IL RILIEVO EDUCATIVO DEL GIOCO Per secoli il gioco è stato visto

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IL RILIEVO EDUCATIVO DEL GIOCO Per secoli il gioco è stato visto
Gioco e simulazione: tecniche di animazione
IL RILIEVO EDUCATIVO DEL GIOCO
Per secoli il gioco è stato visto come un’attività solamente “constatata” e, per
lo più, disistimata quanto al suo significato e al suo valore. Le categorie molto
approssimative e superficiali di questa visione della manifestazione ludica
erano la spensieratezza e l’attività per l’attività.
Il gioco era soltanto associato al divertimento, alla ricreazione, il suo carattere
definalizzato, il suo fuoco centrale costituito dall’attività in se stessa e non
dagli esiti e dai prodotti; era il tempo concesso prima di dedicarsi a cose più
serie o una pausa dopo prolungati impegni di studio, relegato ai margini della
giornata scolastica e confinato nella sfera del tempo libero. Spesso ha ssunto
la funzione di premio, di ricompensa e di rinforzo di condotte positive, mentre
il suo valore intrinseco è stato negato e il suo significato autentico
disconosciuto.
L’aspetto educativo, in definitiva, totalmente trascurato.
Si può dire con Bettelheim che l’importanza del gioco nell’educazione e nella
socializzazione è stata, per molto tempo, contemporaneamente riconosciuta
in teoria e negata nella pratica.
In realtà il gioco, in tutte le sue forme simboliche, drammatiche, individuali,
costruttive, scientifiche, assume una valenza educativa determinante nel
processo di evoluzione dall’infanzia all’età adulta; tali sono le sue virtù
formative, terapeutiche, equilibratrici che negli ultimi anni la letteratura
pedagogica ha profuso tonnellate di inchiostro per “inghilrlandarle”; il tema del
gioco è stato studiato con prospettive diverse da filosofi, psicologi, sociologi,
antropologi ma soprattutto da pedagogisti, i quali ultimi hanno cercato di
cogliere la molteplicità dei suoi aspetti e delle sue caratteristiche.
Quella mentalità comune che vedeva l’esperienza ludica soltanto come
sinonimo di ristoro, ricreazione è stata abbandonata mentre si è cercato di
mettere in luce la sua ricchezza fenomenica e la sua molteplicità di
espressioni e di articolazioni.
Il gioco è per sua natura e per suo statuto educante; e’ infatti attraverso di
esso che il soggetto impara a conoscere il mondo, a sperimentare il valore
delle regole, a stare con gli altri, a gestire le proprie emozioni, a scoprire
nuovi percorsi di autonomia e a sperimentare per tentativi ed errori le
convinzioni sulle cose e sugli altri. E’ l’asse, lo sfondo, il clima in cui l’identità
del bambino può consolidarsi.
L’attività ludica è più che un semplice divertimento: in realtà, essa è qualcosa
di spontaneo e automotivato e costituisce un mezzo attraverso il quale
l’ambiente viene sperimentato e conosciuto, la realtà manipolata e
trasformata, e attraverso tale attività è possibile la scoperta e la conoscenza
di se stessi.
Ancora, il gioco è campo privilegiato di osservazione in quanto, per la
spontaneità che lo contraddistingue, costituisce un contesto valido nel quale
è possibile osservare vari e diversi stili individuali nonché peculiarità attinenti
ad ogni singolo soggetto.
Insomma, esso si rivela prezioso alleato per l’adulto, sia esso genitore,
insegnante per inferire una più approfondita conoscenza del fanciullo e
orientare più efficacemente la sua azione educativo-didattica e terapeutica.
Ciò che preme più sottolineare e che merita maggiore approfondimento è
come soltanto attraverso l’attività ludica sia possibile assicurare all’infanzia
piena soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali.
L’esperienza ludica è capace di rispondere e soddisfare i bisogni autentici
dell’infanzia con particolare riguardo a quelli che sembrano oggi
maggiormente mortificati e deprivati, come dire che le “naturali” motivazioni
alla comunicazione, socializzazione, fa re da sé, costruzione totalizzano
col gioco l’occasione vincente per espandere ed esaltare le loro virtuali
potenzialità formative.
Mettere il bambino nelle condizioni di potere soddisfare i bisogni declassati e
deprivati significa riqualificare la dimensione ludica come cont roveleno
vincente nei confronti di modelli etico-sociali e culturali ”conformisti e
riduttivi”.
LA COMUNICAZIONE: linguaggio verbale e non verbale
Il gioco è il mezzo attraverso il quale il bambino può comunicare. E’
veramente sorprendente notare quanto e come i bambini riescono facilmente
ad esprimere le loro idee e le loro emozioni attraverso il gioco, in particolare
quelle emozioni e quei sentimenti che non osano confessare a se stessi e
agli altri. Nelle situazioni di gioco, i soggetti si trovano nella condizione di
dover negoziare il contenuto e le modalità dell’attività nelle varie fasi del suo
svolgimento e per farlo utilizzano il linguaggio.
Il linguaggio verbale e il linguaggio non verbale consentono al bambino di
esprimersi, di dare libero sfogo ai suoi pensieri e alle sue idee. L’esperienza
ludica, insomma, rappresenta un’occasione di scambio linguistico e di
interazione con i coetanei. Il fanciullo si avvale del linguaggio, nei suoi
molteplici codici, per formulare piani e previsioni, per dialogare e per
intendersi con i compagni di squadra.
Ogni gioco, per essere giocato, deve essere compreso. Quando pensiamo ad
un’attività ludica immaginiamo, ad esempio, qualcosa di strutturato, con
regole ben precise e pensiamo anche che la “comprensione” di tali regole
possa avvenire solo mediante la trasmissione di esse. In realtà, affinché vi sia
una reale comprensione del gioco è importante che il linguaggio usato sia un
effettivo mezzo di comunicazione, che ogni termine sia compreso in modo
chiaro tale da assumere, quindi, un chiaro significato nel contesto.
Spesso per rendere la spiegazione più accessibile a tutti i componenti del
gioco, ricorriamo a linguaggi complementari; come sappiamo, quello parlato,
anche se privilegiato, non è l’unico che consente di trasmettere un
messaggio: ci aiutiamo con i gesti, con il tono della voce, con l’espressione
del viso, con l’esempio.
E’, insomma, una necessità ineliminabile, per comprendere un gioco, quella
di dare un significato preciso alle parole; sia da parte di chi apprende che di
chi spiega c’è un reale sforzo di appropriarsi del loro significato.
Secondo Vygotsky “il significato delle parole rappresenta l’interdipendenza fra
pensiero e linguaggio”.
Quello in cui si effettua la spiegazione di un gioco costituisce, quindi, un
momento altamente educativo dato che i membri del gruppo comunicano tra
loro, si relazionano, si confrontano.
Nell’ambito di un’attività di gruppo si possono realizzare diversi modelli di
comunicazione5:
• a stella, ovvero da un bambino a tutti gli altri, i quali spesso utilizzano lo
stesso per rivolgersi agli altri e al quale si rivolgono in modo quasi esclusivo
• a catena, come se ci fosse una fila e ciascuno comunicasse solo con chi lo
precede o lo segue, cioè con chi gli è accanto fisicamente
• a cerchio, in cui tutti comunicano con tutti.
Per concludere, la comunicazione nell’ambito dell’attività ludica non coinvolge
però soltanto i bambini ma si estende anche al rapporto bambino-adulto. Il
gioco, infatti, può essere un mezzo attraverso il quale può crescere e
migliorare tale relazione. L’attenzione e il sostegno coscienti da parte
dell’adulto consente al gioco di costituirsi come un’area e un’esperienza di
crescita e di sviluppo.
La creatività
Un importantissimo aspetto che il gioco riesce a sviluppare è proprio quello
della creatività. Essa costituisce l’espressione più significativa, certamente
più libera di cui ciascun individuo dispone. E’ nel giocare che il fanciullo è in
grado di essere creativo, di dare spazio e sfogo alla sua fantasia; egli solo
con l’ausilio di pochi oggetti riesce a costruirsi un nuovo mondo, una nuova
realtà che può dominare, trasformare, piegare al suo volere. Giocando
sperimenta la possibilità di intervenire sugli elementi che lo circondano e di
trasformarli per renderli più congruenti alle proprie esigenze e ai propri
progetti; così una semplice scopa diventa un cavallo e delle lenzuola ampi
vestiti, le luci soffuse la notte e un vecchio scatolone un’automobile.
La possibilità di esprimersi, di essere creativo costituisce una risorsa alla
quale il bambino non può rinunciare perché per mezzo di questa libera
espressione egli può realizzare se stesso. Non a caso Winnicot dedica una
buona parte del suo lavoro chiarendo e spiegando quale legame intercorre
tra creatività e ricerca del sé. L’autore afferma che, grazie alla creatività
scaturita dal ludico, l’individuo giunge a scoprire il suo sé: il gioco, dunque,
oltre ad offrire al bambino l’opportunità di fare esperienza di se stesso, gli
consente anche di rafforzare la propria identità.
La possibilità di essere creativi giocando dobbiamo anche dire che non è
sempre stata favorita, tante sono le circostanze e tante le cause che hanno
scoraggiato nel tempo la libera espressione dei fanciulli. Il filosofo Locke,
affermava che i giocattoli costruiti dai bambini stessi con materiali naturali
erano da preferire a quelli comprati perché stimolavano l’apprendimento e la
fantasia; ma con l’avvento del progresso e del mercato dei giocattoli in pochi
si sono preoccupati di dar adito alle parole di quel filosofo del settecento. Con
l’introduzione di giocattoli nuovi e sofisticati la creatività dei fanciulli è stata
sempre più ostacolata e messa a repentaglio; i giocattoli semplici e poveri di
una volta sono stati sostituiti da quelli tecnologici che lasciano veramente
poco spazio alla fantasia e all’immaginazione; i giochi interattivi e di
animazione hanno preso il posto del vecchio trenino con i soldatini e delle
bambole.