Un`ape si è posata su un fiore, attirata dalla

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Un`ape si è posata su un fiore, attirata dalla
VI
Educazione cosmica, ovvero ognuno al suo posto,
un posto per ognuno nel cerchio della vita
“Questo noi sappiamo: tutte le cose sono collegate, come il sangue che ci unisce.
Noi non tessiamo la trama della vita, siamo solamente un filo in essa.
Qualunque cosa facciamo al tessuto, la facciamo a noi stessi”
Capo Seattle
“Io sono perché noi siamo”
Detto Zulu
“Che visione offrite ai vostri figli affinché possano desiderare l’arrivo del domani?”
Un leader nativo americano al presidente Nixon
“Che cos’è l’erba?/ Mi chiese un bambino, portandomene a piene mani./ Come
potevo rispondergli?/ Non so, meglio di lui che cosa sia… Io credo che un filo
d’erba/non sia niente di meno/che la struttura portante/ delle stelle”
W. Whitman
Un’ape si è posata su un fiore, attirata dalla bellezza dei suoi colori e dal
suo profumo inebriante, ed ecco che il fiore le offre il suo nettare, quella
polverina dorata che le permetterà di dar vita al dolce miele. L’ape, in cambio del prezioso dono, gli lascia un po’ del polline di un altro fiore, permettendogli così di riprodursi.
La vita continua e si perpetua grazie agli scambi. La vita stessa è uno
scambio: io arricchisco te, tu arricchisci me, io illumino te, tu illumini me.
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Si cresce insieme, insieme si evolve.
I vermi e i microrganismi nel terreno, separando le molecole di idrogeno e sostituendole con quelle dell’ossigeno, trasformano le sostanze organiche azotate, come l’ammoniaca, in nitrati, cioè in sostanze assimilabili
dalle radici dell’albero che così può nutrirsi. La clorofilla, insieme all’azione dei raggi solari, rende verdi le sue foglie e gli permette di trasformare
l’anidride carbonica in prezioso ossigeno: grazie a queste collaborazioni,
l’albero è in grado di offrirci ombra, fiori e frutti e di rendere pulita l’aria
che respiriamo.
All’interno del nostro organismo miliardi di cellule diverse svolgono
in silenzio il loro compito creando una perfetta armonia, proprio come gli
strumenti di un’orchestra affiatata.
“Quando cominciamo a capire il lavoro di questo universo, allora ogni
cosa assume un significato. Incominciamo a vedere nel come e nel perché
delle cose.”1 Tutto acquista un senso ben preciso. Ci rendiamo conto di
quanto sia perfetto il creato e di come ogni cosa sia al suo posto nel grande
piano cosmico.
Così come c’è un posto per ogni cosa, c’è anche un posto per ognuno
nel grande cerchio della vita. Ognuno ha il suo, perché ognuno di noi è unico e speciale, non esiste un altro essere umano uguale a lui: noi siamo pezzi
unici, firmati dal Creatore, non fotocopie.
Ecco perché quando nasce un bambino occorre preparargli uno spazio,
non solo nell’ambiente esterno ma anche nel cuore, nella propria interiorità. “Com’è dentro, così è fuori” dicono i Nativi Americani: tutto ciò che si
vuole ottenere esteriormente deve prima avvenire interiormente. Il bambino ha bisogno di sapere che c’è posto per lui, c’è un posto particolare che lo
aspetta, che è solo suo, non è di nessun altro. Ha bisogno di sentirsi amato
per il semplice fatto che esiste, che c’è e non perché possiede qualche dote
o talento particolare, perché assomiglia a qualcun altro o riempie il vuoto di
qualcuno che non c’è più. Come dice Winnicott “Si tratta di essere amato
senza riserve”2, incondizionatamente.
1 M. Montessori, The creative development of a child, vol. 2, p. 163.
2 D. Winnicott, I bambini e le loro madri, p. 84.
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“Ogni essere ha una ragione di esistere – un compito da adempiere nella
sua vita”3, “Chi più chi meno tutti gli esseri viventi sulla terra hanno una
missione cosmica”4 ha scritto Maria Montessori. “Ogni essere umano giunge in questo mondo con un destino particolare e ben preciso – dice Osho –:
deve adempiere qualcosa, deve trasmettere un messaggio, deve ottemperare
a un compito. Nessuno di voi è qui per caso, la vostra presenza è estremamente significativa e valida: dietro ciascuno di voi vi è uno scopo. Il Tutto
vuole adempiere qualcosa attraverso di voi”5. È proprio per comprendere
cosa siamo venuti a fare che ci mettiamo in cammino e intraprendiamo a
volte una lunga ricerca.
In genere, ci ricorda Chopra, il nostro “dharma”, cioè il nostro scopo
nella vita, è legato a qualcosa che solo noi sappiamo fare così bene, che
nessun altro potrebbe fare al nostro posto, qualcosa insomma di veramente
speciale, che sentiamo dentro, che faremmo senza bisogno di ricompensa
alcuna. È il nostro particolare dono, il nostro contributo al mondo.
Ed è quando riusciamo a trovarlo, e quindi a fare della nostra meta
la meta del tutto, che otteniamo la piena realizzazione. Solo quando ci
allineiamo sul filo del nostro destino (inteso non come fato ineluttabile
ma come libera adesione al nostro compito terreno) tutto scorre e si incanala nella giusta direzione perché, come ci ricorda Maria Montessori,
“l’evoluzione avviene solo lungo queste linee guida”6. Ed ecco allora che
il classico esercizio montessoriano del camminare sul filo, cioè lungo una
linea tracciata per terra a forma di cerchio, assume ben altro significato che
quello di un semplice coordinamento e controllo dei movimenti: si tratta
di un esercizio di equilibrio non solo esterno ma anche interiore. Quando
l’allineamento sul proprio cammino è perfetto, l’energia scorre. La vita
in fondo non è altro che camminare su un filo e noi dobbiamo apprendere
l’arte dei funamboli…
3 4 5 6 M. Montessori, Creative development of the child, vol. 2, p. 159.
M. Montessori, Educazione e pace, p. 98.
Osho, La creatività, p. 99.
M. Montessori, Creative development of the child, vol. 2, p. 163.
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Educazione cosmica
Il termine “cosmo” deriva da una parola greca che significa “ordine”.
Anche se a noi sembra a volte di essere immersi nel caos, in realtà viviamo
in un universo che è perfettamente ordinato e armonico.
È come se fossimo i fili di un grande arazzo cosmico, di cui però vediamo solo il rovescio per cui non comprendiamo il disegno che c’è dietro.
Siamo intrecciati in modi che ci sfuggono ma che hanno una loro precisa
ragione di essere. E tutti indistintamente tendiamo verso la stessa meta.
“L’universo è ciò che va verso l’uno”7, ci ricorda Raniero Regni.
“Il valore dell’educazione cosmica, per come la vedo io – scrive A.Wolf
– è che pone la vita del bambino in una prospettiva spirituale. Nessuno può
confrontarsi con il miracolo cosmico e non vedere che c’è qualcosa di più
nella vita delle nostre esperienze quotidiane. Fast food, eroi dei videogame
e dello sport impallidiscono tutti a fianco della meraviglia dell’universo.”8
In un momento così particolare come il nostro, in cui i bambini vivono
sempre di più immersi nella crudezza e nel grigiore di un mondo violento e artificiale, di una realtà materialistica e consumistica, dove l’avere ha
preso il posto dell’essere, dove i ritmi frenetici di lavoro hanno rubato i
tempi dell’affettività e della relazione, dove gli esigui spazi cittadini hanno
privato i piccoli del contatto con gli elementi naturali, rendendoli schiavi
degli schermi televisivi ed elettronici, è veramente urgente ed essenziale
riproporre loro una visione “cosmica” della vita, in cui la dimensione “magica” abbia il posto che le compete. Educare alla bellezza, favorire il senso
di meraviglia, che è già insito nello spirito del bambino, ecco ciò di cui c’è
un pressante bisogno. In un’epoca in cui ci si preoccupa enormemente di
diete e alimentazione, ci si è dimenticati che occorre nutrire anche l’anima
dei bambini, non solo il loro corpo. “Il vero pericolo dell’umanità è il vuoto
delle anime”9 scriveva Maria Montessori in Educazione e pace. Sante parole, purtroppo dimenticate, su cui bisognerebbe a lungo meditare…
“I bambini sono assetati di una grande visione” diceva ancora Maria.
Ma noi che visione offriamo ai nostri figli “perché possano desiderare l’ar7 R. Regni, Annuario 2003, p. 59.
8 A. D. Wolf, cit. in R. Miller, Nourishing the Spiritual Embryo, p. 4.
9 M. Montessori, Educazione e pace, p. 62.
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rivo del domani?” Ci abbiamo mai pensato? Spesso gli adulti utilizzano una
pedagogia del terrore, basata sul ricordo delle grandi tragedie dell’umanità
(guerre, deportazioni, argomento privilegiato di studio scolastico) e sulla
prospettiva di altrettante situazioni catastrofiche, nella convinzione che in
questo modo – attraverso cioè la paura per ciò che potrebbe succedere – si
possano prevenire futuri disastri ambientali e sociali. Ma non è così. La
legge che regola l’universo è una legge di attrazione: il simile attira il simile. La paura genera solo altra paura, non può certo far nascere l’amore
necessario a curare le ferite del nostro pianeta e degli esseri che lo abitano.
L’educazione cosmica montessoriana invece va oltre, ben al di là di questa ristretta visuale. Non solo abbraccia e riassume in sé i concetti di “educazione ecologica”, “educazione alla pace”, “educazione alla mondialità”
ma li trascende con una visione veramente olistica. L’educazione cosmica è
volta a seminare nel bambino l’amore per la vita che può nascere solo dalla
conoscenza e dalla propria personale esperienza nell’ambiente. È da lì che
nasce l’amore. Si ama solo se si è stati amati e si ama quello che si conosce, che ci è familiare. Questo vale sia nei confronti della natura sia delle
persone, dei popoli diversi dal nostro. Ecco perché è importante offrire al
bambino, fin da piccolo, il mondo intero da scoprire. “Ciò che prende deve
essere interessante, deve affascinarlo: bisogna offrirgli cose grandiose: per
cominciare offriamogli il Mondo”10 diceva Maria Montessori. “Non restringete la natura del bambino, dategli tutto. Non date cose piccole e materiali.
… L’anima del bambino si nutre di grandezza”11. Quella montessoriana è
propriamente un’educazione di vastità.
Occorre dare al bambino una visione ampia dell’universo, fargliene
sentire il respiro, gustarne la bellezza attraverso tutti i sensi: di qui nascerà in lui un senso di ammirazione per la vita e per l’umanità. Non quindi
un’ecologia in senso negativo e catastrofico – come quella proposta in genere dai mass-media – ma un’ecologia positiva, un amore per tutto ciò che
vive. E questo è possibile attraverso un approccio graduale alla conoscenza
dell’equilibrio cosmico e del funzionamento dell’ecosistema Terra.
10 M. Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza, p. 45.
11 M. Montessori, The child, society and the world, p. 39.
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Per trasmettere ai bambini questo amore per la natura, per la vita in tutte
le sue manifestazioni e forme non serve moltiplicare le materie di studio
– educazione ecologica, educazione civica, educazione interculturale, educazione alla pace – ma offrire loro un ambiente che consenta di assorbire,
vivendoli, tutti questi concetti. Non noiose lezioni teoriche quindi ma la
possibilità di scoprire, esplorare, sperimentare in un ambiente adatto. Di
“sentire” dentro di sé, di comprendere, nel senso etimologico di “fare proprio”, il senso dell’amore, che il bambino peraltro si porta dentro di sé fin
dalla nascita. Perché il bambino è amore. Come del resto ogni altra creatura
vivente o non vivente. Siamo fatti della stessa sostanza delle stelle, siamo
parte di un universo il cui collante è una forza potente, un’energia che siamo soliti chiamare amore. Ma ce ne siamo dimenticati. Il bambino, se viene
rispettato e lasciato libero di esprimere le sue potenzialità, può ricordarcelo
e diventare veramente per noi un maestro di questo amore.
Inter-essere
“Sei parte del tutto. Il tutto ti penetra, il tutto respira in te, pulsa in te, il
tutto è la tua stessa vita”12 dice Osho. “Mitakuye oyasin” è il tipico saluto
degli indiani Lakota, che significa: “Siamo tutti parenti”, ovvero tutto è
correlato. “Tu non sei solo, sei collegato al Tutto” dicono gli aborigeni australiani ai loro bambini quando nascono.
“Tutto è legato insieme. Quando tagli un albero, le cui radici sono collegate con tutto, devi chiedere il suo perdono, altrimenti una stella cadrà dal
cielo” ci ricordano gli indiani Maya. I popoli nativi lo sanno bene. La loro
è una visione cosmico-spirituale basata sull’interdipendenza.
Il monaco buddista Thich Nhat Han la descrive efficacemente e in termini molto semplici, introducendo il concetto dell’inter-essere: “Agli occhi
di un poeta – egli dice – non sfugge certo che in questo foglio di carta c’è
una nuvola. Senza la nuvola non c’è pioggia; senza pioggia, gli alberi non
crescono; e senza alberi non si può fare la carta. Se non ci fosse la nuvola
non ci sarebbe nemmeno il foglio di carta. … Se spingiamo più a fondo il
nostro sguardo, vedremo nel foglio di carta anche la luce del sole. Senza la
12 Osho, Con te e senza di te, p. 77
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luce del sole le foreste non crescono. Ecco perché in questo foglio di carta
splende il sole. Continuiamo a guardare: ecco il taglialegna che ha tagliato
l’albero e l’ha portato alla cartiera dove lo trasformano in carta. E c’è anche
il grano. Sappiamo che il taglialegna deve la sua esistenza al pane quotidiano e quindi in questo foglio di carta c’è anche il grano con cui è fatto il pane
del taglialegna. E ci sono pure il padre e la madre del taglialegna. Questo
modo di guardare ci fa capire che senza tutte queste cose il foglio di carta
non esisterebbe. Tutto coesiste in questo foglio. Essere è inter-essere”13.
Una parola nuova, che non esiste ancora nel vocabolario ma che esprime la
realtà dell’esistenza, la grande legge che regola la vita sul nostro pianeta e
in tutto l’universo ovvero l’interdipendenza degli esseri viventi, siano essi
piante, animali o uomini. “Non possiamo essere da soli, per conto nostro.
Dobbiamo “inter-essere” con tutto il resto”14. “Siamo legati gli uni agli altri, la realtà non può essere divisa.”15
L’indipendenza è un concetto politico, non un concetto biologico, ci
ricorda la biologa Lynn Margulis e il naturalista John Muir afferma che
quando cerchiamo di scegliere una cosa solamente, scopriamo che è attaccata a tutto il resto dell’universo16. La vita è di per sé mutua collaborazione.
Come l’ape ha bisogno del fiore e il fiore dell’ape, così a livello macroscopico il nord del pianeta dipende dal sud e viceversa. Questa è la realtà: non
hanno senso retorici inviti alla cooperazione o alla fratellanza per motivi
umanitari o fini moralistici, si tratta semplicemente di raggiungere la consapevolezza del proprio ruolo all’interno dell’ordine cosmico universale.
Si tratta di rispondere al richiamo della vita. Quando si è colta l’unità sostanziale del genere umano, al di là delle apparenti diversità, quando si è
compreso il significato del compito cosmico che lega ogni essere vivente a
ogni altro, non si può non sentirsi membri di una stessa grande famiglia e
cittadini del mondo.
“L’uomo di oggi – scriveva Maria Montessori circa settant’anni fa – è
il cittadino della grande nazione dell’umanità. Egli è il nuovo cittadino del
13 14 15 16 Thich Nhat Hanh, La pace è ogni passo, p. 87-88.
Ibidem, p. 88.
Ibidem, p. 93.
Si veda M. Wheatley, Finding our way
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nuovo mondo, il cittadino dell’universo.”17
L’educazione cosmica montessoriana nasce proprio da questa visione
dell’inter-essere, maturata da Maria nei lunghi anni trascorsi nel continente
indiano ma che evidentemente già le apparteneva come patrimonio interiore, che già si portava dentro e che a contatto con altre culture ha avuto
modo di manifestarsi in modo ancora più esaustivo e completo.
Educazione interculturale: e Maria Montessori?
Interculturalità, ecco un tema di cui oggi si parla tanto. A ragion veduta,
data la presenza in continuo aumento nel nostro paese di persone – soprattutto donne e bambini – provenienti da altri universi culturali. Si moltiplicano convegni, pubblicazioni, corsi di formazione su un argomento che
sembra essere stato scoperto di recente e mai si fa il nome di Maria Montessori che, da pioniera, circa un secolo fa, tradusse in pratica i princìpi
dell’intercultura attraverso scuole fondate dai suoi allievi in tutto il mondo
e nelle quali si mescolano il più possibile le differenze: di età, di sesso, di
cultura, di religione. “Nelle nostre scuole abbiamo francesi, singalesi, tamil,
inglesi, indiani e pakistani appartenenti a diverse religioni che lavorano insieme in completa armonia, pronti ad aiutarsi scambievolmente”, così riferiva L.Wikramaratne all’8° Congresso Montessori a Sanremo nel 1949.
Fra tutte le scuole esemplare fu quella aperta proprio da Maria Montessori e da suo figlio Mario a Kodaikanal in India tra il ’39 e il ’47, negli anni
da loro forzatamente trascorsi in quel lontano Paese.
È lì che venne ancor meglio delineato il suo progetto di educazione cosmica, l’aspetto più sconosciuto e meno compreso (almeno da noi) della
sua proposta formativa, ma nel contempo anche il più attuale e innovativo.
L’educazione cosmica infatti rappresenta, a mio parere, uno strumento eccezionale per “fare” e non soltanto per “parlare” di intercultura.
“L’educazione cosmica è un modo per mostrare ai bambini che ogni
cosa nell’universo è interrelata e interdipendente, non importa che si tratti
della più piccola molecola o del più grande organismo mai creato. Ogni
singola cosa ha un ruolo da giocare, un contributo da offrire per mantenere
17 M. Montessori, Educazione e pace, p. 31.
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l’armonia del tutto. Nel comprendere questa rete di relazioni, il bambino
scopre che anche lui è una parte del tutto e ha un ruolo da svolgere, un contributo da dare”18. Studiando la storia dei popoli, degli inventori, dei grandi personaggi che hanno contribuito al progresso dell’umanità, il bambino
sviluppa un senso di gratitudine nei confronti di chi l’ha preceduto e di chi,
ogni giorno, contribuisce al suo benessere e rende possibile la sua vita: il
fornaio che prepara il pane per la sua colazione, la mamma che gli cucina la
cena, il muratore che ha costruito la casa in cui abita e così via…
Ma anche di chi, a distanza di migliaia di chilometri, coltiva il cacao che
lui mette nel latte la mattina o le banane che mangia per merenda.
Ogni cosa assume il valore che le è proprio, la sua giusta importanza
e viene collocata nel posto che le spetta. Tutto si incastra alla perfezione,
tutto acquista un senso ben preciso: vi è ordine e armonia. Il bambino ha
bisogno di ritrovare l’aspetto “cosmico”, cioè ordinato e armonico, della
vita per poterle dare un senso, per poterla vivere totalmente, in pienezza.
Per farne quella incredibile avventura che è.
All’interno di una visione cosmica la vita assume prospettive completamente differenti, la diversità per esempio diventa un arricchimento: io
imparo da te, tu impari da me. In questo senso, la scuola Montessori è di
per sé interculturale.
In un’ottica di ascolto individualizzato quale è quella montessoriana, si
può immaginare e realizzare la scuola davvero come “una struttura meticcia in cui tutti hanno un posto”19 per usare le parole di Marie Rose Moro.
In essa il bambino arrivato dal Maghreb, dal Ghana o dal Bangladesh può
sentirsi accolto come un ospite portatore di doni e ricchezza, unico e speciale nella sua diversità, al pari di ogni bambino che viene al mondo. Questa è anche la strada migliore – oserei dire l’unica strada – per evitare che il
disagio sociale e culturale di chi si sente estraneo in un mondo che non gli
appartiene si trasformi in fallimento scolastico e sfoci in disturbi psichici,
episodi di razzismo, aggressività, violenza.
L’impostazione Montessori mi pare quanto mai adatta a favorire l’integrazione di bambini di culture diverse: attraverso l’approccio sensoriale
e le attività di vita pratica in cui l’utilizzo del linguaggio verbale è ridotto
18 P. Pottish-Lewis, cit. in Lillard, The genius behind, p. 130.
19 M. R. Moro, Enfants d’ici venus d’ailleurs, p. 32.
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al minimo indispensabile, il contatto tra coetanei è immediato. L’imparare
facendo è poi metodologia tipica dei sistemi educativi tradizionali di tutti
i popoli.
E qui vorrei soffermare per un attimo la mia e la vostra l’attenzione.
Nella mia ultima rivisitazione degli scritti di Maria Montessori, mi sono
resa conto che molti sono i punti di contatto non ancora esplorati tra pensiero montessoriano e prassi educativa delle culture tradizionali di ogni
continente che meriterebbero un’indagine approfondita, dato il contesto
culturale in cui viviamo. Sono convinta infatti che sia urgente riscoprire e
riproporre il messaggio di Maria Montessori anche da nuove angolazioni e
prospettive, così da portare avanti la sua opera ampliandone i campi di applicazione: quando si dispone della potente luce di un faro, perché non farla
scorrere anche negli angoli più bui e remoti o perlomeno meno conosciuti
così da illuminare zone ancora inesplorate?
Mi limiterò in questa sede a dare solo alcuni cenni rispetto a questo
argomento così particolare che, confesso, mi affascina enormemente e che
potrei denominare:
Montessori e culture tradizionali: pratiche educative a confronto
Quando, all’epoca dell’università, andai in Uganda e vissi per un periodo all’interno di una comunità di bambini poliomielitici, una delle cose che
più mi colpirono fu la manualità di quei piccolini e la grazia dei loro movimenti: bimbetti di circa tre-quattro anni maneggiavano grossi coltelli e
tagliavano da soli con gesti lenti e accurati la manioca che serviva loro per
il pranzo. Mi venne alla mente il terrore dei genitori e delle maestre “nostrane” nel dare in mano a un bambino dell’età della scuola materna anche
solo un semplice coltello dal bordo liscio e non affilato… Con altrettanta
naturalezza le bimbe ugandesi rimestavano la zuppa di fagioli nei grandi
pentoloni e lavavano piatti e bicchieri.
Non si tratta forse di quelle che i montessoriani chiamano “attività di
vita pratica”?
Notai poi che gli adulti avevano nei confronti dei bambini un atteggiamento molto “passivo” che ai nostri occhi di occidentali poteva venire
interpretato come un atteggiamento di indifferenza. La mamma si lasciava
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completamente manipolare dal suo piccolino di pochi mesi ma anche di
uno-due anni: questo le toccava il seno, lo pizzicava, ci si attaccava per
succhiare un po’, le trotterellava in grembo e lei non mostrava alcun cenno
di fastidio, come fosse un oggetto inerme nelle sue mani. La mamma non
stimolava il bambino ma si limitava a rispondere alle sue richieste. Ma non
è forse proprio ciò di cui parla Maria Montessori quando dice “Noi, quando il bambino ci si rivolge col suo cuore e si fissa a chiedere nutrimento
all’anima nostra, dovremmo sempre essere presenti come oggetti passivi,
nel senso di non sottrarci mai per nostro egoismo alle necessità del bambino; ma corrispondendo con tutte le intime attività per riflettere su di lui
i raggi luminosi di cui ha bisogno la sua anima pura e non ancora adattata
alla vita. … La nostra “corrispondenza” dev’essere così piena, così sollecita e così completa, come quella degli oggetti che si lasciano maneggiare ma
che a ogni tocco spingono in alto la vita intellettuale del bambino. Giammai attratti dalle sue grazie affascinanti dobbiamo aggredirlo con le nostre
carezze, … mai respingere i loro slanci affettuosi ma corrispondervi con
delicatezza e sincera devozione. … Noi siamo gli oggetti del suo amore, gli
oggetti sui quali la vita si va organizzando”?20. Ecco perché – ella dice – le
madri e le maestre migliori saranno quelle “piene di risposte; passive come
abnegazione, attive come fonti di amore”21.
Ma torniamo ai bimbi ugandesi: i più grandicelli giocavano tra loro in
gruppi misti per età. I grandi aiutavano i piccoli mostrando nei loro confronti un atteggiamento di protezione materna o paterna, i più piccini li
seguivano ammirati e si affidavano a loro con gioia e fiducia, cercando di
imitarli: non è forse la caratteristica saliente della montessoriana “società
per coesione”?
Quando poi, negli anni a venire, ho cominciato a interessarmi di etnopediatria, mi sono resa conto che anche qui Maria Montessori è stata un
precursore perché proprio al diverso approccio al maternage nelle altre culture dedica diverse pagine ne La mente del bambino. Sentiamo cosa dice rispetto a popoli lontani da noi, non solo geograficamente, ma per mentalità e
abitudini: “Ognuno di questi gruppi ci sembra in fatto di allevamento infantile più intelligente di noi occidentali, con le nostre idee ultramoderne. In
20 M. Montessori, L’autoeducazione, p. 292.
21 Ibidem, p. 293.
146 Libertà e amore
molti Paesi vediamo che i bambini non sono trattati così in contrasto con le
esigenze della natura come dagli occidentali. Nella maggior parte dei Paesi
il bambino accompagna la madre ovunque vada e madre e figlio sono come
un corpo solo”22. Riguardo al portage scriveva: “Il modo diverso che si usa
per portare il bambino è una particolarità tra le più interessanti, messa in
valore dagli studi etnologici”23. In tutte le culture tradizionali del mondo le
mamme portano con sé il proprio bambino, “esse si considerano quasi un
sol corpo con lui; il bambino è una parte della madre. … Noi siamo disposti
ad attribuire a merito di quei costumi il carattere tranquillo di quei bambini,
che non sono ‘difficili’ e non presentano ‘problemi’ come i nostri”24. Le osservazioni della Montessori, fatte un secolo fa, sono ancora del tutto attuali.
Le ricerche etnopediatriche più recenti confermano infatti come i bambini
“portati” sulla schiena, sul fianco o in una fascia, siano quelli che piangono
meno: i primi in classifica sono i coreani. Il che la dice lunga sul ruolo che
lo stile di accudimento ha nei confronti del disagio del bambino e delle sue
esigenze emotive e fisiologiche insoddisfatte.
Il mio atavico, spiccato interesse per la cultura dei popoli nativo americani mi ha portato poi a studiare in modo particolare le loro pratiche di
maternage e di educazione e qui devo dire che ho ritrovato in modo eccezionalmente vivo lo spirito montessoriano. È come se la visione di Maria
affondasse le sue radici proprio in terra indiana, come se la sua anima si
fosse nutrita alla fonte di quella cultura e di quel mondo e il suo pensiero si
fosse costruito su quella antica matrice.
Moltissime sono infatti le analogie che ho potuto notare tra il suo approccio educativo e quello tradizionale nativo-americano. Esaminiamone
alcune.
“Tenere un bimbo tra le braccia mi connette al cuore del mistero della
Creazione più di ogni preghiera”25 dice Manitonquat, anziano story-teller26
e leader spirituale della nazione Wampanoag del Massachusetts. E così
scrive Maria Montessori parlando del suo rapporto con il bambino: “Vici-
22 23 24 25 26 M. Montessori, La mente del bambino, p. 108.
Ibidem, p. 109.
M. Montessori, La formazione dell’uomo, p. 91.
Manitonquat, Ritorno alla creazione, p. 113
Termine con cui si indica il “cantastorie” tradizionale.
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no al bambino non sono nulla e il più grande privilegio che io abbia avuto
nell’avvicinare il bambino è stato quello di non esistere, perché questo mi
ha permesso di vedere ciò che non si vede se si è qualcuno: piccole cose,
verità semplici ma preziosissime. Non è sempre necessario vedere delle
grandi cose ma ciò che vale sommamente è il vedere l’origine delle cose”27.
Ciò di cui stanno parlando Manitonquat e Maria Montessori è quella condizione di non-mente che permette di vedere oltre e di creare una connessione con l’essenza di tutte le cose e di tutti gli esseri.
Ma veniamo ai princìpi su cui poggia la pedagogia dei popoli nativi.
L’educazione tradizionale dei bambini indiani si basa su due valori fondamentali: il rispetto e la fiducia. “I valori non possono essere insegnati da
conferenze, oppure tramite ricompense e punizioni. Si possono insegnare
solo tramite l’esempio” dice Manitonquat. “Al pari della fiducia, il rispetto
viene da dentro.”28 “I bambini sono persone complete, trattate col rispetto
dovuto agli esseri umani di ogni età. … Nessun linguaggio infantile, nessun
comando, nessun grido, nessuna moina o lusinga, nessun rimprovero né
sarcasmo o critiche mortificanti. … Questo è rispetto, questa è fiducia.”29
Nelle scuole Montessori non esistono premi e castighi, l’adulto parla al
bambino in tono calmo e fermo, senza sgridare e tantomeno urlare, stando
molto attento a non ledere in alcun modo il suo senso di dignità. Non ordina, propone; non interferisce, è saggiamente accanto, pronto a intervenire
ogni qualvolta il suo aiuto si riveli indispensabile.
Il concetto di fiducia permea ogni cosa nell’universo dei popoli nativi
americani, gli adulti hanno “una fiducia totale nella bontà di base, nell’intelligenza e nelle risorse dei bambini.”30; “…non si preoccupano della loro
salute e della loro sicurezza in modo ossessivo, insistendo che mangino e
bevano in una certa maniera o negando loro l’accesso a luoghi di pericolo
soltanto immaginario. Gli adulti di questa cultura confidano che, appena
sarà in grado di mangiare da solo, il piccolo mangerà quanto gli abbisogna.
Confidano che, appena il piccolo sarà in grado di vestirsi da solo, imparerà rapidamente a indossare gli indumenti necessari per mantenersi caldo e
27 28 29 30 M. Montessori, Educazione e pace, p. 129.
Manitonquat, Ritorno alla creazione, p. 118.
Ibidem, p. 128
Ibidem, p. 116.
148 Libertà e amore
asciutto. Hanno fiducia, una fiducia che deriva da migliaia di anni di vita, e
sanno nel profondo che, una volta messi al corrente del pericolo, i piccoli
sono naturalmente intelligenti e in gamba quanto basta per non bruciarsi ai
fornelli, non tagliarsi con i coltelli, né fare una di quelle cose che i genitori
della cultura dominante immaginano e temono costantemente. … I piccoli
Indiani cresciuti alla maniera tradizionale … capiscono le cose molto presto e diventano più indipendenti prima della maggioranza dei coetanei della società odierna”31. “Questi bambini non sono così rumorosi ed esplosivi
come i piccoli della cultura dominante, poiché non hanno la necessità di
lottare contro un sistema oppressivo.”32
Questo è quanto succede anche ai bambini cresciuti secondo il metodo
Montessori…
“I bambini non hanno bisogno di una mole di istruzioni. In effetti imparano meglio quando non s’insegna loro”, scrive ancora Manitonquat, “la
Creazione li ha resi imitatori ed è così che imparano in modo più efficiente.
Qualsiasi cosa vogliamo che facciano o siano, dobbiamo farla o esserla noi
per primi. … Chi è la loro guida in questa educazione? La Creazione, cioè
loro stessi. L’impulso viene da dentro”33. Non si tratta forse del maestro
interiore di cui parla Maria Montessori quando dice “All’interno di ogni
bambino vi è per così dire un maestro vigile…”?
L’adulto, il genitore, non deve far altro che esserci, accettare il bambino
così com’è, apprezzarlo, proteggerlo ed essere disponibile nel momento del
bisogno. Come un “consulente” che dà il suo parere se richiesto.
“Se qualcuno ti dice ‘Impara questo!’ non proverai alcuna curiosità verso quella cosa. Lavorerai per impararlo se devi, ma non ci metterai il cuore.
La curiosità viene da dentro in risposta a qualcosa di interessante nell’ambiente, finché questo non viene forzato. Una volta risvegliata, la curiosità
dà un sacco di energia. Allora non smetti finché non hai imparato tutto ciò
che puoi per soddisfare quella curiosità e in questo processo sarai diventato
curioso di qualcos’altro. È così che funziona la Creazione.”34
Non vi sembra un incredibile concentrato di “spirito montessoriano”?
31 32 33 34 Ibidem, p. 129.
Ibidem, p. 128.
Ibidem, p. 18.
Ibidem, p. 122-123.
6 - Educazione cosmica
149
Da quanto riportato finora direi che appaiono evidenti le analogie con la
visione educativa Montessori basata sul rispetto e la fiducia nelle potenzialità del bambino, volta a favorire l’indipendenza di questo nell’ambiente,
puntando sull’interesse e sul lavoro liberamente scelto ed evitando premi e
punizioni come pungoli per l’apprendimento.
Ma pensiamo anche agli strumenti a misura di bambino forniti nelle
scuole Montessori e all’abitudine dei nativi americani di costruire per i loro
piccoli non giocattoli ma piccoli attrezzi veri quali archi per i maschi, cradleboards (cioè culle mobili) e tipì (tende ad uso abitazione) per le femmine.
“Gli strumenti per giocare si trovano nel mondo. La maggior parte dei
giocattoli sono attrezzi veri, che crescono di misura insieme al piccolo”35
scrive ancora Manitonquat, e aggiunge: “Il mondo non è separato fra lo
spazio degli adulti e quello dei piccoli: i bambini imparano e trovano la
propria strada in un mondo unificato, il mondo della loro gente.”36
Ed ecco poi un esempio di educazione sensoriale che ci viene da un poeta e scrittore pueblo, Simon J. Ortis: “Vado all’aperto con mio figlio e gli
indico un albero, gli lascio toccare le foglie. ‘Guarda, questa è una foglia, è
verde, ha nervature, ha questa forma, prendila’. Lui tocca la foglia e si muove anche il ramoscello, irruenti e tenere, le mani grassottelle afferrano quanto gli vado indicando. Lo lascio camminare scalzo, a sentire questa terra,
terra bruna e ciottoli, argilla solida, è difficile per i semi farvi radici: sabbia
e foglie, rami e concime rendono il terreno fertile. Gli dico tutto questo.”37
Anche per Maria Montessori l’educazione sensoriale e cosmica passa
prima di tutto attraverso l’esperienza nell’ambiente: prima di usare il materiale di classificazione delle foglie, per esempio, si raccolgono foglie in
giardino e si cerca di scoprirne e confrontarne insieme le differenze.
Un altro esempio, che trovo molto significativo: per i nativi americani
era fondamentale insegnare ai bambini la lezione del silenzio. Saper stare
in silenzio, saper ascoltare il silenzio e, attraverso di esso, i suoni della
natura che ci circonda era ritenuto molto importante. Ecco cosa scrive, a
questo proposito, il Dakota Orso In Piedi: “L’educazione al silenzio iniziava molto presto. Noi insegnavamo ai nostri bambini a sedere in silenzio
35 Ibidem, p. 128.
36 Ibidem, p. 128.
37 S. J. Ortis, in Amicizia con la terra, p. 105.
150 Libertà e amore
e a gioire di questo. Noi insegnavamo loro a utilizzare i propri sensi, a
percepire i diversi odori, a guardare quando all’apparenza non c’era nulla
da vedere e ad ascoltare con attenzione, quando tutto appariva totalmente
tranquillo. Un bambino che non sa sedere in silenzio è rimasto indietro nel
suo sviluppo. Un comportamento esagerato, appariscente, lo respingevamo
come falso e un uomo che parlava senza pause era considerato maleducato e distratto. Un discorso non veniva mai iniziato precipitosamente né
condotto frettolosamente. Per i Dakota, il silenzio aveva una forza ben più
grande della parola.”38
Non è forse evidente l’analogia con l’esercizio del silenzio montessoriano? Non a caso il silenzio è considerato da Maria Montessori uno degli
esercizi sensoriali che hanno come finalità “il perfezionamento dell’individuo”. Ne parleremo meglio nel prossimo capitolo alla luce del suo significato spirituale.
“Il silenzio assoluto equivale ad un’assoluta immobilità” scrive Maria
Montessori e quindi richiede un elevato controllo dei movimenti. “Il silenzio – dice Ohiyesa – è l’assoluto equilibrio di corpo, mente e spirito”.39
Un’ultima coincidenza per concludere questo paragrafo: tutto l’universo dei nativi americani è basato sul cerchio, dalla struttura del tipì e del villaggio, alla ruota di medicina (sorta di mappa simbolica che racchiude il significato del viaggio terreno e delle interconnessioni dell’uomo con il resto
del creato). “Ogni cosa fatta da un indiano è in un cerchio. Questo succede
perché il Potere dell’Universo agisce secondo dei cerchi e ogni cosa tende
a essere rotonda. Il cielo è rotondo e io ho sentito dire che la terra è rotonda
come un pallone e che anche tutte le stelle lo sono. … Gli uccelli costruiscono i loro nidi facendoli a cerchio. Il sole sorge e tramonta disegnando un
cerchio. La luna fa lo stesso ed entrambi sono rotondi. Persino le stagioni,
nel loro alternarsi, formano un grande cerchio… La Vita dell’uomo è un
cerchio dall’infanzia all’infanzia, ed è lo stesso per ogni cosa che il potere
anima”40 dice il saggio Alce Nero.
38 Orso In Piedi, in Sai che gli alberi parlano?, p. 66.
39 Ohiyesa, L’anima dell’indiano, p. 54.
40 Alce Nero, in Sai che gli alberi parlano?, p. 54
6 - Educazione cosmica
151
Ebbene, l’ultima “casa” di Maria Montessori, a Noordwijck, dove è stata sepolta, ha la forma di un cerchio e queste sono le parole che vi sono
incise: “Ai bambini che tutto possono”.
Prospettive “cosmiche”…
Viviamo tempi di grande crisi e insicurezza, il vecchio mondo sta crollando e quello nuovo è ancora tutto da costruire. Una enorme sfida ci attende
ed è dal modo in cui sapremo affrontarla che dipenderà il nostro futuro. Tutti
siamo chiamati. Per far questo occorre innanzitutto “assumere la cittadinanza
terrestre” che significa “assumere la nostra comunità di destino”41. “Non più
dominare la Terra, ma curare la Terra malata, abitarla, ripararla, coltivarla”42:
come ci ricorda Edgar Morin, questo pianeta è la nostra Patria!
Unire le forze e le energie, i saperi e le competenze, ritrovare la tribù, ricostruire la vita del villaggio. È di questo che c’è bisogno oggi. È di questo
che hanno bisogno i bambini, sempre più soli, sempre più abbandonati a se
stessi. Occorre ritessere la rete della famiglia allargata e riscoprire il potere
della poesia…
“La poesia non è un genere letterario, è anche un modo di vivere nella
partecipazione, nel rito, nella festa, nell’ebbrezza, nella danza, nel canto,
che effettivamente trasfigurano la vita prosaica fatta di compiti pratici, utilitaristici, tecnici”43. Ci vogliono tutte due: poesia e prosa, se non ci fosse
l’una non ci sarebbe l’altra, perché la vita esiste solo nella polarità.
Se è vero poi, come dice Panikkar, che “L’incontro tra le culture è condizione indispensabile per la sopravvivenza dell’umanità” e che “solo da
un dialogo tra le civiltà potrà nascere un progetto planetario per l’invenzione dell’avvenire” come sostiene R. Garaudy, occorre darsi da fare urgentemente perché la scuola in primis diventi uno spazio privilegiato di
accoglienza, di condivisione e di educazione alla vita.
Non occorre inventare nulla di nuovo, non serve elaborare complicate
teorie pedagogiche, basta osservare il bambino e la natura, come ha fatto
41 E. Morin, op. cit., p. 191.
42 Ibidem, p. 191.
43 Ibidem, p. 180.
152 Libertà e amore
Maria Montessori, e ci si renderà conto che è tutto molto più semplice di
quanto pensiamo. Infatti “Non vi può essere che un unico mezzo di educare
o trattare i bambini nella prima età; e se l’educazione deve cominciare dalla
nascita non vi può essere che un solo modo. Non si può dunque parlare di
metodi particolari per trattare bambini indiani, cinesi o europei; né bambini appartenenti a differenti classi sociali, ma di un metodo che segue ‘la
natura umana che si svolge’, poiché tutti hanno gli stessi bisogni psichici e
seguono lo stesso procedimento per raggiungere la costruzione dell’uomo:
ognuno deve passare attraverso le stesse fasi di crescenza”44.
La scuola Montessori è in questo senso, a mio avviso, la scuola per
eccellenza, quella con la S maiuscola, adatta a ogni bambino, a qualsiasi
cultura appartenga, a qualsiasi credo religioso; è una scuola di per sé interculturale ed ecumenica, che insegna ad aprirsi al mondo e a costruire
concretamente l’armonia e la pace, a partire da sé e dalla propria realtà, dal
qui e ora di tutti i giorni.
E qui si apre un nuovo capitolo: Maria Montessori e l’educazione alla
pace…
Educazione alla pace
Una volta mi capitò, durante un viaggio in treno, di imbattermi in un
gruppo di giovani che andavano a Roma a manifestare per la pace. Ciò
che mi colpì con forza fu notare come, sebbene sventolassero le loro bandiere arcobaleno, utilizzassero un linguaggio violento e mostrassero atteggiamenti aggressivi. Ma come si può – mi chiesi allora – parlare di pace o
battersi per la pace quando si ha il cuore così pieno di rabbia?
Fu solo un po’ di anni dopo che trovai conferma del mio pensiero nelle
parole di Thich Nhat Hanh che così scriveva: “Lavorare per la pace significa innanzitutto essere pace. Senza essere pace non si può fare niente per la pace. Se non sappiamo sorridere non possiamo aiutare gli altri a
sorridere”45. È proprio così: non si può dare agli altri ciò che non si possiede. I nativi americani dicono “Walk your talk – Cammina le tue parole”,
44 M. Montessori, La mente del bambino, p. 77.
45 Thich Nhat Hanh, La pace è ogni passo, p. 99.
6 - Educazione cosmica
153
ovverossia “vivi ciò di cui parli” ma questo profondo insegnamento viene
di rado messo in pratica…
Gandhi diceva: “Diventa tu stesso il cambiamento che vuoi vedere nel
mondo”. Non c’è nessuna possibilità di trasformazione della realtà che ci
circonda che non passi attraverso la nostra personale trasformazione. Tutto
il resto sono solo pie illusioni. Tutte le rivoluzioni e le guerre hanno fallito
perché – come ci ricorda Osho – “non ci può essere una rivoluzione politica
o sociale o economica. L’unica rivoluzione è quella dello spirito, è individuale. Se milioni di individui cambiano, di conseguenza cambierà anche la
società, ma non viceversa. Non puoi cambiare prima la società e poi sperare che gli individui cambino di conseguenza.”
Per realizzare la pace “non sono sufficienti leggi e trattati: ma un mondo
nuovo, pieno di miracoli” diceva Maria Montessori in una conferenza a
Ginevra nel 1932: “Un mondo nuovo per un uomo nuovo, ecco l’imperiosa necessità”46. Ma il mondo nuovo può essere costruito solo dall’uomo
nuovo, un uomo liberatosi dalle catene della schiavitù dei pregiudizi, dei
sensi di colpa, della paura e della rabbia. Un uomo che ha saputo integrare
e trasformare le sue emozioni – non reprimerle! – utilizzando l’enorme potenziale di energia che esse contengono.
L’educazione ha in questo senso un ruolo fondamentale: “Costruire la
pace è opera dell’educazione”47, “l’educazione è l’arma della pace”48 ha
scritto la Montessori e in particolare l’educazione cosmica è uno strumento
eccezionalmente efficace per piantare i semi della pace.
A. J. Muste, leader del movimento pacifista americano degli anni ’50
diceva: “Non c’è una via alla pace, la pace è la via.”
Se il nostro principale interesse consiste nell’educare l’umanità – scriveva Maria – occorre rifarsi al bambino “perché in lui risiede l’origine e la
chiave degli enigmi dell’umanità”49. “Il bambino non va considerato come
l’essere debole e indifeso, che bisogna soltanto proteggere e aiutare: ma
come un embrione spirituale, dotato di vita psichica fin dalla nascita, e gui-
46 47 48 49 M. Montessori, Educazione e pace, p. 24.
Ibidem, p. 29.
Ibidem, p. 37.
Ibidem, p. 33.
154 Libertà e amore
dato da istinti sottili a costruire attivamente la personalità dell’uomo”50. “Il
bambino costituisce insieme una speranza e una promessa per l’umanità.
Curando dunque questo embrione come il nostro tesoro più prezioso, noi
lavoriamo alla grandezza dell’umanità”51.
Maria Montessori fu candidata per diversi anni al premio Nobel per la
pace e al tema della pace dedicò molti dei suoi scritti e delle sue conferenze, la
maggior parte dei quali raccolti nel volume Educazione e pace. Ma ella stessa
fu un “segno” di pace, attraverso il suo infaticabile lavoro e la sua opera.
“La verità risiede nelle cose semplici”52 diceva saggiamente Maria e, a
tale proposito, vorrei concludere questo capitolo con le parole del monaco
buddista Thich Nhat Hanh: “Prendete per mano vostro figlio e invitatelo a
sedersi sull’erba accanto a voi. Insieme potrete ammirare il verde dei prati,
i fiorellini che crescono fra gli steli, il cielo. Respirare e sorridere insieme
è educazione alla pace. Se sappiamo apprezzare queste belle cose, non c’è
bisogno d’altro. La pace è disponibile in ogni momento, a ogni respiro, a
ogni passo.”53
Così è e così sia.
50 51 52 53 Ibidem, p. 47.
Ibidem, p. 41.
Ibidem, p. 131.
Thich Nhat Hanh, La pace è ogni passo, p. 116.
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