locale la Banca del Cilento viene da tutti considerata un’esperienza
positiva, una storia di successo perché, pur lavorando in un contesto economico non
favorevole, è riuscita a diventare una realtà economico-finanziaria di tutto rispetto
per aver sempre posto alla base della sua operatività il fondamentale principio dalla
sana e prudente gestione.
Oltre a sostenere il sistema produttivo attraverso il credito in misura rilevante, la Banca non ha mancato mai di assicurare una concreta attenzione alla situazione delle
persone e delle aziende, di dare impulso alla sua crescita dimensionale e territoriale,
di ampliare i prodotti, di migliorare l’organizzazione, di raggiungere una efficienza al
passo coi tempi, di realizzare un controllo severo sui costi e di perseguire la stabilità.
Ovviamente, fin qui ho espresso una mia opinione che, pur essendo di parte, può suggerire una chiave di lettura del lavoro e dell’impegno svolto per dotare la comunità
cilentana di un soggetto rilevante in un settore strategico, quale è quello del credito.
Ma non è mia intenzione ripercorrere la strada che ha portato la piccola Cassa Rurale ed Artigiana di Vallo della Lucania a crescere con determinazione, gradualmente,
filiale dopo filiale e a transitare dallo stadio di banca comunale a banca del territorio,
con la denominazione attuale di Banca del Cilento-Credito Cooperativo. Mi limito
qui solo a ricordare che la Banca del Cilento, nell’ambito della strategia di indirizzo
pluriennale che si diede sin dalla nascita, ha sempre perseguito il rafforzamento delle sue posizioni sul territorio e la crescita della redditività annuale per continuare a
sostenere l’economia locale, per rafforzare il patrimonio e per destinare almeno una
parte degli utili al perseguimento di scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico rientranti nella sua missione statutaria.
Ricordo che la funzione delle banche di credito cooperativo in Italia, pur essendo mutata rispetto alle origini, è sempre molto importante. Volendo sintetizzare, la finalità
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è oggi quella di far ricadere sul territorio dove si opera una parte sostanziale di quanto
sul territorio si ottiene dal punto di vista dell’attività bancaria. Favorendo in questo
modo la crescita sostenibile della comunità.
La Banca del Cilento, dunque, nel portare avanti la sua attività, pur nella consapevolezza di dover mantenere adeguati equilibri tecnici, deve operare non tanto sulla base
del tornaconto economico quanto sull’utilità che al territorio ne deriva. Purtroppo
questo aspetto non sempre è stato tenuto nella dovuta considerazione, pur rappresentando il valore aggiunto che una banca di credito cooperativo offre rispetto alle
altre imprese bancarie.
La nostra Banca, però, pur essendo “virtuosa”, pur essendo cresciuta sul piano dimensionale e territoriale, rimane piccola, ha dimensioni inadeguate e non sufficienti
a fronteggiare l’aggravio dei costi derivanti dal rispetto del nuovo quadro normativo
che disciplina l’attività bancaria e dai cambiamenti del mercato caratterizzato dalla
rarefazione del risparmio, dall’aumento dei crediti a rischio e dall’aumento dei costi
operativi. Inoltre le attuali limitate dimensioni della Banca del Cilento non consentono di poter destinare adeguate risorse per lo sviluppo economico, culturale e sociale
del territorio.
Stante il contesto prospettico del mercato e del quadro normativo, va valutata, con
molta attenzione, l’opportunità di portare avanti l’operazione di fusione con la BCC
Lucania Sud perché, a seguito degli ultimi accertamenti, sono emerse passività perr
18 milioni di euro, cioè una passività notevole, che potrebbe indebolire la solidità
della nostra Banca se si somma con quella della nostra Banca.
Inoltre, in aggiunta all’entità delle passività, vi sono altri profili di criticità che sconsigliano, in modo netto, l’operazione, come ci riserviamo di evidenziare con un’altra
pubblicazione.
Invito, pertanto, i soci a stare attenti e a non dare l’assenso sul progetto di fusione
senza accertarne a fondo la congruità. Prima di esprimere il voto, si deve riflettere
molto sull’opportunità dell’operazione e verificare se non sia in contrasto con gli interessi della base sociale e del territorio.
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Capitolo sesto
Non solo Fondazione Alario e Idrocilento
La rassegna che ho fatto nel terzo e nel quarto capitolo riguarda soltanto le iniziative
nate attorno alla costruzione delle dighe e alla valorizzazione del lascito della famiglia
Alario.
Sono queste le iniziative nelle quali maggiormente mi sono impegnato in prima persona e si può capire perché abbia parlato prima di tutto di questo insieme di risorse
a sostegno del territorio.
Ma mi rendo perfettamente conto di non aver lavorato addirittura nel deserto. Anche se ho dovuto esprimere non poca insoddisfazione per come sono andate le cose,
specialmente dal punto di vista della mano pubblica, non ho mai avuto la leggerezza
di pensare che c’ero solo io a fare qualcosa di buono.
Il territorio ha conosciuto e registrato un notevole programma di opere e lavori
pubblici anche ad opera del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, delle
Comunità Montane, dei Comuni, della società di gestione del Patto Territoriale del
Cilento. In particolare, il Parco Nazionale ha negli anni accumulato un insieme di riconoscimenti internazionali che ne fanno un luogo davvero straordinario ed esclusivo.
È infatti stato dichiarato Patrimonio UNESCO quale “paesaggio culturale” di valenza
mondiale, Green Globe per il turismo, riserva di biosfera Mab-UNESCO, geoparco
della rete europea e mondiale e patria della Dieta mediterranea.
Sono stati realizzati inoltre porti, collegamenti viari, arredi urbani, strutture sportive,
recupero di numerosi centri abitati, spazi polivalenti per accogliere appuntamenti
musicali, teatrali e mostre, impianti per la depurazione delle acque luride ecc. Grazie
a tali interventi sono confluiti sul territorio rilevanti finanziamenti pubblici.
Non sono mancati pure gli investimenti di natura privata, finalizzati a realizzare
aziende agro-turistiche, alberghiere, villaggi turistici, residence, impianti di raccolta e
trasformazione di prodotti agricoli, come castagne, frutta, ortaggi, olive, fichi, torrefazione del caffè, allevamenti di suini, caseifici, falegnamerie, attività di produzione di
cosmetici, di pannelli solari, di lavorazione del ferro e della pietra ecc.
Ognuna di queste realizzazioni costituisce un altro punto di forza ed occasione per
l’incremento dell’occupazione.
Voglio anche aggiungere che, naturalmente, queste altre realtà non le conosco così
bene, come quelle di cui sono stato promotore e responsabile. Quindi non potendole
guardare dall’interno, come ho potuto fare nel caso della Fondazione e delle altre
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aziende che ho promosso, mi astengo dall’indicarle nominativamente, anche per evitare di dimenticarne qualcuna, senza volerlo.
Infine il territorio è stato un protagonista attivo nell’ambito della programmazione
negoziata ad opera della società di gestione del Patto Territoriale del Cilento con il
finanziamento del Patto Territoriale Generalista del Cilento e del Patto Specializzato
per l’Agricoltura e la Pesca del Cilento.
Grazie ai due Patti sono state finanziate complessivamente n.111 iniziative imprenditoriali (di cui n.40 con il Patto Agricolo e n.71 con il Patto Generalista) e molte
infrastrutture di supporto alle attività produttive come il potenziamento del sistema
depurativo sulla fascia costiera, la realizzazione di aree di insediamenti produttivi, la
ristrutturazione di un palazzo storico destinato a centro per la Dieta Mediterranea.
Faccio quest’ultima riflessione per far comprendere ai cilentani che vi sono due tipi di
amministratori: quelli in possesso di una “visione”, cioè di un progetto che impegna
al massimo le proprie energie per realizzarlo, e quelli che considerano la carica come
l’occasione per impadronirsi di ciò che altri, con impegno e dedizione, hanno contribuito a realizzare. In questo secondo caso si tratta per lo più di mediocri, di meschini,
di invidiosi che nella vita non hanno costruito niente di importante, né per loro stessi,
né per la società.
Ho pure precisato che non esistono oggi sul nostro territorio solo la società Idrocilento, la Fondazione Alario e altre realtà collegate. Anzi riconosco volentieri che il
Cilento vanta anche altre eccellenze di natura pubblica (come per esempio il Parco
Nazionale) e di natura privata, che sarebbe stato interessante passare in rassegna, ma
purtroppo da me conosciute solo in minima parte.
Ha svolto, un ruolo di primo piano anche la Diocesi di Vallo della Lucania, che si estende su tutto il territorio cilentano, con l’azione di forti investimenti operata dal Vescovo
Mons. Giuseppe Favale nel mondo dei beni culturali. Uno dei grandi meriti che si riconoscono a questo Vescovo è certamente quello di aver costruito il suo impegno pastorale sull’operosità, sulla progettualità, sulla fecondità di un’intelligenza viva e aperta
al nuovo, infondendo coraggio e rivitalizzando la vita comunitaria dei piccoli paesi,
diventati serbatoi di una gioventù sfiduciata per la cronica mancanza di lavoro.
Per ultimo non posso non segnalare un altro elemento di novità: la Fondazione “G.B.
Vico” nata ad opera del prof. Vincenzo Pepe, dopo il restauro del castello di Vatolla.
Essa si propone il recupero di beni culturali e la promozione di una società a sviluppo
sostenibile.
Il Cilento, dunque, oltre al Consorzio Velia, alla Fondazione Alario e ad Idrocilento,
dispone di altri soggetti organizzati che hanno operato bene per il territorio. Grazie
ad essi, il Cilento, utilizzando i fondi europei, è riuscito a risolvere molti problemi e
a creare alcune condizioni favorevoli per lo sviluppo, senza riuscire però a costruire
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un sistema produttivo forte e soprattutto duraturo. Esso è tuttora afflitto da un perdurante malessere per la presenza di alcune criticità socio-culturali e la carenza di
dotazioni infrastrutturali.
Il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano
Un’altra realtà istituzionale ed operativa importante del territorio è l’Ente Parco.
Ad esso sono affidati grandi responsabilità e poteri. È il secondo in Italia per estensione, con i suoi 181.000 ettari. Coinvolge 89 comuni, 250.000 abitanti e otto Comunità
Montane.
Dopo 18 anni di operatività, l’ente è cresciuto nella coscienza dei cittadini per cui non
viene più vissuto come un vincolo, come un’istituzione fredda e burocratica del “no”,
ma come un’opportunità, uno strumento per promuovere lo sviluppo economico
del territorio.
L’Ente Parco è un vero punto di forza del territorio non solo per la sua valorizzazione
ambientale ed economica, ma anche perché è un’occasione per inserirlo nella programmazione nazionale e regionale al momento della ripartizione delle risorse finanziarie. Esso, infine, ha molto credito al di fuori del territorio e partecipa attivamente
ai tavoli di concertazione.
Sono convinto che il Parco sia davvero uno strumento per promuovere lo sviluppo
economico del Cilento, e perciò formulo una proposta nella prospettiva che venga
condivisa dall’attuale governance del Parco.
Una proposta che, tra l’altro, permetterebbe di incidere su alcuni dei più gravi fattori
di fragilità del territorio: l’alto tasso di disoccupazione; l’abbandono del territorio da
parte della popolazione a causa di un tessuto produttivo basato su un’agricoltura
povera e su allevamenti in via di estinzione.
La proposta-sfida è quella di creare posti di lavoro e nuove occasioni di reddito rafforzando le capacità turistiche del territorio interno, rivitalizzando i centri storici
semi-abbandonati (e in una buona parte ristrutturati, grazie ai fondi comunitari), e
valorizzandone le potenzialità energetiche.
A mio avviso, il Parco deve acquisire la funzione di cabina di regia della pianificazione
e degli investimenti finalizzati allo sviluppo e alla valorizzazione dell’intero territorio
portando i comuni della costa e quelli dell’interno del territorio a condividere progetti e percorsi in un’ambiziosa strategia d’area vasta dello sviluppo, cioè di regia di
un sistema di soggetti, pubblici e privati, puntando a valorizzare le risorse e le energie
presenti in loco sul territorio. Ciò deriva dalla consapevolezza che, ai fini dell’attuazione del disegno di sviluppo territoriale delineato, non si possa prescindere dal Parco.
In concreto dovrà proporsi di agire come protagonista locale, come soggetto sovracomunale per superare:
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1) gli inconvenienti derivanti dall’attuale assetto istituzionale dell’area fatta di tanti
piccoli comuni;
2) la logica del campanile;
3) per bandire gelosie localistiche;
4) per coagulare intorno ai progetti strategici gli interessi della popolazione;
5) per presentare il progetto Cilento o il pacchetto Cilento come la risultante della
volontà di tutte le forze del territorio.
Più in dettaglio il Parco dovrebbe lanciare la proposta di tre contratti di bacino fluviale, uno per l’Alento, un secondo per Lambro, Mingardo e Bussento, ed un terzo per il
Tanagro nel Vallo di Diano.
Il Contratto di Fiume si configura come un accordo volontario fra soggetti pubblici
e privati volto a definire obiettivi, strategie d’intervento, azioni da attivare e competenze.
Gli assi strategici che accompagnano il processo relativo al Contratto di Fiume sono:
la tutela, riqualificazione e qualità ambientale del corso d’acqua; la riqualificazione territoriale e paesaggistica delle aree del bacino; la promozione, fruizione e valorizzazione
economica del territorio.
Questi macro-obiettivi rappresentano i cardini sui quali si sviluppa il piano d’azione
del Contratto di Fiume.
Voglio qui ricordare che, in base alle esperienze francesi, piemontesi e lombarde, i
Contratti di Fiume attivano una progettazione che mette insieme i corsi d’acqua e le
risorse del territorio.
I Contratti di Fiume rientrano, tra l’altro, nei programmi europei di finanziamento tra
cui i Programmi di Cooperazione Territoriale che prevedono una copertura economica al 100%.
Da queste considerazioni scaturisce la incongruenza di considerare in blocco il territorio del Parco per esigenze di carattere organizzativo e gestionale. Una cosa è mettere in moto una macchina snella e leggera, altra cosa è mettere in moto una macchina
pesante e complessa.
L’area sarebbe troppo ampia.
La Direttiva quadro europea sulle acque 2000/60/CE assume i bacini idrografici, quali
unità geografiche di riferimento, per il governo di tutte le azioni in materia di tutela
delle acque e gestione integrata delle risorse idriche.
Per ultimo si propone all’ente Parco un accordo avente ad oggetto la valorizzazione
turistica, educativa – naturalistica dell’insieme costituito dalle risorse di alto pregio
della diga Alento, della fascia arborata di rispetto circumlacuale, dei servizi al pubblico, dei percorsi didattici guidati nella galleria della diga e lungo il corso dell’Alento.
L’obiettivo è quello di attrezzare, con il completamento della strada diga Alento-Stio,
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uno degli ingressi principali al Parco del Cilento nell’interesse sia dei turisti sia delle
popolazioni dei comuni a valle della diga e a monte dell’invaso di Piano della Rocca.
Infine vorrei qui ribadire che il Parco non può continuare ad ignorare la Fondazione
Alario.
Questa Fondazione, piaccia o no, è una realtà che il Parco dovrebbe avere interesse
a valorizzare facendola diventare un soggetto attuatore delle attività immateriali nel
settore ambientale e paesaggistico.
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Capitolo settimo
Premessa sulla proposta di un disegno
di sviluppo del Cilento
Fin qui ho fornito un sintetico quadro conoscitivo del contesto socio-economico del
territorio, individuato i punti di forza e di debolezza dell’economia locale e indicato
la nascita di un’articolata filiera istituzionale impegnata a promuovere lo sviluppo
della comunità locale. Ora vorrei contribuire con alcune idee e proposte concrete alla
definizione di un disegno di sviluppo del territorio per offrire ai cilentani una visione
più chiara per il futuro.
In tale prospettiva provo ad esporre un insieme di proposte, coordinate fra loro, riguardanti i settori produttivi e le risorse che, a mio avviso, costituiscono le condizioni
per elaborare un comune piano di azione. Naturalmente, senza la minima pretesa di
esaurire, né di dettare soluzioni indiscutibili. Si tratta di proposte meditate, frutto
delle esperienze e delle riflessioni maturate in tanti anni di impegno speso per realizzare la base strutturale del processo di sviluppo dell’area. Idee utili per contribuire al
rafforzamento della competitività e produttività del territorio e per ridurre la persistente sottoutilizzazione delle sue risorse.
Il futuro piano di azione deve essere, appunto, un programma in cui vengono descritte le idee per valorizzare le risorse locali, conseguire gli obiettivi fissati e mettere in
piedi un vero e proprio progetto di sviluppo.
La sfida dello sviluppo, oggi è più credibile perché, come ho già fatto presente, il
territorio non parte affatto da zero, ha molte carte da giocare e dispone di strumenti
che sono in grado di rimuovere i tanti ostacoli che hanno impedito fin qui la valorizzazione economica delle risorse: una rete di soggetti importanti, capaci di supportare
un autonomo processo di crescita e di attuare forme di collaborazione e di sinergia
con gli attori locali.
Il futuro del Cilento, dunque, è nelle mani dei cilentani: solo chi vive in Cilento può
iniziare un nuovo ciclo per spingere il territorio sulla via della modernizzazione e dello
sviluppo. Come una persona punta tutto sulle sue capacità, si impegna, impiega bene
le proprie risorse e il proprio tempo per emergere e primeggiare, allo stesso modo
il territorio deve contare sulle proprie forze e, se c’è bisogno, liberarsi dal fatalismo,
dall’inerzia, dalla passività, dalla rassegnazione, senza più lamentarsi della propria
sfortuna.
Aggiungo – ed è un principio fondamentale di politica economica e di politica dello
sviluppo – che nessuna economia può davvero reggersi senza un nucleo duro di pro-
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duzione e di trasformazione di beni reali, ossia senza una base industriale moderna.
Credere che servizi, artigianato, turismo o altro possono bastare al vigore di un’economia moderna è pura illusione.
Nella speranza che la classe dirigente locale avverta la responsabilità di passare dalla
stagione dei sussidi a quella del lavoro produttivo, e di proiettare il territorio verso
una dimensione nuova, sottopongo alla vostra attenzione, qui di seguito, le mie proposte sui singoli settori produttivi. Inoltre indico le iniziative da intraprendere per
valorizzare le risorse del territorio.
Far ripartire l’agricoltura cilentana
Bisogna dirlo con grande chiarezza: l’agricoltura tradizionale è superata ed antieconomica. L’abbandono delle aziende agricole, l’invecchiamento degli addetti e il rifiuto
dei giovani a continuare l’attività dei padri costituiscono la logica conseguenza del
fatto che il prezzo di vendita dei prodotti agricoli non remunera il lavoro svolto per
produrli. Insomma, ci si va a perdere anziché a guadagnare.
Sarà possibile riportare all’attività agricola una percentuale di addetti solo se il ricavato dalla vendita dei prodotti, oltre a coprire i costi di produzione, remunererà anche
il lavoro. Per conseguire questo obiettivo, l’agricoltura dell’area, dopo i poderosi interventi infrastrutturali realizzati, deve superare l’assetto tradizionale riqualificandosi
e ristrutturandosi secondo le esigenze del mercato. Perciò il fatto di poter contare, in
pieno Cilento, su una importante attrezzatura irrigua di carattere pubblico, da solo
non basta. Bisogna mettere in piedi un nuovo sistema agricolo territoriale fondato
sulla qualità e sulla tipicità.
Giova a riguardo ricordare che, nel bacino dell’Alento, sono stati realizzati tre sistemi idrici multisettoriali (sistema Carmine-Nocellito; sistema Palistro; sistema Alento)
che, oltre a destinare un rilevante volume di acqua agli usi potabili, artigianali, industriali e civili non potabili, consentono di irrigare, con moderni impianti di distribuzione a pioggia, le seguenti aree:
- la conca di Vallo della Lucania e dei comuni viciniori che va da quota 600 a quota
110 s.l.m. a Pattano;
- la valle del Palistro, che va da Ceraso ad Ascea;
- la Piana dell’Alento e le aree pedecollinari circostanti, dei comuni in destra e sinistra Alento fino a quote di 150-200 s.l.m.
L’area attrezzata è di circa 7.000 ettari che, in un territorio semiarido, costituisce
un’opportunità di grande valore economico perché consente di moltiplicare la produttività del terreno di almeno il 100% e quindi di riportare al lavoro produttivo un
consistente numero di operatori.
Sarebbe un grave errore non valorizzare o sotto-utilizzare questa importante innova-
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zione strutturale, che è indispensabile per far transitare l’agricoltura locale dal vecchio
al nuovo modello proposto, e cioè farla entrare nella modernità e nella competitività
del mercato, organizzando un nuovo ed autonomo distretto agroalimentare.
Senonché tale obiettivo, pur essendo possibile, fino ad oggi non si è realizzato anche
se il territorio, oltre a disporre dell’acqua, dispone di punti di forza che altre aree non
hanno. In particolare, il territorio ha un ottimo clima, terreni non inquinati, prodotti
tipici esaltati dalla dieta mediterranea. Inoltre, dispone di rilevanti flussi turistici e
di un buon mercato locale specie durante il periodo estivo. In più fa parte del Parco
Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano.
I predetti punti di forza, uniti all’infrastrutturazione irrigua, essendo vantaggi competitivi, avrebbero dovuto far entrare l’agricoltura nella modernità e nell’economia di
mercato facendole superare l’assetto tradizionale, fatto di bassi livelli di produttività
e di reddito.
¯
Senonché, ad onta dell’infrastrutturazione irrigua realizzata, della disponibilità d’acqua, e dei predetti punti di forza, pur essendo passati molti anni dalla costruzione
degli impianti, la nostra agricoltura non si è sviluppata, come era auspicabile e come
era stato programmato. È vero che i benefici per il territorio ci sono stati, ma in relazione all’entità degli investimenti fatti, avrebbero dovuto essere molto più ampi e
consistenti.
Finora l’infrastrutturazione irrigua ha dato vita da un lato ad alcune aziende agricole e zootecniche, dall’altro ad un’agricoltura prevalentemente di autoconsumo, essendosi di fatto sviluppata di tipo part time, limitata all’orto, per consumi familiari,
praticata dai sessantenni, dagli impiegati e dagli addetti ai settori produttivi, come è
dimostrato dal fatto che circa 3.000 consorziati hanno chiesto al Consorzio Velia di
poter utilizzare l’acqua per irrigazione.
Inoltre, l’infrastrutturazione irrigua ha spinto alcuni proprietari di fondi rustici, ricadenti nel comprensorio irriguo, a considerare l’irrigazione non come un evento per
creare un’azienda, ma come occasione per cedere a terzi i terreni ad un canone di
fitto più elevato.
In concreto, l’agricoltura dell’area non ha sfruttato l’infrastrutturazione, il sistema irriguo per dar vita, in provincia di Salerno, ad un nuovo e distinto distretto agro alimentare, fondato sulla qualità e sui prodotti tipici.
Quali sono state le cause di tutto ciò? Perché l’agricoltura cilentana non si è saputa
sviluppare?
Purtroppo, a mio avviso, essa non ha imboccato la strada della modernizzazione e
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dello sviluppo per la presenza di punti di debolezza, che in larga parte ho già trattato
nei primi capitoli di questo libro, ma che conviene qui ricordare:
• le zone rurali, rette con sistemi di conduzione primitivi, tendono ad un regime
statico ed illusoriamente equilibrato;
• la crescente disaffezione delle nuove generazioni alle attività agricole dovuta
all’errata convinzione che il lavoro in agricoltura è ancora degradante e poco remunerativo;
• il frazionamento eccessivo della proprietà fondiaria;
• la cultura dell’individualismo;
• la carenza di iniziative da parte del potere politico, cosa che frena le possibilità di
un intervento risanatore;
• la mancanza di cultura d’impresa, perché per troppi anni in Cilento non si è parlato d’impresa, ma solo di posti di lavoro;
• lo spopolamento delle aree interne;
• l’assenza di una strategia a livello locale capace di organizzare la produzione, la
commercializzazione e la trasformazione dei prodotti;
• l’aumento dei costi di produzione;
• la globalizzazione.
Nasce da qui l’esigenza di realizzare un’intesa tra l’Ente Parco, le Comunità Montane e il Consorzio Velia finalizzata ad acquisire dalla Regione Campania le risorse
necessarie per superare i fattori limitanti che oggi contrassegnano la realtà agricola
cilentana, per rilanciarla verso la produzione di prodotti tipici e di qualità costituenti
il fondamento della dieta mediterranea che, ricordiamolo, è stata riconosciuta “patrimonio dell’umanità” da parte dell’UNESCO e identificata come una caratteristica
del Cilento.
Gli obiettivi del nuovo assetto dell’agricoltura sono questi:
• organizzare le produzioni in filiere agroalimentari;
• conferire alle produzioni una particolare connotazione qualitativa diffondendo le
pratiche dell’agricoltura biologica;
• commercializzare i prodotti tipici esistenti, opportunamente riqualificati;
• sviluppare la cooperazione e così rimuovere i peggiori inconvenienti di un eccessivo frazionamento della proprietà fondiaria;
• valorizzare la dieta mediterranea a fini commerciali;
• integrare l’agricoltura e gli altri settori produttivi, tra cui il turismo, come traino
all’offerta.
Si potranno raggiungere questi risultati? E come? La scommessa è quella di convincere gli operatori locali a costituire delle aziende che scelgano le colture giuste, che
si organizzino in modo efficiente in collaborazione fra loro, così da poter entrare sul
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mercato con prodotti di qualità per il consumo fresco locale attraverso adeguate
lavorazioni e confezioni da fare arrivare alla distribuzione regionale e nazionale. Senza
un reale cambiamento di rotta, l’agricoltura continuerà forse a sopravvivere, ma anche ad essere un’attività marginale e a rimanere un settore in crisi.
Come è noto, Il primo problema dell’agricoltura è determinato dal suo basso potere
contrattuale, cioè dalle difficoltà che incontra per far valere la ricchezza della sua produzione nei confronti degli altri attori del processo produttivo. Basti tener presente
che per ogni euro speso dal consumatore, solo 15 centesimi arrivano nelle tasche
degli agricoltori, mentre il resto va all’industria, ai servizi e soprattutto alla grande
distribuzione organizzata.
Il meccanismo perverso dei prezzi bassi, che annulla la redditività del produttore ed
incide sul potere di acquisto dei consumatori, può essere contrastato solo ricorrendo
alla costruzione di filiere produttive “firmate”, nel senso che viene resa visibile e riconoscibile la “cilentanità” dei prodotti nei confronti del consumatore finale, basandosi
sulla trasparenza della filiera, sull’indicazione dell’origine in etichetta e sul legame del
prodotto con il territorio cilentano.
La filiera è una modalità per dare più potere contrattuale agli agricoltori e più vantaggi
ai consumatori. L’obiettivo delle filiere è dunque quello di tagliare le intermediazioni ed
arrivare ad offrire al consumatore i prodotti agricoli cilentani attraverso cooperative,
agriturismi ed imprese agricole che siano di carattere prevalentemente territoriale.
La riduzione dei passaggi e delle intermediazioni, a vantaggio di un rapporto diretto
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tra produttore e consumatore, assicurerà acquisti convenienti alle famiglie e redditi
adeguati agli agricoltori.
In tutto il mondo gli agricoltori hanno abbandonato o stanno abbandonando l’uso
di consegnare ai grossisti un prodotto ancora interrato e a volte sporco (penso in
particolare alle uova), e comunque non lavato, non selezionato, non calibrato, non
confezionato, non etichettato, non marchiato, non tracciabile, insomma del tutto
senza regole. Ma quello è un errore madornale perché a creare gran parte del valore
aggiunto sono proprio questi fattori di contorno, è insomma la “lavorazione” del prodotto ortofrutticolo. Perciò è urgente che l’agricoltore cilentano medio capisca che
vale senz’altro la pena di produrre un ortaggio o due in meno, se così gli altri prodotti
vengono preparati per la vendita direttamente dall’azienda agricola, e poi si affretti
a cambiare strategia, cominciando con la costituzione di cooperative o l’adesione a
qualcuna delle cooperative già esistenti.
Bisogna avviare, attraverso aggregazioni successive e l’organizzazione dei produttori,
attività di qualità soprattutto attraverso la preparazione e l’accettazione delle regole
europee in tema di produzione (tracciabilità) e trasformazione dei prodotti.
La ricerca ha individuato 10 produzioni agroalimentari che rientrano nella tradizione
del Cilento e nella dieta mediterranea:
- ulivo,
- vite,
- fico,
- castagna,
- legumi,
- verdure.
A queste colture si aggiungono gli allevamenti: bovino e bufalino, suinicolo e caprino.
Investire sulla dieta mediterranea
Oggi, la dieta mediterranea e la qualità dei prodotti opportunamente utilizzati in
chiave commerciale possono dar luogo ad una buona redditività se si organizzano le
seguenti linee di produzioni:
• legumi e cereali rari (cicerchia, fagioli, ceci ecc.) da vendere secchi o confezionati
sottovuoto;
• legumi e ortaggi naturali prodotti con tecniche bio-compatibili in campo o sotto
copertura, certificati, venduti lavati e stivati in cassettame (prodotti di seconda
gamma);
• ortaggi crudi, prodotti come sopra, lavati, tagliati e messi in buste (prodotti di
quarta gamma).
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In aggiunta alle predette linee di produzione, bisogna mettere a punto un marchio di
qualità e i controlli per garantire il rispetto degli standard fissati.
In concreto, l’agricoltura dell’area, sfruttando appieno l’infrastrutturazione irrigua e
gli altri fattori competitivi di cui dispone, può dar vita nel Cilento ad un nuovo e distinto distretto agroalimentare fondato sulla qualità e sui prodotti tipici.
Un distretto così concepito disporrebbe di due mercati: quello locale e quello cosiddetto turistico, che, nel periodo estivo, è molto ampio.
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Attualmente, buona parte della domanda di prodotti agricoli sul mercato locale e turistico viene soddisfatta attraverso l’importazione di prodotti provenienti dall’esterno dell’area. Si valuta che la quantità di essi raggiunga un importo di oltre 150 milioni
di euro annui.
La semplice eliminazione dell’attuale deficit di produzione locale sarebbe già un buon
passo in avanti per l’economia agricola perché consentirebbe di catturare e trattenere
sul territorio la somma che attualmente va all’esterno per l’acquisto di prodotti che
vengono consumati localmente.
La spesa dei turisti provoca, come è noto, la domanda di beni e di servizi ma, in aree
come il Cilento, che hanno un apparato produttivo di modeste dimensioni, alimenta invece le importazioni. Il che significa lasciare all’economia locale, a mala pena, i
compensi del lavoro.
Gli effetti della spesa turistica, su un territorio, dunque, sono positivi ed ampi se il
predetto territorio dispone di un apparato produttivo efficiente, rilevante e settorialmente diversificato; se, invece, esso è privo di un apparato produttivo rilevante e
diversificato, come il Cilento, gli effetti della spesa turistica vanno a disperdersi verso
l’esterno. Non lavorare, dunque, per rafforzare il settore primario, non sfruttare l’opportunità costituita dall’infrastruttura irrigua per rendere il settore primario forte e
competitivo costituisce un’omissione grave e penalizzante. È questo il tappo, la strozzatura da far saltare.
La questione centrale del nostro territorio è quella di cominciare a crescere più rapidamente, di creare un’economia nuova di mercato, di ampliare la base produttiva e di
conseguenza quella occupazionale, di incrementare il lavoro produttivo rispetto alla
rendita da pensione, di affitto dei terreni e/o di seconde case.
Il territorio, però, per incamminarsi davvero sulla via dello sviluppo, non può prescindere dal rafforzamento e dal rilancio del settore primario. Sarebbe pura utopia il
pensare di poterne fare a meno. Cari lettori, non ci sono scorciatoie.
Il conseguimento di questo obiettivo presuppone il recepimento del documento
di orientamento dell’Unione Europea secondo cui la produzione agricola non deve
puntare sulla quantità, ma sulla qualità, sui prodotti tipici e sulle produzioni ortofrutticole di pregio. Insomma, per avere successo si deve puntare, secondo le nuove linee
di tendenza, sui prodotti puliti, sui prodotti tipici, sui cereali.
A sua volta tale obiettivo presuppone cinque condizioni:
a) organizzare la produzione nella logica dell’agricoltura ecosostenibile.
b) superare il grave inconveniente derivante dalla frammentazione della proprietà
fondiaria che consente produzioni ridicole. Associare, nelle varie filiere, i produttori per ridurre i costi fissi, per aumentare la forza contrattuale nei confronti dei
clienti e la massa critica di offerta, ecc.;
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c) organizzare la commercializzazione sia sul mercato locale stagionale connotato
da rilevanti flussi turistici sia sul mercato esterno attraverso confezioni protette
da marchi riconoscibili ed inserite nelle catene distributive. È necessario, altresì,
promuovere un’azienda che sia capace di piazzare sul mercato nazionale ed internazionale i prodotti tipici ad un prezzo remunerativo;
c) trasformare parte dei prodotti in loco;
d) aggiornare la professionalità degli operatori agricoli.
So bene che il conseguimento di tutti questi obiettivi non è facile. Si tratta di un
percorso complesso ed impegnativo che richiede la collaborazione non solo degli
imprenditori ma anche degli enti pubblici, tra cui i Comuni, le Comunità Montane e
il Parco. Fino ad oggi c’è stata una gran penuria di iniziative, sia da parte del Parco e
delle Comunità Montane sia da parte dei Comuni per rimuovere le cause che frenano la nascita nel Cilento di un nuovo distretto agroalimentare, che sarebbe il terzo
in provincia di Salerno, dopo quelli dell’agro nocerino-sarnese e della piana del Sele.
Non vi è mai stato, infatti, un intervento sull’opportunità di valorizzare ed utilizzare
l’infrastruttura irrigua per organizzare sul territorio un più moderno sistema agricolo, un nuovo ed autonomo distretto agro-alimentare. Eppure la missione degli enti
pubblici è proprio quella di creare le condizioni per vincere i punti di debolezza che
da sempre bloccano lo sviluppo locale. Purtroppo nessuno se lo ricorda e questo è
assai grave.
Di qui la mia proposta per la costituzione di un Comitato di Coordinamento, a livello
locale, tra l’Ente Parco e gli altri enti operanti sul territorio per affrontare e superare
le criticità indicate.
Fondamentale è, dunque, puntare ad unire le aziende agricole operanti nello stesso
settore in un unico brand per ridurre i costi di produzione ed aumentare i volumi del
prodotto confezionato. Si pensi, ad esempio, al polo dell’olio, delle castagne, dei fichi,
del vino ecc.
Giocare la carta dei consorzi tra i produttori
Bisogna sfruttare l’opportunità di costituire - nella filiera agro-alimentare dell’olio, del
vino e della castagna - tre consorzi di piccoli produttori per ovviare all’inconveniente
delle dimensioni ridotte delle aziende cilentane.
La nascita dei predetti consorzi consentirebbe di conseguire i seguenti vantaggi:
• la crescita della forza contrattuale dei produttori verso la distribuzione;
• la creazione di marchi distintivi delle aree di produzione;
• l’introduzione di tecniche innovative per il miglioramento della qualità dei prodotti;
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• la riduzione dei costi di produzione, di selezione e confezione dei prodotti.
Invece che accade oggi? Accade che la quasi totalità dell’olio, del vino e delle castagne
viene commercializzata attraverso mediatori, a prezzi non remunerativi, mentre questi ultimi realizzano prezzi più alti rivendendo i prodotti altrove.
La creazione di consorzi dei produttori consentirebbe di avviare la distribuzione diretta, di dare ai prodotti il marchio “Cilento”, di promuoverne la qualità, di scommettere sulla specificità del territorio e di partecipare alle fiere specializzate in Italia
e all’estero.
Per stimolare l’aggregazione delle piccole aziende produttrici, voglio richiamare l’attenzione, per esempio, sull’olio di oliva. Attualmente la quasi totalità dell’olio prodotto in Cilento viene commercializzato attraverso mediatori pugliesi che lo pagano in
ragione di due euro al litro! Un prezzo insignificante. Avviando, invece, la distribuzione diretta tramite il consorzio, sarebbe possibile venderlo anche a 10 euro al litro, cioè
ad un prezzo cinque volte maggiore e molto remunerativo.
Se si considera la superficie ulivetata e la capacità di produzione olearia, è facile misurare i vantaggi che ne potrebbero derivare per gli olivicoltori cilentani.
E adesso parliamo della formazione
Abbiamo detto “ripartire dall’agricoltura e dalla formazione”. L’abbinamento può
sembrare strano, ma è evidente che la crescita delle giovani generazioni è un elemento decisivo per lo sviluppo di un territorio. Del resto, diciamocelo con chiarezza,
nel Cilento c’è un limitato ricorso a quello strumento che si chiama innovazione tecnologica, sia nelle aziende agricole che in quelle dell’artigianato e nelle PMI. Non mi
riferisco solo all’aspetto tecnico–produttivo, ma anche all’adozione di strategie competitive poco aperte all’innovazione ed a nuove tecniche di approccio commerciale
ai mercati.
In termini generali, per potenziare il settore primario e gli altri settori produttivi, occorre innalzare la qualità manageriale e le tecniche di conduzione agronomica e favorire l’adeguamento strutturale delle aziende agricole. Non c’è da illudersi. Le prospettive di sviluppo dell’economia locale si basano, preliminarmente, sull’innalzamento
della cultura, sulle risorse umane e sulle tecnologie adottate.
Questi e altri punti di debolezza si possono superare se aumentano le competenze
dei giovani, se i giovani hanno modo di fare le loro esperienze e allargare per tempo
i loro orizzonti.
Infatti è acquisito che la cultura e la formazione sono le uniche insostituibili medicine
per:
• modificare l’atteggiamento nei confronti del lavoro facendolo passare dalla cultura del posto fisso a quello della cultura d’impresa;
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• favorire l’aumento dello spirito cooperativo o di gruppo e per diminuire l’individualismo;
• aumentare il numero dei giovani disponibili a lavorare in proprio;
• aumentare il sapere non solo cognitivo, ma essenzialmente operativo.
Per avviare un territorio verso lo sviluppo endogeno e sostenibile non si può prescindere dalla crescita culturale della realtà locale in tutte le sue componenti nonché dal
miglioramento del capitale sociale. La crescita culturale del territorio è una condizione obbligata per ampliare la base produttiva e ridurre il suo divario con le altre aree
più forti del Paese in termini di ricchezza pro-capite, di produttività, di occupazione
e di investimento.
Ma questo obiettivo – come si può facilmente immaginare - non è facile da conseguire se il territorio non viene fermentato dal punto di vista culturale.
Di conseguenza c’è un interesse del Cilento a migliorare e potenziare l’offerta formativa, e anzitutto quella scolastica con nuovi istituti di istruzione secondaria superiore.
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Capitolo ottavo
Artigianato, commercio e servizi:
il sistema delle picccole e medie imprese
Il Cilento ha espresso in questi anni un nuovo ceto imprenditoriale che, se pur cre-
sciuto, nel complesso è ancora gracile: la base produttiva si è ampliata, ma ancora
non riesce ad assorbire la disoccupazione e valorizzare le risorse. Il territorio si presenta tuttora con un’offerta di lavoro scarsa, con una dotazione infrastrutturale insufficiente, e con istituzioni locali che non svolgono alcun ruolo attivo nel promuovere e
potenziare il sistema produttivo locale.
Inoltre le poche attività esistenti soddisfano solo in modestissima parte la domanda
di prodotti. Purtroppo il Cilento ha pochi produttori, pochi trasformatori di prodotti, ma soprattutto nessuna tradizione nella commercializzazione. Infine la domanda
interna è tuttora dipendente dalla spesa pubblica.
L’esame della situazione, dunque, non autorizza slanci di entusiasmo perché l’apparato produttivo continua ad essere caratterizzato da una diffusa fragilità.
Ciò significa che il territorio non può fare a meno di darsi una strategia per favorire
la nascita e la crescita delle imprese industriali le quali, come è noto, rappresentano
l’unica possibilità per ridurre la disoccupazione e per produrre beni e servizi che diversamente verrebbero importati con conseguente fuoriuscita di risorse finanziarie a
favore delle aree esterne. Le imprese cilentane vanno aiutate a restare sul mercato, a
crescere e a svilupparsi in termini competitivi perché così possono produrre reddito
ed occupazione stabile. Creare un reticolo di imprese in buona salute sortisce l’effetto
di una ricaduta positiva per tutti. Ma so bene che è più facile a dirsi che a farsi, essendo il percorso irto di ostacoli per la mancanza di una tradizione industriale.
Manca del tutto ciò che in altre parti è già consolidato, la tante volte ricordata cultura
di impresa, la voglia di mettersi in gioco di chi crede nelle proprie capacità. Manca anche un’area di insediamento industriale a servizio dell’intero Cilento, un’area di adeguate dimensioni e dotata di servizi (acqua, energia, telecomunicazioni, smaltimento
rifiuti, incubatori ecc.). Mancano le azioni per potenziare le doti e le capacità dei
giovani aspiranti imprenditori. Nel Cilento lo spirito imprenditoriale è spesso sopito
nei giovani: per troppi anni non si è parlato di impresa, ma solo di posti di lavoro. È
pertanto necessaria un’opera di educazione e di formazione adeguata.
Spetterebbe alle istituzioni locali sostenere e favorire la crescita di un sistema di piccole e medie imprese, colmando gli handicap che mettono le imprese in posizione di
svantaggio con il resto dell’Italia. Non possono continuare pilatescamente a lavarsene
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le mani e rimanere neutrali, né possono attendere che la transizione all’economia
di mercato avvenga in maniera spontanea e in tempi rapidi. Esse hanno l’obbligo di
creare le condizioni favorevoli per aiutare le PMI a raggiungere traguardi significativi
di vantaggio competitivo attraverso:
• la creazione di un’area intercomunale di adeguate dimensioni per l’insediamento
delle imprese;
• l’accesso al credito attraverso il rafforzamento e il consolidamento del Confidi
Cilento;
• l’attivazione di servizi reali: consulenza, formazione, aggiornamento professionale
dei quadri e delle nuove leve;
• diffusione di sistemi qualità certificabili: ISO 9001-2000 (per il miglioramento continuo) e 14.000 (ambiente);
• contratti di rete;
• piani di innovazione degli artigiani e delle PMI;
• accordo di partenariato fra PMI e Istituti di Ricerca, Strutture di commercializzazione.
Il problema di creare un ambiente più favorevole alle attività economiche rientra nei
compiti degli enti locali. Fino a prova contraria, essi sono gli strumenti di amministrazione e di governo del territorio.
Gli spazi per promuovere iniziative industriali in Cilento sono numerosi. Basti considerare la linea agroalimentare per la lavorazione dei prodotti agricoli, le industrie che
utilizzano l’acqua come componente importante della lavorazione, la produzione di
additivi naturali per alimenti, la preparazione di cibi pronti secondo la dieta mediterranea ecc. Cosa fare allora per far nascere nuove imprese ? Cosa fare per far crescere
quelle esistenti? Cosa fare per trainare l’attuale sistema produttivo locale verso una
nuova dimensione?
Nelle pagine che seguono approfondiamo alcune proposte per aiutare le imprese a
restare sul mercato, a crescere e a svilupparsi in termini competitivi per produrre più
reddito ed occupazione stabile e di qualità.
Come migliorare la finanza aziendale: il potenziamento
del Confidi Cilento
L’aspetto finanziario è per le aziende meridionali un punto di particolare criticità.
Non è errato sostenere che l’insufficienza delle risorse finanziarie delle aziende ha
minato, per un lungo periodo, la loro capacità di crescita.
Tuttavia l’esperienza ricorda che alcune imprese, quelle minori in particolare, sono
riuscite a crescere ricorrendo al debito bancario, spesso a breve termine, pur essendo
sottocapitalizzate.
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Un aspetto problematico del modello finanziario basato sul debito è rappresentato
da un’altra caratteristica negativa: quella del multiaffidamento. Questo modo di operare fa comodo alle banche e alle imprese. Per le prime vi è la finalità di frazionare
le proprie esposizioni creditizie per ridurre i rischi; per le imprese, invece, avere più
rapporti bancari significa disporre di una capacità di negoziazione che consente loro
di mettere in competizione le banche.
Il rapporto banca – impresa, inoltre, è caratterizzato da altri due elementi negativi:
a) da una debole trasparenza informativa che pregiudica all’interno di un rapporto
fiduciario, come quello del credito, la base di valutazione e di monitoraggio del
rapporto di finanziamento;
b) l’importanza delle garanzie collaterali come parametro di valutazione della finanziabilità di una impresa.
In questo scenario, non certo positivo, si verifica l’applicazione delle normative indicate come Basilea 2 e Basilea 3 che hanno emanato nuove regole sui requisiti di capitalizzazione delle banche (cioè quanto capitale proprio debbono avere le banche a
fronte della sommatoria dei rischi che assumono nello svolgimento della loro attività
di intermediazione).
Poiché il patrimonio proprio per una banca, come per ogni impresa, è una risorsa
scarsa, si determina un clima di maggiore prudenza ed attenzione a livello di erogazione del credito e quindi un peggioramento delle condizioni di accesso al credito. In
concreto, nel prossimo futuro, vi sarà da parte delle banche una crescente selettività
nella concessione dei crediti e una più elevata attenzione al rischio.
In tale contesto solo i Confidi possono essere per le imprese minori un fattore di
compensazione dei predetti effetti negativi di Basilea 2 e 3. Consapevole di ciò, per
dare una risposta positiva alle imprese cilentane, bisogna patrimonializzare in modo
adeguato il Confidi Cilento.
Allo stato la predetta società non sempre è in grado di dare il via libera ai finanziamenti chiesti dalle imprese prive di merito creditizio.
La normativa di settore prevede tre tipi di soggetti abilitati a offrire alle imprese garanzie collettive sui fondi: le banche di garanzia collettiva; i Confidi vigilati (chiamati
Confidi 107) e i Confidi cosiddetti minori.
Per consentire alle imprese cilentane di accedere al credito, sarebbe opportuna l’iscrizione del Confidi Cilento nell’elenco speciale dei 107. Si tratterebbe di un passaggio
di grande rilievo perché valorizzerebbe il ruolo del Confidi nell’ambito delle attività di
finanziamento a favore delle PMI e consentirebbe di riconoscere le garanzie da esso
prestate ai fini della mitigazione del rischio di credito in linea con quanto previsto da
Basilea 2.
La rigidità dei criteri introdotti da Basilea 2 nell’apertura di linee di credito alle im-
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prese e i più stringenti parametri di Basilea 3 rendono indispensabile l’irrobustimento
del Confidi. Il suo mancato rafforzamento rende più difficile il ricorso al credito da
parte delle imprese, specie di quelle più deboli. Il rafforzamento del Confidi, però, è
possibile se alcuni soci della società Sistema Cilento entrano nell’ordine di idee di utilizzare gli importi delle loro quote sociali per irrobustire, sotto il profilo patrimoniale,
il Confidi Cilento.
Risorse per il capitale di rischio delle PMI
Le piccole e medie imprese del territorio hanno in comune anche un’altra esigenza:
quella di reperire risorse finanziarie adeguate per aumentare il loro capitale di rischio
e quindi le loro dimensioni.
Come già detto, la difficoltà ad accedere ai mezzi finanziari costituisce per le PMI un
grande ostacolo. Il credito per loro è come il carburante per i motori. Da qui la necessità di far confluire nelle imprese maggiore capitale di rischio per aiutarle a crescere.
Esse costituiscono un’importante base per evolversi attraverso un graduale processo
di emancipazione, in medie imprese del domani.
Negli ultimi anni, le piccole imprese o, per meglio dire, le micro-imprese che assicurano esclusivamente l’autoimpiego dell’imprenditore e di poche unità lavorative,
sono cresciute sul territorio di numero e di peso. Da qui la necessità di aumentare il
capitale di rischio.
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La Banca del Cilento per consentire alle imprese cilentane di aumentare le loro dimensioni e di favorire l’accesso al credito, si è avvalsa delle seguenti opportunità:
• Fondo italiano d’investimento, nato su iniziativa del Ministero dell’Economia e
delle Finanze;
• Fondo rotativo PMI creato dalla Cassa Depositi e Prestiti;
• Fondo di Garanzia per le PMI costituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico che presta garanzia a fronte dei finanziamenti destinati alle PMI per l’ammontare massimo di € 300.000.
Ha pure stipulato una convenzione con il Confidi Province Lombarde, iscritto alla
sezione di cui all’art.107 del T.U.B., che prevede il rilascio di fideiussioni a fronte di
finanziamenti concessi alla clientela della Banca e alle società che hanno avviato il
processo di rafforzamento.
La convenzione in questione consentirà di erogare sul territorio un servizio di intermediazione della garanzia a condizioni di eccellenza e qualità.
In concreto, a livello di territorio, c’è una Banca che può svolgere una funzione di
sostegno per l’aumento del capitale di rischio delle imprese. C’è da augurarsi, però,
che la Banca del Cilento non continui a rimanere alla finestra, rinunziando, come ha
fatto fino ad oggi, a questa svolta a favore delle imprese. Purtroppo, va preso atto che
la convenzione con il Confidi Province Lombarde, voluta fortemente dal sottoscritto,
non è stata attivata.
Fondo di garanzia per il microcredito
Nel 2010 la società Idrocilento ha deciso di lanciare un fondo di garanzia per il microcredito per incentivare la nascita di micro iniziative imprenditoriali nel Cilento.
Si sa che l’impresa per far fronte alle spese correnti di produzione (acquisto materie
prime, costi energetici, pagamenti di fornitori ecc.) e per investire nella crescita di
medio e lungo periodo (macchinari, partecipazioni in società) necessita di risorse
finanziarie. Il fatturato sulla vendita di beni e servizi nella maggior parte dei casi non
è sufficiente a compensare le uscite e produrre poi un profitto. Se l’imprenditore alle
prime armi non ha i mezzi necessari ad autofinanziarsi, può fare affidamento solo sul
microcredito.
La società Idrocilento, consapevole della predetta criticità, ha già siglato con la Fondazione della Comunità Salernitana un protocollo d’intesa per determinare le condizioni per l’attivazione del Fondo di Garanzia per il microcredito. Allo stato si tratta di
stipulare con la Banca del Cilento una convenzione per determinare l’avvio operativo
del Fondo per il microcredito.
Esso funzionerà nel modo seguente: i cittadini, residenti in Cilento, che non hanno
accesso al credito e che hanno una buona idea imprenditoriale, possono rivolgersi
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alla Banca del Cilento per conoscere i documenti che debbono produrre. Il finanziamento può oscillare da un minimo di 2.000 euro ad un massimo di 20.000 e sarà
garantito al 60%.
Un altro motore per la crescita delle PMI: la formazione
delle risorse umane
La mancata crescita dimensionale delle PMI è dovuta non solo all’insufficienza delle
risorse finanziarie e alla mancanza del capitale di rischio, ma anche alle carenze di tipo
gestionale e alla mancanza in loco di una rete di servizi e di assistenza che, invece, esiste nelle aree economicamente più dinamiche a cui l’imprenditore può appoggiarsi
per impostare i suoi business-plan e per individuare i giusti consulenti.
La Fondazione Alario, consapevole che il rafforzamento della cultura d’impresa degli
operatori cilentani è una condizione necessaria per promuovere la crescita dimensionale delle imprese ed aumentare la loro redditività e produttività, ha stipulato con la
prestigiosa Scuola d’Impresa della Compagnia delle Opere – che associa in Italia più
di 40 mila PMI – una convenzione per svolgere presso la sua sede, in Marina di Ascea,
un’attività di formazione a favore di piccoli imprenditori, dirigenti, neo-imprenditori,
manager e collaboratori del territorio cilentano.
Questa scelta è stata fatta sia per consentire al Cilento di riagganciare i livelli nazionali dell’economia, della cultura e dell’organizzazione aziendale e sia per erogare una
formazione di più alto livello.
L’imprenditore deve prendere atto che la formazione è un fattore essenziale per il rafforzamento delle competenze e delle capacità delle persone. Non va dimenticato che
non si smette mai di imparare. Questo principio vale anche per l’imprenditore che
non deve mai sottovalutare l’importanza dell’aggiornamento continuo, dello studio,
del confronto per arricchire la sua cultura imprenditoriale.
È ora che l’imprenditore la smetta di ricorrere, come ha fatto fino ad oggi, all’arte di
arrangiarsi e al suo “intuito”, convinto della bontà e della validità del suo “fiuto imprenditoriale”.
Egli deve invece imitare i titolari delle P.M.I. del Centro Nord che per svolgere meglio il
loro ruolo non mancano di impegnarsi in frequenti corsi di formazione continua.
In conclusione, per superare il nanismo delle imprese, bisogna rimuovere diverse cause, tra cui l’incapacità di creare alleanze e di realizzare reti d’impresa; la scarsa preparazione e competenza nella gestione economico–finanziaria; la debolezza della forza
vendita, nonché della capacità di guidare le persone e di organizzare le attività ecc.
La rimozione delle predette cause consentirà, fra l’altro, una congrua riduzione dei
costi aziendali e una maggiore produttività. Per conseguire, però, questo obiettivo
occorre un management che conosca i processi produttivi e li sappia gestire ed ap-
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plicare. Al giorno d’oggi, il knowledge management, la gestione della conoscenza, rappresenta una delle idee più influenti nel mondo economico-aziendale. La logica è
che, in un mondo del business caratterizzato da una continua accelerazione, la base
di conoscenza aziendale rappresenta davvero il solo vantaggio competitivo sostenibile. Questa preziosa risorsa deve essere protetta, coltivata e condivisa da tutti i
dipendenti.
Ecco perché sono certo che l’istituzione della Scuola d’Impresa presso la Fondazione
Alario ad opera della Compagnia delle Opere contribuirà a favorire il processo di
rafforzamento e di crescita delle PMI cilentane e ad aumentare la cultura d’impresa.
Per chi ha passione per le sfide e coraggio di affrontare il rischio, voglia di fare e spirito
di intraprendenza, sarà uno stimolo all’innovazione, a produrre beni, a creare valore
aggiunto, ricchezza e profitti.
L’imprenditore vero è consapevole che il successo della sua azienda dipenderà dalla
sua capacità di porsi obiettivi sempre più ambiziosi nella qualità, nell’organizzazione
del lavoro, nel contenuto tecnologico e dei servizi.
In una Pmi, le capacità imprenditoriali si identificano, il più delle volte, con il profilo
dell’imprenditore. Per riassumere, possiamo dire che un imprenditore, nelle varie fasi
di vita dell’impresa, deve far fronte fondamentalmente a quattro funzioni: organizzare, decidere, controllare e pianificare. Ovviamente tutto il processo è influenzato
dalle peculiarità caratteriali e comportamentali proprie dell’imprenditore, nonché
dall’insieme delle conoscenze, generiche e tecniche, che formano il suo bagaglio.
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Capitolo nono
La grande leva del turismo, carta vincente
per il futuro
Il Cilento ha anche una forte vocazione turistica. Come si è sviluppata, quali sono le
sue radici? Abbiamo già sottolineato come la vocazione del nostro territorio sia in
prevalenza legata alla bellezza dello splendido paesaggio costiero e montano, alle sue
tradizioni e al suo folclore, all’artigianato di qualità, alla presenza di una rete diffusa
di ospitalità in strutture ricettive di diverso tipo, alla grande offerta di servizi di ristorazione di qualità.
Tutto questo patrimonio però stenta ad allungare il passo perché si è concentrata
l’offerta turistica sul modello balneare, trascurando il turismo congressuale, culturale, ambientale, naturalistico, sportivo, enogastronomico. Il sistema di accoglienza
è migliorato dal punto di vista della qualità delle residenze, ma è ancora poca cosa.
Il turista oggi richiede un prodotto turistico “globale” composto dall’insieme degli
elementi di attrattiva e dai servizi che rispondono alla specifica motivazione e alle
esigenze che muovono l’ospite.
Un territorio che voglia configurarsi come destinazione turistica di qualità deve organizzarsi per rispondere a queste richieste, partendo dalla valorizzazione delle attrattive
presenti e integrandole con i servizi richiesti dalla domanda turistica. Deve, cioè, darsi
una consapevole politica turistica che ponga gli obiettivi da realizzare mediante una
strategia di prodotto, di promozione e di commercializzazione condivisa con i diversi
“attori” pubblici e privati. L’obiettivo è di fare dell’Amministrazione comunale il centro
di “governante” del sistema di offerta turistico territoriale che è formato non solo dalle
imprese turistiche, ma anche da tanti altri “attori” (commercianti, artigiani, operatori
culturali e gestori di musei, operatori del settore sportivo, in particolare degli sport
all’aria aperta, ecc.) che devono essere sensibilizzati e messi in sinergia fra loro. Questo significa, in primo luogo, avere assessori (livello politico) e dipendenti (livello
gestionale) dell’Amministrazione comunale consapevoli che, con il loro agire, vanno a
influire in modo positivo o negativo sulle potenzialità attrattive del nostro territorio e
sul successo di quanti operano per offrire servizi ai turisti, anche quando – assessori e
dipendenti comunali – si occupano di materie a prima vista “non turistiche”. Secondo questa visione gli interventi che si ritengono necessari sono:
1. riprogettazione delle modalità di relazione fra i vari uffici comunali rispetto ai
temi a ricaduta turistica;
2. fare dell’Ufficio Cilentano Informazioni Turistiche non solo la struttura per la
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promozione turistica del territorio, l’informazione e l’accoglienza del turista, ma
anche il centro di raccolta delle informazioni su domanda e offerta, necessarie
per impostare una strategia di marketing turistico territoriale;
3. semplificare le relazioni amministrative fra imprese turistiche e amministrazioni
pubbliche mediante lo “Sportello unico”;
4. rafforzare la collaborazione tra i comuni costieri e quelli dell’interno, e, più in
generale, con le politiche turistiche della Regione Campania;
5. creare le condizioni per stimolare gli “attori” del sistema di offerta a creare prodotti turistici per specifiche nicchie di mercato, anche inserendosi in reti territoriali;
6. valorizzare i centri storici dell’interno come luoghi vitali e autentici di incontro
fra l’ospite e il cilentano, intervenendo sulla pavimentazione dei “vicoli”, sulla
cura dell’arredo urbano, sulla pulizia di strade e piazze, sulla raccolta differenziata dei rifiuti, sull’eliminazione di cavi elettrici e telefonici almeno negli scorci di
maggiore valenza estetica e paesaggistica;
7. aumentare le aree pedonali, almeno per certi periodi stagionali e in certi orari,
ricercando il consenso dei residenti; dobbiamo restituire ai cilentani e ai turisti
il gusto di passeggiare nel centro di Acciaroli o di Palinuro godendo delle sue
bellezze;
8. stimolare sinergie fra i diversi musei cittadini e promuovere eventi culturali e mostre d’arte, valorizzando a tal fine il patrimonio culturale di proprietà comunale;
9. sostenere l’artigianato artistico e tradizionale di qualità;
10. assicurare la qualità e autenticità del paesaggio rurale, la manutenzione della
viabilità secondaria, ecc.;
11. migliorare la raccolta differenziata intervenendo per ridurre l’impatto estetico
degli attuali punti di raccolta specie nelle immediate vicinanze dei centri storici;
12. investire nelle energie rinnovabili come elemento di attrazione di “turismi” sensibili alla problematica ambientale;
13. rendere ciclabili alcuni tratti di strada lungo la costa cilentana;
14. stimolare le associazioni sportive a organizzare eventi di rilievo nazionale sul territorio;
15. migliorare e ammodernare le infrastrutture sportive creando impianti capaci di
ospitare gare di rilevo nazionale, anche di sport minori;
16. investire per rendere il Cilento e il suo territorio un caso di eccellenza nell’accoglienza di turisti con bisogni speciali (disabilità, fisiche e mentali, ecc.).
Perciò viene spontaneo fare il confronto con la qualificazione e diversificazione dei
servizi che c’è in altre regioni d’Italia per capire che molta altra strada si deve urgentemente fare.
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Perché – diciamocela tutta - pur avendo un grande potenziale turistico, il Cilento
non è riuscito a qualificarsi come area di vacanza del centro-nord Italia e dell’Europa,
non ha integrato l’offerta del mare e del sole con ciò che ci invidiano e che altrove
non hanno: la storia, il mito, la natura incontaminata, la cultura locale e altre risorse.
Tutti sanno che nel Cilento vi sono luoghi cantati da Virgilio (il Capo Palinuro); c’è
Elea-Velia che custodisce un importante sito archeologico e le radici del pensiero occidentale. Che si aspetta a utilizzare questi lasciti come volani e attrattori di sviluppo?
Quando si deciderà la classe politica ad aprire gli occhi? Oggi la concorrenza tra regioni è fortissima. Come nell’industria, non basta puntare solo sui prodotti tradizionali:
perché il sole e il mare vengono offerti anche da altre aree del Mediterraneo e spesso
a condizioni anche più economiche.
Il Cilento, dunque, può diventare meta di vacanze se si impegna a mettere a sistema
tutte le proprie risorse, non solo quelle balneari, con un’adeguata attività di promozione e con il miglioramento e la differenziazione della recettività. E se si capisce una
volta per tutte che fra i segmenti che compongono il mercato turistico non c’è solo il
mare e la spiaggia di luglio e agosto.
Secondo le tendenze del mercato nazionale ed internazionale, queste risorse naturali
sono ormai insufficienti per richiamare i turisti, essendosi diffuse nuove forme di turismo. Un territorio suggestivo come il Cilento, per attrarre il turismo internazionale
tutto l’anno, deve integrare mare, spiagge, clima, bellezze naturali e beni archeologici
con un’offerta ricca e variegata, comprendente più opportunità turistiche. Ciò che è
stato fatto in altre zone, da noi non si è fatto o si è fatto un po’ troppo alla buona, e le
conseguenze le stiamo pagando.
Il Cilento interno con i suoi paesaggi, i suoi prodotti tipici, i suoi insediamenti, i suoi
usi e la storia locale può diventare oggetto di un grande interesse da parte degli amanti della natura, e degli abitanti delle aree metropolitane rovinate da tante emergenze
ambientali. Si va diffondendo un nuovo modello di turismo, fortemente legato al
territorio e alle sue risorse che vede ormai milioni di persone viaggiare per conoscere
nuovi territori, nuovi paesaggi e prodotti. In sostanza è cambiato il modo di scegliere,
organizzare e vivere la vacanza.
Nell’era post-industriale, la domanda di fondo che muoveva milioni di italiani verso
le ferie “stessa spiaggia stesso mare” è stata ribaltata. Il modello delle vacanze nei
posti dove andavano tutti è entrato in crisi. Secondo l’Organizzazione Mondiale del
Turismo, il pacchetto “sole, mare e sabbia” o il pacchetto “tutto compreso” sono stati soppiantati da forme alternative di viaggio e da un diverso stile di vacanza. Si va
affermando il concetto di “viaggio-esperienza”, del “viaggiare lento” che consente la
scoperta di nuovi territori, di nuovi paesaggi, di attività sportive a contatto con la
natura.
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Ecco, in questo scenario s’inserisce il territorio cilentano che deve sviluppare la cultura dell’accoglienza, la capacità di trattare bene il turista viaggiatore, offrirgli servizi di
qualità per diversi tipi di turismo, nonché cibo tipico a prezzi equi.
In conclusione, oggi si scelgono vacanze brevi in località dove si possono fare passeggiate e tour in bicicletta, andare a cavallo o soddisfare passioni come la pesca, il tiro
con l’arco ecc.
Il turismo rurale e quello enogastronomico
La diffusione di questo nuovo modello turistico legato al territorio offre alle zone
rurali del Cilento un’ampia prospettiva di sviluppo e quindi la possibilità di evitare il
declino e lo spopolamento.
Il turismo, dunque, può dare una mano alle aree interne e quindi alle comunità locali che vivono su di esse. Ma a patto che si diversifichino i prodotti e si rispettino le
motivazioni dei vacanzieri. È necessario inserire il territorio interno nei grandi circuiti
turistici incrementando le strutture ricettive e migliorando l’accoglienza. Nelle aree
rurali non mancano certo le imprese agricole che dovrebbero essere interessate all’integrazione del loro reddito, concorrendo alla formazione dell’offerta turistica. La nota
dolente resta comunque quella della ricettività, ancora insufficiente ed inadeguata.
È in crescita, stando ai dati, anche il turismo legato all’enogastronomia. Ma non nel
Cilento. Eppure è la patria della cucina mediterranea, potrebbe veleggiare tra le vette
di questo settore. Perché sono molti i cittadini italiani e stranieri che amano passare i
loro weekend e le loro vacanze alla riscoperta della buona cucina e dei buoni vini.
C’è pure da sfruttare meglio il riconoscimento UNESCO alla Dieta Mediterranea che,
come è noto, si fonda sul consumo di ortaggi, frutta, cereali, un bicchiere di vino,
carni bianche.
Si tratta di recuperare quindi la capacità di offrire piatti della antica tradizione contadina che si offrono solo in Cilento.
Rafforzamento dell’offerta di servizi
Nell’estate 2009, il Consorzio Velia, a seguito dell’avvio di un processo di confronto
e di coinvolgimento dei sindaci dei comuni rivieraschi del fiume Alento, delle Comunità Montane del Gelbison-Cervati, dell’Alento-Montestella e delle Associazioni
turistiche locali (sfociato nella sottoscrizione di tre accordi di collaborazione), lanciò
un ambizioso progetto di valorizzazione turistica, ambientale, sportiva e ricreativa
del complesso Alento per dare al territorio un nuovo corso nel campo turistico.
Il sistema Alento, per chi non lo sapesse, è costituito da un lago che si estende per
circa 3,5 Km su una superficie di 150 ha; dalla fascia di rispetto che circonda l’invaso
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per 13 Km; dall’ampia area a valle della diga sistemata a “parco attrezzato” dove è
stato realizzato un altro laghetto artificiale esteso su 5.000 mq, con una fontana, una
piazza, una cappella, un parco giochi per bambini, un campo per il tiro con l’arco,
un bar, un ristorante, una sala-convegno, un parcheggio, una foresteria, la sede del
Consorzio Velia e l’Oasi naturalistica, lunga 8 km, dove sono stati realizzati sette stagni fuori alveo ed uno in alveo. Tutto questo piccolo paradiso si caratterizza oggi da
un lato come una grande area di attrazione e di svolgimento del turismo scolastico
e dell’educazione ambientale, dall’altro come una grande palestra all’aperto per lo
svolgimento di attività legate al settore del tempo libero. Per meglio cogliere la dimensione del sito, giova ricordare che la superficie del complesso è di ben 475 ettari.
È stata pure realizzata la strada di collegamento Alento-Stio per 18,7 Km: di questi,
16 km sono già una realtà, mentre si attende solo il finanziamento dell’ultimo lotto,
pari a 2,7 chilometri.
Non si può negare che già oggi questo complesso, centrato sull’invaso dell’Alento,
per le sue caratteristiche e la qualità degli interventi realizzati, costituisce una grande opportunità per l’avanzamento del territorio sulla via dello sviluppo turistico. Se
verrà implementato con gli interventi indicati e descritti, quest’area attrezzata non
mancherà di diventare un grande attrattore turistico-sportivo-ricreativo ed ambientale, in grado di richiamare nell’area un gran flusso di turisti vacanzieri in tutti i mesi
dell’anno e quindi di ampliare la stagione turistica, almeno a sei mesi, attualmente
concentrata su appena 30-40 giorni.
Non sfuggirà, altresì, che il progetto ideato, una volta attuato, diventerà un’opera di
svolta e di cambiamento per l’intero territorio, dalla collina interna al mare, perché,
oltre a potenziare i servizi di educazione ambientale, accoglienza e ristoro e ad assicurare un’offerta integrata di servizi consentirà non solo una diversa organizzazione del
territorio, spostando gradualmente la residenza turistica dall’area costiera ai comuni
interni, ma anche il rafforzamento della sua competitività ed una crescita sostenuta
e duratura della nostra economia.
Va pure considerato che il complesso si trova in una privilegiata posizione geografica,
cioè a pochi chilometri dalle principali attrazioni culturali della Campania: Velia, Paestum, la costa cilentana, i santuari naturalisti del Parco (area delle Gole del Calore, il
sistema dei santuari, i siti rupestri della dorsale del Monte Chianiello, le falde boscate
del Cervati, ricompresi nei siti Natura 2000 e nel patrimonio universale dell’UNESCO).
Nessun altro luogo della Campania concentra in pochi chilometri un così ricco patrimonio storico, archeologico ed ambientale.
Eppure, ancora non ci siamo. Per aumentare la forza attrattiva e di richiamo del complesso, è necessario realizzare una pluralità di interventi complementari ed arricchire
l’offerta dei servizi per le varie tipologie di sport. Ecco a mio avviso quali:
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un campo di gara per la canoa con una tribunetta e i servizi igienici;
il potenziamento del parco-giochi per bambini;
campi di pesca sportiva;
il completamento della pista attorno al lago nella zona a monte dell’invaso;
il museo dell’acqua;
l’estensione fino al mare dell’oasi naturalistica con inizio dal Comune di Lustra,
comprendente la costruzione di un corridoio naturalistico ciclo-pedonale lungo il
corso dell’Alento;
- la costruzione del centro-visite per l’area nord del Cilento;
- un’area attrezzata con punti di ritrovo e di partenze per escursioni;
- un vivaio di piante autoctone;
- la costruzione degli ultimi 2 Km della strada di collegamento diga Alento-Stio per
consentire ai visitatori e ai turisti di raggiungere, in pochi minuti, i “santuari naturalistici” del Parco Nazionale del Cilento.
Il turismo può diventare una risorsa sostituiva delle attività manifatturiere e quindi
motore di rinascita economica e promozione sociale. A sua volta il Piano Territoriale della Campania considera la fascia fluviale dell’Alento un “corridoio regionale” da
potenziare (fa parte della rete ecologica regionale e dei Siti di Interesse Comunitario
nel quale si inserisce il complesso Alento). Per questi motivi le amministrazioni locali
hanno convenuto sulla necessità degli interventi proposti.
Dopo la stipula degli accordi di collaborazione anzidetti, il Consorzio Velia ha bandito
addirittura un concorso internazionale di idee sul tema, sia per far transitare il disegno
di valorizzazione turistica, sportiva ed ambientale del fiume Alento, dallo stadio di
idea a quello di studio di fattibilità, e sia per individuare, nell’ambito delle proposte
progettuali che sarebbero pervenute, la migliore.
Il concorso ha suscitato un largo interesse a livello nazionale, come è testimoniato
dalla partecipazione di ben 14 gruppi di professionisti multidisciplinari e dalla qualità
delle proposte progettuali.
Su quattordici elaborati pervenuti, la Commissione di esperti ha premiato come migliore quello del gruppo professionale “Sinergheia” di Salsomaggiore per aver dimostrato una buona conoscenza del contesto locale e degli strumenti urbanisti regionali
e per aver delineato un piano integrato di azioni che prevede più di cento interventi
concreti e fattibili, nonché diffusi sul territorio. Gli interventi previsti, una volta realizzati, daranno vita ad una grande attrezzatura pubblica che, per la molteplicità di
funzioni e servizi che assicurerà, concorrerà a far crescere, in modo esponenziale, non
solo la competitività del Cilento nello scenario turistico nazionale ed internazionale,
ma anche la forza attrattiva e di richiamo dell’area per riequilibrare le presenze tra la
zona interna e quella costiera onde superare il vincolo della stagionalità del turismo.
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Inoltre, la realizzazione del progetto consentirà ai singoli comuni rivieraschi di fare
interventi complementari sul loro territorio (arredo urbano, aree a verde, sistemazione strade vicinali ed interpoderali, sentieri per passeggiate ecologiche, recupero,
conservazione e riuso di immobili civili e rurali disponibili lungo i circuiti e loro utilizzo come basi logistiche e di accoglienza, aree di sosta, aree panoramiche attrezzate,
cartellonistica, piste ciclabili, promozione di alberghi, pensioni e ristoranti nei centri
storici, eco villaggi, ecc.) per migliorare il contesto locale sotto il profilo ambientale,
paesaggistico e dell’accoglienza.
Il progetto Alento, infatti, riguarda solo la fascia fluviale, dalle sorgenti alla foce, e non
comprende la valorizzazione in termini ambientali e turistici del resto dell’area idrografica del bacino che rimane nella competenza dei singoli comuni.
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Il campo da golf e il villaggio agrituristico
Voglio parlarvi adesso di un’altra carta che è possibile giocare alla grande. Alla fine
degli anni ’80, il Consorzio Velia, che mi onoro di presiedere, prese l’iniziativa di chiedere alla Regione Campania il finanziamento della progettazione di più interventi, tra
cui quello di un campo da golf ubicato nel fondo “Foresta”, in agro di Castelnuovo Cilento. Il sito fu scelto perché esperti del settore, dopo averlo ispezionato, convennero
sulla opportunità di poter destinare il fondo ad insediamento turistico-sportivo, in
funzione dei seguenti requisiti:
• perché a ridosso della costiera cilentana nel tratto Paestum-Sapri;
• per la grande disponibilità di acqua e per la morfologia del terreno;
• perché dotato di un ottimo collegamento viario e ferroviario;
• per la presenza del mare, non inquinato, a pochi chilometri;
• per la presenza del centro polifunzionale della Fondazione Alario, in Marina di
Ascea, e del polo sportivo, ricreativo-naturalistico ed ambientale dell’Oasi Alento;
• per la vicinanza ai porti di Casal Velino e di Acciaroli, così come ai siti archeologici
di Velia e di Paestum;
• per l’ampiezza dell’area territoriale che offre ottime risorse climatiche, naturalistiche, ambientali, culturali, storiche ed archeologiche;
• per il collegamento viario del territorio con l’aeroporto di Pontecagnano;
• perché il fondo ha un’estensione tale da consentire la realizzazione di un programma coordinato di interventi.
All’interno del fondo “Foresta” potrà trovare posto, da un lato, una struttura ricettiva
delle dimensioni di 350-400 posti letto (che potrebbe essere articolata in due unità alberghiere da 100-120 posti letto ciascuna e da un residence per circa 100 posti letto)
e, dall’altra, un complesso di strutture sportive complementari comprendenti campi
da tennis, piscina, ecc.
La realizzazione del campo da golf, in funzione degli elementi di sicuro successo che
ne caratterizzano il progetto, presuppone l’individuazione di un imprenditore disponibile a gestirlo e a realizzare il villaggio agrituristico.
Il progetto del campo da golf rappresenta una risposta concreta per creare, nel Cilento, una struttura turistica di livello nazionale ed internazionale, in linea con i segnali
che provengono dal settore, in grado di superare il vincolo storico locale della stagionalità del turismo e di incentivare altri investimenti capaci di creare le condizioni per
un generalizzato e moderno sviluppo dell’area e di ampliare l’offerta turistica.
Il Consorzio, in questo caso, ha operato quale agenzia tecnica dei comuni di Castelnuovo Cilento, Casalvelino ed Ascea, che lo designarono a motivo delle conoscenze
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tecniche e amministrative necessarie alla realizzazione di interventi complessi, di forte connotazione interdisciplinare, maturate in lunghi anni di esperienza.
In concreto, la responsabilità programmatica e politica dell’intervento in questione
è degli enti locali, mentre l’attuazione del progetto è affidata al Consorzio che, com’è
noto, è una struttura avente personalità giuridica pubblica.
Questa impostazione, fra l’altro, venne recepita dalla Regione Campania, come si può
evincere dall’autorizzazione del Ministero per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno del 27/6/1992, prot. n.5274/92, con la quale quest’ultimo, vista la proposta
programmatica della Regione Campania, autorizzò l’Agenzia per la Promozione dello
Sviluppo del Mezzogiorno a stipulare con il Consorzio Velia una convenzione avente
ad oggetto una pluralità di interventi tra cui il campo da golf in questione.
La Giunta Regionale della Campania, su proposta dell’Assessore Regionale al turismo,
ha approvato (con deliberazione n.1343 del 06/08/2008) otto progetti per lo sviluppo
turistico.
Essi rientrano nell’Accordo di Programma Quadro “Sviluppo Locale”, approvato a
seguito dell’Intesa istituzionale di programma della Campania, stipulata tra il Presidente della Giunta della Regione e il Presidente del Consiglio dei ministri in data
16/2/2000.
Cinque progetti riguardano Napoli e provincia, gli altri tre rispettivamente Avellino,
Caserta e Salerno.
Per Salerno è previsto il campo da golf a Castelnuovo Cilento con la spesa di 15 milioni di euro.
In data 1/10/2008 è stato sottoscritto un protocollo di intesa fra il Consorzio di Bonifica Velia e l’Assessorato al Turismo della Regione Campania.
Si è in attesa del definitivo finanziamento dell’intervento.
Il “prodotto congressuale”
Allo stato il Cilento, come ho già fatto presente, non dispone di un vero e proprio
centro congressuale al fine di promuovere il turismo congressuale e d’affari in aggiunta a quello balneare e agli altri turismi.
La scelta del sito dove svolgere i congressi è influenzata dalla presenza, accanto al
nucleo centrale rappresentato dalla struttura congressuale, di una serie di servizi che
possono essere definiti come “accessori” facenti capo a competenze di attori diversi,
che danno luogo al “prodotto congressuale”, così come inteso dalle esigenze dell’utenza. La prossimità di risorse turistiche tradizionali, la presenza di risorse culturali, la
possibilità di praticare attività sportiva ecc vengono ad assumere un ruolo essenziale
accanto alla sua capacità ricettiva.
Normalmente un centro congressi è dotato di:
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• una sala principale per le riunioni plenarie;
• due-tre sale per riunioni e seminari con una capienza da un minimo di 40 persone
a 60-70;
• un ufficio per gli esponenti del Comitato Organizzatore del congresso;
• un centro stampa attrezzato con telefoni, fax, collegamento internet;
• una zona di ristoro con bar;
• un parcheggio ad uso esclusivo.
La possibilità di realizzare in Cilento un centro congressi di avanguardia è offerta dal
fatto che la Fondazione Alario, oltre a disporre dell’Auditorium Parmenide con 350
posti e del Teatro all’aperto con 300 posti, ha spazi sufficienti per portare a compimento le altre strutture appena elencate.
Risulta già predisposto il progetto infrastrutturale che prevede l’integrazione delle
strutture principali con la realizzazione dei servizi satelliti.
L’investimento complessivo è stimato in circa un milione di euro. La realizzazione del
suddetto progetto permetterà l’incremento dell’attuale standard infrastrutturale e di
consentire al territorio di raggiungere un qualificato livello di dotazione tecnologica
nel settore congressuale.
Per trasformare, però, un territorio in un polo di attrazione turistico – congressuale,
non basta la costruzione di un centro congressi e la costituzione di un Convention
Bureau. Occorre che i componenti della filiera congressuale (alberghi, ristoranti, agriturismi, agenzie di viaggio, ecc), pur conservando la loro autonomia, si sentano parte
di un territorio, di un sistema a rete.
Il successo è dato dal lavoro di gruppo. Considerare solo la propria azienda, la propria perfomance è un approccio miope che non porta risultati durevoli nel tempo.
Se fino a ieri l’obiettivo era vendere servizi di qualità, oggi per garantire un rapporto
continuo di fedeltà con il cliente è necessario vendere la qualità complessiva della
destinazione e del territorio. Ogni azienda fa parte di un tutto e non può pensare di
affrontare da sola le sfide poste dal mercato.
È necessario superare l’idea di concorrenza tra aziende all’interno di uno stesso settore e sostituirla con il concetto di collaborazione e di cooperazione per porsi sul
mercato come un territorio che offre una molteplicità di servizi.
La possibilità di trasformare, convertire un territorio in un polo di attrazione turistica
e congressuale è legata, dunque, non solo alla qualità del centro congressuale e dei
servizi congressuali singolarmente considerati, ma al livello di soddisfazione che l’intera filiera riesce e garantire ai clienti.
Nel quadro appena descritto, è prioritaria la patrimonializzazione della società Elea
Congressi-Convention Bureau in ragione di almeno 500.000 euro per costituire la
quota privata di investimento al fine di poter beneficiare di un contributo pubblico,
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in capitale di pari importo, da valere sulle misure del POR Campania 2007-2013, onde
acquisire le risorse finanziarie necessarie per completare il Centro Congressuale.
L’obiettivo non sarebbe difficile da raggiungere se i componenti della filiera congressuale venissero nella determinazione di partecipare alla società Elea-Congressi sottoscrivendo una quota di capitale sociale.
Sta, dunque, ai titolari degli alberghi, dei villaggi turistici, dei campeggi ecc. sfruttare
il complesso della Fondazione Alario come nuova risorsa per catturare una parte del
turismo congressuale.
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Capitolo decimo
I “cani sciolti” del Terzo Settore e il possibile
ruolo della Fondazione Alario
U
n altro aspetto importante riguarda, anche nel caso del cosiddetto terzo settore, il
bisogno di fare squadra e di unire le forze per autopromuoversi.
Andare ognuno per conto proprio, come cani sciolti, è il modo migliore per andare
alla deriva e perdersi per strada. Aggregarsi in strutture che funzionano vuol dire,
invece, tante cose: venire a sapere e a sapere per tempo, far sentire la propria voce,
organizzare la promozione del territorio o di particolari eventi e poter contare su
un addetto stampa, formare il personale, moltiplicare i servizi e perfino allestire un
centro acquisti.
Il soggetto che meglio saprebbe fornire questo tipo di servizi a tutti i livelli è la Fondazione Alario che, come ho cercato ampiamente di evidenziare, si è data, in base all’art.
2 dello statuto, più missioni, tra cui quella di accompagnare e supportare il processo
di sviluppo socio-economico del territorio cilentano attraverso la crescita del capitale sociale e il superamento degli handicap elencati nel primo capitolo.
In tale prospettiva si propone l’attivazione di un programma pluriennale di animazione, di promozione e di accompagnamento culturale diretto a:
• promuovere tra i giovani e gli adulti la coscienza dei doveri e dei diritti, cioè di una
“cittadinanza attiva”, fondata sul rispetto delle regole di una convivenza civile e di
una sana amministrazione dei beni pubblici;
• modificare gli atteggiamenti e i comportamenti che alimentano la cultura del sospetto e della separatezza;
• valorizzare, di anno in anno, la memoria storica del Cilento e di Elea-Velia che
costituisce il fondamento della “specificità” cilentana cioè del contributo originale
dato allo sviluppo della civiltà occidentale;
• accrescere la formazione culturale e professionale delle risorse umane, soprattutto dei giovani;
• valorizzare le risorse naturali, culturali e paesaggistiche del territorio intensificando la collaborazione fra i soggetti locali (operatori ed istituzioni);
• accrescere la consapevolezza dell’importanza della cultura e della formazione
come agenti di cambiamento e di rafforzamento della società civile e come strumenti motori dello sviluppo locale attraverso la produzione di “beni relazionali”;
• promuovere la cultura d’impresa (che è mix di creatività, innovazione, capacità di
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•
•
•
•
•
•
farsi carico di obiettivi sociali assieme al profitto), la cultura finanziaria e la conoscenza del mercato,
stimolare i soggetti locali a coinvolgersi nelle iniziative che verranno avviate e accrescere la loro consapevolezza sulle cose da fare, sugli interventi da compiere.
Tenendo presente che oltre alla crescita economica, occorre anche arrivare a risultati di crescita sociale e civile. E ciò è possibile se si opera secondo una strategia,
un disegno, una programmazione evitando gli interventi isolati, fine a se stessi;
richiamare l’attenzione dei cilentani sulla necessità di orientamenti e comportamenti personali e collettivi indirizzati allo sviluppo locale;
acquisire al territorio “cultura di governo” liberandolo dalla tradizionale politica
dell’assistenza;
accompagnare gli organismi nati negli ultimi anni a sviluppare sinergie e a massimizzare le potenzialità dei loro programmi;
realizzare un coordinamento tra i soggetti appartenenti al terzo settore per spingerli ad operare in modo congiunto ed in un’ottica di sistema per conseguire
obiettivi condivisi;
realizzare un nucleo di esperti per rispondere ai bandi di corsi di formazione nel
contesto di un’intesa con gli enti locali.
La presenza, pertanto, della Fondazione Alario sul territorio colma una grave lacuna
del nostro sistema sociale perché va ad integrare i sistemi culturali e di istruzione del
territorio.
Vorrei farvi rilevare che quest’ultimo aspetto è molto importante. A tale riguardo vi
ricordo che l’attività culturale in Cilento, già di per sé modesta, non può essere più
frantumata in un numero elevato di microattività per la mancanza di una regia, un
tavolo di concertazione per avviare eventi importanti e condivisi.
In concreto, come negli altri settori, anche in quello della cultura, finora non si è
fatto rete, sistema, massa critica, si è operato invece in modo disgregato, episodico,
scoordinato.
Da qui l’opportunità che la Fondazione si faccia promotrice di un’unione, di un raggruppamento di tutti gli operatori del terzo settore per indurli ad agire in modo unitario mettendo insieme forze, idee e risorse.
Limiti patrimoniali della Fondazione Alario
La Fondazione Alario ha un notevole patrimonio immobiliare, ma non dispone ancora di risorse finanziarie per svolgere appieno la sua missione.
Il patrimonio immobiliare, pur avendo una significativa consistenza, è funzionale alle
attività statutarie, ma non è in grado di produrre reddito. Essa, pertanto, essendo
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priva di autonomia finanziaria, per lo svolgimento delle sue attività, è dipendente
dalle risorse della Pubblica Amministrazione. Ha, infatti, partecipato fino ad oggi ai
bandi statali e regionali e l’ha fatto con successo, pur risentendo di una certa discontinuità.
Allo stato, però, a causa dell’attuale crisi economica e finanziaria, i bandi regionali
e nazionali hanno subito una drastica riduzione per effetto del ridimensionamento
degli stanziamenti pubblici per la cultura e la formazione, per cui il ruolo supplente
della Fondazione viene messo a dura prova. Né è possibile contare sul finanziamento
dei comuni cilentani. Purtroppo è amaro constatare che la cultura in Cilento non è
stata mai ritenuta e considerata dagli amministratori locali un investimento o un’opportunità. E a questa mancanza di sensibilità si aggiunge un’altra considerazione: allo
stato attuale anche una richiesta di modesto contributo cadrebbe sostanzialmente
nel vuoto e non troverebbe alcuna risposta positiva.
Ciò deriva, oltre che dall’obiettiva e critica situazione finanziaria di tali enti, anche del
fatto che essi non sono ancora consapevoli dell’importanza di un’azione culturale e
formativa e delle positive ricadute che essa avrebbe sulla collettività locale.
Se confrontiamo la situazione della Fondazione Alario con quella delle fondazioni
tipo Cini di Venezia, Agnelli di Torino, e altre, rileviamo che quelle istituzioni possono
contare su delle rendite patrimoniali e finanziarie, mentre la Fondazione Alario non
dispone di risorse finanziarie autonome che le consentono di svolgere la sua missione
e quindi le attività per servire i bisogni del territorio.
È evidente che senza risorse la Fondazione non è in grado di accompagnare e supportare culturalmente il processo di sviluppo socio – economico del territorio, né
di promuovere a livello locale le condizioni culturali atte a provocare un cambio di
mentalità.
La crisi obbliga tutti a trovare nuove forme di impegno e nuove fonti di finanziamento. Il territorio deve prendere atto che, avendo bisogno di sviluppo, di crescita e di
ampliamento dell’occupazione, non può prescindere da servizi culturali e formativi
di un soggetto importante qual è la Fondazione Alario.
Come ho già detto, per fare sistema, per diventare comunità, per innestare un autonomo processo di sviluppo territoriale, non si può prescindere dal superamento di
quelle criticità che hanno condizionato fino ad oggi lo sviluppo locale.
La possibile autonomia finanziaria della Fondazione Alario
Per consolidare il ruolo attivo della Fondazione a fianco delle istituzioni locali, del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e degli altri soggetti, per aiutarla a svolgere
le attività che si rendono necessarie per incrementare il capitale sociale, è più che mai
necessario garantirle la sostenibilità economica.
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Ovviamente la scelta non spetta a me, essendo coinvolto nella vita dell’istituzione,
bensì alla società civile che deve decidere se, in sostituzione dello Stato e della Regione che non stanziano più risorse per la crescita culturale della società locale, intende
finanziare la Fondazione Alario per metterla in condizione di soddisfare le esigenze
culturali e formative del territorio e consegnare così ai giovani una comunità migliore. Questo obiettivo, però, ha bisogno di uomini e donne che guardano avanti con
fiducia operosa, che avvertono l’ambizione di contribuire alla crescita della società
locale e di concorrere alla sua modernizzazione, al suo cambiamento per avvicinarla
a quella delle aree più forti.
Naturalmente la speranza è che, aggiunto al sostegno che verrà dalla società civile, vi
sia anche quello degli enti locali, del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano
e delle imprese locali beneficiarie finali del capitale umano qualificato.
In concreto, poiché lo Stato non dispone di risorse per fare investimenti in cultura,
la società civile, le banche, gli enti locali, il mondo imprenditoriale e le aziende non
profit debbono individuare la modalità giuridica più opportuna per poter sostenere
finanziariamente in pool la Fondazione ed aiutarla a diventare un centro d’eccellenza,
capace di sviluppare attività formative e culturali per la valorizzazione delle risorse
del territorio.
Per conseguire tale finalità, c’è ampia disponibilità a modificare l’assetto proprietario
della Fondazione e a trasformarla in Fondazione di partecipazione che, come si sa,
costituisce uno strumento di diritto privato molto flessibile perché consente l’adesione di soggetti assai diversi tra loro come istituzioni, imprese, enti pubblici, persone
fisiche, banche ecc.
I partecipanti alla Fondazione di partecipazione - che si obbligano a versare il previsto contributo annuo - hanno diritto ad eleggere i loro rappresentanti nel Consiglio
Generale e nel Consiglio di Amministrazione.
Allo stato i soggetti presenti sul territorio del Cilento, aventi la medesima missione (quella dello sviluppo locale) e che dovrebbero essere interessati alla Fondazione
sono: il Parco Nazionale del Cilento, la Banca del Cilento, la Banca dei Comuni Cilentani, la società Idrocilento e gli enti locali.
Nella missione dei predetti enti, con l’avvio del federalismo, diventa preminente l’assunzione di un ruolo attivo e propulsivo per lo sviluppo economico e per la crescita
culturale e sociale dei territori in cui operano.
È auspicabile, dunque, che i predetti soggetti, anziché operare da soli, ciascuno per
proprio conto, agiscano in partnership per sommare le risorse di cui ciascuno può
disporre, onde avere a disposizione una maggiore massa critica per consentire alla
Fondazione di operare al meglio.
Vorrei pure ricordare che la cooperazione tra le organizzazioni imprenditoriali e le
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amministrazioni pubbliche e i soggetti del terzo settore produce coesione, fiducia,
progettualità, organizzazione, etica, ecc.
Non deve altresì sfuggire che, con l’attuazione del federalismo e il conseguente trasferimento delle competenze dall’Amministrazione centrale alle Regioni e agli enti
locali, l’autonomia decisionale sulle scelte strategiche per lo sviluppo economico del
territorio si sposterà sempre di più dal centro alla periferia. In pratica si rovescia la
piramide dell’assetto organizzativo dello Stato perché diventa centrale il ruolo della
comunità locale con le sue esigenze e le sue speranze.
Gli enti locali, dunque, diventano responsabili dello sviluppo socio – culturale – economico delle comunità amministrate e non semplicemente dell’efficiente erogazione
dei servizi.
È perciò opportuno da parte dei soggetti operanti sul territorio raccogliere l’invito
a partecipare attivamente alla crescita culturale, sociale ed economica della comunità accettando di aderire alla Fondazione di partecipazione che, come già detto, è
uno strumento elastico e duttile, previsto dagli artt.12 e 1332 c.c., perché permette
ai soggetti pubblici e privati di cogestire gli interventi nei cosiddetti “settori rilevanti”
secondo la disciplina civilistica. Essa, inoltre, consente di formare un soggetto misto
(pubblico – privato) e quindi di far coesistere insieme imprese, banche, associazioni,
soggetti privati e pubblici.
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Va ancora evidenziato che il soggetto che aderisce alla Fondazione, come socio, entra
nel Consiglio Generale partecipando alla gestione ed alla definizione degli obiettivi
e della strategia operativa del proprio contributo finanziario e di quello degli altri
partners.
La Fondazione, dunque, pur rimanendo un soggetto privato non profit, con la modifica proposta, condividerebbe con i rappresentanti delle istituzioni pubbliche e degli
altri soggetti, il compito di elaborare e gestire la cultura del cambiamento e della
modernizzazione.
Il risultato complessivo di questa modifica comporterà un sostanziale ridimensionamento dell’attuale potere di nomina dei componenti degli organi della Fondazione e
un’accentuazione del carattere democratico della stessa.
La formula di cui sopra, infine, oltre ad aprire la Fondazione alle istituzioni del territorio, dovrebbe consentire di risolvere anche la copertura dei fabbisogni finanziari.
Tra i vari soggetti che possono contribuire a dotare, in modo significativo, la Fondazione dei mezzi necessari a raggiungere i propri scopi ci sono la Banca del Cilento
e la società Idrocilento, entrambe interessate a far diventare la Fondazione un loro
soggetto strumentale e ad avvalersi di essa per perseguire lo scopo della promozione
dello sviluppo economico fornendole una parte dei mezzi per raggiungere le finalità
enunciate negli statuti.
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Come è noto, gli enti strumentali sono caratterizzati dal fatto di esercitare in proprio
funzioni e servizi di spettanza di un altro ente.
Ovviamente tale scelta darà diritto ai predetti soggetti di ottenere una presenza qualificata nell’assetto organizzativo e di governo della Fondazione, nonché il riconoscimento della responsabilità di assicurare, attraverso l’attività di direzione e di coordinamento, il raggiungimento dei fini statutari.
Poiché, però, le risorse che la Banca, Idrocilento e le altre istituzioni possono mettere
a disposizione, sono limitate bisogna anche attivare la raccolta fondi presso gli operatori economici dell’area cilentana. Tale raccolta darà i suoi frutti solo se dopo una
progressiva diffusione di una sensibilità culturale favorevole al rafforzamento della società civile, l’opinione pubblica percepirà la Fondazione come una risorsa importante,
uno strumento utile per la realizzazione di un cambiamento nel nostro territorio.
In questa prospettiva, la Fondazione per soddisfare questa esigenza e svolgere proficuamente l’attività di fund raising, deve migliorare la qualità culturale dei propri
collaboratori e delle iniziative proposte al fine di ottenere una maggiore attenzione e
considerazione a livello territoriale e accreditarsi come uno strumento utile e moderno, anche attivando ampi partenariati con privati e istituzioni su grandi progetti di
formazione o di interesse generale.
Tra l’altro, un innalzamento della qualità e quantità dei progetti portati avanti dalla
Fondazione, potrà anche essere da stimolo per gli enti locali che oggi non contribuiscono adeguatamente – o per nulla - alle sue attività (sia per mancanza di consapevolezza degli effetti benefici delle attività culturali sul territorio sia per mancanza
oggettiva di fondi) ma che domani potrebbero tornare ad avvicinarsi vedendo le risultanze dell’attività svolta.
Ma la domanda è: esiste oggi nel Cilento la volontà di utilizzare la Fondazione Alario
per rimuovere le cause del sottosviluppo e della sottocultura? La risposta spetta ad
altri, ma qui vale la pena di tener presente ciò che dice il Premio Nobel Gary Becker
– uno degli economisti più autorevoli del mondo e protagonista del Festival dell’Economia di Trento – quando afferma che «nel prossimo futuro crolleranno i Paesi che
non investiranno sulla conoscenza e sulla formazione continua e che nei prossimi
anni, nei prossimi decenni, il successo e la crescita saranno di casa in quei Paesi che
sapranno investire nei propri cittadini.»
Riposizionamento del ruolo della Banca del Cilento nel sistema territoriale
La crisi economica con la crescente difficoltà delle finanze pubbliche a contenere il
grave deficit accumulato e a rientrare dallo stesso, ormai vicino al 120% sul PIL, la
caduta dei volumi della spesa pubblica, la fine della politica assistenziale, la forte emi-
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grazione dei giovani, l’abbandono del lavoro nelle campagne, l’aumento della disoccupazione e l’analisi del contesto socio – economico obbligano la Banca del Cilento
a ripensare e a rivedere il ruolo istituzionale svolto fino ad oggi, superando definitivamente la funzione di bancomat a sostegno di progetti, privi di benefici sull’economia
del territorio.
A mio avviso, la Banca, senza lasciarsi prendere da facili entusiasmi per i livelli di crescita acquisiti e continuando a rimanere con i piedi per terra, deve proporsi di svolgere sullo scenario locale un ruolo da protagonista più attivo, lavorando anche in
partnership con altri soggetti e collaborando con istituzioni non profit.
Oggi, come in passato, essere Banca di Credito Cooperativo significa diventare punto
di riferimento del territorio e per esserlo compiutamente occorre partecipare ai processi di crescita della comunità, essere all’altezza del cambiamento.
Il Presidente di Federcasse, Alessandro Azzi, in un’intervista al Sole 24 Ore, affermava:
«Queste finalità differenziano e caratterizzano la Banca di Credito Cooperativo nel
sistema bancario e permettono ad essa di non venir meno alla relazione con il proprio
socio – cliente e il territorio di competenza.»
Convinto che l’orientamento strategico della Banca, indicato nell’art. 2 dello Statuto,
rappresenta una grande opportunità per il suo futuro posizionamento, indico qui di
seguito la missione che dovrebbe svolgere nell’attuale contesto economico-sociale.
Ventun anni fa la Banca del Cilento è nata con la nobile missione di finanziare l’economia del territorio. In aggiunta a questo compito, ne ha un altro importante e strategico: favorire la crescita economica, culturale e sociale dell’area di competenza promuovendo iniziative e progetti di vasta ricaduta sociale.
Negli anni passati, la Banca, ritenendo prioritario il suo rafforzamento patrimoniale,
si è limitata a destinare 30-40mila euro annui per sponsorizzazioni culturali, manifestazioni sportive e attività non profit. Negli ultimi anni, invece, essendo diventata un
asset fondamentale per il territorio, un’impresa che cresce annualmente, che aumenta le sue dimensioni operative, gli impieghi, le quote di mercato e gli utili, ha ampliato
la dimensione del suo impegno sociale e culturale, aumentando le erogazioni annuali
per cui, oltre a finanziare i piccoli eventi, ha pure finanziato progetti rilevanti e di
interesse generale.
Questo fino a ieri, perché oggi, a seguito del taglio dei fondi pubblici a favore della
cultura e della formazione, la Banca, continuando nel solco della sua missione sociale,
deve fare la scelta di mettere a disposizione della comunità più risorse per le attività
che si prefiggono di creare le condizioni culturali affinché nella società locale si realizzi un processo di innovazione socio-culturale ed uno sviluppo socio-economico
sostenibile e compatibile.
La mia idea è che la Banca, avendo risorse limitate, fra le varie opzioni possibili, deve
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privilegiare la produttività sociale ed escludere gli interventi circoscritti al mero sostegno di una qualsiasi iniziativa. È arrivato il momento che il sistema locale venga
aiutato ad eliminare o a ridurre le cause dell’arretratezza. Il territorio non può continuare a rimanere senza una strategia.
Questo maggiore impegno deve essere vissuto dalla Banca come un dovere verso
la comunità, come se fosse il suo azionista di riferimento territoriale. A riguardo si
evidenzia che, in aggiunta all’art. 2 dello Statuto, c’è anche la legge n.59/92, secondo
cui gli amministratori della società, nella relazione al bilancio di esercizio, debbono
«indicare specificamente i criteri seguiti nella gestione sociale per il conseguimento
degli scopi statutari in conformità con il carattere cooperativo della società.»
La Banca, dunque, oltre a servire al meglio le piccole e medie imprese, oltre a mettere
a disposizione del territorio risorse finanziarie a condizioni non onerose, deve anche
concorrere al «miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche dei
soci, dei clienti e della comunità.»
In concreto, come le Fondazioni bancarie sono altrove uno strumento importante
della politica dello sviluppo territoriale, così le BCC debbono esserlo nell’area di loro
operatività. In fondo le BCC, essendo banche locali, sono un patrimonio della comunità per cui è sacrosanto e giusto che esse promuovano iniziative per il suo sviluppo,
partendo dai bisogni che essa esprime.
È ormai definitivamente riconosciuto che il ruolo delle BCC non va circoscritto solo
alla intermediazione creditizia e finanziaria, ma deve essere prevalentemente orientato alla crescita culturale, sociale ed economica della comunità. D’altra parte mentre
per le banche di natura privatistica l’obiettivo fondamentale è il profitto e la distribuzione degli utili agli azionisti, per le BCC, invece, il fine primario è rappresentato dal
miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche dei soci, dei clienti e
della comunità di riferimento.
La vocazione delle BCC è di essere “differente per forza”, e l’utile è uno strumento per
costruire un futuro migliore.
Come le Fondazioni bancarie traggono le risorse per la propria attività istituzionale
dagli utili che ricevono dalle partecipazioni nelle banche, così le BCC debbono darsi
una strategia per avere, ogni anno, una buona redditività e bilanci con risultati positivi, in modo da poter destinare una parte degli utili della gestione, dopo l’assegnazione
minima del 70% all’incremento della riserva legale, per finanziare iniziative finalizzate
allo sviluppo locale.
Essendo la Banca un patrimonio della collettività, del territorio, i suoi amministratori
devono avvertire la responsabilità di incrementare la loro attenzione sulla riduzione
dei costi operativi, sul ridimensionamento del grado di rischio con l’affinamento della
valutazione dell’affidabilità creditizia delle controparti debitorie.
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In un territorio che ha problemi vecchi e nuovi, che ha imprese troppo piccole, l’agricoltura in crisi, una disoccupazione giovanile pari al 60%, il PIL per abitante inferiore
del 50% rispetto a quello del centro nord, parte dell’occupazione irregolare, gli amministratori non possono rimanere indifferenti e disattendere la missione della Banca.
Essi debbono impegnarsi a sostituire, in via parziale, i finanziamenti pubblici per aiutare tanti giovani con elevata scolarità e voglia di lavorare, a trovare un’occupazione
in loco. Per centrare questo obiettivo bisogna attuare il programma indicato.
Il management della Banca non può occuparsi della creazione di valore soltanto nella
prospettiva più strettamente economica, trascurando la dimensione etico–sociale
dell’attività. Viceversa deve rimanere preminente nella missione dell’azienda l’assunzione di un ruolo attivo e propulsivo per lo sviluppo economico e per la crescita dei
territori in cui opera. Uno scopo, questo, che la Banca del Cilento intende raggiungere
rafforzando e valorizzando la propria autonomia societaria e gestionale, in modo da
conseguire apprezzabili livelli di efficienza, che sono funzionali, da un lato a soddisfare le esigenze della clientela, e dall’altro a realizzare risultati economici in linea con
le aspettative dei soci. Per perseguire tale finalità, la Banca dovrà essere attenta alla
migliore gestione del suo patrimonio e quindi, alla redditività degli investimenti: in
caso contrario, non avrebbe risorse sufficienti per svolgere la sua funzione sociale,
venendo meno quindi alla sua missione .
Nel centro-nord, molte BCC, ritenendo il ruolo sociale strategico ed essenziale, hanno
dato vita a Fondazioni di propria emanazione ovvero si sono unite per dar vita a una
Fondazione unica a servizio di tutte le Banche socie.
A titolo di esempio si ricordano le seguenti:
• Fondazione BCC – CRA Provincia Treviso;
• Fondazione BCC – CRA Provincia di Vicenza.
Queste due Fondazioni sono nate per uscire dalla funzione di bancomat e per riunire
sotto un unico coordinamento le molteplici iniziative di carattere sociale, culturale
ed economico che svolgono nel territorio di competenza delle singole banche aderenti per accrescere il capitale sociale e la cultura.
Non essendo proponibile la costituzione di una Fondazione unica a livello locale,
l’ipotesi progettuale più credibile e percorribile rimane quella della modifica dell’attuale statuto della Fondazione Alario con un “azionariato” diviso in tre: un terzo alla
Banca; un terzo alla Società Idrocilento; un terzo al successore della Fondatrice.
Soffermarsi sui vantaggi dell’operazione per la Banca del Cilento è del tutto superfluo
se si considera l’attuale valore di mercato del solo patrimonio immobiliare della Fondazione.
La Banca del Cilento, considerato che le risorse che può mettere a disposizione sono
limitate e modeste, anziché muoversi da sola e per proprio conto, deve valutare l’op-
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portunità di operare prevalentemente in sinergia con la Fondazione Alario e la società Idrocilento per far fermentare il territorio dal punto di vista culturale. Scegliere di
sommare le risorse che ciascuno ente può mettere a disposizione è molto più saggio
rispetto all’agire in modo solitario. Dobbiamo contribuire a modificare la cultura del
Cilento perché i motivi del suo declino, come già detto, sono anche culturali.
Un giornale locale e un sito web per comunicare e informare
Tra le mie tante proposte, ce n’è una che mi sta particolarmente a cuore e che riguarda la creazione di un sito web e di un periodico mensile di informazione rivolto alla
società civile del Cilento. Penso ad un giornale vero, dinamico e moderno, che non sia
cioè la solita palestra di esercitazione a scrivere, e neppure un assemblaggio di pseudo articoli letti solo da chi li scrive. Il giornale e il sito web di cui sogno la realizzazione
dovranno essere capaci di conseguire le seguenti finalità:
1) accelerare il processo di modernizzazione del Cilento su obiettivi di sviluppo sociale;
2) accrescere tra i cittadini la consapevolezza dell’importanza della cultura e della
formazione, intese come agenti di cambiamento e di rafforzamento della società
civile;
3) accreditare la Fondazione Alario, la società Idrocilento, il Centro Iside, i consorzi di
bonifica che presiedo come strumenti utili e moderni;
4) modificare gli atteggiamenti e i comportamenti che mantengono in vita la cultura
del sospetto;
5) avviare un dibattito sulle politiche da mettere in atto per sostenere la reale crescita del territorio;
6) pervenire ad una cooperazione tra i diversi livelli di governo locale, partendo dalla
situazione di fatto nella quale mancano disponibilità e orientamenti alla coesione
istituzionale;
7) stimolare i soggetti locali a coinvolgersi nelle iniziative che verranno avviate e accrescere la loro consapevolezza sulle cose da fare, sugli interventi da compiere
perché, oltre alla crescita economica, occorre anche arrivare a risultati di crescita
sociale e civile;
8) far acquisire al territorio una “cultura di governo”, liberandolo dalla tradizionale
politica dell’assistenza;
9) produrre e pubblicare sul giornale servizi relativi alle attività svolte da enti pubblici e privati, corredati da interventi di esperti ed interviste ai protagonisti.
Bisogna, insomma, far capire alla classe dirigente locale che il Cilento, per uscire
dall’attuale situazione di silente sottosviluppo, deve fare assegnamento più sulla
società civile che sui fondi pubblici; infatti l’attivazione dello sviluppo locale parte
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– come si legge in tutti i manuali di economia – dalla valorizzazione delle risorse
esistenti.
La Fondazione Alario potrebbe fungere da elemento propulsivo per questo tipo di
giornale, ma per svolgere il suo ruolo e la sua missione, essa deve disporre di risorse
finanziarie che le consentano di pianificare l’attività, secondo le decisioni degli organi, considerando aggiuntivi i fondi pubblici.1 In conclusione, credo che attraverso
una corretta, vivace e puntuale informazione si possa far sedimentare nell’opinione
pubblica locale gli obiettivi indicati affinché lentamente diventino pensiero, indirizzo
ed infine azione. Ogni anno, però, sarà bene verificare se alle buone intenzioni sono
seguiti fatti concreti, se ciò che si è seminato ha dato frutti, se almeno parte degli
obiettivi sono diventati pensiero ed indirizzo comune e se con l’attività di informazione e di comunicazione si sono gettate le basi per un nuovo orientamento e un nuovo
corso della comunità locale.
1. Voglio ricordare che la Fondazione dispone di un rilevante patrimonio immobiliare, adeguato a svolgere una funzione strategica nel campo della formazione e dell’innovazione culturale, ma attualmente non dispone di rendite
finanziarie, come le fondazioni bancarie, né di flussi sufficienti per coprire i costi e finanziare le sue attività
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Conclusione
E
ora fermiamoci un momento a raccogliere le idee. Partendo dal libro “Una storia
cilentana” di Ubaldo Scassellati, ho fatto una ricostruzione delle finalità dei soggetti
nati negli ultimi 25 anni e delle iniziative assunte fino ad oggi per far crescere culturalmente, socialmente ed economicamente il Cilento. In più ho cercato di spiegare
perché è necessario che il territorio abbia un “disegno complessivo di sviluppo”.
La finalità del presente saggio, dunque, è quella di informare la comunità locale, in
modo corretto, di quanto è stato fatto in questi ultimi anni per dotare il territorio
di un’importante filiera istituzionale e di ciò che si dovrebbe fare per promuovere lo
sviluppo dell’area.
A questa finalità si aggiunge un auspicio: al momento del passaggio del mio testimone,
vorrei che si evitasse ogni forma di competizione o di contrapposizione fra gli eventuali aspiranti alla mia successione. Non ce n’è motivo. Quello a cui tengo di più è di trovare uno o più candidati in grado di assicurare la continuità della gestione, nel rispetto
delle missioni statutarie. Dico questo perché ritengo di avere qualche modesto titolo
per avanzare tale proposta, essendo stato l’artefice della loro nascita e crescita.
Pertanto, chi aspirasse a prendere in mano il testimone dei soggetti che sto guidando
e proseguire la corsa, come si fa nella staffetta, si faccia avanti senza indugi o timidezze. Sarà il benvenuto per affiancarmi e acquisire l’esperienza necessaria per guidare
una realtà aziendale complessa e difficile.
Ovviamente deve trattarsi di aspiranti che concepiscano la carica come una missione,
un’opportunità per realizzare un programma di rinascita e non come un’occasione
per ricevere indennità, prebende, riconoscimenti, visibilità ecc.
Può darsi, però, che a questo punto qualche lettore si ponga la domanda: perché mai
questo avvocato Chirico parla con tanta passione della Fondazione Alario che lui
stesso ha fondato, della Banca che ha presieduto per 21 anni e delle altre aziende che
fanno capo a lui? Che cosa ci vuol dire? Forse aspira ancora a qualche riconoscimento
importante?
No, cari amici. Non aspiro più a niente. Se avessi avuto l’ambizione, che so, di fare il
deputato o il senatore, be’, mi sarei mosso almeno 20 anni fa. Non l’ho fatto perché
non mi interessava la carriera politica. Se uno si impegna, deve farlo nell’ambito in cui
crede di rendersi più utile. Io ho creduto e credo nell’impegno civile e nello spirito di
servizio per la nostra comunità, che continuerò a portare avanti finché vivrò. Ho rite-
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nuto di poter dare un contributo lavorando sodo, testardamente, appassionatamente per il mio Cilento. Mi sono preoccupato di ottenere e gestire bene grandi finanziamenti pubblici per aumentare il patrimonio di infrastrutture pubbliche in settori
strategici. Ho progressivamente dilatato il mio impegno dal tema iniziale dell’acqua
e della bonifica a quello dello sviluppo non solo civile, ma culturale, formativo, creditizio e finanziario del Cilento, e sono anche lieto di aver contribuito a far riscoprire
quella “miniera d’oro” che è l’antica Elea.
Ciò che, dopo tanti anni, ancora mi appassiona, di fronte alla gravità dei problemi e
delle sfide che ci incalzano, è di dare una mano a far crescere il nostro territorio con
un disegno complessivo di sviluppo intorno a cui aggregare le forze imprenditoriali,
economiche, sociali, istituzionali e politiche della realtà cilentana.
Infine, prima di accingermi a uscire di scena, gradirei individuare e fiancheggiare, per
un breve tratto, le figure giuste per favorire la mia successione. E infatti, l’avrete visto:
ho parlato di Idrocilento, Fondazione Alario, Cilento Servizi, Elea Congressi ecc. per
guardare avanti, non indietro, pensando a ciò che ancora manca e non a quello che
mancava una volta (l’acqua, l’accesso al credito, ecc.).
Dunque, se c’è una cosa che vorrei dire a tutti i cilentani è questa: impariamo a fare
squadra e a non lasciarci sfuggire le occasioni. Il gioco di un collettivo è determinante
nello sport, ma lo è anche negli altri settori. Smettiamola di essere divisi e incapaci
di produrre le scelte coraggiose che si impongono. Dove sta scritto che la mancata
valorizzazione delle risorse locali, l’irrazionalità dei sistemi di conduzione, lo spopolamento delle campagne, e la debolezza del sistema imprenditoriale devono continuare anche nel futuro?
A questo riguardo mi sono preso la libertà non solo di indicare una rotta, ma anche
un metodo di lavoro: quello della coesione delle forze sociali e delle proposte che
possono costituire una base per aprire un vero dibattito sullo sviluppo dell’economia
cilentana. E dico questo considerando che la crisi economica mondiale e i continui
tagli delle manovre finanziarie potranno indebolire ulteriormente il nostro sistema
territoriale.
Dunque, come potete ben capire, il percorso avanti a noi è uno solo: ribaltare l’attuale
modello di sviluppo e aderire a un modello più moderno, più dinamico, più al passo
coi tempi. Il che significa, prima di tutto, far evolvere l’attuale sistema produttivo
verso una nuova fase. Di questo processo di cambiamento, che non cade dal cielo,
dovranno essere attori principali gli enti pubblici, i comuni, gli imprenditori, le forze
sociali, i professionisti. E anche la politica dovrà fare di più, certo, molto di più di
quanto abbia saputo fare fino a oggi.
Mi auguro di tutto cuore di non rimanere inascoltato, pur avendo indicato obiettivi,
linee di azione e aree di intervento.
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Come sarà il Cilento fra vent’anni? Sarà capace di reagire o sarà attratto irrimediabilmente nel gorgo degli emarginati diventando un grande parcheggio per vecchi centenari?
E ancora: perché la ricchezza media di un cilentano è di molto inferiore a quella media di un italiano?
Perché diventiamo più poveri degli altri?
Ecco le domande che giriamo ai nostri politici e alla classe dirigente. I cittadini hanno
il diritto di sapere il futuro che li aspetta prima del collasso definitivo o di un lento
silenzioso tramonto.
La politica (non quella di Roma o di Napoli, ma la nostra, quella locale) deve rendersi
disponibile a un sistematico e più efficace dialogo con i cittadini per sintonizzarsi e
intercettarne in maniera diversa i bisogni, le attese, le speranze. È un’impresa titanica?
Forse, ma io resto fiducioso, anche se gli avvenimenti della cronaca quotidiana fanno
di tutto per convincermi del contrario. Al punto in cui stanno le cose, sono convinto
che sia assolutamente essenziale un impegno collettivo forte, emotivo. Occorre una
ripresa di coscienza da parte di tutti i cittadini che credono nel futuro come costruzione e fatica, impegno e responsabilità. Occorre un programma forte, chiaro e condiviso. E questo, purtroppo, il Cilento non lo ha mai fatto, e forse non lo sa fare.
Perché manca un’idea comune di futuro desiderabile, manca la capacità di trasformare le parole in fatti concreti, manca il senso di urgenza, manca un dibattito che investa
e coinvolga l’intera comunità intorno alle sue sorti. Ma, come ho detto all’inizio: bisogna insistere, osare e perseverare. Partendo però da un’analisi vera e approfondita
della situazione attuale. Dobbiamo essere in grado di prendere coscienza dei nostri
ritardi, delle nostre manchevolezze, delle nostre meschinità e, senza più indulgere ai
vizi antichi, gettare il nostro cuore di cilentani oltre gli ostacoli. Solo così prepareremo
– come dice il grande poeta Paul Eluard – giorni e stagioni a misura dei nostri sogni.
A mio avviso ci sono tutte le condizioni per varare, in questo difficile momento, una
strategia di rilancio del Cilento partendo dalla cultura per alimentare la speranza e
per battere la rassegnazione.
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Postfazione
di Pasquale Persico
Per una rivisitazione non rituale di temi di tanta rilevanza voglio ricordare le premes-
se al libro fatte dallo stesso autore.
Il suo è un appello a fare nuovamente il viaggio nel tempo e nello spazio nel suo
Cilento, sapendo che qualsiasi mappa per descrivere ed analizzare il territorio non
potrà mai rappresentarlo completamente nella sua complessità storica, culturale,
economica e sociale.
Non a caso il suo contributo è “un accorato appello a non rimanere indietro, a non
perdere ulteriori occasioni di sviluppo, a rafforzare la base produttiva del territorio.
Ma per combattere il ritardo bisogna avere la consapevolezza piena che esso esiste,
è intorno a noi e continua da molti decenni. Ma non basta nemmeno la consapevolezza, perché poi bisogna comprenderne le cause, odierne e remote, che lo hanno
determinato.”
Nel linguaggio dell’autore le parole e le paure della grande crisi contemporanea sono
lontane.
Le parole Spread, Downgrading, Default, Double Dip, Recessione, Debito, Banche
centrali non possono appartenere al racconto del viaggio già fatto per far nascere
strutture ed infrastrutture intorno alle quali proporre una ripartenza decisa.
Certo il presupposto di analisi è drammatico.
“I numeri, chiari e inequivocabili indicatori quantitativi, testimoniano la continua e
progressiva emarginazione del Cilento in ambito economico.”
Ma i cinquantenni di storia personale raccontano che molte cose possono essere
fatte, e “l’importanza di arrivare tardi” dell’economista Hirschman diventa lo stimolo
normativo per entrare nel contemporaneo dalla porta principale.
L’avvertenza, “Io non sono un economista di professione”, diventa il pretesto per parlare delle realizzazioni delle istituzioni economiche realizzate e della loro possibile
evoluzioni in una visione di nuova governance strategica.
Sì! Perché il libro parla della ricerca di una nuova scala di governance, politica, istituzionale ed economica per aggredire senza indecisione il tema della crescita e dello sviluppo vero del Cilento, per non perdere l’ennesima occasione di entrare nella storia
contemporanea e sociale dell’ Europa a più velocità.
Egli lo ha detto con chiarezza:
“il tradizionale modello di sviluppo non è più adeguato alle sfide poste dalla globaliz-
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zazione dell’economia e dalla società della conoscenza. E mi sono convinto che non
abbiamo più tempo.”
Come dare valore allora alla sua ricetta che esce fuori dal coro degli economisti della
crescita e dello sviluppo che oggi non fanno altro che parlare di “Finanzcapitalismo”
e delle difficoltà di trovare i beni rifugio per salvare il salvabile?
Per l’autore i beni rifugio sono legati alle mappe del suo Cilento, rifacendo le mappe
con gli occhi della modernità sapremo trovare il nuovo Cilento, le mappe del potenziale includono il capitale fisico, il capitale umano, il capitale sociale e quello cognitivo.
Il dato nuovo è il desiderio di trovare una nuova consapevolezza che dia forza a parole mai usate per scuotere il territorio. Il capitale cognitivo emerge dalle mappe del
risveglio, della risorgenza, del potenziale invisibile, della rinascita dell’appartenenza,
delle ripartenze possibili.
“Il Cilento dispone oggi di una robusta filiera istituzionale costituita dal Parco Nazionale, dalla società Idrocilento, dalla Fondazione Alario, dalla Banca del Cilento, dal
Confidi Cilento, dalla Società Sistema Patto Territoriale e da altri organismi minori. Una realtà unica, dunque, perché composta dai tasselli di un mosaico capace di
concorrere allo sviluppo socio-economico e di integrare l’azione degli enti locali e
territoriali.”
Questa non è un’affermazione ingenua, ma è il punto di partenza per un ragionamento che riguarda la necessità di mettere a sistema l’esistente, prima di un salto di
scala di area vasta, per far riconoscere il territorio del Parco come area significativa e
a soggettività politica ed istituzionale rilevante.
L’attenzione dei media sul Cilento è aumentata, la morte tragica di un sindaco orgoglioso e l’attenzione sui temi dell’Unità d’Italia (“Noi c’eravamo”) hanno fatto scoprire un paesaggio sublime accanto ad un altro che vuole entrare in campo con temi ed
appartenenze diverse.
Allora le istituzioni a cui fa riferimento il libro sono istituzioni simbolo di un modello
di sviluppo che nonostante la crisi dello stato e delle istituzioni locali può trovare
ancora accoglienza e credito.
Le ricette dello sviluppo vanno in altre direzioni in questa fase di concentrazione delle
ricchezza finanziaria, del potere politico e della distribuzione dei redditi; ma un economista e scienziato politico brasiliano sembra dare speranza alla ricetta del nostro
autore. Luis Carlos Bresser-Pereira ha azzardato questa previsione: “il nuovo capitalismo che emergerà da questa crisi riprenderà probabilmente le tendenze ancora vitali
che erano presenti nel capitalismo orientato, in particolare quello dei tempi gloriosi
(1947-1977)”.
In campo economico la globalizzazione continuerà ad avanzare nel settore del commercio e della produzione, in quello finanziario dovrà avere un freno; in campo sociale, le classi professionali ed il capitalismo basato sulla conoscenza dovranno emergere.
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Una nuova stagione democratica dovrà nascere e prospettarsi con nuove tipologie
di scambio capaci di mostrare una politica più orientata socialmente ed in grado di
fondarsi su nuovi istituti di partecipazione.
L’autore attinge la sua speranza dalla storia del capitalismo e dalla speranza di una
metamorfosi orientata verso la democrazia. La qualità della vita delle masse che oggi
sembra arretrare dovrà riemergere come componente irrinunciabile dello sviluppo.
In questo solco, il modello proposto da Chirico condivide con il noto autore economista la speranza dell’improbabile come laboratorio da perseguire sull’esempio delle
realizzazioni già vitali.
Pur volendo ammettere che errori siano stati commessi da governi locali e classi dirigenti ciò non impedisce di valutare lo stato dell’arte che vede l’area pilota di riferimento in grado di approfittare dell’efficacia delle istituzioni e delle imprese di
riferimento.
Alla società Idrocilento spetterà il compito di disegnare il percorso strategico che
consente di ampliare la prospettiva dei servizi ecologici del bacino, da quelli legati
all’uso dell’acqua a quelli dell’energia fino a considerare la Natura uno dei clienti privilegiati per una restituzione consapevole e la necessità di avere una resilienza alta di
tutte le aree connesse.
Alla Banca bisognerà garantire l’autonomia finanziaria ed economica perchè la sua
missione di banca locale possa essere ampliata, una finanza etica e ben orientata a
migliorare il tasso di accumulazione delle imprese è il ritornello fermo e poetico del
nostro autore.
Poi la Fondazione che mi onoro di presiedere deve svolgere un ruolo di sussidiarietà
importante nei settori della cultura e della formazione.
Un capitale cognitivo si forma nel tempo lungo e la scuola è il luogo di riferimento,
ma anche il coinvolgimento della società civile deve essere una priorità. Le classi dirigenti nascono e crescono nei processi di cambiamento e per l’autore il cambiamento
è ora diventato necessario. Il grido di Senofonte Talatta si è trasformato in un nuovo
mare-patria che dovrà ispirare tutto il Cilento interno. Diventare anguilla è la metafora nascosta nelle raccomandazioni e nella conclusione, e non più capitone che cerca
di vivere di rendita di posizione; affrontare il mare aperto per riprodursi e rinnovare i
temi del viaggio verso lo sviluppo.
Il viaggio di apprendimento è appena iniziato ed il libro ci indica una strada da percorrere senza la paura del labirinto; il sentiero dello sviluppo non è noto e le ricette
adattive sono quelle più pericolose. Attingere al potenziale è perciò la strada giusta e
il coraggio di mostrare il cammino già fatto non è in questo caso superbia espositiva
ma propensione alla fiducia necessaria ad accelerare il passo, una vera motivazione
al cambiamento è annunciata nel libro come grido d’allarme e d’amore per un territorio che ha un DNA a potenziale aperto.
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Finito di stampare
nel mese di ottobre 2011
Progettazione e realizzazione
Segno Associati
www.segnoassociati.it
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