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L’ORO CHE PORTÒ AL COLPO DI STATO VITO CARLO SPERONI INTRODUZIONE Carlos Vittorio De Espero era un agente dei servizi segreti, si era dimesso dopo la missione in Iraq, dove aveva operato nelle zone di Bassora, Baghdad e Kirkuk conducendo missioni dette di “attività sul terreno” per la ricognizione e individuazione di obiettivi militari. Dopo l’ultima missione aveva deciso di prendersi un periodo di riposo nella sua villa in Toscana, situata a due chilometri da Gabbro, frazione del comune di Rosignano Marittimo in provincia di Livorno , costruita su un crinale con una splendida vista sulla baia del Quercetano (Castiglioncello) una delle più belle e suggestive località turistiche Italiane. Immersa in un parco dove spiccano le conifere come il cipresso, il pino marittimo e il pino domestico , fu costruita nel 1100 come torre, ampliata nel 1800 con una superficie di 580 metri quadrati e ristrutturata definitivamente da Carlos. Nella corte è situato un porticato coperto affacciato sulla vallata, al piano terra un bel soggiorno con focolare, studio e veranda chiusa da vetrate, al primo piano soggiorno con caminetto, cinque camere con altrettanti bagni e nell’ampia torretta una camera con un bagno. Sotto la torre aveva fatto costruire un bunker autonomo rispetto al resto della villa con un’estensione di circa duecento metri quadrati e conteneva: la palestra fornita di tapis roulant, panca multi funzione, vogatore e spinbike, la cucina, una camera da letto, locale per telecomunicazioni con collegamenti sia satellitari che via cavo, bagno, un ripostiglio con viveri per almeno un mese e una camera blindata con archiviate le informazioni dettagliate di tutte le operazioni svolte nel corso degli anni. E per finire l’armeria che era un vero e proprio arsenale. Armadi blindati contenevano numerose pistole semiautomatiche, una carabina , due fucili Kalashnikov modello AK47, tre fucili semiautomatici , un fucile mitragliatore d’assalto e una carabina Mauser modello 24, più centinaia di caricatori e migliaia di cartucce. La mattinata di Carlos era dedicata alla palestra, due ore di corsa sul tapis roulant, per poi passare alla panca per circa un’ora e per finire mezz’ora di spinbike, l’ultima tappa era il poligono di tiro che si trovava sotto la cantina e si raggiungeva attraverso un passaggio segreto. SABATO 8 DICEMBRE La neve copriva la valle, Carlos rabbrividì. Dopo il giro di ronda che faceva ogni sera nonostante la villa fosse protetta da sistemi di allarmi sofisticatissimi, si avviò verso la veranda. Appoggiò il giubbotto sul divano, inserì la sicura nella semiautomatica, aprì il frigo cantina e stappò una bottiglia di Cartizze , lo versò nel calice, chiuse gli occhi, avvicinò il bicchiere alle labbra e si apprestò a gustare quel nettare… si bloccò, il telefono stava squillando. Appoggiò la coppa sul tavolino e rispose. Si salutarono, era Giorgio. «Ho un lavoro da proporti.» «Di cosa si tratta?» «Non al telefono, se ti interessa domani sera alle venti e trenta trovati all’aeroporto di Lucca Tassignano, ti aspetta un jet privato pronto al decollo, nella valigetta che ti consegnerà il comandante troverai tutte le indicazioni , se accetterai il pilota ti porterà a destinazione.» «Ok, ci penserò.» Aveva già deciso, l’azione gli mancava e a Giorgio non poteva dire di no. Ci voleva un brindisi, aprì una nuova bottiglia di Cartizze e la gustò fino all’ultima goccia. Carlos Vittorio De Espero era tornato in azione. PRIMO EPISODIO Erano le sei del mattino, Carlos si sentiva in perfetta forma. Scese di corsa le tre rampe di scale che dalla torre portavano al bunker , aprì la porta blindata appoggiando la mano sul dispositivo biometrico, oltrepassò l’archivio, l’armeria, la palestra e la cucina. Arrivato nella sala comunicazioni inviò un messaggio criptato. Ritornò nell’armeria, prese cinque caricatori da quindici colpi e il telefonino con sim non rintracciabile, inserì l’allarme e si avviò verso la villa. L’ora della partenza si avvicinava, aprì l’armadio a muro della sua camera prese un maglione nero pantaloni grigi e giacca blu, infilò nella borsa la semiautomatica , ricambi per qualche giorno e avvisò la governante Teresa della sua partenza. Arrivato a Lucca posteggiò la sua Jeep nel garage dell’aeroporto e si recò nel ristorante Da Cecco, cenò e dopo circa un’ora si avviò verso l’area riservata ai voli privati. L’ hostess era ad attenderlo : « Sono Carlos.» « Prego venga l’accompagno all’aereo.» Il comandante lo fece accomodare e gli consegnò la borsa, Carlos guardò le indicazioni e inviò il secondo messaggio a Beatrice con scritto “Milano”. Frattanto nella cabina di pilotaggio il comandante fece una chiamata: «Arrivo stimato 21:45.» E riattaccò. Alle sei e trenta Beatrice fu svegliata dalla suoneria del telefonino, lesse il messaggio, scese dal letto ed entrò nella doccia. Dopo una colazione veloce si preparò per uscire. In un borsone infilò il minimo indispensabile e si avviò verso l’aeroporto di Pisa con la sua Freemont 4x4. Era una dipendente dei servizi addetta alla decrittazione dei messaggi, aveva conosciuto Carlos sul lavoro ed erano rimasti in contatto anche quando lui se n’era andato. Carlos dopo aver lasciato l’agenzia per motivi personali, le aveva offerto di entrare in società con lui, aveva accettato senza esitazioni. Verso mezzogiorno era all’aeroporto, al bar ordinò un panino, si accomodò su una poltrona e attese con pazienza la chiamata che ricevette verso le venti e trenta, dopo aver letto il messaggio si avviò al check in e prenotò un volo per Milano. *** Per gli addetti al controllo delle comunicazioni di Fort Meade, sede della National Security Agency era la solita giornata di routine, tutte le chiamate e i messaggi scambiati nel mondo erano analizzati e se contenevano frasi sospette venivano segnalate al centro operativo di Langley, sede della CIA. Quando alle sedici ora locale sulla consolle apparve per la seconda volta il nome di Carlos l’addetto alzò il telefono e compose il numero di Mason il direttore della CIA. «Sono stati inviati due messaggi criptati dalle utenze di Carlos.» «Quando?» «Alle sei e trenta e alle venti e trenta ora italiana, uno dalla sua abitazione e uno da Lucca.» «Il contenuto?» «Fra trenta minuti le farò avere i messaggi decriptati.» Un’ora dopo il direttore alzò il telefono e fece l’interno del servizio operativo. «Carlos è tornato in azione, si sta spostando a Milano , voglio sapere con chi si deve incontrare, priorità assoluta.» «Avvisiamo i nostri agenti in Italia.» «Tenetemi informato su tutto, anche per le cose più insignificanti, se fa pipì fuori dalla tazza lo voglio sapere.» «Sì signore.» Venerdì 7 dicembre, nella suite del lussuoso hotel Drumondì, affacciato sulla piazza del Duomo a Milano, erano riunite dieci persone, Giorgio prese la parola. «La situazione economica del nostro paese è a un passo dal baratro, una parte consistente della popolazione non ha un reddito sufficiente per arrivare a fine mese, i poveri sono oltre quattro milioni, la disoccupazione è al trenta per cento, centinaia di fabbriche ogni giorno chiudono e i nostri politici cosa fanno? Pensano solo ai loro interessi e a riempirsi le tasche, è una situazione ingovernabile, bisogna intervenire prendendo in mano le redini del paese. E’ venuto il momento di rispettare la volontà dei nostri genitori, morti nel 1945 in azioni di guerra.» Lesse: Abbiamo servito fedelmente il nostro Paese e il Duce, abbiamo combattuto per l’ideale di una Patria fondata sul rispetto reciproco, sulla famiglia, sul lavoro, sulla difesa del nostro territorio e sul mantenimento delle nostre tradizioni, ricordatevi di imparare dal passato per guardare al futuro. Figlioli, noi non possiamo fare più nulla per il nostro Paese, voi invece potete fare molto, i vostri nonni vi guideranno sulla giusta via, rispettateli e ubbiditegli senza riserve. La contrapposizione tra comunismo e fascismo continuerà per decenni e se un giorno questo porterà allo sfascio economico e politico, recuperate la busta depositata dall’avvocato Karl in una banca di Lugano. Diffidate di chiunque, sono in molti a volere quelle informazioni e saranno disposti a tutto. Non dimenticateci, i vostri genitori. Un attimo di pausa e poi continuò.« E’ venuto il momento di recuperarla, domani sera chiamerò Carlos, l’unico in grado di aiutarci e soprattutto è l’unico di cui ci possiamo fidare. Marco, se accetterà sarà compito tuo andare a prenderlo all’aeroporto.» Giorgio lo conosceva da quando era uscito dai servizi segreti militari ed aveva aperto un’agenzia di spionaggio civile. Specializzata nell’ottenere, mettere insieme e analizzare informazioni. Tutti i “lavori” che gli aveva commissionato erano stati svolti con professionalità, efficienza e segretezza. «Ok Giorgio, ci penso io.» «Per oggi è tutto, la prossima riunione si terrà venerdì alla stessa ora.» L’aereo atterrò all’aeroporto di Linate in perfetto orario e quando Carlos scese dalla scaletta trovò Marco ad attenderlo. «Ben arrivato, ho prenotato una camera in albergo.» «Preferisco che mi porti alla fermata dei taxi, per questioni di sicurezza vorrei muovermi a modo mio.» «Ok». Scese dalla macchina e salì sul taxi. «Dove la devo portare?» «In via Podgora 22.» Carlos attraverso intermediari delle Cayman aveva acquistato monolocali in varie città: Milano, Roma, Londra, Parigi, Ginevra, New York, gli servivano come appoggio nelle varie missioni, in ogni appartamento vi era il necessario per garantire la sopravvivenza in caso di necessità, documenti falsi, vestiti, armi, denaro. Il monolocale si trovava in uno stabile anni sessanta all’ultimo piano. Appena entrato aprì l’acqua del bagno prese una bottiglia di Cartizze lo mise in un secchiello pieno di ghiaccio e lo appoggiò vicino alla vasca, si immerse nell’acqua calda e sorseggiando il vino incominciò a rilassarsi, il sonno stava prendendo il sopravvento quando arrivò Beatrice. «Diventi vecchio amore mio.» «Beatrice, ero distrutto.» «Non prendere scuse.» La prese tra le braccia, le scompigliò i capelli, la baciò a lungo e la trascinò nella vasca. Erano le sei del mattino quando il telefono di Carlos squillò:«Pronto.» «Ciao, sono Giorgio, ci possiamo vedere a pranzo?» «Sì, ma non potevi chiamarmi più tardi, stanotte ho dormito poco.» «Immagino, salutami Beatrice.Ci ristorante “Da Gigino” alle tredici.» troviamo al «Beatrice», disse Carlos, «i servizi non ci metteranno molto a scoprire che siamo a Milano e non voglio bruciare questa copertura, ci trasferiamo in albergo, prendi i documenti falsi dalla cassaforte.» Misero il minimo indispensabile in un borsone, salirono sull’autobus della linea 84 fino a largo Augusto, li presero un taxi e si fecero portare in un albergo vicino alla fiera, si registrarono come Corrado Rossi e Giulia Rota. Alle tredici erano all’ingresso del ristorante che si trovava sui Navigli, la sua specialità era pesce di mare, al cameriere che gli chiedeva se aveva prenotato rispose che era atteso dal dottor Giorgio:«Venga, l’accompagno.» «Ciao Carlos, ciao Beatrice è un piacere rivedervi, accomodatevi, vi faccio portare del vino?» «Sì, grazie, del Cartizze.» «E tu Beatrice.» «Anche per me, grazie.» «Carlos, ti vorrei parlare del lavoro per il quale ti ho ingaggiato.» Gli raccontò tutto senza tralasciare nulla. «Recuperami la busta e venerdì quando ci vedremo, decideremo insieme se e come proseguire l’operazione.» «Va bene ,ti recupero la busta.» Rientrati in albergo pianificarono il viaggio in Svizzera e decisero di andare a Lugano in treno, prenotarono su Internet per due giorni dopo, partenza alle ore undici dalla stazione centrale, arrivo alle dodici e dieci. *** Ryan, responsabile della CIA presso il consolato americano a Milano era in attesa di informazioni, in cuor suo sperava che Carlos fosse lontano , aveva già avuto a che fare con lui e ricordava benissimo la figuraccia che rischiò di troncagli la carriera. Le informazioni arrivarono: Carlos era atterrato a Linate con un aereo privato noleggiato da una finanziaria Belga, era ad attenderlo una persona non identificata che guidava una macchina noleggiata da una società Svizzera, e da quel momento di lui non ci sono più tracce, nessun albergo aveva registrato il suo arrivo. «Attivate tutte le forze disponibili, deve essere trovato, solo se necessario avvertite i servizi italiani.» *** Arrivarono a Lugano puntuali alle dodici e dieci, scesero da due vagoni diversi, Beatrice entrò nel bagno della stazione e la persona che ne uscì era irriconoscibile:aveva messo una parrucca nera, minigonna, calze a rete, scarpe con tacchi a spillo e la scollatura non lasciava dubbi all’immaginazione, il cappotto era lungo e aperto sul davanti, i vestiti che portava all’arrivo li mise in un sacchetto e li buttò nella spazzatura poi prese un taxi con direzione lungo lago. Carlos entrò in un bar, ordinò un caffè, uscì poco dopo e salì anche lui su un taxi dando indicazioni all’autista di portarlo in via Trevisago, che si trovava subito dopo la banca. Beatrice era seduta sopra una panchina sotto gli sguardi affascinati dei passanti, quando vide arrivare Carlos si alzò ed entrò nella banca Schultz che si trovava lì vicino. Carlos attraversò la strada, cercò un posto appartato con la visuale sull’istituto di credito e attese. All’impiegato chiese del direttore e nell’attesa si mise a leggere un depliant della banca, dopo qualche minuto una voce la scosse:«Signora, sono Simon il direttore.» Gli occhi non si staccavano dal seno prosperoso, Beatrice sorrise. «Devo aprire una cassetta di sicurezza.» «Posso avere il codice.» «Eccolo.» «La faccio attendere un attimo, devo fare una verifica.» Il direttore entrò nel suo ufficio inserì il codice nel computer, la cassetta era stata richiesta nel 1945 e il costo del deposito pagato regolarmente, era stata aperta una sola volta nel ’47 e da allora nessuno si era più presentato. Sotto le informazioni una scritta lampeggiante: ogni richiesta di apertura della cassetta deve essere autorizzata dal presidente. Alzò il telefono e fece l’interno«Mi scusi se la disturbo, chiedono l’apertura di una cassetta che ha bisogno della sua autorizzazione.» «Dammi il numero del codice.» «Tr 244536 vtrc 22 cv 289013564.» «Aspetta che scendo, ci penso io.» Prima di scendere fece una chiamata:«Ciao, hanno richiesto l’apertura di una cassetta richiesta nel 45.» «Voglio sapere cosa contiene, forse è quello che mio padre cercava.» «Vedo cosa posso fare.» «Trattienili il più possibile, ho degli uomini lì vicino, il tempo di avvertirli.» «Va bene, ma sono stufo di toglierti le castagne dal fuoco, se tuo padre non si fosse fatto fregare da dieci fascisti invasati, non saremmo a questo punto.» «Devo ammettere che hai ragione e come mi disse , “sono tutti morti con onore”.» «Bando alle ciance, datti da fare.» Chiuse la comunicazione e scese nel salone :«Buongiorno signora, con chi ho l’onore di parlare?» «Sono Giulia Rota, abito a Milano e devo aprire la cassetta, ci sono problemi!» «Certo che no, sono il presidente e l’accompagno personalmente.» «Che onore.» Carlos vide arrivare due SUV che si fermarono vicino all’entrata della banca, scesero quattro uomini tre si misero vicino all’entrata e uno restò accanto alle auto. Erano tutti armati il rigonfiamento sotto il giaccone ne era la prova, che cosa intendevano fare? Prese il telefono e chiamò Beatrice. «Ci sono problemi cercherò di creare un diversivo. Sganciati fra una mezzora e corri verso il lago, ho un’idea. Buona fortuna.» «Anche a te amore mio.» Nel bunker della banca erano custodite centinaia di cassette, il presidente inserì la sua chiave e si allontanò, Beatrice la sua e quando l’aprì trovò due buste, le mise nella borsetta e finse di avere un mancamento. «Chiamate un medico ,la signora Rota si sente male.» Scese il direttore che telefonò al loro medico personale. «È in arrivo, intanto facciamola accomodare sulla poltrona.» Dopo che il medico verificò che si trattava solo di un lieve malore, Beatrice si fece indicare il bagno. Nel frattempo Carlos telefonò al suo amico Dimitri che abitava proprio a Lugano:«Ciao sono Carlos» «Amico mio dove sei?» «A Lugano, ho bisogno del tuo aiuto.» «Che tipo d’aiuto, sono fuori dal giro ormai.» «Hai ancora il motoscafo?» «Certo, in piena efficienza.» «Ho bisogno che recuperi Beatrice, che si trova nella banca Schultz vicino al lago.» «Stai rapinando una banca!» «Ma no, poi ti spiego, porta l’AK47. » «Ma, cosa devi fare, scatenare una guerra?» «Forse sì, scherzo, è solo per precauzione.» «Ti conosco, so che finirò in un mare di guai, ma se devo dirti la verità mi sono stancato di questa vita, arrivo tra venti minuti.» Appena lo vide gli indicò un’insenatura vicino alla strada che costeggiava il lago:«Attacca a una cima l’AK47 e passamela.» Una volta recuperato il fucile mitragliatore disse:«Dimitri, tieniti pronto a partire, appena la vedi chiamala, falla salire e aspettatemi a Gandria, hai portato le chiavi della tua macchina.» «Anche la macchina! Poi cosa vuoi.» «Sapere dove è posteggiata.» «In piazza Rezzonico sotto l’hotel dove abito.» «Dove abitavi, vuoi dire.» Scoppiò a ridere. «Maledetto il giorno che ti ho incontrato.»Rispose sorridendo. Avvolse il fucile con il cappotto passò davanti alla banca superò i SUV e si nascose dietro un vasca di fiori, inserì il caricatore, tolse la sicura e cominciò a sparare verso le auto mirando alle gomme, dopo i primi spari tre di loro si misero al riparo dietro le auto e risposero al fuoco, il quarto rimase vicino all’ingresso. Beatrice appena sentì i primi spari corse verso l’uscita, ma fu bloccata da un uomo che gli tolse la borsa. Non si perse d’animo, gli assestò un calcio nei genitali,l’uomo colto di sorpresa mollò la presa. Uscì di corsa dalla banca, si guardò intorno, sentì qualcuno che gridava il suo nome, si tolse le scarpe e cominciò a correre, quando fu vicino al motoscafo scavalcò la balaustra e si buttò, Dimitri la prese al volo e partirono a tutta velocità. Carlos scaricò il caricatore contro le auto, poi gettò l’arma nel lago e corse in direzione opposta alla sparatoria, fece appena in tempo a infilarsi in un garage sotterraneo che tutte le strade intorno alla banca furono bloccate dalla polizia e gli occupanti dei SUV arrestati. Passarono quasi due ore prima che riuscisse ad uscire dalla città e dirigersi verso il porto di Gandria. «Ti ringrazio Dimitri, ora puoi andare alla polizia e denunciare il furto del motoscafo, tieniti pronto, avremo bisogno di te.» «Buona fortuna.» «Anche a te amico mio.» Salì sul motoscafo partendo a tutta velocità verso Porlezza, arrivati a circa un chilometro dal porticiolo fermò il motore e gettò l’ancora. In attesa della sera, scesero in cabina e si gettarono sul divano sfiniti. Carlos la guardò e disse: «Sei bellissima, amore mio.» Le autoreggenti e la minigonna esaltavano le belle gambe e le sue fantasie erotiche ,si spogliarono e fecero l’amore appassionatamente. Verso le dieci di sera calarono in acqua il gommone di salvataggio, aprirono una falla nel motoscafo e lo lasciarono affondare, a mezzogiorno erano in albergo a Milano. Appena arrivati in camera Carlos chiamò Giorgio:«Ciao, sono appena arrivato in albergo.» «Ho sentito della sparatoria, tutto bene?» «Sì, tutto bene, ce la siamo cavata per un pelo, qualcuno è stato avvisato del nostro arrivo» «Avete la busta?» «Sì, erano due.» «Due? Pensavo che erano andate perse quando mi hanno riferito la perdita della borsetta.» « Devi fare i complimenti a Beatrice è stata bravissima. Quando è andata in bagno ha tolto le buste dalla borsa e le ha messe nel reggiseno.» «Bene, ora dobbiamo essere più prudenti. » «Farò fare alcune verifiche, ci vediamo come stabilito.» «Beatrice, al direttore hai dato il nome della carta di identità falsa.» «Sì.» «Prepara la valigia si cambia albergo, chiamo un taxi, prima ce ne andiamo meglio è.» *** Nella sede del consolato americano a Milano Ryan fu informato della sparatoria avvenuta a Lugano, chiamò l’agente Brandon in Svizzera e gli chiese di fornirgli tutte le informazioni in suo possesso:«Signore, c’è stato un conflitto a fuoco davanti alla banca Schultz tra una persona non identificata ed altre quattro. La persona non identificata è scomparsa prima che arrivasse la polizia, gli altri quattro sono stati arrestati, sono dipendenti dell’agenzia Securty, che si occupa di sicurezza e sorveglianza con sede a Zurigo.» « Oltre alla sparatoria è successo qualcosa di anomalo.» «Sì, una donna di Milano una certa Giulia Rota era in banca per aprire una cassetta di sicurezza ed è fuggita appena ha sentito i primi spari, alcuni testimoni l’hanno vista correre e saltare su un motoscafo il cui proprietario ne ha denunciato il furto, un certo Dimitri.» «La sparatoria era un diversivo, avete fatto ricerche su Dimitri.» «Sì, è un ex agente dei servizi russi poi si è messo in proprio, ha lavorato anche per Carlos.» Ryan chiamò l’interno dell’agente David: «Verifica se una certa Giulia Rota risiede in qualche albergo a Milano.» *** Carlos e Beatrice salirono sul taxi e si fecero portare fino a Porta Magenta, presero un secondo taxi fino a corso Genova, terzo taxi fino a corso Porta Vittoria e l’ultimo pezzo di strada per arrivare in via Podgora lo fecero a piedi. Appena entrati nell’appartamento distrussero i documenti falsi e ne presero altri, cambiarono gli abiti e uscirono di nuovo, ritornarono in corso Porta Vittoria dove si trovava un piccolo albergo, consegnarono i documenti e salirono in camera. Venerdì nella suite dell’hotel Drumondì in attesa di iniziare la riunione fecero uno spuntino al buffet preparato dall’albergo. Che prevedeva pizzette, rustici, misto di affettati e formaggi, verdure gratinate, frittate miste, come primo: della pasta al pomodoro e del riso allo champagne, frutta e dolci. Il tavolo dei vini oltre ai bianchi e rossi , in onore di Carlos, anche alcune bottiglie di Cartizze. Dopo un paio d’ore si iniziò : Giorgio riassunse gli ultimi avvenimenti e alla fine un lungo applauso fu rivolto sia a Carlos che a Beatrice per il risultato ottenuto. A questo punto Giorgio, aprì la prima busta che conteneva una decina di fogli scritti a mano e lesse: Il ventidue aprile del 1945 era appena terminato il discorso di Mussolini alla prefettura di Milano, davanti a un centinaio di ufficiali della guardia repubblicana, che il comandante “Alberto” rientrato in ufficio ci fece chiamare. Ci disse, «Camerati del plotone “ La Rosa Nera”* devo affidarvi un compito di vitale importanza per la sopravvivenza del Fascismo e dell’Italia futura, la missione è pericolosissima, so che siete tutti sposati con figli, ma siete gli unici in grado di portarla a termine, posso contare su di voi?» «Si.»Fu nostra risposta unanime. «Bene, questi sono gli ordini: stasera porterete cinque camion a Como, su ognuno caricheranno dieci casse. Per sicurezza ogni carro percorrerà strade diverse. Una volta arrivati a Como proseguirete per Porlezza, lì vi raggiungeranno delle persone che vi accompagneranno a Lugano. Il contenuto dev’essere consegnato al dottor Schultz e a nessun altro, questa missione conta più della vostra vita, la parola d’ordine è “donna Rachele”. Una volta consegnata la merce, Schultz vi darà una busta che mi farete avere.» L’appuntamento era presso un presidio militare fuori Como, ancora controllato dalle forze repubblicane. Alle ore venti del 22 aprile partimmo da Milano verso Como. Il primo dopo Rho si diresse verso Legnano, Busto Arsizio, Varese, arrivò a Como verso le ventiquattro. Il secondo passando da Sesto San Giovanni, Monza, Lecco, arrivò a Como alle ventidue e trenta. Il terzo prese per Cinisello, Cantù, arrivò a Como alle ventidue. Il quarto passò da Desio, Seregno, Cantù, arrivò a Como alle ventidue e trenta. Sapemmo il giorno dopo che il quinto decise di passare per Lainate, ma alla periferia di Garbagnate incappò in un posto di blocco partigiano il tenente Gianni alla guida del veicolo accelerò tentando di forzarlo, una scarica di pallottole colpì la fiancata ferendolo a morte, Giovanni difese il veicolo fino all’ultimo colpo prima di essere massacrato. Il capo della pattuglia salì sul camion, aprì una cassa di legno e restò di sasso quando vide il contenuto, avvertì subito il comando di Milano che inviò una cinquantina di partigiani per scortare il mezzo. Alla notizia dell’imboscata chiamai il comandante Alberto : «Comandante, sono il capitano Giuliano due dei nostri sono stati uccisi e il camion sequestrato, i partigiani potrebbero essere riusciti ad avere qualche informazione. Se così fosse la nostra missione è in pericolo!» «La missione deve continuare come stabilito.» «Comandante, il colonnello Bardolf sta per partire da Como diretto a Chiavenna per presidiare l’aereo da trasporto, che deve portare il Duce in Germania, non possiamo consegnare a loro il carico?» «No, impossibile che il Duce arrivi a Chiavenna, la situazione è disperata, qui c’è un clima del si salvi chi può, proseguite la missione come concordato.» Le risposte avute non mi convincevano, come sapeva che il Duce non poteva arrivare a Chiavenna e quel “si salvi chi può ” mi preoccupava, il comandante “Alberto” non mi era mai piaciuto era un essere viscido e sempre pronto a mettersi sul carro del vincitore, decisi di riunire gli uomini del plotone e parlai con loro: «La morte dei nostri due camerati, il nemico alle porte di Milano e l’imminente insurrezione di tutto il nord, rende la nostra missione disperata. Dobbiamo cambiare il programma stabilito, se vogliamo che un giorno i nostri figli possano portare avanti le nostre idee e rendere migliore il nostro paese.» Dopo un’ora di discussioni decidemmo il da farsi. Presi la moto di un commilitone e mi recai a Como , suonai il campanello dell’avvocato Karl , che abitava in una villa di fronte al lago e dopo mezzora ero già sulla via del ritorno. Faremo di tutto per portare a termine la missione come abbiamo concordato, ma se non torneremo, l’avvocato vi fornirà tutte le informazioni. Vi vogliamo bene. * Il plotone, detto “la Rosa Nera”, era formato da dieci ufficiali ideologicamente fascistizzati figli di genitori della Milano “bene”, legati fra loro da parentele più o meno lontane. Giorgio passò alla lettura della seconda lettera: Signori come richiesto dai vostri genitori vi scrivo quello che ho saputo sulla loro missione. Il 23 aprile 1945 i mezzi si mossero da Como in tarda mattinata, uno si diresse verso Porlezza comandato da Giuseppe e gli altri tre comandati da Giuliano verso Erba. Alle sedici il mezzo era alla periferia di Porlezza, l’appuntamento con i corrieri era per le otto di sera, attesero l’ora mangiando e bevendo, verso le diciannove e trenta caricarono le armi e si prepararono all’incontro. Il camerata di guardia appostato su una collinetta avvistò dei mezzi che si stavano avvicinando a fari spenti, chiamò Giuseppe:«Stanno arrivando.» «Stiamo pronti, nascondiamoci dietro il camion.» Quando i mezzi furono a qualche centinaio di metri Giuseppe diede l’alt:«Parola d’ordine o apriamo il fuoco.» Nessuna risposta. «Prepariamoci a difenderci, come pensava Giuliano siamo stati traditi.» Si disposero a difesa del mezzo, sapevano che potevano fare ben poco, combatterono strenuamente ma le forze nemiche erano soverchianti, finite le munizioni si arresero. Furono allineati con le mani sopra la testa, sentirono dietro di loro i partigiani che si stavano preparando a sparare, poi uno di loro disse:«Fermi non sparate, il camion è vuoto e ne mancano altri tre, portiamoli al comando.» Furono interrogati per tutta notte ma nessuno di loro disse una parola, dopo il processo furono fucilati. Gli altri tre mezzi prima di muoversi da Como installarono sul tetto di ogni camion una mitragliatrice Breda e partirono per Chiavenna passando da Erba, Lecco e Gravedona. Lo scontro più pesante con le forze partigiane si verificò nei pressi di Gravedona, le mitragliatrici e una buona dose di fortuna consentì loro di uscirne solo con qualche graffio, alle 18 erano a Chiavenna. La pista di decollo era presidiata da due semicingolati tedeschi Sdkfz 250 ognuno dei quali poteva trasportare sei uomini ed era equipaggiato con due mitragliatrici MG 42, il comandante era il colonnello Bardolf. Erano in attesa che l’aereo tedesco Junkers 52 decollasse, gli ordini arrivati da Berlino erano chiari, dovevano lasciare il suolo Italiano. I tre camion italiani si mossero verso il campo di volo prendendo di sorpresa i tedeschi. Due circondarono i cingolati e uno si mise davanti all’aereo. «Colonnello Bardolf.» Disse Giuliano,«dobbiamo sequestrare il vostro aereo.» «Siete impazziti? L’aereo deve decollare subito per la Germania.» «Senza l’aereo non possiamo portare a termine la nostra missione e se non arriviamo a un accordo saremo costretti a prenderlo con la forza.» Sarebbe bastato un nonnulla per provocare uno scontro a fuoco con esiti drammatici. «Capitano , deve essere una missione di vitale importanza per rischiare la vita.» «Colonnello, venga con me e capirà perché stiamo rischiando la vita. Il carico che stiamo trasportando un giorno consentirà di cambiare la storia del nostro paese.» Lo fece salire su un camion e aprì una delle casse. Bardolf restò di sasso. «Lasciateci un carro e noi ce ne andremo da qui lasciandovi l’aereo. So che siete un pilota esperto, se non ricordo male vi siete addestrato anche a pilotare il Junkers 52 in Germania.» «Ricordate bene Colonnello, prendete una cassa è il massimo che intendo concedere.» «Va bene accetto.» «Sergente caricate la cassa sull’autoblindo andiamocene.»,«Addio capitano e buona fortuna.» e Il Junkers 52 era un trimotore da trasporto e passeggeri poteva trasportare diciassette passeggeri, raggiungeva una quota massima di 5500 metri, con un’autonomia di 1280 chilometri. Per la sua affidabilità il Ju52 divenne anche l’aereo personale di Hitler e fu con un Ju52 che Mussolini, nel 1943, dopo la sua liberazione dalla caserma sul Gran Sasso, fu trasferito da Monaco di Baviera a Berlino . Giuliano fece caricare le casse sull’aereo e con la radio inviò un messaggio all’avvocato Karl: «Il pacco prende il volo, procedi come da accordi.» Il peso totale era di circa 2000 chili, decollare in quelle condizioni su quella pista diventava una vera impresa. Erano le venti e trenta del 23 aprile 1945 quando Giuliano accese i tre motori, mise le manette al massimo e incominciarono a rullare sulla pista, l’aereo stentava a prendere velocità, gli alberi erano sempre più vicini, cominciò a pensare che non ce l’avrebbero fatta, anche con i motori al massimo non si staccavano dal suolo, poi lentamente si alzò da terra, stavano decollando, le ruote toccarono la cima degli alberi ma ce l’avevano fatta, fece una virata a destra e si diressero verso l’aeroporto di Tempelhof, in Germania. L’aeroporto internazionale di Berlino-Tempelhof – in tedesco ZentralflughafenBerlin-Tempelhof – si trovava nella parte sud del quartiere centrale di Tempelhof-Schoneberg. Il volo durò tre ore, quando si avvicinarono all’aeroporto i bidoni di benzina allineati sulla pista vennero accesi illuminandola. La battaglia infuriava, l’esercito russo si stava avvicinando e gli uomini messi alla sua protezione facevano del loro meglio per ritardarne la capitolazione. I traccianti crivellarono la fusoliera ma ancora una volta la solidità di questo mezzo, permise loro di atterrare. Una volta a fondo pista non spense i motori ma si mise di nuovo in posizione di decollo, dall’hangar uscirono cinque camion e tre autoblindo a protezione dell’aereo. Appena arrivarono sotto fusoliera un ufficiale in divisa da repubblicano scese dal camion e disse: «La Rosa Nera è viva?» «Sì, è viva.»Rispose Giuliano. «Ciao Giuliano, l’avvocato Karl ci ha telegrafato, spostiamo le casse sui camion, il tempo stringe i russi sono vicini.» «Noi ritorniamo a Chiavenna, qualcuno potrebbe avere bisogno di un passaggio. Ora dipende da te, il carico deve arrivare a destinazione.» «Arriverà a destinazione è tutto pronto, buona fortuna Giuliano.» Il 24 aprile del 1945 alle ore 2:30 l’aereo decollò sotto una pioggia di fuoco, a duemila metri Giuliano si rilassò e non si accorse che due Spitfire stavano picchiando su di loro, non si resero conto che erano già morti. Le truppe sovietiche il 24 aprile 1945 nel tardo pomeriggio conquistarono Tempelhof e lo consegnarono alle forze statunitensi il 4 luglio dello stesso anno. Il 28 aprile 1945 il Duce fu fucilato a Giulino di Mezzegra e subito dopo fecero la stessa fine tutti i gerarchi a lui vicino. Il 6 luglio del 1945 un aereo Douglas C 47 detto “Dakota” era pronto sulla pista di Tempelhof per trasportare in America i soldati rimasti feriti o morti in battaglia. Il sergente addetto al trasporto vide avvicinarsi cinque camion e sorpreso disse:«Colonnello, dove sono i feriti?» «Sergente c’è un cambio di programma caricate queste casse e i prigionieri .» «Non sono stato informato.» «Ecco gli ordini sergente.» «Ok ,carichiamo e partiamo.» Nel 1947 lo stesso materiale fu imbarcato come apparati medicali su un aereo Douglas DC-4 della Swissair che partì da New York con destinazione Zurigo. Una volta ricevute queste informazioni, ho portato a Lugano la seconda busta che conteneva questa lettera , i codici e la chiave della cassetta di sicurezza custodita in una banca di Zurigo. Buona fortuna, avvocato Karl. *** Al consolato americano di Milano l’agente David fece rapporto a Ryan:« La signora Giulia Rota alloggiava insieme al signor Corrado Rossi in un hotel vicino alla fiera di Milano ho mostrato le foto di Carlos e di Beatrice, si tratta delle stesse persone, ieri hanno lasciato l’albergo. Volevo anche dirle che non siamo i soli a cercarli altre persone si sono informate su di loro.» «Grazie, continuate a cercarli.» *** L’amministratore dottor Roberto dell’agenzia Securty era riunito con i suoi più stretti collaboratori, l’argomento era la sparatoria di Lugano. «Giulia Rota è stata rintracciata in un albergo di Milano in compagnia del suo compagno, presumo che sia la persona che ci ha sparato. Il motoscafo con il quale la signora è fuggita era di proprietà di un certo Dimitri ex agente Russo. Tutto porta a Carlos, se fosse vero, bisognerà procedere con cautela è una persona esperta e pericolosa», un attimo di riflessione e riprese «ora Carlos non si trova più nell’albergo, bisogna trovare dove si nasconde e tenerlo sotto sorveglianza, seguite anche Dimitri e non perdetelo di vista.» Rimasto solo dopo aver congedato i suoi collaboratori pensò : «Ho la sensazione che finalmente abbiamo imboccato la strada giusta per riavere quello che è mio.» Carlos ricevuta la chiamata da Giorgio decise di partire per Rimini con Beatrice. Stavano uscendo quando Dimitri chiamò sul telefonino: « Ho alcune informazioni sull’amministratore delegato della Securty. E’ il dottor Roberto figlio di un italiano ex Repubblicano chiamato comandante Alberto. Scampato alla purga Partigiana si trasferì in Svizzera.» «Grazie , il comandante Alberto era l’ufficiale che aveva incaricato il plotone detto “ La Rosa Nera” di trasportare il carico a Porlezza. Il fatto che non sia mai arrivato deve aver fatto infuriare molta gente. Ho bisogno di più informazioni , metti sotto controllo le telefonate, gli scambi di e-mail e i movimenti bancari.» *** Mason era in riunione a Langley con i suoi collaboratori: «Sappiamo che Carlos e Beatrice sono a Milano, cambiano spesso albergo e quando sono andati in Svizzera per aprire una cassetta di sicurezza noleggiata nel 1945, sono stati coinvolti in una sparatoria con quattro persone dipendenti di un’agenzia di sicurezza con sede a Zurigo.Dopo i primi spari Beatrice si è allontanata con il motoscafo di Dimitri che è un ex agente russo. Indaghiamo su chi ha pagato fino a oggi il noleggio della cassetta, chi ha ingaggiato Carlos e cosa c’entra l’agenzia di sicurezza in tutta questa faccenda. Tra qualche mese sarei dovuto andare in Italia , intendo anticipare la visita per seguire da vicino le indagini.» *** Arrivati nella suite dell’hotel Marcon a Rimini, Beatrice prese dal cesto di frutta fresca ,omaggio della direzione, una grossa fragola e maliziosamente la morsicò «Carlos l’idromassaggio ci aspetta.» Si liberarono dei vestiti e si lavarono a vicenda, era un loro modo per eccitarsi per poi fare l’amore per ore. Si svegliarono presto fecero una colazione veloce e lasciarono l’albergo, l’autista era in attesa per accompagnarli all’aeroporto di Rimini-Miramare dove un jet privato era pronto al decollo, destinazione Ginevra. Giorgio si collegò in audio video conferenza con i componenti del consiglio di amministrazione: «Scusatemi per aver indetto la riunione con così poco preavviso, ma la nostra associazione ” La Rosa Nera“ potrebbe essere in pericolo se non saremo più che prudenti, d’ora in avanti le riunioni le terremo nella mia villa a Forte Dei Marmi. Per le comunicazioni tra noi e i capigruppo useremo sim anonime ricaricabili che non necessitano alcuna registrazione, per lo scambio di e-mail useremo canali criptati, cerchiamo di usare la massima prudenza.»Il La Rosa Nera era un’associazione segreta di connotazione politica nata nel 1900 per contrastare il pericolo comunista. La struttura è regolata in modo rigido dall’alto e divisa in tre livelli, ciascuno dei quali aveva dei capo gruppo ma solo le persone del primo livello potevano impartire gli ordini. Se aderenti e dirigenti manterranno il segreto e la società è opportunamente strutturata in maniera da rendere impossibile a chiunque , tranne che ai vertici, di conoscere tutti gli altri, riusciranno a mantenere nascosta l’esistenza stessa della società. Il primo livello, il vertice, era formato da dieci persone , al quale competeva tutte le decisioni sia politiche che economiche. Il secondo livello era costituito da: politici, militari, avvocati, industriali e giornalisti. Il terzo livello, il più consistente, era formato da impiegati, studenti, negozianti, artigiani, commercianti. L’associazione alla sua nascita era radicata soprattutto al nord,si espanse in un secondo momento al centro, ed infine al sud. La migrazione, che nella maggior parte dei casi era agevolata dall’associazione, contribuì a creare sedi in tutto il mondo. La società gestisce un patrimonio ingente che gli permette di mantenere in modo agiato tutti gli affiliati, i quali dovevano mantenere il segreto e quando richiesto obbedire agli ordini che gli venivano impartiti senza chiedere spiegazioni. Non conoscendosi l’uno con l’altro diventava semplice licenziare chi non rispettava le regole e nel malaugurato caso che qualcuno violava la sicurezza , il danno era relativo in quanto nessuno conosceva a fondo la struttura. L’associazione era in grado anche di condizionare il funzionamento del sistema politico, con accordi più o meno espliciti, naturalmente mantenuti segreti, facendo leva sui membri della società segreta all’interno dello Stato,riuscivano a influenzare le decisioni che riguardavano i finanziamenti, le cariche e le carriere. Il vertice come detto era formato da dieci persone che erano i genitori del plotone Rosa Nera. Dopo la loro morte l’associazione continuò a essere guidata dai fondatori finché i nipoti non furono in grado di subentrare ai loro nonni. Ora il capo supremo era Giorgio. L’appartamento di Carlos si trovava nel quartiere di Chandieu zona residenziale di Ginevra.Dopo una doccia ristoratrice presero dal frigo una bottiglia di Cartizze e mentre gustavano il vino , pianificarono il viaggio. «Domattina partiamo per Zurigo. Affronteremo trecento chilometri di strada a scorrimento veloce, passeremo per Losanna e Berna, per poi affrontare una discesa pericolosa lunga due chilometri , alla fine mancheranno pochi chilometri all’arrivo. Dimitri ci seguirà a distanza , meglio essere prudenti. Ora andiamo al ristorante ho una fame da lupi.» Partirono alle sette di mattina, nuvoloni plumbei non aspettavano altro che svuotare il loro carico d’acqua. Fino a Losanna piovigginava, poi quando entrarono nell’autostrada E 25 diluviava, Carlos fu costretto a concentrarsi sulla guida, il controllo di quello che succedeva intorno a loro era compito di Beatrice che notò due macchine alternarsi dietro di loro senza mai tentare il sorpasso. «Carlos,dietro di noi ci sono due auto sospette…» «Cosa?» «Ci seguono da Losanna, ora siamo quasi a Berna e sono sempre dietro di noi.» «Proviamo qualche manovra diversiva e vediamo cosa succede.» Aumentò la velocità, sorpassò sulla destra due macchine, tagliò loro la strada portandosi a sinistra sulla corsia di sorpasso aumentando la velocità fino a 160 chilometri all’ora. «Ci stanno ancora seguendo.» «Sì, sono sempre dietro, non ci mollano.» «Prendi la semi automatica nel borsone.» «Perché? Cosa vuoi fare?» «Meglio essere pronti ad ogni evenienza.» La prese, mise il colpo in canna e inserì la sicura, appoggiò la pistola nel porta oggetti a portata di mano e si girò a guardare la posizione delle due auto. Non si nascondevano più avevano capito di essere stati scoperti, la folle corsa continuò per una decina di chilometri. «Carlos, hanno rallentato, non ci seguono più.» «Sono dei professionisti, saranno stati sostituiti da altri, chiama Dimitri e chiedigli dove si trova.» Beatrice gli obbedisce. «È vicino a Berna.» «Digli di entrare nella prima stazione di rifornimento che trova a Olten , lo aspettiamo lì.» «Ciao Dimitri, cambio di programma: tu prendi la mia macchina con Beatrice, io la tua .Ci teniamo in contatto telefonico, la pistola la prendo io.» Carlos si mise in coda a Dimitri mantenendosi a trecento metri di distanza, un SUV nero lo sorpassò e cominciò a seguire la macchina di Dimitri. «Ci siamo ,un SUV ti sta seguendo mettiti in corsia di sorpasso, non fare manovre diversive non devono capire che sono stati individuati.» Si mise in corsia di sorpasso aumentando la velocità e lo stesso fece il SUV. «Dimitri alla prima area di servizio che incontri, posteggia nel garage sotterraneo ma non scendete dall’auto.» «Ok.» La incontrarono vicino alla città di ,posteggiarono e attesero. Bulach Il SUV gli passo accanto e si fermò prima della rampa di uscita, Carlos lasciò l’auto all’esterno e scese attraverso le scale, senza farsi notare si avvicinò al SUV spalancò la portiera e puntò la pistola alla fronte del guidatore. «Mettete le mani sul cruscotto dove le posso vedere, adesso prendete le armi con due dita e buttatele dietro, bene, fate altrettanto con i telefonini. Adesso tu prendi queste manette, una la metti al polso del tuo collega e l’altra al volante, ora fai lo stesso su di te. Molto bene ora ditemi: chi cazzo siete, perché ci seguite.» «Non ti diciamo un cazzo pezzo di merda.» «Risposta sbagliata.» Partì un manrovescio che gli ruppe il naso. «Pezzo di merda.» disse l’uomo dolorante. «Posso continuare all’infinito se vuoi, oppure mi dite quello che voglio sapere e me ne vado.» Carlos tolse la sicura alla pistola e la puntò minacciosamente verso il conducente. «Ok, ti diciamo quello che sappiamo.» «Bene, incominciate a parlare.» «Siamo stati ingaggiati da una persona che ci ha pagato in contanti, ma non sappiamo chi è, ci ha fornito tutte le informazioni: marca d’auto, targa e dove abitavate. Il nostro compito era sorvegliarvi e seguirvi ovunque andavate, dovevamo telefonare ogni mezzora e tenerlo informato.» «Ok, i telefonini li prendo io.» Scese dal SUV e con un coltello fece uno squarcio su due gomme, poi si avvicinò a Dimitri. «Lasciamo qui la macchina ha un sistema di localizzazione satellitare, pulisci tutte le impronte, avvisa i tuoi di andare nel nostro appartamento a Ginevra, digli di fare una “pulizia a fondo”, lì non possiamo più tornare. Una volta finito devono andare all’autonoleggio e chiedere con “cortesia” chi gli ha ordinato di fornirci un’auto con localizzatore. Li aspettiamo a Winterthr al ristorante italiano La Fornace in via Marktgasse 49 con i nuovi documenti, questi sono inservibili. Roberto nel suo ufficio della Securty a Zurigo aveva un diavolo per capello:«Ma chi avete ingaggiato si sono fatti sorprendere come dei dilettanti, non mi posso fidare di nessuno, vi avevo avvisato che Carlos era pericoloso, adesso starà sul chi vive e se viene a sapere che siamo stati noi passeremo un sacco di guai. Presumo che quello che cerchiamo sia in una banca Svizzera, ho chiesto a Schultz di attivarsi con i suoi amici banchieri e se Carlos si presenta saremo i primi a saperlo.» *** Mason appena sbarcato a Milano convocò una riunione al consolato per fare il punto sulle indagini riguardanti Carlos. «Ha lasciato Milano diretto a Rimini, dove lo attendeva un aereo privato con destinazione Ginevra. Nessun albergo lo ha registrato.» «Tutto qui?» «No, un fatto strano si è verificato in una stazione di rifornimento vicino a Bulach, la polizia cantonale , avvertita da una telefonata anonima, ha trovato due uomini ammanettati dentro un SUV. Erano armati e non in perfetta forma, uno aveva il naso rotto mentre l’auto aveva due ruote bucate da un coltello. Dall’interrogatorio non ne è uscito nulla d’importante.» «Potrebbe essere opera di Carlos. Sulla cassetta di sicurezza di Lugano cosa avete scoperto.» «È stata noleggiata a fine aprile 1945 da una società Svizzera che ha continuato a pagare il mantenimento fino a oggi, ed è stata aperta una sola volta nel 1947.» «Il mese di aprile 1945 fu il culmine di un periodo drammatico per l’Italia. Dopo l’insurrezione e la liberazione dal nazi fascismo il Duce fu giustiziato insieme ai suoi gerarchi. Io credo che Carlos stia recuperando dei documenti rimasti nascosti per tutti questi anni, riguardanti episodi accaduti in quel periodo.» *** Il ristorante italiano La Fornace di Winterthr era degno di Carlos, il pranzo per lui era un rito, un piacere e quando sceglieva un ristorante il suo motto era: “non facciamo barbonate” .Tutti i tavoli erano rotondi per quattro o otto persone con tovaglie di lino, bicchieri in vetro soffiato, posate in argento e i piatti erano di ceramica pregiata. Il servizio era impeccabile e il pranzo eccellente. Si dice che “con la pancia piena si discute e si ragiona meglio”. È quello che hanno pensato le otto persone attorno al tavolo. Carlos si rivolse agli uomini di Dimitri: «Avete “pulito”l’appartamento?» «Sì, il contenuto è stato portato in un Self box Storage a Ginevra, documenti, contanti e la chiave del deposito sono in questa valigetta.» «E cosa mi dite dell’autonoleggio.» «Un impiegato infedele ha passato le informazioni alla Securty e li teneva informati sui vostri spostamenti attraverso il sistema satellitare, è stato licenziato.» «Securty, Securty, ci stanno attaccati al collo, non ci mollano un istante, l’avete messa sotto controllo.» «Sì, ci stiamo lavorando, hanno un firewall eccellente, abbiamo difficoltà a entrare nei loro sistemi, ma siamo a buon punto.» «Ok ,tenetemi informato. Ora pianifichiamo il lavoro per domani, il tempo stringe.» Dopo due ore lasciarono il ristorante e si sistemarono all’hotel Palace, arrivato in camera Carlos chiamò il suo mediatore alle Cayman, chiedendogli di vendere il monolocale di Ginevra e di acquistarne uno a Zurigo. Nell’attesa dell’arrivo di Beatrice, che era andata in una boutique del centro per sostituire il guardaroba , ricontrollò il piano da attuare il giorno dopo, verificando tutti i punti deboli cercando di migliorarli. Dopo un paio d’ore arrivò : «Ciao caro ho fatto qualche acquisto. Prego entrate e posate il tutto sul tavolo.»Disse ai tre commessi che l’avevano accompagnata. Carlos non credeva ai propri occhi quando vide la montagna di pacchi che contenevano : abiti, scarpe, cappotti, calze, cravatte, camicie, gonne, camicette e accessori vari. «Caro , spero che non manchi nulla .»Disse sorridendo. Rimasti soli Beatrice entrò in bagno portandosi dietro dei pacchetti e disse :«Non entrare, è una sorpresa.» Dopo mezzora uscì e a Carlos per poco non venne un accidente, una visione mozzafiato: slip alla brasiliana neri, reggiseno a balconcino nero, autoreggenti nere e sottoveste nera. «Ti piaccio amore mio?» «Sei splendida, quasi mi dispiace toglierteli.» Si baciarono a lungo toccandosi a vicenda e l’effetto dell’abbigliamento di Beatrice su Carlos era evidente, la fece sedere sul letto,le tolse solo le mutandine,le allargò le gambe e incominciò a leccarla e quando fu pronta lei si mise sopra di lui, dopo alcune ore, stremati , stapparono una bottiglia di cartizze brindando al loro amore . La giornata iniziava con i migliori auspici, un cielo azzurro ed un sole splendido li accolse. Ad attenderli davanti all’hotel tre Mercedes, sulla prima salì Beatrice insieme a Dimitri, le altre due erano occupate dagli uomini della sicurezza che lo seguirono a distanza. Dimitri e Beatrice andarono nella banca in via Bahnhofstrasse, che distava dall’hotel cinque chilometri, lasciarono la macchina nel parcheggio e salirono con l’ascensore fino all’ingresso dove furono accolti da un impiegato. «Avrei bisogno di una cassetta di sicurezza.» Disse. «Le chiamo il direttore, potete attendete nel salotto.» L’impiegato chiamò il direttore dicendogli che la signora somigliava alla persona raffigurata nella fotografia che tutti gli impiegati avevano nel computer. Il direttore chiamò Roberto :«Ciao, la signora che cercavi è qui, vuole una cassetta di sicurezza.» «Staranno facendo un sopralluogo, mando degli uomini, cerca di trattenerla.» «Va bene.» Carlos attese che partissero e salì sul taxi :«Mi porti in via Urania-Bercstrassealla banca Vonta.» All’impiegato chiese di aprire una cassetta di sicurezza. «Attenda , avverto il direttore.» Ritornò poco dopo:«Il direttore è in riunione l’accompagnerà il suo vice.» Dopo mezzora uscì con una borsa e si avviò al taxi rimasto in attesa, prima di salire fece una telefonata:«Beatrice puoi uscire, il pacco è al suo posto, avverti Dimitri che potrei avere bisogno di appoggio. Chiedigli di far dirottare i suoi uomini in via Urania-Bercstrasse, ciao amore mio.» «Ciao amore, a presto.» Il direttore una volta finita la riunione fu avvisato dal suo vice che un uomo, somigliante alla persona della foto,aveva prelevato una borsa da una cassetta di sicurezza. «Accidenti a te, perché non mi hai avvisato?» «Non mi sembrava il caso, eri occupato in una riunione.» «Adesso dove si trova?» «È appena uscito.» Il direttore ritornò nell’ufficio e chiamò Roberto. «Ciao, la persona della fotografia è stata nella mia banca.» «Quale persona?» «Aspetta che guardo, mi sembra che sia Carlos.» «Carlos, accidenti, dove si trova adesso?» «Aspetta che guardo dalla finestra, sta salendo su un taxi.» «Dammi il numero.» «1031.» «Grazie, a buon rendere.» Carlos chiese all’autista del taxi di portarlo all’aeroporto di Zurigo, in via Schafehauserstrasse furono affiancati da un’auto e un’altra si mise in coda. «Dimitri dove sono i tuoi uomini ho bisogno del loro aiuto sono seguito da due auto.» «Sono a un chilometro da te, in via Walchestrasse.» «Avvisali che le macchine da togliermi dalle palle sono una Ford Kuga Blu e un’Onda C-RV bianca.» Da una traversa di via Thurgauerstrasse sbucò una Mercedes che centrò in pieno la Ford e l’altra Mercedes tamponò violentemente l’Onda creando un ingorgo terribile. «Continui a guidare, non si fermi per nessun motivo.» «Ma dovrei dare assistenza.» «Le pago dieci volte la corsa ho un aereo che devo assolutamente prendere.» «Va bene ma voglio settecento compenseranno anche le multe.» franchi, All’aeroporto di Zurigo Carlos era in attesa dell’arrivo di Beatrice e Dimitri , dopo una decina di minuti li vide arrivare. «Ciao, vedo che sei arrivato tutto intero.» «Sì, grazie a te e con settecento franchi in meno.» «Come?» «Poi ti spiego. Beatrice saliamo sull’aereo per Tassignano, Dimitri, ci sentiamo domani.» «A domani. Certo che con te non ci si annoia mai.»Disse sorridendo. *** Mason era ansioso di avere notizie sull’indagine in corso:«Ryan, avete consultato l’esperto della seconda guerra mondiale?» «Sì, ci siamo focalizzati sul mese d’aprile 1945 verificando gli episodi avvenuti nella città di Milano, i documenti in possesso dello scrittore riportavano gli avvenimenti di quel periodo ma niente che ci aiutasse a capire il legame con le indagini che stiamo svolgendo su Carlos, finché non abbiamo trovato una dichiarazione fatta da un repubblicano ai carabinieri nel 1949,su un fatto avvenuto il 23 aprile del ’45.» «Cosa diceva la denuncia?» «Il 23 aprile del 1945 fui chiamato dal mio comandante Alberto, insieme ad altri cinque commilitoni. Ci ordinò di caricare cinquanta casse di legno, come quelle per il trasporto di bombe a mano, su cinque camion. Io ero sul cassone di uno dei furgoni, prendevo le casse e le sistemavo. Ricordo che una era parzialmente aperta e all’interno non c’erano bombe a mano ma lingotti d’oro. Rimasi sbalordito , la richiusi facendo finta di niente. Una volta finito il lavoro uscii dalla caserma e scappai nella casa di mia zia in montagna nel bergamasco e restai nascosto per due anni. Quando ritornai a Milano seppi che i cinque commilitoni erano morti in modo misterioso. Il carico non fu mai trovato a parte le dieci casse che erano sul camion sequestrato a Garbagnate dai partigiani. Di ufficiali Repubblicani ne sono sopravvissuti pochi ma so per certo che il comandante si salvò denunciando i militari che guidarono i mezzi, ufficiali del plotone chiamato La Rosa Nera e rivelando anche dove dovevano portare il carico. Ho aspettato due anni e poi mi sono deciso a denunciare il fatto.» «Ottimo lavoro. Siete riusciti a sapere che fine hanno fatto i militari del plotone La Rosa Nera.» «Sono tutti morti : due a Garbagnate, due fucilati dopo la cattura a Porlezza e sei precipitati con un aereo tedesco.» «E il comandate Alberto?» «Dopo la guerra emigrò in Svizzera.» Il direttore concluse : «Carlos è stato incaricato al recupero dei documenti che portano al tesoro e suppongo sia stato ingaggiato da qualcuno legato al plotone La Rosa Nera e la Securty il cui titolare è figlio di un ex repubblicano è implicata anche lei in questa operazione, indagate a fondo.» *** Carlos e Beatrice arrivarono alla villa in Toscana a tarda sera lasciarono l’auto nel garage e salirono in cucina erano affamati, Teresa aveva lasciato del pollo alla cacciatora nel forno che divorarono avidamente, poi scesero nel bunker per depositare la valigetta nella cassaforte, erano così stanchi che non avevano voglia di risalire e si misero a dormire nella stanza da letto del rifugio. Roberto della Securty non poteva credere che gli erano sfuggiti di nuovo:«Siete dei buoni a nulla vi dovrei licenziare tutti, in questo momento Carlos è in viaggio per l’Italia con i documenti, senz’altro li porterà nella sua villa prima di consegnarli e se escono da lì non riusciremo più a recuperarli. Dovete prenderli a tutti i costi, chiamate gli ex slavi e dategli carta bianca, entro domani sera li voglio sul mio tavolo.» «Sissignore, domattina saranno alla villa.» Erano le quattro del mattino quando Carlos fu svegliato dalla suoneria del telefono:«Ciao Dimitri cosa succede?» «Ho intercettato una chiamata partita dalla Securty di Zurigo diretta a Belgrado in Serbia. Stanno venendo a farti la festa amico mio, vogliono i documenti a tutti i costi, saranno lì in mattinata, se sei nel bunker restaci, noi arriveremo il prima possibile.» «Non ci penso proprio a rimanere nascosto, mi preparo ad accoglierli come si deve.», «Beatrice stanno arrivando visite non gradite, tu resta nel bunker e non uscire per nessun motivo, io vado in villa.» Entrò nell’armeria e si preparò: tuta mimetica, anfibi, giubbotto antiproiettile, gilet e cinturone tattico, visore notturno, sfollagente carbon, AK47 con quattro caricatori, la semiautomatica con due caricatori e una pistola a tamburo che legò al polpaccio. Arrivato in villa con il cellulare digitò il numero di telefono del server che controllava la casa Domotica. Poteva comandarla da ogni luogo con semplicità: controllare le accensioni , l’intensità delle luci, comandi delle automazioni , come tapparelle, cancelli , termoregolazioni, irrigazioni, allarme antintrusione, telecamere esterne e interne. Tutto quello che serviva era sotto controllo. Dopo essersi collegato diede il comando per abbassare tutte le tapparelle e bloccò l’accensione delle luci, la casa era buia come una notte senza luna e si mise in attesa. Dopo un paio d’ore il cellulare vibrò era scattato l’allarme della recinzione esterna, la telecamera inquadrò quattro uomini incappucciati e armati di tutto punto che si stavano avvicinando alla villa. I quattro Slavi si divisero in due gruppi uno si diresse alla porta posteriore della villa, il secondo verso la veranda, Carlos salì al primo piano entrò nella sua camera, tolse gli anfibi e si mise un paio di scarpe da tennis mise l’AK47 sulla spalla, impugnò la semiautomatica, si abbassò il visore notturno e attese dietro la porta. Una volta entrati si riunirono nel salone. «Accidenti non si vede nulla usiamo le pile. Dividiamoci tu vai al piano superiore, tu in cucina, tu in soggiorno, io nel patio, stiamo sempre in collegamento.» Carlos vide avvicinarsi uno degli intrusi prese il manganello e appena entrò nella stanza lo colpì sulla nuca, crollò senza un lamento, lo ammanettò e gli mise del nastro sulla bocca. Scese le scale ed entrò in cucina, dove il secondo uomo la stava ispezionando e quando si accorse della sua presenza era troppo tardi, si trovò la pistola puntata alla testa. «Non dire una parola, mettiti in ginocchio, butta l’arma e metti le mani sopra la testa.» Prese le manette e le mise ai polsi dell’uomo, lo fece sdraiare, gli avvolse del nastro attorno alle caviglie e sulla bocca. «Numero uno, hai ispezionato il primo piano?» Silenzio. «Numero uno, mi senti?»Silenzio. «Numero due sei in cucina.»Silenzio. «Mi senti numero due.», Silenzio. «Numero tre, dove sei, mi senti?» «Sì, sono in soggiorno.» «Molla tutto, torniamo nel salone, due dei nostri non rispondono.» «Amico mio, il numero tre non può venire è occupato, vuoi il mio parere butta a terra il fucile e tutto andrà bene.» «Non ci penso nemmeno testa di cazzo.»E si nascose dietro il divano. Carlos tolse la sicura alla pistola ed esplose due colpi che sfiorarono la testa dell’uomo. «La prossima volta non “sbaglierò” la mira.» Per tutta risposta l’uomo sparò una raffica di mitra in tutte le direzioni, Carlos non rispose per non rivelare la sua posizione e attese tenendolo sotto tiro. Il telefonino cominciò a vibrare, un nuovo allarme, una decina di persone si avvicinavano alla villa , erano gli uomini di Dimitri. «Ciao, ben arrivato. L’uomo rimasto è nascosto dietro la poltrona nel salone, usate proiettili di gomma non voglio sporcare il tappeto persiano.» Entrarono dalla porta sul retro e aiutati dai visori notturni videro immediatamente dove era accovacciato, senza pensarci troppo spararono una scarica di pallettoni di gomma che stordirono il malcapitato. «Caricateli sul loro furgone, portateli lontano da qui e avvisate la polizia, sapranno cosa fare. Vado a “ liberare” Beatrice, grazie di tutto.» *** Mason stava leggendo attentamente il rapporto sull’indagine dell’aereo sequestrato dai sei uomini della Rosa Nera nell’aprile 1945: «L’aereo, uno Junkers 52, decollò da Chiavenna il 23 aprile del ’45 con sei uomini a bordo, lo pilotava il capitano Giuliano. Atterrò a Berlino-Tempelhof e dopo aver scaricato il materiale ripartì di nuovo. L’aeroporto fu consegnato alle nostre truppe in luglio e dai rapporti risulta che un aereo americano decollò il 6 luglio per l’America, con un carico di materiale top secret ed alcuni prigionieri, ritardando di alcuni giorni il ritorno in patria dei nostri soldati morti o feriti.» Il direttore chiamò Ryan e gli chiese di sedersi: «Ho la netta sensazione che stiamo mettendo le mani in un nido di vespe. Un aereo pieno di lingotti d’oro atterra in piena battaglia in un aeroporto tedesco , il materiale viene caricato su dei camion, dopo alcuni mesi su un aereo americano viene trasportato a New York . Ma ti rendi conto che coperture avevano. Io ritorno in America e chiedo un incontro al segretario del Presidente, meglio essere prudenti. Com’è andata a finire l’incursione degli ex slavi in casa di Carlos.» «Gli uomini sono stati trovati legati come salami dai carabinieri alla periferia di Lucca e sono stati arrestati, erano ricercati in tutta Europa.» «Gli è andata bene, si vede che Carlos era in buona.»Disse sorridendo. *** Il vertice della Rosa Nera era riunito nel salone della villa di Forte dei Marmi, il rumore inconfondibile di un elicottero che si avvicinava metteva fine all’attesa, una virata e si apprestò ad atterrare dolcemente nel prato vicino alla piscina, appena toccò terra Carlos e Beatrice saltarono giù e si incamminarono verso Giorgio che era davanti all’ingresso. Tutti erano ansiosi di sapere cosa contenesse la borsa , Giorgio emozionato la aprì. «Signori, contiene i codici e i documenti di possesso del carico depositato nella camera blindata di una banca privata a Zurigo, la quantità d’oro conservato nel caveau è di due tonnellate.» Le banche private in Svizzera sono tra le più affidabili, inoltre depositare oro non è vincolato ad alcuna costrizione e può essere fatto in modo anonimo, l’importazione e l’esportazione del metallo è libera. I depositi sono per la maggior parte situati in una zona franca di Zurigo vicino all’aeroporto, in camere blindate che sono le più sicure al mondo. La sorpresa fu tale che calò un silenzio surreale, finché Giorgio non riprese la parola : «Amici il valore stimato è di circa 72 milioni di euro una cifra importante che useremo per migliorare le condizioni di vita delle persone del nostro amato paese come avrebbero voluto fare i nostri genitori. Nella borsa c’è anche una busta contenente dei fogli vediamo cosa c’è scritto: Rapporto del capitano Giovanni, comandante del plotone repubblicano di stanza in Germania, al capo supremo della Rosa Nera: Il 23 aprile 1945 l’avvocato Karl mi telegrafò che era in arrivo all’aeroporto di Tempelhof un aereo che trasportava un carico che non doveva in nessun modo cadere in mano “nemica”. Ho schierato il mio plotone di camerati a difesa della pista, i russi erano vicini e il tempo a disposizione era poco, appena il carico fu sui mezzi partimmo scortati da due blindati. Usciti dall’aeroporto scaricammo le casse in uno scantinato e facemmo saltare l’ingresso, il 24 aprile l’aeroporto cadde in mano alle truppe russe meno una parte che resistette fino al 29 aprile, difeso da giovani truppe hitleriane. La nostra missione in Germania era finita, attraverso le gallerie della metropolitana e i condotti fognari riuscimmo a superare l’assedio russo, camminammo ancora per un paio d’ore finché incontrammo le avanguardie americane che ci catturarono. Durante l’interrogatorio chiesi di parlare con il colonnello Ernesto dell’Office Of Strategic Services e gli comunicai le disposizioni che avevo ricevuto. Ci fece trasferire in un’altra caserma in attesa del trasferimento in un campo di prigionia in America. Partimmo con un aereo da trasporto l’otto luglio del ’45 insieme al carico che avevamo nascosto , in America fummo trasferiti in un campo di concentramento dove restammo per due anni, dopo la nostra liberazione ritornammo in Europa con un aereo della Douglas DC-4 della Swissair e portammo a termine la missione. Un ringraziamento ai componenti della Rosa Nera per tutto quello che avete fatto per noi e per le nostre famiglie. Capitano Giovanni. «Ora sappiamo come si sono svolti i fatti e vista la situazione ci muoveremo in questo modo: riunione urgente con tutti i capogruppo della Rosa Nera e tu Carlos devi organizzare il trasferimento dell’oro in un altro Stato, quale lo decideremo dopo la riunione. Ora ci possiamo accomodare a tavola.» *** Roberto chiuso nel suo ufficio della Securty con i suoi più stretti collaboratori era inferocito, da quando aveva saputo che gli uomini inviati alla villa di Carlos non erano riusciti a recuperare i documenti.«Siete degli incompetenti, dei buoni a nulla, quattro contro uno e non è bastato, cosa devo fare, mandare l’esercito. Ci resta l’ultima possibilità e questa volta non voglio errori. Molto probabilmente l’oro potrebbe essere custodito in una camera blindata situata vicino all’aeroporto di Zurigo. Chiederò ai direttori delle banche di avvisarmi se ricevono la richiesta di spostamento.» *** Mason era nella sede del Pentagono a colloquio con il Segretario della Difesa: «Signore a sommi capi questo è ciò che abbiamo scoperto, avrei bisogno dell’autorizzazione per continuare le indagini.» «Le darò una risposta al più presto.» Il Segretario appena ebbe congedato il direttore della CIA chiamò al telefono l’ammiraglio Scolari: «Ho bisogno di tutte le informazioni che riguardano un volo militare americano partito dall’aeroporto di Tempelhof diretto a New York l’otto luglio 1945, priorità assoluta.» *** Giorgio era in audio conferenza con otto capigruppo: «Signori ad ognuno di voi darò un compito che deve essere eseguito con il massimo scrupolo ed efficienza, lo scopo finale è quello di far cadere il governo in carica.» Le persone collegate erano: Lenche (Banchiere tedesco), Adrien (Banchiere francese), Alexander (Banchiere americano), Amedeo e Maurizio (direttori di giornale), Cristina (titolare di cinque tv private), Romano (segretario di un sindacato nazionale). «Lenche, Adrien e Alexander dovete vendere tutti i titoli di Stato Italiani che avete nel portafoglio delle vostre banche, Amedeo e Maurizio appena si spargerà il panico, comincerete ad attaccare il Premier come farai anche tu Cristina nei tuoi telegiornali e tu Romano devi minacciare lo sciopero generale.» Appena le maggiori banche tedesche, francesi e americane cominciarono a vendere i titoli di Stato Italiani le borse andarono a picco e il panico si diffuse. Televisioni e giornali criticarono aspramente l’operato del Governo, il quale non sapendo che pesci pigliare cercava di giustificare le perdite come un attacco speculativo e che sarebbe stato di breve durata. Ma nei giorni successivi la situazione peggiorava e la borsa sembrava in preda a una crisi isterica. Il secondo passo era quello di chiedere un governo tecnico, in ogni telegiornale il commentatore allarmava i telespettatori con disastrose notizie sull’economia e la necessità di un nuovo esecutivo. I dibattiti televisivi erano tutti incentrati su un solo argomento “ come uscire da questa crisi che provocava ogni giorno perdite per milioni di euro in borsa”. Tutti concordavano sulla necessità di un governo di transizione che varasse le riforme che gli ultimi governi non erano riusciti a fare. *** Nella sede del Pentagono il Segretario di Stato convocò l’ammiraglio nel suo ufficio:«Avete trovato le informazioni che vi avevo richiesto.» «Sì, questo è il dossier classificato come segreto di stato.» Lo scontro ideologico tra America e Russia iniziò subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, la Russia mise sotto la sua influenza buona parte delle nazioni orientali e l’America quelle occidentali e tutto quello che era in grado di contrastare la politica Comunista veniva appoggiata e finanziata dagli Stati Uniti. Il segretario aprì il dossier e si mise a leggere: «La Rosa Nera dopo la caduta del fascismo fu l’unica organizzazione di destra così potente da essere in grado di condizionare il risultato delle elezioni e il nostro Governo non solo non intendeva interferire ma era interessato ad agevolarla. Il carico d’oro trasportato in America dal colonnello Ernesto dell’OOSS faceva parte della strategia di contrasto al Comunismo e l’Italia era una delle Nazioni dove la sinistra non doveva affermarsi a nessun costo. L’operazione fu approvata al più alto livello.» L’organizzazione era tenuta sotto controllo dal 1945 , nel dossier furono riportate tutte le azioni svolte e registrati tutti i componenti della struttura segreta, dei cento senatori americani di oggi dieci facevano parte dell’associazione. Il segretario della difesa chiamò il senatore Tyler il più influente dei dieci legati alla Rosa Nera: «Senatore lei fa parte di una società segreta con sede in Italia?» «Sì, non lo nego.» «Senatore lei capisce che dovrò informare il Presidente.» «Signor segretario se desidera, le potrei fornire il numero di iscrizione alla Rosa Nera del Presidente.» «Ma cosa sta dicendo!» «Lei ha il dossier guardi tutti gli affiliati dal ’45 in avanti e vedrà che alcuni sono segretati e lo sa chi sono.» «No, chi sono?» «Alcuni dei presidenti che si sono succeduti dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi.» «Quello che la Rosa Nera voleva e vuole fare in Italia ha l’appoggio di noi tutti, ne va della stabilità europea e mondiale.» «Il mio dovere è proseguire le indagini.» «Faccia come crede signor Segretario.» Appena chiusa la comunicazione con il senatore chiamò la Casa Bianca, dove rispose il vice presidente. «Buongiorno signor Segretario, io e il Presidente stavamo giusto parlando di Lei, la vediamo stanco, pensavamo che un nuovo incarico meno stressante farebbe bene alla sua salute, non crede?» «Signor. vicepresidente, io sto benissimo.» «Bene, sono contento per lei. A cosa debbo la sua chiamata?» «Volevo salutare il Presidente e informarlo di un’inchiesta della CIA, ma adesso che ci penso non è così importante.» «Mi fa piacere sentirglielo dire, la saluto signor Segretario se ci sono problemi con l’inchiesta si rivolga al Senatore Tyler.» Il segretario chiamò Mason: «Direttore le indagini sulla Rosa Nera e su Carlos devono cessare immediatamente, d’ora in avanti dovete seguire discretamente l’evolversi delle loro operazioni ma non dovete interferire.» *** Nella sede della Rosa Nera era in corso una riunione del vertice, dovevano decidere il nome del futuro premier. Giorgio disse :« Il presidente del Consiglio deve essere uno di noi, come devono essere tutti aderenti alla Rosa Nera i Ministri. La persona più adatta a guidare il governo sei tu Marco.» I capigruppo avrebbero devono informare tutti i Parlamentari ,legati alla società segreta, di indirizzare la scelta su Marco. Avvocato di fama internazionale e presidente di uno dei più grandi gruppi industriali al mondo, conosciuto per le sue grandi capacità manageriali e amico fraterno di moltissimi capi di Stato europei e mondiali. Giorgio continuò : «Ora bisogna “agevolare” le dimissioni del Premier attuale, per fare questo domani i nostri banchieri venderanno tutte le azioni delle aziende a lui collegate.» Per tre giorni tutte le azioni delle aziende del Premier furono sospese per eccesso di ribasso al quarto giorno si recò dal Presidente della Repubblica per rassegnare le dimissioni. Al Quirinale il Capo dello Stato dopo le dimissioni del Premier iniziò le consultazioni. Due giorni dopo decise di prendersi una pausa per riordinare le idee. Dopo un’ attenta analisi sulla rosa dei nomi che riteneva papabili, decise che l’ingegner Marco era la persona giusta e lo chiamò per proporgli l’incarico di primo ministro. Marco ringraziò il Presidente e si prese una notte di riflessione. Il giorno dopo andò dal Capo Dello Stato per sciogliere positivamente la riserva, subito dopo si passò alla firma e alla controfirma dei decreti di nomina del Capo dell’Esecutivo e dei ministri che giurarono fedeltà alla Repubblica , poi si presentarono davanti a ciascuna camera per ottenere la fiducia. *** Nel bunker, stavano organizzando lo spostamento dell’oro: «Dimitri.» Disse Carlos,« Hanno deciso che l’oro deve essere spostato nella banca Vaticana , il trasporto avverrà tra due settimane, tu pianifica la copertura a terra il resto sarà compito mio.» Roberto camminava nervosamente nel suo ufficio in attesa dell’agognata chiamata. « Dottore le passo il direttore della Zurik Bank.» «Mi dica direttore.» « Il trasferimento del carico è stato programmato fra due settimane.» « La sicurezza del trasporto è stata affidata alla nostra agenzia e noi faremo in modo che l’oro all’aeroporto non arrivi mai.» Disse sorridendo ai suoi collaboratori. Arrivati all’aeroporto di Zurigo e una volta espletate le operazioni doganali Carlos andò nella banca dove era depositato l’oro e Dimitri con i suoi uomini si organizzarono per il trasporto. Il commesso della banca lo accompagnò dal direttore: «Mi chiamo Carlos e sono stato incaricato del prelevamento dell’oro, questi sono i documenti che comprovano la proprietà.» «Sono già stato avvisato e ho provveduto ad organizzare la scorta che vi accompagnerà fino all’ aeroporto.» «La ringrazio ma alla sicurezza ci pensiamo noi e Lei non avrebbe dovuto chiamare nessuno. Lei ha messo in pericolo il trasporto. So che ha avvisato Roberto della Securty per un suo tornaconto personale, ora seguirà esattamente le mie direttive.» «Lei mi sta minacciando? Io non farò nulla.» «Non penso che le convenga. Potrei inviare ai giornali e alle televisioni questo filmato.» «Quale filmato?» «Lei ha qualche vizietto e se il filmato diventasse di dominio pubblico, la sua carriera sarebbe finita. E probabilmente si aprirebbero le porte delle patrie galere, vuole rischiare?» «Non ho idea di cosa stia parlando. Se non esce subito chiamo la polizia.» «Faccia pure. Questa è una copia del filmato lo guardi, ora la saluto, vado in albergo se mi vuole parlare questo è il mio numero di telefono.» Stava per entrare nell’ascensore quando squillò il telefonino era il direttore della banca:«Sono pronto a fare tutto quello che volete, in cambio della distruzione del materiale che mi riguarda.» «D’accordo, ecco quello che deve fare.» Il giorno del trasporto era arrivato gli uomini della Securty caricarono le casse controllate a vista dalle guardie della banca sui mezzi. Il tratto da percorrere per l’aeroporto era di un paio di chilometri e una volta entrati da un passaggio carraio secondario anziché dirigersi verso l’hangar privato, dove avrebbe dovuto trovarsi un aereo da trasporto pronto al decollo, entrarono in un capannone dove li attendeva Roberto. «Avete avuto dei problemi?» «Liscio come l’olio.» «Strano, mi aspettavo che Carlos vi facesse seguire. Questa faccenda mi puzza. Avete controllato il carico.» «Sì, prima che chiudessero le casse abbiamo verificato che contenessero i lingotti.» «E non c’era nessuno della sicurezza di Carlos?» «No, c’era solo il direttore e la sicurezza della banca.» «Non mi convince, aprite una cassa.» *** Giorgio in audio conferenza illustrò al Premier e hai neo Ministri quali erano le leggi che avrebbero dovuto promulgare subito per decreto e quelle che necessitavano più tempo, come cambiare la Costituzione. Nell’ordinamento italiano un decreto legge è un provvedimento provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità e urgenza. Entra in vigore subito dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché perdono efficacia sin dall’inizio se il Parlamento non li converte in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Poi si mise in collegamento con i banchieri, i quali avrebbero dovuto acquistare di nuovo i titoli italiani e infine con i direttori dei giornali e delle televisioni , il loro compito era quello di enfatizzare il cambiamento in positivo dell’economia. Nel primo consiglio il Primo Ministro indicò le priorità: «Il nostro obiettivo primario è cambiare la Costituzione, l’Italia dovrà diventare una Repubblica Presidenziale con elezione diretta del Capo dello Stato che avrà i seguenti poteri: detentore del potere esecutivo,possibilità di esercitare il diritto di veto sulle leggi proposte da camera e senato, nominare e revocare ministri, nel suo mandato non può essere sfiduciato, la durata è di cinque anni e può essere rieletto per tre volte; capo delle forze armate; la più alta carica della magistratura. Il cambiamento sarà epocale e dovremo avere l’appoggio del popolo, perciò il nostro compito principale sarà quello di far approvare leggi con decreto che vadano incontro alle loro aspettative, le più urgenti sono: ridurre del cinquanta per cento la diaria degli eletti di Camera e Senato. Togliere il finanziamento ai partiti. Attivare un fondo per lo sviluppo. Fare ripartire le grandi opere. Pagamento entro novanta giorni di tutte le fatture dovute a terzi. Tutte le assunzioni devono essere a tempo indeterminato e per tre anni il datore di lavoro sarà esente da contributi. Riduzione del cuneo fiscale . Ridiscutere con l’Europa il patto di stabilità o, come dicono gli inglesi, il fiscal compact, approvato con un trattato internazionale, il quale contiene una serie di regole come : l’inserimento in Costituzione dell’obbligo di perseguire il pareggio di bilancio, di non superare la soglia di deficit strutturale e di ridurre in modo significativo il debito. Questi sono i primi provvedimenti, poi passeremo al resto.» *** Roberto nell’hangar dell’aeroporto di Zurigo fece aprire una cassa e controllò di persona i lingotti. Con la lama di un coltello ne incise uno:« Ma sono di piombo?! » disse esterrefatto. Inferocito sbraitò:«Andate a prendere il direttore della banca e portatemelo qui.» «Ma è un sequestro di persona?» «Non me ne frega un cazzo, non mi faccio prendere per il culo da un pervertito.» Mentre Roberto stava riflettendo sul da farsi, Carlos era in viaggio per Lugano, destinazione aeroporto di Agno. «Dimitri quanto manca .» «Un centinaio di chilometri.» «Ho la sensazione che avremo problemi, allerta i ragazzi.» Roberto aveva perso ogni prudenza salì su un elicottero con altri due uomini, armati di tutto punto e con le indicazioni che gli aveva fornito il direttore si diressero verso Lugano. «Dimitri, ormai Roberto si sarà accorto dell’inganno e cercherà di raggiungerci, sa dove siamo diretti, cambiamo i piani originali torniamo indietro e andiamo all’aeroporto di Berna, chiama il pilota e digli di spostarsi.» «Siamo quasi a Lugano e non si vedono. Hanno cambiato strada? Chiama tutti gli aeroporti e chiedi se un aereo privato ha richiesto il permesso di atterrare.» Disse Roberto al copilota. «Signore l’aeroporto di Berna ha appena dato l’autorizzazione all’atterraggio di un aereo cargo.» «Andiamo a Berna.» *** Ordine del giorno del Consiglio dei Ministri ” Riduzione delle spese” . «Signori Ministri, analizziamo le spese per la gestione dell’apparato di Governo e se dovremo chiedere dei sacrifici agli Italiani cominciamo noi a dare l’esempio. Il costo mensile per ogni parlamentare è di circa 10.435 euro lorde più 3503 di diaria e 3690 di rimborso spese, 65.000 auto blu con un costo annuo di circa un miliardo e 200 milioni di euro, di questi il 70% è dovuto al personale, 2000 agenti impegnati nelle scorte il cui costo è di circa 250 milioni di euro annui», dopo un attimo di pausa continuò «Io proporrei questi tagli: riduzione del 50% del costo mensile dei parlamentari , lasciando invariata la diaria e rimborso spese, non rimpiazzare il turnover del personale delle auto blu e togliere 80% delle scorte. La riduzione degli stipendi dei parlamentari ci farebbe risparmiare circa 56 milioni anno. Presumendo un turnover del 20% annuo del personale addetto alle auto blu avremmo un risparmio di circa 240 milioni annui. La riduzione delle scorte dell’ 80 % ci permetterebbe un risparmio di 200 milioni annui, per un risparmio totale di circa 450 milioni annui. Rispetto al bilancio totale dello Stato che è di circa 450 miliardi è poca cosa ma è un primo segnale di cambiamento.» *** I blindati erano arrivati alla periferia di Berna, decisero di deviare su una strada secondaria che in quel momento era deserta.«Dimitri mi sembra di sentire il rumore di un elicottero.» Si sporse dal finestrino e lo vide avvicinarsi velocemente, li sorvolò fece una virata e si mise di traverso a una decina di metri d’altezza, si aprì il portellone e uomini armati di fucili mitragliatori aprirono il fuoco. «Proseguite fino all’aeroporto, noi ci fermiamo.» Si accostarono al ciglio della strada, presero gli AK47 e scesero dal mezzo riparandosi dietro di esso. L’elicottero era proprio di fronte a loro, Carlos puntò il suo AK47 e aprì il fuoco lo stesso fece Dimitri, tutti i colpi andarono a segno, il pilota tentò una manovra diversiva per evitarli ma non fu abbastanza veloce, il motore fu colpito più volte e cominciò a perdere quota. Prima ancora che toccasse terra tutti gli occupanti saltarono a terra e si allontanarono, lo spostamento d’aria provocato dall’esplosione li gettò a terra ma se la cavarono con parecchie escoriazioni e qualche piccola ferita. Quando Roberto si alzò tremante per il pericolo scampato vide i mezzi blindati allontanarsi senza danni verso l’aeroporto scoppiò in una risata isterica. *** Beatrice in attesa che Carlos arrivasse a Genova , si crogiolava al sole primaverile sul ponte dello yacht, ancorato nel porto Marina Porto Antico capace di 280 posti barca. Lo Yacht era lungo sessanta metri e largo venti, con due motori da 1350 HP ciascuno, che consentiva una velocità di crociera di undici nodi, le cabine erano sette ,una amatoriale matrimoniale sul ponte principale, una cabina vip matrimoniale a poppa, a centro barca una cabina ospiti con due letti, a sinistra cabina ospiti matrimoniale, a centro barca gli alloggi per l’equipaggio con una cabina per il comandante e due per i marinai, due saloni, sala da pranzo e cucina. Nel pomeriggio il suo telefonino squillò era Carlos:«Ciao, tutto bene stiamo arrivando, Roma ci aspetta.» «Ciao amore, mi manchi.» Arrivò al porto alla guida di un grosso camion e rivolgendosi a Dimitri disse «Mettiamo le casse nella stiva il carico deve essere tenuto sotto controllo giorno e notte.» Una volta sistemato, si recò dal comandante :«Quante ore sono necessarie per arrivare al porto di Civitavecchia.» «La distanza è di 190 miglia nautiche, mantenendo una velocità di undici nodi sono necessarie circa diciassette ore, però dovremo fare una fermata a Livorno per rifornirci di carburante, diciamo che in una ventina di ore saremo a destinazione.» «Bene comandante, salpiamo domattina alle sei.», «Dimitri occhi aperti, distribuisci le armi ai tuoi uomini e predisponi i turni di guardia.» Nella sede della Securty Roberto era in attesa che il messaggio venisse decriptato :«Signore, sono a Genova e intendono andare a Roma con uno yacht.» «Bene partiamo per Civitavecchia.Fatemi trovare un paio di motoscafi d’altura li intercetteremo in alto mare prima che arrivino in porto.» Dopo cena Carlos e Beatrice si ritirarono nella cabina Vip fornita anche di idromassaggio, era quello che ci voleva per rilassarsi , stapparono una bottiglia di Cartizze ed entrarono nella vasca amandosi intensamente. Dopo una notte tranquilla a riportarlo alla realtà fu l’interfono, il capitano lo avvisava che erano le sei ed erano pronti a salpare. Era ancora buio quando lo yacht lasciava il porto per dirigersi al largo, il mare era calmo e il viaggio verso Civitavecchia si prospettava tranquillo, non la pensava così Carlos, era nervoso i suoi sensi erano all’erta chiamò Dimitri e lo mise al corrente dei suoi timori, si aspettava una reazione di Roberto:«Aumenta i turni di guardia e fai mettere una mitragliatrice M60 a prua e una a poppa, avverti il comandante di avvisarci immediatamente se il radar rileva l’avvicinamento di qualche imbarcazione.» *** Il Consiglio dei Ministri mise all’ordine del giorno il Fondo per lo Sviluppo «Signori ministri con le riduzioni che intendiamo effettuare e ve le ricordo: riduzione del 50% del costo mensile dei parlamentari e senatori, non rimpiazzare il turnover del personale delle auto blu e togliere 80% delle scorte, porteranno un risparmio di circa 450 milioni l’anno» disse il primo Ministro e dopo un attimo di pausa continuò « Per creare il “fondo per lo sviluppo” oltre ai risparmi dovuti alle riduzioni dovremo chiedere un piccolo sacrificio al popolo. In Italia i lavoratori sono circa 22 milioni e i pensionati circa 19 milioni se donassero 20 euro al mese come media si ricaverebbero circa 82 milioni di euro al mese più i 40 di riduzioni arriviamo 122 milioni. Una parte del fondo circa 52 milioni al mese serviranno per finanziare nuovi progetti e per le aziende in difficoltà, il resto circa 70 milioni saranno disponibili per le aziende che assumeranno con contratto indeterminato. Questo permetterebbe di dare un lavoro a circa 45000 dipendenti con uno stipendio di 1500 euro al mese e le ditte a questi lavoratori pagheranno solo i contributi. Se siete d’accordo, prepariamo il Decreto Legge.» I ministri annuirono ritenendo che questo decreto porterà solo vantaggi . All’economia sicuramente e soprattutto al Governo in termini di consenso , tema a cui tenevano in modo particolare. *** Dopo il rifornimento nel porto di Viareggio ripresero il largo, le ore passavano lente e noiose , erano le undici di sera e mancavano poche ore all’arrivo nel porto di Civitavecchia e tutto sembrava andare per il meglio. All’improvviso l’altoparlante cominciò a gracchiare, era il comandante: «Due motoscafi in avvicinamento uno punta vero la poppa e uno verso la prua, distanza cinque chilometri.» «Ci siamo!»Gridò Carlos,«Prepariamoci a riceverli. Accendete i fari e cercate di individuarli.» I fari erano come lame nel buio ma non riuscivano ad inquadrarli. «Comandante a che distanza sono i motoscafi», disse Carlos attraverso la ricetrasmittente. «Sono a circa quattro chilometri.» «Tra poco saranno a tiro assicurati che tutti abbiano indossato il giubbotto antiproiettile. Beatrice mi senti?» «Sì.» «Non venire sul ponte, stai al coperto.» «Carlos, li abbiamo individuati.»Disse Dimitri. I motoscafi arrivati a tiro aprirono il fuoco con le mitragliatrici pesanti, i proiettili colpirono sia la poppa che la prua, i marinai nella cabina di comando furono feriti dalle schegge di legno e dai vetri infranti , il comandante decise di scendere al posto di comando inferiore che era più protetto. La risposta degli uomini di Carlos non si fece attendere, uno dei natanti si trovò sotto il fuoco incrociato e gli fu fatale, colpito ai serbatoi esplose in una palla di fuoco e affondò in pochi minuti. Il secondo sfuggì ai proiettili e sfruttando un punto cieco della nave riuscì ad avvicinarsi alla murata. Gli uomini lanciarono dei rampini e si prepararono all’abbordaggio armati di tutto punto. «Abbiamo ospiti a bordo spegnete tutte le luci e usate i visori notturni, girate la mitragliatrice di prua verso il ponte e quella di poppa spostatela al piano superiore della barca, noi cercheremo di tenerli impegnati.» Gli uomini di Roberto continuavano a salire e la situazione per Carlos si faceva critica, erano ben organizzati e determinati. Una volta arrivati sul ponte si divisero in due gruppi, uno puntò verso la mitragliatrice che si trovava a prua e l’altro verso il ponte di comando. Il primo gruppo fu bloccato dal fuoco degli uomini di Dimitri mentre il secondo, quello che si stava dirigendo verso la prua, riuscì con un fuoco micidiale a far arretrare gli uomini addetti alla mitragliatrice, la situazione si faceva disperata alcuni erano feriti e le munizioni cominciavano a scarseggiare, avevano bisogno d’aiuto. «Dimitri, ci sono addosso, quattro di noi sono a terra, le munizioni sono quasi esaurite.» «Dovete mantenere la posizione. Abbiamo bisogno di copertura e finché la seconda mitragliatrice non è sul ponte superiore non possiamo muoverci.» «Carlos posso esservi d’aiuto?» «Beatrice cosa diavolo ci fai qui? Ti avevo detto di stare in cabina.»Sul volto di Carlos si dipinse la preoccupazione. «So usare benissimo qualunque arma.» «Sei la solita testona.» «Ho avuto un gran maestro.» Disse sorridendo. «Voi due statele vicino, noi appena la mitragliatrice ci darà copertura andremo a dare una mano a prua.» La mitragliatrice sul ponte superiore cominciò a sparare falciando gli uomini di Roberto che si trovavano allo scoperto mentre stavano cercando di avvicinarsi al ponte di comando. « E’ il momento.» Gridò Carlos e insieme a Dimitri si misero a correre sparando raffiche di mitra verso i banditi che si trovavano sulla loro strada. Due di loro furono colpiti e gli altri si ripararono dietro a dei grossi divani, l’attacco era riuscito, arrivarono a prua senza grossi danni. «Prendiamo noi la mitragliatrice, voi portate i feriti verso il ponte di comando.» Il fuoco incrociato delle due mitragliatrici costringeva gli assalitori di mantenersi al coperto. «Chiama Beatrice , digli di ritirarsi nel salone mentre noi teniamo impegnati questi bastardi.» «Sono Dimitri ritiratevi vi copriamo noi.» Nessuna risposta. « Beatrice tutto bene, mi senti?» Nessuna risposta. «Coprimi, vado a vedere cosa è successo.»Disse Carlos preoccupato. «Sono Dimitri, tutti devono coprire Carlos, avete capito bene, coprite Carlos, fuoco di sbarramento a volontà.» Era a qualche decina di metri da lei quando vide due uomini che gli stavano puntavano il fucile, era supina e sembrava non reagire, puntò l’arma e fece fuoco i due non si accorsero di nulla e caddero a terra fulminati. Una valanga di fuoco si riversò sugli uomini di Roberto , il quale vista che la situazione stava evolvendo al peggio gridò :«Abbandoniamo la nave.» I pochi rimasti ancora in grado di muoversi si diedero ad una fuga precipitosa . Carlos si avvicinò a Beatrice, s’inginocchiò, gli sollevò la testa, respirava a fatica, il sangue si allargava sotto la schiena, tamponò la ferita, aveva bisogno d’aiuto immediato era in pericolo di vita, doveva chiamare Giorgio. «Giorgio siamo stati attaccati, ci sono morti e feriti, abbiamo bisogno d’aiuto, Beatrice è ferita gravemente bisogna trasportarla in ospedale al più presto possibile.» «Carlos ci penso io, dammi le coordinate.» Delicatamente le tolse il giubbotto antiproiettile, la pallottola era penetrata nel polmone, passando attraverso l’unico punto non protetto sotto la spalla. Con un tampone premuto sulla ferita tentava di arrestare l’emorragia, era sempre più debole, la speranza di poterla salvare cominciava a vacillare. «Carlos, stanno arrivando gli elicotteri» disse Dimitri. Fu trasportata sul primo, mentre sugli altri due furono caricati i feriti e i morti durante gli scontri. Una volta in quota il medico la visitò, era in stato di shock. Data la perdita di sangue, le fece una trasfusione, le mise la maschera per l’ossigeno e iniziò una terapia con analgesici e sedativi. L’emorragia non si arrestava, il monitor che visualizzava i parametri vitali indicava che la pressione arteriosa continuava a scendere, il medico decise che doveva intervenire chirurgicamente senz’aspettare l’arrivo in ospedale. L’intervento durò circa mezzora e i risultati si videro subito, la pressione aumentò e tutti i parametri vitali migliorarono sensibilmente. Gli elicotteri uno dopo l’altro, si posarono nell’eliporto della clinica privata, che era amministrata da Giorgio. I feriti dopo essere stati visitati al pronto soccorso furono indirizzati alle sale operatorie e gli uomini deceduti trasportati all’obitorio. Beatrice invece fu portata in rianimazione, le sue condizioni erano migliorate ma era ancora in pericolo di vita. *** Nel Consiglio dei Ministri, presieduto da Marco, si doveva decidere come rilanciare l’economia. Decisero che la casa, bene primario degli italiani, poteva essere uno dei mezzi per mettere in moto l’industria, resa asfittica da anni di recessione. Un miliardo investito nell’edilizia ne produce altri tre, generando migliaia di occupati, muovendo un centinaio di comparti industriali, come la metallurgia, l’industria del legno, del movimento terra e altri settori. Dovevano trovare una proposta equilibrata che desse la possibilità alle famiglie di acquistare e allo Stato di avere le risorse per mantenere gli impegni che intendeva assumere. Decisero di creare un “mutuo sostenibile” che permettesse l’acquisto della prima casa senza avere bisogno dell’anticipo: Il mutuo prevede un importo pari al costo totale sostenuto per realizzare un alloggio di nuova costruzione e lo Stato, attraverso il “fondo di solidarietà”, si sostituirà al soggetto avente titolo all’acquisto; la cessione della proprietà avverrà con il pagamento dell’ultimo rateo di riscatto. "I ratei di riscatto con il mutuo sostenibile sono mensili, fissi e composti dalla quota di capitale maggiorata dell’1% di interesse, e di ammontare non superiore a un quinto del reddito mensile del beneficiario. Il pagamento della rata sarà sospeso in caso di disoccupazione o altro impedimento che si verificasse al beneficiario, previo accertamento dell’impedimento stesso (1). «Con questo provvedimento potremo costruire duecento appartamenti al mese. La spesa stimata è di trenta milioni, che preleveremo dal fondo solidarietà. Un decreto che permetterà alle giovani famiglie di avere la sicurezza di una casa, anche in condizioni economiche difficili come l’attuale. E a noi aumenterà il consenso, ricordiamoci che il nostro fine ultimo è governare il più a lungo possibile.» *** Roberto della Securty si stava leccando le ferite ma non intendeva mollare, si stava riorganizzando, ed era sua intenzione tentare il tutto per tutto, quando la nave sarebbe entrata in porto. In attesa che gli uomini necessari per l’operazione arrivassero a Civitavecchia, decise di andare a riposarsi in albergo. Si sdraiò sul letto ma non riusciva a dormire, le ultime parole pronunciate da suo padre Alberto in punto di morte l’ossessionavano: «Giurami che recupererai l’oro ad ogni costo! Giuramelo». Il comandante Alberto, fin da giovane aveva le idee chiare su come districarsi nella vita quotidiana, perseguiva con determinazione tutto ciò che gli portava un tornaconto personale. Quando compì diciott’anni, entrò nei Fasci giovanili di combattimento, costituiti nel 1930 dal Gran Consiglio del Fascismo, per poi passare al GUF quando era studente universitario. Ogni città, se aveva almeno venticinque fascisti iscritti, poteva disporre di una sede, con al comando un responsabile nominato dal Segretario Federale. Alberto ne iscrisse un centinaio e fu premiato dal Federale in persona. L’Italia invase la Grecia il ventotto ottobre del 1940 e buona parte dei fascisti della sede, partirono volontari per la guerra. Alberto rimase al suo posto diventando “il Federale” della sua città e vi restò fino al 23 settembre 1943, data di nascita dello “Stato Nazionale Repubblicano”, nota come Repubblica di Salò. L’avanzata angloamericana spostava sempre più a nord il territorio ancora in mano alle truppe nazifasciste. Alberto insieme ad altri camerati decise di seguire il Duce trasferendosi a Milano. Il suo compito era quello di arruolare, addestrare i militari della Repubblica Sociale Italiana e organizzare azioni di contrasto al terrorismo. In cuor suo sapeva che la guerra era persa e cominciò a pensare al dopo. Ambiguamente, mentre incitava i suoi soldati a combattere sino alla fine, teneva contatti con i comandanti partigiani, fornendogli informazioni sui luoghi dove i tedeschi intendevano fare i rastrellamenti. All’inizio di aprile del 1945, arrivò nella caserma un carico d’oro e di valuta pregiata per diversi miliardi di lire. L’oro doveva essere trasportato in un posto sicuro e l’incarico gli fu affidato dalla più alta carica del Regime. Affidò il trasporto al reparto detto “La Rosa Nera”, che avrebbe dovuto consegnarlo a un emissario svizzero. Ma quando una parte del carico cadde in mano partigiana capì che il piano era stato scoperto. L’insurrezione era vicina e il clima era del si salvi chi può. Decise così di vendere l’informazione sul luogo previsto per l’incontro, in cambio della vita e di un salvacondotto per la Svizzera. L’oro non fu mai trovato. *** Beatrice continuava a migliorare, la fecero uscire dalla rianimazione trasferendola in una camera privata. Carlos, che non si era mosso dall’ospedale, decise che era venuto il momento di partire per Civitavecchia e portare a termine la missione. L’elicottero era in attesa, e lei dalla finestra della sua stanza lo salutò con un bacio. Il volo fino alla nave fu tranquillo e prima dell’imbrunire era in vista della nave, altri cinque minuti e i pattini toccarono l’eliporto. Scese velocemente e tenendosi basso si avviò verso la plancia. Là Dimitri lo attendeva. «Beatrice come sta?» «Si sta riprendendo, è uscita dalla rianimazione.» «Bene, sono certo che guarirà perfettamente.» «Grazie, ora pensiamo a portare a termine la missione. Trasporteremo il carico con un elicottero fino alla banca Vaticana, poi entreremo in porto con la nave e attenderemo le mosse di Roberto.» Doveva trovare un elicottero da trasporto da noleggiare. Gli venne in mente che un suo collega pilota, dopo il congedo, aveva fondato una società specializzata nel trasporto di persone e lavori aerei. Si chiamava Alessandro, guardò nella sua agenda elettronica e trovò il numero di telefono. «Ciao sono Carlos, ho bisogno di noleggiare un elicottero per il trasporto di un carico di due tonnellate.» «Ho disponibile un elicottero multiruolo bi turbina quadripala, può trasportare carichi interni fino a 2100 chilogrammi.» «Proprio quello che mi serve. Saremo pronti per il trasporto fra qualche giorno, tieniti pronto. Intanto ti invio un sms con le coordinate della nave.» *** Lo squillo del telefonino distolse Roberto dai suoi pensieri. «Abbiamo intercettato una telefonata di Carlos fatta a un suo ex collega pilota, con la richiesta di un elicottero da trasporto.» «Tenete sotto controllo tutte le utenze di Carlos, quelle di Dimitri e del pilota di elicotteri, devo sapere dove hanno intenzione di portare l’oro.» *** Sulla nave fervevano i preparativi, Carlos era in attesa del via libera da Giorgio, che arrivò con una telefonata. «Puoi procedere con l’operazione, ti aspettano tra due giorni a Roma.» Carlos riattaccò e chiamò Alessandro. «Ciao siamo pronti, ti aspettiamo tra due giorni.» «Ok, qual è la destinazione?» «La banca Vaticana. L’eliporto si trova nei Giardini Vaticani. La piazzola per l’atterraggio è in cemento, lunga venticinque metri e larga 18.» «Ok.» *** Nella sala comunicazioni della Securty a Zurigo la chiamata di Alessandro all’ENAV per la richiesta di sorvolo della città fu intercettata. «Signore, il pilota dell’elicottero ha richiesto all’ENAV l’autorizzazione per il sorvolo di Roma e all’atterraggio in Vaticano.» «Ottimo lavoro, per quando è previsto?» «Tra due giorni.» Carlo alzò il telefono e chiamò il centralino del Vaticano. «Buongiorno, avrei bisogno di parlare con il cardinale Stefano.» «Chi devo dire?» «Dottor Roberto.» «Attenda in linea.» Si salutarono. «Roberto, quanto tempo è passato, se non ricordo male l’ultima telefonata che ho ricevuto da te, era per comunicarmi la morte di tuo padre?» «Sì, è vero, non ho scusanti.» «Ti perdono, cosa ti porta a me?» «Avrei bisogno di vederti urgentemente.» «Attendi un attimo» Mise in attesa il telefono e fece l’interno del suo segretario. «Domani alle undici sono libero da impegni.» «Grazie, a domani.» Lasciò Civitavecchia alle sette di mattina. Per arrivare in Vaticano doveva percorrere sessantotto chilometri e non voleva arrivare in ritardo. Ci volle un’ora per arrivare all’ingresso dell’autostrada Roma-Grosseto. Nonostante il traffico intenso alle nove e trenta stava percorrendo la via Aurelia e alle undici, puntuale, era in attesa di essere ricevuto dal cardinale. «Ciao Roberto, ti vedo sciupato, cosa ti tormenta?» «Eminenza, prima di morire mio padre mi ha fatto giurare di recuperare l’oro che arrivò alla prefettura milanese nel ’45.» «Sì, tuo padre me ne parlò. Quando apprese che era scomparso nel nulla entrò in depressione e, nonostante le cure, non guarì mai del tutto. Sono passati più di sessant’anni, chissà dove sarà finito.» «Sta per essere depositato nella vostra banca!» «Non può essere. Sarei stato informato!» «Ne sono più che sicuro!» «Attendi, faccio una telefonata.» *** Giuliano si collegò in audio conferenza con alcuni componenti della Rosa Nera. In comunicazione c’erano: i direttori dei due giornali, Amedeo e Maurizio nella sede di Milano, mentre nella sede di Roma era presente l’amministratore delegato delle cinque televisioni private dottoressa Cristina. Sia le televisioni che i giornali appartenevano a un gruppo di aziende controllate da una società i cui amministratori erano le stesse persone che erano al vertice della società segreta. Accese il microfono. «Signori, il momento è propizio per modificare la Costituzione, il gradimento degli italiani nei confronti del Governo è salito al 70%, anche grazie al vostro aiuto. Inizieremo subito l’iter parlamentare che durerà circa un anno. Ci sono però alcuni giornali e alcune televisioni che etichettano questa modifica alla Costituzione come un “colpo di Stato”. Ed è questo il motivo della mia chiamata. Dovete convincere i telespettatori e i lettori che la Repubblica Presidenziale porterebbe notevoli vantaggi a tutti. Il presidente non dovrà più sottostare ai veti di partiti e partitini, porterebbe così a compimento tutte quelle leggi necessarie per riformare il Paese e rimettere in moto l’economia senza intralci. Mi aspetto che già da oggi ne parliate nei telegiornali e che domani la stessa cosa avvenga sui giornali, buon lavoro a tutti noi.» Dopo l’iter parlamentare per la modifica Costituzionale era arrivato il giorno della prima votazione. La prima delle quattro necessarie per trasformare l’Italia in Repubblica Presidenziale. Nella Camera del Senato tutti i posti erano occupati, non mancava nessuno. Gli interventi dei capigruppo dei vari partiti politici si susseguivano, avevano a disposizione non più di due minuti ciascuno e di dieci minuti complessivi per ciascun gruppo. Alcuni Parlamentari manifestavano il loro dissenso etichettando la manovra come un colpo di Stato della destra, altri urlavano che la Costituzione era stata scritta con il sangue di milioni di italiani, cambiarla voleva dire ucciderli una seconda volta. Mentre i partiti favorevoli alla modifica ne elogiavano i vantaggi. Il clima era incandescente e dai banchi dell’opposizione si alzò il grido di “fascisti, fascisti”. Alcuni senatori di gruppi contrapposti lasciarono i propri posti e si avventarono gli uni contro gli altri. Volarono parole grosse e anche qualche spintone, la bagarre fu sedata a fatica dai commessi. Il presidente del Senato minacciava l’espulsione dall’aula dei più facinorosi e, constatando che nessuno lo ascoltava, decise di sospendere la seduta per trenta minuti. Al rientro in aula, gli animi erano più sereni e si riuscì a portare a termine gli interventi. Dopo l’ultimo si passò al voto. Il presidente prese la parola: «Senatori, se fate silenzio posso dare il risultato della votazione. Senatore Rota, se non smette la faccio espellere». Dopo qualche minuto la calma tornò e il presidente riuscì a leggere il risultato. «Votanti 323, maggioranza 162, 250 hanno votato sì e 73 hanno votato no, il Senato approva.» Scene di giubilo dai banchi dei favorevoli e fischi dall’opposizione, il cammino era ancora lungo ma un primo passo positivo era stato fatto. *** Dopo un’ora il cardinale rientrò nell’ufficio dove Roberto era rimasto in attesa. «Scusa per l’attesa, dovevo fare alcune verifiche.» «È cos’avete scoperto?» «Che è tutto vero. Domani arriverà il carico e sarà depositato nel caveau della banca.» «Quell’oro è mio di diritto!» «Quell’oro è proprietà del popolo italiano. E comunque non saprei come aiutarti.» «Ho giurato a mio padre che lo avrei recuperato, e intendo farlo.» «Non ti riconosco più, l’oro ti ha annebbiato la mente.» «Il tuo aiuto non è indispensabile, ne farò a meno.» «Ma cosa intendi fare?» «Non preoccuparti, è un problema mio. Riverisco eminenza» disse. «Non fare sciocchezze, pregherò per te.» Uscì dallo studio inferocito. «Vecchio caprone rincitrullito, vedrai cosa sono in grado di fare.» *** Sulla nave le casse erano sul ponte, pronte per il trasporto. In plancia il capitano pianificava la rotta da tenere per approdare al porto di Civitavecchia. Sembrava che tutto andasse per il verso giusto. «Signor capitano!» disse l’addetto al radar. «Un aereo si sta dirigendo verso di noi!» «Chiama Carlos. Avvertilo.» Carlos si stava recando verso la plancia di comando, quando squillò il suo cellulare. Sul display comparve il nome di Giuliano. «Ciao, cosa succede?» disse allarmato, «devi andare subito in ospedale, Beatrice si è aggravata, ho inviato un elicottero a prelevarti». Dopo una breve pausa continuò: «Sospendi tutte le operazioni fino a nuovo ordine. Avviserò io il comandante di tornare al porto di Genova!». Il volo verso l’ospedale sembrava non finire mai, i pensieri più cupi non lo lasciavano , gli sembrava di soffocare, non aveva mai provato una sensazione del genere, neanche nelle missioni più difficili e pericolose, il pensiero di perderla lo faceva impazzire. L’elicottero non aveva ancora appoggiato i pattini sul terreno che aprì il portellone e salto giù, si mise a correre verso l’infermiere che era in attesa. «Venga, l’accompagno.» Arrivato in sala rianimazione si infilò il camice verde ed entrò. Era circondata da medici e infermieri, aveva avuto due arresti cardiaci, risolti con la defibrillazione, ma i battiti continuavano a essere irregolari. Si avvicinò al letto, era pallida, sudata, le prese la mano e lei aprì gli occhi. Non poteva parlare, il tubo per la respirazione glielo impediva, una lacrima le scese sulla guancia. Il monitor cominciò a emettere un suono continuo, tentarono per venti minuti di rianimarla poi si arresero, Beatrice chiuse gli occhi per sempre. Carlos la baciò e se ne andò senza voltarsi. Era furibondo, risalì sull’elicottero che era rimasto in attesa e decollò per Genova. Una volta arrivati si avviò alla stazione dei taxi e si fece portare al Grand Hotel Roial che distava ottocento metri dal porto. In camera istintivamente fece il numero di cellulare di Beatrice, non aveva mai pianto in vita sua ma quella volta lo fece. Il giorno dopo, in attesa della nave, lo passò sul molo immerso nei suoi pensieri. Il dolore gli chiudeva lo stomaco, si sforzò di mangiare un panino e una birra in un bar frequentato da lavoratori portuali, all’imbrunire lo yacht entrò nel porto. Dimitri disperato lo accolse con un abbraccio. «Carlos, non ho parole! Mi dispiace. Sembrava che tutto fosse andato per il meglio? Com’è possibile?» «Grazie Dimitri. Sono sopraggiunte gravi complicazioni. Sono distrutto, Roberto la pagherà per il male che mi ha fatto. È colpa sua se è morta.» «Capisco la tua rabbia e il conto lo regoleremo. Ma la missione deve continuare! Dovresti chiamare Giuliano.» «Ciao Giuliano.» «Carlos sono distrutto dalla notizia! Mi dispiace!» «Ti ringrazio.» «Anche se è un momento tremendo, ho bisogno del tuo aiuto. L’oro dev’essere trasportato in un posto sicuro, la banca Vaticana non lo è più. Io ritengo che al momento si potrebbe pensare al bunker della tua villa, che ne dici?» «Che è la soluzione migliore, provvedo subito a chiamare Alessandro per il trasporto.» *** Roberto, inferocito, stava ripensando alla discussione avuta con il cardinale. Era in autostrada quando il telefono incominciò a squillare. Attivò il viva voce premendo il bottone sul volante. «Pronto.» «Dottore, attenda in linea, le passo il cardinale Stefano.» «Ciao Roberto, il trasporto del carico d’oro è stato annullato.» «Non capisco, qualcuno ha avvisato Carlos?» «Sembra che sia morta la sua compagna.» «Questo non ci voleva!» «Ma per caso... tu c’entri con la morte di quella donna?» «Non direttamente.» «Mio Dio Roberto! Cos’hai fatto? Hai perso il senno? Ti sei macchiato di un assassinio?» «Era necessario, per avere quello che mi spetta.» «Ma quell’oro non è tuo. Come non era di tuo padre. Come posso fartelo capire!» «Quell’oro è mio. Ora ti saluto e prega per la mia anima.» Chiuse la comunicazione e si asciugò la fronte dal sudore freddo, aveva brividi in tutto il corpo. Sapeva che Carlos gli avrebbe fatto pagare la morte della compagna. *** L’elicottero da trasporto si posò nel giardino della villa, le casse furono portate nel bunker. Sistemato l’oro la porta fu chiusa e due uomini la presidiarono a turno. Carlos entrò nella villa e salì nella sua camera, si buttò sul letto senza spogliarsi e tentò di dormire. Ma il dolore era ancora troppo forte, la mente vagava nei ricordi degli anni passati insieme, il bussare alla porta lo riportò alla realtà «Entrate la porta è aperta.» Era la governate. «Ti ho portato la cena e una pastiglia di sonnifero.» «Per questa sera mi accontento del sonnifero, grazie Teresa.» Per Carlos la notte era diventata un incubo, appena appoggiava la testa sul cuscino le immagini di Rosabella gli affollavano la mente, tentava in tutti modi di farsene una ragione, non c’era più, la vita continuava, ma non ci riusciva. Si rigirava di continuo e si ritrovava a fissare il soffitto. Il suono della sveglia fu un sollievo, cominciava un nuovo giorno, scese in cucina e chiamò Dimitri. «Ciao, ti aspetto per la colazione.» Mentre gustavano tutto il ben di Dio che Teresa gli aveva preparato, Carlos disse : «È venuto il momento di chiudere il conto con Roberto». «Cosa intendi fare?» «Lui vuole l’oro? Facciamogli sapere dove si trova.» «E tu pensi che venga, sapendo che noi lo stiamo aspettando?» «Se l’oro fosse qui, no! Ma se fosse in posto meno protetto, penso di sì.» «Vuoi spostare l’oro?» «Non proprio?» E fece una risata. *** La sede della Securty si trovava in uno stabile a due piani nel centro di Zurigo, al primo piano c’erano gli uffici, al secondo la sala operativa dove venivano controllati, attraverso dei monitor, gli allarmi provenienti dalle sedi dei clienti. Al piano interrato si trovava il centro di spionaggio dove si teneva sotto controllo le utenze telefoniche, sms ed e-mail, di persone o aziende. Il segreto era fondamentale per evitare che notizie riservate finissero nelle mani sbagliate e soprattutto essendo azioni illegali, il personale doveva essere fidato. Nel tardo pomeriggio di mercoledì l’apparato che controllava l’utenza di Dimitri entrò in funzione, l’operatore si infilò le cuffie e si mise in ascolto. La chiamata partiva dal telefonino di Dimitri ed era indirizzata a un’agenzia per il trasporto di valori. «Sono Dimitri ho bisogno, tra due settimane, tre furgoni portavalori, con il rispettivo personale.» «Ok, mandami un fax con indicato: tipo di trasporto, sede di partenza e arrivo.» «Ti posso anticipare che partiamo dalla villa di Carlos a Gabbro e il carico dev’essere portato nella banca Credit Swiss, in via Azzati 48 a Livorno.» «A che ora dovremo partire dalla villa?» «Il tratto da percorrere è di diciannove chilometri, quasi tutti in discesa. Dovreste essere alla villa per le sei del mattino.» «Ok, ci vediamo tra quindici giorni.» La comunicazione fu trascritta e imbustata. Il fattorino dell’azienda la prese e la portò al dottor Roberto. «Signor presidente, la busta con la trascrizione del messaggio.» «Faccia venire il capo della sicurezza, per favore.» Era intento a leggere la trascrizione, quando il capo della sicurezza bussò alla sua porta. «Entra e siediti. Ho letto la trascrizione sembra che vogliono trasportare l’oro in una banca di Livorno. Tu cosa ne pensi?» «Non saprei, potrebbe essere una trappola? Oppure intendono depositare l’oro in attesa di portarlo di nuovo a Roma?» «Studia il percorso e pianifica l’azione. Una volta prelevato l’oro, dieci uomini lo trasporteranno all’aeroporto di Pisa, che dista venti chilometri da Livorno, gli altri, se Carlos e Dimitri non saranno sui blindati, dovranno andare alla villa ed eliminarli una volta per tutte.» «Volete ucciderli?» «Sì, altrimenti saranno loro a uccidermi.» *** Teresa in cucina stava dando il meglio di sé, voleva alleviare la tristezza di Carlos con un pranzo degno del ristorante più raffinato. Carlos e Dimitri erano in attesa in sala da pranzo. «Vado a prendere una bottiglia di Cartizze nel frigo cantina, tu prendi il secchiello con del ghiaccio» disse Carlos. Arrivò con la bottiglia, tolse il cappuccio, svitò la gabbietta che tiene bloccato il tappo e aprì la bottiglia. Versò nel calice un po’ di vino, lo assaggiò e, soddisfatto della sua qualità, riempì i bicchieri. «Brindiamo alla vita, che può essere crudele, ma vale sempre la pena viverla.» «A tavola perditempo» disse Teresa. «Cos’hai cucinato?» «Come primo, Bavette alle acciughe. Come secondo, tonno Briaco alla Livornese e come dolce, frittelle in farina dolce.» «Carlos io da qui non mi muovo più, oppure mi porto via Teresa» disse Dimitri ridendo. «Andiamo a tavola e facciamo onore alla cuoca» disse Carlos. Gustato il pranzo, si accomodarono sulla poltrona in veranda e mentre Teresa riempiva due bicchierini di grappa bianca, cominciarono a conversare, il tempo passò veloce, ed era notte fonda quando andarono a riposarsi nelle loro camere, quella notte Carlos per qualche ora riuscì a dormire senza incubi. Per la riuscita del loro piano erano fondamentali le informazioni su come Roberto intendeva procedere nei loro confronti. Dimitri riuscì a corrompere un importante collaboratore della Securty.«Ho un appuntamento telefonico tra dieci minuti con l’infiltrato. Ho predisposto una linea sicura in un bar di miei amici a Zurigo.» Il telefono era collegato a un apparato che criptava il segnale, con un algoritmo inventato da un ingegnere israeliano, tanto sofisticato da rendere impossibile la decodificazione. Lo stesso apparato era installato a Zurigo. Dimitri alzò il telefono, fece il prefisso internazionale seguito dal numero, dopo due squilli David rispose: «Ciao Dimitri, sono appena arrivato». «Hai buone notizie?» «Sì, la tua conversazione è stata intercettata.» «Non sospetta nulla?» «La voglia di arrivare all’oro ad ogni costo, ha diminuito la sua percezione del pericolo. Diciamo che la prudenza in questo momento non è il suo forte. Ha deciso di assaltare i portavalori e non solo?» «Cosa vuoi dire?» «Oltre che prendere l’oro, vuole eliminarvi fisicamente.» «Brutta notizia! Sai, dove attaccheranno i furgoni?» «Sì, alla fine della seconda discesa, circa quattro chilometri dopo Gabbro. Quando i mezzi affronteranno l’ultimo tornante, essendo molto stretto, saranno costretti a rallentare, quello sarà il punto. I mezzi che useranno per l’assalto saranno nascosti in una vecchia cascina abbandonata dopo la rotonda, che porta alla SP8 per Livorno.» «Chi coordinerà l’operazione?» «Io.» «Bene, Buona fortuna a tutti noi.» A questo punto Carlos prese il telefono e fece il numero privato di Giorgio. «Ciao, ho bisogno del tuo aiuto!» *** Roberto era cosciente del fatto che se non si fosse impossessato dell’oro ed eliminato Carlos per lui sarebbe la fine, perciò pianificò l’assalto nei minimi particolari senza lasciare nulla al caso. Non badò a spese per il personale e le attrezzature, ingaggiò cinquanta uomini dell’ex milizia serba, armati con fucili mitragliatori caricati con proiettili speciali, calibro nove millimetri ad alta velocità, in grado di perforare la corazza dei furgoni e di conseguenza anche i giubbotti antiproiettile, inoltre avevano a disposizione dei bazooka ed esplosivo C-4. Si tenevano in contatto audio video, attraverso ricetrasmittenti e microcamere installate nei caschi, con la sede centrale di Zurigo. Il collegamento avveniva attraverso un satellite prenotato per la giornata di venerdì. I paramilitari arrivarono in Italia, usando sia aerei di linea che il treno. Alloggiavano in alberghi diversi, prenotati sia nella città di Livorno che nelle città limitrofe. I mezzi, le attrezzature e le armi erano depositate presso uno sfascia carrozze alla periferia della città. Il giorno prima della rapina, David convocò tutti i componenti della banda presso lo sfascia carrozze, per rivedere punto per punto lo svolgimento dell’operazione e vi restarono finché non fu soddisfatto del risultato. Ritornarono nei loro alberghi tranne David e una decina di uomini, che si occuparono dello spostamento dei mezzi e delle attrezzature presso la cascina. Alle quattro di venerdì tredici l’operazione ebbe inizio, David distribuì le armi e le munizioni, e ogni componente della banda si avviò verso la postazione stabilita. Sulla collinetta davanti alla villa di Carlos, due uomini di David controllavano l’ingresso. «Siamo in postazione, si sono accese in questo momento le luci davanti all’ingresso e sono usciti quattro uomini armati, stanno controllando il perimetro esterno.» Nel casale che fungeva da posto di coordinamento David intervenne: «Tenetevi pronti fra poco arriveranno i blindati, attenetevi al piano». Qualche minuto prima delle sei, quattro uomini aprirono il cancello laterale della villa, controllarono di nuovo l’esterno e soddisfatti della ricognizione comunicarono che i blindati potevano passare. I mezzi spuntarono dalla curva e si diressero all’interno. Uscirono dopo un’ora in fila indiana a velocità sostenuta, avviandosi verso la discesa per Livorno. Gli uomini della postazione vicino alla villa, si misero in contatto con David: «Stanno uscendo, i blindati stanno uscendo!». «Appena sono passati sganciatevi e bloccate la strada mettendo le segnalazioni con la deviazione per Rosignano Marittimo, poi seguiteli a distanza.», contemporaneamente ordinò ai suoi uomini di sbarrare la via prima della rotonda, facendo in modo di deviare il traffico verso il paese di Malvolta, in questo modo la strada che portava a Gabbro era isolata. Nella sala operativa di Zurigo la tensione era altissima, il momento della rapina era vicino. Roberto fantasticava, si immaginava nella banca di Schultz ad ammirare quella montagna d’oro e sorrideva soddisfatto, le comunicazioni tra le postazioni lo riportò alla realtà. Dal casale partirono, un camion e quattro furgoni, il camion prima dell’ultimo tornante si mise per traverso, mentre i quattro furgoni fecero manovra e si misero in direzione di Livorno. Venti uomini scesero armi in pugno e si misero ai lati della strada in attesa dell’arrivo dei blindati. Dopo qualche minuto spuntarono dalla curva. Il guidatore del primo mezzo vedendo la strada sbarrata fece una brusca frenata. Guardò nello specchietto retrovisore cercando una via di fuga. Ma erano bloccati dai furgoni arrivati alle loro spalle, non avevano scampo. Il capo delle guardie private, si mise in contatto radio con Carlos. «Siamo stati bloccati, tutto come previsto.» «Bene, ma per precauzione non scendete dai blindati per nessun motivo.» Furono circondati dai banditi, i quali sparando diverse raffiche in aria intimarono agli uomini rinchiusi nei furgoni di aprire i portelloni posteriori. Ma nessuno si mosse, anzi sembrava che sorridessero. I rapinatori rimasero interdetti da quella strana reazione e incominciavano a innervosirsi. «Spariamo al furgone e se non dovessero aprire, useremo l’esplosivo.» Puntarono le armi verso il vetro anteriore del primo furgone, mentre gli altri tenevano sotto tiro i rimanenti blindati, «questo è l’ultimo avvertimento, se non scendete apriremo il fuoco» nessuna reazione degli uomini all’interno. «Aprite il fuoco» disse uno dei banditi. Spararono alcune raffiche, ma non successe nulla, neanche una scalfittura sul parabrezza, aprirono di nuovo il fuoco, niente. «Ma cosa diavolo… non capisco. Sembrano proiettili a salve.» Non riuscirono neanche a riprendersi dalla sorpresa che successe il finimondo. Spuntarono carabinieri dei reparti speciali da tutte le parti, elicotteri sorvolavano la scena. Alcuni banditi tentarono la fuga ma furono bloccati e ammanettati, tutti gli altri alzarono le mani e si arresero. Nella sede della Securty regnava il caos, si guardavano attoniti, rimasero allibiti, frastornati, increduli, per quello che avevano appena visto. Erano caduti in una trappola. Roberto dopo qualche secondo di panico, riprese il controllo di se stesso. «Eliminiamo tutte le prove che potrebbero inchiodarci, forza datevi da fare.» Voi non farete nulla, disse una voce alle sue spalle. Roberto si girò e si trovò di fronte una decina di persone alcune in divisa e alcune in borghese. «Chi siete? Come avete fatto a entrare?» «Sono il colonnello Leon del SAP. Servizio di analisi e prevenzione. Siete tutti in arresto.» «Per quale motivo? Siete entrati in una proprietà privata senza nessuna autorizzazione. Farò rapporto ai suoi superiori.» «Abbiamo sufficienti prove per mandarvi in galera tutta la vita.» «E quali sarebbero queste prove?» disse Roberto sbalordito. «Intercettazioni abusive! Assalto a furgoni blindati! Riciclaggio di denaro sporco. Questi sono solo alcuni dei capi d’imputazione.» Si sentì perduto. «Maledetto Carlos, ma non mi vedrai in galera.» Con una mossa fulminea, che prese tutti di sorpresa, si mise a correre verso il suo ufficio. «Fermatelo!» urlò il colonnello. Ma Roberto fu più veloce e riuscì a chiudersi all’interno. «Aprite la porta o la sfondiamo» disse uno degli agenti. Si avvicinò alla scrivania e crollò sulla sedia, si prese la testa fra le mani, chiuse gli occhi. Si sentì stanco, mortalmente stanco, tutto quello che aveva creato nella vita stava per dissolversi in una bolla di sapone. Le parole del padre gli martellavano il cervello, “giurami che recupererai l’oro, Giuramelo!”. «Papà, ho fallito. Mi dispiace!» Le grida fuori della porta e i tentativi di sfondarla gli sembravano lontanissimi. Prese carta e penna, voleva scrivere le sue ultime volontà. Ma per chi le avrebbe dovute scrivere? Solo ora si rese conto che era solo, non c’era nessuno ad attenderlo a casa. Perso il potere, nessuno dei cosiddetti “amici” l’avrebbe aiutato, anzi avrebbero negato di conoscerlo. Appoggiò la penna, aprì il cassetto della scrivania, prese la semiautomatica, era fredda come la morte, la guardò con tristezza. Tolse la sicura, appoggiò la canna alla tempia, diede un ultimo sguardo al di là della finestra, il sole faceva capolino tra le nuvole, pensò che era una bella giornata per morire e tirò il grilletto. Il colpo di pistola echeggiò nell’ufficio . «Sfondate la porta, fate presto» disse il colonnello. Quando riuscirono a entrare Roberto era già morto. *** Ritorniamo a qualche giorno prima, quando Carlos chiamò Giorgio attraverso la linea criptata. «Ciao l’operazione “trappola” come procede?» disse Giorgio. «Hanno deciso di assaltare i furgoni.» «E non sospettano nulla?» «È talmente ossessionato dall’oro da non riuscire ad analizzare in modo razionale le informazioni, che le intercettazioni gli fornivano. Per fare un esempio: la trasmissione non era criptata, abbiamo fornito data ora e luogo dove intendevamo trasportarlo. Questi indizi avrebbero dovuto metterlo in allarme.» «Ma avete la certezza dell’assalto?» «Sì, uno dei dipendenti è la nostra talpa, si chiama David ed è il capo della sicurezza. Dopo la riunione che aveva avuto con Roberto, dove avevano pianificato l’assalto, ci siamo sentiti al telefono. Ci ha fornito le informazioni sul luogo dove attaccheranno, i mezzi che useranno, il numero di uomini e le armi.» «Ma potrebbe essere un bagno di sangue?» «Non penso, David ha il compito di coordinare l’assalto e distribuire le armi. All’ultimo momento sostituirà i caricatori con altri forniti di pallottole a salve.» «Io vi posso essere d’aiuto?» «Sì, il tuo intervento sarà fondamentale per la buona riuscita dell’operazione.» «Ok, dimmi cosa devo fare?» «Devi far intervenire i servizi segreti americani.» «E cosa dovrebbero fare?» «Avvisare i servizi italiani della rapina e passare a quelli svizzeri le informazioni sulle attività della Securty.» «Per muoversi avranno bisogno di prove.» «David mi ha inviato dei CD che contengono tutte le informazioni necessarie per incastrare Roberto.» «E quali sarebbero le informazioni contenute nei CD?» «Su uno ci sono tutte le informazioni riguardanti i paramilitari che arriveranno in Italia, dove alloggeranno, dove tengono i mezzi e il deposito delle armi. Gli altri cinque riguardano la Securty: informazioni sul riciclaggio di denaro, in accordo con la banca del dottor Schultz, tutti i nomi di chi ha richiesto le intercettazioni illegali e dove sono custoditi i nastri, più altre operazioni illegali come lo spionaggio industriale.» «Mi sembra che ci sia abbastanza per farli intervenire.» «Un’altra cosa.» «Dimmi?» «David non dev’essere arrestato e noi non dovremo comparire nell’indagine.» «Ok, non penso che ci siano problemi.» *** Dal bunker della villa, Carlos e Dimitri avevano seguito l’assalto, attraverso le telecamere installate sui furgoni e quando tutto fu finito nel migliore dei modi, Carlos disse: «Stappiamo una bottiglia di cartizze e brindiamo alla riuscita della trappola.» Riempirono i bicchieri e quando stavano per brindare, il cellulare di Carlos cominciò a squillare. «Ciao Giorgio è andato tutto bene, sono stati tutti arrestati e nessuno si è fatto male.» «Sì, sono stato informato dal direttore della CIA. Ti ho chiamato per dirti cosa è successo a Roberto.» «Dimmi?» «Si è suicidato.» «Giustizia è stata fatta.» Prese il bicchiere e lo scolò tutto d’un fiato. *** La seconda votazione, per la modifica della Costituzione, avvenne tre mesi dopo quella del Senato. E anche alla Camera passò con un buon margine. Per la terza e la quarta votazione era necessaria la maggioranza assoluta dei voti per non incorrere a un ulteriore passaggio attraverso il referendum confermativo, con esiti imprevedibili. Giorgio chiamò in audio tutti i capigruppo della Rosa Nera: « Signori tra qualche mese al Senato ci sarà la terza votazione e serve la maggioranza assoluta dei voti. Compito vostro accertarvi che i numeri ci siano. Mettete in atto tutti i mezzi necessari per evitare sorprese, se necessario comprate i voti, avete a disposizione dieci milioni di euro. Tutti i Deputati di Camera e Senato, aderenti alla società segreta, iniziarono discretamente a sondare chi fosse a favore e chi non lo era. Il risultato fu, che per avere la matematica certezza di avere la maggioranza assoluta, mancavano una ventina di voti al Senato e una sessantina alla Camera. Incominciarono subito le trattative segrete per la compravendita dei voti. Riuscirono ad accordarsi con una sessantina di deputati con una spesa complessiva di otto milioni di euro. Lo scopo era stato raggiunto e a meno di sorprese, la maggioranza assoluta era certa. *** Dopo gli ultimi avvenimenti Giorgio decise di convocare una riunione nella sua villa a Forte dei Marmi, erano presenti oltre al vertice della Rosa Nera anche Carlos e Dimitri. Prima della riunione si accomodarono nel salone per il pranzo. In attesa della prima portata , Giorgio fece un breve discorso: «Ringrazio Carlos per aver neutralizzato la Securty, un’organizzazione senza scrupoli, che in più di un’occasione ha cercato di trafugare l’oro con attacchi criminali, causando la morte di molte persone tra cui Beatrice». Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato, poi Giorgio riprese a parlare. «Carlos so che qualunque cosa dica non la riporterà in vita , ma mi manca il suo sorriso e la sua professionalità, il suo sacrificio non sarà vano, te lo assicuro.» Tutti si alzarono e applaudirono. Carlos prese la parola: «Grazie Giorgio le tue parole mi commuovono, la sua scomparsa mi ha lasciato un vuoto incolmabile. Se lei potesse parlarmi mi spronerebbe a continuare il lavoro che avevamo cominciato assieme, ed è quello che farò in sua memoria, grazie a tutti.» Nel salone regnava un’intensa emozione che fu mitigata dall’arrivo in sala dello chef, seguito dai camerieri che portarono in tavola il primo piatto, “agnolotti, fave, pecorino, seppie e ricci di mare”. «Eccezionale!» disse Giorgio. «E cosa ci hai preparato come secondo?» «Fagiano farcito al lardo di Colonnata e tartufo nero con carciofi,» disse, e per il dessert «sfogliatina di fragole con verbena e cioccolato, i vini sono della tua riserva privata.» Soddisfatti dal pranzo abbonante nessuno si decideva a lasciare la tavola, allora Giorgio intervenne: «Signori ci starebbe bene un riposino, ma il dovere ci chiama. Spostiamoci nella sala riunioni.» La sala poteva contenere fino a cinquanta persone, era di forma quadrangolare con tutte le poltrone disposte a semicerchio davanti a una pedana rialzata, con sopra una scrivania per quattro persone. Ogni postazione aveva a disposizione: un microfono, un P.C., e un monitor dove si poteva vedere quello che veniva proiettato alle loro spalle. La sala inoltre era fornita del collegamento a Internet con wi-fi e audio conferenza. Giorgio si accomodò sulla pedana prese il microfono. «L’oro come sapete si trova nel bunker della villa di Carlos, l’intenzione era quella di depositarlo nella banca Vaticana, ma dopo la morte di Beatrice e l’intervento di Roberto presso un cardinale, ho ritenuto più prudente soprassedere e attendere.» «Cosa possiamo fare?» disse uno dei presenti. «L’oro del Duce fu cercato in ogni angolo del nord d’Italia, nei laghi, nei fiumi, nelle grotte. Sono state elaborate mille ipotesi e mille teoremi, senz’arrivare a nulla di concreto. Io una soluzione l’avrei trovata.» Un momento di attesa, poi riprese: «Far ritrovare l’oro facendo credere che era rimasto in quel luogo per tutti questi anni.» «Mi sembra un’operazione pericolosa e difficile da credere, tutto quell’oro nascosto per più di sessant’anni, ma chi ci crederà?» disse Marco. «Se avrete fiducia in me, tutto andrà per il meglio e quell’oro ci aiuterà a creare un Governo che guiderà il Paese per moltissimi anni.» Tutti i presenti annuirono e applaudirono. «Hai la nostra piena fiducia.» disse Marco. Chiuso il capitolo oro, passò ad altri argomenti che riguardavano le loro società, bilanci, acquisizioni, dismissioni, prospettive di crescita e dividendi. Alle otto di sera la riunione terminò e tutti ritornarono nel salone, dove lo chef aveva fatto preparare uno spuntino: insalatina di polpo con verdure, bocconcini di coda di rospo con carciofi e crocchette di gamberi, vino gran toscano bianco, trecò frizzante e qualche bottiglia di cartizze. *** 26 aprile 1945. A Menaggio ,nella notte, giunse un convoglio militare tedesco in ritirata diretti a Merano attraverso il passo dello Stelvio. Mussolini con i gerarchi fascisti e le rispettive famiglie al seguito, decisero di aggregarvisi. La colonna appena fuori Musso, venne fermata ad un posto di blocco delle Brigate Garibaldi; dopo una breve sparatoria, e in seguito a lunghe trattative, i tedeschi ottennero il permesso di poter proseguire a condizione che venisse effettuata un’ispezione. Mussolini , su consiglio del capo della sua scorta, indossò un cappotto e un elmetto da sottufficiale della Wehrmacht, occultandosi in fondo al pianale, vicino alla cabina di guida. Verso le ore quindici del 27 aprile ,venne riconosciuto ed arrestato dal vicecommissario di brigata che lo accompagnò nella sede comunale, dove gli venne sequestrata la borsa in suo possesso. L’ufficiale partigiano chiamato Beppe prese in consegna la borsa e partì per Milano, con il compito di consegnarla personalmente al comandante del CLN. Arrivato a Menaggio invece di proseguire per Como deviò per Porlezza, alla periferia del paese svoltò in una stradina che portava verso il casale dei Molin, che era deserto poiché i proprietari si erano rifugiati in montagna. Scese dalla macchina, andò nel fienile si sedette su una balla di fieno e aprì la borsa. Era piena di documenti battuti a macchina e fogli scritti a mano dal Duce in persona, scorse tutti i fogli, il tempo era tiranno, allora prese solo quelli scritti da Mussolini e li infilò in uno zaino. Prese una cassetta di legno che trovò nel fienile e vi ripose lo zaino al suo interno. La chiuse con un coperchio e per maggior sicurezza con un martello e dei chiodi la sigillò. Si guardò intorno per cercare un posto sicuro dove nasconderla. Sulla sua destra dietro alcuni attrezzi, vide una rientranza nel muro, controllò se era grande abbastanza da contenerla. Era della misura giusta. Prese la cassetta e la spinse nel foro, coprendo il tutto con della paglia. Si alzò, arretrò di una decina di passi e controllò se si vedeva, soddisfatto del nascondiglio se ne andò. Dopo un’ora era a Menaggio, svoltò verso Como per poi dirigersi verso Milano. Arrivò prima di mezzanotte e consegnò la borsa. Erano passati già diversi mesi dalla fine delle ostilità, quando Beppe decise di andare presso il presidio militare americano di Como. Il comando USA si trovava in una villa di fronte al lago che era stata requisita ai legittimi proprietari, ritenuti fascisti militanti. Superò il cancello e salì la scalinata che portava all’ingresso. Al piano terra c’era un andirivieni di militari, si guardò in giro e alla sua destra vide una scrivania sulla quale c’era scritto “informazioni” si avvicinò e al caporale gli chiese: «Avrei bisogno di parlare con un vostro ufficiale». «Per quale motivo?» «Sono un ex comandante partigiano e ho informazioni importanti da fornirgli.» «Su cosa?» «Su dei documenti riservati.» Lo fece accomodare in un ufficio del primo piano. In attesa, Beppe ripassò a mente cosa doveva dire, quando sentì aprirsi la porta si alzò in piedi. «Comodo, comodo,» gli disse il capitano in lingua italiana ,«mi hanno riferito che aveva informazioni su documenti riservati?» «Sì, mi chiamo Beppe ed ero il comandante di una brigata partigiana che ha partecipato alla cattura di Mussolini.» Il capitano si fece più attento. Beppe proseguì: «Posso fornirvi importanti informazioni sui documenti contenuti nella borsa del Duce.» «Da informazioni in nostro possesso i documenti sono stati consegnati al CLN?» Disse il capitano. «Non tutti? Quelli scritti dal Duce sono in mano mia!» Il capitano lo guardò perplesso. «È stato lei a consegnare la borsa con i documenti?» Disse sorpreso. «Sì, sono stato io!» Non sapeva cosa pensare, si erano già presentati altri partigiani spacciando documenti falsi per veri, ma in tutti i casi, valeva la pena approfondire. «Attenda un attimo, vado a chiamare il mio superiore.» Passò circa mezzora prima che ritornasse il capitano, stavolta accompagnato da un altro militare. «Sono il colonnello Ernesto dell’Office Of Strategic Services, spionaggio americano, il capitano mi ha spiegato che lei è in possesso di documenti scritti dal Duce?» «Sì.» «E perché li volete consegnare a noi?» «Penso, che per averli, sareste disposti a pagare una notevole somma!» «Chi le dice che noi pagheremo? Potrei farla arrestare e consegnarla ai carabinieri?» «Certo è un rischio che ho valutato venendo qui. Ma i documenti andrebbero persi o trovati da altri che potrebbero renderli pubblici!» «Lei li ha letti?» «Velocemente, ma abbastanza da capire che se i contenuti venissero divulgati, alcune persone del governo inglese e americano, sarebbero travolti dallo scandalo e rischierebbero di essere incriminati per alto tradimento.» I due militari americani rimasero in silenzio per alcuni secondi, poi il colonnello Ernesto disse:«Ci faccia avere una prova di quello che afferma?» Beppe prese un foglio dalla tasca e lo passò all’americano. L’ufficiale lo guardò attentamente: «Dovremo fare una verifica ci faremo sentire noi. Ci dica dove la possiamo rintracciare.» «Mi troverete ogni domenica alle ore undici a Messa nella chiesa Santi Agostino e Antonino in piazza Amendola a Como.» Passò più di un mese e nessuno si mise in contatto con lui, aveva già perso la speranza quando una domenica mentre si stava recando in chiesa con la famiglia, fu avvicinato da una persona che gli disse: «Un amico mi ha detto di consegnarti questa lettera.» E se ne andò. La prese e la mise in tasca. «Chi ti ha mandato quella lettera?» Disse la moglie. «Non sono affari tuoi.» Gli rispose e si avviarono verso la chiesa. Rientrato a casa, aprì la busta e lesse la lettera. «L’aspetto domattina alle dieci nel parco vicino al lago, sarò seduto sulla panchina di fronte al chiosco dei gelati.» Era eccitatissimo già si vedeva con una montagna di soldi da spendere: «Chiederò dieci milioni, no di più, quindici.» Pensava a voce alta. «Mi comprerò una casa, un negozio, una macchina.», «Certo dovrò cambiare città, ma cosa importa, sarò ricco.» Alle nove era già al parco era una giornata piovosa e c’erano poche persone, si sedette su una panchina lontana un centinaio di metri da quella dove era in attesa l’ufficiale americano. Aveva portato con sé un binocolo e senza farsi notare scrutava a destra e a sinistra ma oltre al militare seduto davanti al chiosco non vide altro di strano, si tranquillizzò, non era una trappola. Aspettò ancora qualche minuto si guardò di nuovo intorno e non notando niente di particolare, s’incamminò verso la panchina. «Buongiorno colonnello.» Disse Beppe, «Buongiorno comandante, si accomodi.» Mentre si spostava per fargli posto, «il materiale che lei mi ha fornito è risultato autentico, siamo interessati al resto.» «Parliamo di cose concrete, cosa sareste disposti a pagare?» «Mi faccia lei una proposta?» «Voglio quindici milioni di lire in contanti.» «È una cifra importante? Non mi posso impegnare personalmente, devo sentire i miei superiori. La contatterò io.» Si alzarono e si allontanarono in direzioni diverse. Quella notte non riusciva a dormire, continuava a rigirarsi nel letto e pensava: «Devo recuperare i documenti? O, prima concludere l’accordo? E se qualcuno scopre il nascondiglio? E se ritornano i contadini? Non so cosa fare? Forse è meglio recuperarli e nasconderli in casa? Ho deciso! Domani andrò a prenderli.» Si alzò di buon mattino, fece colazione con la moglie. «Devo assentarmi per qualche ora, non aspettarmi per pranzo.» «Dove devi andare?» Chiese lei. «Devo fare un lavoro per Bruno.» «Suo cugino Bruno?» La moglie restò interdetta. «Ma se non si parlano da mesi per questioni di eredità?» Pensò, ma non insistette, erano giorni che era nervoso e intrattabile, c’era qualcosa che lo tormentava, si ripromise di parlarne quando sarebbe rientrato. Scese nel cortile salì sulla moto e partì. Prima di avviarsi verso Porlezza si fermò alla posta, che si trovava alla periferia di Como e inviò una lettera a se stesso. Dopo due ore era al casale dei Molin, lasciò la moto appoggiata ad un albero e a piedi si avvicinò al podere, per verificare se nel frattempo non fossero tornati i proprietari, ma per sua fortuna la cascina era ancora disabitata. Entrò nel fienile e con il cuore in gola si avvicinò al punto del muro, dove aveva nascosto la cassetta con i documenti. Tirò un sospiro di sollievo, quando vide che era al suo posto e nessuno l’aveva toccata. Prese la cassa e con un martello schiodò il coperchio. Lo zaino era al suo posto. Verificò se i documenti si erano ben conservati, non si sa mai con tutta quella umidità? Erano tutti integri, richiuse lo zaino e se lo mise sulle spalle. Una voce con accento americano lo fece sobbalzare. «Comandante, posi lo zaino e non faccia mosse false!» «Mi hanno seguito? Accidenti. Dovevo prevederlo? Sono un imbecille? Ora cosa faccio?» Pensò Beppe. «Non lasceranno testimoni? Mi uccideranno? Devo tentare il tutto per tutto!» Con un balzo saltò la balla di fieno e si accovacciò dietro di essa, prese la pistola che teneva nel giubbotto e sparò in direzione della voce, sentì un grido. «Un testa di cazzo in meno.» Disse tra sé. Incominciò il finimondo, gli americani aprirono il fuoco con le armi automatiche, non aveva scampo era circondato, tentò il tutto per tutto, uscì allo scoperto correndo verso l’uscita, sparando a casaccio, fu colpito tre volte, cadde a terra con la faccia sul terreno. «La felicità era così vicina.» Pensava, mentre nella sua mente scorrevano le immagini della vita trascorsa. L’ultimo pensiero fu per la moglie, poi il buio della morte. «Prendete lo zaino e andiamocene.» Disse il colonnello dell’OOSS. «Il partigiano lo lasciamo qui?» «Sì, prima che lo trovino passerà parecchio tempo. Pulite tutto, non lasciate tracce che possano portare a noi.» Era notte quando la moglie, non vedendolo rientrare, andò alla stazione dei carabinieri per denunciarne la scomparsa. Lo trovarono un paio di mesi dopo i contadini, che nel frattempo erano ritornati nel casale. Non si scoprì mai da chi fu ucciso. *** Giorgio, dalla finestra del suo ufficio al quindicesimo piano, guardava assorto il panorama di Milano. Vedere Milano dall’alto era un’esperienza mozzafiato, si potevano cogliere particolari che sfuggivano quando si cammina per strada, come le terrazze con piscina, i giardini e tanto verde. Se il cielo era limpido si poteva ammirare la catena montuosa delle alpi, coperte ancora di neve. Faceva sempre fatica staccarsi, era così bella la sua Milano. A malincuore si girò e si accomodò sulla poltrona. L’ufficio in un elegantissimo palazzo in pieno centro, aveva un’estensione di settantacinque metri quadri, una parte era arredata con mobili antichi che erano appartenuti al nonno, come la scrivania del primo novecento, in mogano con filettature in legni chiari, con ai lati due pianetti a scomparsa. Sul lato destro, una coppia di armadi veneti della seconda metà del settecento e alla sua sinistra due cassettoni della prima metà dell’Ottocento. La rimanente parte dell’ufficio era invece arredata in stile moderno, un tavolo per riunioni in cristallo, con dodici sedie in pelle bianca che si abbinava ai mobili sempre di colore bianco, infine una parete era dedicata alla libreria lunga dieci metri e alta due. Si era appena accomodato, che il telefono interno incominciò a suonare, era la sua segretaria. «Sì, mi dica?» «Dottore, mi scusi, le ricordo l’appuntamento telefonico con il senatore Tyler.» Prese il telefono criptato e fece il prefisso e il numero dell’ufficio : «Ciao , sono Giorgio, ti posso disturbare?» «Dimmi tutto, sono a tua disposizione.» «Avrei bisogno delle informazioni sui documenti scritti da Mussolini e sequestrati durante il suo arresto?» «Ma dovrebbero essere in nostro possesso?» «Sì, ne sono sicuro, nel 1945 un comandante partigiano detto “Beppe” trafugò, dalla borsa sequestrata al Duce, dei documenti che nascose in un casale.» «E come sarebbero arrivate a noi?» «Furono presi da agenti americani, quando Beppe andò a recuperarli.» «E Beppe?» «Fu ucciso nello scontro a fuoco che ne scaturì.» «Ma tu, come fai a sapere che le cose siano andate veramente così?» «È una lunga storia se vuoi te la posso raccontare?» «Sì, mi interessa e al momento non avrei nessun impegno.» Giorgio iniziò il racconto: «Beppe prima di andare a Porlezza nel casale dei Molin, si fermò in posta dove inviò una lettera a se stesso, la quale diceva: «Cara moglie se stai leggendo questa lettera vorrà dire che sono morto. Ho tradito la fiducia dei miei compagni ma non mi pento, ho rischiato la vita per la libertà e quando arrivò il momento di raccogliere i frutti, i miei ” cari” compagni mi hanno dato un calcio nel sedere dicendomi che il mio compito era finito e non avevano più bisogno di me. Per questo motivo quando mi hanno incaricato di portare la borsa del Duce a Milano ho pensato che poteva essere la mia giornata fortunata. Ho preso dalla borsa dei documenti scritti di suo pugno e li ho nascosti in un casale, con l’intenzione di venderli agli americani. Oggi ho deciso di andare a recuperarli, ma ho un brutto presentimento. Di questa lettera fanne quello che ritieni giusto. Ti amo amore mio. Beppe.» «E la moglie cosa ne fece della lettera?» Chiese il senatore. «La tenne per sé, aveva paura di ritorsioni da parte dei partigiani.» «Non capisco? Se la tenne per sé? Come avete avuto queste informazioni?» «In due modi. Dopo la morte del marito, fu costretta a cercare lavoro e si mise in contatto con sua cugina, che lavorava come domestica da mio nonno, che l’assunse in cucina. Dopo qualche anno si ammalò gravemente e dopo qualche mese morì. Una nostra domestica nel riordinare la sua stanza, trovò la lettera e la consegnò a mio nonno.» «Hai detto che le informazioni le avete ricevute in due modi?» «Sì, è vero. Mio nonno era già stato informato dal colonnello Ernesto, che avevano trovato i diari di Mussolini e gli inviò una copia. Diciamo che era la conferma delle sue parole .» «Sono stupefatto, sembra la trama di un film, se non fosse una tragica storia vera.» «Veniamo alla mia richiesta. Avrei bisogno di alcuni fogli del diario di Mussolini, solo quelli che fanno riferimento al carico d’oro, arrivato alla prefettura di Milano?» «Perché non tutti?» «Quando li leggerai concorderai con me, che non è ancora il momento di rendere pubblici i rapporti che ci sono stati fra anglo americani e i fascisti!» «Capisco. Oggi stesso parlerò con il vicepresidente, ti richiamerò appena li avremo trovati.» Giorgio riappese il telefono e fece l’interno della sua segretaria. «Per favore chiami Carlos e me lo passi sulla linea riservata.» Dopo alcuni minuti il telefono squillò. «Dottore le passo Carlos.» «Ciao, dovresti andare nella zona di Porlezza e trovare un casolare dove, verosimilmente, possa essere stato nascosto per più di sessant’anni tutta quella quantità di oro e cercarmi un professionista per falsificare dei documenti.» «Domani mi sposterò in zona e cercherò di trovare il casale che fa al caso nostro, per quanto riguarda il falsario non ci sono problemi, conosco il migliore.» «Ti ringrazio, tienimi aggiornato.» Chiusa la telefonata attivò l’apparato di audio conferenza, che in automatico lo mise in contatto telefonico con i capogruppo. Accertato che tutti erano in collegamento iniziò: «Signori domani sarà il giorno della terza votazione per la modifica alla Costituzione e come saprete, deve passare con la maggioranza assoluta dei voti, non voglio sorprese!» «Signori, i nostri Parlamentari hanno ottenuto che la votazione avvenga con scrutinio segreto e non ci saranno sorprese.» Disse uno dei capogruppo. «Bene me lo auguro.» Soddisfatto chiuse la comunicazione. *** Al Senato erano le sei del pomeriggio quando l’ultimo dei parlamentari passò sotto il baldacchino per la votazione. I commessi vuotarono il contenitore con i fogli dei voti, i quali venivano passati al presidente che ad alta voce leggeva quello che c’era scritto: «Sì, sì, sì, no, nullo». E così via. A un certo punto del conteggio scattò l’applauso, si era superata la maggioranza. Il presidente cercò di riportare l’ordine, la conta dei voti non era finita, dopo qualche minuto ritornò la calma e si continuò. Arrivò l’ultimo foglietto. In attesa dei risultati finali, il presidente cercava di calmare i senatori. Era una bagarre, dai banchi volava di tutto e la situazione peggiorò quando il presidente comunicò i risultati. Non solo avevano superato la maggioranza ma risultò che c’erano stati almeno trenta franchi tiratori. Lo scontro fisico fu scongiurato a fatica e al grido di venduti e fascisti, terminò la terza votazione a favore della modifica costituzionale. *** Carlos e Dimitri lasciarono la villa alle sei, dovevano percorrere 370 chilometri di autostrada per arrivare a Como, e un’altra cinquantina per arrivare a Porlezza. La cittadina si affacciava sul lago di Lugano ed era circondata da verdi montagne, un paesaggio splendido. Arrivarono prima di mezzogiorno. Seguendo le indicazioni di un villeggiante andarono all’albergo Del Re, che si trovava di fronte a tre laghi, un posto incantevole. Portati i bagagli in camera ed espletate le formalità con l’impiegato della reception, si misero subito alla ricerca del casale. Ritornarono poco prima della cena, senza aver concluso nulla. Erano talmente stanchi che si accontentarono di un panino al bar, per poi si ritirarsi nelle loro stanze. Ripresero le ricerche di buon mattino, uscirono da Porlezza e presero la statale undici, diretti al paese di Corrido, dopo alcuni chilometri notarono un cartello “vendesi cascinale” con una freccia che indicava la strada da seguire. Si fermarono, fecero retromarcia e svoltarono nella via non asfaltata che si inoltrava nella campagna, in lontananza videro il casale. Un cancello ne sbarrava l’ingresso , la rete metallica che circondava la proprietà era in molti punti rotta e a terra. A prima vista sembrava tutto abbandonato, decisero di entrare. Cautamente si avvicinarono alla casa padronale che era stata costruita su una collina e sembrava ancora in un buono stato di conservazione. A qualche centinaio di metri si trovavano le due stalle e un fienile, queste erano in cattivo stato e in parte diroccate. Decisero di ispezionare il fienile, che aveva una dimensione di circa cento metri quadri. Aprirono la porta di legno con precauzione, il rischio che cadesse a pezzi era reale. Avanzando con cautela cominciarono a esplorarlo. Sulla destra c’era una specie di cantina che conteneva centinaia di bottiglie vuote e coperte da ragnatele. Il resto del pavimento era disseminato di attrezzi coperti da ruggine e un paio di piccole macchine agricole. Niente d’interessante, decisero di uscire e passare alle stalle. Quando si stavano avviando all’uscita, videro uscire un gatto da un grosso foro sul pavimento. Si guardarono negli occhi e ritornarono indietro incuriositi. Con una scopa, pulirono il pavimento e notarono che la superficie, due metri per due, vicino al foro, era di qualche centimetro più basso rispetto a tutto il resto. Accesero una torcia illuminando l’apertura e si accorsero che sotto era vuoto. Trovarono una spranga di ferro, che usarono come leva e facendo pressione sulla fessura cercarono di sollevarla. Nonostante gli sforzi non si muoveva e dopo diversi tentativi rinunciarono. Sudati guardarono con più attenzione la botola, ma non c’era nulla per aprirla, nessun gancio, nessuna serratura. «Ci dovrebbe essere un meccanismo per aprirla» disse Carlos, ma non videro nulla. «Diamo un’occhiata in giro?» disse Dimitri. Con la torcia illuminarono le pareti ma c’erano solo dei ganci distanziati un metro uno dall’altro. Probabilmente servivano per appendere degli attrezzi. Uno di questi attirò la loro attenzione. Sporgeva dal muro qualche centimetro in più rispetto agli altri ed era più levigato. Si avvicinarono e Carlos provò a girarlo e tirarlo, ma non successe nulla. Usò più forza e il gancio cominciò lentamente a scorrere in avanti, quando uscì di qualche centimetro, sentirono un rumore sotto il pavimento, come se si fosse sbloccato un ingranaggio. Ripresero la spranga e stavolta la botola si aprì, sotto si apriva un locale . Ancorata alla parete si trovava una scala in ferro, che permetteva la discesa fino al pavimento sottostante. Carlos una volta sul fondo illuminò la stanza di circa sedici metri quadrati e alta due. Di fronte a lui si trovava una rastrelliera con una decina di fucili mitragliatori, una ventina di pistole, proiettili d’ogni tipo e alcune casse di legno contenenti bombe a mano. Il tutto era risalente alla seconda guerra mondiale. Lo stato di conservazione era pessimo. Da una prima verifica constatarono che erano lì da almeno sessant’anni. «Dimitri, sigilliamo tutto e fai venire i tuoi uomini per la sorveglianza.» «Ok. » «Bene rientriamo!» Arrivati a Porlezza decisero di fermarsi in un bar. Seduti al tavolino del bar Stella, davanti al lago, sorseggiavano la birra fresca e mentre parlavano della giornata trascorsa, Carlos notò la targa sul cancello della casa di fronte “ RESIDENZA BARDOLF”. «Dimitri questa casa è in vendita e guarda chi era il proprietario?» Dimitri si alzò e lesse la targhetta. «Bardolf. Lo conosci?» «È un nome che ho già sentito da Giorgio, adesso lo chiamo!» «Ciao Giorgio, siamo a Porlezza, il nome Bardolf ti dice qualche cosa?» «Certo, comandava un plotone tedesco con il compito di presidiare l’aereo che doveva trasportare il Duce in Germania, poi l’aereo fu usato dal plotone La Rosa Nera, perché questa domanda?» «Potrebbe essere il proprietario di una casa qui a Porlezza.» «Mi informo. E per il casale?» «Forse abbiamo trovato quello giusto?» «Bene ci sentiamo più tardi.» Nel tardo pomeriggio il telefono di Carlos squillò, era Giorgio. «Dalle informazioni avute , il colonnello Bardolf dopo la guerra si trasferì a Porlezza e si sposò con una donna del luogo. È deceduto due mesi fa.» Decisero che il giorno dopo avrebbero fatto visita alla vedova. Si presentarono in tarda mattinata e furono accolti da una signora novantenne molto arzilla: «Buongiorno, siete venuti a vedere la casa?» «Sì, signora, saremmo interessati all’acquisto.» «Accomodatevi, vi faccio strada.», «incominciamo dal primo piano, l’arredamento è formato da mobili antichi, mio marito ne era affascinato.» «Accidenti varranno un capitale.» Pensò Dimitri «Al piano terra si trova la cucina e la sala da pranzo, adesso se volete possiamo scendere nella cantina , vi voglio far vedere la libreria di mio marito , contiene centinaia di diari sulla sua vita.» L’accenno a diari scritti da lui destò il loro interesse. «Signora, la casa potrebbe fare a caso nostro.» «Bene, questo è il numero dell’avvocato che cura i miei interessi, io domani parto per l’Argentina, dove mi attende mia sorella.» «La ringrazio e faccia buon viaggio.» «Per lo sgombero volete che ci pensi l’avvocato a chiamare l’agenzia?» «Preferiremmo pensarci noi.» «Meglio così, parto più tranquilla.» Dimitri, mentre Carlos distraeva la vedova, prese dalla libreria i diari con scritto “anno 1945”. Una volta usciti chiamarono Giorgio. «Ciao, abbiamo visitato la casa, penso faccia a caso nostro.» «Ok, a chi mi devo rivolgere per l’acquisto?» «Ti mando un sms con il numero dell’avvocato.» Il giorno dopo l’avvocato Lukas di Zurigo si mise in contatto con l’avvocato dei Bardolf e concordarono il prezzo d’acquisto e nel primo pomeriggio era già stato fatto il versamento dell’anticipo. *** Chiavenna, 23 aprile 1945. Il colonnello Bardolf, dopo aver fatto caricare la cassa d’oro avuta da Giuliano su una delle due autoblindo, lasciò l’aeroporto di Chiavenna. Al suo comando c’erano undici uomini desiderosi di far ritorno in Germania. Prima però dovevano portare l’oro al sicuro, non avevano nessuna intenzione di consegnarlo, lo ritenevano un risarcimento per la loro dedizione alla causa del Fuhrer e anche perché sarebbe stato difficile spiegarne la provenienza. Decisero di tornare a Porlezza, sequestrare una barca e portare la cassa in Svizzera. E così fecero. Sulla barca sequestrata a dei pescatori furibondi, che non avevano nessuna intenzione di consegnarla, salirono il colonnello e un sergente. Prima di partire si erano tolti la divisa e indossarono abiti civili. Avviarono il motore e si diressero verso il porticciolo di Gandria. La fortuna era dalla loro parte, non incontrarono nessuno. Mentre il sergente ormeggiava, Bardolf scese ed entrò in un alberghetto e chiese di fare una telefonata. «Ciao cugino sono Bardolf, avrei bisogno del tuo aiuto?» Suo cugino era un capitano dei servizi segreti tedeschi in missione a Zurigo. «Ma dove ti trovi? Ti credevo in Germania.» «No, sono in Svizzera, ho bisogno di depositare una cassa in una banca.» «Ti vuoi mettere nei guai? Di cosa si tratta?» «Meno ne sai meglio è, sappi che il tuo aiuto sarà ricompensato bene.» «Ti mando un mio uomo che ti accompagnerà nella banca, attendi lì, ci vorrà un po’ di tempo, devo fare parecchie telefonate, accidenti a te.» Dopo due ore Bardolf, che aveva atteso seduto su una panchina lontano dalla strada, vide avvicinarsi un’auto con targa diplomatica. L’uomo alla guida scese e lo guardò. «Siete il colonnello Bardolf?» «Sono io.» «Ho l’ordine di scortarla alla Credit Swiss a Lugano e poi riportarla indietro.» «Sergente, carichiamo la cassa nel baule, presto.» Arrivati davanti alla banca attesero che il cancello laterale venisse aperto, scesero nel garage dove era ad attenderli il Direttore: « Sono stato informato del deposito! Scendiamo nel caveau.» Era pomeriggio quando il colonnello salì di nuovo sulla barca : « Sergente andiamocene il pacco è al sicuro.» Per i soldati rimasti in attesa il tempo non passava mai e cominciavano a preoccuparsi. «Come mai tutto questo tempo?» Disse uno di loro. «Speriamo sia andato tutto bene. Se venissero sorpresi sarebbero arrestati subito come spie.» Disse un altro. «Io mi fido ciecamente del comandante, vedrete che ritornerà sano e salvo.» Poi sentirono un rumore in lontananza, uno dei militari prese il binocolo e lo puntò verso il lago. «Sono loro.» Gridò. I militari li salutarono entusiasti. Il sergente si avvicinò alla banchina e con una manovra perfetta la mise parallela al molo. Quando fu ormeggiata, il comandante scese e tutti si misero in fila sull’attenti salutandolo militarmente, «Soldati, tutto è andato bene. Possiamo andare.» Uno dei soldati tentò di replicare, ma fu zittito. «Soldati, so cosa volete sapere. Ne parleremo dopo.» Usciti dal paese si fermarono in un bosco per passare la notte. «Ora potete farmi tutte le domande che volete.» «Come faremo a riprenderlo?» disse uno dei militari, «per riprenderlo sarà necessario avere il codice segreto?» « Ho diviso l’oro in dodici parti ed ognuno di voi avrà il suo codice. Mi è sembrata la soluzione giusta.» Tutti annuirono. «Soldati, il dovere ci chiama, torniamo nella nostra amata Germania.» Il viaggio fu lungo e gli scontri a fuoco con i partigiani si susseguivano, l’obiettivo era raggiungere Berlino, per unirsi alla IV armata panzer. La battaglia di Berlino vera e propria iniziò il 25 aprile, quando le forze russe varcarono il canale Hohenzollern all’altezza di Plötzensee e iniziarono ad avanzare nei settori orientale e nord-orientale della città, scontrandosi con l’eroica resistenza opposta da elementi della IX divisione Paracadutisti del Reich nell’area industriale a cavallo fra l’Invalidenstrasse e la stazione Stettiner. Contemporaneamente, nel settore meridionale della città, l’VIII Armata delle Guardie e la I Armata Guardie corazzate si impadronivano dell’aeroporto di Tempelhof, dopo aver messo in rotta le formazioni della Hitlerjugend che lo difendevano assieme a reparti della difesa contraerea e della Muncheberg. Il 27 aprile cadde l’aeroporto di Gatow. Violentissimi combattimenti, con perdite enormi da entrambe le parti, infuriavano intanto alla stazione di Anhalt e sull’Alexanderplatz dove, tra le macerie dei capisaldi e le buche di granata, un pugno di SS agli ordini dello Standartenführer Hans Kempin resisteva ancora, appoggiato dagli ultimi carri del 29º reggimento Panzer . A Berlino il plotone del colonnello Bardolf non arrivò mai, furono sorpresi dalle truppe americane nei pressi di Torgau, ogni tentativo di reazione sarebbe stato vano, decisero di arrendersi senza opporre resistenza. Vennero disarmati e inviati nelle retrovie, dov’erano stati installati dei campi di concentramento. Dalla fine della guerra, passò ancora un anno prima che il colonnello ritornasse in libertà. Tornò a Berlino per unirsi alla sua famiglia, ma scoprì, che erano tutti morti sotto i bombardamenti alleati. Non aveva più legami con la sua patria. Decise di ritornare in Italia e stabilirsi a Porlezza. Sposò un’Italiana che aveva conosciuto nell’albergo dove aveva soggiornato. Con il ricavato della vendita dell’oro comprò una casa, un albergo e alcuni terreni, morì in pace alla veneranda età di novantasette anni. *** Non mancava molto alla quarta e ultima votazione per la modifica della legge costituzionale e se tutto procedeva come preventivato, l’Italia sarebbe diventata una Repubblica Presidenziale. Era venuto il momento di creare un movimento politico, ufficialmente di centro destra, ma con connotati marcatamente di destra, da affiancare ai partiti che sostenevano il Premier. Le persone che facevano parte del vertice della società segreta, a parte Marco presidente del Consiglio, non potevano comparire in questo movimento per evidenti motivi di segretezza. Decisero che i dirigenti del movimento, dove Marco ne sarebbe diventato il presidente, fossero i capogruppo. La società segreta aveva sedi in tutta Italia, bastava poco farle diventare anche sedi del movimento. Giorgio in audio chiamò tutti i capogruppo, i direttori dei due giornali e l’amministratrice delle cinque televisioni. Per comunicare a loro la creazione del movimento chiamato “LA NUOVA ITALIA” e cosa dovevano fare per renderlo noto alla gente. Il giorno dopo in edicola i giornali uscirono con titoloni in prima pagina “NASCE IL MOVIMENTO POLITICO DEL PREMIER CHE SI CHIAMERÀ LA NUOVA ITALIA”, nelle televisioni si ripetevano a ritmo incalzante le interviste al Premier e ai nuovi dirigenti che illustravano il loro programma, una volta vinte le elezioni. “ Diminuzioni delle tasse, tutti contratti di lavoro a tempo indeterminato, le nuove assunzioni esentasse per cinque anni, le nuove società per cinque anni con tasse stabilite a priori senza altri balzelli, ripresa delle grandi opere, mutuo sociale, ridiscutere con l’Europa il patto di stabilità, oppure uscire dall’euro e ritornare alla Lira, adeguamento delle pensioni al costo della vita”. Un vero putiferio, i giornali e le televisioni avverse bollavano il tutto come populismo, un golpe della destra e paventavano un nuovo ventennio di dittatura. Ma i sondaggi davano in aumento il gradimento verso il premier e al governo. Mancava il colpo finale e poi era fatta. *** «Dottor Giorgio il senatore chiede di lei» disse la segretaria. «Sì, me lo passi sulla linea riservata.» «Ciao Giorgio ho sul mio tavolo i documenti scritti dal Duce. Li ho letti e concordo con te, che non è ancora il momento di divulgarli, quali sono quelli che ti interessano?» «Sono una decina di pagine, dove scrive dei suoi presentimenti sulla sua fine imminente, di quello che avrebbe voluto fare ma non ha potuto e dell’oro che ha consegnato al comandante Alberto.» «Ma nei documenti scrive che l’oro andava portato a Como e che fosse difeso, fino al suo arrivo?» «Ma non andò così? Il comandante Alberto aveva un altro progetto? Tenerselo per sé?» «Già, ma gli è andata maluccio» disse ridendo, «ok, prendo le pagine che ti servono, faccio una fotocopia e gli originali, tra un paio di giorni saranno sulla tua scrivania.» «Ti ringrazio, ti devo un favore.» «Uno solo?» «Diciamo più di uno?» fece Giorgio riappendendo il telefono. Chiamò Carlos. «Puoi ritornare alla villa, ti vengo a trovare settimana prossima e ti spiegherò il mio piano.» «Ok, ti aspetto.» «Scusa un’altra cosa, sai se il colonnello aveva documenti scritti di suo pugno?» «Sì, teneva il resoconto scritto della sua vita su dei diari. Abbiamo quelli riguardanti l’anno 1945.» «Magnifico.» Il ritorno alla villa dopo una missione gli aveva sempre procurato una sensazione di benessere, di felicità. Contava i minuti che mancavano all’arrivo e mentalmente organizzava quello che intendeva fare nei giorni successivi. Ma perché ora non era così? Perché non era felice? Perché quell’oppressione alla bocca dello stomaco? Quanto doveva ancora passare prima che il dolore per la morte di Beatrice diminuisse, forse mai? «Carlos, come sei pensieroso? Non hai detto una parola, vuoi guidare?» Disse Dimitri «Scusami, ma non me la sento.» «Lo sai cosa facciamo stasera? Andiamo a Livorno a divertirci.» «Grazie Dimitri, ma non è ancora il momento.» «Scusa se te lo dico, ma non puoi continuare così. La vita continua, lei non tornerà più, fattene una ragione!» «Lo so Dimitri, lo so. Dammi tempo?» «Ok, riposati, manca ancora un paio d’ore all’arrivo.» Erano tornati da un paio di giorni che la monotonia si stava impadronendo di Carlos, terminata la palestra, raggiunse Dimitri al poligono di tiro. «Ciao, stasera ceniamo al ristorante “la cambusa” di Livorno, ho voglia di uscire?» «All’ora sarò costretto a farmi la doccia?» disse ridendo. La serata passò allegramente fra portate di pesce e cartizze, era da tanto tempo che non lo vedeva così allegro e tra sé pensò: «Era la prima volta che non parlava di Beatrice, buon segno.» *** Giorgio in elicottero si stava dirigendo alla villa, quando mancava una mezzora decise di chiamare Carlos. «Ciao, sono in arrivo, chiedi a Teresa se mi prepara il Cacciucco alla Livornese, quello con due C.» Si dice che la caratteristica che distingue il Cacciucco alla Livornese dalle altre zuppe, sta nel fatto che non è una zuppa ma bensì una pietanza: è un umido di pesce. «Ok, avviso Teresa, sarà entusiasta» disse ridendo. Erano le due del pomeriggio quando si alzarono dal tavolo. «Complimenti Teresa, perché non vieni a Milano?» «Dottore, mi piace la campagna, la città mi fa paura.» E si allontanò sorridendo. «Peccato!» «Ma sei venuto per lavorare o per portarmi via la “cuoca”?» disse scherzando. «Hai ragione, dove ci accomodiamo?» «Andiamo nel bunker.» Andarono nell’archivio, si sedettero intorno a un tavolo e Giorgio chiese: «Una domanda Carlos? Il falsario è affidabile?». «La falsaria?» Disse. «Falsaria? Non me l’avevi detto?» «È succeduta al padre quando è deceduto e posso affermare che l’allievo ha superato il maestro.» «Vedo che la conosci bene?» Disse tra il sospettoso e il divertito. «La conosco da molti anni, è anche una bella donna» disse con sufficienza, ma il rossore di imbarazzo tradiva il suo stato d’animo. «E come si chiama?» Disse Giorgio divertito. «Elisabetta?» «Bel nome? Ora parliamo di lavoro: deve falsificare alcuni documenti riconducibili al Duce, modificare il diario del colonnello, nella parte riguardante l’oro e infine modificare un rapporto dei Repubblicani.» «E cosa deve scrivere?» «Questo?» E gli passò una cartella che conteneva i documenti originali e quello che doveva scrivere. Una seconda cartella conteneva una cinquantina di fogli bianchi dell’epoca con l’inchiostro che avrebbe dovuto usare, il quale aveva la struttura chimica di quello in uso nel 1945. Non aveva lasciato niente al caso, non dovevano esserci dubbi sull’autenticità di quei documenti. «Hai tutto il necessario per procedere. Una cosa, lo sapete chi ha ereditato il podere?» «No?» «Il senatore Guglielmo?» «È un bene?» «Forse abbiamo fatto centro, senza volerlo?» Disse Giorgio. «Ok, vado a telefonare a Elisabetta.» Si spostò in sala Trasmissioni alzò il telefono e fece il numero telefonico, dopo tre squilli una voce sensuale rispose: «Sono Elisabetta dell’antiquariato Triburtino?» «Ciao, sono Carlos, avrei una cassa panca dell’ottocento da ristrutturare?» «Ciao, pensavo che ti fossi dimenticato di me? Non mi hai neanche chiamato per dirmi cosa era successo a Rosabella? Mi chiami solo quando ti servo per il tuo lavoro. Pensavo che contassi di più?» Restò senza parole, l’aveva sempre considerata solo un’amica. Non aveva capito che lei nutriva altri sentimenti nei suoi confronti. «Scusami, sono stato imperdonabile, ma ho passato mesi terribili e il mio solo pensiero era fuggire dalla realtà, capisci?» «Sì, scusami non avrei dovuto dirti queste cose, mi dispiace per Beatrice, era una brava persona.» «Niente, avremo tempo di parlarne.» «Ok, parlami della cassa panca?» La cassa panca era una parola in codice che usavano quando aveva bisogno di documenti o altro da falsificare. «Se sei libera, domani verrei da te con Dimitri per mostrartela?» «Domani va benissimo, è il giorno che tengo chiuso il negozio?» «A domani.» E chiuse la comunicazione. «Giorgio, domani possiamo andare a Roma.» «Tutto a posto?» Disse perplesso. «Tutto a posto!» fece Carlos. «Ok, domattina andate all’aeroporto di Lucca Tassignano, un jet privato vi porterà a destinazione. Adesso vi lascio, mi aspettano alla villa di Forte dei Marmi.» Elisabetta abitava a Roma vicino al centro città, in via Arco degli Acetari. L’abitazione disposta su due piani era stata ristrutturata dopo la morte del padre, al piano terra si trovava il negozio, dove si potevano ammirare i mobili d’antiquariato, quadri famosi e libri antichi. Al primo piano l’appartamento dove abitava, era arredato con mobili antichi e quadri appesi su tutte le pareti. Nel piano interrato cento metri quadrati di “laboratorio”, protetto da sistemi di allarme sofisticatissimi. Per entrarvi si doveva superare due accessi. Il primo si oltrepassava dopo il riconoscimento biometrico delle impronte digitali, per superare il secondo era necessario digitare un codice che cambiava ogni dieci secondi in sincronia con la chiavetta che aveva a disposizione. Se non veniva inserito, le saracinesche d’acciaio sarebbero scese, bloccando tutte le uscite. L’ultimo ostacolo era la porta blindata, che dava l’accesso al laboratorio, si apriva con chiavi brevettate difficili da duplicare, un vero bunker. Uno dei sistemi che si potevano usare per la contraffazione poteva essere il ricalco o quello a mano libera, ma nessuno di questi supererebbe una perizia grafica. Oggi computer e scanner rendono veloce la contraffazione del documento e per la stampa venivano usati speciali plotter che variando il flusso dell’inchiostro simulavano la pressione sulla carta. Nella tarda mattinata del giorno dopo un taxi si fermò davanti al civico venti di via Arco degli Acetari, mentre Dimitri pagava la corsa, Carlos schiacciò il campanello dell’abitazione di Elisabetta. «Carlos ben arrivato.» scese le scale a precipizio e abbracciò Carlos «felice di vederti, mi sei mancato.» «Anche tu.» disse Carlos, colto impreparato dalla manifestazione d’affetto. «Accomodatevi vi preparo un caffè?» «Vista l’ora direi di fare in questo modo: portiamo i documenti nel laboratorio, poi usciamo a pranzo e il pomeriggio lo usiamo per il lavoro, cosa ne dite?» «Direi che il tuo ragionamento non fa una grinza. Conosco un’hostaria tipica romana in zona Trastevere, fanno rigatoni alla paiata, la coda alla vaccinara, trippa, minestra di broccoli e arzina, c’è l’imbarazzo della scelta.» «Cosa aspettiamo?» disse Carlos. Erano le tre del pomeriggio quando, rientrarono nell’abitazione. Scesero le scale che portavano al laboratorio, Elisabetta appoggiò la mano sul dispositivo per le impronte digitali, inserì il codice e infine aprì la porta blindata. Si accomodarono nella sala riunioni. Carlos prese i documenti dalla cartelletta e spiegò a Elisabetta il lavoro che doveva fare. «Accidenti. Cose grosse?» Disse perplessa e preoccupata. «Ci sono problemi?» Disse Carlos. «Se intendi come lavoro di falsificazione, sicuramente no. Mi preoccupano le implicazioni?» «Cosa intendi dire?» «Questi sono gli originali scritti dal Duce? Questi diari sono stati scritti da un colonnello tedesco? E questo rapporto è stato scritto da un repubblichino nel 1945?» «Sì!» Carlos cominciava a innervosirsi. «Carlos, ci conosciamo da tempo. State cercando di modificare la storia. Volete cambiare la parte riguardante il trasporto dell’oro? Per non parlare del diario e del rapporto! Lo scopo non lo voglio sapere! Ho paura di saperlo. Farò il lavoro solo se ti impegnerai a proteggermi?» Carlos si rilassò. «Elisabetta non c’era bisogno che me lo chiedessi? Da questo momento sei sotto la nostra protezione.» «Bene, di te mi fido. Domani inizierò il lavoro.» «D’ora in avanti per metterti in contatto con me, dovrai usare la linea telefonica collegata all’apparato che Dimitri oggi ti installerà, non chiamarmi con altri mezzi.» «Va bene, quando partite?» «Stasera alle otto da Fiumicino.» Era l’una di notte quando entrarono nella villa, stanchi e affamati. «Dimitri, cosa ne dici, se prima di andare a dormire, facciamo una visita alla cucina, magari Teresa avrà pensato a noi?» «Direi che è una buona idea!» Quando accesero la luce della cucina, notarono un foglio sulla tavola, era la scrittura di Teresa. «Se vi conosco bene? Sarete affamati! Nel forno troverete due branzini, sono già cotti, scaldate il forno a centoottanta gradi e infornateli per una decina di minuti. Buon appetito.» «Grande donna» disse Dimitri, «tu accendi il forno, io vado a prendere una bottiglia di cartizze.» E si avviò alla cantina frigo. Alla fine del pranzo Dimitri si rivolse a Carlos: «Pensi che filerà tutto liscio?». «Vuoi il mio parere? Quando si spargerà la notizia che i diari sono autentici e ci sarebbero indicazioni su dove sarebbe stato trasportato l’oro, avremo un bel daffare a mantenere in vita le persone che dovremo proteggere. *** Mancavano un paio di mesi alla quarta e ultima votazione. All’esterno di Montecitorio si erano radunati qualche centinaio di contestatori, appoggiati da frange violente, che manifestavano la loro disapprovazione alla variazione della Costituzione. Gli scontri con le forze dell’ordine diventavano sempre più violenti, con feriti da entrambe le parti. La situazione stava degenerando e la contestazione cominciava a far presa anche su quelli che erano favorevoli alla modifica. Erano già parecchi parlamentari che cominciavano a ricredersi sulla necessità del cambiamento. La situazione stava prendendo una piega pericolosa, era necessario spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su altri argomenti. Giorgio chiamò in audio conferenza i direttori dei due giornali, Amedeo e Maurizio e l’amministratore delegato delle cinque televisioni private dottoressa Cristina. «Prima che la situazione degli incidenti davanti a Montecitorio ci sfugga di mano, dovete fare in modo di spostare l’attenzione su un nuovo argomento.» «Non è facile, le televisioni e i giornali non parlano d’altro?» Disse Amedeo. «E non saprei quale potrebbe essere l’argomento in grado di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica?» disse Cristina. «I diari e l’oro di Mussolini?» Sorpresa totale, non si sentiva volare una mosca, «L’oro di Mussolini?» dissero increduli, «ma sono sessant’anni che lo cercano e nessuno sa dove si trova? Se poi esiste?» «Esiste.» Disse Giorgio tra la sorpresa generale. «Be’, sono argomenti che hanno sempre interessato gli italiani.» «Avrei bisogno che uno di voi mi indichi un giovane giornalista che segua la pista dell’oro?» «Io ne avrei uno,» disse Maurizio «ha una venerazione per il Duce, ed è convinto che i diari prima o poi li troverà?» «Sì, sono convinto che li troverà?» Non sapevano cosa pensare, stava scherzano o parlava sul serio? Giorgio continuò: «Maurizio domani riceverai per posta una lettera anonima, la devi passare al Giornalista e dirgli di seguire la pista! A proposito, come si chiama?». «Marcello?» «Ok tienimi informato di come procede» Dopo i saluti chiuse la comunicazione. La mattina seguente il fattorino, addetto allo smistamento della posta in arrivo al giornale, bussò alla porta del direttore. «Signor direttore, è arrivata una busta anonima indirizzata a lei?» «Grazie, lasciala sulla scrivania.» Quando il fattorino lasciò l’ufficio, tolse il foglio dalla busta e lesse:« Sono in possesso dei diari scritti dal Duce. Nella busta troverete una pagina del diario, se volete il resto, mettete un’inserzione con scritto “il diario è autentico”. Vi contatterò io.» Alzò il telefono e fece l’interno di Marcello. «Puoi venire nel mio ufficio.» Non fece in tempo ad appendere la cornetta che sentì bussare alla porta. «Sono Marcello.» «Entra e siediti.» «Mi dica signor direttore» Disse mordendosi il labbro. «Devo affidarti un’inchiesta, che deve restare segreta, finché non avremo svolto tutte le indagini.» Marcello era sempre più nervoso e pensava, «perché proprio a me? Sono l’ultimo arrivato? Cosa c’è sotto?» «Sei con noi?» Disse il direttore vedendolo assente «Mi scusi.» «Leggi questa lettera e dimmi cosa ne pensi?» La lesse e guardò perplesso il foglio del diario, dopo un attimo prese coraggio. «Signor direttore, se è un falso è stato imitato alla perfezione! In tutti i casi devo farlo esaminare da un esperto?» «Bene, l’indagine è tua. Devi tenermi aggiornato su tutto, mi hai capito bene, su tutto.» «Certo signore, grazie,» si alzò raggiante e si chiuse nel suo ufficio «non ci posso credere, mi hanno affidato un caso? E su un argomento che mi affascina, cosa posso volere di più.» Prese la sua agenda elettronica e cercò il numero del suo professore all’università di Milano. Perito grafologo, svolgeva inoltre indagini grafiche e perizie criminalistiche. «Buongiorno professor Romano, sono Marcello, si ricorda di me?» «Certo, se non ricordo male avevi una fissa per i diari di Mussolini, peccato che quelli che avevi trovato erano falsi, vero?» «Sì, è vero ma sono convinto che prima o poi troverò gli originali.» «Avevi bisogno di me?» «Sì, posso venire a trovarla all’università? Avrei da sottoporle una verifica grafologica su un documento.» «Domani pomeriggio sarei libero, ti aspetto dopo le sedici.» «Grazie professore a domani.» Il giorno dopo, puntuale alle sedici, entrò nell’università. Quanti ricordi… Si era laureato in psicologia del lavoro per poi passare al giornalismo frequentando un master. Riconobbe molti dei professori che tenevano le lezioni quando lui frequentava, alcuni si ricordavano ancora di lui. Arrivato davanti all’ufficio del professore, bussò. «Avanti, la porta è aperta.» «Buongiorno, le ho portato questo documento per verificare se è autentico?» Prese il documento, lo lesse, lo rigirò, passò una lente di ingrandimento su tutte le righe, soppesò la carta e la strofinò tra pollice e indice. Posò il documento sul tavolo, alzò la testa, si tolse gli occhiali e si mise a fissare Marcello. «Professore, c’è qualcosa che non va?» Disse preoccupato. Dopo alcuni secondi di silenzio rispose: «Dove hai trovato questo documento?». «Non posso dirvelo.» «Ci sono altri documenti?» «Non ne sono sicuro, può darsi.» «Devo fare altre verifiche prima di darti una risposta definitiva.» «Ok, questo è il mio numero di telefono, attendo una sua chiamata?» Si alzò e uscì dall’ufficio. Senza perdere un attimo prese il documento e andò in laboratorio, era ansioso di verificare se era autentico. Anzitutto verificò se l’inchiostro usato fosse compatibile con i composti chimici usati in quegli anni. Anche se il metodo non era preciso, si riusciva comunque a individuarne il periodo. Passò poi alla valutazione sulla consistenza della carta. Nel periodo bellico la cellulosa era difficile da trovare, si cercò di sopperire a quella mancanza estraendola da piante annue, come la paglia. L’ultimo esame era quello più importante. Confrontare la grafia con quella di un documento scritto dal Duce e custoditi nell’archivio di Stato. Il giorno dopo si sarebbe fatto inviare una copia da un suo conoscente dipendente presso l’archivio. Era notte fonda quando decise che poteva tornarsene a casa, ripose nella cassaforte il documento, spense le luci e uscì dall’università. Erano passati tre giorni e Marcello non aveva ancora avuto notizie, quando il suo telefono cellulare squillò. «Marcello sono Romano, ho finito in questo momento la perizia sul documento?» Rimase paralizzato, il suo cuore perse un battito. «Mi dica, non mi tenga in ansia?» «Ritengo che il documento sia autentico!» Avrebbe voluto gridare di gioia, ma si trattenne. «Grazie infinite professore, mi dovrebbe preparare la perizia, la vengo a ritirare insieme al documento?» «È già pronta. Ora cosa farai?» «Non so, devo parlarne al mio direttore?» Si salutarono e si precipitò nell’ufficio del direttore entrò senza bussare. «Signore è autentico!» «Chiudi la porta idiota!» Gli disse. «Mi scusi, ma non stavo più nella pelle, diventeremo famosi!» «Stai calmo e siediti, per prima cosa mettiamo l’annuncio richiesto e attendiamo la loro chiamata. Quando avremo il resto dei documenti, vedremo come comportarci? Adesso ritorna nel tuo ufficio e non farne parola con nessuno.» Marcello si avviò verso il suo ufficio sorridendo, vincerò il premio puzzle, pensava euforico. Carlos era nella palestra della villa quando ricevette la chiamata da Giorgio. «Ciao, mi ha appena contattato Maurizio, tutto sta procedendo come previsto. A che punto siamo con i documenti da falsificare?» «Sono appena arrivati, sono sul mio tavolo.» «Molto bene, passiamo alla seconda fase. Dimitri consegnerà i restanti documenti al giornalista.» Finita la chiamata, chiamò Maurizio al giornale. «Ciao, partiamo con la seconda fase. Ti arriverà una valigetta con i soldi, il tuo giornalista deve consegnarla a Dimitri, che funge da basista, in cambio dei documenti. Deve trovarsi presso il cinema multisala di viale Sarca 336, nella sala 10, poltrona 200, alle ore 15.00 di domani. Una volta in possesso dei documenti deve farli di nuovo periziare. Avuta la risposta, facciamo filtrare la notizia.» «La valigetta è arrivata in questo momento, chiamo Marcello per metterlo al corrente.» Passarono altri dieci giorni prima che il professor Romano finisse la perizia sui nuovi documenti, la quale confermava la precedente. I documenti erano autentici. Titolone in prima pagina: “TROVATI PARTE DEI DIARI DEL DUCE. La perizia fatta dal professor Romano confermerebbe l’autenticità! I diari conterrebbero informazioni su un carico d’oro portato alla prefettura di Milano nell’aprile 1945 e poi sparito misteriosamente”. Il giorno dopo il quotidiano usciva in edicola con in allegato due pagine del diario. Tutte le agenzie mondiali battevano la notizia, i giornali e le televisioni facevano a gara a pubblicare e a intervistare eminenti esperti, i quali davano il loro parere in base a quello pubblicato sul quotidiano. Alcuni erano scettici, alcuni più possibilisti, ma tutti per dare un parere chiedevano di vederli. Nella sede del quotidiano Marcello era chiuso nel suo ufficio, lesse per la seconda volta i dieci fogli scritti dal Duce. Si concentrò sulla parte relativa al trasporto dell’oro: «La guerra è persa, i tedeschi sono in fuga e io non voglio lasciare l’Italia come mi chiedono. Non mi resta che tentare un’ultima resistenza sulle montagne della Valtellina. Li dovranno confluire tutti gli uomini rimasti a me fedeli. Avrò bisogno di armi, munizioni, vettovaglie e mezzi di trasporto. L’oro in mio possesso mi consentirà di avere tutto il necessario. Lo farò portare a Como, e da lì, scortati da due blindati tedeschi, comandati dal colonnello Bardolf sarà trasportato a Porlezza e attraverso il lago di Lugano trasferito in Svizzera. L’oro sarà consegnato a emissari spagnoli, che provvederanno a farci avere tutto il necessario. Se riusciamo a resistere fino all’arrivo degli americani, chiederemo una resa separata». Marcello si chiese: «Ma chi è questo colonnello? Devo approfondire». Aprì il collegamento a Internet e inserì il nome in un motore di ricerca. Trovò alcune notizie sulla sua carriera militare: gli americani l’avevano fatto prigioniero e alla fine della guerra si era trasferito in Italia. «Cominciamo le indagini da Como, chissà se in qualche archivio comunale trovo qualche informazione?» Era ormai notte, attese l’uscita, fresca di stampa, di una copia del quotidiano. Il suo articolo era in prima pagina, lo lesse e rimase soddisfatto di quello che aveva scritto. Mise i fogli del diario nella cartella e si avviò all’uscita. Raggiunto il parcheggio rabbrividì, l’aria era frizzante, si guardò intorno e si accorse che era rimasto uno degli ultimi. Con passo veloce si avvicinò all’auto, schiacciò il telecomando e quando tentò di aprire la portiera, una voce alle sue spalle lo gelò. «Metti a terra la borsa e non ti succederà nulla.» Non osava girarsi. «Metti a terra la borsa o ti facciamo un buco in testa» gli intimò uno degli aggressori. Non sapeva cosa fare? In cuor suo non voleva lasciare la borsa? Ma quella voce gli faceva paura. «State calmi, metto a terra la borsa!» Stava per appoggiarla, quando sentì un trambusto alle sue spalle, si girò e vide i due uomini incappucciati stesi per terra svenuti e quattro uomini che gli stavano intorno, uno di loro disse: «Salga in macchina e vada a casa!». «Ma chi siete?» «I suoi angeli custodi!» disse sorridendo. Salì sulla macchina e partì, guardando nello specchietto retrovisore vide che due dei quattro erano saliti su una macchina e lo stavano seguendo. Prese il telefonino. «Pronto, signor direttore, sono scampato a un’aggressione, due uomini mi volevano portare via la borsa.» «Stai bene? Adesso dove sei? Devo chiamare la Polizia?» «Non è necessario, quattro uomini mi hanno salvato, però ora mi seguono, che cosa devo fare?» «Tranquillo è la tua scorta!» «Scorta? Vuole dire che sono in pericolo?» «No, è solo una precauzione, continua la tua indagine. Buonanotte.» «Buonanotte? Fa presto Lui, ma nei casini ci sono io.» Pensò e si avviò verso la sua abitazione. Negli archivi comunali non trovò nulla di interessante, decise di andare in biblioteca e consultare i giornali locali dell’epoca. Iniziò a cercare partendo da inizio aprile 1945. Sfogliò centinaia di pagine, ma nulla attinente a quello che cercava, tutte notizie risapute. Stava per arrendersi, quando un articolo catturò la sua attenzione: “Porlezza 23 aprile 1945. Un plotone di militari tedeschi comandati dal colonnello Bardolf sequestrava una barca adibita alla pesca. Dopo aver caricato delle casse di legno, tipo quelle per il trasporto delle bombe a mano, lasciarono il molo diretti verso la Svizzera. Ritornò dopo parecchie ore e la barca fu riconsegnata ai legittimi proprietari. Il numero delle casse caricate non è stato chiarito, chi dice che era una sola, altri affermarono che erano molte di più. Cosa contenessero nessuno lo sa. Qualcuno dei presenti disse che fecero molta fatica a sollevarle. Senza dubbio era qualcosa di talmente prezioso, da rischiare la traversata in pieno giorno. Si fecero molte ipotesi, ma nulla di concreto”. Fece una foto dell’articolo e uscì dalla biblioteca. «Interessante?» Pensò Marcello, mentre si trovava sull’autostrada Como – Milano diretto alla sua abitazione. «Molto interessante? Porlezza? Questo paese devo visitarlo, ci andrò domani.» *** L’attenzione dei media si era concentrata sul ritrovamento dei diari e l’ultimo passaggio alle camere per la modifica della Costituzione passò con la maggioranza assoluta e le contestazioni non ebbero l’effetto sperato dai contrari alla riforma. L’Italia era diventata una Repubblica Presidenziale. Il Capo dello Stato, preso atto della nuova situazione creatasi dopo l’ultima votazione, decise che si dovevano indire nuove elezioni. Sciolse le camere e diede le dimissioni. Incominciava la campagna elettorale. Forse la più aspra degli ultimi quarant’anni. I candidati che avrebbero potuto avere qualche possibilità di essere eletti erano due, uno di centro sinistra e uno di centrodestra. Per il centrosinistra il candidato ufficiale era il senatore Guglielmo laureato in economia e da moltissimi anni in politica. Aveva iniziato subito dopo la laurea e nei vari governi che si erano succeduti, aveva ricoperto diversi ruoli di prestigio come ministro dell’economia e della difesa. Era arrivato il suo momento, poteva, anzi, doveva, sconfiggere il candidato della destra. Da bambino fino a quando si laureò, visse in un casale poco distante da Porlezza, dove tutta la sua famiglia nonni e genitori allevavano le mucche e coltivavano la terra. Dopo la morte del padre, che era un partigiano, in uno scontro a fuoco con i repubblicani, il podere fu affittato a uno zio. Dopo la morte della madre, era stato messo in vendita ed era lui l’unico erede. Per il centrodestra fu candidato il Premier uscente Marco, che i sondaggi lo davano in leggero vantaggio. La società segreta era determinata a mettere in campo tutta la sua potenza economica, usando le loro televisioni i giornali e le associazioni amiche. Ma l’asso nella manica, doveva essere ancora calato e sarebbe stato devastante. *** Carlos tutto era pronto per l’operazione chiamata “LA GRANDE BURLA”, i lingotti d’oro furono messi in casse, usate per il trasporto di bombe a mano. Erano state acquistate in un negozio che vendeva reperti della seconda guerra mondiale. Attendevano solo la conferma da Giorgio. Marcello chiamò il direttore. «Dopodomani vorrei andare a Porlezza per fare delle indagini sul colonnello Bardolf.» «Buona idea, tienimi informato su quello che scopri.» «Dimitri, Giorgio mi ha appena avvisato che il giornalista si sposterà a Porlezza dopodomani, mi è venuto un’idea? Chiamo Elisabetta?»,«ciao ho bisogno del tuo aiuto?» «Carlos, ma tu mi chiami solo se hai bisogno?» «Scusami, ma è una cosa di vitale importanza?» «Dimmi?» «Un aereo privato sta aspettando a Fiumicino. Ti porterà all’aeroporto di Tassignano, io sarò ad attenderti?» «Ma Carlos?, Senza preavviso? Certo che con te non ci si annoia mai.» «Scusami, ma se non fosse importante, non mi sarei mai permesso di chiedertelo?» «Carlos lo faccio solo perché… be’, lasciamo perdere?» silenzio imbarazzato, «grazie, porta con te solo il minimo necessario». Aeroporto di Tassignano, primo pomeriggio, Carlos era in attesa nella sala arrivi. Vedendola provò una strana oppressione allo stomaco, era felice di poterla avere vicino. Si salutarono. Si avviarono verso l’uscita, dov’era ad attenderli Dimitri. Saliti sull’auto Elisabetta guardò Carlos con fare interrogativo, «ora mi vuoi dire cosa è successo di tanto importante?» «Be’… è un po’ imbarazzante.» «Cominciamo male? Devo preoccuparmi?» «Te lo spiego mentre ti trucchi?» «A certo che sei un bel cafone.» «Non fraintendere, sei bellissima, solo che la truccatrice ti deve trasformare in un’arzilla vecchietta di novant’anni?» «E per far questa parte hai scelto me?» disse ridendo. Quando uscirono dalla sala trucco era notte fonda, «ora partiamo per Porlezza potrai riposare in macchina.» Nel tragitto Carlos ne approfittò per spiegarle quello che doveva fare e dire, quando sarebbe arrivato il giornalista a casa Bardolf. Marcello arrivò a Porlezza in tarda mattinata, posteggiò l’auto nella piazzetta principale di fronte alla chiesa, e cominciò a gironzolare per la cittadina senza una meta precisa. Un negozio nascosto in una viuzza attirò la sua attenzione. Vendeva vecchie cianfrusaglie e anche chi lo gestiva, era molto anziano. Entrò, «buondì, sono un giornalista, vorrei farle delle domande su un vostro concittadino.» «Mi dica come si chiama, se lo conosco?» «Bardolf.» «Certo che lo conosco! Arrivò dopo la fine della guerra, mi sembra nel 1946, per un certo periodo si era stabilito in una pensione, poi all’improvviso, non si sa come, comprò una villa, un albergo e dei terreni.» «Mi scusi perché, non si sa come?» «I maligni dissero che faticava a pagare la pensione dove alloggiava, faceva qualche lavoretto qua e là e poi?» «E non vi siete chiesti come avesse fatto?» «Sì, certo, molte illazioni, ma niente prove. Le voci dicevano di un trasporto, che fece con una barca da pesca verso la Svizzera, prima della fine della guerra. Si parlava di oro, ma niente di sicuro.» «Dove lo posso trovare?» «Al cimitero! È morto qualche mese fa. Però può andare a trovare la vedova, la villa si trova di fronte al bar Stella, sul lungolago.» Lo ringraziò e si avviò verso il lungo lago, in cerca della villa del colonnello. Arrivato davanti al bar guardò l’ora, era quasi mezzogiorno decise di entrare e ordinò un panino con prosciutto e una birra. Riguardò l’ora e decise di andare verso la villa, suonò il campanello e dopo qualche minuto il cancello si aprì. «Prego» disse la “vedova” Bardolf. «Come posso aiutarla?» «Mi chiamo Marcello e sono un giornalista, avrei bisogno di farle delle domande su suo marito.» «Per cosa?» «Per un articolo su fatti avvenuti a Porlezza alla fine della guerra.» «Sono anziana i ricordi sono ormai confusi , comunque si accomodi.» «Suo marito era un colonnello tedesco, come mai si trasferì a Porlezza?» «Era rimasto solo, aveva perso tutti i familiari sotto i bombardamenti e Porlezza l’aveva affascinato.» «In Italia dove aveva combattuto?» «Non saprei. Della guerra non parlava mai… se vuole delle informazioni precise, mio marito scriveva tutta la sua vita su dei diari. Li teneva in cantina, catalogati anno per anno. Le interessa vederli?» «Mi sarebbero di grande aiuto» disse sorridendo. «Questi sono tutti i suoi diari, se le interessa il periodo della guerra sono questi.» E indicò gli anni dal 40 al 45, «mi basterebbe il 45?» «Senta facciamo così, io domani parto per l’Argentina, e porterò con me solo quelli del 46, i miei ricordi sono tutti lì. Li prenda pure.» «Grazie signora non saprei come ringraziarla?» «Scriva un buon articolo su mio marito.» Non ci poteva credere, aveva i diari scritti dal colonnello Bardolf. Non poteva aspettare, voleva leggerli subito. Uscito dalla villa entrò nel bar, chiese un caffè e cominciò a sfogliarli. Nella villa Bardolf, Carlos e Dimitri si stavano congratulando con Elisabetta. «La parte della vecchietta ti si addice. Non ha sospettato nulla» e si misero a ridere. «Siete proprio dei cretini. Vado in bagno a togliermi il trucco, non ne posso più.» «Dimitri, ora possiamo far trasportare l’oro nella fattoria, noi aspetteremo qui. Domani accompagnerò Elisabetta all’aeroporto della Malpensa.» Marcello cominciò a leggere il diario, che iniziava a gennaio 1945. Il colonnello annotava ogni giorno quello che succedeva al fronte e alla fine del resoconto scriveva le sue riflessioni. Mise da parte i diari che riguardavano i mesi da gennaio a fine marzo e si concentrò sul mese di aprile. Lo lesse velocemente fino al giorno 22, «ecco ci siamo» disse tra sé. 22 aprile 1945. Ho ricevuto l’ordine dal generale Borchard di andare a Como presso il presidio repubblicano e di attendere un convoglio italiano in arrivo da Milano. Devo scortarlo fino a Porlezza, finita la missione devo abbandonare il territorio e dirigermi verso la Germania per unirmi alla IV Armata Panzer. Riflessioni: sono mesi che siamo in ritirata, dovremmo essere già in Germania a difendere la nostra Nazione, non capisco cosa avrà di tanto importante questo convoglio. Da quanto ho percepito, dovrebbero arrivare cinque camion con un carico vitale per la sopravvivenza del fascismo. Vedremo di cosa si tratta. Se non ci saranno problemi, saremo a destinazione stasera tardi. Ore 24 Siamo arrivati e ci siamo accampati al centro del presidio, i camion sono arrivati e sono quattro, ne manca uno. Ho chiesto al loro comandante cosa contenessero le casse di legno usate per il trasporto di bombe a mano, mi ha risposto in modo evasivo. Tutto questo spiegamento di forze per delle bombe a mano mi sembra ridicolo. Porlezza è quasi sul confine con la Svizzera, io penso che contengano materiale prezioso e non penso di sbagliarmi. Adesso vado a riposarmi, ho il presentimento che domani sarà una giornata pesante. Giorno 23 aprile 1945 Ore 6 Siamo pronti per partire. Un mezzo non è arrivato, è stato intercettato dai partigiani e i repubblicani sono tutti morti. Metterò un blindato in avanguardia e uno in retroguardia, per precauzione ho fatto installare su ogni camion una mitragliatrice. Ore 16 Sono su una barca sequestrata a dei pescatori e ci stiamo dirigendo al porticciolo di Gandria in Svizzera, è stata una giornata terribile e che probabilmente ci cambierà la vita. Se riusciamo a uscirne vivi da questa guerra. Eravamo arrivati alla periferia di Porlezza senza problemi, quando all’improvviso siamo stati attaccati dai partigiani. Erano appostati ai due lati della strada su una collina, il loro tiro incrociato era micidiale. Ho fatto disporre i miei blindati a protezione dei camion, i mitraglieri e gli addetti al mortaio hanno risposto subito al fuoco, costringendo gli uomini sulla collina a indietreggiare. Lo scontro a fuoco durò una decina di minuti, poi il silenzio. Probabilmente la nostra risposta li aveva sorpresi. Lo stallo si interruppe dopo una mezzora. Dalla collina spuntò una bandiera bianca e una voce chiese di poter parlare. Scesero una decina di partigiani, il loro comandante era molto giovane, ma gli occhi rispecchiavano la determinazione di un uomo molto più anziano. Erano giovani, ma vecchi dentro, la guerra è una brutta bestia. Volevano ispezionare i carri e arrestare i repubblicani, invece noi potevamo passare. I militari italiani non intendevano arrendersi e impugnarono le armi. Dalla collina partì un colpo che colpì al capo uno dei militari e scoppiò il finimondo. Tutti i repubblicani morirono, insieme a molti partigiani, noi invece rimanemmo miracolosamente illesi. A questo punto dissi al comandante: «Siete sotto il tiro dei miei mitraglieri, ritiratevi e non spareremo». Era un bluff, potevano sopraffarci, erano il doppio di noi. Il comandante rispose: «Ispezioniamo i carri e poi ne parliamo». Quando aprimmo la prima cassa, restammo senza parole, erano piene di lingotti d’oro. Nessuno parlò, ci guardammo senza sapere cosa fare, dissi: «Io una soluzione l’avrei, senza che nessuno si faccia male». Il comandante mi guardò perplesso e avvicinò il dito al grilletto, «non faccia sciocchezze, sarebbe morto prima di premerlo! Noi prenderemo alcune casse e ce ne andremo per la nostra strada.» Ci pensò un attimo, guardò i lingotti. «Devo consultarmi?» Passò una mezzora poi ritornò. «Ok, prendete alcune casse e andatevene!» Caricammo le casse sui blindati e ci dirigemmo al porto di Porlezza. Sequestrammo una barca con l’intenzione di trasportare l’oro in Svizzera e depositarlo in una banca. Questo è il mio ultimo scritto, lascerò i diari insieme all’oro, spero che un giorno possa ritornare a riprenderli. Accidenti, imprecò Marcello, fino al 1946 non è tornato e quei diari sono ormai in Argentina. L’oro preso dal colonnello, penso di sapere dove è finito, ma tutto il resto? Non è mai stato ritrovato! Devo scoprire cosa è successo alla pattuglia partigiana. Domani, ritorno a Como e vado all’Archivio di Stato. Era eccitato all’idea di essere a un passo dallo scoprire dove si trovava l’oro, voleva arrivare prima possibile a Como. Alle otto di mattina era sulla strada provinciale 14, quando vide dallo specchietto retrovisore un’auto che gli stava lampeggiando. «Saranno le mie guardie del corpo» pensò, «che vorranno? Mi conviene accostare?» Stranamente non c’era traffico, di solito era una coda unica, meglio così. Vide uno spiazzo, mise la freccia e parcheggiò. La macchina che lo seguiva si fermò dietro la sua. L’uomo alla destra del guidatore scese e si avvicinò alla macchina. Marcello abbassò il finestrino. «Ci sono problemi?» «Prenda la borsa. Lasci il cellulare e le chiavi sul sedile e ci segua senza fare storie!» Restò interdetto, ma quando vide che l’uomo spostò la giacca facendogli notare la pistola, ebbe paura. «Ok, prendo la borsa e scendo, ma dove mi portate?» L’altro non rispose e in malo modo lo spinse verso l’auto in attesa, gli mise un cappuccio sulla testa e partirono a gran velocità. Dimitri e Carlos stavano sovraintendendo i lavori per il trasporto dell’oro alla fattoria, erano quasi al termine, tutte le casse erano all’interno del locale interrato, quando il telefono di Dimitri squillò. «Abbiamo perso il giornalista.» «Cosa?» «Siamo rimasti imbottigliati in un incidente e quando siamo potuti ripartire, era sparito.» «Cosa vuol dire sparito?» «La macchina era parcheggiata in uno spiazzo, ma lui non c’era, le chiavi e il cellulare erano sul sedile. Penso che sia stato rapito.» «Avete perquisito la macchina?» «Sì, e abbiamo trovato i diari sotto il sedile?» «È quello che cercavano, ritorneranno. Qui abbiamo quasi finito, mezzora e siamo da voi!» «Cos’è successo?» chiese Carlos, «hanno rapito Marcello.» «Accidenti, questa non ci voleva?» Per sorvegliare il casale rimasero quattro uomini in un camper pronti ad intervenire in caso di bisogno. *** La campagna elettorale era in pieno svolgimento i due candidati per conquistare la fiducia degli elettori, partecipavano a trasmissioni televisive, svolgevano comizi e gli attivisti in tutte le piazze italiane, distribuivano i volantini con il programma del proprio candidato. Tutte le televisioni si contendevano la partecipazione dei due leader a un dibattito, riuscì ad avere la meglio una delle televisioni private della dottoressa Cristina. L’attesa per l’incontro era spasmodica, i due contendenti sapevano che sarebbero dovuti essere convincenti. Fare degli errori a pochi giorni dalle elezioni poteva essere fatale. La sera della trasmissione era arrivata, milioni di spettatori erano incollati davanti al televisore. Le domande ai due contendenti erano le stesse: i maggiori poteri dati al capo dello stato potevano portare verso una dittatura. Come s’intendeva rimettere in moto l’economia. Era possibile una diminuzione delle tasse. I rapporti con l’Europa sarebbero cambiati. Per quanto riguarda i maggiori poteri tutt’e due risposero che c’erano dei contrappesi, i quali avrebbero evitato questa possibilità, per le altre domande ognuno rispose secondo i loro indirizzi politici. Nessuno dei due contendenti prevalse, erano in sostanziale parità. Il conduttore fece l’ultima domanda: «Parliamo di un argomento che in questi mesi appassiona gli italiani “l’oro di Mussolini”, indiscrezioni dicono che per il ritrovamento è solo questione di giorni. Si pensa che il valore sfiori il centinaio di milioni di euro.» Risponde per primo il candidato del centro destra, Marco. «Se l’oro esiste e da indiscrezioni sembrerebbe di sì, sarebbe stato sequestrato da “combattenti italiani” e nascosto senza restituirlo al popolo italiano.» La risposta del candidato del centro sinistra Guglielmo fu violenta. «Siete voi fascisti che lo avete rubato agli italiani e vi siete arricchiti alle spalle del popolo, che moriva di fame. Sono sicuro che nessuno dei partigiani che ha lottato per la libertà, abbia voluto arricchirsi con quell’oro. Tutte queste notizie sono false, costruite ad arte per sviare i veri problemi del paese.» Marco ripose con pacatezza. «Che sia vero o no lo sapremo presto. Le faccio una proposta? Se fosse ritrovato prima delle elezioni ci potremmo ritrovare qui e riparlarne?» «Con molto piacere» disse Guglielmo. *** Giorgio chiamò Carlos. «Cosa diavolo è successo al giornalista? Siamo in un momento delicato della campagna elettorale, se non trova l’oro e non pubblica il diario del colonnello, rischiamo di perdere le elezioni.» «Siamo sul posto, sono convinto che ritorneranno a cercare i diari.» «Lo spero, tenetemi informato.» Erano nello spiazzo dov’era parcheggiata l’auto. Stavano valutando il da farsi. Decisero che loro due si sarebbero appostati nel boschetto, che costeggiava il parcheggio e gli altri, con le auto, si sarebbero spostati più avanti restando tutti in collegamento radio. Passavano le ore ma nessuno si era avvicinato all’auto, cominciarono a preoccuparsi. «Dimitri, e se qualcosa è andato storto, nel corso del rapimento?» «È una possibilità. Potremmo far intervenire i nostri amici dei servizi?» «Sarebbe l’ultima possibilità!» «Aspetta. Guarda, quell’auto ha rallentato?» Il suv con due uomini a bordo passò davanti allo spiazzo a passo d’uomo, per poi accelerare. «Ci siamo. Tenetevi tutti pronti!» Dopo qualche minuto l’auto rispuntò in senso inverso, rallentò di nuovo e proseguì senza fermarsi per qualche centinaio di metri. Frenò all’improvviso e fece inversione, mise la freccia ed entrò nel parcheggio, fermandosi a fianco dell’auto del giornalista. I due uomini si guardarono intorno, poi uno di loro scese si avvicinò e aprì la portiera. Mise la mano sotto il sedile in cerca dei diari. «Cerchi questi?» disse Carlos. L’uomo tentò una reazione ma l’arma puntata alla testa gli fece cambiare idea. «Metti le mani sopra la macchina e allarga le gambe!» Anche l’altro uomo era stato neutralizzato da Dimitri. Dopo averli perquisiti, sequestrate le armi e i cellulari, guardarono i documenti. «Fate parte dei servizi Vaticani? Chi vi ha incaricato di rapire il giornalista?» «Non vi diremo nulla!» «Risposta sbagliata?» Un calcio sul ginocchio lo fece cadere a terra dolorante, un altro calcio nello stomaco gli tolse il respiro. Il secondo disse: «Basta, vi diremo quello che volete sapere?». «Così va bene. Adesso saliremo sulla vostra auto e ci porterete, dove tenete rinchiuso il giornalista.» Ripercorsero tutta la statale 14 fino a Porlezza, per poi deviare sulla statale 340 fino al lago Di Piano. A questo punto svoltarono in una strada sterrata fino a una villetta isolata. «Niente scherzi, capito! Non ci metterei un attimo a spararvi!» Annuirono con la testa. Arrivati davanti alla villa, suonarono due volte il clacson e lampeggiarono per tre volte. Era il segnale convenuto e il cancello si aprì. «Quanti uomini ci sono in casa?» «Due!» «Chiamateli con una scusa!» Scese dalla macchina e gridò: «Venite ad aiutarmi Simon non sta bene». La porta di ingresso della villa si aprì e uscirono due uomini armati. «Cos’è successo a Simon?» «Non sta bene, ha bisogno d’aiuto?» Si avvicinarono con cautela guardando a destra e a sinistra, «non mi piace, tu ritorna dentro!» Appena si girò per tornare nella villa Carlos aprì la portiera e sparò colpendolo alle gambe, Dimitri fece lo stesso e colpì il secondo alla spalla. «Non costringeteci a sparare di nuovo. Buttate le armi per terra e tenete le mani bene in vista!» Portarono tutti nella villa, tamponarono alla meglio le ferite e liberarono Marcello. «Giorgio, Marcello è libero, i rapitori sono feriti ma non gravi. Fanno parte della guardia Papale.» «Complimenti. Sono fiero di voi. Ditemi dove vi trovate e lasciate le guardie dove sono, ci penso io.» Un paio di giorni dopo su tutte le prime pagine dei quotidiani comparve un articolo: “Due fatti scuotono il Vaticano. Il Pontefice pensiona il cardinale Stefano, responsabile della banca Vaticana. Due ufficiali della sicurezza sono rimasti gravemente feriti in uno scontro a fuoco. Le due cose sono legate fra loro?”. *** Marcello stava pensando di abbandonare la ricerca, tanto fu il terrore che aveva provato quando fu rapito. Ma il suo direttore riuscì a fargli cambiare idea, assicurandogli che sarebbe stato scortato giorno e notte. E il desiderio di portare a termine il compito, che gli avevano affidato, ebbe in sopravvento sulla paura. L’archivio di Stato si trovava in via Briantea 24 a Como, alla signorina della segreteria disse: «Sono un giornalista, mi interesserebbero, per una mia ricerca, i rapporti delle azioni militari nell’aprile 1945 delle forze repubblicane, nella provincia di Como» «Mi compili la domanda e domani li avrà a disposizione.» Uscì soddisfatto, in strada erano ad attenderlo i suoi angeli custodi. «Dove la portiamo signore?» «In ufficio, grazie.» Prima, dell’andata in stampa del quotidiano, riuscì a preparare il suo articolo “Tedeschi e Partigiani concordarono la spartizione dell’oro? Da quanto scrisse sul diario, il colonnello Bardolf, sembrerebbe di sì “. Il centro sinistra entrò in fibrillazione. «È un vergognoso attacco di stampo fascista, vogliono screditare il nostro candidato. Ma non ci riusciranno!» Insorsero le associazioni partigiane. «Invenzioni vergognose.» E invocarono l’intervento del Capo dello Stato. Il candidato Guglielmo disse che era un attacco inaudito alla sua persona e alla memoria di suo padre morto per la libertà. Giorgio era soddisfatto, tutto procedeva come aveva previsto, mancava l’ultimo tassello. Marcello dopo ore di lettura gli era venuto un gran mal di testa e non aveva trovato nulla di interessante. Svogliatamente , sbadigliando , lesse l’ennesimo documento :” Il 24 aprile 1945 è stato effettuato un rastrellamento nelle campagne intorno a Porlezza”. Si scosse.«Forse ci siamo?» pensò, e continuò a leggere: “ Alla ricerca dei banditi che si erano resi colpevoli dell’assassinio di otto camerati. Furono intercettati nelle vicinanze del paese di Corrido e nello scontro a fuoco tutti i partigiani rimasero uccisi . Il loro comandante si chiamava Giordano figlio di Ernesto proprietario di un’azienda agricola”. Marcello analizzava mentalmente tutte le informazioni che aveva trovato: «Il giorno 23 aprile il convoglio viene attaccato. Dividono l’oro, i tedeschi lo portano in Svizzera e i partigiani lo nascondono da qualche parte. Pensando di riprenderlo più avanti. Poi furono uccisi tutti e l’oro rimase nascosto per tutti questi anni. Ma, dove l’avranno nascosto? Se intendevano tenerselo, avrebbero dovuto trovare un posto sicuro e vicino? E se fosse nascosto in qualche fattoria vicino a Corrido? Il comandante partigiano era il figlio del proprietario di un casale? Vado in comune, vediamo dove si trova e chi è adesso il proprietario?» Quando uscì dal comune con l’informazione che cercava, era sbalordito. Il casale si trova a Corrido e l’erede universale era il senatore Guglielmo, candidato alla poltrona di presidente. Rientrato in ufficio, andò dal direttore e gli fece il resoconto dettagliato di tutto quello che aveva scoperto. «Marcello tu fai l’articolo su quello che hai scoperto e alla fine esprimi le tue opinioni, tra le quali, anche quella che l’oro potrebbe essere nascosto nel casale, senza nominare il Senatore.» Il giornalista era appena uscito dall’ufficio che il direttore chiamò Giorgio. «Domani uscirà l’articolo e penso che intorno al casale ci saranno moltissimi giornalisti e curiosi?» «Tra qualche ora avverti le autorità, che domani potrebbero esserci problemi di ordine pubblico, io avverto Carlos. Avete fatto un ottimo lavoro.» «Carlos dovete spostarvi dal casale, tra qualche ora arriverà la polizia.» Le insinuazioni scritte nell’articolo avevano colpito nel segno. La polizia aveva bloccato l’ingresso, ma il casale era vasto e la ricchezza sembrava a portata di mano. Avranno pensato le centinaia di persone che stavano affluendo verso la fattoria. La polizia non poteva fermarli, uomini e donne sciamavano all’interno intrufolandosi da ogni parte. Regnava il caos, fu necessario chiamare i rinforzi. Dopo un’ora un centinaio di poliziotti in tenuta anti-sommossa entrarono nel casale e riportarono l’ordine. Sotto scorta arrivò il senatore che davanti ai giornalisti disse: «Chi ha scritto l’articolo dovrebbe essere radiato dall’albo, certi attacchi a un avversario politico, ed è questo che si tratta, è scandaloso. Nel mio casale non è nascosto niente e le forze dell’ordine lo proveranno». Rivolgendosi al comandante della polizia disse: «Procedete alla ricerca!» La prima giornata passò senza nessun ritrovamento, non volevano lasciare nulla di intentato, ogni dubbio andava fugato. Decisero di usare il Georadar, noto anche come GPR – ground penetrating radar – è una metodologia non invasiva usata in geofisica nello studio del primo sottosuolo. Per tutta la notte il cascinale fu tenuto sotto stretta sorveglianza dalle forze dell’ordine. Erano rimasti i giornalisti, i camper delle televisioni e alcune decine di irriducibili. All’alba arrivarono i tecnici con il GPR e iniziarono subito ad analizzare il terreno, incominciando dalle cantine della casa colonica. Era una giornata calda e la folla all’esterno continuava ad aumentare. Dovette intervenire la Protezione Civile che oltre a distribuire bottiglie d’acqua, installò una tenda di primo soccorso, per prestare aiuto medico a chi ne aveva bisogno. Il GPR nelle cantine non rivelò nulla di anormale. Si passò alle stalle, ma anche lì non trovarono nulla. Era arrivata la sera con un nulla di fatto, mancava solo il fienile. I giornalisti presenti, si sbizzarrivano scrivendo i loro articoli per il giorno dopo. Il titoli mettevano in dubbio le affermazioni del giornalista Marcello, alcuni dicevano che era un buffone, altri che era un mitomane e che si era inventato tutto. Lo stesso senatore che non si era mosso dal casale, rilasciò un’intervista di fuoco, dicendo che era tutta una macchinazione dei suoi avversari politici, per metterlo in difficoltà, in quanto, i sondaggi lo davano in vantaggio. La notte passò relativamente tranquilla e alle prime luci del mattino si riprese il lavoro con il georadar, partendo dal fienile. Lo studio del sottosuolo proseguì senza risultati, mancavano da controllare qualche decina di metri quadrati, quando la macchina smise di funzionare. Per far arrivare una nuova macchina ci sarebbero voluti almeno due giorni il Senatore era propenso a sospendere tutto mentre il suo staff riteneva che non dovessero rimanere dubbi, decisero di continuare. In tarda mattinata del terzo giorno arrivò il nuovo apparecchio, non si perse tempo, fu preparato e portato nel fienile per controllare gli ultimi metri quadrati di pavimento. Dopo alcuni metri l’operatore si bloccò e gridò: «Qui sotto è vuoto». La confusione fu incredibile, tutti correvano a vedere. Dovettero intervenire le forze dell’ordine per ripristinare la calma. «Questa sembra una botola, ma non vedo aperture, chiamate il senatore?» «Senatore, sapete come aprirla?» «Non sapevo neanche che esistesse?» « Non perdiamo tempo, fate portare dei martelli pneumatici!» Dopo un’ora la botola era pronta per essere sollevata. Non si sentiva volare una mosca, tutti trattenevano il respiro. «Allontanatevi, portatemi delle torce presto.»Disse il comandante. Quando illuminarono il locale videro delle casse usate per il trasposto delle bombe a mano e la rastrelliera con i fucili e le pistole. «Accidenti, sembrano casse per bombe a mano e ci sono anche armi, bisogna far intervenire gli artificieri. Fate allontanare tutti e transennate l’aerea.» Tutte le televisioni bloccarono i loro programmi per mandare in onda le edizioni speciali. “Sembra che abbiano trovato un rifugio sotterraneo pieno di casse usate per il trasporto di bombe a mano e molte armi. Siamo in attesa che gli artificieri le aprano.” Il senatore rimase chiuso in casa, non voleva ancora rilasciare interviste. «Manca poco alle votazioni e guarda che casino?» disse ai suoi collaboratori, «se sono solo armi, non penso che possa danneggiarci, anzi potrebbe avvantaggiarci, vi pare?» «E se non ci fossero solo armi?» «Sarebbe drammatico.» Marcello, che fino a quel momento era rimasto in ufficio a Milano, appresa la notizia si precipitò a Porlezza, poteva essere il suo momento di gloria. Gli artificieri si avvicinarono alle casse e con tutte le precauzioni del caso aprirono la prima. «Questa è piena di bombe a mano, ora apriamo la seconda» silenzio, «cosa succede? Cos’avete trovato?» dissero allarmati i militari in attesa. «Non ci crederete mai.» «Accidenti. Volete dirci cos’avete trovato?» «Le casse sono piene di lingotti d’oro.» La notizia si sparse subito. Tutti cercavano di collegarsi con le loro sedi. «Sembrerebbe che l’oro ci sia davvero, ci sono moltissime casse piene zeppe di lingotti!» Tutti si precipitarono verso Marcello per intervistarlo, era il suo momento di gloria. Il grande bluff aveva avuto successo. L’oro recuperato aveva un valore vicino ai settantadue milioni di euro, una cifra enorme, che lasciò sbalordito il mondo intero. Le televisioni trasmettevano in diretta le immagini dei blindati che uscivano dalla fattoria, diretti alla Banca d’Italia, scortati da un imponente servizio di scorta. A pochi giorni dalle consultazioni i due contendenti si ritrovavano a faccia a faccia davanti alle telecamere, come avevano concordato qualche settimana prima. Il conduttore prima di fare la domanda mandò in onda un riassunto dei fatti che erano accaduti nei giorni precedenti. Una volta terminato il filmato disse: «Senatore, nei diari del colonnello Bardolf, pubblicati dal giornalista Marcello, si affermava che l’oro fu diviso tra tedeschi e partigiani. I quali lo nascosero senza consegnarlo. Qual è la sua opinione?». «È una domanda a cui non sono in grado di rispondere, bisognerebbe chiederlo a loro. Peccato che siano stati uccisi, per la libertà del nostro Paese.» «Quello che dice è vero! Ma lo scontro a fuoco con i Repubblicani avvenne il giorno prima, avevano tutto il tempo per inviare una staffetta a Milano? Non crede?» Si sentiva in trappola, tentò l’ultima carta. «Questa è tutta una messinscena, organizzata dalla destra fascista, è tutto un falso.» Il conduttore lo incalzava: «Forse i diari saranno anche falsi, ma l’oro era vero?». Stavolta non rispose. Il conduttore lasciò passare alcuni secondi prima di fare la domanda al secondo candidato. «Dottor Marco, lei a che conclusioni è arrivato riguardo a questa faccenda?» «Che anche il più puro degli uomini, davanti a una montagna d’oro, può prendere la decisione sbagliata. Posso però dire una cosa, l’oro era degli italiani e a loro ritornerà.» Nei dibattiti televisivi non si parlava d’altro, si analizzava e si scavava a fondo e qualche incongruenza cominciava ad affiorare, ma era troppo tardi, le elezioni erano tra due giorni e non era più possibile cambiare le cose. L’affluenza alle urne superò ogni aspettativa, erano almeno vent’anni che non si superava l’ottanta per cento. Lunedì pomeriggio incominciò lo spoglio delle schede. Gli exit poll davano in leggero vantaggio il candidato della destra. I commentatori, nei loro dibattiti televisivi, si sbizzarrivano sulle previsioni, ma i risultati dal Viminale che man mano affluivano davano un vantaggio clamoroso del candidato del centro destra. A tarda sera, dalla sede del centro sinistra Guglielmo ammise davanti ai suoi sostenitori la sconfitta. Quando ci fu la certezza matematica della vittoria, il nuovo presidente si presentò davanti ai suoi sostenitori. La sala non bastava per contenere tutte le persone intervenute, per festeggiare una vittoria storica. Un boato lo accolse quando si presentò sul palco, scene di giubilo, centinaia di bandiere sventolavano e molti piangevano di gioia. Era raggiante, stringeva mani, abbracciava i suoi collaboratori più stretti. La folla lo stava soffocando con il suo entusiasmo e la scorta si trovò in difficoltà, decise di fare un breve discorso. «È stata una grande vittoria, la vostra vittoria,» boato di entusiasmo «amici, da domani incomincia una nuova era per l’Italia, diventeremo la nazione che trascinerà l’Europa e non viceversa.» Continuò per una mezzora e si congedò, era atteso per la conferenza stampa. Erano presenti giornalisti provenienti da tutto il mondo e la prima domanda che gli rivolsero fu: «Signor presidente, cosa ne sarà dell’oro?» «Sarà gestito da una fondazione, che ogni anno darà la possibilità ai migliori laureati di entrare nella ricerca. Non ci faremo più sfuggire i nostri migliori cervelli.» «I vostri avversari affermano che avete ingannato il popolo.» «Loro lo hanno ingannato. Il popolo stava perdendo la speranza e se non vedeva più nello Stato un interlocutore in grado di soddisfare le esigenze primarie, si sarebbe corso il rischio di una “deriva autoritaria”. Io dico che il potere sugli altri si giustifica solo se sono soddisfatti gli interessi della collettività a cui apparteniamo e non il proprio tornaconto personale. Ed è quello che faremo.» «Si dice che l’oro fascista era nella vostra disponibilità.» «Provocazioni, l’unica cosa che posso dire riguardo al fascismo è che non ritornerà più e non sono più necessarie le leggi che ne vietano la ricostruzione come la legge Scelba, ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.» Per un minuto nessuno proferì parola, tutti si guardarono attoniti. Era cominciato un nuovo ventennio? Mentre nella sede di Milano del partito “La Nuova Italia” si continuava a festeggiare la vittoria elettorale, Giorgio era in riunione con Carlos nella sua villa a Forte dei Marmi. «Carlos, l’obiettivo è stato raggiunto governeremo per molti anni e daremo al nostro popolo lavoro e serenità, il futuro è nostro , il sacrificio dei nostri genitori non è stato vano.» Continuò, «Hai fatto un ottimo lavoro e non ne dubitavo, sei il migliore!» «Ti ringrazio. Ora mi posso prendere una vacanza.» «Te la sei meritata, ma ho ancora bisogno di te.» «Dimmi?» «Ho bisogno che tu vada in Argentina.» «In Argentina?» «Sì, al tuo rientro ti spiego tutto. Buone vacanze. A proposito, vai solo?» «Non proprio. Mi accompagna Elisabetta» disse arrossendo. EPILOGO Il potere trova la propria legittimazione nel consenso del popolo. Ma se il consenso è influenzato dalla potenza economica, che può condizionare il giudizio degli elettori, si può considerare un colpo di Stato? E se questo potere venisse usato per il bene del popolo, si può ancora considerare un colpo di Stato? Ognuno di voi che avrà la fortuna di leggere questo romanzo, potrà esprimere la propria opinione sul sito:www.cvslibrionline.it NOTE DELL’AUTORE Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi, luoghi, Società, marchi e azioni descritti e citati sono invenzioni dell’autore seppure inserite in un contesto storico e documentale ben preciso e hanno il solo scopo di conferire un’aura di veridicità alla narrazione. Il mutuo sociale è stato ideato dal partito “LA DESTRA” e modificato in alcune parti per esigenze di romanzo www.ladestra.com (1)