E se dessimo un bel calcio a tutta questa razionalità? Le riflessioni

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E se dessimo un bel calcio a tutta questa razionalità? Le riflessioni
E se dessimo un bel calcio a tutta questa razionalità?
Le riflessioni del Pep a pochi mesi dalle votazioni cantonali
A cura di Daniele Dell’Agnola
Una domenica, a sera quasi fatta, in un bar ci centro paese, quelli del Bar Pep, sotto un
tramonto alcolico, attorno al tavolo nell’angolo. Merlot di quello buono:
- Mettila come vuoi, ma la politica si fa con i numeri e le statistiche.
- Come l’economia, caro Pep. Di soldi, però, no ce n’è mai.
- Non ce n’è mai di qua e non ce n’è mai di là: balle! I numeri li rovesci come vuoi, a tuo comodo.
Si sta parlando delle cantonali, delle beghe, intanto si batte qualche pugno sul tavolo e
l’importante è sentirsi contro qualcuno. In quella tavolata brilla il Pep, che le spara grosse (è una
vita, che le spara grosse) e ha gli occhi infiammati di vino. Ad un certo punto grida:
- Dostoevskij! - e poi cita un lunghissimo passo, a memoria:
- L’interesse! Ma che cos’è poi l’interesse? […] E se poi un bel giorno risultasse che l’interesse
dell’uomo non soltanto può, ma addirittura deve, in qualche caso, consistere nel desiderare non il
proprio utile, ma al contrario il proprio male? Ma se è così, se può anche soltanto darsi un caso
simile, allora è chiaro che qualsiasi regola va a rotoli. Che ne pensate voi? Può darsi un caso simile?
Voi ridete, ridete pure, signori miei. – e poi si alza in piedi e grida - Salute! Viva quello buono!
Ora è notte e io sono a casa. Leggo Ricordi dal sottosuolo, scritti nella prima parte del 1864 da
Fedor Dostoevskij nella traduzione di G. Pacini, Feltrinelli, Milano 1995. Qui continuo il passo
declamato con tanta forza dal Pep, al bar:
Il fatto è, signori miei, che a quanto mi è noto tutta la vostra lista degl’interessi di noialtri uomini è
stata compilata secondo una media dedotta da cifre statistiche e da formule della scienza economica. I
vostri interessi, si sa, sono la prosperità, la ricchezza, la libertà, la tranquillità, […] un uomo che si
ribellasse a questa vostra lista, sarebbe soltanto, secondo voi e naturalmente anche secondo me, un
oscurantista o addirittura un pazzo […] come mai capita sempre che questi cultori della statistica
(“delle leggi della ragione e della verità”), questi saggi amanti del genere umano, al momento di
elencare gl’interessi umani ne trascurano sempre uno? (pp. 42-43)
Che ne dite, signori miei, se dessimo un bel calcio a tutta questa razionalità per mandare al diavolo
tutti questi logaritmi e tornare a vivere secondo le nostre stupide fantasie? […] La propria volontà,
assolutamente libera e autonoma, il proprio capriccio, fosse anche il più sfrenato, la propria fantasia,
talvolta eccitata fino alla follia […] quell’interesse […] che non rientra in nessuna classificazione.
(pp.44-45)
La prima parte dell’opera è uno srotolarsi di pensieri che pongono il lettore a pieno contatto con
l’ambiente, l’odore, la personalità dell’io narrante. In questi brani si snoda il senso del
positivismo in contrapposizione una specie di Wille, volontà maligna, essenza primaria che
regola il mondo, secondo Shopenhauer (Il mondo come volontà e rappresentazione). Con rapidità e
esattezza, si mette infatti in dubbio il valore delle cifre e delle statistiche: le stesse strutture che
reggono la società di oggi, direbbe il Pep, con gli occhi infiammati. Si insiste sull’importanza
dell’uomo libero e autonomo, sui suoi capricci sfrenati, sulla fantasia talvolta eccitata,
dionisiacamente, fino alla follia: bisogni individuali e collettivi che fanno pure parte della natura
umana.
Oppure possiamo leggere la natura umana aiutandoci con Italo Calvino (Lezioni americane, sei
proposte per il prossimo millennio, Mondadori, Milano 2002, p.59): “il temperamento influenzato
da Mercurio, portato agli scambi, ai commerci e alla destrezza si contrappone al temperamento
influenzato dal comportamento di Saturno, melanconico, contemplativo, solitario.”
Il tempo solitario dell’io narrante, dedicato al “pensiero”, prepara “l’azione” che caratterizza la
seconda parte, quando il protagonista esce dal sottosuolo, per prendere contatto con la società,
scontrandosi senza pietà alcuna con strutture borghesi per lui inaccettabili: alla cena con
l’ufficiale Zverkov e i suoi amici, sperimenta ogni “bassezza”, poi concluderà la serata giocando
sull’annientamento di una prostituta. Relaziona dal suo disperato fango profondo, sonda l’essere
umano da un punto di vista sotterraneo, porta l’inconscio all’emersione e si punisce da sé con
gesti assurdi, portando “all’estremo ciò che voi (lettori) avete osato portare soltanto fino a metà
[…] avete preso la vostra viltà per buon senso, e con ciò vi siete consolati ingannando voi
stessi.” (p.142). Un po’ come lo Zeno Cosini di Italo Svevo. Logica, ragione, classificazioni
apparenti si scontrano con questa inettitudine alle azioni sociali che si dissolvono come scene da
teatro naturalista dove s’inserisce un “io” che… sbrana il salotto!
Quelli del Bar Pep si saranno disciolti, ognuno sarà convinto del proprio partito politico, oppure
soltanto di un’idea, purché sia contro qualcosa. Il Pep si sarà addormentato su un libro, così,
come avrebbe concluso Dostoevskij:
Lasciateci soli, senza libri, e noi c’imbrogliamo e ci perdiamo subito, senza sapere a che cosa
attaccarci per reggerci a galla, cosa amare o cosa odiare, cosa disprezzare o cosa rispettare. Ci è penoso
perfino essere uomini, […] e ci sforziamo in ogni modo di incarnare un certo tipo di uomo universale
che non è mai esistito. (p. 142)
Il Pep. Si è addormentato leggendo Calvino:
in un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano di appiattire
ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la
comunicazione tra tutto ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la
differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto.
Il secolo della motorizzazione ha imposto la velocità come un valore misurabile, i cui records segnano
la storia del progresso delle macchine e degli uomini. Ma la velocità non può essere misurata e non
permette confronti o gare, né può disporre i propri risultati in una prospettiva storica. (Italo Calvino,
Lezioni americane, op.cit., pp.52.53)
Buon voto.