Burocrazia, ecco il vero sovrano

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Burocrazia, ecco il vero sovrano
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chiamato DML prendendo spunto dalle
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laboratorio era il nostro sogno, ora è una
realtà».
Anteprima Giustizia civile paralizzata, amministrazione inefficiente, corruzione: la denuncia di Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri (Longanesi)
Burocrazia, ecco il vero sovrano
In Italia è più forte della politica e ostacola lo sviluppo. Tre ipotesi per limitarne il potere
di Angelo Panebianco
G
uardare il dito anziché la luna.
L’Italia contemporanea si trova
in una condizione paradossale. È attraversata da veementi, e
feroci, correnti antipolitiche, correnti
che accusano la politica (rappresentativa) di ogni possibile misfatto proprio
nel momento storico in cui quella stessa politica è debolissima, alla mercé di
centri di potere, amministrativi e giudiziari, che l’hanno svuotata di ogni autentica capacità decisionale. Siccome è
sempre la politica a essere sotto i riflettori e siccome, in democrazia, i politici,
per acchiappare voti, sono costretti a
trasmettere al pubblico un’immagine
di onnipotenza («faremo questo e faremo quello») anche quando, in realtà,
sono deboli e impotenti, sono soltanto
loro i destinatari della riprovazione
collettiva per tutto ciò che non va.
Mentre i principali responsabili (amministrazione e magistrature) rimangono nell’ombra, al riparo dagli strali
dell’opinione pubblica e possono continuare — impuniti, impunibili, inattaccabili — a mal amministrare come
hanno sempre fatto.
Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri hanno appena pubblicato un testo
agile ma rigoroso, e leggibilissimo,
perfettamente comprensibile anche
dai non addetti ai lavori, I signori del
tempo perso (Longanesi). Il libro mostra, ricorrendo anche a molti esempi,
che cosa succede quando, come è accaduto nel nostro Paese, il potere reale si
sia spostato dalla politica alla burocrazia.
L’ultima dimostrazione in ordine di
tempo dell’impotenza della politica di
fronte all’amministrazione è data dal
fallimento del tentativo di riforma della pubblica amministrazione, la riforma Madia voluta dal governo Renzi. Voleva incidere colpendo l’inamovibilità
dei dirigenti e introducendo, addirittura, la possibilità di licenziarli. È stata
fermata da un fuoco di sbarramento
che ha coinvolto i potentissimi capi di
gabinetto (i veri reggitori dello Stato,
molto più importanti dei ministri), il
Consiglio di Stato, la Corte costituzionale. La burocrazia non si fa riformare
da nessuno. E anzi, come Giavazzi e
Barbieri osservano, la guerra sorda scatenata dall’amministrazione contro il
governo Renzi conta quanto il risultato
Eccessi
La produzione
cartacea
enorme e
soffocante
degli apparati
burocratici
rappresentata
in una
illustrazione
simbolica di
Beppe
Giacobbe
del referendum per spiegarne la caduta.
Perché il Paese è finito in mano a una
burocrazia al tempo stesso irriformabile e inefficiente? È la conseguenza, dicono Giavazzi e Barbieri, di alcune tare
storiche. L’assenza di concorrenza in
settori-chiave dell’economia è una delle principali cause. Un’altra, connessa
alla prima, è data dalla lentezza e inefficienza della giustizia civile. Lo stato
della giustizia civile — che rende troppo onerosi per le parti gli eventuali
contenziosi — riduce lo spazio dei
contratti privati e determina l’ipertrofia della regolazione burocratica. La
moltiplicazione delle regole aumenta
il potere discrezionale della burocrazia, rendendola incontrollabile. I vizi
della pubblica amministrazione italiana sono antichi, ma negli ultimi decenni la situazione si è assai aggravata.
L’ipertrofia regolamentare non mette
soltanto l’intero Paese nelle mani di
una amministrazione inefficiente, ma
apre anche grandi spazi per la corruzione: più regole, più margini di manovra per le attività di corruttela.
Giavazzi e Barbieri, constatando che
tutti i tentativi di riforma dell’amministrazione sono fin qui falliti (proprio
perché il potere burocratico è molto
più forte di quello politico) pensano
che l’unica possibilità consista nel giocare d’astuzia: comportarsi con la bu-
Insuccessi
La riforma che voleva colpire
l’inamovibilità dei dirigenti
è stata fermata da un intenso
fuoco di sbarramento
rocrazia più o meno come fece l’imperatore del Giappone, nel secondo Ottocento, quando, volendo modernizzare
il Paese, si trovò di fronte all’ostacolo
rappresentato dalla potente casta dei
samurai. Anziché tentare di piegarli
con la forza, l’imperatore scelse saggiamente di blandirli e di compensarli,
fornendo loro i mezzi per riciclarsi come imprenditori nel nascente Giappone moderno. Analogamente, non si
potrà mai piegare la burocrazia italiana, non si potrà mai obbligarla a cambiare, a cessare di essere il più potente
ostacolo alla crescita economica e allo
sviluppo sociale del Paese, senza giocare d’astuzia, dando incentivi e vantaggi
ai funzionari che accettano di cambiare i propri comportamenti.
Gli autori immaginano tre possibili
strade. La prima, la più radicale, consiste nel modificare in profondità il rapporto fra lo Stato e la società, dando vita a uno Stato leggero che si limiti a regolare lo strettamente necessario, solo
quanto non può essere lasciato alla
competizione di mercato. Gli autori sono consapevoli, naturalmente, che
mancano in Italia le condizioni perché
questa soluzione venga adottata. La seconda strada consiste nell’incentivare
una variante di quella istituzione francese che è il pantouflage: frequenti
passaggi dei dirigenti dall’amministrazione pubblica alle aziende private
(nonché, come negli Stati Uniti, anche
passaggi dal privato al pubblico). Ma
anche questa soluzione, nelle condizioni italiane, è difficile da realizzare.
La terza possibilità è che si ritorni alla
situazione di almeno trenta anni fa,
quando la politica era più forte dell’amministrazione e, almeno entro certi limiti, la teneva in pugno. Sfortunatamente, né l’amministrazione né le magistrature hanno interesse a permettere un nuovo rafforzamento della
politica: dal loro punto di vista, una politica debole e sottomessa come oggi è
quanto di meglio ci sia.
È per questo che quando compare all’orizzonte un qualche uomo politico
che minacci di restituire il primato alla
politica, la burocrazia, amministrativa e
giudiziaria, si compatta e lo combatte
senza quartiere. Riuscendo persino a
convincere una disinformata opinione
pubblica che la difesa della onnipotenza (e dell’inefficienza) burocratica coincida con la difesa della democrazia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il saggio
● Esce oggi in
libreria il saggio
di Francesco
Giavazzi (nella
foto in mezzo)
e Giorgio
Barbieri (nella
foto più in
basso) I signori
del tempo
perso. I
burocrati che
frenano l’Italia
e come provare
a sconfiggerli
(Longanesi,
pp. 185, 15)
● Francesco
Giavazzi, firma
del «Corriere»,
insegna
Economia
politica
all’Università
Bocconi di
Milano. Giorgio
Barbieri,
giornalista,
scrive per le
testate del
gruppo
L’Espresso