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L’ORO CHE PORTÒ AL
COLPO DI STATO
VITO CARLO SPERONI
INTRODUZIONE
Carlos Vittorio De Espero era un agente dei servizi
segreti, si era dimesso dopo la missione in Iraq, dove
aveva operato nelle zone di Bassora, Baghdad e
Kirkuk conducendo missioni dette di “attività sul
terreno” per la ricognizione e individuazione di
obiettivi militari.
Dopo l’ultima missione aveva deciso di prendersi un
periodo di riposo nella sua villa in Toscana, situata a
due chilometri da Gabbro, frazione del comune di
Rosignano Marittimo in provincia di Livorno ,
costruita su un crinale con una splendida vista sulla
baia del Quercetano (Castiglioncello) una delle più
belle e suggestive località turistiche Italiane.
Immersa in un parco dove spiccano le conifere come
il cipresso, il pino marittimo e il pino domestico , fu
costruita nel 1100 come torre, ampliata nel 1800 con
una superficie di 580 metri quadrati e ristrutturata
definitivamente da Carlos.
Nella corte è situato un porticato coperto affacciato
sulla vallata, al piano terra un bel soggiorno con
focolare, studio e veranda chiusa da vetrate, al primo
piano soggiorno con caminetto, cinque camere con
altrettanti bagni e nell’ampia torretta una camera con
un bagno.
Sotto la torre aveva fatto costruire un bunker
autonomo rispetto al resto della villa con
un’estensione di circa duecento metri quadrati e
conteneva: la palestra fornita di tapis roulant, panca
multi funzione, vogatore e spinbike, la cucina, una
camera da letto, locale per telecomunicazioni con
collegamenti sia satellitari che via cavo, bagno, un
ripostiglio con viveri per almeno un mese e una
camera blindata con archiviate le informazioni
dettagliate di tutte le operazioni svolte nel corso
degli anni. E per finire l’armeria che era un vero e
proprio arsenale. Armadi blindati contenevano
numerose pistole semiautomatiche, una carabina , due
fucili Kalashnikov modello AK47, tre fucili
semiautomatici , un fucile mitragliatore d’assalto e
una carabina Mauser modello 24, più centinaia di
caricatori e migliaia di cartucce.
La mattinata di Carlos era dedicata alla palestra, due
ore di corsa sul tapis roulant, per poi passare alla
panca per circa un’ora e per finire mezz’ora di
spinbike, l’ultima tappa era il poligono di tiro che si
trovava sotto la cantina e si raggiungeva attraverso
un passaggio segreto.
SABATO 8 DICEMBRE
La neve copriva la valle, Carlos rabbrividì. Dopo il
giro di ronda che faceva ogni sera nonostante la villa
fosse protetta da sistemi di allarmi sofisticatissimi, si
avviò verso la veranda. Appoggiò il giubbotto sul
divano, inserì la sicura nella semiautomatica, aprì il
frigo cantina e stappò una bottiglia di Cartizze , lo
versò nel calice, chiuse gli occhi, avvicinò il
bicchiere alle labbra e si apprestò a gustare quel
nettare… si bloccò, il telefono stava squillando.
Appoggiò la coppa sul tavolino e rispose.
Si salutarono, era Giorgio.
«Ho un lavoro da proporti.»
«Di cosa si tratta?»
«Non al telefono, se ti interessa domani sera alle
venti e trenta trovati all’aeroporto di Lucca
Tassignano, ti aspetta un jet privato pronto al
decollo, nella valigetta che ti consegnerà il
comandante troverai tutte le indicazioni , se
accetterai il pilota ti porterà a destinazione.»
«Ok, ci penserò.»
Aveva già deciso, l’azione gli mancava e a Giorgio
non poteva dire di no. Ci voleva un brindisi, aprì una
nuova bottiglia di Cartizze e la gustò fino all’ultima
goccia.
Carlos Vittorio De Espero era tornato in azione.
PRIMO EPISODIO
Erano le sei del mattino, Carlos si sentiva in perfetta
forma. Scese di corsa le tre rampe di scale che dalla
torre portavano al bunker , aprì la porta blindata
appoggiando la mano sul dispositivo biometrico,
oltrepassò l’archivio, l’armeria, la palestra e la
cucina. Arrivato nella sala comunicazioni inviò un
messaggio criptato. Ritornò nell’armeria, prese
cinque caricatori da quindici colpi e il telefonino con
sim non rintracciabile, inserì l’allarme e si avviò
verso la villa.
L’ora della partenza si avvicinava, aprì l’armadio a
muro della sua camera prese un maglione nero
pantaloni grigi e giacca blu, infilò nella borsa la
semiautomatica , ricambi per qualche giorno e avvisò
la governante Teresa della sua partenza.
Arrivato a Lucca posteggiò la sua Jeep nel garage
dell’aeroporto e si recò nel ristorante Da Cecco,
cenò e dopo circa un’ora si avviò verso l’area
riservata ai voli privati.
L’ hostess era ad attenderlo : « Sono Carlos.»
« Prego venga l’accompagno all’aereo.»
Il comandante lo fece accomodare e gli consegnò la
borsa, Carlos guardò le indicazioni e inviò il
secondo messaggio a Beatrice con scritto “Milano”.
Frattanto nella cabina di pilotaggio il comandante
fece una chiamata: «Arrivo stimato 21:45.» E
riattaccò.
Alle sei e trenta Beatrice fu svegliata dalla suoneria
del telefonino, lesse il messaggio, scese dal letto ed
entrò nella doccia. Dopo una colazione veloce si
preparò per uscire. In un borsone infilò il minimo
indispensabile e si avviò verso l’aeroporto di Pisa
con la sua Freemont 4x4.
Era una dipendente dei servizi addetta alla
decrittazione dei messaggi, aveva conosciuto Carlos
sul lavoro ed erano rimasti in contatto anche quando
lui se n’era andato. Carlos dopo aver lasciato
l’agenzia per motivi personali, le aveva offerto di
entrare in società con lui, aveva accettato senza
esitazioni.
Verso mezzogiorno era all’aeroporto, al bar ordinò
un panino, si accomodò su una poltrona e attese con
pazienza la chiamata che ricevette verso le venti e
trenta, dopo aver letto il messaggio si avviò al check
in e prenotò un volo per Milano.
***
Per gli addetti al controllo delle comunicazioni di
Fort Meade, sede della National Security Agency era
la solita giornata di routine, tutte le chiamate e i
messaggi scambiati nel mondo erano analizzati e se
contenevano frasi sospette venivano segnalate al
centro operativo di Langley, sede della CIA.
Quando alle sedici ora locale sulla consolle apparve
per la seconda volta il nome di Carlos l’addetto alzò
il telefono e compose il numero di Mason il direttore
della CIA.
«Sono stati inviati due messaggi criptati dalle utenze
di Carlos.»
«Quando?»
«Alle sei e trenta e alle venti e trenta ora italiana,
uno dalla sua abitazione e uno da Lucca.»
«Il contenuto?»
«Fra trenta minuti le farò avere i messaggi
decriptati.»
Un’ora dopo il direttore alzò il telefono e fece
l’interno del servizio operativo.
«Carlos è tornato in azione, si sta spostando a
Milano , voglio sapere con chi si deve incontrare,
priorità assoluta.»
«Avvisiamo i nostri agenti in Italia.»
«Tenetemi informato su tutto, anche per le cose più
insignificanti, se fa pipì fuori dalla tazza lo voglio
sapere.»
«Sì signore.»
Venerdì 7 dicembre, nella suite del lussuoso hotel
Drumondì, affacciato sulla piazza del Duomo a
Milano, erano riunite dieci persone, Giorgio prese la
parola.
«La situazione economica del nostro paese è a un
passo dal baratro, una parte consistente della
popolazione non ha un reddito sufficiente per
arrivare a fine mese, i poveri sono oltre quattro
milioni, la disoccupazione è al trenta per cento,
centinaia di fabbriche ogni giorno chiudono e i nostri
politici cosa fanno? Pensano solo ai loro interessi e a
riempirsi le tasche, è una situazione ingovernabile,
bisogna intervenire prendendo in mano le redini del
paese. E’ venuto il momento di rispettare la volontà
dei nostri genitori, morti nel 1945 in azioni di
guerra.» Lesse:
Abbiamo servito fedelmente il nostro Paese e il Duce,
abbiamo combattuto per l’ideale di una Patria fondata sul
rispetto reciproco, sulla famiglia, sul lavoro, sulla difesa del
nostro territorio e sul mantenimento delle nostre tradizioni,
ricordatevi di imparare dal passato per guardare al futuro.
Figlioli, noi non possiamo fare più nulla per il nostro Paese,
voi invece potete fare molto, i vostri nonni vi guideranno
sulla giusta via, rispettateli e ubbiditegli senza riserve. La
contrapposizione tra comunismo e fascismo continuerà per
decenni e se un giorno questo porterà allo sfascio economico e
politico, recuperate la busta depositata dall’avvocato Karl in
una banca di Lugano. Diffidate di chiunque, sono in molti a
volere quelle informazioni e saranno disposti a tutto. Non
dimenticateci, i vostri genitori.
Un attimo di pausa e poi continuò.« E’ venuto il
momento di recuperarla, domani sera chiamerò
Carlos, l’unico in grado di aiutarci e soprattutto è
l’unico di cui ci possiamo fidare. Marco, se accetterà
sarà compito tuo andare a prenderlo all’aeroporto.»
Giorgio lo conosceva da quando era uscito dai
servizi segreti militari ed aveva aperto un’agenzia di
spionaggio civile. Specializzata nell’ottenere,
mettere insieme e analizzare informazioni. Tutti i
“lavori” che gli aveva commissionato erano stati
svolti con professionalità, efficienza e segretezza.
«Ok Giorgio, ci penso io.»
«Per oggi è tutto, la prossima riunione si terrà
venerdì alla stessa ora.»
L’aereo atterrò all’aeroporto di Linate in perfetto
orario e quando Carlos scese dalla scaletta trovò
Marco ad attenderlo.
«Ben arrivato, ho prenotato una camera in albergo.»
«Preferisco che mi porti alla fermata dei taxi, per
questioni di sicurezza vorrei muovermi a modo mio.»
«Ok».
Scese dalla macchina e salì sul taxi.
«Dove la devo portare?»
«In via Podgora 22.»
Carlos attraverso intermediari delle Cayman aveva
acquistato monolocali in varie città: Milano, Roma,
Londra, Parigi, Ginevra, New York, gli servivano
come appoggio nelle varie missioni, in ogni
appartamento vi era il necessario per garantire la
sopravvivenza in caso di necessità, documenti falsi,
vestiti, armi, denaro.
Il monolocale si trovava in uno stabile anni sessanta
all’ultimo piano. Appena entrato aprì l’acqua del
bagno prese una bottiglia di Cartizze lo mise in un
secchiello pieno di ghiaccio e lo appoggiò vicino
alla vasca, si immerse nell’acqua calda e
sorseggiando il vino incominciò a rilassarsi, il sonno
stava prendendo il sopravvento quando arrivò
Beatrice.
«Diventi vecchio amore mio.»
«Beatrice, ero distrutto.»
«Non prendere scuse.»
La prese tra le braccia, le scompigliò i capelli, la
baciò a lungo e la trascinò nella vasca.
Erano le sei del mattino quando il telefono di Carlos
squillò:«Pronto.»
«Ciao, sono Giorgio, ci possiamo vedere a pranzo?»
«Sì, ma non potevi chiamarmi più tardi, stanotte ho
dormito poco.»
«Immagino, salutami Beatrice.Ci
ristorante “Da Gigino” alle tredici.»
troviamo
al
«Beatrice», disse Carlos, «i servizi non ci
metteranno molto a scoprire che siamo a Milano e
non voglio bruciare questa copertura, ci trasferiamo
in albergo, prendi i documenti falsi dalla cassaforte.»
Misero il minimo indispensabile in un borsone,
salirono sull’autobus della linea 84 fino a largo
Augusto, li presero un taxi e si fecero portare in un
albergo vicino alla fiera, si registrarono come
Corrado Rossi e Giulia Rota.
Alle tredici erano all’ingresso del ristorante che si
trovava sui Navigli, la sua specialità era pesce di
mare, al cameriere che gli chiedeva se aveva
prenotato rispose che era atteso dal dottor
Giorgio:«Venga, l’accompagno.»
«Ciao Carlos, ciao Beatrice è un piacere rivedervi,
accomodatevi, vi faccio portare del vino?»
«Sì, grazie, del Cartizze.»
«E tu Beatrice.»
«Anche per me, grazie.»
«Carlos, ti vorrei parlare del lavoro per il quale ti ho
ingaggiato.»
Gli raccontò tutto senza tralasciare nulla.
«Recuperami la busta e venerdì quando ci vedremo,
decideremo insieme se e come proseguire
l’operazione.»
«Va bene ,ti recupero la busta.»
Rientrati in albergo pianificarono il viaggio in
Svizzera e decisero di andare a Lugano in treno,
prenotarono su Internet per due giorni dopo, partenza
alle ore undici dalla stazione centrale, arrivo alle
dodici e dieci.
***
Ryan, responsabile della CIA presso il consolato
americano a Milano era in attesa di informazioni, in
cuor suo sperava che Carlos fosse lontano , aveva
già avuto a che fare con lui e ricordava benissimo la
figuraccia che rischiò di troncagli la carriera.
Le informazioni arrivarono: Carlos era atterrato a
Linate con un aereo privato noleggiato da una
finanziaria Belga, era ad attenderlo una persona non
identificata che guidava una macchina noleggiata da
una società Svizzera, e da quel momento di lui non ci
sono più tracce, nessun albergo aveva registrato il
suo arrivo.
«Attivate tutte le forze disponibili, deve essere
trovato, solo se necessario avvertite i servizi
italiani.»
***
Arrivarono a Lugano puntuali alle dodici e dieci,
scesero da due vagoni diversi, Beatrice entrò nel
bagno della stazione e la persona che ne uscì era
irriconoscibile:aveva messo una parrucca nera,
minigonna, calze a rete, scarpe con tacchi a spillo e
la scollatura non lasciava dubbi all’immaginazione,
il cappotto era lungo e aperto sul davanti, i vestiti
che portava all’arrivo li mise in un sacchetto e li
buttò nella spazzatura poi prese un taxi con direzione
lungo lago.
Carlos entrò in un bar, ordinò un caffè, uscì poco
dopo e salì anche lui su un taxi dando indicazioni
all’autista di portarlo in via Trevisago, che si
trovava subito dopo la banca.
Beatrice era seduta sopra una panchina sotto gli
sguardi affascinati dei passanti, quando vide arrivare
Carlos si alzò ed entrò nella banca Schultz che si
trovava lì vicino. Carlos attraversò la strada, cercò
un posto appartato con la visuale sull’istituto di
credito e attese.
All’impiegato chiese del direttore e nell’attesa si
mise a leggere un depliant della banca, dopo qualche
minuto una voce la scosse:«Signora, sono Simon il
direttore.»
Gli occhi non si staccavano dal seno prosperoso,
Beatrice sorrise.
«Devo aprire una cassetta di sicurezza.»
«Posso avere il codice.»
«Eccolo.»
«La faccio attendere un attimo, devo fare una
verifica.»
Il direttore entrò nel suo ufficio inserì il codice nel
computer, la cassetta era stata richiesta nel 1945 e il
costo del deposito pagato regolarmente, era stata
aperta una sola volta nel ’47 e da allora nessuno si
era più presentato.
Sotto le informazioni una scritta lampeggiante: ogni
richiesta di apertura della cassetta deve essere
autorizzata dal presidente.
Alzò il telefono e fece l’interno«Mi scusi se la
disturbo, chiedono l’apertura di una cassetta che ha
bisogno della sua autorizzazione.»
«Dammi il numero del codice.»
«Tr 244536 vtrc 22 cv 289013564.»
«Aspetta che scendo, ci penso io.»
Prima di scendere fece una chiamata:«Ciao, hanno
richiesto l’apertura di una cassetta richiesta nel 45.»
«Voglio sapere cosa contiene, forse è quello che mio
padre cercava.»
«Vedo cosa posso fare.»
«Trattienili il più possibile, ho degli uomini lì
vicino, il tempo di avvertirli.»
«Va bene, ma sono stufo di toglierti le castagne dal
fuoco, se tuo padre non si fosse fatto fregare da dieci
fascisti invasati, non saremmo a questo punto.»
«Devo ammettere che hai ragione e come mi disse ,
“sono tutti morti con onore”.»
«Bando alle ciance, datti da fare.»
Chiuse la comunicazione e scese nel salone
:«Buongiorno signora, con chi ho l’onore di
parlare?»
«Sono Giulia Rota, abito a Milano e devo aprire la
cassetta, ci sono problemi!»
«Certo che no, sono il presidente e l’accompagno
personalmente.»
«Che onore.»
Carlos vide arrivare due SUV che si fermarono
vicino all’entrata della banca, scesero quattro uomini
tre si misero vicino all’entrata e uno restò accanto
alle auto. Erano tutti armati il rigonfiamento sotto il
giaccone ne era la prova, che cosa intendevano fare?
Prese il telefono e chiamò Beatrice.
«Ci sono problemi cercherò di creare un diversivo.
Sganciati fra una mezzora e corri verso il lago, ho
un’idea. Buona fortuna.»
«Anche a te amore mio.»
Nel bunker della banca erano custodite centinaia di
cassette, il presidente inserì la sua chiave e si
allontanò, Beatrice la sua e quando l’aprì trovò due
buste, le mise nella borsetta e finse di avere un
mancamento.
«Chiamate un medico ,la signora Rota si sente male.»
Scese il direttore che telefonò al loro medico
personale.
«È in arrivo, intanto facciamola accomodare sulla
poltrona.»
Dopo che il medico verificò che si trattava solo di un
lieve malore, Beatrice si fece indicare il bagno.
Nel frattempo Carlos telefonò al suo amico Dimitri
che abitava proprio a Lugano:«Ciao sono Carlos»
«Amico mio dove sei?»
«A Lugano, ho bisogno del tuo aiuto.»
«Che tipo d’aiuto, sono fuori dal giro ormai.»
«Hai ancora il motoscafo?»
«Certo, in piena efficienza.»
«Ho bisogno che recuperi Beatrice, che si trova nella
banca Schultz vicino al lago.»
«Stai rapinando una banca!»
«Ma no, poi ti spiego, porta l’AK47. »
«Ma, cosa devi fare, scatenare una guerra?»
«Forse sì, scherzo, è solo per precauzione.»
«Ti conosco, so che finirò in un mare di guai, ma se
devo dirti la verità mi sono stancato di questa vita,
arrivo tra venti minuti.»
Appena lo vide gli indicò un’insenatura vicino alla
strada che costeggiava il lago:«Attacca a una cima
l’AK47 e passamela.»
Una volta recuperato il fucile mitragliatore
disse:«Dimitri, tieniti pronto a partire, appena la
vedi chiamala, falla salire e aspettatemi a Gandria,
hai portato le chiavi della tua macchina.»
«Anche la macchina! Poi cosa vuoi.»
«Sapere dove è posteggiata.»
«In piazza Rezzonico sotto l’hotel dove abito.»
«Dove abitavi, vuoi dire.» Scoppiò a ridere.
«Maledetto il giorno che ti ho incontrato.»Rispose
sorridendo.
Avvolse il fucile con il cappotto passò davanti alla
banca superò i SUV e si nascose dietro un vasca di
fiori, inserì il caricatore, tolse la sicura e cominciò a
sparare verso le auto mirando alle gomme, dopo i
primi spari tre di loro si misero al riparo dietro le
auto e risposero al fuoco, il quarto rimase vicino
all’ingresso.
Beatrice appena sentì i primi spari corse verso
l’uscita, ma fu bloccata da un uomo che gli tolse la
borsa. Non si perse d’animo, gli assestò un calcio nei
genitali,l’uomo colto di sorpresa mollò la presa.
Uscì di corsa dalla banca, si guardò intorno, sentì
qualcuno che gridava il suo nome, si tolse le scarpe e
cominciò a correre, quando fu vicino al motoscafo
scavalcò la balaustra e si buttò, Dimitri la prese al
volo e partirono a tutta velocità.
Carlos scaricò il caricatore contro le auto, poi gettò
l’arma nel lago e corse in direzione opposta alla
sparatoria, fece appena in tempo a infilarsi in un
garage sotterraneo che tutte le strade intorno alla
banca furono bloccate dalla polizia e gli occupanti
dei SUV arrestati.
Passarono quasi due ore prima che riuscisse ad
uscire dalla città e dirigersi verso il porto di
Gandria.
«Ti ringrazio Dimitri, ora puoi andare alla polizia e
denunciare il furto del motoscafo, tieniti pronto,
avremo bisogno di te.»
«Buona fortuna.»
«Anche a te amico mio.»
Salì sul motoscafo partendo a tutta velocità verso
Porlezza, arrivati a circa un chilometro dal porticiolo
fermò il motore e gettò l’ancora. In attesa della sera,
scesero in cabina e si gettarono sul divano sfiniti.
Carlos la guardò e disse: «Sei bellissima, amore
mio.» Le autoreggenti e la minigonna esaltavano le
belle gambe e le sue fantasie erotiche ,si spogliarono
e fecero l’amore appassionatamente.
Verso le dieci di sera calarono in acqua il gommone
di salvataggio, aprirono una falla nel motoscafo e lo
lasciarono affondare, a mezzogiorno erano in albergo
a Milano.
Appena arrivati in camera Carlos chiamò
Giorgio:«Ciao, sono appena arrivato in albergo.»
«Ho sentito della sparatoria, tutto bene?»
«Sì, tutto bene, ce la siamo cavata per un pelo,
qualcuno è stato avvisato del nostro arrivo»
«Avete la busta?»
«Sì, erano due.»
«Due? Pensavo che erano andate perse quando mi
hanno riferito la perdita della borsetta.»
« Devi fare i complimenti a Beatrice è stata
bravissima. Quando è andata in bagno ha tolto le
buste dalla borsa e le ha messe nel reggiseno.»
«Bene, ora dobbiamo essere più prudenti. »
«Farò fare alcune verifiche, ci vediamo come
stabilito.»
«Beatrice, al direttore hai dato il nome della carta di
identità falsa.»
«Sì.»
«Prepara la valigia si cambia albergo, chiamo un
taxi, prima ce ne andiamo meglio è.»
***
Nella sede del consolato americano a Milano Ryan
fu informato della sparatoria avvenuta a Lugano,
chiamò l’agente Brandon in Svizzera e gli chiese di
fornirgli
tutte
le
informazioni
in
suo
possesso:«Signore, c’è stato un conflitto a fuoco
davanti alla banca Schultz tra una persona non
identificata ed altre quattro. La persona non
identificata è scomparsa prima che arrivasse la
polizia, gli altri quattro sono stati arrestati, sono
dipendenti dell’agenzia Securty, che si occupa di
sicurezza e sorveglianza con sede a Zurigo.»
« Oltre alla sparatoria è successo qualcosa di
anomalo.»
«Sì, una donna di Milano una certa Giulia Rota era in
banca per aprire una cassetta di sicurezza ed è
fuggita appena ha sentito i primi spari, alcuni
testimoni l’hanno vista correre e saltare su un
motoscafo il cui proprietario ne ha denunciato il
furto, un certo Dimitri.»
«La sparatoria era un diversivo, avete fatto ricerche
su Dimitri.»
«Sì, è un ex agente dei servizi russi poi si è messo in
proprio, ha lavorato anche per Carlos.»
Ryan chiamò l’interno dell’agente David: «Verifica
se una certa Giulia Rota risiede in qualche albergo a
Milano.»
***
Carlos e Beatrice salirono sul taxi e si fecero portare
fino a Porta Magenta, presero un secondo taxi fino a
corso Genova, terzo taxi fino a corso Porta Vittoria e
l’ultimo pezzo di strada per arrivare in via Podgora
lo fecero a piedi.
Appena entrati nell’appartamento distrussero i
documenti falsi e ne presero altri, cambiarono gli
abiti e uscirono di nuovo, ritornarono in corso Porta
Vittoria dove si trovava un piccolo albergo,
consegnarono i documenti e salirono in camera.
Venerdì nella suite dell’hotel Drumondì in attesa di
iniziare la riunione fecero uno spuntino al buffet
preparato dall’albergo. Che prevedeva pizzette,
rustici, misto di affettati e formaggi, verdure
gratinate, frittate miste, come primo: della pasta al
pomodoro e del riso allo champagne, frutta e dolci. Il
tavolo dei vini oltre ai bianchi e rossi , in onore di
Carlos, anche alcune bottiglie di Cartizze.
Dopo un paio d’ore si iniziò : Giorgio riassunse gli
ultimi avvenimenti e alla fine un lungo applauso fu
rivolto sia a Carlos che a Beatrice per il risultato
ottenuto.
A questo punto Giorgio, aprì la prima busta che
conteneva una decina di fogli scritti a mano e lesse:
Il ventidue aprile del 1945 era appena terminato il discorso
di Mussolini alla prefettura di Milano, davanti a un
centinaio di ufficiali della guardia repubblicana, che il
comandante “Alberto” rientrato in ufficio ci fece chiamare.
Ci disse, «Camerati del plotone “ La Rosa Nera”* devo
affidarvi un compito di vitale importanza per la
sopravvivenza del Fascismo e dell’Italia futura, la missione è
pericolosissima, so che siete tutti sposati con figli, ma siete gli
unici in grado di portarla a termine, posso contare su di voi?»
«Si.»Fu nostra risposta unanime.
«Bene, questi sono gli ordini: stasera porterete cinque camion
a Como, su ognuno caricheranno dieci casse. Per sicurezza
ogni carro percorrerà strade diverse. Una volta arrivati a
Como proseguirete per Porlezza, lì vi raggiungeranno delle
persone che vi accompagneranno a Lugano. Il contenuto
dev’essere consegnato al dottor Schultz e a nessun altro,
questa missione conta più della vostra vita, la parola d’ordine
è “donna Rachele”. Una volta consegnata la merce, Schultz
vi darà una busta che mi farete avere.»
L’appuntamento era presso un presidio militare fuori Como,
ancora controllato dalle forze repubblicane.
Alle ore venti del 22 aprile partimmo da Milano verso Como.
Il primo dopo Rho si diresse verso Legnano, Busto Arsizio,
Varese, arrivò a Como verso le ventiquattro.
Il secondo passando da Sesto San Giovanni, Monza, Lecco,
arrivò a Como alle ventidue e trenta.
Il terzo prese per Cinisello, Cantù, arrivò a Como alle
ventidue.
Il quarto passò da Desio, Seregno, Cantù, arrivò a Como alle
ventidue e trenta.
Sapemmo il giorno dopo che il quinto decise di passare per
Lainate, ma alla periferia di Garbagnate incappò in un posto
di blocco partigiano il tenente Gianni alla guida del veicolo
accelerò tentando di forzarlo, una scarica di pallottole colpì
la fiancata ferendolo a morte, Giovanni difese il veicolo fino
all’ultimo colpo prima di essere massacrato.
Il capo della pattuglia salì sul camion, aprì una cassa di
legno e restò di sasso quando vide il contenuto, avvertì subito
il comando di Milano che inviò una cinquantina di
partigiani per scortare il mezzo.
Alla notizia dell’imboscata chiamai il comandante Alberto :
«Comandante, sono il capitano Giuliano due dei nostri sono
stati uccisi e il camion sequestrato, i partigiani potrebbero
essere riusciti ad avere qualche informazione. Se così fosse la
nostra missione è in pericolo!»
«La missione deve continuare come stabilito.»
«Comandante, il colonnello Bardolf sta per partire da Como
diretto a Chiavenna per presidiare l’aereo da trasporto, che
deve portare il Duce in Germania, non possiamo consegnare a
loro il carico?»
«No, impossibile che il Duce arrivi a Chiavenna, la
situazione è disperata, qui c’è un clima del si salvi chi può,
proseguite la missione come concordato.»
Le risposte avute non mi convincevano, come sapeva che il
Duce non poteva arrivare a Chiavenna e quel “si salvi chi
può ” mi preoccupava, il comandante “Alberto” non mi era
mai piaciuto era un essere viscido e sempre pronto a mettersi
sul carro del vincitore, decisi di riunire gli uomini del plotone
e parlai con loro:
«La morte dei nostri due camerati, il nemico alle porte di
Milano e l’imminente insurrezione di tutto il nord, rende la
nostra missione disperata. Dobbiamo cambiare il programma
stabilito, se vogliamo che un giorno i nostri figli possano
portare avanti le nostre idee e rendere migliore il nostro
paese.»
Dopo un’ora di discussioni decidemmo il da farsi.
Presi la moto di un commilitone e mi recai a Como , suonai il
campanello dell’avvocato Karl , che abitava in una villa di
fronte al lago e dopo mezzora ero già sulla via del ritorno.
Faremo di tutto per portare a termine la missione come
abbiamo concordato, ma se non torneremo, l’avvocato vi
fornirà tutte le informazioni.
Vi vogliamo bene.
* Il plotone, detto “la Rosa Nera”, era formato da
dieci ufficiali ideologicamente fascistizzati figli di
genitori della Milano “bene”, legati fra loro da
parentele più o meno lontane.
Giorgio passò alla lettura della seconda lettera:
Signori come richiesto dai vostri genitori vi scrivo quello che
ho saputo sulla loro missione.
Il 23 aprile 1945 i mezzi si mossero da Como in tarda
mattinata, uno si diresse verso Porlezza comandato da
Giuseppe e gli altri tre comandati da Giuliano verso Erba.
Alle sedici il mezzo era alla periferia di Porlezza,
l’appuntamento con i corrieri era per le otto di sera, attesero
l’ora mangiando e bevendo, verso le diciannove e trenta
caricarono le armi e si prepararono all’incontro.
Il camerata di guardia appostato su una collinetta avvistò
dei mezzi che si stavano avvicinando a fari spenti, chiamò
Giuseppe:«Stanno arrivando.»
«Stiamo pronti, nascondiamoci dietro il camion.»
Quando i mezzi furono a qualche centinaio di metri Giuseppe
diede l’alt:«Parola d’ordine o apriamo il fuoco.»
Nessuna risposta.
«Prepariamoci a difenderci, come pensava Giuliano siamo
stati traditi.»
Si disposero a difesa del mezzo, sapevano che potevano fare
ben poco, combatterono strenuamente ma le forze nemiche
erano soverchianti, finite le munizioni si arresero.
Furono allineati con le mani sopra la testa, sentirono dietro
di loro i partigiani che si stavano preparando a sparare, poi
uno di loro disse:«Fermi non sparate, il camion è vuoto e ne
mancano altri tre, portiamoli al comando.»
Furono interrogati per tutta notte ma nessuno di loro disse
una parola, dopo il processo furono fucilati.
Gli altri tre mezzi prima di muoversi da Como installarono
sul tetto di ogni camion una mitragliatrice Breda e partirono
per Chiavenna passando da Erba, Lecco e Gravedona. Lo
scontro più pesante con le forze partigiane si verificò nei
pressi di Gravedona, le mitragliatrici e una buona dose di
fortuna consentì loro di uscirne solo con qualche graffio, alle
18 erano a Chiavenna.
La pista di decollo era presidiata da due semicingolati
tedeschi Sdkfz 250 ognuno dei quali poteva trasportare sei
uomini ed era equipaggiato con due mitragliatrici MG 42, il
comandante era il colonnello Bardolf.
Erano in attesa che l’aereo tedesco Junkers 52 decollasse, gli
ordini arrivati da Berlino erano chiari, dovevano lasciare il
suolo Italiano.
I tre camion italiani si mossero verso il campo di volo
prendendo di sorpresa i tedeschi. Due circondarono i
cingolati e uno si mise davanti all’aereo.
«Colonnello Bardolf.» Disse Giuliano,«dobbiamo sequestrare
il vostro aereo.»
«Siete impazziti? L’aereo deve decollare subito per la
Germania.»
«Senza l’aereo non possiamo portare a termine la nostra
missione e se non arriviamo a un accordo saremo costretti a
prenderlo con la forza.»
Sarebbe bastato un nonnulla per provocare uno scontro a
fuoco con esiti drammatici.
«Capitano , deve essere una missione di vitale importanza per
rischiare la vita.»
«Colonnello, venga con me e capirà perché stiamo rischiando
la vita. Il carico che stiamo trasportando un giorno
consentirà di cambiare la storia del nostro paese.»
Lo fece salire su un camion e aprì una delle casse. Bardolf
restò di sasso.
«Lasciateci un carro e noi ce ne andremo da qui lasciandovi
l’aereo. So che siete un pilota esperto, se non ricordo male vi
siete addestrato anche a pilotare il Junkers 52 in Germania.»
«Ricordate bene Colonnello, prendete una cassa è il massimo
che intendo concedere.»
«Va bene accetto.»
«Sergente caricate la cassa sull’autoblindo
andiamocene.»,«Addio capitano e buona fortuna.»
e
Il Junkers 52 era un trimotore da trasporto e passeggeri
poteva trasportare diciassette passeggeri, raggiungeva una
quota massima di 5500 metri, con un’autonomia di 1280
chilometri. Per la sua affidabilità il Ju52 divenne anche
l’aereo personale di Hitler e fu con un Ju52 che Mussolini,
nel 1943, dopo la sua liberazione dalla caserma sul Gran
Sasso, fu trasferito da Monaco di Baviera a Berlino .
Giuliano fece caricare le casse sull’aereo e con la radio inviò
un messaggio all’avvocato Karl: «Il pacco prende il volo,
procedi come da accordi.»
Il peso totale era di circa 2000 chili, decollare in quelle
condizioni su quella pista diventava una vera impresa.
Erano le venti e trenta del 23 aprile 1945 quando Giuliano
accese i tre motori, mise le manette al massimo e
incominciarono a rullare sulla pista, l’aereo stentava a
prendere velocità, gli alberi erano sempre più vicini, cominciò
a pensare che non ce l’avrebbero fatta, anche con i motori al
massimo non si staccavano dal suolo, poi lentamente si alzò
da terra, stavano decollando, le ruote toccarono la cima degli
alberi ma ce l’avevano fatta, fece una virata a destra e si
diressero verso l’aeroporto di Tempelhof, in Germania.
L’aeroporto internazionale di Berlino-Tempelhof – in
tedesco ZentralflughafenBerlin-Tempelhof – si trovava nella
parte sud del quartiere centrale di Tempelhof-Schoneberg.
Il volo durò tre ore, quando si avvicinarono all’aeroporto i
bidoni di benzina allineati sulla pista vennero accesi
illuminandola. La battaglia infuriava, l’esercito russo si
stava avvicinando e gli uomini messi alla sua protezione
facevano del loro meglio per ritardarne la capitolazione. I
traccianti crivellarono la fusoliera ma ancora una volta la
solidità di questo mezzo, permise loro di atterrare. Una volta
a fondo pista non spense i motori ma si mise di nuovo in
posizione di decollo, dall’hangar uscirono cinque camion e tre
autoblindo a protezione dell’aereo.
Appena arrivarono sotto fusoliera un ufficiale in divisa da
repubblicano scese dal camion e disse: «La Rosa Nera è
viva?»
«Sì, è viva.»Rispose Giuliano.
«Ciao Giuliano, l’avvocato Karl ci ha telegrafato, spostiamo
le casse sui camion, il tempo stringe i russi sono vicini.»
«Noi ritorniamo a Chiavenna, qualcuno potrebbe avere
bisogno di un passaggio. Ora dipende da te, il carico deve
arrivare a destinazione.»
«Arriverà a destinazione è tutto pronto, buona fortuna
Giuliano.»
Il 24 aprile del 1945 alle ore 2:30 l’aereo decollò sotto una
pioggia di fuoco, a duemila metri Giuliano si rilassò e non si
accorse che due Spitfire stavano picchiando su di loro, non si
resero conto che erano già morti.
Le truppe sovietiche il 24 aprile 1945 nel tardo pomeriggio
conquistarono Tempelhof e lo consegnarono alle forze
statunitensi il 4 luglio dello stesso anno.
Il 28 aprile 1945 il Duce fu fucilato a Giulino di Mezzegra
e subito dopo fecero la stessa fine tutti i gerarchi a lui vicino.
Il 6 luglio del 1945 un aereo Douglas C 47 detto “Dakota”
era pronto sulla pista di Tempelhof per trasportare in
America i soldati rimasti feriti o morti in battaglia.
Il sergente addetto al trasporto vide avvicinarsi cinque
camion e sorpreso disse:«Colonnello, dove sono i feriti?»
«Sergente c’è un cambio di programma caricate queste casse e
i prigionieri .»
«Non sono stato informato.»
«Ecco gli ordini sergente.»
«Ok ,carichiamo e partiamo.»
Nel 1947 lo stesso materiale fu imbarcato come apparati
medicali su un aereo Douglas DC-4 della Swissair che partì
da New York con destinazione Zurigo.
Una volta ricevute queste informazioni, ho portato a Lugano
la seconda busta che conteneva questa lettera , i codici e la
chiave della cassetta di sicurezza custodita in una banca di
Zurigo.
Buona fortuna, avvocato Karl.
***
Al consolato americano di Milano l’agente David
fece rapporto a Ryan:« La signora Giulia Rota
alloggiava insieme al signor Corrado Rossi in un
hotel vicino alla fiera di Milano ho mostrato le foto
di Carlos e di Beatrice, si tratta delle stesse persone,
ieri hanno lasciato l’albergo. Volevo anche dirle che
non siamo i soli a cercarli altre persone si sono
informate su di loro.»
«Grazie, continuate a cercarli.»
***
L’amministratore dottor Roberto dell’agenzia Securty
era riunito con i suoi più stretti collaboratori,
l’argomento era la sparatoria di Lugano.
«Giulia Rota è stata rintracciata in un albergo di
Milano in compagnia del suo compagno, presumo che
sia la persona che ci ha sparato. Il motoscafo con il
quale la signora è fuggita era di proprietà di un certo
Dimitri ex agente Russo. Tutto porta a Carlos, se
fosse vero, bisognerà procedere con cautela è una
persona esperta e pericolosa», un attimo di
riflessione e riprese «ora Carlos non si trova più
nell’albergo, bisogna trovare dove si nasconde e
tenerlo sotto sorveglianza, seguite anche Dimitri e
non perdetelo di vista.»
Rimasto solo dopo aver congedato i suoi
collaboratori pensò : «Ho la sensazione che
finalmente abbiamo imboccato la strada giusta per
riavere quello che è mio.»
Carlos ricevuta la chiamata da Giorgio decise di
partire per Rimini con Beatrice. Stavano uscendo
quando Dimitri chiamò sul telefonino: « Ho alcune
informazioni sull’amministratore delegato della
Securty. E’ il dottor Roberto figlio di un italiano ex
Repubblicano chiamato comandante Alberto.
Scampato alla purga Partigiana si trasferì in
Svizzera.»
«Grazie , il comandante Alberto era l’ufficiale che
aveva incaricato il plotone detto “ La Rosa Nera” di
trasportare il carico a Porlezza. Il fatto che non sia
mai arrivato deve aver fatto infuriare molta gente. Ho
bisogno di più informazioni , metti sotto controllo le
telefonate, gli scambi di e-mail e i movimenti
bancari.»
***
Mason era in riunione a Langley con i suoi
collaboratori: «Sappiamo che Carlos e Beatrice sono
a Milano, cambiano spesso albergo e quando sono
andati in Svizzera per aprire una cassetta di sicurezza
noleggiata nel 1945, sono stati coinvolti in una
sparatoria con quattro persone dipendenti di
un’agenzia di sicurezza con sede a Zurigo.Dopo i
primi spari Beatrice si è allontanata con il motoscafo
di Dimitri che è un ex agente russo. Indaghiamo su
chi ha pagato fino a oggi il noleggio della cassetta,
chi ha ingaggiato Carlos e cosa c’entra l’agenzia di
sicurezza in tutta questa faccenda. Tra qualche mese
sarei dovuto andare in Italia , intendo anticipare la
visita per seguire da vicino le indagini.»
***
Arrivati nella suite dell’hotel Marcon a Rimini,
Beatrice prese dal cesto di frutta fresca ,omaggio
della direzione, una grossa fragola e maliziosamente
la morsicò «Carlos l’idromassaggio ci aspetta.» Si
liberarono dei vestiti e si lavarono a vicenda, era un
loro modo per eccitarsi per poi fare l’amore per ore.
Si svegliarono presto fecero una colazione veloce e
lasciarono l’albergo, l’autista era in attesa per
accompagnarli all’aeroporto di Rimini-Miramare
dove un jet privato era pronto al decollo,
destinazione Ginevra.
Giorgio si collegò in audio video conferenza con i
componenti del consiglio di amministrazione:
«Scusatemi per aver indetto la riunione con così
poco preavviso, ma la nostra associazione ” La Rosa
Nera“ potrebbe essere in pericolo se non saremo più
che prudenti, d’ora in avanti le riunioni le terremo
nella mia villa a Forte Dei Marmi. Per le
comunicazioni tra noi e i capigruppo useremo sim
anonime ricaricabili che non necessitano alcuna
registrazione, per lo scambio di e-mail useremo
canali criptati, cerchiamo di usare la massima
prudenza.»Il
La Rosa Nera era un’associazione segreta di
connotazione politica nata nel 1900 per contrastare il
pericolo comunista.
La struttura è regolata in modo rigido dall’alto e
divisa in tre livelli, ciascuno dei quali aveva dei
capo gruppo ma solo le persone del primo livello
potevano impartire gli ordini. Se aderenti e dirigenti
manterranno il segreto e la società è opportunamente
strutturata in maniera da rendere impossibile a
chiunque , tranne che ai vertici, di conoscere tutti gli
altri, riusciranno a mantenere nascosta l’esistenza
stessa della società.
Il primo livello, il vertice, era formato da dieci
persone , al quale competeva tutte le decisioni sia
politiche che economiche.
Il secondo livello era costituito da: politici, militari,
avvocati, industriali e giornalisti.
Il terzo livello, il più consistente, era formato da
impiegati,
studenti,
negozianti,
artigiani,
commercianti.
L’associazione alla sua nascita era radicata
soprattutto al nord,si espanse in un secondo momento
al centro, ed infine al sud. La migrazione, che nella
maggior
parte
dei
casi
era
agevolata
dall’associazione, contribuì a creare sedi in tutto il
mondo. La società gestisce un patrimonio ingente che
gli permette di mantenere in modo agiato tutti gli
affiliati, i quali dovevano mantenere il segreto e
quando richiesto obbedire agli ordini che gli
venivano impartiti senza chiedere spiegazioni. Non
conoscendosi l’uno con l’altro diventava semplice
licenziare chi non rispettava le regole e nel
malaugurato caso che qualcuno violava la sicurezza ,
il danno era relativo in quanto nessuno conosceva a
fondo la struttura.
L’associazione era in grado anche di condizionare il
funzionamento del sistema politico, con accordi più o
meno espliciti, naturalmente mantenuti segreti,
facendo leva sui membri della società segreta
all’interno dello Stato,riuscivano a influenzare le
decisioni che riguardavano i finanziamenti, le cariche
e le carriere.
Il vertice come detto era formato da dieci persone
che erano i genitori del plotone Rosa Nera. Dopo la
loro morte l’associazione continuò a essere guidata
dai fondatori finché i nipoti non furono in grado di
subentrare ai loro nonni. Ora il capo supremo era
Giorgio.
L’appartamento di Carlos si trovava nel quartiere di
Chandieu zona residenziale di Ginevra.Dopo una
doccia ristoratrice presero dal frigo una bottiglia di
Cartizze e mentre gustavano il vino , pianificarono il
viaggio.
«Domattina partiamo per Zurigo. Affronteremo
trecento chilometri di strada a scorrimento veloce,
passeremo per Losanna e Berna, per poi affrontare
una discesa pericolosa lunga due chilometri , alla
fine mancheranno pochi chilometri all’arrivo. Dimitri
ci seguirà a distanza , meglio essere prudenti. Ora
andiamo al ristorante ho una fame da lupi.»
Partirono alle sette di mattina, nuvoloni plumbei non
aspettavano altro che svuotare il loro carico d’acqua.
Fino a Losanna piovigginava, poi quando entrarono
nell’autostrada E 25 diluviava, Carlos fu costretto a
concentrarsi sulla guida, il controllo di quello che
succedeva intorno a loro era compito di Beatrice che
notò due macchine alternarsi dietro di loro senza mai
tentare il sorpasso.
«Carlos,dietro di noi ci sono due auto sospette…»
«Cosa?»
«Ci seguono da Losanna, ora siamo quasi a Berna e
sono sempre dietro di noi.»
«Proviamo qualche manovra diversiva e vediamo
cosa succede.»
Aumentò la velocità, sorpassò sulla destra due
macchine, tagliò loro la strada portandosi a sinistra
sulla corsia di sorpasso aumentando la velocità fino
a 160 chilometri all’ora.
«Ci stanno ancora seguendo.»
«Sì, sono sempre dietro, non ci mollano.»
«Prendi la semi automatica nel borsone.»
«Perché? Cosa vuoi fare?»
«Meglio essere pronti ad ogni evenienza.»
La prese, mise il colpo in canna e inserì la sicura,
appoggiò la pistola nel porta oggetti a portata di
mano e si girò a guardare la posizione delle due auto.
Non si nascondevano più avevano capito di essere
stati scoperti, la folle corsa continuò per una decina
di chilometri.
«Carlos, hanno rallentato, non ci seguono più.»
«Sono dei professionisti, saranno stati sostituiti da
altri, chiama Dimitri e chiedigli dove si trova.»
Beatrice gli obbedisce.
«È vicino a Berna.»
«Digli di entrare nella prima stazione di rifornimento
che trova a Olten , lo aspettiamo lì.»
«Ciao Dimitri, cambio di programma: tu prendi la
mia macchina con Beatrice, io la tua .Ci teniamo in
contatto telefonico, la pistola la prendo io.»
Carlos si mise in coda a Dimitri mantenendosi a
trecento metri di distanza, un SUV nero lo sorpassò e
cominciò a seguire la macchina di Dimitri.
«Ci siamo ,un SUV ti sta seguendo mettiti in corsia di
sorpasso, non fare manovre diversive non devono
capire che sono stati individuati.»
Si mise in corsia di sorpasso aumentando la velocità
e lo stesso fece il SUV.
«Dimitri alla prima area di servizio che incontri,
posteggia nel garage sotterraneo ma non scendete
dall’auto.»
«Ok.»
La incontrarono vicino alla città di
,posteggiarono e attesero.
Bulach
Il SUV gli passo accanto e si fermò prima della
rampa di uscita, Carlos lasciò l’auto all’esterno e
scese attraverso le scale, senza farsi notare si
avvicinò al SUV spalancò la portiera e puntò la
pistola alla fronte del guidatore.
«Mettete le mani sul cruscotto dove le posso vedere,
adesso prendete le armi con due dita e buttatele
dietro, bene, fate altrettanto con i telefonini. Adesso
tu prendi queste manette, una la metti al polso del tuo
collega e l’altra al volante, ora fai lo stesso su di te.
Molto bene ora ditemi: chi cazzo siete, perché ci
seguite.»
«Non ti diciamo un cazzo pezzo di merda.»
«Risposta sbagliata.»
Partì un manrovescio che gli ruppe il naso.
«Pezzo di merda.» disse l’uomo dolorante.
«Posso continuare all’infinito se vuoi, oppure mi dite
quello che voglio sapere e me ne vado.»
Carlos tolse la sicura alla pistola e la puntò
minacciosamente verso il conducente.
«Ok, ti diciamo quello che sappiamo.»
«Bene, incominciate a parlare.»
«Siamo stati ingaggiati da una persona che ci ha
pagato in contanti, ma non sappiamo chi è, ci ha
fornito tutte le informazioni: marca d’auto, targa e
dove abitavate. Il nostro compito era sorvegliarvi e
seguirvi ovunque andavate, dovevamo telefonare
ogni mezzora e tenerlo informato.»
«Ok, i telefonini li prendo io.»
Scese dal SUV e con un coltello fece uno squarcio su
due gomme, poi si avvicinò a Dimitri.
«Lasciamo qui la macchina ha un sistema di
localizzazione satellitare, pulisci tutte le impronte,
avvisa i tuoi di andare nel nostro appartamento a
Ginevra, digli di fare una “pulizia a fondo”, lì non
possiamo più tornare. Una volta finito devono andare
all’autonoleggio e chiedere con “cortesia” chi gli ha
ordinato di fornirci un’auto con localizzatore. Li
aspettiamo a Winterthr al ristorante italiano La
Fornace in via Marktgasse 49 con i nuovi documenti,
questi sono inservibili.
Roberto nel suo ufficio della Securty a Zurigo aveva
un diavolo per capello:«Ma chi avete ingaggiato si
sono fatti sorprendere come dei dilettanti, non mi
posso fidare di nessuno, vi avevo avvisato che
Carlos era pericoloso, adesso starà sul chi vive e se
viene a sapere che siamo stati noi passeremo un
sacco di guai. Presumo che quello che cerchiamo sia
in una banca Svizzera, ho chiesto a Schultz di
attivarsi con i suoi amici banchieri e se Carlos si
presenta saremo i primi a saperlo.»
***
Mason appena sbarcato a Milano convocò una
riunione al consolato per fare il punto sulle indagini
riguardanti Carlos.
«Ha lasciato Milano diretto a Rimini, dove lo
attendeva un aereo privato con destinazione Ginevra.
Nessun albergo lo ha registrato.»
«Tutto qui?»
«No, un fatto strano si è verificato in una stazione di
rifornimento vicino a Bulach, la polizia cantonale ,
avvertita da una telefonata anonima, ha trovato due
uomini ammanettati dentro un SUV. Erano armati e
non in perfetta forma, uno aveva il naso rotto mentre
l’auto aveva due ruote bucate da un coltello.
Dall’interrogatorio non ne è uscito nulla
d’importante.»
«Potrebbe essere opera di Carlos. Sulla cassetta di
sicurezza di Lugano cosa avete scoperto.»
«È stata noleggiata a fine aprile 1945 da una società
Svizzera che ha continuato a pagare il mantenimento
fino a oggi, ed è stata aperta una sola volta nel
1947.»
«Il mese di aprile 1945 fu il culmine di un periodo
drammatico per l’Italia. Dopo l’insurrezione e la
liberazione dal nazi fascismo il Duce fu giustiziato
insieme ai suoi gerarchi. Io credo che Carlos stia
recuperando dei documenti rimasti nascosti per tutti
questi anni, riguardanti episodi accaduti in quel
periodo.»
***
Il ristorante italiano La Fornace di Winterthr era
degno di Carlos, il pranzo per lui era un rito, un
piacere e quando sceglieva un ristorante il suo motto
era: “non facciamo barbonate” .Tutti i tavoli erano
rotondi per quattro o otto persone con tovaglie di
lino, bicchieri in vetro soffiato, posate in argento e i
piatti erano di ceramica pregiata.
Il servizio era impeccabile e il pranzo eccellente. Si
dice che “con la pancia piena si discute e si ragiona
meglio”. È quello che hanno pensato le otto persone
attorno al tavolo.
Carlos si rivolse agli uomini di Dimitri: «Avete
“pulito”l’appartamento?»
«Sì, il contenuto è stato portato in un Self box
Storage a Ginevra, documenti, contanti e la chiave
del deposito sono in questa valigetta.»
«E cosa mi dite dell’autonoleggio.»
«Un impiegato infedele ha passato le informazioni
alla Securty e li teneva informati sui vostri
spostamenti attraverso il sistema satellitare, è stato
licenziato.»
«Securty, Securty, ci stanno attaccati al collo, non ci
mollano un istante, l’avete messa sotto controllo.»
«Sì, ci stiamo lavorando, hanno un firewall
eccellente, abbiamo difficoltà a entrare nei loro
sistemi, ma siamo a buon punto.»
«Ok ,tenetemi informato. Ora pianifichiamo il lavoro
per domani, il tempo stringe.»
Dopo due ore lasciarono il ristorante e si
sistemarono all’hotel Palace, arrivato in camera
Carlos chiamò il suo mediatore alle Cayman,
chiedendogli di vendere il monolocale di Ginevra e
di acquistarne uno a Zurigo.
Nell’attesa dell’arrivo di Beatrice, che era andata in
una boutique del centro per sostituire il guardaroba ,
ricontrollò il piano da attuare il giorno dopo,
verificando tutti i punti deboli cercando di
migliorarli. Dopo un paio d’ore arrivò : «Ciao caro
ho fatto qualche acquisto. Prego entrate e posate il
tutto sul tavolo.»Disse ai tre commessi che l’avevano
accompagnata.
Carlos non credeva ai propri occhi quando vide la
montagna di pacchi che contenevano : abiti, scarpe,
cappotti, calze, cravatte, camicie, gonne, camicette e
accessori vari.
«Caro , spero che non manchi nulla .»Disse
sorridendo.
Rimasti soli Beatrice entrò in bagno portandosi
dietro dei pacchetti e disse :«Non entrare, è una
sorpresa.»
Dopo mezzora uscì e a Carlos per poco non venne un
accidente, una visione mozzafiato: slip alla
brasiliana neri, reggiseno a balconcino nero,
autoreggenti nere e sottoveste nera.
«Ti piaccio amore mio?»
«Sei splendida, quasi mi dispiace toglierteli.»
Si baciarono a lungo toccandosi a vicenda e l’effetto
dell’abbigliamento di Beatrice su Carlos era
evidente, la fece sedere sul letto,le tolse solo le
mutandine,le allargò le gambe e incominciò a
leccarla e quando fu pronta lei si mise sopra di lui,
dopo alcune ore, stremati , stapparono una bottiglia
di cartizze brindando al loro amore .
La giornata iniziava con i migliori auspici, un cielo
azzurro ed un sole splendido li accolse. Ad attenderli
davanti all’hotel tre Mercedes, sulla prima salì
Beatrice insieme a Dimitri, le altre due erano
occupate dagli uomini della sicurezza che lo
seguirono a distanza.
Dimitri e Beatrice andarono nella banca in via
Bahnhofstrasse, che distava dall’hotel cinque
chilometri, lasciarono la macchina nel parcheggio e
salirono con l’ascensore fino all’ingresso dove
furono accolti da un impiegato.
«Avrei bisogno di una cassetta di sicurezza.» Disse.
«Le chiamo il direttore, potete attendete nel salotto.»
L’impiegato chiamò il direttore dicendogli che la
signora somigliava alla persona raffigurata nella
fotografia che tutti gli impiegati avevano nel
computer.
Il direttore chiamò Roberto :«Ciao, la signora che
cercavi è qui, vuole una cassetta di sicurezza.»
«Staranno facendo un sopralluogo, mando degli
uomini, cerca di trattenerla.»
«Va bene.»
Carlos attese che partissero e salì sul taxi :«Mi porti
in via Urania-Bercstrassealla banca Vonta.»
All’impiegato chiese di aprire una cassetta di
sicurezza.
«Attenda , avverto il direttore.»
Ritornò poco dopo:«Il direttore è in riunione
l’accompagnerà il suo vice.»
Dopo mezzora uscì con una borsa e si avviò al taxi
rimasto in attesa, prima di salire fece una
telefonata:«Beatrice puoi uscire, il pacco è al suo
posto, avverti Dimitri che potrei avere bisogno di
appoggio. Chiedigli di far dirottare i suoi uomini in
via Urania-Bercstrasse, ciao amore mio.»
«Ciao amore, a presto.»
Il direttore una volta finita la riunione fu avvisato dal
suo vice che un uomo, somigliante alla persona della
foto,aveva prelevato una borsa da una cassetta di
sicurezza.
«Accidenti a te, perché non mi hai avvisato?»
«Non mi sembrava il caso, eri occupato in una
riunione.»
«Adesso dove si trova?»
«È appena uscito.»
Il direttore ritornò nell’ufficio e chiamò Roberto.
«Ciao, la persona della fotografia è stata nella mia
banca.»
«Quale persona?»
«Aspetta che guardo, mi sembra che sia Carlos.»
«Carlos, accidenti, dove si trova adesso?»
«Aspetta che guardo dalla finestra, sta salendo su un
taxi.»
«Dammi il numero.»
«1031.»
«Grazie, a buon rendere.»
Carlos chiese all’autista del taxi di portarlo
all’aeroporto di Zurigo, in via Schafehauserstrasse
furono affiancati da un’auto e un’altra si mise in
coda.
«Dimitri dove sono i tuoi uomini ho bisogno del loro
aiuto sono seguito da due auto.»
«Sono a un chilometro da te, in via Walchestrasse.»
«Avvisali che le macchine da togliermi dalle palle
sono una Ford Kuga Blu e un’Onda C-RV bianca.»
Da una traversa di via Thurgauerstrasse sbucò una
Mercedes che centrò in pieno la Ford e l’altra
Mercedes tamponò violentemente l’Onda creando un
ingorgo terribile.
«Continui a guidare, non si fermi per nessun motivo.»
«Ma dovrei dare assistenza.»
«Le pago dieci volte la corsa ho un aereo che devo
assolutamente prendere.»
«Va bene ma voglio settecento
compenseranno anche le multe.»
franchi,
All’aeroporto di Zurigo Carlos era in attesa
dell’arrivo di Beatrice e Dimitri , dopo una decina di
minuti li vide arrivare.
«Ciao, vedo che sei arrivato tutto intero.»
«Sì, grazie a te e con settecento franchi in meno.»
«Come?»
«Poi ti spiego. Beatrice saliamo sull’aereo per
Tassignano, Dimitri, ci sentiamo domani.»
«A domani. Certo che con te non ci si annoia
mai.»Disse sorridendo.
***
Mason era ansioso di avere notizie sull’indagine in
corso:«Ryan, avete consultato l’esperto della
seconda guerra mondiale?»
«Sì, ci siamo focalizzati sul mese d’aprile 1945
verificando gli episodi avvenuti nella città di
Milano, i documenti in possesso dello scrittore
riportavano gli avvenimenti di quel periodo ma
niente che ci aiutasse a capire il legame con le
indagini che stiamo svolgendo su Carlos, finché non
abbiamo trovato una dichiarazione fatta da un
repubblicano ai carabinieri nel 1949,su un fatto
avvenuto il 23 aprile del ’45.»
«Cosa diceva la denuncia?»
«Il 23 aprile del 1945 fui chiamato dal mio comandante
Alberto, insieme ad altri cinque commilitoni. Ci ordinò di
caricare cinquanta casse di legno, come quelle per il trasporto
di bombe a mano, su cinque camion. Io ero sul cassone di uno
dei furgoni, prendevo le casse e le sistemavo. Ricordo che una
era parzialmente aperta e all’interno non c’erano bombe a
mano ma lingotti d’oro. Rimasi sbalordito , la richiusi
facendo finta di niente. Una volta finito il lavoro uscii dalla
caserma e scappai nella casa di mia zia in montagna nel
bergamasco e restai nascosto per due anni. Quando ritornai a
Milano seppi che i cinque commilitoni erano morti in modo
misterioso. Il carico non fu mai trovato a parte le dieci casse
che erano sul camion sequestrato a Garbagnate dai partigiani.
Di ufficiali Repubblicani ne sono sopravvissuti pochi ma so
per certo che il comandante si salvò denunciando i militari
che guidarono i mezzi, ufficiali del plotone chiamato La
Rosa Nera e rivelando anche dove dovevano portare il carico.
Ho aspettato due anni e poi mi sono deciso a denunciare il
fatto.»
«Ottimo lavoro. Siete riusciti a sapere che fine hanno
fatto i militari del plotone La Rosa Nera.»
«Sono tutti morti : due a Garbagnate, due fucilati
dopo la cattura a Porlezza e sei precipitati con un
aereo tedesco.»
«E il comandate Alberto?»
«Dopo la guerra emigrò in Svizzera.»
Il direttore concluse : «Carlos è stato incaricato al
recupero dei documenti che portano al tesoro e
suppongo sia stato ingaggiato da qualcuno legato al
plotone La Rosa Nera e la Securty il cui titolare è
figlio di un ex repubblicano è implicata anche lei in
questa operazione, indagate a fondo.»
***
Carlos e Beatrice arrivarono alla villa in Toscana a
tarda sera lasciarono l’auto nel garage e salirono in
cucina erano affamati, Teresa aveva lasciato del
pollo alla cacciatora nel forno che divorarono
avidamente, poi scesero nel bunker per depositare la
valigetta nella cassaforte, erano così stanchi che non
avevano voglia di risalire e si misero a dormire nella
stanza da letto del rifugio.
Roberto della Securty non poteva credere che gli
erano sfuggiti di nuovo:«Siete dei buoni a nulla vi
dovrei licenziare tutti, in questo momento Carlos è in
viaggio per l’Italia con i documenti, senz’altro li
porterà nella sua villa prima di consegnarli e se
escono da lì non riusciremo più a recuperarli.
Dovete prenderli a tutti i costi, chiamate gli ex slavi
e dategli carta bianca, entro domani sera li voglio sul
mio tavolo.»
«Sissignore, domattina saranno alla villa.»
Erano le quattro del mattino quando Carlos fu
svegliato dalla suoneria del telefono:«Ciao Dimitri
cosa succede?»
«Ho intercettato una chiamata partita dalla Securty di
Zurigo diretta a Belgrado in Serbia. Stanno venendo
a farti la festa amico mio, vogliono i documenti a tutti
i costi, saranno lì in mattinata, se sei nel bunker
restaci, noi arriveremo il prima possibile.»
«Non ci penso proprio a rimanere nascosto, mi
preparo ad accoglierli come si deve.», «Beatrice
stanno arrivando visite non gradite, tu resta nel
bunker e non uscire per nessun motivo, io vado in
villa.»
Entrò nell’armeria e si preparò: tuta mimetica, anfibi,
giubbotto antiproiettile, gilet e cinturone tattico,
visore notturno, sfollagente carbon, AK47 con
quattro caricatori, la semiautomatica con due
caricatori e una pistola a tamburo che legò al
polpaccio.
Arrivato in villa con il cellulare digitò il numero di
telefono del server che controllava la casa Domotica.
Poteva comandarla da ogni luogo con semplicità:
controllare le accensioni , l’intensità delle luci,
comandi delle automazioni , come tapparelle,
cancelli , termoregolazioni, irrigazioni, allarme
antintrusione, telecamere esterne e interne. Tutto
quello che serviva era sotto controllo. Dopo essersi
collegato diede il comando per abbassare tutte le
tapparelle e bloccò l’accensione delle luci, la casa
era buia come una notte senza luna e si mise in attesa.
Dopo un paio d’ore il cellulare vibrò era scattato
l’allarme della recinzione esterna, la telecamera
inquadrò quattro uomini incappucciati e armati di
tutto punto che si stavano avvicinando alla villa.
I quattro Slavi si divisero in due gruppi uno si
diresse alla porta posteriore della villa, il secondo
verso la veranda, Carlos salì al primo piano entrò
nella sua camera, tolse gli anfibi e si mise un paio di
scarpe da tennis mise l’AK47 sulla spalla, impugnò
la semiautomatica, si abbassò il visore notturno e
attese dietro la porta.
Una volta entrati si riunirono nel salone.
«Accidenti non si vede nulla usiamo le pile.
Dividiamoci tu vai al piano superiore, tu in cucina, tu
in soggiorno, io nel patio, stiamo sempre in
collegamento.»
Carlos vide avvicinarsi uno degli intrusi prese il
manganello e appena entrò nella stanza lo colpì sulla
nuca, crollò senza un lamento, lo ammanettò e gli
mise del nastro sulla bocca.
Scese le scale ed entrò in cucina, dove il secondo
uomo la stava ispezionando e quando si accorse
della sua presenza era troppo tardi, si trovò la
pistola puntata alla testa.
«Non dire una parola, mettiti in ginocchio, butta
l’arma e metti le mani sopra la testa.»
Prese le manette e le mise ai polsi dell’uomo, lo fece
sdraiare, gli avvolse del nastro attorno alle caviglie
e sulla bocca.
«Numero uno, hai ispezionato il primo piano?»
Silenzio.
«Numero uno, mi senti?»Silenzio.
«Numero due sei in cucina.»Silenzio.
«Mi senti numero due.», Silenzio.
«Numero tre, dove sei, mi senti?»
«Sì, sono in soggiorno.»
«Molla tutto, torniamo nel salone, due dei nostri non
rispondono.»
«Amico mio, il numero tre non può venire è
occupato, vuoi il mio parere butta a terra il fucile e
tutto andrà bene.»
«Non ci penso nemmeno testa di cazzo.»E si nascose
dietro il divano.
Carlos tolse la sicura alla pistola ed esplose due
colpi che sfiorarono la testa dell’uomo.
«La prossima volta non “sbaglierò” la mira.»
Per tutta risposta l’uomo sparò una raffica di mitra in
tutte le direzioni, Carlos non rispose per non rivelare
la sua posizione e attese tenendolo sotto tiro.
Il telefonino cominciò a vibrare, un nuovo allarme,
una decina di persone si avvicinavano alla villa ,
erano gli uomini di Dimitri.
«Ciao, ben arrivato. L’uomo rimasto è nascosto
dietro la poltrona nel salone, usate proiettili di
gomma non voglio sporcare il tappeto persiano.»
Entrarono dalla porta sul retro e aiutati dai visori
notturni
videro immediatamente dove era
accovacciato, senza pensarci troppo spararono una
scarica di pallettoni di gomma che stordirono il
malcapitato.
«Caricateli sul loro furgone, portateli lontano da qui
e avvisate la polizia, sapranno cosa fare. Vado a “
liberare” Beatrice, grazie di tutto.»
***
Mason stava leggendo attentamente il rapporto
sull’indagine dell’aereo sequestrato dai sei uomini
della Rosa Nera nell’aprile 1945:
«L’aereo, uno Junkers 52, decollò da Chiavenna il 23
aprile del ’45 con sei uomini a bordo, lo pilotava il
capitano Giuliano. Atterrò a Berlino-Tempelhof e
dopo aver scaricato il materiale ripartì di nuovo.
L’aeroporto fu consegnato alle nostre truppe in luglio
e dai rapporti risulta che un aereo americano decollò
il 6 luglio per l’America, con un carico di materiale
top secret ed alcuni prigionieri, ritardando di alcuni
giorni il ritorno in patria dei nostri soldati morti o
feriti.»
Il direttore chiamò Ryan e gli chiese di sedersi: «Ho
la netta sensazione che stiamo mettendo le mani in un
nido di vespe. Un aereo pieno di lingotti d’oro
atterra in piena battaglia in un aeroporto tedesco , il
materiale viene caricato su dei camion, dopo alcuni
mesi su un aereo americano viene trasportato a New
York . Ma ti rendi conto che coperture avevano. Io
ritorno in America e chiedo un incontro al segretario
del Presidente, meglio essere prudenti. Com’è andata
a finire l’incursione degli ex slavi in casa di Carlos.»
«Gli uomini sono stati trovati legati come salami dai
carabinieri alla periferia di Lucca e sono stati
arrestati, erano ricercati in tutta Europa.»
«Gli è andata bene, si vede che Carlos era in
buona.»Disse sorridendo.
***
Il vertice della Rosa Nera era riunito nel salone della
villa di Forte dei Marmi, il rumore inconfondibile di
un elicottero che si avvicinava metteva fine
all’attesa, una virata e si apprestò ad atterrare
dolcemente nel prato vicino alla piscina, appena
toccò terra Carlos e Beatrice saltarono giù e si
incamminarono verso Giorgio che era davanti
all’ingresso.
Tutti erano ansiosi di sapere cosa contenesse la
borsa , Giorgio emozionato la aprì.
«Signori, contiene i codici e i documenti di possesso
del carico depositato nella camera blindata di una
banca privata a Zurigo, la quantità d’oro conservato
nel caveau è di due tonnellate.»
Le banche private in Svizzera sono tra le più
affidabili, inoltre depositare oro non è vincolato ad
alcuna costrizione e può essere fatto in modo
anonimo, l’importazione e l’esportazione del metallo
è libera. I depositi sono per la maggior parte situati
in una zona franca di Zurigo vicino all’aeroporto, in
camere blindate che sono le più sicure al mondo.
La sorpresa fu tale che calò un silenzio surreale,
finché Giorgio non riprese la parola : «Amici il
valore stimato è di circa 72 milioni di euro una cifra
importante che useremo per migliorare le condizioni
di vita delle persone del nostro amato paese come
avrebbero voluto fare i nostri genitori. Nella borsa
c’è anche una busta contenente dei fogli vediamo
cosa c’è scritto:
Rapporto del capitano Giovanni, comandante del plotone repubblicano di
stanza in Germania, al capo supremo della Rosa Nera:
Il 23 aprile 1945 l’avvocato Karl mi telegrafò che era in
arrivo all’aeroporto di Tempelhof un aereo che trasportava
un carico che non doveva in nessun modo cadere in mano
“nemica”. Ho schierato il mio plotone di camerati a difesa
della pista, i russi erano vicini e il tempo a disposizione era
poco, appena il carico fu sui mezzi partimmo scortati da due
blindati. Usciti dall’aeroporto scaricammo le casse in uno
scantinato e facemmo saltare l’ingresso, il 24 aprile
l’aeroporto cadde in mano alle truppe russe meno una parte
che resistette fino al 29 aprile, difeso da giovani truppe
hitleriane. La nostra missione in Germania era finita,
attraverso le gallerie della metropolitana e i condotti fognari
riuscimmo a superare l’assedio russo, camminammo ancora per
un paio d’ore finché incontrammo le avanguardie americane
che ci catturarono. Durante l’interrogatorio chiesi di parlare
con il colonnello Ernesto dell’Office Of Strategic Services e
gli comunicai le disposizioni che avevo ricevuto. Ci fece
trasferire in un’altra caserma in attesa del trasferimento in un
campo di prigionia in America.
Partimmo con un aereo da trasporto l’otto luglio del ’45
insieme al carico che avevamo nascosto , in America fummo
trasferiti in un campo di concentramento dove restammo per
due anni, dopo la nostra liberazione ritornammo in Europa
con un aereo della Douglas DC-4 della Swissair e portammo
a termine la missione.
Un ringraziamento ai componenti della Rosa Nera per tutto
quello che avete fatto per noi e per le nostre famiglie.
Capitano Giovanni.
«Ora sappiamo come si sono svolti i fatti e vista la
situazione ci muoveremo in questo modo: riunione
urgente con tutti i capogruppo della Rosa Nera e tu
Carlos devi organizzare il trasferimento dell’oro in
un altro Stato, quale lo decideremo dopo la riunione.
Ora ci possiamo accomodare a tavola.»
***
Roberto chiuso nel suo ufficio della Securty con i
suoi più stretti collaboratori era inferocito, da
quando aveva saputo che gli uomini inviati alla villa
di Carlos non erano riusciti a recuperare i
documenti.«Siete degli incompetenti, dei buoni a
nulla, quattro contro uno e non è bastato, cosa devo
fare, mandare l’esercito. Ci resta l’ultima possibilità
e questa volta non voglio errori. Molto
probabilmente l’oro potrebbe essere custodito in una
camera blindata situata vicino all’aeroporto di
Zurigo. Chiederò ai direttori delle banche di
avvisarmi se ricevono la richiesta di spostamento.»
***
Mason era nella sede del Pentagono a colloquio con
il Segretario della Difesa: «Signore a sommi capi
questo è ciò che abbiamo scoperto, avrei bisogno
dell’autorizzazione per continuare le indagini.»
«Le darò una risposta al più presto.»
Il Segretario appena ebbe congedato il direttore della
CIA chiamò al telefono l’ammiraglio Scolari: «Ho
bisogno di tutte le informazioni che riguardano un
volo militare americano partito dall’aeroporto di
Tempelhof diretto a New York l’otto luglio 1945,
priorità assoluta.»
***
Giorgio era in audio conferenza con otto capigruppo:
«Signori ad ognuno di voi darò un compito che deve
essere eseguito con il massimo scrupolo ed
efficienza, lo scopo finale è quello di far cadere il
governo in carica.»
Le persone collegate erano: Lenche (Banchiere
tedesco), Adrien (Banchiere francese), Alexander
(Banchiere americano), Amedeo e Maurizio
(direttori di giornale), Cristina (titolare di cinque tv
private), Romano (segretario di un sindacato
nazionale).
«Lenche, Adrien e Alexander dovete vendere tutti i
titoli di Stato Italiani che avete nel portafoglio delle
vostre banche, Amedeo e Maurizio appena si
spargerà il panico, comincerete ad attaccare il
Premier come farai anche tu Cristina nei tuoi
telegiornali e tu Romano devi minacciare lo sciopero
generale.»
Appena le maggiori banche tedesche, francesi e
americane cominciarono a vendere i titoli di Stato
Italiani le borse andarono a picco e il panico si
diffuse. Televisioni e giornali criticarono aspramente
l’operato del Governo, il quale non sapendo che
pesci pigliare cercava di giustificare le perdite come
un attacco speculativo e che sarebbe stato di breve
durata. Ma nei giorni successivi la situazione
peggiorava e la borsa sembrava in preda a una crisi
isterica.
Il secondo passo era quello di chiedere un governo
tecnico, in ogni telegiornale il commentatore
allarmava i telespettatori con disastrose notizie
sull’economia e la necessità di un nuovo esecutivo. I
dibattiti televisivi erano tutti incentrati su un solo
argomento “ come uscire da questa crisi che
provocava ogni giorno perdite per milioni di euro in
borsa”. Tutti concordavano sulla necessità di un
governo di transizione che varasse le riforme che gli
ultimi governi non erano riusciti a fare.
***
Nella sede del Pentagono il Segretario di Stato
convocò l’ammiraglio nel suo ufficio:«Avete trovato
le informazioni che vi avevo richiesto.»
«Sì, questo è il dossier classificato come segreto di
stato.»
Lo scontro ideologico tra America e Russia iniziò
subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, la
Russia mise sotto la sua influenza buona parte delle
nazioni orientali e l’America quelle occidentali e
tutto quello che era in grado di contrastare la politica
Comunista veniva appoggiata e finanziata dagli Stati
Uniti.
Il segretario aprì il dossier e si mise a leggere: «La
Rosa Nera dopo la caduta del fascismo fu l’unica
organizzazione di destra così potente da essere in
grado di condizionare il risultato delle elezioni e il
nostro Governo non solo non intendeva interferire ma
era interessato ad agevolarla. Il carico d’oro
trasportato in America dal colonnello Ernesto
dell’OOSS faceva parte della strategia di contrasto
al Comunismo e l’Italia era una delle Nazioni dove
la sinistra non doveva affermarsi a nessun costo.
L’operazione fu approvata al più alto livello.»
L’organizzazione era tenuta sotto controllo dal 1945 ,
nel dossier furono riportate tutte le azioni svolte e
registrati tutti i componenti della struttura segreta, dei
cento senatori americani di oggi dieci facevano parte
dell’associazione.
Il segretario della difesa chiamò il senatore Tyler il
più influente dei dieci legati alla Rosa Nera:
«Senatore lei fa parte di una società segreta con sede
in Italia?»
«Sì, non lo nego.»
«Senatore lei capisce che dovrò informare il
Presidente.»
«Signor segretario se desidera, le potrei fornire il
numero di iscrizione alla Rosa Nera del Presidente.»
«Ma cosa sta dicendo!»
«Lei ha il dossier guardi tutti gli affiliati dal ’45 in
avanti e vedrà che alcuni sono segretati e lo sa chi
sono.»
«No, chi sono?»
«Alcuni dei presidenti che si sono succeduti dalla
fine della seconda guerra mondiale a oggi.»
«Quello che la Rosa Nera voleva e vuole fare in
Italia ha l’appoggio di noi tutti, ne va della stabilità
europea e mondiale.»
«Il mio dovere è proseguire le indagini.»
«Faccia come crede signor Segretario.»
Appena chiusa la comunicazione con il senatore
chiamò la Casa Bianca, dove rispose il vice
presidente.
«Buongiorno signor Segretario, io e il Presidente
stavamo giusto parlando di Lei, la vediamo stanco,
pensavamo che un nuovo incarico meno stressante
farebbe bene alla sua salute, non crede?»
«Signor. vicepresidente, io sto benissimo.»
«Bene, sono contento per lei. A cosa debbo la sua
chiamata?»
«Volevo salutare il Presidente e informarlo di
un’inchiesta della CIA, ma adesso che ci penso non è
così importante.»
«Mi fa piacere sentirglielo dire, la saluto signor
Segretario se ci sono problemi con l’inchiesta si
rivolga al Senatore Tyler.»
Il segretario chiamò Mason: «Direttore le indagini
sulla Rosa Nera e su Carlos devono cessare
immediatamente, d’ora in avanti dovete seguire
discretamente l’evolversi delle loro operazioni ma
non dovete interferire.»
***
Nella sede della Rosa Nera era in corso una riunione
del vertice, dovevano decidere il nome del futuro
premier. Giorgio disse :« Il presidente del Consiglio
deve essere uno di noi, come devono essere tutti
aderenti alla Rosa Nera i Ministri. La persona più
adatta a guidare il governo sei tu Marco.»
I capigruppo avrebbero devono informare tutti i
Parlamentari ,legati alla società segreta, di
indirizzare la scelta su Marco. Avvocato di fama
internazionale e presidente di uno dei più grandi
gruppi industriali al mondo, conosciuto per le sue
grandi capacità manageriali e amico fraterno di
moltissimi capi di Stato europei e mondiali.
Giorgio continuò : «Ora bisogna “agevolare” le
dimissioni del Premier attuale, per fare questo
domani i nostri banchieri venderanno tutte le azioni
delle aziende a lui collegate.»
Per tre giorni tutte le azioni delle aziende del
Premier furono sospese per eccesso di ribasso al
quarto giorno si recò dal Presidente della
Repubblica per rassegnare le dimissioni.
Al Quirinale il Capo dello Stato dopo le dimissioni
del Premier iniziò le consultazioni. Due giorni dopo
decise di prendersi una pausa per riordinare le idee.
Dopo un’ attenta analisi sulla rosa dei nomi che
riteneva papabili, decise che l’ingegner Marco era la
persona giusta e lo chiamò per proporgli l’incarico
di primo ministro. Marco ringraziò il Presidente e si
prese una notte di riflessione.
Il giorno dopo andò dal Capo Dello Stato per
sciogliere positivamente la riserva, subito dopo si
passò alla firma e alla controfirma dei decreti di
nomina del Capo dell’Esecutivo e dei ministri che
giurarono fedeltà alla Repubblica , poi si
presentarono davanti a ciascuna camera per ottenere
la fiducia.
***
Nel bunker, stavano organizzando lo spostamento
dell’oro: «Dimitri.» Disse Carlos,« Hanno deciso
che l’oro deve essere spostato nella banca Vaticana ,
il trasporto avverrà tra due settimane, tu pianifica la
copertura a terra il resto sarà compito mio.»
Roberto camminava nervosamente nel suo ufficio in
attesa dell’agognata chiamata. « Dottore le passo il
direttore della Zurik Bank.»
«Mi dica direttore.»
« Il trasferimento del carico è stato programmato fra
due settimane.»
« La sicurezza del trasporto è stata affidata alla
nostra agenzia e noi faremo in modo che l’oro
all’aeroporto non arrivi mai.» Disse sorridendo ai
suoi collaboratori.
Arrivati all’aeroporto di Zurigo e una volta espletate
le operazioni doganali Carlos andò nella banca dove
era depositato l’oro e Dimitri con i suoi uomini si
organizzarono per il trasporto.
Il commesso della banca lo accompagnò dal
direttore: «Mi chiamo Carlos e sono stato incaricato
del prelevamento dell’oro, questi sono i documenti
che comprovano la proprietà.»
«Sono già stato avvisato e ho provveduto ad
organizzare la scorta che vi accompagnerà fino all’
aeroporto.»
«La ringrazio ma alla sicurezza ci pensiamo noi e Lei
non avrebbe dovuto chiamare nessuno. Lei ha messo
in pericolo il trasporto. So che ha avvisato Roberto
della Securty per un suo tornaconto personale, ora
seguirà esattamente le mie direttive.»
«Lei mi sta minacciando? Io non farò nulla.»
«Non penso che le convenga. Potrei inviare ai
giornali e alle televisioni questo filmato.»
«Quale filmato?»
«Lei ha qualche vizietto e se il filmato diventasse di
dominio pubblico, la sua carriera sarebbe finita. E
probabilmente si aprirebbero le porte delle patrie
galere, vuole rischiare?»
«Non ho idea di cosa stia parlando. Se non esce
subito chiamo la polizia.»
«Faccia pure. Questa è una copia del filmato lo
guardi, ora la saluto, vado in albergo se mi vuole
parlare questo è il mio numero di telefono.»
Stava per entrare nell’ascensore quando squillò il
telefonino era il direttore della banca:«Sono pronto a
fare tutto quello che volete, in cambio della
distruzione del materiale che mi riguarda.»
«D’accordo, ecco quello che deve fare.»
Il giorno del trasporto era arrivato gli uomini della
Securty caricarono le casse controllate a vista dalle
guardie della banca sui mezzi. Il tratto da percorrere
per l’aeroporto era di un paio di chilometri e una
volta entrati da un passaggio carraio secondario
anziché dirigersi verso l’hangar privato, dove
avrebbe dovuto trovarsi un aereo da trasporto pronto
al decollo, entrarono in un capannone dove li
attendeva Roberto.
«Avete avuto dei problemi?»
«Liscio come l’olio.»
«Strano, mi aspettavo che Carlos vi facesse seguire.
Questa faccenda mi puzza. Avete controllato il
carico.»
«Sì, prima che chiudessero le casse abbiamo
verificato che contenessero i lingotti.»
«E non c’era nessuno della sicurezza di Carlos?»
«No, c’era solo il direttore e la sicurezza della
banca.»
«Non mi convince, aprite una cassa.»
***
Giorgio in audio conferenza illustrò al Premier e hai
neo Ministri quali erano le leggi che avrebbero
dovuto promulgare subito per decreto e quelle che
necessitavano più tempo, come cambiare la
Costituzione.
Nell’ordinamento italiano un decreto legge è un
provvedimento provvisorio avente forza di legge,
adottato in casi straordinari di necessità e urgenza.
Entra in vigore subito dopo la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale, ma gli effetti prodotti sono
provvisori, perché perdono efficacia sin dall’inizio
se il Parlamento non li converte in legge entro
sessanta giorni dalla loro pubblicazione.
Poi si mise in collegamento con i banchieri, i quali
avrebbero dovuto acquistare di nuovo i titoli italiani
e infine con i direttori dei giornali e delle televisioni
, il loro compito era quello di enfatizzare il
cambiamento in positivo dell’economia.
Nel primo consiglio il Primo Ministro indicò le
priorità: «Il nostro obiettivo primario è cambiare la
Costituzione, l’Italia dovrà diventare una Repubblica
Presidenziale con elezione diretta del Capo dello
Stato che avrà i seguenti poteri:
detentore del potere esecutivo,possibilità
di esercitare il diritto di veto sulle leggi
proposte da camera e senato, nominare e
revocare ministri, nel suo mandato non
può essere sfiduciato, la durata è di
cinque anni e può essere rieletto per tre
volte;
capo delle forze armate;
la più alta carica della magistratura.
Il cambiamento sarà epocale e dovremo avere
l’appoggio del popolo, perciò il nostro compito
principale sarà quello di far approvare leggi con
decreto che vadano incontro alle loro aspettative, le
più urgenti sono: ridurre del cinquanta per cento la
diaria degli eletti di Camera e Senato. Togliere il
finanziamento ai partiti. Attivare un fondo per lo
sviluppo. Fare ripartire le grandi opere. Pagamento
entro novanta giorni di tutte le fatture dovute a terzi.
Tutte le assunzioni devono essere a tempo
indeterminato e per tre anni il datore di lavoro sarà
esente da contributi. Riduzione del cuneo fiscale .
Ridiscutere con l’Europa il patto di stabilità o, come
dicono gli inglesi, il fiscal compact, approvato con
un trattato internazionale, il quale contiene una serie
di regole come : l’inserimento in Costituzione
dell’obbligo di perseguire il pareggio di bilancio, di
non superare la soglia di deficit strutturale e di
ridurre in modo significativo il debito. Questi sono i
primi provvedimenti, poi passeremo al resto.»
***
Roberto nell’hangar dell’aeroporto di Zurigo fece
aprire una cassa e controllò di persona i lingotti. Con
la lama di un coltello ne incise uno:« Ma sono di
piombo?! » disse esterrefatto.
Inferocito sbraitò:«Andate a prendere il direttore
della banca e portatemelo qui.»
«Ma è un sequestro di persona?»
«Non me ne frega un cazzo, non mi faccio prendere
per il culo da un pervertito.»
Mentre Roberto stava riflettendo sul da farsi, Carlos
era in viaggio per Lugano, destinazione aeroporto di
Agno.
«Dimitri quanto manca .»
«Un centinaio di chilometri.»
«Ho la sensazione che avremo problemi, allerta i
ragazzi.»
Roberto aveva perso ogni prudenza salì su un
elicottero con altri due uomini, armati di tutto punto e
con le indicazioni che gli aveva fornito il direttore si
diressero verso Lugano.
«Dimitri, ormai Roberto si sarà accorto dell’inganno
e cercherà di raggiungerci, sa dove siamo diretti,
cambiamo i piani originali torniamo indietro e
andiamo all’aeroporto di Berna, chiama il pilota e
digli di spostarsi.»
«Siamo quasi a Lugano e non si vedono. Hanno
cambiato strada? Chiama tutti gli aeroporti e chiedi
se un aereo privato ha richiesto il permesso di
atterrare.» Disse Roberto al copilota.
«Signore l’aeroporto di Berna ha appena dato
l’autorizzazione all’atterraggio di un aereo cargo.»
«Andiamo a Berna.»
***
Ordine del giorno del Consiglio dei Ministri ”
Riduzione delle spese” .
«Signori Ministri, analizziamo le spese per la
gestione dell’apparato di Governo e se dovremo
chiedere dei sacrifici agli Italiani cominciamo noi a
dare l’esempio. Il costo mensile per ogni
parlamentare è di circa 10.435 euro lorde più 3503
di diaria e 3690 di rimborso spese, 65.000 auto blu
con un costo annuo di circa un miliardo e 200 milioni
di euro, di questi il 70% è dovuto al personale, 2000
agenti impegnati nelle scorte il cui costo è di circa
250 milioni di euro annui», dopo un attimo di pausa
continuò «Io proporrei questi tagli: riduzione del
50% del costo mensile dei parlamentari , lasciando
invariata la diaria e rimborso spese, non rimpiazzare
il turnover del personale delle auto blu e togliere
80% delle scorte. La riduzione degli stipendi dei
parlamentari ci farebbe risparmiare circa 56 milioni
anno. Presumendo un turnover del 20% annuo del
personale addetto alle auto blu avremmo un
risparmio di circa 240 milioni annui. La riduzione
delle scorte dell’ 80 % ci permetterebbe un
risparmio di 200 milioni annui, per un risparmio
totale di circa 450 milioni annui. Rispetto al bilancio
totale dello Stato che è di circa 450 miliardi è poca
cosa ma è un primo segnale di cambiamento.»
***
I blindati erano arrivati alla periferia di Berna,
decisero di deviare su una strada secondaria che in
quel momento era deserta.«Dimitri mi sembra di
sentire il rumore di un elicottero.»
Si sporse dal finestrino e lo vide avvicinarsi
velocemente, li sorvolò fece una virata e si mise di
traverso a una decina di metri d’altezza, si aprì il
portellone e uomini armati di fucili mitragliatori
aprirono il fuoco.
«Proseguite fino all’aeroporto, noi ci fermiamo.»
Si accostarono al ciglio della strada, presero gli
AK47 e scesero dal mezzo riparandosi dietro di
esso. L’elicottero era proprio di fronte a loro, Carlos
puntò il suo AK47 e aprì il fuoco lo stesso fece
Dimitri, tutti i colpi andarono a segno, il pilota tentò
una manovra diversiva per evitarli ma non fu
abbastanza veloce, il motore fu colpito più volte e
cominciò a perdere quota. Prima ancora che toccasse
terra tutti gli occupanti saltarono a terra e si
allontanarono, lo spostamento d’aria provocato
dall’esplosione li gettò a terra ma se la cavarono con
parecchie escoriazioni e qualche piccola ferita.
Quando Roberto si alzò tremante per il pericolo
scampato vide i mezzi blindati allontanarsi senza
danni verso l’aeroporto scoppiò in una risata
isterica.
***
Beatrice in attesa che Carlos arrivasse a Genova , si
crogiolava al sole primaverile sul ponte dello yacht,
ancorato nel porto Marina Porto Antico capace di
280 posti barca.
Lo Yacht era lungo sessanta metri e largo venti, con
due motori da 1350 HP ciascuno, che consentiva una
velocità di crociera di undici nodi, le cabine erano
sette ,una amatoriale matrimoniale sul ponte
principale, una cabina vip matrimoniale a poppa, a
centro barca una cabina ospiti con due letti, a sinistra
cabina ospiti matrimoniale, a centro barca gli alloggi
per l’equipaggio con una cabina per il comandante e
due per i marinai, due saloni, sala da pranzo e
cucina.
Nel pomeriggio il suo telefonino squillò era
Carlos:«Ciao, tutto bene stiamo arrivando, Roma ci
aspetta.»
«Ciao amore, mi manchi.»
Arrivò al porto alla guida di un grosso camion e
rivolgendosi a Dimitri disse «Mettiamo le casse
nella stiva il carico deve essere tenuto sotto
controllo giorno e notte.»
Una volta sistemato, si recò dal comandante :«Quante
ore sono necessarie per arrivare al porto di
Civitavecchia.»
«La distanza è di 190 miglia nautiche, mantenendo
una velocità di undici nodi sono necessarie circa
diciassette ore, però dovremo fare una fermata a
Livorno per rifornirci di carburante, diciamo che in
una ventina di ore saremo a destinazione.»
«Bene comandante, salpiamo domattina alle sei.»,
«Dimitri occhi aperti, distribuisci le armi ai tuoi
uomini e predisponi i turni di guardia.»
Nella sede della Securty Roberto era in attesa che il
messaggio venisse decriptato :«Signore, sono a
Genova e intendono andare a Roma con uno yacht.»
«Bene partiamo per Civitavecchia.Fatemi trovare un
paio di motoscafi d’altura li intercetteremo in alto
mare prima che arrivino in porto.»
Dopo cena Carlos e Beatrice si ritirarono nella
cabina Vip fornita anche di idromassaggio, era
quello che ci voleva per rilassarsi , stapparono una
bottiglia di Cartizze ed entrarono nella vasca
amandosi intensamente.
Dopo una notte tranquilla a riportarlo alla realtà fu
l’interfono, il capitano lo avvisava che erano le sei
ed erano pronti a salpare.
Era ancora buio quando lo yacht lasciava il porto per
dirigersi al largo, il mare era calmo e il viaggio
verso Civitavecchia si prospettava tranquillo, non la
pensava così Carlos, era nervoso i suoi sensi erano
all’erta chiamò Dimitri e lo mise al corrente dei suoi
timori, si aspettava una reazione di
Roberto:«Aumenta i turni di guardia e fai mettere una
mitragliatrice M60 a prua e una a poppa, avverti il
comandante di avvisarci immediatamente se il radar
rileva l’avvicinamento di qualche imbarcazione.»
***
Il Consiglio dei Ministri mise all’ordine del giorno il
Fondo per lo Sviluppo «Signori ministri con le
riduzioni che intendiamo effettuare e ve le ricordo:
riduzione del 50% del costo mensile dei
parlamentari e senatori, non rimpiazzare il turnover
del personale delle auto blu e togliere 80% delle
scorte, porteranno un risparmio di circa 450 milioni
l’anno» disse il primo Ministro e dopo un attimo di
pausa continuò « Per creare il “fondo per lo
sviluppo” oltre ai risparmi dovuti alle riduzioni
dovremo chiedere un piccolo sacrificio al popolo. In
Italia i lavoratori sono circa 22 milioni e i pensionati
circa 19 milioni se donassero 20 euro al mese come
media si ricaverebbero circa 82 milioni di euro al
mese più i 40 di riduzioni arriviamo 122 milioni.
Una parte del fondo circa 52 milioni al mese
serviranno per finanziare nuovi progetti e per le
aziende in difficoltà, il resto circa 70 milioni saranno
disponibili per le aziende che assumeranno con
contratto indeterminato. Questo permetterebbe di
dare un lavoro a circa 45000 dipendenti con uno
stipendio di 1500 euro al mese e le ditte a questi
lavoratori pagheranno solo i contributi. Se siete
d’accordo, prepariamo il Decreto Legge.»
I ministri annuirono ritenendo che questo decreto
porterà solo vantaggi . All’economia sicuramente e
soprattutto al Governo in termini di consenso , tema a
cui tenevano in modo particolare.
***
Dopo il rifornimento nel porto di Viareggio ripresero
il largo, le ore passavano lente e noiose , erano le
undici di sera e mancavano poche ore all’arrivo nel
porto di Civitavecchia e tutto sembrava andare per il
meglio.
All’improvviso l’altoparlante cominciò a gracchiare,
era il comandante: «Due motoscafi in avvicinamento
uno punta vero la poppa e uno verso la prua, distanza
cinque chilometri.»
«Ci siamo!»Gridò Carlos,«Prepariamoci a riceverli.
Accendete i fari e cercate di individuarli.»
I fari erano come lame nel buio ma non riuscivano ad
inquadrarli.
«Comandante a che distanza sono i motoscafi», disse
Carlos attraverso la ricetrasmittente.
«Sono a circa quattro chilometri.»
«Tra poco saranno a tiro assicurati che tutti abbiano
indossato il giubbotto antiproiettile. Beatrice mi
senti?»
«Sì.»
«Non venire sul ponte, stai al coperto.»
«Carlos, li abbiamo individuati.»Disse Dimitri.
I motoscafi arrivati a tiro aprirono il fuoco con le
mitragliatrici pesanti, i proiettili colpirono sia la
poppa che la prua, i marinai nella cabina di comando
furono feriti dalle schegge di legno e dai vetri
infranti , il comandante decise di scendere al posto di
comando inferiore che era più protetto.
La risposta degli uomini di Carlos non si fece
attendere, uno dei natanti si trovò sotto il fuoco
incrociato e gli fu fatale, colpito ai serbatoi esplose
in una palla di fuoco e affondò in pochi minuti. Il
secondo sfuggì ai proiettili e sfruttando un punto
cieco della nave riuscì ad avvicinarsi alla murata.
Gli uomini lanciarono dei rampini e si prepararono
all’abbordaggio armati di tutto punto.
«Abbiamo ospiti a bordo spegnete tutte le luci e
usate i visori notturni, girate la mitragliatrice di prua
verso il ponte e quella di poppa spostatela al piano
superiore della barca, noi cercheremo di tenerli
impegnati.»
Gli uomini di Roberto continuavano a salire e la
situazione per Carlos si faceva critica, erano ben
organizzati e determinati. Una volta arrivati sul ponte
si divisero in due gruppi, uno puntò verso la
mitragliatrice che si trovava a prua e l’altro verso il
ponte di comando.
Il primo gruppo fu bloccato dal fuoco degli uomini di
Dimitri mentre il secondo, quello che si stava
dirigendo verso la prua, riuscì con un fuoco
micidiale a far arretrare gli uomini addetti alla
mitragliatrice, la situazione si faceva disperata alcuni
erano feriti e le munizioni cominciavano a
scarseggiare, avevano bisogno d’aiuto.
«Dimitri, ci sono addosso, quattro di noi sono a
terra, le munizioni sono quasi esaurite.»
«Dovete mantenere la posizione. Abbiamo bisogno
di copertura e finché la seconda mitragliatrice non è
sul ponte superiore non possiamo muoverci.»
«Carlos posso esservi d’aiuto?»
«Beatrice cosa diavolo ci fai qui? Ti avevo detto di
stare in cabina.»Sul volto di Carlos si dipinse la
preoccupazione.
«So usare benissimo qualunque arma.»
«Sei la solita testona.»
«Ho avuto un gran maestro.» Disse sorridendo.
«Voi due statele vicino, noi appena la mitragliatrice
ci darà copertura andremo a dare una mano a prua.»
La mitragliatrice sul ponte superiore cominciò a
sparare falciando gli uomini di Roberto che si
trovavano allo scoperto mentre stavano cercando di
avvicinarsi al ponte di comando.
« E’ il momento.» Gridò Carlos e insieme a Dimitri
si misero a correre sparando raffiche di mitra verso i
banditi che si trovavano sulla loro strada.
Due di loro furono colpiti e gli altri si ripararono
dietro a dei grossi divani, l’attacco era riuscito,
arrivarono a prua senza grossi danni.
«Prendiamo noi la mitragliatrice, voi portate i feriti
verso il ponte di comando.»
Il fuoco incrociato delle due mitragliatrici
costringeva gli assalitori di mantenersi al coperto.
«Chiama Beatrice , digli di ritirarsi nel salone
mentre noi teniamo impegnati questi bastardi.»
«Sono Dimitri ritiratevi vi copriamo noi.»
Nessuna risposta.
« Beatrice tutto bene, mi senti?»
Nessuna risposta.
«Coprimi, vado a vedere cosa è successo.»Disse
Carlos preoccupato.
«Sono Dimitri, tutti devono coprire Carlos, avete
capito bene, coprite Carlos, fuoco di sbarramento a
volontà.»
Era a qualche decina di metri da lei quando vide due
uomini che gli stavano puntavano il fucile, era supina
e sembrava non reagire, puntò l’arma e fece fuoco i
due non si accorsero di nulla e caddero a terra
fulminati.
Una valanga di fuoco si riversò sugli uomini di
Roberto , il quale vista che la situazione stava
evolvendo al peggio gridò :«Abbandoniamo la
nave.» I pochi rimasti ancora in grado di muoversi si
diedero ad una fuga precipitosa .
Carlos si avvicinò a Beatrice, s’inginocchiò, gli
sollevò la testa, respirava a fatica, il sangue si
allargava sotto la schiena, tamponò la ferita, aveva
bisogno d’aiuto immediato era in pericolo di vita,
doveva chiamare Giorgio.
«Giorgio siamo stati attaccati, ci sono morti e feriti,
abbiamo bisogno d’aiuto, Beatrice è ferita
gravemente bisogna trasportarla in ospedale al più
presto possibile.»
«Carlos ci penso io, dammi le coordinate.»
Delicatamente le tolse il giubbotto antiproiettile, la
pallottola era penetrata nel polmone, passando
attraverso l’unico punto non protetto sotto la spalla.
Con un tampone premuto sulla ferita tentava di
arrestare l’emorragia, era sempre più debole, la
speranza di poterla salvare cominciava a vacillare.
«Carlos, stanno arrivando gli elicotteri» disse
Dimitri.
Fu trasportata sul primo, mentre sugli altri due furono
caricati i feriti e i morti durante gli scontri. Una volta
in quota il medico la visitò, era in stato di shock.
Data la perdita di sangue, le fece una trasfusione, le
mise la maschera per l’ossigeno e iniziò una terapia
con analgesici e sedativi.
L’emorragia non si arrestava, il monitor che
visualizzava i parametri vitali indicava che la
pressione arteriosa continuava a scendere, il medico
decise che doveva intervenire chirurgicamente
senz’aspettare l’arrivo in ospedale.
L’intervento durò circa mezzora e i risultati si videro
subito, la pressione aumentò e tutti i parametri vitali
migliorarono sensibilmente.
Gli elicotteri uno dopo l’altro, si posarono
nell’eliporto della clinica privata, che era
amministrata da Giorgio. I feriti dopo essere stati
visitati al pronto soccorso furono indirizzati alle sale
operatorie e gli uomini deceduti trasportati
all’obitorio. Beatrice invece fu portata in
rianimazione, le sue condizioni erano migliorate ma
era ancora in pericolo di vita.
***
Nel Consiglio dei Ministri, presieduto da Marco, si
doveva decidere come rilanciare l’economia.
Decisero che la casa, bene primario degli italiani,
poteva essere uno dei mezzi per mettere in moto
l’industria, resa asfittica da anni di recessione. Un
miliardo investito nell’edilizia ne produce altri tre,
generando migliaia di occupati, muovendo un
centinaio di comparti industriali, come la
metallurgia, l’industria del legno, del movimento
terra e altri settori.
Dovevano trovare una proposta equilibrata che desse
la possibilità alle famiglie di acquistare e allo Stato
di avere le risorse per mantenere gli impegni che
intendeva assumere. Decisero di creare un “mutuo
sostenibile” che permettesse l’acquisto della prima
casa senza avere bisogno dell’anticipo:
Il mutuo prevede un importo pari al costo totale sostenuto
per realizzare un alloggio di nuova costruzione e lo Stato,
attraverso il “fondo di solidarietà”, si sostituirà al soggetto
avente titolo all’acquisto; la cessione della proprietà avverrà
con il pagamento dell’ultimo rateo di riscatto.
"I ratei di riscatto con il mutuo sostenibile sono mensili, fissi e
composti dalla quota di capitale maggiorata dell’1% di
interesse, e di ammontare non superiore a un quinto del
reddito mensile del beneficiario. Il pagamento della rata sarà
sospeso in caso di disoccupazione o altro impedimento che si
verificasse al beneficiario, previo accertamento
dell’impedimento stesso (1).
«Con questo provvedimento potremo costruire
duecento appartamenti al mese. La spesa stimata è di
trenta milioni, che preleveremo dal fondo solidarietà.
Un decreto che permetterà alle giovani famiglie di
avere la sicurezza di una casa, anche in condizioni
economiche difficili come l’attuale. E a noi
aumenterà il consenso, ricordiamoci che il nostro
fine ultimo è governare il più a lungo possibile.»
***
Roberto della Securty si stava leccando le ferite ma
non intendeva mollare, si stava riorganizzando, ed
era sua intenzione tentare il tutto per tutto, quando la
nave sarebbe entrata in porto.
In attesa che gli uomini necessari per l’operazione
arrivassero a Civitavecchia, decise di andare a
riposarsi in albergo. Si sdraiò sul letto ma non
riusciva a dormire, le ultime parole pronunciate da
suo padre Alberto in punto di morte
l’ossessionavano: «Giurami che recupererai l’oro ad
ogni costo! Giuramelo».
Il comandante Alberto, fin da giovane aveva le idee
chiare su come districarsi nella vita quotidiana,
perseguiva con determinazione tutto ciò che gli
portava un tornaconto personale. Quando compì
diciott’anni, entrò nei Fasci giovanili di
combattimento, costituiti nel 1930 dal Gran
Consiglio del Fascismo, per poi passare al GUF
quando era studente universitario. Ogni città, se
aveva almeno venticinque fascisti iscritti, poteva
disporre di una sede, con al comando un
responsabile nominato dal Segretario Federale.
Alberto ne iscrisse un centinaio e fu premiato dal
Federale in persona.
L’Italia invase la Grecia il ventotto ottobre del 1940
e buona parte dei fascisti della sede, partirono
volontari per la guerra. Alberto rimase al suo posto
diventando “il Federale” della sua città e vi restò
fino al 23 settembre 1943, data di nascita dello
“Stato Nazionale Repubblicano”, nota come
Repubblica di Salò.
L’avanzata angloamericana spostava sempre più a
nord il territorio ancora in mano alle truppe
nazifasciste. Alberto insieme ad altri camerati decise
di seguire il Duce trasferendosi a Milano. Il suo
compito era quello di arruolare, addestrare i militari
della Repubblica Sociale Italiana e organizzare
azioni di contrasto al terrorismo. In cuor suo sapeva
che la guerra era persa e cominciò a pensare al dopo.
Ambiguamente, mentre incitava i suoi soldati a
combattere sino alla fine, teneva contatti con i
comandanti partigiani, fornendogli informazioni sui
luoghi dove i tedeschi intendevano fare i
rastrellamenti.
All’inizio di aprile del 1945, arrivò nella caserma un
carico d’oro e di valuta pregiata per diversi miliardi
di lire. L’oro doveva essere trasportato in un posto
sicuro e l’incarico gli fu affidato dalla più alta carica
del Regime.
Affidò il trasporto al reparto detto “La Rosa Nera”,
che avrebbe dovuto consegnarlo a un emissario
svizzero. Ma quando una parte del carico cadde in
mano partigiana capì che il piano era stato scoperto.
L’insurrezione era vicina e il clima era del si salvi
chi può. Decise così di vendere l’informazione sul
luogo previsto per l’incontro, in cambio della vita e
di un salvacondotto per la Svizzera. L’oro non fu mai
trovato.
***
Beatrice continuava a migliorare, la fecero uscire
dalla rianimazione trasferendola in una camera
privata. Carlos, che non si era mosso dall’ospedale,
decise che era venuto il momento di partire per
Civitavecchia e portare a termine la missione.
L’elicottero era in attesa, e lei dalla finestra della
sua stanza lo salutò con un bacio. Il volo fino alla
nave fu tranquillo e prima dell’imbrunire era in vista
della nave, altri cinque minuti e i pattini toccarono
l’eliporto. Scese velocemente e tenendosi basso si
avviò verso la plancia.
Là Dimitri lo attendeva. «Beatrice come sta?»
«Si sta riprendendo, è uscita dalla rianimazione.»
«Bene, sono certo che guarirà perfettamente.»
«Grazie, ora pensiamo a portare a termine la
missione. Trasporteremo il carico con un elicottero
fino alla banca Vaticana, poi entreremo in porto con
la nave e attenderemo le mosse di Roberto.» Doveva
trovare un elicottero da trasporto da noleggiare. Gli
venne in mente che un suo collega pilota, dopo il
congedo, aveva fondato una società specializzata nel
trasporto di persone e lavori aerei. Si chiamava
Alessandro, guardò nella sua agenda elettronica e
trovò il numero di telefono.
«Ciao sono Carlos, ho bisogno di noleggiare un
elicottero per il trasporto di un carico di due
tonnellate.»
«Ho disponibile un elicottero multiruolo bi turbina
quadripala, può trasportare carichi interni fino a
2100 chilogrammi.»
«Proprio quello che mi serve. Saremo pronti per il
trasporto fra qualche giorno, tieniti pronto. Intanto ti
invio un sms con le coordinate della nave.»
***
Lo squillo del telefonino distolse Roberto dai suoi
pensieri.
«Abbiamo intercettato una telefonata di Carlos fatta a
un suo ex collega pilota, con la richiesta di un
elicottero da trasporto.»
«Tenete sotto controllo tutte le utenze di Carlos,
quelle di Dimitri e del pilota di elicotteri, devo
sapere dove hanno intenzione di portare l’oro.»
***
Sulla nave fervevano i preparativi, Carlos era in
attesa del via libera da Giorgio, che arrivò con una
telefonata. «Puoi procedere con l’operazione, ti
aspettano tra due giorni a Roma.»
Carlos riattaccò e chiamò Alessandro. «Ciao siamo
pronti, ti aspettiamo tra due giorni.»
«Ok, qual è la destinazione?»
«La banca Vaticana. L’eliporto si trova nei Giardini
Vaticani. La piazzola per l’atterraggio è in cemento,
lunga venticinque metri e larga 18.»
«Ok.»
***
Nella sala comunicazioni della Securty a Zurigo la
chiamata di Alessandro all’ENAV per la richiesta di
sorvolo della città fu intercettata.
«Signore, il pilota dell’elicottero ha richiesto
all’ENAV l’autorizzazione per il sorvolo di Roma e
all’atterraggio in Vaticano.»
«Ottimo lavoro, per quando è previsto?»
«Tra due giorni.»
Carlo alzò il telefono e chiamò il centralino del
Vaticano.
«Buongiorno, avrei bisogno di parlare con il
cardinale Stefano.»
«Chi devo dire?»
«Dottor Roberto.»
«Attenda in linea.»
Si salutarono.
«Roberto, quanto tempo è passato, se non ricordo
male l’ultima telefonata che ho ricevuto da te, era per
comunicarmi la morte di tuo padre?»
«Sì, è vero, non ho scusanti.»
«Ti perdono, cosa ti porta a me?»
«Avrei bisogno di vederti urgentemente.»
«Attendi un attimo» Mise in attesa il telefono e fece
l’interno del suo segretario. «Domani alle undici
sono libero da impegni.»
«Grazie, a domani.»
Lasciò Civitavecchia alle sette di mattina. Per
arrivare in Vaticano doveva percorrere sessantotto
chilometri e non voleva arrivare in ritardo. Ci volle
un’ora per arrivare all’ingresso dell’autostrada
Roma-Grosseto. Nonostante il traffico intenso alle
nove e trenta stava percorrendo la via Aurelia e alle
undici, puntuale, era in attesa di essere ricevuto dal
cardinale.
«Ciao Roberto, ti vedo sciupato, cosa ti tormenta?»
«Eminenza, prima di morire mio padre mi ha fatto
giurare di recuperare l’oro che arrivò alla prefettura
milanese nel ’45.»
«Sì, tuo padre me ne parlò. Quando apprese che era
scomparso nel nulla entrò in depressione e,
nonostante le cure, non guarì mai del tutto. Sono
passati più di sessant’anni, chissà dove sarà finito.»
«Sta per essere depositato nella vostra banca!»
«Non può essere. Sarei stato informato!»
«Ne sono più che sicuro!»
«Attendi, faccio una telefonata.»
***
Giuliano si collegò in audio conferenza con alcuni
componenti della Rosa Nera. In comunicazione
c’erano: i direttori dei due giornali, Amedeo e
Maurizio nella sede di Milano, mentre nella sede di
Roma era presente l’amministratore delegato delle
cinque televisioni private dottoressa Cristina. Sia le
televisioni che i giornali appartenevano a un gruppo
di aziende controllate da una società i cui
amministratori erano le stesse persone che erano al
vertice della società segreta.
Accese il microfono. «Signori, il momento è propizio
per modificare la Costituzione, il gradimento degli
italiani nei confronti del Governo è salito al 70%,
anche grazie al vostro aiuto. Inizieremo subito l’iter
parlamentare che durerà circa un anno. Ci sono però
alcuni giornali e alcune televisioni che etichettano
questa modifica alla Costituzione come un “colpo di
Stato”. Ed è questo il motivo della mia chiamata.
Dovete convincere i telespettatori e i lettori che la
Repubblica Presidenziale porterebbe notevoli
vantaggi a tutti. Il presidente non dovrà più sottostare
ai veti di partiti e partitini, porterebbe così a
compimento tutte quelle leggi necessarie per
riformare il Paese e rimettere in moto l’economia
senza intralci. Mi aspetto che già da oggi ne parliate
nei telegiornali e che domani la stessa cosa avvenga
sui giornali, buon lavoro a tutti noi.»
Dopo l’iter parlamentare per la modifica
Costituzionale era arrivato il giorno della prima
votazione. La prima delle quattro necessarie per
trasformare l’Italia in Repubblica Presidenziale.
Nella Camera del Senato tutti i posti erano occupati,
non mancava nessuno.
Gli interventi dei capigruppo dei vari partiti politici
si susseguivano, avevano a disposizione non più di
due minuti ciascuno e di dieci minuti complessivi per
ciascun gruppo. Alcuni Parlamentari manifestavano il
loro dissenso etichettando la manovra come un colpo
di Stato della destra, altri urlavano che la
Costituzione era stata scritta con il sangue di milioni
di italiani, cambiarla voleva dire ucciderli una
seconda volta. Mentre i partiti favorevoli alla
modifica ne elogiavano i vantaggi. Il clima era
incandescente e dai banchi dell’opposizione si alzò
il grido di “fascisti, fascisti”.
Alcuni senatori di gruppi contrapposti lasciarono i
propri posti e si avventarono gli uni contro gli altri.
Volarono parole grosse e anche qualche spintone, la
bagarre fu sedata a fatica dai commessi. Il presidente
del Senato minacciava l’espulsione dall’aula dei più
facinorosi e, constatando che nessuno lo ascoltava,
decise di sospendere la seduta per trenta minuti.
Al rientro in aula, gli animi erano più sereni e si
riuscì a portare a termine gli interventi. Dopo
l’ultimo si passò al voto.
Il presidente prese la parola: «Senatori, se fate
silenzio posso dare il risultato della votazione.
Senatore Rota, se non smette la faccio espellere».
Dopo qualche minuto la calma tornò e il presidente
riuscì a leggere il risultato.
«Votanti 323, maggioranza 162, 250 hanno votato sì
e 73 hanno votato no, il Senato approva.»
Scene di giubilo dai banchi dei favorevoli e fischi
dall’opposizione, il cammino era ancora lungo ma un
primo passo positivo era stato fatto.
***
Dopo un’ora il cardinale rientrò nell’ufficio dove
Roberto era rimasto in attesa.
«Scusa per l’attesa, dovevo fare alcune verifiche.»
«È cos’avete scoperto?»
«Che è tutto vero. Domani arriverà il carico e sarà
depositato nel caveau della banca.»
«Quell’oro è mio di diritto!»
«Quell’oro è proprietà del popolo italiano. E
comunque non saprei come aiutarti.»
«Ho giurato a mio padre che lo avrei recuperato, e
intendo farlo.»
«Non ti riconosco più, l’oro ti ha annebbiato la
mente.»
«Il tuo aiuto non è indispensabile, ne farò a meno.»
«Ma cosa intendi fare?»
«Non preoccuparti, è un problema mio. Riverisco
eminenza» disse.
«Non fare sciocchezze, pregherò per te.»
Uscì dallo studio inferocito. «Vecchio caprone
rincitrullito, vedrai cosa sono in grado di fare.»
***
Sulla nave le casse erano sul ponte, pronte per il
trasporto. In plancia il capitano pianificava la rotta
da tenere per approdare al porto di Civitavecchia.
Sembrava che tutto andasse per il verso giusto.
«Signor capitano!» disse l’addetto al radar. «Un
aereo si sta dirigendo verso di noi!»
«Chiama Carlos. Avvertilo.»
Carlos si stava recando verso la plancia di comando,
quando squillò il suo cellulare. Sul display comparve
il nome di Giuliano.
«Ciao, cosa succede?» disse allarmato, «devi andare
subito in ospedale, Beatrice si è aggravata, ho
inviato un elicottero a prelevarti». Dopo una breve
pausa continuò: «Sospendi tutte le operazioni fino a
nuovo ordine. Avviserò io il comandante di tornare
al porto di Genova!».
Il volo verso l’ospedale sembrava non finire mai, i
pensieri più cupi non lo lasciavano , gli sembrava di
soffocare, non aveva mai provato una sensazione del
genere, neanche nelle missioni più difficili e
pericolose, il pensiero di perderla lo faceva
impazzire.
L’elicottero non aveva ancora appoggiato i pattini sul
terreno che aprì il portellone e salto giù, si mise a
correre verso l’infermiere che era in attesa. «Venga,
l’accompagno.» Arrivato in sala rianimazione si
infilò il camice verde ed entrò.
Era circondata da medici e infermieri, aveva avuto
due arresti cardiaci, risolti con la defibrillazione, ma
i battiti continuavano a essere irregolari. Si avvicinò
al letto, era pallida, sudata, le prese la mano e lei
aprì gli occhi. Non poteva parlare, il tubo per la
respirazione glielo impediva, una lacrima le scese
sulla guancia. Il monitor cominciò a emettere un
suono continuo, tentarono per venti minuti di
rianimarla poi si arresero, Beatrice chiuse gli occhi
per sempre. Carlos la baciò e se ne andò senza
voltarsi.
Era furibondo, risalì sull’elicottero che era rimasto
in attesa e decollò per Genova. Una volta arrivati si
avviò alla stazione dei taxi e si fece portare al Grand
Hotel Roial che distava ottocento metri dal porto. In
camera istintivamente fece il numero di cellulare di
Beatrice, non aveva mai pianto in vita sua ma quella
volta lo fece.
Il giorno dopo, in attesa della nave, lo passò sul
molo immerso nei suoi pensieri. Il dolore gli
chiudeva lo stomaco, si sforzò di mangiare un panino
e una birra in un bar frequentato da lavoratori
portuali, all’imbrunire lo yacht entrò nel porto.
Dimitri disperato lo accolse con un abbraccio.
«Carlos, non ho parole! Mi dispiace. Sembrava che
tutto fosse andato per il meglio? Com’è possibile?»
«Grazie Dimitri. Sono sopraggiunte gravi
complicazioni. Sono distrutto, Roberto la pagherà
per il male che mi ha fatto. È colpa sua se è morta.»
«Capisco la tua rabbia e il conto lo regoleremo. Ma
la missione deve continuare! Dovresti chiamare
Giuliano.»
«Ciao Giuliano.»
«Carlos sono distrutto dalla notizia! Mi dispiace!»
«Ti ringrazio.»
«Anche se è un momento tremendo, ho bisogno del
tuo aiuto. L’oro dev’essere trasportato in un posto
sicuro, la banca Vaticana non lo è più. Io ritengo che
al momento si potrebbe pensare al bunker della tua
villa, che ne dici?»
«Che è la soluzione migliore, provvedo subito a
chiamare Alessandro per il trasporto.»
***
Roberto, inferocito, stava ripensando alla
discussione avuta con il cardinale. Era in autostrada
quando il telefono incominciò a squillare. Attivò il
viva voce premendo il bottone sul volante. «Pronto.»
«Dottore, attenda in linea, le passo il cardinale
Stefano.»
«Ciao Roberto, il trasporto del carico d’oro è stato
annullato.»
«Non capisco, qualcuno ha avvisato Carlos?»
«Sembra che sia morta la sua compagna.»
«Questo non ci voleva!»
«Ma per caso... tu c’entri con la morte di quella
donna?»
«Non direttamente.»
«Mio Dio Roberto! Cos’hai fatto? Hai perso il
senno? Ti sei macchiato di un assassinio?»
«Era necessario, per avere quello che mi spetta.»
«Ma quell’oro non è tuo. Come non era di tuo padre.
Come posso fartelo capire!»
«Quell’oro è mio. Ora ti saluto e prega per la mia
anima.»
Chiuse la comunicazione e si asciugò la fronte dal
sudore freddo, aveva brividi in tutto il corpo. Sapeva
che Carlos gli avrebbe fatto pagare la morte della
compagna.
***
L’elicottero da trasporto si posò nel giardino della
villa, le casse furono portate nel bunker. Sistemato
l’oro la porta fu chiusa e due uomini la presidiarono
a turno.
Carlos entrò nella villa e salì nella sua camera, si
buttò sul letto senza spogliarsi e tentò di dormire. Ma
il dolore era ancora troppo forte, la mente vagava nei
ricordi degli anni passati insieme, il bussare alla
porta lo riportò alla realtà «Entrate la porta è
aperta.»
Era la governate. «Ti ho portato la cena e una
pastiglia di sonnifero.»
«Per questa sera mi accontento del sonnifero, grazie
Teresa.»
Per Carlos la notte era diventata un incubo, appena
appoggiava la testa sul cuscino le immagini di
Rosabella gli affollavano la mente, tentava in tutti
modi di farsene una ragione, non c’era più, la vita
continuava, ma non ci riusciva. Si rigirava di
continuo e si ritrovava a fissare il soffitto. Il suono
della sveglia fu un sollievo, cominciava un nuovo
giorno, scese in cucina e chiamò Dimitri. «Ciao, ti
aspetto per la colazione.»
Mentre gustavano tutto il ben di Dio che Teresa gli
aveva preparato, Carlos disse : «È venuto il
momento di chiudere il conto con Roberto».
«Cosa intendi fare?»
«Lui vuole l’oro? Facciamogli sapere dove si trova.»
«E tu pensi che venga, sapendo che noi lo stiamo
aspettando?»
«Se l’oro fosse qui, no! Ma se fosse in posto meno
protetto, penso di sì.»
«Vuoi spostare l’oro?»
«Non proprio?» E fece una risata.
***
La sede della Securty si trovava in uno stabile a due
piani nel centro di Zurigo, al primo piano c’erano gli
uffici, al secondo la sala operativa dove venivano
controllati, attraverso dei monitor, gli allarmi
provenienti dalle sedi dei clienti. Al piano interrato
si trovava il centro di spionaggio dove si teneva
sotto controllo le utenze telefoniche, sms ed e-mail,
di persone o aziende. Il segreto era fondamentale per
evitare che notizie riservate finissero nelle mani
sbagliate e soprattutto essendo azioni illegali, il
personale doveva essere fidato.
Nel tardo pomeriggio di mercoledì l’apparato che
controllava l’utenza di Dimitri entrò in funzione,
l’operatore si infilò le cuffie e si mise in ascolto.
La chiamata partiva dal telefonino di Dimitri ed era
indirizzata a un’agenzia per il trasporto di valori.
«Sono Dimitri ho bisogno, tra due settimane, tre
furgoni portavalori, con il rispettivo personale.»
«Ok, mandami un fax con indicato: tipo di trasporto,
sede di partenza e arrivo.»
«Ti posso anticipare che partiamo dalla villa di
Carlos a Gabbro e il carico dev’essere portato nella
banca Credit Swiss, in via Azzati 48 a Livorno.»
«A che ora dovremo partire dalla villa?»
«Il tratto da percorrere è di diciannove chilometri,
quasi tutti in discesa. Dovreste essere alla villa per
le sei del mattino.»
«Ok, ci vediamo tra quindici giorni.»
La comunicazione fu trascritta e imbustata. Il
fattorino dell’azienda la prese e la portò al dottor
Roberto.
«Signor presidente, la busta con la trascrizione del
messaggio.»
«Faccia venire il capo della sicurezza, per favore.»
Era intento a leggere la trascrizione, quando il capo
della sicurezza bussò alla sua porta.
«Entra e siediti. Ho letto la trascrizione sembra che
vogliono trasportare l’oro in una banca di Livorno.
Tu cosa ne pensi?»
«Non saprei, potrebbe essere una trappola? Oppure
intendono depositare l’oro in attesa di portarlo di
nuovo a Roma?»
«Studia il percorso e pianifica l’azione. Una volta
prelevato l’oro, dieci uomini lo trasporteranno
all’aeroporto di Pisa, che dista venti chilometri da
Livorno, gli altri, se Carlos e Dimitri non saranno sui
blindati, dovranno andare alla villa ed eliminarli una
volta per tutte.»
«Volete ucciderli?»
«Sì, altrimenti saranno loro a uccidermi.»
***
Teresa in cucina stava dando il meglio di sé, voleva
alleviare la tristezza di Carlos con un pranzo degno
del ristorante più raffinato.
Carlos e Dimitri erano in attesa in sala da pranzo.
«Vado a prendere una bottiglia di Cartizze nel frigo
cantina, tu prendi il secchiello con del ghiaccio»
disse Carlos.
Arrivò con la bottiglia, tolse il cappuccio, svitò la
gabbietta che tiene bloccato il tappo e aprì la
bottiglia. Versò nel calice un po’ di vino, lo assaggiò
e, soddisfatto della sua qualità, riempì i bicchieri.
«Brindiamo alla vita, che può essere crudele, ma
vale sempre la pena viverla.»
«A tavola perditempo» disse Teresa.
«Cos’hai cucinato?»
«Come primo, Bavette alle acciughe. Come secondo,
tonno Briaco alla Livornese e come dolce, frittelle in
farina dolce.»
«Carlos io da qui non mi muovo più, oppure mi porto
via Teresa» disse Dimitri ridendo.
«Andiamo a tavola e facciamo onore alla cuoca»
disse Carlos.
Gustato il pranzo, si accomodarono sulla poltrona in
veranda e mentre Teresa riempiva due bicchierini di
grappa bianca, cominciarono a conversare, il tempo
passò veloce, ed era notte fonda quando andarono a
riposarsi nelle loro camere, quella notte Carlos per
qualche ora riuscì a dormire senza incubi.
Per la riuscita del loro piano erano fondamentali le
informazioni su come Roberto intendeva procedere
nei loro confronti. Dimitri riuscì a corrompere un
importante collaboratore della Securty.«Ho un
appuntamento telefonico tra dieci minuti con
l’infiltrato. Ho predisposto una linea sicura in un bar
di miei amici a Zurigo.»
Il telefono era collegato a un apparato che criptava il
segnale, con un algoritmo inventato da un ingegnere
israeliano, tanto sofisticato da rendere impossibile la
decodificazione. Lo stesso apparato era installato a
Zurigo.
Dimitri alzò il telefono, fece il prefisso
internazionale seguito dal numero, dopo due squilli
David rispose: «Ciao Dimitri, sono appena
arrivato».
«Hai buone notizie?»
«Sì, la tua conversazione è stata intercettata.»
«Non sospetta nulla?»
«La voglia di arrivare all’oro ad ogni costo, ha
diminuito la sua percezione del pericolo. Diciamo
che la prudenza in questo momento non è il suo forte.
Ha deciso di assaltare i portavalori e non solo?»
«Cosa vuoi dire?»
«Oltre che prendere l’oro, vuole eliminarvi
fisicamente.»
«Brutta notizia! Sai, dove attaccheranno i furgoni?»
«Sì, alla fine della seconda discesa, circa quattro
chilometri dopo Gabbro. Quando i mezzi
affronteranno l’ultimo tornante, essendo molto stretto,
saranno costretti a rallentare, quello sarà il punto. I
mezzi che useranno per l’assalto saranno nascosti in
una vecchia cascina abbandonata dopo la rotonda,
che porta alla SP8 per Livorno.»
«Chi coordinerà l’operazione?»
«Io.»
«Bene, Buona fortuna a tutti noi.»
A questo punto Carlos prese il telefono e fece il
numero privato di Giorgio. «Ciao, ho bisogno del tuo
aiuto!»
***
Roberto era cosciente del fatto che se non si fosse
impossessato dell’oro ed eliminato Carlos per lui
sarebbe la fine, perciò pianificò l’assalto nei minimi
particolari senza lasciare nulla al caso. Non badò a
spese per il personale e le attrezzature, ingaggiò
cinquanta uomini dell’ex milizia serba, armati con
fucili mitragliatori caricati con proiettili speciali,
calibro nove millimetri ad alta velocità, in grado di
perforare la corazza dei furgoni e di conseguenza
anche i giubbotti antiproiettile, inoltre avevano a
disposizione dei bazooka ed esplosivo C-4. Si
tenevano in contatto audio video, attraverso
ricetrasmittenti e microcamere installate nei caschi,
con la sede centrale di Zurigo. Il collegamento
avveniva attraverso un satellite prenotato per la
giornata di venerdì.
I paramilitari arrivarono in Italia, usando sia aerei di
linea che il treno. Alloggiavano in alberghi diversi,
prenotati sia nella città di Livorno che nelle città
limitrofe. I mezzi, le attrezzature e le armi erano
depositate presso uno sfascia carrozze alla periferia
della città.
Il giorno prima della rapina, David convocò tutti i
componenti della banda presso lo sfascia carrozze,
per rivedere punto per punto lo svolgimento
dell’operazione e vi restarono finché non fu
soddisfatto del risultato. Ritornarono nei loro
alberghi tranne David e una decina di uomini, che si
occuparono dello spostamento dei mezzi e delle
attrezzature presso la cascina.
Alle quattro di venerdì tredici l’operazione ebbe
inizio, David distribuì le armi e le munizioni, e ogni
componente della banda si avviò verso la postazione
stabilita.
Sulla collinetta davanti alla villa di Carlos, due
uomini di David controllavano l’ingresso. «Siamo in
postazione, si sono accese in questo momento le luci
davanti all’ingresso e sono usciti quattro uomini
armati, stanno controllando il perimetro esterno.»
Nel casale che fungeva da posto di coordinamento
David intervenne: «Tenetevi pronti fra poco
arriveranno i blindati, attenetevi al piano».
Qualche minuto prima delle sei, quattro uomini
aprirono il cancello laterale della villa,
controllarono di nuovo l’esterno e soddisfatti della
ricognizione comunicarono che i blindati potevano
passare. I mezzi spuntarono dalla curva e si diressero
all’interno. Uscirono dopo un’ora in fila indiana a
velocità sostenuta, avviandosi verso la discesa per
Livorno.
Gli uomini della postazione vicino alla villa, si
misero in contatto con David: «Stanno uscendo, i
blindati stanno uscendo!».
«Appena sono passati sganciatevi e bloccate la
strada mettendo le segnalazioni con la deviazione per
Rosignano Marittimo, poi seguiteli a distanza.»,
contemporaneamente ordinò ai suoi uomini di
sbarrare la via prima della rotonda, facendo in modo
di deviare il traffico verso il paese di Malvolta, in
questo modo la strada che portava a Gabbro era
isolata.
Nella sala operativa di Zurigo la tensione era
altissima, il momento della rapina era vicino.
Roberto fantasticava, si immaginava nella banca di
Schultz ad ammirare quella montagna d’oro e
sorrideva soddisfatto, le comunicazioni tra le
postazioni lo riportò alla realtà.
Dal casale partirono, un camion e quattro furgoni, il
camion prima dell’ultimo tornante si mise per
traverso, mentre i quattro furgoni fecero manovra e si
misero in direzione di Livorno.
Venti uomini scesero armi in pugno e si misero ai lati
della strada in attesa dell’arrivo dei blindati. Dopo
qualche minuto spuntarono dalla curva. Il guidatore
del primo mezzo vedendo la strada sbarrata fece una
brusca frenata. Guardò nello specchietto retrovisore
cercando una via di fuga. Ma erano bloccati dai
furgoni arrivati alle loro spalle, non avevano
scampo. Il capo delle guardie private, si mise in
contatto radio con Carlos. «Siamo stati bloccati, tutto
come previsto.»
«Bene, ma per precauzione non scendete dai blindati
per nessun motivo.»
Furono circondati dai banditi, i quali sparando
diverse raffiche in aria intimarono agli uomini
rinchiusi nei furgoni di aprire i portelloni posteriori.
Ma nessuno si mosse, anzi sembrava che
sorridessero. I rapinatori rimasero interdetti da
quella strana reazione e incominciavano a
innervosirsi. «Spariamo al furgone e se non
dovessero aprire, useremo l’esplosivo.»
Puntarono le armi verso il vetro anteriore del primo
furgone, mentre gli altri tenevano sotto tiro i
rimanenti blindati, «questo è l’ultimo avvertimento,
se non scendete apriremo il fuoco» nessuna reazione
degli uomini all’interno. «Aprite il fuoco» disse uno
dei banditi. Spararono alcune raffiche, ma non
successe nulla, neanche una scalfittura sul
parabrezza, aprirono di nuovo il fuoco, niente. «Ma
cosa diavolo… non capisco. Sembrano proiettili a
salve.»
Non riuscirono neanche a riprendersi dalla sorpresa
che successe il finimondo. Spuntarono carabinieri
dei reparti speciali da tutte le parti, elicotteri
sorvolavano la scena. Alcuni banditi tentarono la
fuga ma furono bloccati e ammanettati, tutti gli altri
alzarono le mani e si arresero.
Nella sede della Securty regnava il caos, si
guardavano attoniti, rimasero allibiti, frastornati,
increduli, per quello che avevano appena visto.
Erano caduti in una trappola. Roberto dopo qualche
secondo di panico, riprese il controllo di se stesso.
«Eliminiamo tutte le prove che potrebbero
inchiodarci, forza datevi da fare.»
Voi non farete nulla, disse una voce alle sue spalle.
Roberto si girò e si trovò di fronte una decina di
persone alcune in divisa e alcune in borghese. «Chi
siete? Come avete fatto a entrare?»
«Sono il colonnello Leon del SAP. Servizio di
analisi e prevenzione. Siete tutti in arresto.»
«Per quale motivo? Siete entrati in una proprietà
privata senza nessuna autorizzazione. Farò rapporto
ai suoi superiori.»
«Abbiamo sufficienti prove per mandarvi in galera
tutta la vita.»
«E quali sarebbero queste prove?» disse Roberto
sbalordito.
«Intercettazioni abusive! Assalto a furgoni blindati!
Riciclaggio di denaro sporco. Questi sono solo
alcuni dei capi d’imputazione.»
Si sentì perduto. «Maledetto Carlos, ma non mi
vedrai in galera.»
Con una mossa fulminea, che prese tutti di sorpresa,
si mise a correre verso il suo ufficio. «Fermatelo!»
urlò il colonnello.
Ma Roberto fu più veloce e riuscì a chiudersi
all’interno. «Aprite la porta o la sfondiamo» disse
uno degli agenti.
Si avvicinò alla scrivania e crollò sulla sedia, si
prese la testa fra le mani, chiuse gli occhi. Si sentì
stanco, mortalmente stanco, tutto quello che aveva
creato nella vita stava per dissolversi in una bolla di
sapone. Le parole del padre gli martellavano il
cervello, “giurami che recupererai l’oro,
Giuramelo!”. «Papà, ho fallito. Mi dispiace!» Le
grida fuori della porta e i tentativi di sfondarla gli
sembravano lontanissimi. Prese carta e penna, voleva
scrivere le sue ultime volontà. Ma per chi le avrebbe
dovute scrivere? Solo ora si rese conto che era solo,
non c’era nessuno ad attenderlo a casa. Perso il
potere, nessuno dei cosiddetti “amici” l’avrebbe
aiutato, anzi avrebbero negato di conoscerlo.
Appoggiò la penna, aprì il cassetto della scrivania,
prese la semiautomatica, era fredda come la morte, la
guardò con tristezza. Tolse la sicura, appoggiò la
canna alla tempia, diede un ultimo sguardo al di là
della finestra, il sole faceva capolino tra le nuvole,
pensò che era una bella giornata per morire e tirò il
grilletto.
Il colpo di pistola echeggiò nell’ufficio . «Sfondate
la porta, fate presto» disse il colonnello. Quando
riuscirono a entrare Roberto era già morto.
***
Ritorniamo a qualche giorno prima, quando Carlos
chiamò Giorgio attraverso la linea criptata.
«Ciao l’operazione “trappola” come procede?» disse
Giorgio.
«Hanno deciso di assaltare i furgoni.»
«E non sospettano nulla?»
«È talmente ossessionato dall’oro da non riuscire ad
analizzare in modo razionale le informazioni, che le
intercettazioni gli fornivano. Per fare un esempio: la
trasmissione non era criptata, abbiamo fornito data
ora e luogo dove intendevamo trasportarlo. Questi
indizi avrebbero dovuto metterlo in allarme.»
«Ma avete la certezza dell’assalto?»
«Sì, uno dei dipendenti è la nostra talpa, si chiama
David ed è il capo della sicurezza. Dopo la riunione
che aveva avuto con Roberto, dove avevano
pianificato l’assalto, ci siamo sentiti al telefono. Ci
ha fornito le informazioni sul luogo dove
attaccheranno, i mezzi che useranno, il numero di
uomini e le armi.»
«Ma potrebbe essere un bagno di sangue?»
«Non penso, David ha il compito di coordinare
l’assalto e distribuire le armi. All’ultimo momento
sostituirà i caricatori con altri forniti di pallottole a
salve.»
«Io vi posso essere d’aiuto?»
«Sì, il tuo intervento sarà fondamentale per la buona
riuscita dell’operazione.»
«Ok, dimmi cosa devo fare?»
«Devi far intervenire i servizi segreti americani.»
«E cosa dovrebbero fare?»
«Avvisare i servizi italiani della rapina e passare a
quelli svizzeri le informazioni sulle attività della
Securty.»
«Per muoversi avranno bisogno di prove.»
«David mi ha inviato dei CD che contengono tutte le
informazioni necessarie per incastrare Roberto.»
«E quali sarebbero le informazioni contenute nei
CD?»
«Su uno ci sono tutte le informazioni riguardanti i
paramilitari che arriveranno in Italia, dove
alloggeranno, dove tengono i mezzi e il deposito
delle armi. Gli altri cinque riguardano la Securty:
informazioni sul riciclaggio di denaro, in accordo
con la banca del dottor Schultz, tutti i nomi di chi ha
richiesto le intercettazioni illegali e dove sono
custoditi i nastri, più altre operazioni illegali come
lo spionaggio industriale.»
«Mi sembra che ci sia abbastanza per farli
intervenire.»
«Un’altra cosa.»
«Dimmi?»
«David non dev’essere arrestato e noi non dovremo
comparire nell’indagine.»
«Ok, non penso che ci siano problemi.»
***
Dal bunker della villa, Carlos e Dimitri avevano
seguito l’assalto, attraverso le telecamere installate
sui furgoni e quando tutto fu finito nel migliore dei
modi, Carlos disse: «Stappiamo una bottiglia di
cartizze e brindiamo alla riuscita della trappola.»
Riempirono i bicchieri e quando stavano per
brindare, il cellulare di Carlos cominciò a squillare.
«Ciao Giorgio è andato tutto bene, sono stati tutti
arrestati e nessuno si è fatto male.»
«Sì, sono stato informato dal direttore della CIA. Ti
ho chiamato per dirti cosa è successo a Roberto.»
«Dimmi?»
«Si è suicidato.»
«Giustizia è stata fatta.» Prese il bicchiere e lo scolò
tutto d’un fiato.
***
La seconda votazione, per la modifica della
Costituzione, avvenne tre mesi dopo quella del
Senato. E anche alla Camera passò con un buon
margine. Per la terza e la quarta votazione era
necessaria la maggioranza assoluta dei voti per non
incorrere a un ulteriore passaggio attraverso il
referendum confermativo, con esiti imprevedibili.
Giorgio chiamò in audio tutti i capigruppo della Rosa
Nera: « Signori tra qualche mese al Senato ci sarà la
terza votazione e serve la maggioranza assoluta dei
voti. Compito vostro accertarvi che i numeri ci siano.
Mettete in atto tutti i mezzi necessari per evitare
sorprese, se necessario comprate i voti, avete a
disposizione dieci milioni di euro.
Tutti i Deputati di Camera e Senato, aderenti alla
società segreta, iniziarono discretamente a sondare
chi fosse a favore e chi non lo era. Il risultato fu, che
per avere la matematica certezza di avere la
maggioranza assoluta, mancavano una ventina di voti
al Senato e una sessantina alla Camera.
Incominciarono subito le trattative segrete per la
compravendita dei voti. Riuscirono ad accordarsi
con una sessantina di deputati con una spesa
complessiva di otto milioni di euro. Lo scopo era
stato raggiunto e a meno di sorprese, la maggioranza
assoluta era certa.
***
Dopo gli ultimi avvenimenti Giorgio decise di
convocare una riunione nella sua villa a Forte dei
Marmi, erano presenti oltre al vertice della Rosa
Nera anche Carlos e Dimitri.
Prima della riunione si accomodarono nel salone per
il pranzo. In attesa della prima portata , Giorgio fece
un breve discorso: «Ringrazio Carlos per aver
neutralizzato la Securty, un’organizzazione senza
scrupoli, che in più di un’occasione ha cercato di
trafugare l’oro con attacchi criminali, causando la
morte di molte persone tra cui Beatrice». Ci fu un
attimo di silenzio imbarazzato, poi Giorgio riprese a
parlare. «Carlos so che qualunque cosa dica non la
riporterà in vita , ma mi manca il suo sorriso e la sua
professionalità, il suo sacrificio non sarà vano, te lo
assicuro.» Tutti si alzarono e applaudirono. Carlos
prese la parola: «Grazie Giorgio le tue parole mi
commuovono, la sua scomparsa mi ha lasciato un
vuoto incolmabile. Se lei potesse parlarmi mi
spronerebbe a continuare il lavoro che avevamo
cominciato assieme, ed è quello che farò in sua
memoria, grazie a tutti.» Nel salone regnava
un’intensa emozione che fu mitigata dall’arrivo in
sala dello chef, seguito dai camerieri che portarono
in tavola il primo piatto, “agnolotti, fave, pecorino,
seppie e ricci di mare”. «Eccezionale!» disse
Giorgio. «E cosa ci hai preparato come secondo?»
«Fagiano farcito al lardo di Colonnata e tartufo nero
con carciofi,» disse, e per il dessert «sfogliatina di
fragole con verbena e cioccolato, i vini sono della
tua riserva privata.»
Soddisfatti dal pranzo abbonante nessuno si decideva
a lasciare la tavola, allora Giorgio intervenne:
«Signori ci starebbe bene un riposino, ma il dovere
ci chiama. Spostiamoci nella sala riunioni.»
La sala poteva contenere fino a cinquanta persone,
era di forma quadrangolare con tutte le poltrone
disposte a semicerchio davanti a una pedana rialzata,
con sopra una scrivania per quattro persone. Ogni
postazione aveva a disposizione: un microfono, un
P.C., e un monitor dove si poteva vedere quello che
veniva proiettato alle loro spalle. La sala inoltre era
fornita del collegamento a Internet con wi-fi e audio
conferenza.
Giorgio si accomodò sulla pedana prese il
microfono. «L’oro come sapete si trova nel bunker
della villa di Carlos, l’intenzione era quella di
depositarlo nella banca Vaticana, ma dopo la morte
di Beatrice e l’intervento di Roberto presso un
cardinale, ho ritenuto più prudente soprassedere e
attendere.»
«Cosa possiamo fare?» disse uno dei presenti.
«L’oro del Duce fu cercato in ogni angolo del nord
d’Italia, nei laghi, nei fiumi, nelle grotte. Sono state
elaborate mille ipotesi e mille teoremi, senz’arrivare
a nulla di concreto. Io una soluzione l’avrei trovata.»
Un momento di attesa, poi riprese: «Far ritrovare
l’oro facendo credere che era rimasto in quel luogo
per tutti questi anni.»
«Mi sembra un’operazione pericolosa e difficile da
credere, tutto quell’oro nascosto per più di
sessant’anni, ma chi ci crederà?» disse Marco.
«Se avrete fiducia in me, tutto andrà per il meglio e
quell’oro ci aiuterà a creare un Governo che guiderà
il Paese per moltissimi anni.»
Tutti i presenti annuirono e applaudirono. «Hai la
nostra piena fiducia.» disse Marco.
Chiuso il capitolo oro, passò ad altri argomenti che
riguardavano le loro società, bilanci, acquisizioni,
dismissioni, prospettive di crescita e dividendi. Alle
otto di sera la riunione terminò e tutti ritornarono nel
salone, dove lo chef aveva fatto preparare uno
spuntino: insalatina di polpo con verdure, bocconcini
di coda di rospo con carciofi e crocchette di
gamberi, vino gran toscano bianco, trecò frizzante e
qualche bottiglia di cartizze.
***
26 aprile 1945.
A Menaggio ,nella notte, giunse un convoglio militare
tedesco in ritirata diretti a Merano attraverso il passo
dello Stelvio. Mussolini con i gerarchi fascisti e le
rispettive famiglie al seguito, decisero di
aggregarvisi. La colonna appena fuori Musso, venne
fermata ad un posto di blocco delle Brigate
Garibaldi; dopo una breve sparatoria, e in seguito a
lunghe trattative, i tedeschi ottennero il permesso di
poter proseguire a condizione che venisse effettuata
un’ispezione. Mussolini , su consiglio del capo della
sua scorta, indossò un cappotto e un elmetto da
sottufficiale della Wehrmacht, occultandosi in fondo
al pianale, vicino alla cabina di guida. Verso le ore
quindici del 27 aprile ,venne riconosciuto ed
arrestato dal vicecommissario di brigata che lo
accompagnò nella sede comunale, dove gli venne
sequestrata la borsa in suo possesso.
L’ufficiale partigiano chiamato Beppe prese in
consegna la borsa e partì per Milano, con il compito
di consegnarla personalmente al comandante del
CLN.
Arrivato a Menaggio invece di proseguire per Como
deviò per Porlezza, alla periferia del paese svoltò in
una stradina che portava verso il casale dei Molin,
che era deserto poiché i proprietari si erano rifugiati
in montagna.
Scese dalla macchina, andò nel fienile si sedette su
una balla di fieno e aprì la borsa. Era piena di
documenti battuti a macchina e fogli scritti a mano
dal Duce in persona, scorse tutti i fogli, il tempo era
tiranno, allora prese solo quelli scritti da Mussolini e
li infilò in uno zaino.
Prese una cassetta di legno che trovò nel fienile e vi
ripose lo zaino al suo interno. La chiuse con un
coperchio e per maggior sicurezza con un martello e
dei chiodi la sigillò. Si guardò intorno per cercare un
posto sicuro dove nasconderla. Sulla sua destra
dietro alcuni attrezzi, vide una rientranza nel muro,
controllò se era grande abbastanza da contenerla. Era
della misura giusta. Prese la cassetta e la spinse nel
foro, coprendo il tutto con della paglia. Si alzò,
arretrò di una decina di passi e controllò se si
vedeva, soddisfatto del nascondiglio se ne andò.
Dopo un’ora era a Menaggio, svoltò verso Como per
poi dirigersi verso Milano. Arrivò prima di
mezzanotte e consegnò la borsa.
Erano passati già diversi mesi dalla fine delle
ostilità, quando Beppe decise di andare presso il
presidio militare americano di Como. Il comando
USA si trovava in una villa di fronte al lago che era
stata requisita ai legittimi proprietari, ritenuti fascisti
militanti. Superò il cancello e salì la scalinata che
portava all’ingresso. Al piano terra c’era un
andirivieni di militari, si guardò in giro e alla sua
destra vide una scrivania sulla quale c’era scritto
“informazioni” si avvicinò e al caporale gli chiese:
«Avrei bisogno di parlare con un vostro ufficiale».
«Per quale motivo?»
«Sono un ex comandante partigiano e ho informazioni
importanti da fornirgli.»
«Su cosa?»
«Su dei documenti riservati.» Lo fece accomodare in
un ufficio del primo piano. In attesa, Beppe ripassò a
mente cosa doveva dire, quando sentì aprirsi la porta
si alzò in piedi. «Comodo, comodo,» gli disse il
capitano in lingua italiana ,«mi hanno riferito che
aveva informazioni su documenti riservati?»
«Sì, mi chiamo Beppe ed ero il comandante di una
brigata partigiana che ha partecipato alla cattura di
Mussolini.» Il capitano si fece più attento. Beppe
proseguì: «Posso fornirvi importanti informazioni sui
documenti contenuti nella borsa del Duce.»
«Da informazioni in nostro possesso i documenti
sono stati consegnati al CLN?» Disse il capitano.
«Non tutti? Quelli scritti dal Duce sono in mano
mia!»
Il capitano lo guardò perplesso. «È stato lei a
consegnare la borsa con i documenti?» Disse
sorpreso.
«Sì, sono stato io!»
Non sapeva cosa pensare, si erano già presentati altri
partigiani spacciando documenti falsi per veri, ma in
tutti i casi, valeva la pena approfondire. «Attenda un
attimo, vado a chiamare il mio superiore.»
Passò circa mezzora prima che ritornasse il capitano,
stavolta accompagnato da un altro militare. «Sono il
colonnello Ernesto dell’Office Of Strategic Services,
spionaggio americano, il capitano mi ha spiegato che
lei è in possesso di documenti scritti dal Duce?»
«Sì.»
«E perché li volete consegnare a noi?»
«Penso, che per averli, sareste disposti a pagare una
notevole somma!»
«Chi le dice che noi pagheremo? Potrei farla
arrestare e consegnarla ai carabinieri?»
«Certo è un rischio che ho valutato venendo qui. Ma i
documenti andrebbero persi o trovati da altri che
potrebbero renderli pubblici!»
«Lei li ha letti?»
«Velocemente, ma abbastanza da capire che se i
contenuti venissero divulgati, alcune persone del
governo inglese e americano, sarebbero travolti
dallo scandalo e rischierebbero di essere incriminati
per alto tradimento.»
I due militari americani rimasero in silenzio per
alcuni secondi, poi il colonnello Ernesto disse:«Ci
faccia avere una prova di quello che afferma?»
Beppe prese un foglio dalla tasca e lo passò
all’americano. L’ufficiale lo guardò attentamente:
«Dovremo fare una verifica ci faremo sentire noi. Ci
dica dove la possiamo rintracciare.»
«Mi troverete ogni domenica alle ore undici a Messa
nella chiesa Santi Agostino e Antonino in piazza
Amendola a Como.»
Passò più di un mese e nessuno si mise in contatto
con lui, aveva già perso la speranza quando una
domenica mentre si stava recando in chiesa con la
famiglia, fu avvicinato da una persona che gli disse:
«Un amico mi ha detto di consegnarti questa lettera.»
E se ne andò.
La prese e la mise in tasca. «Chi ti ha mandato quella
lettera?» Disse la moglie.
«Non sono affari tuoi.» Gli rispose e si avviarono
verso la chiesa.
Rientrato a casa, aprì la busta e lesse la lettera.
«L’aspetto domattina alle dieci nel parco vicino al
lago, sarò seduto sulla panchina di fronte al chiosco
dei gelati.»
Era eccitatissimo già si vedeva con una montagna di
soldi da spendere: «Chiederò dieci milioni, no di
più, quindici.» Pensava a voce alta. «Mi comprerò
una casa, un negozio, una macchina.», «Certo dovrò
cambiare città, ma cosa importa, sarò ricco.»
Alle nove era già al parco era una giornata piovosa e
c’erano poche persone, si sedette su una panchina
lontana un centinaio di metri da quella dove era in
attesa l’ufficiale americano. Aveva portato con sé un
binocolo e senza farsi notare scrutava a destra e a
sinistra ma oltre al militare seduto davanti al chiosco
non vide altro di strano, si tranquillizzò, non era una
trappola.
Aspettò ancora qualche minuto si guardò di nuovo
intorno e non notando niente di particolare,
s’incamminò verso la panchina. «Buongiorno
colonnello.» Disse Beppe, «Buongiorno comandante,
si accomodi.» Mentre si spostava per fargli posto,
«il materiale che lei mi ha fornito è risultato
autentico, siamo interessati al resto.»
«Parliamo di cose concrete, cosa sareste disposti a
pagare?»
«Mi faccia lei una proposta?»
«Voglio quindici milioni di lire in contanti.»
«È una cifra importante? Non mi posso impegnare
personalmente, devo sentire i miei superiori. La
contatterò io.»
Si alzarono e si allontanarono in direzioni diverse.
Quella notte non riusciva a dormire, continuava a
rigirarsi nel letto e pensava: «Devo recuperare i
documenti? O, prima concludere l’accordo? E se
qualcuno scopre il nascondiglio? E se ritornano i
contadini? Non so cosa fare? Forse è meglio
recuperarli e nasconderli in casa? Ho deciso!
Domani andrò a prenderli.»
Si alzò di buon mattino, fece colazione con la moglie.
«Devo assentarmi per qualche ora, non aspettarmi
per pranzo.»
«Dove devi andare?» Chiese lei.
«Devo fare un lavoro per Bruno.»
«Suo cugino Bruno?» La moglie restò interdetta. «Ma
se non si parlano da mesi per questioni di eredità?»
Pensò, ma non insistette, erano giorni che era
nervoso e intrattabile, c’era qualcosa che lo
tormentava, si ripromise di parlarne quando sarebbe
rientrato.
Scese nel cortile salì sulla moto e partì. Prima di
avviarsi verso Porlezza si fermò alla posta, che si
trovava alla periferia di Como e inviò una lettera a
se stesso. Dopo due ore era al casale dei Molin,
lasciò la moto appoggiata ad un albero e a piedi si
avvicinò al podere, per verificare se nel frattempo
non fossero tornati i proprietari, ma per sua fortuna
la cascina era ancora disabitata.
Entrò nel fienile e con il cuore in gola si avvicinò al
punto del muro, dove aveva nascosto la cassetta con i
documenti. Tirò un sospiro di sollievo, quando vide
che era al suo posto e nessuno l’aveva toccata.
Prese la cassa e con un martello schiodò il
coperchio. Lo zaino era al suo posto. Verificò se i
documenti si erano ben conservati, non si sa mai con
tutta quella umidità? Erano tutti integri, richiuse lo
zaino e se lo mise sulle spalle.
Una voce con accento americano lo fece sobbalzare.
«Comandante, posi lo zaino e non faccia mosse
false!»
«Mi hanno seguito? Accidenti. Dovevo prevederlo?
Sono un imbecille? Ora cosa faccio?» Pensò Beppe.
«Non lasceranno testimoni? Mi uccideranno? Devo
tentare il tutto per tutto!»
Con un balzo saltò la balla di fieno e si accovacciò
dietro di essa, prese la pistola che teneva nel
giubbotto e sparò in direzione della voce, sentì un
grido. «Un testa di cazzo in meno.» Disse tra sé.
Incominciò il finimondo, gli americani aprirono il
fuoco con le armi automatiche, non aveva scampo era
circondato, tentò il tutto per tutto, uscì allo scoperto
correndo verso l’uscita, sparando a casaccio, fu
colpito tre volte, cadde a terra con la faccia sul
terreno.
«La felicità era così vicina.» Pensava, mentre nella
sua mente scorrevano le immagini della vita
trascorsa. L’ultimo pensiero fu per la moglie, poi il
buio della morte.
«Prendete lo zaino e andiamocene.» Disse il
colonnello dell’OOSS.
«Il partigiano lo lasciamo qui?»
«Sì, prima che lo trovino passerà parecchio tempo.
Pulite tutto, non lasciate tracce che possano portare a
noi.»
Era notte quando la moglie, non vedendolo rientrare,
andò alla stazione dei carabinieri per denunciarne la
scomparsa.
Lo trovarono un paio di mesi dopo i contadini, che
nel frattempo erano ritornati nel casale. Non si scoprì
mai da chi fu ucciso.
***
Giorgio, dalla finestra del suo ufficio al
quindicesimo piano, guardava assorto il panorama di
Milano. Vedere Milano dall’alto era un’esperienza
mozzafiato, si potevano cogliere particolari che
sfuggivano quando si cammina per strada, come le
terrazze con piscina, i giardini e tanto verde. Se il
cielo era limpido si poteva ammirare la catena
montuosa delle alpi, coperte ancora di neve. Faceva
sempre fatica staccarsi, era così bella la sua Milano.
A malincuore si girò e si accomodò sulla poltrona.
L’ufficio in un elegantissimo palazzo in pieno centro,
aveva un’estensione di settantacinque metri quadri,
una parte era arredata con mobili antichi che erano
appartenuti al nonno, come la scrivania del primo
novecento, in mogano con filettature in legni chiari,
con ai lati due pianetti a scomparsa. Sul lato destro,
una coppia di armadi veneti della seconda metà del
settecento e alla sua sinistra due cassettoni della
prima metà dell’Ottocento. La rimanente parte
dell’ufficio era invece arredata in stile moderno, un
tavolo per riunioni in cristallo, con dodici sedie in
pelle bianca che si abbinava ai mobili sempre di
colore bianco, infine una parete era dedicata alla
libreria lunga dieci metri e alta due.
Si era appena accomodato, che il telefono interno
incominciò a suonare, era la sua segretaria. «Sì, mi
dica?»
«Dottore, mi scusi, le ricordo l’appuntamento
telefonico con il senatore Tyler.»
Prese il telefono criptato e fece il prefisso e il
numero dell’ufficio : «Ciao , sono Giorgio, ti posso
disturbare?»
«Dimmi tutto, sono a tua disposizione.»
«Avrei bisogno delle informazioni sui documenti
scritti da Mussolini e sequestrati durante il suo
arresto?»
«Ma dovrebbero essere in nostro possesso?»
«Sì, ne sono sicuro, nel 1945 un comandante
partigiano detto “Beppe” trafugò, dalla borsa
sequestrata al Duce, dei documenti che nascose in un
casale.»
«E come sarebbero arrivate a noi?»
«Furono presi da agenti americani, quando Beppe
andò a recuperarli.»
«E Beppe?»
«Fu ucciso nello scontro a fuoco che ne scaturì.»
«Ma tu, come fai a sapere che le cose siano andate
veramente così?»
«È una lunga storia se vuoi te la posso raccontare?»
«Sì, mi interessa e al momento non avrei nessun
impegno.»
Giorgio iniziò il racconto: «Beppe prima di andare a
Porlezza nel casale dei Molin, si fermò in posta dove
inviò una lettera a se stesso, la quale diceva: «Cara
moglie se stai leggendo questa lettera vorrà dire che
sono morto. Ho tradito la fiducia dei miei compagni
ma non mi pento, ho rischiato la vita per la libertà e
quando arrivò il momento di raccogliere i frutti, i
miei ” cari” compagni mi hanno dato un calcio nel
sedere dicendomi che il mio compito era finito e non
avevano più bisogno di me. Per questo motivo
quando mi hanno incaricato di portare la borsa del
Duce a Milano ho pensato che poteva essere la mia
giornata fortunata. Ho preso dalla borsa dei
documenti scritti di suo pugno e li ho nascosti in un
casale, con l’intenzione di venderli agli americani.
Oggi ho deciso di andare a recuperarli, ma ho un
brutto presentimento. Di questa lettera fanne quello
che ritieni giusto. Ti amo amore mio. Beppe.»
«E la moglie cosa ne fece della lettera?» Chiese il
senatore.
«La tenne per sé, aveva paura di ritorsioni da parte
dei partigiani.»
«Non capisco? Se la tenne per sé? Come avete avuto
queste informazioni?»
«In due modi. Dopo la morte del marito, fu costretta
a cercare lavoro e si mise in contatto con sua cugina,
che lavorava come domestica da mio nonno, che
l’assunse in cucina. Dopo qualche anno si ammalò
gravemente e dopo qualche mese morì. Una nostra
domestica nel riordinare la sua stanza, trovò la
lettera e la consegnò a mio nonno.»
«Hai detto che le informazioni le avete ricevute in
due modi?»
«Sì, è vero. Mio nonno era già stato informato dal
colonnello Ernesto, che avevano trovato i diari di
Mussolini e gli inviò una copia. Diciamo che era la
conferma delle sue parole .»
«Sono stupefatto, sembra la trama di un film, se non
fosse una tragica storia vera.»
«Veniamo alla mia richiesta. Avrei bisogno di alcuni
fogli del diario di Mussolini, solo quelli che fanno
riferimento al carico d’oro, arrivato alla prefettura di
Milano?»
«Perché non tutti?»
«Quando li leggerai concorderai con me, che non è
ancora il momento di rendere pubblici i rapporti che
ci sono stati fra anglo americani e i fascisti!»
«Capisco. Oggi stesso parlerò con il vicepresidente,
ti richiamerò appena li avremo trovati.»
Giorgio riappese il telefono e fece l’interno della sua
segretaria. «Per favore chiami Carlos e me lo passi
sulla linea riservata.»
Dopo alcuni minuti il telefono squillò. «Dottore le
passo Carlos.»
«Ciao, dovresti andare nella zona di Porlezza e
trovare un casolare dove, verosimilmente, possa
essere stato nascosto per più di sessant’anni tutta
quella quantità di oro e cercarmi un professionista
per falsificare dei documenti.»
«Domani mi sposterò in zona e cercherò di trovare il
casale che fa al caso nostro, per quanto riguarda il
falsario non ci sono problemi, conosco il migliore.»
«Ti ringrazio, tienimi aggiornato.»
Chiusa la telefonata attivò l’apparato di audio
conferenza, che in automatico lo mise in contatto
telefonico con i capogruppo. Accertato che tutti
erano in collegamento iniziò: «Signori domani sarà il
giorno della terza votazione per la modifica alla
Costituzione e come saprete, deve passare con la
maggioranza assoluta dei voti, non voglio sorprese!»
«Signori, i nostri Parlamentari hanno ottenuto che la
votazione avvenga con scrutinio segreto e non ci
saranno sorprese.» Disse uno dei capogruppo.
«Bene me lo auguro.» Soddisfatto chiuse la
comunicazione.
***
Al Senato erano le sei del pomeriggio quando
l’ultimo dei parlamentari passò sotto il baldacchino
per la votazione. I commessi vuotarono il contenitore
con i fogli dei voti, i quali venivano passati al
presidente che ad alta voce leggeva quello che c’era
scritto: «Sì, sì, sì, no, nullo». E così via. A un certo
punto del conteggio scattò l’applauso, si era superata
la maggioranza. Il presidente cercò di riportare
l’ordine, la conta dei voti non era finita, dopo
qualche minuto ritornò la calma e si continuò. Arrivò
l’ultimo foglietto. In attesa dei risultati finali, il
presidente cercava di calmare i senatori. Era una
bagarre, dai banchi volava di tutto e la situazione
peggiorò quando il presidente comunicò i risultati.
Non solo avevano superato la maggioranza ma risultò
che c’erano stati almeno trenta franchi tiratori. Lo
scontro fisico fu scongiurato a fatica e al grido di
venduti e fascisti, terminò la terza votazione a favore
della modifica costituzionale.
***
Carlos e Dimitri lasciarono la villa alle sei,
dovevano percorrere 370 chilometri di autostrada
per arrivare a Como, e un’altra cinquantina per
arrivare a Porlezza. La cittadina si affacciava sul
lago di Lugano ed era circondata da verdi montagne,
un paesaggio splendido. Arrivarono prima di
mezzogiorno. Seguendo le indicazioni di un
villeggiante andarono all’albergo Del Re, che si
trovava di fronte a tre laghi, un posto incantevole.
Portati i bagagli in camera ed espletate le formalità
con l’impiegato della reception, si misero subito alla
ricerca del casale. Ritornarono poco prima della
cena, senza aver concluso nulla. Erano talmente
stanchi che si accontentarono di un panino al bar, per
poi si ritirarsi nelle loro stanze.
Ripresero le ricerche di buon mattino, uscirono da
Porlezza e presero la statale undici, diretti al paese
di Corrido, dopo alcuni chilometri notarono un
cartello “vendesi cascinale” con una freccia che
indicava la strada da seguire. Si fermarono, fecero
retromarcia e svoltarono nella via non asfaltata che
si inoltrava nella campagna, in lontananza videro il
casale. Un cancello ne sbarrava l’ingresso , la rete
metallica che circondava la proprietà era in molti
punti rotta e a terra. A prima vista sembrava tutto
abbandonato, decisero di entrare. Cautamente si
avvicinarono alla casa padronale che era stata
costruita su una collina e sembrava ancora in un
buono stato di conservazione. A qualche centinaio di
metri si trovavano le due stalle e un fienile, queste
erano in cattivo stato e in parte diroccate. Decisero
di ispezionare il fienile, che aveva una dimensione di
circa cento metri quadri. Aprirono la porta di legno
con precauzione, il rischio che cadesse a pezzi era
reale. Avanzando con cautela cominciarono a
esplorarlo. Sulla destra c’era una specie di cantina
che conteneva centinaia di bottiglie vuote e coperte
da ragnatele. Il resto del pavimento era disseminato
di attrezzi coperti da ruggine e un paio di piccole
macchine agricole. Niente d’interessante, decisero di
uscire e passare alle stalle. Quando si stavano
avviando all’uscita, videro uscire un gatto da un
grosso foro sul pavimento. Si guardarono negli occhi
e ritornarono indietro incuriositi. Con una scopa,
pulirono il pavimento e notarono che la superficie,
due metri per due, vicino al foro, era di qualche
centimetro più basso rispetto a tutto il resto.
Accesero una torcia illuminando l’apertura e si
accorsero che sotto era vuoto. Trovarono una
spranga di ferro, che usarono come leva e facendo
pressione sulla fessura cercarono di sollevarla.
Nonostante gli sforzi non si muoveva e dopo diversi
tentativi rinunciarono. Sudati guardarono con più
attenzione la botola, ma non c’era nulla per aprirla,
nessun gancio, nessuna serratura. «Ci dovrebbe
essere un meccanismo per aprirla» disse Carlos, ma
non videro nulla.
«Diamo un’occhiata in giro?» disse Dimitri.
Con la torcia illuminarono le pareti ma c’erano solo
dei ganci distanziati un metro uno dall’altro.
Probabilmente servivano per appendere degli
attrezzi. Uno di questi attirò la loro attenzione.
Sporgeva dal muro qualche centimetro in più rispetto
agli altri ed era più levigato. Si avvicinarono e
Carlos provò a girarlo e tirarlo, ma non successe
nulla. Usò più forza e il gancio cominciò lentamente
a scorrere in avanti, quando uscì di qualche
centimetro, sentirono un rumore sotto il pavimento,
come se si fosse sbloccato un ingranaggio. Ripresero
la spranga e stavolta la botola si aprì, sotto si apriva
un locale . Ancorata alla parete si trovava una scala
in ferro, che permetteva la discesa fino al pavimento
sottostante. Carlos una volta sul fondo illuminò la
stanza di circa sedici metri quadrati e alta due. Di
fronte a lui si trovava una rastrelliera con una decina
di fucili mitragliatori, una ventina di pistole,
proiettili d’ogni tipo e alcune casse di legno
contenenti bombe a mano. Il tutto era risalente alla
seconda guerra mondiale. Lo stato di conservazione
era pessimo. Da una prima verifica constatarono che
erano lì da almeno sessant’anni.
«Dimitri, sigilliamo tutto e fai venire i tuoi uomini
per la sorveglianza.»
«Ok. »
«Bene rientriamo!»
Arrivati a Porlezza decisero di fermarsi in un bar.
Seduti al tavolino del bar Stella, davanti al lago,
sorseggiavano la birra fresca e mentre parlavano
della giornata trascorsa, Carlos notò la targa sul
cancello della casa di fronte “ RESIDENZA
BARDOLF”.
«Dimitri questa casa è in vendita e guarda chi era il
proprietario?»
Dimitri si alzò e lesse la targhetta. «Bardolf. Lo
conosci?»
«È un nome che ho già sentito da Giorgio, adesso lo
chiamo!»
«Ciao Giorgio, siamo a Porlezza, il nome Bardolf ti
dice qualche cosa?»
«Certo, comandava un plotone tedesco con il
compito di presidiare l’aereo che doveva trasportare
il Duce in Germania, poi l’aereo fu usato dal plotone
La Rosa Nera, perché questa domanda?»
«Potrebbe essere il proprietario di una casa qui a
Porlezza.»
«Mi informo. E per il casale?»
«Forse abbiamo trovato quello giusto?»
«Bene ci sentiamo più tardi.»
Nel tardo pomeriggio il telefono di Carlos squillò,
era Giorgio. «Dalle informazioni avute , il
colonnello Bardolf dopo la guerra si trasferì a
Porlezza e si sposò con una donna del luogo. È
deceduto due mesi fa.»
Decisero che il giorno dopo avrebbero fatto visita
alla vedova.
Si presentarono in tarda mattinata e furono accolti da
una signora novantenne molto arzilla: «Buongiorno,
siete venuti a vedere la casa?»
«Sì, signora, saremmo interessati all’acquisto.»
«Accomodatevi, vi faccio strada.», «incominciamo
dal primo piano, l’arredamento è formato da mobili
antichi, mio marito ne era affascinato.»
«Accidenti varranno un capitale.» Pensò Dimitri
«Al piano terra si trova la cucina e la sala da pranzo,
adesso se volete possiamo scendere nella cantina , vi
voglio far vedere la libreria di mio marito , contiene
centinaia di diari sulla sua vita.»
L’accenno a diari scritti da lui destò il loro interesse.
«Signora, la casa potrebbe fare a caso nostro.»
«Bene, questo è il numero dell’avvocato che cura i
miei interessi, io domani parto per l’Argentina, dove
mi attende mia sorella.»
«La ringrazio e faccia buon viaggio.»
«Per lo sgombero volete che ci pensi l’avvocato a
chiamare l’agenzia?»
«Preferiremmo pensarci noi.»
«Meglio così, parto più tranquilla.»
Dimitri, mentre Carlos distraeva la vedova, prese
dalla libreria i diari con scritto “anno 1945”.
Una volta usciti chiamarono Giorgio. «Ciao,
abbiamo visitato la casa, penso faccia a caso
nostro.»
«Ok, a chi mi devo rivolgere per l’acquisto?»
«Ti mando un sms con il numero dell’avvocato.»
Il giorno dopo l’avvocato Lukas di Zurigo si mise in
contatto con l’avvocato dei Bardolf e concordarono
il prezzo d’acquisto e nel primo pomeriggio era già
stato fatto il versamento dell’anticipo.
***
Chiavenna, 23 aprile 1945.
Il colonnello Bardolf, dopo aver fatto caricare la
cassa d’oro avuta da Giuliano su una delle due
autoblindo, lasciò l’aeroporto di Chiavenna. Al suo
comando c’erano undici uomini desiderosi di far
ritorno in Germania.
Prima però dovevano portare l’oro al sicuro, non
avevano nessuna intenzione di consegnarlo, lo
ritenevano un risarcimento per la loro dedizione alla
causa del Fuhrer e anche perché sarebbe stato
difficile spiegarne la provenienza.
Decisero di tornare a Porlezza, sequestrare una barca
e portare la cassa in Svizzera. E così fecero.
Sulla barca sequestrata a dei pescatori furibondi, che
non avevano nessuna intenzione di consegnarla,
salirono il colonnello e un sergente. Prima di partire
si erano tolti la divisa e indossarono abiti civili.
Avviarono il motore e si diressero verso il
porticciolo di Gandria. La fortuna era dalla loro
parte, non incontrarono nessuno.
Mentre il sergente ormeggiava, Bardolf scese ed
entrò in un alberghetto e chiese di fare una telefonata.
«Ciao cugino sono Bardolf, avrei bisogno del tuo
aiuto?» Suo cugino era un capitano dei servizi segreti
tedeschi in missione a Zurigo.
«Ma dove ti trovi? Ti credevo in Germania.»
«No, sono in Svizzera, ho bisogno di depositare una
cassa in una banca.»
«Ti vuoi mettere nei guai? Di cosa si tratta?»
«Meno ne sai meglio è, sappi che il tuo aiuto sarà
ricompensato bene.»
«Ti mando un mio uomo che ti accompagnerà nella
banca, attendi lì, ci vorrà un po’ di tempo, devo fare
parecchie telefonate, accidenti a te.»
Dopo due ore Bardolf, che aveva atteso seduto su
una panchina lontano dalla strada, vide avvicinarsi
un’auto con targa diplomatica.
L’uomo alla guida scese e lo guardò. «Siete il
colonnello Bardolf?»
«Sono io.»
«Ho l’ordine di scortarla alla Credit Swiss a Lugano
e poi riportarla indietro.»
«Sergente, carichiamo la cassa nel baule, presto.»
Arrivati davanti alla banca attesero che il cancello
laterale venisse aperto, scesero nel garage dove era
ad attenderli il Direttore: « Sono stato informato del
deposito! Scendiamo nel caveau.»
Era pomeriggio quando il colonnello salì di nuovo
sulla barca : « Sergente andiamocene il pacco è al
sicuro.»
Per i soldati rimasti in attesa il tempo non passava
mai e cominciavano a preoccuparsi.
«Come mai tutto questo tempo?» Disse uno di loro.
«Speriamo sia andato tutto bene. Se venissero
sorpresi sarebbero arrestati subito come spie.» Disse
un altro.
«Io mi fido ciecamente del comandante, vedrete che
ritornerà sano e salvo.»
Poi sentirono un rumore in lontananza, uno dei
militari prese il binocolo e lo puntò verso il lago.
«Sono loro.» Gridò.
I militari li salutarono entusiasti. Il sergente si
avvicinò alla banchina e con una manovra perfetta la
mise parallela al molo. Quando fu ormeggiata, il
comandante scese e tutti si misero in fila sull’attenti
salutandolo militarmente, «Soldati, tutto è andato
bene. Possiamo andare.» Uno dei soldati tentò di
replicare, ma fu zittito.
«Soldati, so cosa volete sapere. Ne parleremo
dopo.»
Usciti dal paese si fermarono in un bosco per passare
la notte. «Ora potete farmi tutte le domande che
volete.»
«Come faremo a riprenderlo?» disse uno dei militari,
«per riprenderlo sarà necessario avere il codice
segreto?»
« Ho diviso l’oro in dodici parti ed ognuno di voi
avrà il suo codice. Mi è sembrata la soluzione
giusta.» Tutti annuirono.
«Soldati, il dovere ci chiama, torniamo nella nostra
amata Germania.»
Il viaggio fu lungo e gli scontri a fuoco con i
partigiani si susseguivano, l’obiettivo era
raggiungere Berlino, per unirsi alla IV armata panzer.
La battaglia di Berlino vera e propria iniziò il 25
aprile, quando le forze russe varcarono il canale
Hohenzollern all’altezza di Plötzensee e iniziarono
ad avanzare nei settori orientale e nord-orientale
della città, scontrandosi con l’eroica resistenza
opposta da elementi della IX divisione Paracadutisti
del Reich nell’area industriale a cavallo fra
l’Invalidenstrasse e la stazione Stettiner.
Contemporaneamente, nel settore meridionale della
città, l’VIII Armata delle Guardie e la I Armata
Guardie corazzate si impadronivano dell’aeroporto
di Tempelhof, dopo aver messo in rotta le formazioni
della Hitlerjugend che lo difendevano assieme a
reparti della difesa contraerea e della Muncheberg.
Il 27 aprile cadde l’aeroporto di Gatow.
Violentissimi combattimenti, con perdite enormi da
entrambe le parti, infuriavano intanto alla stazione di
Anhalt e sull’Alexanderplatz dove, tra le macerie dei
capisaldi e le buche di granata, un pugno di SS agli
ordini dello Standartenführer Hans Kempin
resisteva ancora, appoggiato dagli ultimi carri del
29º reggimento Panzer .
A Berlino il plotone del colonnello Bardolf non
arrivò mai, furono sorpresi dalle truppe americane
nei pressi di Torgau, ogni tentativo di reazione
sarebbe stato vano, decisero di arrendersi senza
opporre resistenza. Vennero disarmati e inviati nelle
retrovie, dov’erano stati installati dei campi di
concentramento.
Dalla fine della guerra, passò ancora un anno prima
che il colonnello ritornasse in libertà. Tornò a
Berlino per unirsi alla sua famiglia, ma scoprì, che
erano tutti morti sotto i bombardamenti alleati. Non
aveva più legami con la sua patria. Decise di
ritornare in Italia e stabilirsi a Porlezza. Sposò
un’Italiana che aveva conosciuto nell’albergo dove
aveva soggiornato. Con il ricavato della vendita
dell’oro comprò una casa, un albergo e alcuni
terreni, morì in pace alla veneranda età di
novantasette anni.
***
Non mancava molto alla quarta e ultima votazione
per la modifica della legge costituzionale e se tutto
procedeva come preventivato, l’Italia sarebbe
diventata una Repubblica Presidenziale. Era venuto
il momento di creare un movimento politico,
ufficialmente di centro destra, ma con connotati
marcatamente di destra, da affiancare ai partiti che
sostenevano il Premier.
Le persone che facevano parte del vertice della
società segreta, a parte Marco presidente del
Consiglio, non potevano comparire in questo
movimento per evidenti motivi di segretezza.
Decisero che i dirigenti del movimento, dove Marco
ne sarebbe diventato il presidente, fossero i
capogruppo. La società segreta aveva sedi in tutta
Italia, bastava poco farle diventare anche sedi del
movimento.
Giorgio in audio chiamò tutti i capogruppo, i direttori
dei due giornali e l’amministratrice delle cinque
televisioni. Per comunicare a loro la creazione del
movimento chiamato “LA NUOVA ITALIA” e cosa
dovevano fare per renderlo noto alla gente.
Il giorno dopo in edicola i giornali uscirono con
titoloni in prima pagina “NASCE IL MOVIMENTO
POLITICO DEL PREMIER CHE SI CHIAMERÀ LA
NUOVA ITALIA”, nelle televisioni si ripetevano a
ritmo incalzante le interviste al Premier e ai nuovi
dirigenti che illustravano il loro programma, una
volta vinte le elezioni. “ Diminuzioni delle tasse, tutti
contratti di lavoro a tempo indeterminato, le nuove
assunzioni esentasse per cinque anni, le nuove
società per cinque anni con tasse stabilite a priori
senza altri balzelli, ripresa delle grandi opere, mutuo
sociale, ridiscutere con l’Europa il patto di stabilità,
oppure uscire dall’euro e ritornare alla Lira,
adeguamento delle pensioni al costo della vita”. Un
vero putiferio, i giornali e le televisioni avverse
bollavano il tutto come populismo, un golpe della
destra e paventavano un nuovo ventennio di dittatura.
Ma i sondaggi davano in aumento il gradimento verso
il premier e al governo. Mancava il colpo finale e
poi era fatta.
***
«Dottor Giorgio il senatore chiede di lei» disse la
segretaria.
«Sì, me lo passi sulla linea riservata.»
«Ciao Giorgio ho sul mio tavolo i documenti scritti
dal Duce. Li ho letti e concordo con te, che non è
ancora il momento di divulgarli, quali sono quelli
che ti interessano?»
«Sono una decina di pagine, dove scrive dei suoi
presentimenti sulla sua fine imminente, di quello che
avrebbe voluto fare ma non ha potuto e dell’oro che
ha consegnato al comandante Alberto.»
«Ma nei documenti scrive che l’oro andava portato a
Como e che fosse difeso, fino al suo arrivo?»
«Ma non andò così? Il comandante Alberto aveva un
altro progetto? Tenerselo per sé?»
«Già, ma gli è andata maluccio» disse ridendo, «ok,
prendo le pagine che ti servono, faccio una fotocopia
e gli originali, tra un paio di giorni saranno sulla tua
scrivania.»
«Ti ringrazio, ti devo un favore.»
«Uno solo?»
«Diciamo più di uno?» fece Giorgio riappendendo il
telefono.
Chiamò Carlos. «Puoi ritornare alla villa, ti vengo a
trovare settimana prossima e ti spiegherò il mio
piano.»
«Ok, ti aspetto.»
«Scusa un’altra cosa, sai se il colonnello aveva
documenti scritti di suo pugno?»
«Sì, teneva il resoconto scritto della sua vita su dei
diari. Abbiamo quelli riguardanti l’anno 1945.»
«Magnifico.»
Il ritorno alla villa dopo una missione gli aveva
sempre procurato una sensazione di benessere, di
felicità. Contava i minuti che mancavano all’arrivo e
mentalmente organizzava quello che intendeva fare
nei giorni successivi. Ma perché ora non era così?
Perché non era felice? Perché quell’oppressione alla
bocca dello stomaco? Quanto doveva ancora passare
prima che il dolore per la morte di Beatrice
diminuisse, forse mai?
«Carlos, come sei pensieroso? Non hai detto una
parola, vuoi guidare?» Disse Dimitri
«Scusami, ma non me la sento.»
«Lo sai cosa facciamo stasera? Andiamo a Livorno a
divertirci.»
«Grazie Dimitri, ma non è ancora il momento.»
«Scusa se te lo dico, ma non puoi continuare così. La
vita continua, lei non tornerà più, fattene una
ragione!»
«Lo so Dimitri, lo so. Dammi tempo?»
«Ok, riposati, manca ancora un paio d’ore
all’arrivo.»
Erano tornati da un paio di giorni che la monotonia si
stava impadronendo di Carlos, terminata la palestra,
raggiunse Dimitri al poligono di tiro. «Ciao, stasera
ceniamo al ristorante “la cambusa” di Livorno, ho
voglia di uscire?»
«All’ora sarò costretto a farmi la doccia?» disse
ridendo.
La serata passò allegramente fra portate di pesce e
cartizze, era da tanto tempo che non lo vedeva così
allegro e tra sé pensò: «Era la prima volta che non
parlava di Beatrice, buon segno.»
***
Giorgio in elicottero si stava dirigendo alla villa,
quando mancava una mezzora decise di chiamare
Carlos. «Ciao, sono in arrivo, chiedi a Teresa se mi
prepara il Cacciucco alla Livornese, quello con due
C.» Si dice che la caratteristica che distingue il
Cacciucco alla Livornese dalle altre zuppe, sta nel
fatto che non è una zuppa ma bensì una pietanza: è un
umido di pesce. «Ok, avviso Teresa, sarà entusiasta»
disse ridendo.
Erano le due del pomeriggio quando si alzarono dal
tavolo. «Complimenti Teresa, perché non vieni a
Milano?»
«Dottore, mi piace la campagna, la città mi fa
paura.» E si allontanò sorridendo.
«Peccato!»
«Ma sei venuto per lavorare o per portarmi via la
“cuoca”?» disse scherzando. «Hai ragione, dove ci
accomodiamo?»
«Andiamo nel bunker.»
Andarono nell’archivio, si sedettero intorno a un
tavolo e Giorgio chiese: «Una domanda Carlos? Il
falsario è affidabile?».
«La falsaria?» Disse.
«Falsaria? Non me l’avevi detto?»
«È succeduta al padre quando è deceduto e posso
affermare che l’allievo ha superato il maestro.»
«Vedo che la conosci bene?» Disse tra il sospettoso
e il divertito.
«La conosco da molti anni, è anche una bella donna»
disse con sufficienza, ma il rossore di imbarazzo
tradiva il suo stato d’animo.
«E come si chiama?» Disse Giorgio divertito.
«Elisabetta?»
«Bel nome? Ora parliamo di lavoro: deve falsificare
alcuni documenti riconducibili al Duce, modificare il
diario del colonnello, nella parte riguardante l’oro e
infine modificare un rapporto dei Repubblicani.»
«E cosa deve scrivere?»
«Questo?» E gli passò una cartella che conteneva i
documenti originali e quello che doveva scrivere.
Una seconda cartella conteneva una cinquantina di
fogli bianchi dell’epoca con l’inchiostro che avrebbe
dovuto usare, il quale aveva la struttura chimica di
quello in uso nel 1945. Non aveva lasciato niente al
caso, non dovevano esserci dubbi sull’autenticità di
quei documenti.
«Hai tutto il necessario per procedere. Una cosa, lo
sapete chi ha ereditato il podere?»
«No?»
«Il senatore Guglielmo?»
«È un bene?»
«Forse abbiamo fatto centro, senza volerlo?» Disse
Giorgio.
«Ok, vado a telefonare a Elisabetta.» Si spostò in
sala Trasmissioni alzò il telefono e fece il numero
telefonico, dopo tre squilli una voce sensuale
rispose: «Sono Elisabetta dell’antiquariato
Triburtino?»
«Ciao, sono Carlos, avrei una cassa panca
dell’ottocento da ristrutturare?»
«Ciao, pensavo che ti fossi dimenticato di me? Non
mi hai neanche chiamato per dirmi cosa era successo
a Rosabella? Mi chiami solo quando ti servo per il
tuo lavoro. Pensavo che contassi di più?»
Restò senza parole, l’aveva sempre considerata solo
un’amica. Non aveva capito che lei nutriva altri
sentimenti nei suoi confronti. «Scusami, sono stato
imperdonabile, ma ho passato mesi terribili e il mio
solo pensiero era fuggire dalla realtà, capisci?»
«Sì, scusami non avrei dovuto dirti queste cose, mi
dispiace per Beatrice, era una brava persona.»
«Niente, avremo tempo di parlarne.»
«Ok, parlami della cassa panca?» La cassa panca era
una parola in codice che usavano quando aveva
bisogno di documenti o altro da falsificare.
«Se sei libera, domani verrei da te con Dimitri per
mostrartela?»
«Domani va benissimo, è il giorno che tengo chiuso
il negozio?»
«A domani.» E chiuse la comunicazione.
«Giorgio, domani possiamo andare a Roma.»
«Tutto a posto?» Disse perplesso.
«Tutto a posto!» fece Carlos.
«Ok, domattina andate all’aeroporto di Lucca
Tassignano, un jet privato vi porterà a destinazione.
Adesso vi lascio, mi aspettano alla villa di Forte dei
Marmi.»
Elisabetta abitava a Roma vicino al centro città, in
via Arco degli Acetari. L’abitazione disposta su due
piani era stata ristrutturata dopo la morte del padre,
al piano terra si trovava il negozio, dove si potevano
ammirare i mobili d’antiquariato, quadri famosi e
libri antichi. Al primo piano l’appartamento dove
abitava, era arredato con mobili antichi e quadri
appesi su tutte le pareti. Nel piano interrato cento
metri quadrati di “laboratorio”, protetto da sistemi di
allarme sofisticatissimi. Per entrarvi si doveva
superare due accessi. Il primo si oltrepassava dopo
il riconoscimento biometrico delle impronte digitali,
per superare il secondo era necessario digitare un
codice che cambiava ogni dieci secondi in sincronia
con la chiavetta che aveva a disposizione. Se non
veniva inserito, le saracinesche d’acciaio sarebbero
scese, bloccando tutte le uscite. L’ultimo ostacolo
era la porta blindata, che dava l’accesso al
laboratorio, si apriva con chiavi brevettate difficili
da duplicare, un vero bunker.
Uno dei sistemi che si potevano usare per la
contraffazione poteva essere il ricalco o quello a
mano libera, ma nessuno di questi supererebbe una
perizia grafica.
Oggi computer e scanner rendono veloce la
contraffazione del documento e per la stampa
venivano usati speciali plotter che variando il flusso
dell’inchiostro simulavano la pressione sulla carta.
Nella tarda mattinata del giorno dopo un taxi si fermò
davanti al civico venti di via Arco degli Acetari,
mentre Dimitri pagava la corsa, Carlos schiacciò il
campanello dell’abitazione di Elisabetta.
«Carlos ben arrivato.» scese le scale a precipizio e
abbracciò Carlos «felice di vederti, mi sei mancato.»
«Anche tu.» disse Carlos, colto impreparato dalla
manifestazione d’affetto.
«Accomodatevi vi preparo un caffè?»
«Vista l’ora direi di fare in questo modo: portiamo i
documenti nel laboratorio, poi usciamo a pranzo e il
pomeriggio lo usiamo per il lavoro, cosa ne dite?»
«Direi che il tuo ragionamento non fa una grinza.
Conosco un’hostaria tipica romana in zona
Trastevere, fanno rigatoni alla paiata, la coda alla
vaccinara, trippa, minestra di broccoli e arzina, c’è
l’imbarazzo della scelta.»
«Cosa aspettiamo?» disse Carlos.
Erano le tre del pomeriggio quando, rientrarono
nell’abitazione. Scesero le scale che portavano al
laboratorio, Elisabetta appoggiò la mano sul
dispositivo per le impronte digitali, inserì il codice e
infine aprì la porta blindata. Si accomodarono nella
sala riunioni. Carlos prese i documenti dalla
cartelletta e spiegò a Elisabetta il lavoro che doveva
fare.
«Accidenti. Cose grosse?» Disse perplessa e
preoccupata.
«Ci sono problemi?» Disse Carlos.
«Se intendi come lavoro di falsificazione,
sicuramente no. Mi preoccupano le implicazioni?»
«Cosa intendi dire?»
«Questi sono gli originali scritti dal Duce? Questi
diari sono stati scritti da un colonnello tedesco? E
questo rapporto è stato scritto da un repubblichino
nel 1945?»
«Sì!» Carlos cominciava a innervosirsi.
«Carlos, ci conosciamo da tempo. State cercando di
modificare la storia. Volete cambiare la parte
riguardante il trasporto dell’oro? Per non parlare del
diario e del rapporto! Lo scopo non lo voglio sapere!
Ho paura di saperlo. Farò il lavoro solo se ti
impegnerai a proteggermi?»
Carlos si rilassò. «Elisabetta non c’era bisogno che
me lo chiedessi? Da questo momento sei sotto la
nostra protezione.»
«Bene, di te mi fido. Domani inizierò il lavoro.»
«D’ora in avanti per metterti in contatto con me,
dovrai usare la linea telefonica collegata
all’apparato che Dimitri oggi ti installerà, non
chiamarmi con altri mezzi.»
«Va bene, quando partite?»
«Stasera alle otto da Fiumicino.»
Era l’una di notte quando entrarono nella villa,
stanchi e affamati. «Dimitri, cosa ne dici, se prima di
andare a dormire, facciamo una visita alla cucina,
magari Teresa avrà pensato a noi?»
«Direi che è una buona idea!» Quando accesero la
luce della cucina, notarono un foglio sulla tavola, era
la scrittura di Teresa. «Se vi conosco bene? Sarete
affamati! Nel forno troverete due branzini, sono già
cotti, scaldate il forno a centoottanta gradi e
infornateli per una decina di minuti. Buon appetito.»
«Grande donna» disse Dimitri, «tu accendi il forno,
io vado a prendere una bottiglia di cartizze.» E si
avviò alla cantina frigo. Alla fine del pranzo Dimitri
si rivolse a Carlos: «Pensi che filerà tutto liscio?».
«Vuoi il mio parere? Quando si spargerà la notizia
che i diari sono autentici e ci sarebbero indicazioni
su dove sarebbe stato trasportato l’oro, avremo un
bel daffare a mantenere in vita le persone che
dovremo proteggere.
***
Mancavano un paio di mesi alla quarta e ultima
votazione. All’esterno di Montecitorio si erano
radunati qualche centinaio di contestatori, appoggiati
da frange violente, che manifestavano la loro
disapprovazione alla variazione della Costituzione.
Gli scontri con le forze dell’ordine diventavano
sempre più violenti, con feriti da entrambe le parti.
La situazione stava degenerando e la contestazione
cominciava a far presa anche su quelli che erano
favorevoli alla modifica. Erano già parecchi
parlamentari che cominciavano a ricredersi sulla
necessità del cambiamento. La situazione stava
prendendo una piega pericolosa, era necessario
spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su altri
argomenti.
Giorgio chiamò in audio conferenza i direttori dei
due giornali, Amedeo e Maurizio e l’amministratore
delegato delle cinque televisioni private dottoressa
Cristina. «Prima che la situazione degli incidenti
davanti a Montecitorio ci sfugga di mano, dovete fare
in modo di spostare l’attenzione su un nuovo
argomento.»
«Non è facile, le televisioni e i giornali non parlano
d’altro?» Disse Amedeo.
«E non saprei quale potrebbe essere l’argomento in
grado di spostare l’attenzione dell’opinione
pubblica?» disse Cristina.
«I diari e l’oro di Mussolini?»
Sorpresa totale, non si sentiva volare una mosca,
«L’oro di Mussolini?» dissero increduli, «ma sono
sessant’anni che lo cercano e nessuno sa dove si
trova? Se poi esiste?»
«Esiste.» Disse Giorgio tra la sorpresa generale.
«Be’, sono argomenti che hanno sempre interessato
gli italiani.»
«Avrei bisogno che uno di voi mi indichi un giovane
giornalista che segua la pista dell’oro?»
«Io ne avrei uno,» disse Maurizio «ha una
venerazione per il Duce, ed è convinto che i diari
prima o poi li troverà?»
«Sì, sono convinto che li troverà?» Non sapevano
cosa pensare, stava scherzano o parlava sul serio?
Giorgio continuò: «Maurizio domani riceverai per
posta una lettera anonima, la devi passare al
Giornalista e dirgli di seguire la pista! A proposito,
come si chiama?».
«Marcello?»
«Ok tienimi informato di come procede» Dopo i
saluti chiuse la comunicazione.
La mattina seguente il fattorino, addetto allo
smistamento della posta in arrivo al giornale, bussò
alla porta del direttore. «Signor direttore, è arrivata
una busta anonima indirizzata a lei?»
«Grazie, lasciala sulla scrivania.» Quando il
fattorino lasciò l’ufficio, tolse il foglio dalla busta e
lesse:« Sono in possesso dei diari scritti dal Duce.
Nella busta troverete una pagina del diario, se volete
il resto, mettete un’inserzione con scritto “il diario è
autentico”. Vi contatterò io.»
Alzò il telefono e fece l’interno di Marcello. «Puoi
venire nel mio ufficio.» Non fece in tempo ad
appendere la cornetta che sentì bussare alla porta.
«Sono Marcello.»
«Entra e siediti.»
«Mi dica signor direttore» Disse mordendosi il
labbro.
«Devo affidarti un’inchiesta, che deve restare
segreta, finché non avremo svolto tutte le indagini.»
Marcello era sempre più nervoso e pensava, «perché
proprio a me? Sono l’ultimo arrivato? Cosa c’è
sotto?»
«Sei con noi?» Disse il direttore vedendolo assente
«Mi scusi.»
«Leggi questa lettera e dimmi cosa ne pensi?»
La lesse e guardò perplesso il foglio del diario, dopo
un attimo prese coraggio. «Signor direttore, se è un
falso è stato imitato alla perfezione! In tutti i casi
devo farlo esaminare da un esperto?»
«Bene, l’indagine è tua. Devi tenermi aggiornato su
tutto, mi hai capito bene, su tutto.»
«Certo signore, grazie,» si alzò raggiante e si chiuse
nel suo ufficio «non ci posso credere, mi hanno
affidato un caso? E su un argomento che mi affascina,
cosa posso volere di più.» Prese la sua agenda
elettronica e cercò il numero del suo professore
all’università di Milano. Perito grafologo, svolgeva
inoltre indagini grafiche e perizie criminalistiche.
«Buongiorno professor Romano, sono Marcello, si
ricorda di me?»
«Certo, se non ricordo male avevi una fissa per i
diari di Mussolini, peccato che quelli che avevi
trovato erano falsi, vero?»
«Sì, è vero ma sono convinto che prima o poi troverò
gli originali.»
«Avevi bisogno di me?»
«Sì, posso venire a trovarla all’università? Avrei da
sottoporle una verifica grafologica su un
documento.»
«Domani pomeriggio sarei libero, ti aspetto dopo le
sedici.»
«Grazie professore a domani.»
Il giorno dopo, puntuale alle sedici, entrò
nell’università. Quanti ricordi… Si era laureato in
psicologia del lavoro per poi passare al giornalismo
frequentando un master. Riconobbe molti dei
professori che tenevano le lezioni quando lui
frequentava, alcuni si ricordavano ancora di lui.
Arrivato davanti all’ufficio del professore, bussò.
«Avanti, la porta è aperta.»
«Buongiorno, le ho portato questo documento per
verificare se è autentico?»
Prese il documento, lo lesse, lo rigirò, passò una
lente di ingrandimento su tutte le righe, soppesò la
carta e la strofinò tra pollice e indice. Posò il
documento sul tavolo, alzò la testa, si tolse gli
occhiali e si mise a fissare Marcello. «Professore,
c’è qualcosa che non va?» Disse preoccupato.
Dopo alcuni secondi di silenzio rispose: «Dove hai
trovato questo documento?».
«Non posso dirvelo.»
«Ci sono altri documenti?»
«Non ne sono sicuro, può darsi.»
«Devo fare altre verifiche prima di darti una risposta
definitiva.»
«Ok, questo è il mio numero di telefono, attendo una
sua chiamata?» Si alzò e uscì dall’ufficio.
Senza perdere un attimo prese il documento e andò in
laboratorio, era ansioso di verificare se era
autentico. Anzitutto verificò se l’inchiostro usato
fosse compatibile con i composti chimici usati in
quegli anni. Anche se il metodo non era preciso, si
riusciva comunque a individuarne il periodo. Passò
poi alla valutazione sulla consistenza della carta. Nel
periodo bellico la cellulosa era difficile da trovare,
si cercò di sopperire a quella mancanza estraendola
da piante annue, come la paglia. L’ultimo esame era
quello più importante. Confrontare la grafia con
quella di un documento scritto dal Duce e custoditi
nell’archivio di Stato. Il giorno dopo si sarebbe fatto
inviare una copia da un suo conoscente dipendente
presso l’archivio. Era notte fonda quando decise che
poteva tornarsene a casa, ripose nella cassaforte il
documento, spense le luci e uscì dall’università.
Erano passati tre giorni e Marcello non aveva ancora
avuto notizie, quando il suo telefono cellulare
squillò. «Marcello sono Romano, ho finito in questo
momento la perizia sul documento?»
Rimase paralizzato, il suo cuore perse un battito. «Mi
dica, non mi tenga in ansia?»
«Ritengo che il documento sia autentico!» Avrebbe
voluto gridare di gioia, ma si trattenne. «Grazie
infinite professore, mi dovrebbe preparare la perizia,
la vengo a ritirare insieme al documento?»
«È già pronta. Ora cosa farai?»
«Non so, devo parlarne al mio direttore?»
Si salutarono e si precipitò nell’ufficio del direttore
entrò senza bussare. «Signore è autentico!»
«Chiudi la porta idiota!» Gli disse.
«Mi scusi, ma non stavo più nella pelle, diventeremo
famosi!»
«Stai calmo e siediti, per prima cosa mettiamo
l’annuncio richiesto e attendiamo la loro chiamata.
Quando avremo il resto dei documenti, vedremo
come comportarci? Adesso ritorna nel tuo ufficio e
non farne parola con nessuno.» Marcello si avviò
verso il suo ufficio sorridendo, vincerò il premio
puzzle, pensava euforico.
Carlos era nella palestra della villa quando ricevette
la chiamata da Giorgio. «Ciao, mi ha appena
contattato Maurizio, tutto sta procedendo come
previsto. A che punto siamo con i documenti da
falsificare?»
«Sono appena arrivati, sono sul mio tavolo.»
«Molto bene, passiamo alla seconda fase. Dimitri
consegnerà i restanti documenti al giornalista.»
Finita la chiamata, chiamò Maurizio al giornale.
«Ciao, partiamo con la seconda fase. Ti arriverà una
valigetta con i soldi, il tuo giornalista deve
consegnarla a Dimitri, che funge da basista, in
cambio dei documenti. Deve trovarsi presso il
cinema multisala di viale Sarca 336, nella sala 10,
poltrona 200, alle ore 15.00 di domani. Una volta in
possesso dei documenti deve farli di nuovo
periziare. Avuta la risposta, facciamo filtrare la
notizia.»
«La valigetta è arrivata in questo momento, chiamo
Marcello per metterlo al corrente.»
Passarono altri dieci giorni prima che il professor
Romano finisse la perizia sui nuovi documenti, la
quale confermava la precedente. I documenti erano
autentici.
Titolone in prima pagina: “TROVATI PARTE DEI
DIARI DEL DUCE. La perizia fatta dal professor
Romano confermerebbe l’autenticità! I diari
conterrebbero informazioni su un carico d’oro
portato alla prefettura di Milano nell’aprile 1945 e
poi sparito misteriosamente”. Il giorno dopo il
quotidiano usciva in edicola con in allegato due
pagine del diario.
Tutte le agenzie mondiali battevano la notizia, i
giornali e le televisioni facevano a gara a pubblicare
e a intervistare eminenti esperti, i quali davano il
loro parere in base a quello pubblicato sul
quotidiano. Alcuni erano scettici, alcuni più
possibilisti, ma tutti per dare un parere chiedevano di
vederli.
Nella sede del quotidiano Marcello era chiuso nel
suo ufficio, lesse per la seconda volta i dieci fogli
scritti dal Duce. Si concentrò sulla parte relativa al
trasporto dell’oro: «La guerra è persa, i tedeschi
sono in fuga e io non voglio lasciare l’Italia come mi
chiedono. Non mi resta che tentare un’ultima
resistenza sulle montagne della Valtellina. Li
dovranno confluire tutti gli uomini rimasti a me
fedeli. Avrò bisogno di armi, munizioni, vettovaglie
e mezzi di trasporto. L’oro in mio possesso mi
consentirà di avere tutto il necessario. Lo farò
portare a Como, e da lì, scortati da due blindati
tedeschi, comandati dal colonnello Bardolf sarà
trasportato a Porlezza e attraverso il lago di Lugano
trasferito in Svizzera. L’oro sarà consegnato a
emissari spagnoli, che provvederanno a farci avere
tutto il necessario. Se riusciamo a resistere fino
all’arrivo degli americani, chiederemo una resa
separata».
Marcello si chiese: «Ma chi è questo colonnello?
Devo approfondire». Aprì il collegamento a Internet
e inserì il nome in un motore di ricerca. Trovò alcune
notizie sulla sua carriera militare: gli americani
l’avevano fatto prigioniero e alla fine della guerra si
era trasferito in Italia.
«Cominciamo le indagini da Como, chissà se in
qualche archivio comunale trovo qualche
informazione?» Era ormai notte, attese l’uscita,
fresca di stampa, di una copia del quotidiano. Il suo
articolo era in prima pagina, lo lesse e rimase
soddisfatto di quello che aveva scritto. Mise i fogli
del diario nella cartella e si avviò all’uscita.
Raggiunto il parcheggio rabbrividì, l’aria era
frizzante, si guardò intorno e si accorse che era
rimasto uno degli ultimi. Con passo veloce si
avvicinò all’auto, schiacciò il telecomando e quando
tentò di aprire la portiera, una voce alle sue spalle lo
gelò. «Metti a terra la borsa e non ti succederà
nulla.»
Non osava girarsi. «Metti a terra la borsa o ti
facciamo un buco in testa» gli intimò uno degli
aggressori. Non sapeva cosa fare? In cuor suo non
voleva lasciare la borsa? Ma quella voce gli faceva
paura. «State calmi, metto a terra la borsa!» Stava
per appoggiarla, quando sentì un trambusto alle sue
spalle, si girò e vide i due uomini incappucciati stesi
per terra svenuti e quattro uomini che gli stavano
intorno, uno di loro disse: «Salga in macchina e vada
a casa!».
«Ma chi siete?»
«I suoi angeli custodi!» disse sorridendo. Salì sulla
macchina e partì, guardando nello specchietto
retrovisore vide che due dei quattro erano saliti su
una macchina e lo stavano seguendo. Prese il
telefonino.
«Pronto, signor direttore, sono scampato a
un’aggressione, due uomini mi volevano portare via
la borsa.»
«Stai bene? Adesso dove sei? Devo chiamare la
Polizia?»
«Non è necessario, quattro uomini mi hanno salvato,
però ora mi seguono, che cosa devo fare?»
«Tranquillo è la tua scorta!»
«Scorta? Vuole dire che sono in pericolo?»
«No, è solo una precauzione, continua la tua
indagine. Buonanotte.»
«Buonanotte? Fa presto Lui, ma nei casini ci sono
io.» Pensò e si avviò verso la sua abitazione.
Negli archivi comunali non trovò nulla di
interessante, decise di andare in biblioteca e
consultare i giornali locali dell’epoca. Iniziò a
cercare partendo da inizio aprile 1945. Sfogliò
centinaia di pagine, ma nulla attinente a quello che
cercava, tutte notizie risapute. Stava per arrendersi,
quando un articolo catturò la sua attenzione:
“Porlezza 23 aprile 1945. Un plotone di militari
tedeschi comandati dal colonnello Bardolf
sequestrava una barca adibita alla pesca. Dopo aver
caricato delle casse di legno, tipo quelle per il
trasporto delle bombe a mano, lasciarono il molo
diretti verso la Svizzera. Ritornò dopo parecchie ore
e la barca fu riconsegnata ai legittimi proprietari. Il
numero delle casse caricate non è stato chiarito, chi
dice che era una sola, altri affermarono che erano
molte di più. Cosa contenessero nessuno lo sa.
Qualcuno dei presenti disse che fecero molta fatica a
sollevarle. Senza dubbio era qualcosa di talmente
prezioso, da rischiare la traversata in pieno giorno.
Si fecero molte ipotesi, ma nulla di concreto”. Fece
una foto dell’articolo e uscì dalla biblioteca.
«Interessante?» Pensò Marcello, mentre si trovava
sull’autostrada Como – Milano diretto alla sua
abitazione. «Molto interessante? Porlezza? Questo
paese devo visitarlo, ci andrò domani.»
***
L’attenzione dei media si era concentrata sul
ritrovamento dei diari e l’ultimo passaggio alle
camere per la modifica della Costituzione passò con
la maggioranza assoluta e le contestazioni non ebbero
l’effetto sperato dai contrari alla riforma. L’Italia
era diventata una Repubblica Presidenziale.
Il Capo dello Stato, preso atto della nuova situazione
creatasi dopo l’ultima votazione, decise che si
dovevano indire nuove elezioni. Sciolse le camere e
diede le dimissioni. Incominciava la campagna
elettorale. Forse la più aspra degli ultimi
quarant’anni.
I candidati che avrebbero potuto avere qualche
possibilità di essere eletti erano due, uno di centro
sinistra e uno di centrodestra.
Per il centrosinistra il candidato ufficiale era il
senatore Guglielmo laureato in economia e da
moltissimi anni in politica. Aveva iniziato subito
dopo la laurea e nei vari governi che si erano
succeduti, aveva ricoperto diversi ruoli di prestigio
come ministro dell’economia e della difesa. Era
arrivato il suo momento, poteva, anzi, doveva,
sconfiggere il candidato della destra.
Da bambino fino a quando si laureò, visse in un
casale poco distante da Porlezza, dove tutta la sua
famiglia nonni e genitori allevavano le mucche e
coltivavano la terra. Dopo la morte del padre, che
era un partigiano, in uno scontro a fuoco con i
repubblicani, il podere fu affittato a uno zio. Dopo la
morte della madre, era stato messo in vendita ed era
lui l’unico erede.
Per il centrodestra fu candidato il Premier uscente
Marco, che i sondaggi lo davano in leggero
vantaggio.
La società segreta era determinata a mettere in campo
tutta la sua potenza economica, usando le loro
televisioni i giornali e le associazioni amiche. Ma
l’asso nella manica, doveva essere ancora calato e
sarebbe stato devastante.
***
Carlos tutto era pronto per l’operazione chiamata
“LA GRANDE BURLA”, i lingotti d’oro furono
messi in casse, usate per il trasporto di bombe a
mano. Erano state acquistate in un negozio che
vendeva reperti della seconda guerra mondiale.
Attendevano solo la conferma da Giorgio.
Marcello chiamò il direttore. «Dopodomani vorrei
andare a Porlezza per fare delle indagini sul
colonnello Bardolf.»
«Buona idea, tienimi informato su quello che
scopri.»
«Dimitri, Giorgio mi ha appena avvisato che il
giornalista si sposterà a Porlezza dopodomani, mi è
venuto un’idea? Chiamo Elisabetta?»,«ciao ho
bisogno del tuo aiuto?»
«Carlos, ma tu mi chiami solo se hai bisogno?»
«Scusami, ma è una cosa di vitale importanza?»
«Dimmi?»
«Un aereo privato sta aspettando a Fiumicino. Ti
porterà all’aeroporto di Tassignano, io sarò ad
attenderti?»
«Ma Carlos?, Senza preavviso? Certo che con te non
ci si annoia mai.»
«Scusami, ma se non fosse importante, non mi sarei
mai permesso di chiedertelo?»
«Carlos lo faccio solo perché… be’, lasciamo
perdere?» silenzio imbarazzato, «grazie, porta con te
solo il minimo necessario».
Aeroporto di Tassignano, primo pomeriggio, Carlos
era in attesa nella sala arrivi. Vedendola provò una
strana oppressione allo stomaco, era felice di poterla
avere vicino. Si salutarono.
Si avviarono verso l’uscita, dov’era ad attenderli
Dimitri.
Saliti sull’auto Elisabetta guardò Carlos con fare
interrogativo, «ora mi vuoi dire cosa è successo di
tanto importante?»
«Be’… è un po’ imbarazzante.»
«Cominciamo male? Devo preoccuparmi?»
«Te lo spiego mentre ti trucchi?»
«A certo che sei un bel cafone.»
«Non fraintendere, sei bellissima, solo che la
truccatrice ti deve trasformare in un’arzilla
vecchietta di novant’anni?»
«E per far questa parte hai scelto me?» disse
ridendo.
Quando uscirono dalla sala trucco era notte fonda,
«ora partiamo per Porlezza potrai riposare in
macchina.» Nel tragitto Carlos ne approfittò per
spiegarle quello che doveva fare e dire, quando
sarebbe arrivato il giornalista a casa Bardolf.
Marcello arrivò a Porlezza in tarda mattinata,
posteggiò l’auto nella piazzetta principale di fronte
alla chiesa, e cominciò a gironzolare per la cittadina
senza una meta precisa. Un negozio nascosto in una
viuzza attirò la sua attenzione. Vendeva vecchie
cianfrusaglie e anche chi lo gestiva, era molto
anziano. Entrò, «buondì, sono un giornalista, vorrei
farle delle domande su un vostro concittadino.»
«Mi dica come si chiama, se lo conosco?»
«Bardolf.»
«Certo che lo conosco! Arrivò dopo la fine della
guerra, mi sembra nel 1946, per un certo periodo si
era stabilito in una pensione, poi all’improvviso, non
si sa come, comprò una villa, un albergo e dei
terreni.»
«Mi scusi perché, non si sa come?»
«I maligni dissero che faticava a pagare la pensione
dove alloggiava, faceva qualche lavoretto qua e là e
poi?»
«E non vi siete chiesti come avesse fatto?»
«Sì, certo, molte illazioni, ma niente prove. Le voci
dicevano di un trasporto, che fece con una barca da
pesca verso la Svizzera, prima della fine della
guerra. Si parlava di oro, ma niente di sicuro.»
«Dove lo posso trovare?»
«Al cimitero! È morto qualche mese fa. Però può
andare a trovare la vedova, la villa si trova di fronte
al bar Stella, sul lungolago.»
Lo ringraziò e si avviò verso il lungo lago, in cerca
della villa del colonnello. Arrivato davanti al bar
guardò l’ora, era quasi mezzogiorno decise di entrare
e ordinò un panino con prosciutto e una birra.
Riguardò l’ora e decise di andare verso la villa,
suonò il campanello e dopo qualche minuto il
cancello si aprì. «Prego» disse la “vedova” Bardolf.
«Come posso aiutarla?»
«Mi chiamo Marcello e sono un giornalista, avrei
bisogno di farle delle domande su suo marito.»
«Per cosa?»
«Per un articolo su fatti avvenuti a Porlezza alla fine
della guerra.»
«Sono anziana i ricordi sono ormai confusi ,
comunque si accomodi.»
«Suo marito era un colonnello tedesco, come mai si
trasferì a Porlezza?»
«Era rimasto solo, aveva perso tutti i familiari sotto i
bombardamenti e Porlezza l’aveva affascinato.»
«In Italia dove aveva combattuto?»
«Non saprei. Della guerra non parlava mai… se
vuole delle informazioni precise, mio marito
scriveva tutta la sua vita su dei diari. Li teneva in
cantina, catalogati anno per anno. Le interessa
vederli?»
«Mi sarebbero di grande aiuto» disse sorridendo.
«Questi sono tutti i suoi diari, se le interessa il
periodo della guerra sono questi.» E indicò gli anni
dal 40 al 45, «mi basterebbe il 45?»
«Senta facciamo così, io domani parto per
l’Argentina, e porterò con me solo quelli del 46, i
miei ricordi sono tutti lì. Li prenda pure.»
«Grazie signora non saprei come ringraziarla?»
«Scriva un buon articolo su mio marito.»
Non ci poteva credere, aveva i diari scritti dal
colonnello Bardolf. Non poteva aspettare, voleva
leggerli subito. Uscito dalla villa entrò nel bar,
chiese un caffè e cominciò a sfogliarli.
Nella villa Bardolf, Carlos e Dimitri si stavano
congratulando con Elisabetta. «La parte della
vecchietta ti si addice. Non ha sospettato nulla» e si
misero a ridere.
«Siete proprio dei cretini. Vado in bagno a togliermi
il trucco, non ne posso più.»
«Dimitri, ora possiamo far trasportare l’oro nella
fattoria, noi aspetteremo qui. Domani accompagnerò
Elisabetta all’aeroporto della Malpensa.»
Marcello cominciò a leggere il diario, che iniziava a
gennaio 1945. Il colonnello annotava ogni giorno
quello che succedeva al fronte e alla fine del
resoconto scriveva le sue riflessioni.
Mise da parte i diari che riguardavano i mesi da
gennaio a fine marzo e si concentrò sul mese di
aprile. Lo lesse velocemente fino al giorno 22, «ecco
ci siamo» disse tra sé.
22 aprile 1945.
Ho ricevuto l’ordine dal generale Borchard di andare a Como
presso il presidio repubblicano e di attendere un convoglio
italiano in arrivo da Milano. Devo scortarlo fino a Porlezza,
finita la missione devo abbandonare il territorio e dirigermi
verso la Germania per unirmi alla IV Armata Panzer.
Riflessioni: sono mesi che siamo in ritirata, dovremmo essere
già in Germania a difendere la nostra Nazione, non capisco
cosa avrà di tanto importante questo convoglio. Da quanto
ho percepito, dovrebbero arrivare cinque camion con un
carico vitale per la sopravvivenza del fascismo. Vedremo di
cosa si tratta. Se non ci saranno problemi, saremo a
destinazione stasera tardi.
Ore 24
Siamo arrivati e ci siamo accampati al centro del presidio, i
camion sono arrivati e sono quattro, ne manca uno.
Ho chiesto al loro comandante cosa contenessero le casse di
legno usate per il trasporto di bombe a mano, mi ha risposto
in modo evasivo. Tutto questo spiegamento di forze per delle
bombe a mano mi sembra ridicolo. Porlezza è quasi sul
confine con la Svizzera, io penso che contengano materiale
prezioso e non penso di sbagliarmi. Adesso vado a riposarmi,
ho il presentimento che domani sarà una giornata pesante.
Giorno 23 aprile 1945
Ore 6
Siamo pronti per partire. Un mezzo non è arrivato, è stato
intercettato dai partigiani e i repubblicani sono tutti morti.
Metterò un blindato in avanguardia e uno in retroguardia,
per precauzione ho fatto installare su ogni camion una
mitragliatrice.
Ore 16
Sono su una barca sequestrata a dei pescatori e ci stiamo
dirigendo al porticciolo di Gandria in Svizzera, è stata una
giornata terribile e che probabilmente ci cambierà la vita. Se
riusciamo a uscirne vivi da questa guerra.
Eravamo arrivati alla periferia di Porlezza senza problemi,
quando all’improvviso siamo stati attaccati dai partigiani.
Erano appostati ai due lati della strada su una collina, il loro
tiro incrociato era micidiale.
Ho fatto disporre i miei blindati a protezione dei camion, i
mitraglieri e gli addetti al mortaio hanno risposto subito al
fuoco, costringendo gli uomini sulla collina a indietreggiare.
Lo scontro a fuoco durò una decina di minuti, poi il silenzio.
Probabilmente la nostra risposta li aveva sorpresi. Lo stallo si
interruppe dopo una mezzora. Dalla collina spuntò una
bandiera bianca e una voce chiese di poter parlare.
Scesero una decina di partigiani, il loro comandante era
molto giovane, ma gli occhi rispecchiavano la determinazione
di un uomo molto più anziano. Erano giovani, ma vecchi
dentro, la guerra è una brutta bestia.
Volevano ispezionare i carri e arrestare i repubblicani, invece
noi potevamo passare. I militari italiani non intendevano
arrendersi e impugnarono le armi. Dalla collina partì un
colpo che colpì al capo uno dei militari e scoppiò il
finimondo. Tutti i repubblicani morirono, insieme a molti
partigiani, noi invece rimanemmo miracolosamente illesi. A
questo punto dissi al comandante: «Siete sotto il tiro dei miei
mitraglieri, ritiratevi e non spareremo». Era un bluff,
potevano sopraffarci, erano il doppio di noi. Il comandante
rispose: «Ispezioniamo i carri e poi ne parliamo». Quando
aprimmo la prima cassa, restammo senza parole, erano piene
di lingotti d’oro.
Nessuno parlò, ci guardammo senza sapere cosa fare, dissi:
«Io una soluzione l’avrei, senza che nessuno si faccia male».
Il comandante mi guardò perplesso e avvicinò il dito al
grilletto, «non faccia sciocchezze, sarebbe morto prima di
premerlo! Noi prenderemo alcune casse e ce ne andremo per la
nostra strada.» Ci pensò un attimo, guardò i lingotti. «Devo
consultarmi?»
Passò una mezzora poi ritornò. «Ok, prendete alcune casse e
andatevene!»
Caricammo le casse sui blindati e ci dirigemmo al porto di
Porlezza. Sequestrammo una barca con l’intenzione di
trasportare l’oro in Svizzera e depositarlo in una banca.
Questo è il mio ultimo scritto, lascerò i diari insieme all’oro,
spero che un giorno possa ritornare a riprenderli.
Accidenti, imprecò Marcello, fino al 1946 non è
tornato e quei diari sono ormai in Argentina. L’oro
preso dal colonnello, penso di sapere dove è finito,
ma tutto il resto? Non è mai stato ritrovato! Devo
scoprire cosa è successo alla pattuglia partigiana.
Domani, ritorno a Como e vado all’Archivio di
Stato.
Era eccitato all’idea di essere a un passo dallo
scoprire dove si trovava l’oro, voleva arrivare prima
possibile a Como. Alle otto di mattina era sulla
strada provinciale 14, quando vide dallo specchietto
retrovisore un’auto che gli stava lampeggiando.
«Saranno le mie guardie del corpo» pensò, «che
vorranno? Mi conviene accostare?» Stranamente non
c’era traffico, di solito era una coda unica, meglio
così. Vide uno spiazzo, mise la freccia e parcheggiò.
La macchina che lo seguiva si fermò dietro la sua.
L’uomo alla destra del guidatore scese e si avvicinò
alla macchina. Marcello abbassò il finestrino. «Ci
sono problemi?»
«Prenda la borsa. Lasci il cellulare e le chiavi sul
sedile e ci segua senza fare storie!» Restò interdetto,
ma quando vide che l’uomo spostò la giacca
facendogli notare la pistola, ebbe paura.
«Ok, prendo la borsa e scendo, ma dove mi portate?»
L’altro non rispose e in malo modo lo spinse verso
l’auto in attesa, gli mise un cappuccio sulla testa e
partirono a gran velocità.
Dimitri e Carlos stavano sovraintendendo i lavori
per il trasporto dell’oro alla fattoria, erano quasi al
termine, tutte le casse erano all’interno del locale
interrato, quando il telefono di Dimitri squillò.
«Abbiamo perso il giornalista.»
«Cosa?»
«Siamo rimasti imbottigliati in un incidente e quando
siamo potuti ripartire, era sparito.»
«Cosa vuol dire sparito?»
«La macchina era parcheggiata in uno spiazzo, ma lui
non c’era, le chiavi e il cellulare erano sul sedile.
Penso che sia stato rapito.»
«Avete perquisito la macchina?»
«Sì, e abbiamo trovato i diari sotto il sedile?»
«È quello che cercavano, ritorneranno. Qui abbiamo
quasi finito, mezzora e siamo da voi!»
«Cos’è successo?» chiese Carlos, «hanno rapito
Marcello.»
«Accidenti, questa non ci voleva?» Per sorvegliare il
casale rimasero quattro uomini in un camper pronti
ad intervenire in caso di bisogno.
***
La campagna elettorale era in pieno svolgimento i
due candidati per conquistare la fiducia degli
elettori, partecipavano a trasmissioni televisive,
svolgevano comizi e gli attivisti in tutte le piazze
italiane, distribuivano i volantini con il programma
del proprio candidato.
Tutte le televisioni si contendevano la partecipazione
dei due leader a un dibattito, riuscì ad avere la
meglio una delle televisioni private della dottoressa
Cristina.
L’attesa per l’incontro era spasmodica, i due
contendenti sapevano che sarebbero dovuti essere
convincenti. Fare degli errori a pochi giorni dalle
elezioni poteva essere fatale.
La sera della trasmissione era arrivata, milioni di
spettatori erano incollati davanti al televisore. Le
domande ai due contendenti erano le stesse: i
maggiori poteri dati al capo dello stato potevano
portare verso una dittatura. Come s’intendeva
rimettere in moto l’economia. Era possibile una
diminuzione delle tasse. I rapporti con l’Europa
sarebbero cambiati.
Per quanto riguarda i maggiori poteri tutt’e due
risposero che c’erano dei contrappesi, i quali
avrebbero evitato questa possibilità, per le altre
domande ognuno rispose secondo i loro indirizzi
politici.
Nessuno dei due contendenti prevalse, erano in
sostanziale parità. Il conduttore fece l’ultima
domanda: «Parliamo di un argomento che in questi
mesi appassiona gli italiani “l’oro di Mussolini”,
indiscrezioni dicono che per il ritrovamento è solo
questione di giorni. Si pensa che il valore sfiori il
centinaio di milioni di euro.»
Risponde per primo il candidato del centro destra,
Marco. «Se l’oro esiste e da indiscrezioni
sembrerebbe di sì, sarebbe stato sequestrato da
“combattenti italiani” e nascosto senza restituirlo al
popolo italiano.»
La risposta del candidato del centro sinistra
Guglielmo fu violenta. «Siete voi fascisti che lo
avete rubato agli italiani e vi siete arricchiti alle
spalle del popolo, che moriva di fame. Sono sicuro
che nessuno dei partigiani che ha lottato per la
libertà, abbia voluto arricchirsi con quell’oro. Tutte
queste notizie sono false, costruite ad arte per sviare
i veri problemi del paese.»
Marco ripose con pacatezza. «Che sia vero o no lo
sapremo presto. Le faccio una proposta? Se fosse
ritrovato prima delle elezioni ci potremmo ritrovare
qui e riparlarne?»
«Con molto piacere» disse Guglielmo.
***
Giorgio chiamò Carlos. «Cosa diavolo è successo al
giornalista? Siamo in un momento delicato della
campagna elettorale, se non trova l’oro e non
pubblica il diario del colonnello, rischiamo di
perdere le elezioni.»
«Siamo sul posto, sono convinto che ritorneranno a
cercare i diari.»
«Lo spero, tenetemi informato.»
Erano nello spiazzo dov’era parcheggiata l’auto.
Stavano valutando il da farsi. Decisero che loro due
si sarebbero appostati nel boschetto, che costeggiava
il parcheggio e gli altri, con le auto, si sarebbero
spostati più avanti restando tutti in collegamento
radio.
Passavano le ore ma nessuno si era avvicinato
all’auto, cominciarono a preoccuparsi. «Dimitri, e se
qualcosa è andato storto, nel corso del rapimento?»
«È una possibilità. Potremmo far intervenire i nostri
amici dei servizi?»
«Sarebbe l’ultima possibilità!»
«Aspetta. Guarda, quell’auto ha rallentato?» Il suv
con due uomini a bordo passò davanti allo spiazzo a
passo d’uomo, per poi accelerare. «Ci siamo.
Tenetevi tutti pronti!» Dopo qualche minuto l’auto
rispuntò in senso inverso, rallentò di nuovo e
proseguì senza fermarsi per qualche centinaio di
metri. Frenò all’improvviso e fece inversione, mise
la freccia ed entrò nel parcheggio, fermandosi a
fianco dell’auto del giornalista. I due uomini si
guardarono intorno, poi uno di loro scese si avvicinò
e aprì la portiera. Mise la mano sotto il sedile in
cerca dei diari. «Cerchi questi?» disse Carlos.
L’uomo tentò una reazione ma l’arma puntata alla
testa gli fece cambiare idea. «Metti le mani sopra la
macchina e allarga le gambe!»
Anche l’altro uomo era stato neutralizzato da Dimitri.
Dopo averli perquisiti, sequestrate le armi e i
cellulari, guardarono i documenti. «Fate parte dei
servizi Vaticani? Chi vi ha incaricato di rapire il
giornalista?»
«Non vi diremo nulla!»
«Risposta sbagliata?» Un calcio sul ginocchio lo
fece cadere a terra dolorante, un altro calcio nello
stomaco gli tolse il respiro. Il secondo disse: «Basta,
vi diremo quello che volete sapere?».
«Così va bene. Adesso saliremo sulla vostra auto e
ci porterete, dove tenete rinchiuso il giornalista.»
Ripercorsero tutta la statale 14 fino a Porlezza, per
poi deviare sulla statale 340 fino al lago Di Piano. A
questo punto svoltarono in una strada sterrata fino a
una villetta isolata.
«Niente scherzi, capito! Non ci metterei un attimo a
spararvi!» Annuirono con la testa. Arrivati davanti
alla villa, suonarono due volte il clacson e
lampeggiarono per tre volte. Era il segnale convenuto
e il cancello si aprì. «Quanti uomini ci sono in
casa?»
«Due!»
«Chiamateli con una scusa!» Scese dalla macchina e
gridò: «Venite ad aiutarmi Simon non sta bene». La
porta di ingresso della villa si aprì e uscirono due
uomini armati. «Cos’è successo a Simon?»
«Non sta bene, ha bisogno d’aiuto?» Si avvicinarono
con cautela guardando a destra e a sinistra, «non mi
piace, tu ritorna dentro!» Appena si girò per tornare
nella villa Carlos aprì la portiera e sparò colpendolo
alle gambe, Dimitri fece lo stesso e colpì il secondo
alla spalla. «Non costringeteci a sparare di nuovo.
Buttate le armi per terra e tenete le mani bene in
vista!»
Portarono tutti nella villa, tamponarono alla meglio
le ferite e liberarono Marcello.
«Giorgio, Marcello è libero, i rapitori sono feriti ma
non gravi. Fanno parte della guardia Papale.»
«Complimenti. Sono fiero di voi. Ditemi dove vi
trovate e lasciate le guardie dove sono, ci penso io.»
Un paio di giorni dopo su tutte le prime pagine dei
quotidiani comparve un articolo: “Due fatti scuotono
il Vaticano. Il Pontefice pensiona il cardinale
Stefano, responsabile della banca Vaticana. Due
ufficiali della sicurezza sono rimasti gravemente
feriti in uno scontro a fuoco. Le due cose sono legate
fra loro?”.
***
Marcello stava pensando di abbandonare la ricerca,
tanto fu il terrore che aveva provato quando fu rapito.
Ma il suo direttore riuscì a fargli cambiare idea,
assicurandogli che sarebbe stato scortato giorno e
notte. E il desiderio di portare a termine il compito,
che gli avevano affidato, ebbe in sopravvento sulla
paura.
L’archivio di Stato si trovava in via Briantea 24 a
Como, alla signorina della segreteria disse: «Sono un
giornalista, mi interesserebbero, per una mia ricerca,
i rapporti delle azioni militari nell’aprile 1945 delle
forze repubblicane, nella provincia di Como»
«Mi compili la domanda e domani li avrà a
disposizione.»
Uscì soddisfatto, in strada erano ad attenderlo i suoi
angeli custodi. «Dove la portiamo signore?»
«In ufficio, grazie.»
Prima, dell’andata in stampa del quotidiano, riuscì a
preparare il suo articolo “Tedeschi e Partigiani
concordarono la spartizione dell’oro? Da quanto
scrisse sul diario, il colonnello Bardolf,
sembrerebbe di sì “.
Il centro sinistra entrò in fibrillazione. «È un
vergognoso attacco di stampo fascista, vogliono
screditare il nostro candidato. Ma non ci
riusciranno!» Insorsero le associazioni partigiane.
«Invenzioni vergognose.» E invocarono l’intervento
del Capo dello Stato. Il candidato Guglielmo disse
che era un attacco inaudito alla sua persona e alla
memoria di suo padre morto per la libertà.
Giorgio era soddisfatto, tutto procedeva come aveva
previsto, mancava l’ultimo tassello.
Marcello dopo ore di lettura gli era venuto un gran
mal di testa e non aveva trovato nulla di interessante.
Svogliatamente , sbadigliando , lesse l’ennesimo
documento :” Il 24 aprile 1945 è stato effettuato un
rastrellamento nelle campagne intorno a Porlezza”.
Si scosse.«Forse ci siamo?» pensò, e continuò a
leggere: “ Alla ricerca dei banditi che si erano resi
colpevoli dell’assassinio di otto camerati. Furono
intercettati nelle vicinanze del paese di Corrido e
nello scontro a fuoco tutti i partigiani rimasero uccisi
. Il loro comandante si chiamava Giordano figlio di
Ernesto proprietario di un’azienda agricola”.
Marcello analizzava mentalmente tutte le
informazioni che aveva trovato: «Il giorno 23 aprile
il convoglio viene attaccato. Dividono l’oro, i
tedeschi lo portano in Svizzera e i partigiani lo
nascondono da qualche parte. Pensando di
riprenderlo più avanti. Poi furono uccisi tutti e l’oro
rimase nascosto per tutti questi anni. Ma, dove
l’avranno nascosto? Se intendevano tenerselo,
avrebbero dovuto trovare un posto sicuro e vicino? E
se fosse nascosto in qualche fattoria vicino a
Corrido? Il comandante partigiano era il figlio del
proprietario di un casale? Vado in comune, vediamo
dove si trova e chi è adesso il proprietario?»
Quando uscì dal comune con l’informazione che
cercava, era sbalordito. Il casale si trova a Corrido e
l’erede universale era il senatore Guglielmo,
candidato alla poltrona di presidente.
Rientrato in ufficio, andò dal direttore e gli fece il
resoconto dettagliato di tutto quello che aveva
scoperto.
«Marcello tu fai l’articolo su quello che hai scoperto
e alla fine esprimi le tue opinioni, tra le quali, anche
quella che l’oro potrebbe essere nascosto nel casale,
senza nominare il Senatore.»
Il giornalista era appena uscito dall’ufficio che il
direttore chiamò Giorgio. «Domani uscirà l’articolo
e penso che intorno al casale ci saranno moltissimi
giornalisti e curiosi?»
«Tra qualche ora avverti le autorità, che domani
potrebbero esserci problemi di ordine pubblico, io
avverto Carlos. Avete fatto un ottimo lavoro.»
«Carlos dovete spostarvi dal casale, tra qualche ora
arriverà la polizia.»
Le insinuazioni scritte nell’articolo avevano colpito
nel segno. La polizia aveva bloccato l’ingresso, ma il
casale era vasto e la ricchezza sembrava a portata di
mano. Avranno pensato le centinaia di persone che
stavano affluendo verso la fattoria. La polizia non
poteva fermarli, uomini e donne sciamavano
all’interno intrufolandosi da ogni parte. Regnava il
caos, fu necessario chiamare i rinforzi. Dopo un’ora
un centinaio di poliziotti in tenuta anti-sommossa
entrarono nel casale e riportarono l’ordine. Sotto
scorta arrivò il senatore che davanti ai giornalisti
disse: «Chi ha scritto l’articolo dovrebbe essere
radiato dall’albo, certi attacchi a un avversario
politico, ed è questo che si tratta, è scandaloso. Nel
mio casale non è nascosto niente e le forze
dell’ordine lo proveranno». Rivolgendosi al
comandante della polizia disse: «Procedete alla
ricerca!»
La prima giornata passò senza nessun ritrovamento,
non volevano lasciare nulla di intentato, ogni dubbio
andava fugato. Decisero di usare il Georadar, noto
anche come GPR – ground penetrating radar – è una
metodologia non invasiva usata in geofisica nello
studio del primo sottosuolo.
Per tutta la notte il cascinale fu tenuto sotto stretta
sorveglianza dalle forze dell’ordine. Erano rimasti i
giornalisti, i camper delle televisioni e alcune decine
di irriducibili.
All’alba arrivarono i tecnici con il GPR e iniziarono
subito ad analizzare il terreno, incominciando dalle
cantine della casa colonica. Era una giornata calda e
la folla all’esterno continuava ad aumentare. Dovette
intervenire la Protezione Civile che oltre a
distribuire bottiglie d’acqua, installò una tenda di
primo soccorso, per prestare aiuto medico a chi ne
aveva bisogno.
Il GPR nelle cantine non rivelò nulla di anormale. Si
passò alle stalle, ma anche lì non trovarono nulla.
Era arrivata la sera con un nulla di fatto, mancava
solo il fienile. I giornalisti presenti, si sbizzarrivano
scrivendo i loro articoli per il giorno dopo. Il titoli
mettevano in dubbio le affermazioni del giornalista
Marcello, alcuni dicevano che era un buffone, altri
che era un mitomane e che si era inventato tutto. Lo
stesso senatore che non si era mosso dal casale,
rilasciò un’intervista di fuoco, dicendo che era tutta
una macchinazione dei suoi avversari politici, per
metterlo in difficoltà, in quanto, i sondaggi lo davano
in vantaggio.
La notte passò relativamente tranquilla e alle prime
luci del mattino si riprese il lavoro con il georadar,
partendo dal fienile.
Lo studio del sottosuolo proseguì senza risultati,
mancavano da controllare qualche decina di metri
quadrati, quando la macchina smise di funzionare.
Per far arrivare una nuova macchina ci sarebbero
voluti almeno due giorni il Senatore era propenso a
sospendere tutto mentre il suo staff riteneva che non
dovessero rimanere dubbi, decisero di continuare.
In tarda mattinata del terzo giorno arrivò il nuovo
apparecchio, non si perse tempo, fu preparato e
portato nel fienile per controllare gli ultimi metri
quadrati di pavimento.
Dopo alcuni metri l’operatore si bloccò e gridò:
«Qui sotto è vuoto». La confusione fu incredibile,
tutti correvano a vedere. Dovettero intervenire le
forze dell’ordine per ripristinare la calma. «Questa
sembra una botola, ma non vedo aperture, chiamate il
senatore?»
«Senatore, sapete come aprirla?»
«Non sapevo neanche che esistesse?»
« Non perdiamo tempo, fate portare dei martelli
pneumatici!» Dopo un’ora la botola era pronta per
essere sollevata. Non si sentiva volare una mosca,
tutti trattenevano il respiro.
«Allontanatevi, portatemi delle torce presto.»Disse il
comandante.
Quando illuminarono il locale videro delle casse
usate per il trasposto delle bombe a mano e la
rastrelliera con i fucili e le pistole. «Accidenti,
sembrano casse per bombe a mano e ci sono anche
armi, bisogna far intervenire gli artificieri. Fate
allontanare tutti e transennate l’aerea.»
Tutte le televisioni bloccarono i loro programmi per
mandare in onda le edizioni speciali. “Sembra che
abbiano trovato un rifugio sotterraneo pieno di casse
usate per il trasporto di bombe a mano e molte armi.
Siamo in attesa che gli artificieri le aprano.”
Il senatore rimase chiuso in casa, non voleva ancora
rilasciare interviste. «Manca poco alle votazioni e
guarda che casino?» disse ai suoi collaboratori, «se
sono solo armi, non penso che possa danneggiarci,
anzi potrebbe avvantaggiarci, vi pare?»
«E se non ci fossero solo armi?»
«Sarebbe drammatico.»
Marcello, che fino a quel momento era rimasto in
ufficio a Milano, appresa la notizia si precipitò a
Porlezza, poteva essere il suo momento di gloria.
Gli artificieri si avvicinarono alle casse e con tutte le
precauzioni del caso aprirono la prima. «Questa è
piena di bombe a mano, ora apriamo la seconda»
silenzio, «cosa succede? Cos’avete trovato?» dissero
allarmati i militari in attesa. «Non ci crederete mai.»
«Accidenti. Volete dirci cos’avete trovato?»
«Le casse sono piene di lingotti d’oro.»
La notizia si sparse subito. Tutti cercavano di
collegarsi con le loro sedi. «Sembrerebbe che l’oro
ci sia davvero, ci sono moltissime casse piene zeppe
di lingotti!»
Tutti si precipitarono verso Marcello per
intervistarlo, era il suo momento di gloria. Il grande
bluff aveva avuto successo.
L’oro recuperato aveva un valore vicino ai
settantadue milioni di euro, una cifra enorme, che
lasciò sbalordito il mondo intero.
Le televisioni trasmettevano in diretta le immagini
dei blindati che uscivano dalla fattoria, diretti alla
Banca d’Italia, scortati da un imponente servizio di
scorta.
A pochi giorni dalle consultazioni i due contendenti
si ritrovavano a faccia a faccia davanti alle
telecamere, come avevano concordato qualche
settimana prima.
Il conduttore prima di fare la domanda mandò in
onda un riassunto dei fatti che erano accaduti nei
giorni precedenti.
Una volta terminato il filmato disse: «Senatore, nei
diari del colonnello Bardolf, pubblicati dal
giornalista Marcello, si affermava che l’oro fu diviso
tra tedeschi e partigiani. I quali lo nascosero senza
consegnarlo. Qual è la sua opinione?».
«È una domanda a cui non sono in grado di
rispondere, bisognerebbe chiederlo a loro. Peccato
che siano stati uccisi, per la libertà del nostro
Paese.»
«Quello che dice è vero! Ma lo scontro a fuoco con i
Repubblicani avvenne il giorno prima, avevano tutto
il tempo per inviare una staffetta a Milano? Non
crede?» Si sentiva in trappola, tentò l’ultima carta.
«Questa è tutta una messinscena, organizzata dalla
destra fascista, è tutto un falso.» Il conduttore lo
incalzava: «Forse i diari saranno anche falsi, ma
l’oro era vero?».
Stavolta non rispose.
Il conduttore lasciò passare alcuni secondi prima di
fare la domanda al secondo candidato. «Dottor
Marco, lei a che conclusioni è arrivato riguardo a
questa faccenda?»
«Che anche il più puro degli uomini, davanti a una
montagna d’oro, può prendere la decisione sbagliata.
Posso però dire una cosa, l’oro era degli italiani e a
loro ritornerà.»
Nei dibattiti televisivi non si parlava d’altro, si
analizzava e si scavava a fondo e qualche
incongruenza cominciava ad affiorare, ma era troppo
tardi, le elezioni erano tra due giorni e non era più
possibile cambiare le cose.
L’affluenza alle urne superò ogni aspettativa, erano
almeno vent’anni che non si superava l’ottanta per
cento.
Lunedì pomeriggio incominciò lo spoglio delle
schede. Gli exit poll davano in leggero vantaggio il
candidato della destra. I commentatori, nei loro
dibattiti televisivi, si sbizzarrivano sulle previsioni,
ma i risultati dal Viminale che man mano affluivano
davano un vantaggio clamoroso del candidato del
centro destra. A tarda sera, dalla sede del centro
sinistra Guglielmo ammise davanti ai suoi sostenitori
la sconfitta.
Quando ci fu la certezza matematica della vittoria, il
nuovo presidente si presentò davanti ai suoi
sostenitori.
La sala non bastava per contenere tutte le persone
intervenute, per festeggiare una vittoria storica. Un
boato lo accolse quando si presentò sul palco, scene
di giubilo, centinaia di bandiere sventolavano e molti
piangevano di gioia. Era raggiante, stringeva mani,
abbracciava i suoi collaboratori più stretti. La folla
lo stava soffocando con il suo entusiasmo e la scorta
si trovò in difficoltà, decise di fare un breve
discorso. «È stata una grande vittoria, la vostra
vittoria,» boato di entusiasmo «amici, da domani
incomincia una nuova era per l’Italia, diventeremo la
nazione che trascinerà l’Europa e non viceversa.»
Continuò per una mezzora e si congedò, era atteso
per la conferenza stampa. Erano presenti giornalisti
provenienti da tutto il mondo e la prima domanda che
gli rivolsero fu: «Signor presidente, cosa ne sarà
dell’oro?»
«Sarà gestito da una fondazione, che ogni anno darà
la possibilità ai migliori laureati di entrare nella
ricerca. Non ci faremo più sfuggire i nostri migliori
cervelli.»
«I vostri avversari affermano che avete ingannato il
popolo.»
«Loro lo hanno ingannato. Il popolo stava perdendo
la speranza e se non vedeva più nello Stato un
interlocutore in grado di soddisfare le esigenze
primarie, si sarebbe corso il rischio di una “deriva
autoritaria”. Io dico che il potere sugli altri si
giustifica solo se sono soddisfatti gli interessi della
collettività a cui apparteniamo e non il proprio
tornaconto personale. Ed è quello che faremo.»
«Si dice che l’oro fascista era nella vostra
disponibilità.»
«Provocazioni, l’unica cosa che posso dire riguardo
al fascismo è che non ritornerà più e non sono più
necessarie le leggi che ne vietano la ricostruzione
come la legge Scelba, ogni individuo ha il diritto alla
libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto
di non essere molestato per la propria opinione e
quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni
e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a
frontiere.»
Per un minuto nessuno proferì parola, tutti si
guardarono attoniti. Era cominciato un nuovo
ventennio?
Mentre nella sede di Milano del partito “La Nuova
Italia” si continuava a festeggiare la vittoria
elettorale, Giorgio era in riunione con Carlos nella
sua villa a Forte dei Marmi. «Carlos, l’obiettivo è
stato raggiunto governeremo per molti anni e daremo
al nostro popolo lavoro e serenità, il futuro è nostro ,
il sacrificio dei nostri genitori non è stato vano.»
Continuò, «Hai fatto un ottimo lavoro e non ne
dubitavo, sei il migliore!»
«Ti ringrazio. Ora mi posso prendere una vacanza.»
«Te la sei meritata, ma ho ancora bisogno di te.»
«Dimmi?»
«Ho bisogno che tu vada in Argentina.»
«In Argentina?»
«Sì, al tuo rientro ti spiego tutto. Buone vacanze. A
proposito, vai solo?»
«Non proprio. Mi accompagna Elisabetta» disse
arrossendo.
EPILOGO
Il potere trova la propria legittimazione nel consenso
del popolo. Ma se il consenso è influenzato dalla
potenza economica, che può condizionare il giudizio
degli elettori, si può considerare un colpo di Stato? E
se questo potere venisse usato per il bene del
popolo, si può ancora considerare un colpo di Stato?
Ognuno di voi che avrà la fortuna di leggere questo
romanzo, potrà esprimere la propria opinione sul
sito:www.cvslibrionline.it
NOTE DELL’AUTORE
Questo libro è un’opera di fantasia.
Personaggi, luoghi, Società, marchi e
azioni descritti e citati sono
invenzioni dell’autore seppure
inserite in un contesto storico e
documentale ben preciso e hanno il
solo scopo di conferire un’aura di
veridicità alla narrazione.
Il mutuo sociale è stato ideato dal partito “LA
DESTRA” e modificato in alcune parti per esigenze
di romanzo www.ladestra.com (1)