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Land grabbing
La terra rubata
“Sono ottimista: un giorno la terra servirà a concimare un pianeta lontano". (Altan)
Introduzione. Nella traduzione italiana land grabbing significa “accaparramento di terre”; si potrebbe
anche parlare di “rapina di terre” (suoli agricoli ed acqua) e di territori (sistemi sociali ed ambientali). Il
fenomeno riguarda una forma di speculazione che, dal 2007, interessa i capitali finanziari europei,
americani ed arabi e le multinazionali dell’agro-business, i quali si assicurano concessioni o contratti
d’affitto pluridecennali su grandi estensioni di terra fertile in Africa, America latina ed Asia. In questi
terreni si producono cibo o materie prime (tra cui anche legname, minerali, agrocarburanti) da esportare
per alimentare i mercati ricchi. A farne le spese è il mondo agricolo dei Paesi più deboli. Qui chi lavora la
terra detiene diritti consuetudinari che non sono, però, riconosciuti dalla legislazione degli Stati nazionali,
nei quali a volte un catasto dei terreni nemmeno esiste; non possedendo titoli di proprietà sulla terra,
queste persone sono facilmente espropriate con conseguente esclusione dalla produzione e dall’accesso
al cibo.
Pronti… via: la corsa alla terra. Il land grabbing è
diventato un fenomeno planetario, forse il più
globale. Negli ultimi anni sono stati oggetto di
negoziazione per cessioni o affitti circa 200 milioni
di ettari di terreni agricoli per un periodo da 40 a
99 anni.
Dalla speculazione edilizia al land grabbing
2010-2012: Anche l’Europa a caccia di terre. Non
disponendo di sufficienti superfici agricole per
soddisfare la domanda interna di agro
combustibili, l’Unione Europea sta cercando
terreni al di fuori dei suoi confini: sono già stati
acquisiti o richiesti almeno 5 milioni di ettari. Solo
per raggiungere l’obiettivo europeo del 10% di
carburanti proveniente da fonti rinnovabili (in
prevalenza agrocarburanti), la Banca mondiale ha
preventivato che saranno necessari 17,5 milioni di
ettari di terra. Oltre alla conversione dei terreni e
all’espansione delle superfici agricole, l’aumento
della domanda di agrocarburante sarà anche causa
dell’incremento del livello delle emissioni di CO2.
La destinazione preferita delle aziende europee (e
statunitensi) è l’Africa: vaste superfici fertili a
prezzi vantaggiosi. I casi di land grabbing in Kenya
(Dakatcha) e Senegal (Fanaye) sono ben noti, da
un lato perché interessano l’Italia (terzo
produttore di biodisel in Europa) e dall’altro per
le reazioni che hanno generato a livello di territori
locali. La lista è lunga: Mali, Etiopia, Mozambico,
Madagascar, Sudan, Tanzania sono solo i casi
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Le banche prestano soldi (mutui) per
acquistare case (e guadagnano con gli
interessi che ricavano).
Il numero delle persone che può acquistare
una casa, restituendo i soldi avuti dalla
banca, però si esaurisce.
Stati Uniti: le banche iniziano a fare mutui
anche ai poveri (mutui subprime), ad
esempio agli immigrati messicani privi di un
lavoro stabile, ponendo una condizione: se il
debito non fosse stato ripagato, la banca
sarebbe diventata proprietaria della casa.
L’affare era molto vantaggioso per le banche
statunitensi perché le case raddoppiavano il
loro valore in pochi anni.
Tra il 2006 e il 2007 il gioco si rompe: il
prezzo delle case è ormai troppo alto. Non si
trovano più nuovi acquirenti, il prezzo allora
inizia a calare vertiginosamente. Le case con
cui le banche avrebbero dovuto rifarsi dei
soldi prestati a chi non poteva più restituirli
perdono il loro valore.
Molte banche statunitensi vanno in crisi e
falliscono.
Essendo ormai in crisi il mercato
immobiliare, gli investitori cercano altre
fonti di guadagno. Inizia il land grabbing su
scala planetaria.
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africani più citati dai media. Poi c’è l’Asia (Thailandia, Filippine, Indonesia, Cambogia, Pakistan) che attrae i
capitali sauditi. Gli sceicchi del Golfo usano il petrolio per assicurarsi l’accesso al cibo e alla terra agricola
(prevalentemente per coltivare riso, ma anche palma da olio). Ed infine il Sudamerica. Qui, oltre ai capitali
stranieri, ci sono anche i brasiliani che comprano. Si coltiva soia destinata alla produzione di mangime e
olio. Mato Grosso do Sul e Mato Grosso (Brasile), Paraguay, parte della Bolivia e Argentina orientale
costituiscono la “repubblica unita della soia”, una gigantesca oligarchia retta da “cinque sorelle” (cinque
multinazionali): Cargill, Archer Daniels Midland (ADM), Bunge, Louis Dreyfus, Avipal.
Alcuni esempi di land grabbing in Africa
•
Kenya (Dakatcha, foresta situata nell’area costiera a nord di Malindi): Nella foresta Dakatcha,
un’azienda italiana ha cercato di prendere in affitto 50.000 ettari di terra per la produzione di jatropha
il cui olio è utilizzato per produrre carburante. Le comunità locali hanno denunciato che il processo di
acquisizione è avvenuto senza il loro consenso. L’area in questione è abitata da circa ventimila persone
appartenenti alle minoranze Watha e Giriama. È l’habitat naturale di molte specie di uccelli rari e in via
d'estinzione. Il progetto agricolo non solo esproprierebbe le popolazioni locali dalle loro terre, ma
distruggerebbe anche molteplici luoghi sacri (ad es. cimiteri). Anche la zona umida del delta del Tana è
minacciata da numerosi progetti, tra i quali quello di una compagnia canadese, che prevede la
coltivazione di 10.000 ettari di jatropha.
•
Senegal (Comunità rurale di Fanaye, Dipartimento di Podor, Regione di Saint Louis): Nel giugno 2011
un’altra azienda in cui sono investiti anche capitali italiani ottiene la cessione di 300 ettari per avviare la
produzione di patata dolce e girasole da destinare al mercato alimentare e l’affitto di circa 20.000 ettari
(25.000 CFA all'ettaro, ovvero circa 38 euro) per produrre agrocarburanti (coltivazione di jatropha)..
Questi 20.000 ettari sono di fatto sottratti alla popolazione che viene privata di suoli coltivabili, aree di
pascolo, foreste e zone umide. A Fanaye è nato un movimento per la difesa della terra. La comunità
rurale si è mobilitata e sollevata per difendere (anche con la forza) la propria terra, il proprio sviluppo, la
propria sovranità alimentare. La lunga e accesa mobilitazione è degenerata, il 26 ottobre 2011, in uno
scontro tra oppositori e sostenitori del progetto, per qualcuno dagli esiti tragici. In seguito alle proteste,
il governo senegalese ha prima “sospeso” il progetto.
•
Mali. Il Delta interno del Niger (Regione di Ségou) ha ospitato uno dei più grandi regni dell’Africa
occidentale, l’impero peul del Macina (fondato nel XIX secolo). Oggi è una delle più grandi regioni
coltivate a riso del Paese. L’Office du Niger è l’ente che qui controlla circa 1 milione di ettari coltivabili:
la superficie agricola utilizzata è circa 80.000 ettari che il governo vorrebbe estendere per fare del Mali
un Paese esportatore di riso. Dietro all’iniziativa c’è l’ombra di un’ azienda nata nel 2008 da un accordo
tra l’Autorità di Investimento libica e il governo maliano che punta alla produzione di 200.000 tonnellate
di riso su circa 100.000 ettari (e 20.000 tonnellate di carne). Questa terra è stata concessa con un
contratto di leasing per 50 anni, ma la mancata chiarezza dei contenuti della convenzione lasciano
presagire una cessione a tempo indeterminato. I lavori di bonifica dei terreni sono stati affidati ad una
società cinese. Il malcontento delle popolazioni locali espropriate dalle loro terre senza risarcimento sta
aumentando: quale compensazione è prevista per chi dalla terra trae la propria sopravvivenza? Le
organizzazioni contadine hanno denunciato le violazioni in corso come “banditismo statale”.
•
Etiopia. Il rapporto di Human Right Watch del 2012 denuncia un’autentica deportazione di circa
70.000 persone, violentemente allontanate dalle loro abitazioni e condotte verso terre e villaggi senza
cibo, né servizi educativi e sanitari. Queste “deportazioni” risultano legalizzate da un programma
governativo ”Villagization Programs” avviato nel 2010 dal Ministero dell’Agricoltura e finalizzato alla
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ricollocazione delle popolazioni in nuove aree provviste dei servizi essenziali. Le terre fertili della
regione di Gambella, al confine con il Sudan, sono abitate dagli Anuak e dai Nuer e sono quelle cedute
agli investitori stranieri. Dal marzo 2011 sono diventate oggetto dell’interesse di un ricco imprenditore
saudita. Il progetto è di coltivare riso, girasole e mais su 300.000 ettari di terra ottenuta per 60 anni in
esclusiva al canone annuo di 9,42 dollari l'ettaro. Sempre qui, anche un gruppo alimentare indiano s'è
aggiudicato 312.000 ettari di campi per produrre olio di palma, zucchero, riso e cotone per 50 anni. Ma
questi gruppi non sono soli. Tra il 2008 e il 2011, l'Etiopia ha ceduto oltre 3 milioni di ettari di terreni
agricoli ad investitori stranieri, tra i quali spiccano, oltre ai sauditi, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, il
Regno Unito e la Banca Mondiale.
•
Madagascar. Fino al 2003, una legge impediva l’acquisto di terre malgascie da parte di aziende
straniere. Poi c’è stata una modifica pilotata dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario
Internazionale: permesso accordato a quelle che aziende che avessero eseguito la transazione in
associazione con un partner locale. Nel 2008, un’azienda coreana si preparava a trattare, direttamente
con il presidente Ravalomanana, l’affitto di 1,3 milioni di ettari coltivabili per 99 anni gratuitamente
(cioè il 40% delle terre coltivabili del Paese). Questa azienda progettava di impiantare monoculture di
mais e alberi di palma per farne agrocombustibili e materie prime da importare in Corea del Sud.
Precisamente: 1 milione di ettari per produrre mais (terzo consumatore mondiale di mais, quasi
totalmente importato) e 300.000 ettari per produrre olio di palma da trasformare in carburante. In
cambio di un investimento di 6.700 milioni di dollari su vent’anni per la costruzione di un porto (per le
esportazioni verso la Corea del Sud). Scambio che doveva rendere possibile la conclusione dell’affare e
soprattutto assicurare posti di lavoro per la popolazione locale. La notizia dell’accordo – più volte
smentita dal Governo di Antananarivo – e la già profonda crisi politica ed economica che stava
attraversando il Paese, ha fatto scattare in avanti la mobilitazione dei collettivi locali e ha portato, nel
marzo 2009, ad un golpe militare e alla cacciata del presidente Ravalomanana. Il nuovo governo e il
nuovo presidente della repubblica, l’ex sindaco della capitale, Andry Rajoelina, avevano promesso che
avrebbe cancellato l'accordo, ma in realtà si è trattato di una tregua temporanea in attesa della
creazione di una nuova società attraverso la quale riaprire le contrattazioni.
Scheda "Land Grabbing" di Unimondo: www.unimondo.org/Guide/Sviluppo/Land-grabbing
(riduzione ed adattamento ad uso didattico)
Guarda anche questa puntata di Report
http://www.youtube.com/watch?v=GpF5izac5uo
http://www.youtube.com/watch?v=AiWULRD1mf8
Al lavoro
Sulla cartina muta che trovi nella pagina successiva, crea una carta tematica del land grabbing in Africa,
limitatamente ai casi ricordati nel brano che hai letto. Inizia stabilendo una legenda. La tua carta dovrà
individuare, con l’aiuto dell’Atlante, le zone dove si effettua il land grabbing e dare informazioni anche
sulla provenienza dei capitali coinvolti nell’affare e su cosa si produce o si vorrebbe produrre. Dunque alla
fine, con un colpo d’occhio, si dovrà capire chi viene rapinato e chi effettua la rapina.
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