RASSEGNA DEGLI ARCHIVI DI STATO, nuova serie - X/1-2

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RASSEGNA DEGLI ARCHIVI DI STATO, nuova serie - X/1-2
ISSN 0037-2781
RASSEGNA DEGLI ARCHIVI DI STATO
gen.-dic. 2014
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RASSEGNA
DEGLI
ARCHIVI DI STATO
nuova serie - X/1-2-3
roma, gen.-dic. 2014
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RASSEGNA
DEGLI
ARCHIVI DI STATO
nuova serie - anno X - n. 1-2-3
roma, gen.-dic. 2014
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Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Direzione generale Archivi. Servizio
II, Patrimonio archivistico, Roma.
Direttore generale Archivi: Mario Guarany, direttore responsabile.
Comitato scientifico: il direttore generale Archivi, presidente, Paola Carucci, Antonio Dentoni-Litta, Micaela Procaccia, dirigente del Servizio II, Patrimonio archivistico, Cosimo Damiano Fonseca, Guido Melis, Claudio Pavone, Leopoldo Puncuh, Antonio
Romiti, Isidoro Soffietti.
Redazione: Ludovica de Courten (segretaria); Antonella Mulè De Luigi.
La « Rassegna degli Archivi di Stato », rivista quadrimestrale dell’Amministrazione archivistica, è nata nel 1941 come « Notizie degli Archivi di Stato » ed ha assunto l’attuale denominazione nel 1955.
I testi degli articoli, i volumi da segnalare e la richiesta di fascicoli in omaggio o scambio
vanno indirizzati a « Rassegna degli Archivi di Stato », Ministero dei beni e delle attività
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CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI» ( Archivio di Stato
di Roma, 18 giugno 2013)
7
«LA GRANDE GUERRA (E NON SOLO). LE FONTI MILITARI CONSERVATE NELL’ARChIVIO
DI STATO DI FIRENZE: COMINCIAMO A PARLARNE». Giornata di studi sugli
archivi militari (Archivio di Stato di Firenze, 4 novembre 2013)
85
Cettina Lenza, Memoria e futuro: la ricerca universitaria per la conoscenza
e la valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici in Italia, p. 9; Maria Luisa
Neri, Storia, tutela, valorizzazione dei complessi manicomiali nei territori
centro-italiani, p. 29; Gerardo Doti, Una storia rivisitata: gli spazi della follia sul web, p. 42; Maria Antonietta Crippa, Storiografia e nuovi usi per gli
ex ospedali psichiatrici in Italia. Spunti per ulteriori ricerche, p. 51; Laura
Guardamagna, Politiche sabaude per l’accoglienza e la cura psichiatrica
nell’Italia nord-occidentale dal Regno sardo all’Italia unita, p. 60; PierreLouis Laget, Dall’architettura dei manicomi in Francia all’assistenza psichiatrica fuori dalle mura, p. 65; Cesare Ajroldi, Un workshop di
progettazione a Palermo, p. 73; Franco Purini, Tra suggestione e timore. I
complessi manicomiali italiani tra Ottocento e Novecento, p. 77; Ugo Carughi, Rapporti tra ricerca storica e tutela del patrimonio materiale, p. 80.
Carla Zarrilli, Il punto sull’attività di tutela svolta dall’Archivio di Stato di
Firenze sugli archivi militari, p. 87; Micaela Procaccia, La memoria dei singoli. Il problema della conservazione dei fogli matricolari, p. 94; Nicola Labanca, Storia militare e fonti archivistiche: una relazione stretta, base di
un’alleanza fra storici militari e archivisti, p. 97; Claudio Lamioni, Le leve
negli Archivi di Stato della Toscana: materiali, ordinamenti, storie archivistiche, p. 110; Mauro Scroccaro, Il progetto Alisto e il fondo miscellaneo di
mappe militari dell’Archivio di Stato di Firenze, p. 141; Paola Conti, Il Tribunale militare di Firenze: storia di un istituto e vicissitudini di un archivio.
Qualche cenno, p. 150; Simone Sartini, Una fonte impossibile: per un censimento degli archivi della sanità militare, p. 160; Dibattito, p. 183.
PAOLO FRANZESE, Parliamo ancora di archivistica e del suo insegnamento
191
NOTE E COMMENTI
Per una storia dell’Amministrazione archivistica: il repertorio del personale degli
Archivi di Stato (P. Carucci)
207
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Una Corte senza archivio (E. Lodolini
217
Le arti visive e la danza. Testimonianze dagli archivi delle danzatrici Jia Ruskaja
(1903-1970) e Friderica Derra De Moroda (1897-1978) (N. Gozzano)
235
L’archivio e la biblioteca delle disciolte organizzazioni sindacali fasciste di industria,
commercio, agricoltura (I. Romeo)
VERSAMENTI, TRASFERIMENTI, DEPOSITI, DONI, ACqUISTI: 2014
225
247
NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO
Archivi delle donne in Piemonte. Guida alle fonti, a cura di Paola Novaria – Caterina
Ronco (p. 292); Barbara Boneschi, Gian Luca Zanetti dall’avvocatura al
giornalismo e all’editoria (p. 293); Daria De Donno, Notabilato e carriere politiche
tra Otto e Novecento. Un esempio di ascesa (Giuseppe Pellegrino, 1856-1931) (p.
293); Paolo Franzese, Manuale di archivistica italiana (p. 295); Francesca Klein,
Scritture e governo dello Stato a Firenze nel Rinascimento. Cancellieri, ufficiali,
archivi (p. 297); Marcello Moscone, Notai e giudici cittadini dai documenti originali
palermitani di età aragonese (1282-1391) (p. 299); Eugenia Paulicelli, Writing
Fashion in Early Modern Italy. From Sprezzatura to Satire (p. 299); Gemma Torre,
Archivi d’impresa a Genova. Percorsi e materiali per un censimento (p. 302).
INDICI DELL’ANNATA
Notiziario bibliografico
Opere segnalate
Collaboratori
307
310
310
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CONVEGNO:
MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI
Archivio di Stato di Roma, 18 giugno 2013
Nel corso del convegno, organizzato con il patrocinio della Direzione generale Archivi e dell’Accademia nazionale di San Luca, sono stati presentati i risultati dell’indagine «I complessi manicomiali
in Italia tra Otto e Novecento. Atlante del patrimonio storico-architettonico ai fini della conoscenza e
della valorizzazione», finanziata con i fondi PRIN 2008, e la ripresa del progetto «Carte da legare»,
che ha dato luogo a uno dei portali tematici del SAN, che presenta i risultati del censimento degli
archivi degli ospedali psichiatrici. Il progetto PRIN, sviluppato congiuntamente dai Politecnici di Torino
e Milano, dalle Università di Camerino e Palermo, con il coordinamento nazionale della Seconda Università di Napoli e la collaborazione delle Università di Pisa e Reggio Calabria, ha restituito un quadro
complessivo degli ex ospedali psichiatrici, con l’esame di circa 80 complessi sorti o progettati sull’intero
territorio nazionale. L’indagine, svolta sulla pubblicistica coeva e su inesplorate fonti d’archivio, ha
messo in luce una straordinaria quantità di materiali (articoli, relazioni, disegni, foto d’epoca), che ha
consentito di delineare l’intero corso dell’architettura manicomiale, dai suoi esordi nel XIX secolo fino
alla legge Basaglia del 1978 e alla successiva chiusura delle strutture.
Rassegna degli Archivi di Stato, n. s., X (2014)
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MEMORIA E FUTURO: LA RICERCA UNIVERSITARIA
PER LA CONOSCENZA E LA VALORIZZAZIONE
DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI IN ITALIA
Il progetto PRIN. – Le parole chiave prescelte per intitolare questa giornata di
studi riprendono, con sintomatica convergenza, quelle del convegno su «Medicina
e Ospedali. Memoria e futuro» svoltosi a Napoli nel dicembre del 19961, importante
precedente nel richiamare l’attenzione sulle condizioni e sulla rilevanza degli archivi sanitari e, più in generale, del patrimonio culturale delle istituzioni assistenziali e ospedaliere, non senza riferimenti al caso particolare degli ex ospedali
psichiatrici italiani, per i quali, in quegli anni, era ancora in corso il difficile processo di dismissione. Gli stessi termini consentono di sintetizzare gli obiettivi di
due progetti successivi, specificamente dedicati ai complessi manicomiali, promossi dal MIBAC-Direzione generale per gli archivi (il progetto «Carte da legare»,
varato alle soglie del 2000) e dal MIUR. Si tratta di progetti autonomi e paralleli,
ma, in realtà, complementari, riguardanti, rispettivamente, un ingente patrimonio
documentario, soggetto a dispersione dopo la chiusura degli impianti, e un patrimonio immobiliare apparentemente meno fragile del primo, ma anch’esso estremamente vulnerabile, esposto a opposte forme di aggressione: l’abbandono, che
condanna alla rovina edifici, attrezzature e verde, o la trasformazione violenta, con
la cancellazione definitiva di ogni testimonianza di un sistema di cura tradottosi in
organizzazione di spazi e costruzioni.
Sul versante dell’architettura, l’abbrivio è stato fornito dal progetto I complessi
manicomiali in Italia. Atlante del patrimonio storico-architettonico ai fini della
conoscenza e della valorizzazione, finanziato nell’ambito dei Programmi di ricerca
scientifica di rilevante interesse nazionale (PRIN) previsti dalla Direzione generale
della ricerca del MIUR per il 2008. Per riassumere qualche dato quantitativo, sono
stati impegnati circa quaranta ricercatori, provenienti prevalentemente dal settore
scientifico-disciplinare della Storia dell’architettura, ma anche del Restauro, del
Disegno e della composizione architettonica e urbana, afferenti a sette atenei italiani, distribuiti sull’intero territorio nazionale nella logica a rete propria dei PRIN
e raggruppati in cinque unità operative (Politecnico di Torino, Politecnico di Milano, Università di Camerino, Seconda Università di Napoli con Università di Pisa,
1
Cfr. Medicina e ospedali. Memoria e futuro. Aspetti e problemi degli archivi sanitari. Atti del
convegno, Napoli, 20-21 dicembre 1996, Roma, Direzione generale per gli archivi, 2001 (Saggi 69).
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Cettina Lenza
Università di Palermo con Università «Mediterranea» di Reggio Calabria)2, con il
coordinamento nazionale di chi scrive (Seconda Università di Napoli). Facendo
seguito a un primo sommario censimento prodotto nel 1996 (e aggiornato al 1998)
dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche3, l’attività ha sviluppato, dal punto di
vista dell’analisi storica e dell’attuale consistenza, l’esame di settanta manicomi
civili, a parte le succursali e le sedi secondarie, che, esclusi appunto i manicomi
giudiziari e le case di cura private, rappresentano pressoché la totalità delle strutture
pubbliche deputate alla custodia e cura dei malati mentali sorte prima della legge
180 del 1978. Gli esiti sono stati raccolti in un denso volume incentrato su brevi
ma documentati profili dei singoli complessi, ripartiti secondo un’articolazione
geografica e con un ordinamento cronologico per tenere conto delle diversità di
condizioni ereditate dalla frammentazione politica preunitaria, preceduti da contributi di inquadramento per ciascun ambito territoriale e da saggi dedicati a tematiche trasversali, quali: le scelte tipologiche e i modelli, anche internazionali, di
riferimento; il rapporto con la città e il territorio; la presenza e la funzione peculiare
del verde; gli aspetti costruttivi e impiantistici; la pubblicistica specializzata4. Al
volume si è affiancata la realizzazione di un Portale (www.spazidellafollia.eu), inserito, tramite accordi con la Direzione generale per gli Archivi, nell’ambito del
SAN (Sistema Archivistico Nazionale), in fase di implementazione. Come illustrato
da Gerardo Doti in questo stesso numero della rivista, le schede del portale integrano le notizie e l’iconografia storiche (disegni originali, stampe e foto d’epoca),
con dati e immagini riferiti alle condizioni odierne dei complessi, così da fornire
un’utile base conoscitiva per soggetti, pubblici e privati, preposti o interessati alla
tutela e al recupero.
Il progetto ricalca, in questo modo, gli aspetti innovativi, dal punto di vista concettuale e pratico, del SAN e comuni ai suoi diversi portali tematici. Tra questi, l’impiego di tecnologie informatiche per rendere accessibile, e dunque utilizzabile, un
patrimonio documentario assai poco noto, secondo un orientamento volto ad «animare l’archivio» e a rendere la memoria condivisa e al tempo stesso efficace, immettendola in un esteso circuito di comunicazione e consentendole di interloquire
con il presente5. Non senza alcune peculiarità, in questo caso, come la natura «tra2
questi i rispettivi responsabili scientifici: Laura Guardamagna (POLITO), Maria Antonietta
Crippa (POLIMI), Maria Luisa Neri e Gerardo Doti (UNICAM), Cettina Lenza (SUN), Cesare Ajroldi
(UNIPA). Per una prima illustrazione dell’attività di ricerca, rinvio a C. LENZA, I complessi manicomiali
in Italia. Problemi storiografici e prospettive di valorizzazione, in «Territorio», 65, 2013, pp. 62-67.
3
Cfr. Per un atlante degli ospedali psichiatrici pubblici in Italia. Censimento geografico, cronologico e tipologico al 31 dicembre 1996, con aggiornamento al 31 ottobre 1998, Treviso, Fondazione
Benetton Studi Ricerche, 1999 (supervisione di D. Luciani, ricerca di M.F. Palestino e F. Rossi con la
collaborazione di I. Frigo, ricerca cartografica di M. Rossi, elaborazione cartografica di T. Marson).
4
I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. AJROLDI - M.A. CRIPPA - G.
DOTI - L. GUARDAMAGNA - C. LENZA - M.L. NERI, Milano, Electa, 2013.
5
Su questo argomento, una recente e approfondita riflessione è proposta in Design & Cultural Heritage, 2, Archivio animato, a cura di F. IRACE - G. L. CIAGà, Milano, Electa, 2013, specie nel saggio di
F. IRACE, L’Archivio Animato/The Animated Archive, pp. 5-14. Per un sintetico bilancio sull’«archivistica
informatizzata», a partire dagli anni Ottanta, e per uno specifico riferimento al SAN e a documenti di ar-
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La ricerca universitaria per la conoscenza e la valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici
11
sversale» delle informazioni e dei dati, sia per l’eterogeneità dei documenti – limitatamente al solo progetto, si tratta di testi, disegni, fotografie, modelli –, sia per la
molteplicità delle fonti, anche non documentarie, e della loro provenienza e distribuzione, sintetizzando per l’utente una ricerca costretta a districarsi tra differenti
luoghi e soggetti conservatori. Soprattutto, tra le fonti sono state incluse – anzi con
valore primario – le stesse architetture, di cui si è analizzato lo stato «alla data»,
equiparando «documento» e «monumento», per favorire una lettura integrata.
Se la piattaforma del web – correttamente gestita – rappresenta il più potente
mezzo per la creazione di una cultura della condivisione, si comprende perché il
Portale possa considerarsi il logico approdo della ricerca. Grazie alla vocazione del
web di raggiungere un pubblico ampio e variegato, ben oltre la cerchia di specialisti
e studiosi, sarà possibile mettere a disposizione le conoscenze acquisite tanto in funzione di un approfondimento scientifico, quanto in una prospettiva operativa sottoposta al vaglio di una più alta percentuale di soggetti sociali. Il destino degli ex
complessi manicomiali, e dei materiali che ne testimoniano le vicende, ricade infatti
in una responsabilità collettiva da assumere nei confronti delle generazioni precedenti e future, rispetto alle quali ci poniamo come consegnatari e custodi, non solo
per preservarne la memoria ma per reinserirla nel flusso continuo della storia.
Lo stato delle conoscenze e le motivazioni del progetto di ricerca. – Il progetto
di ricerca è stato originato dall’esigenza di colmare un vuoto conoscitivo, offrendo
il necessario punto di partenza a un filone di studi ancora poco esplorato. Per l’architettura manicomiale mancava infatti una trattazione sistematica e organica, potendo registrare – e solo in anni recenti – sporadici studi su singoli complessi. Le
ragioni di questo prolungato silenzio devono – in parte e inizialmente – attribuirsi
al più generale ritardo della storiografia italiana nell’indagare settori dell’intervento
pubblico, come servizi e sanità, non solo fortemente incidenti nella vita sociale ma
rilevanti anche nella produzione e gestione dello spazio, a scala urbana e architettonica. Peraltro, se non mancano, agli inizi degli anni Ottanta, primi contributi su
alcune «macchine» di controllo da parte delle istituzioni, e in particolare – secondo
l’espressione di Michel Foucault – sulle machines à guérir6, il focus rimaneva più
sfumato per comprendere altre strutture di reclusione o di cura7 (carceri e ospedali)
chitettura, cfr. anche, rispettivamente, i contributi di M. T. FERABOLI, Fonti, progetto e cultura digitale:
alcuni casi studio italiani/Sources, design and digital culture: some case studies in Italy, ibid., pp. 81-96
e di E. TERENZONI, Il presente e il futuro del Portale Archivi di Architetti/Present and Future of the Architects’ Archives Web Portal, ibid., pp. 97-108, ai quali rinvio anche per la bibliografia e sitografia. Nell’ambito della stessa ricerca (anch’essa esito di un Progetto PRIN 2008, Il design del patrimonio culturale
tra storia, memoria e conoscenza. L’Immateriale, il Virtuale, l’Interattivo come materia di progetto nel
tempo della crisi), non pochi utili spunti possono essere desunti anche da Design & Cultural Heritage, l,
Immateriale virtuale interattivo, a cura di F. IRACE, con un saggio di A. SEASSARO, Milano, Electa, 2013.
6
Cfr. Les machines à guérir: aux origines de l’hôpital moderne, Paris, Institut de l’Environnement, 1976; Bruxelles-Liège, Pierre Mardaga, 19792.
7
Per questa più generale linea storiografica, cfr. Le macchine imperfette. Architettura, programma, istituzioni nel XIX secolo. Atti del convegno, Venezia ottobre 1977, a cura di P. MORAChIELLO
- G. TEySSOT, Roma, Officina, 1980, e in particolare P. MORAChIELLO, I congegni delle istituzioni:
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Cettina Lenza
alle quali il manicomio può approssimarsi per analogia ma con fondamentali differenze, in quanto luogo di segregazione, come il carcere, ma senza la condizione
della colpa, e luogo di cura, come l’ospedale, ma senza la transitorietà della malattia
e dunque della permanenza. Analogamente, se il superamento di ogni idealistico
ostracismo nei confronti delle costruzioni di carattere utilitario ha consentito negli
ultimi anni di ammettere, come oggetto di storia dell’architettura, stazioni ferroviarie, mercati, cimiteri e impianti industriali dismessi, o – più vicini al nostro tema
– edifici assistenziali e ospedalieri8, i manicomi sono rimasti, fino a tempi recenti,
nell’ombra.
Tra le cause, può annoverarsi il difficile accesso ai complessi e alla stesse fonti,
disseminate secondo percorsi non sempre lineari. A ciò si è aggiunta la prevenzione
nei confronti del tema, che, se non ha raggiunto il carattere di una vera e propria
damnatio memoriae dopo la «condanna senza appello» degli ospedali psichiatrici
da parte della legge Basaglia9, ha reso comunque necessaria una distanza storica
per consentire un’indagine serena su luoghi non a torto avvertiti come intrisi di
sofferenza. L’attuale interesse verso l’architettura manicomiale, attestato dal moltiplicarsi di singoli contributi10, può infatti considerarsi incoraggiato dal riconoscimento della condizione di bene culturale ed economico dei complessi, sollevando
la questione non solo della tutela, in larga parte risolta ope legis, ma della loro conservazione e valorizzazione11, esigenza ormai portata all’attenzione pubblica grazie
anche al contributo dei media12.
La storia dell’architettura asilare si propone anzitutto come integrazione di
quelle della psichiatria e della follia, che vantano già una consolidata tradizione di
studi. Ma il processo che si è condensato tra le mura del manicomio, in quanto croospedali, manicomi e carceri, in Italia moderna. Immagini e storia di un’identità nazionale, a cura di
O. CALABRESE, I, Dall’Unità al nuovo secolo: 1860-1900, Milano, Electa, 1982, pp. 169-193; A. SCOTTI,
Malati e strutture ospedaliere dall’età dei Lumi all’Unità, in Storia d’Italia. Annali 7. Malattia e medicina, a cura di F. DELLA PERUTA, Torino, Einaudi, 1984, pp. 233-296.
8
A titolo esemplificativo, cito: A. GUERRA - E. MOLTENI - P. NICOLOSO, Il trionfo della miseria:
gli Alberghi dei poveri di Genova, Palermo e Napoli, Milano, Electa, 1995; C. DEVOTI - M. NARETTO,
Ordine e sanità. Gli ospedali mauriziani tra XVIII e XX secolo: storia e tutela, Torino, Celid, 2010.
9
R. CANOSA, Storia del manicomio in Italia dall’Unità a oggi, Milano, Feltrinelli, 1979.
A riprova di un intensificarsi d’interesse, oltre i contributi citati nelle note seguenti, possono
segnalarsi, ad esempio, le diverse pubblicazioni dedicate al Manicomio di Pavia in Voghera, quali Il
manicomio provinciale di Pavia in Voghera, Catalogo della mostra, Voghera gennaio 1992, a cura di
E. BERSANI - M. DEBATTISTA - G. LANFRANChI, Voghera, Tipolito MCM, 1992; S. ZATTI, La città dolorosa. Documenti e immagini del manicomio provinciale di Pavia a Voghera, Pavia, Comune di Pavia,
2010; F. DRAGhI - A. VICINI, Oltre il cancello… Voghera. Notizie storiche su quello che era il Manicomio Provinciale, Varzi, Guardamagna, 2011. In ambito meridionale, un contributo recente è quello di
R. GIANNANTONIO, Nella città del dolore. Esperienze manicomiali in Abruzzo tra Otto e Novecento, Pescara, Carsa, 2013.
10
11
Cfr., tra gli altri, G. qUIRICO, Il Regio Manicomio di via Giulio in Torino 1830-1985. Problemi
di restauro e recupero a livello urbano, Torino, Allemandi, 1987, e, con sguardo più generale, Dossier:
il futuro degli ospedali psichiatrici in Italia, in «ANAΓΚΕ. quadrimestrale di cultura, storia e tecniche
della conservazione per il progetto» n. 54, maggio 2008.
12
Segnalo il servizio su tgla7, dove si è data notizia anche della ricerca PRIN e del portale che ne
divulga i risultati, scaricabile su <www.la7.it/tgla7/rivedila7/tg-la7-cronache-16-03-2014-128403>.
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La ricerca universitaria per la conoscenza e la valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici
13
cevia di storia politica e sociale, scientifica ed economica, come anche del costume
e delle idee, si presta a ulteriori prospettive di indagine. Attraverso le vicende dell’istituzione manicomiale risulta, ad esempio, possibile leggere in filigrana le condizioni del giovane Stato unitario e lo squilibrio tra Nord e Sud, dopo che la legge
del 20 marzo 1865 per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia pose a carico delle fragili amministrazioni delle Province, tra gli altri compiti, il mantenimento dei «mentecatti poveri» del proprio ambito territoriale: squilibrio che si
evidenzia nel numero rarefatto degli stabilimenti del Mezzogiorno, rispetto a quelli
dell’Italia settentrionale, chiaramente leggibile dalla tavola pubblicata nel volume
di Augusto Tamburini, Giulio Cesare Ferrari e Giuseppe Antonini sull’Assistenza
degli alienati in Italia e nelle varie Nazioni del 1918, al termine della fase del
«grande internamento»13. Una condizione che induce persino a proporre correttivi
ingenui, come il concorso per un manicomio economico lanciato dalla Società freniatrica italiana nelle adunanze di Aversa del 1877 e di Reggio Emilia del 1880,
volto a incoraggiare la nascita di nuovi impianti nelle regioni meridionali tramite
un modello semplificato, per numeri contenuti e a bassi costi, in grado comunque
di soddisfare i requisiti basilari indicati dagli alienisti. La storia del manicomio intercetta, risentendone in maniera incisiva, fenomeni ed eventi come l’inurbamento
e la guerra; assorbe – anche qui nella loro irregolare distribuzione territoriale – malattie sociali quali la pellagra e l’alcolismo; manifesta e incarna ideologie e discriminazioni. Ma il manicomio si traduce anche, durante l’Ottocento, in simbolo di
progresso e addirittura in «monumento», come rivelano le guide turistiche che annoverano i nuovi stabilimenti tra le mete da rendere oggetto di visita.
Sul versante interno disciplinare, il manicomio si propone come caso-studio
di particolare interesse. Anzitutto, esso rappresenta una categoria di edifici di cui
è possibile seguire l’intera parabola: dalla nascita del «manicomio moderno» nel
xIx secolo – intendendo con questo termine strutture appositamente destinate al
ricovero dei folli, in luogo dell’internamento coatto promiscuo, esteso a svariati
fenomeni di malattie croniche o di devianza – alla sua trasformazione novecentesca
in ospedale psichiatrico, fino alla dismissione. A differenza di altre categorie edilizie, soggette a un continuo aggiornamento dei modi d’intenderne e interpretarne
la funzione, il ciclo concluso dei manicomi consente allo storico un’analisi compiuta. Peculiare, inoltre, se non unico, risulta il ruolo affidato all’architettura, specie
fino a che – prima dell’adozione di altre tecniche di trattamento e della cura farmacologica – il manicomio stesso viene concepito come strumento terapeutico («un
instrument de guérison» nelle parole di Esquirol, che può anzi tradursi, «entre les
mains d’un médecin habile», ne «l’agent thérapeutique le plus puissant contre les
maladies mentales»): il che comporta un’attenzione non solo a fattori igienici (ubicazione salubre, esposizione favorevole, disponibilità di acqua, panoramicità), ma
anche alle scelte tipologiche, ai sistemi costruttivi, agli impianti, sino alle finiture,
ai particolari e agli arredi.
Centrale risulta la questione tipologica, accompagnata da un acceso dibattito
13
La tavola viene pubblicata successivamente anche in D. DONGhI, Manuale dell’Architetto, II,
La composizione architettonica. Parte prima, Distribuzione, Torino, UTET, 1927, nella sezione sugli
Stabilimenti sanitari curata da Renato Fabbrichesi.
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Cettina Lenza
e dalla circolazione internazionale di modelli. Nella sistematizzazione proposta da
Jean-Baptiste Maximien Parchappe in quello che sarà considerato, nel xIx secolo,
il testo fondamentale per la tecnica manicomiale (Des principes à suivre dans la
fondation et la construction des asiles d’aliénés, 1853), gli schemi essenziali si riducevano al «sistema francese» (edifici separati a uno o due piani distribuiti ai lati
della spina centrale di servizi e intervallati da spazi verdi) e al «sistema inglese»
(edifici ad ali multipiano connesse ad angolo retto), in grado di raggiungere una
certa monumentalità, analogamente al «sistema germanico». Ma pure nel nostro
paese assistiamo a proposte e studi sul «manicomio italiano» (significativamente
a cavallo del processo di unificazione nazionale), per tener conto delle specifiche
condizioni geografiche e climatiche come anche sociali e culturali, influenti su
un’articolata nosografia che classifica le categorie di malati a seconda delle presunte cause e manifestazioni della follia (maniaci, melanconici, dementi, fatui, convalescenti, epilettici e altro ancora): negli studi dell’alienista patriota calabrese
Biagio Miraglia14 redatti insieme all’architetto Nicola Stassano (la collaborazione
tra medico e tecnico diverrà una formula imprescindibile) si propone, come meglio
appropriato, il sistema a corti, semplificato e iterabile, ereditato dagli edifici monastici che, dopo le soppressioni degli ordini, offrono le prime sedi per il ricovero
dei folli, affine, con le sue corsie voltate, agli stabilimenti di pubblica salute (le
terme antiche), e soprattutto congeniale al mite clima mediterraneo per i passeggi
aperti su rinfrancanti spazi verdi15.
Anche la questione tipologica registra una diacronia che vede sostituire gradualmente al modello accentrato, originato dagli edifici di reclusione (con stecche
lineari, o distribuite su corti o raggiate a panopticon), il modello a padiglioni distinti
per le varie patologie, connessi da bracci porticati (schema prevalente, specie per
gli impianti maggiori, consentendo rapidità di servizio e facilità di controllo pur
nella netta separazione a seconda dei sessi e del grado di pericolosità, dai tranquilli,
ai semiagitati, ai furiosi), e, infine, l’impianto a padiglioni sparsi, o a «villaggio».
Una trasformazione, che registra esiti differenti nelle varie zone italiane, dettata da
diverse concezioni, passando da una perseguita regolarità e simmetria, icona di un
«ordine» al quale si cerca di ricondurre le menti turbate, fino all’apparente «disordine» e casualità presi a prestito dagli insediamenti spontanei, che tenta di mimare
le condizioni di vita «normale» sulla scorta della singolare esperienza del villaggio
belga di Gheel, luogo secolare di pellegrinaggi, dove l’accoglienza dei folli nelle
case dei contadini aveva sortito effetti benefici sugli alienati. Il motto «vorrei sembrarvi l’altra che lasciaste» che Arnaldo Pieraccini, direttore dell’Ospedale neuropsichiatrico di Arezzo, fa incidere sulla campana della cappella della colonia
B. G. MIRAGLIA, Programma di un manicomio modello italiano seguito dall’applicazione dei
precetti del Programma alle riforme del R. Morotrofio di Aversa, Aversa, Tipografia del Reale Morotrofio, 1861. Il programma, rivolto al Parlamento nazionale all’indomani dell’Unità, sviluppa la proposta
già pubblicata dall’autore durante gli anni borbonici in ID., Progetto di uno Stabilimento d’alienati pel
Regno di Napoli, Aversa, Tipografia del Reale Morotrofio, 1849.
14
15
Su questo tema, mi permetto di rinviare, più ampiamente, a C. LENZA, Il manicomio italiano
nell’Europa dell’Ottocento. Gli esordi del dibattito e la questione dei modelli, in I complessi manicomiali in Italia… cit., pp. 15-28.
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La ricerca universitaria per la conoscenza e la valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici
15
agricola maschile16, esprime appunto l’intenzione di riproporre, artificialmente,
l’ambiente rurale di provenienza dei ricoverati, dai caratteri dell’architettura agli
interni ricalcati sugli ambienti contadini della campagna toscana.
Di notevole interesse, ancora, gli aspetti costruttivi e tecnologici, previsti in
modo da garantire durevolezza, sicurezza, facilità di pulizia e di manutenzione, in
specie le peculiarità introdotte nei sistemi di aereazione, riscaldamento, approvvigionamento e smaltimento idrico, che pongono l’impiantistica del manicomio tra
i casi più avanzati di edilizia specializzata17. Né manca una cura per gli effetti psicologici nella definizione di colori, materiali, dettagli (numerosi i tentativi di mascherare le grate delle aperture nei reparti dei furiosi, seguendo lo spartito delle
lastre di vetro o addirittura riproponendo sagome di vasi di fiori, come ad Aversa
agli inizi dell’Ottocento). Persino nelle scelte stilistiche si manifesta un’attenzione
alle connotazioni simboliche e alle possibili reazioni emotive: l’ingegnere Giuseppe
Tango, autore del progetto per il nuovo Manicomio provinciale di Napoli, dichiara
di aver preferito, per la cappella, «la forma classica, e piuttosto magnificente», in
luogo del più consueto ricorso al neogotico, onde evitare «il soverchio misticismo
religioso, che potrebbe aggravare in qualche modo la condizione dei dementi»18.
Rilevante, infine, il ruolo del verde, il cui disegno viene talvolta affidato a progettisti specializzati, quali giardinieri e paesaggisti: come nel manicomio di Imola –
autentico paradigma del sistema a padiglioni connessi da bracci porticati – per il
quale l’alienista Luigi Lolli si avvale non solo di un architetto accreditato a livello
nazionale, come Antonio Cipolla, ma anche del conte Ernesto Balbo Bertone di
Sambuy, autore dei giardini Margherita di Bologna e del parco del Valentino di Torino, per progettare il giardino antistante l’edificio della direzione.
Tra i motivi d’interesse per lo storico dell’architettura, i manicomi possono
inoltre annoverarsi tra le grandi opere pubbliche dell’Italia postunitaria, che assorbono notevoli risorse economiche e mobilitano diversificate competenze (commissioni miste, composte da tecnici e alienisti, noti professionisti accanto a sconosciuti
funzionari degli Uffici tecnici, imprenditori e ditte specializzate, specie per le forniture di impianti e attrezzature). E per tali ragioni si propongono alla disamina di
una «storiografia del cantiere» che ricostruisca ruoli, responsabilità e apporti dei
diversi soggetti, pubblici e privati, coinvolti nel complesso iter che conduce dal
progetto alla concreta realizzazione. Soprattutto significativa è la scala impegnata,
la quale apparenta i manicomi ad autentiche «micro-città» con perimetro segnato
da mura, accessi vigilati, strade e viali, «residenze» (i padiglioni di degenza, differenziati per categorie di alienati, e gli alloggi del personale medico), servizi comuni
(non solo gabinetti clinici e farmacia, ma cucina, panificio, dispensa, lavanderia,
cappella, teatro, addirittura cinema), ambienti per il lavoro (i diversi laboratori arAMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI AREZZO, L’Ospedale provinciale neuropsichiatrico di Arezzo
nei suoi nuovi sviluppi, Arezzo, Stab. Tipografico Ettore Sinatti, 1927.
16
17
Per questi aspetti, cfr. F. ZANZOTTERA, Tradizione edilizia e innovazione tecnologica negli Ospedali Psichiatrici italiani, in I complessi manicomiali in Italia... cit., pp. 51-61.
18
G. TANGO, Il Progetto del nuovo Manicomio Provinciale di Napoli, in «Bollettino del Collegio
degli Ingegneri ed Architetti in Napoli», nn. 9-10, 1890, pp. 65-73, in part. p. 72.
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tigianali nei quali esercitare l’ergoterapia) e ampi spazi verdi trattati a giardino o
vasti abbastanza da costituire colonie agricole, finalizzate all’impiego degli ammalati in attività terapeutico-lavorative ma tradotte, in qualche caso, in vere e proprie strutture produttive, in grado di rendere parzialmente autosufficienti le strutture
e di consentire persino un ritorno economico con la vendita dei prodotti. E appunto
per le dimensioni e l’organizzazione, gli impianti manicomiali incrociano anche
l’urbanistica e l’arte dei giardini, mutuando modelli dai quartieri della città moderna
o dai grandi parchi, con la necessità, per lo storico, di ampliare la sua analisi oltre
l’architettura per porre in luce i riferimenti entrati in gioco nel regolare lo spazio
costruito e quello naturale, e i loro reciproci rapporti19.
Le fonti a stampa per lo studio dell’architettura manicomiale. – Dopo una preliminare ricognizione sulla bibliografia corrente, la ricerca si è addentrata a ritroso
per individuare le testimonianze coeve. La pubblicistica, infatti, non solo restituisce
dati e informazioni, ma soprattutto consente di comprendere funzioni e significati
(pratici e simbolici) dei complessi manicomiali, introdotti all’atto del progetto (da
parte di tecnici e alienisti), e recepiti, nel corso del loro esercizio, dai diversi utenti
(personale medico, malati, familiari e pubblico esterno). Senza alcuna pretesa di
offrire una rassegna sistematica e tanto meno esaustiva, l’esemplificazione che riportiamo, limitatamente alla fase ottocentesca, intende mettere in luce l’entità e
varietà di fonti a stampa con le quali è necessario misurarsi.
Una fonte insospettata è costituita, come abbiamo accennato, dalle guide: nel
1826, Modesto Paroletti, in Turin à la portée de l’étranger, ne menziona le istituzioni assistenziali, tra cui l’Ospizio dei «Pazzarelli»20, e nello stesso anno la Nuova
Guida di Napoli, dei contorni di Procida, Ischia e Capri del De Ferrari, tradotta in
inglese a uso dei viaggiatori stranieri, dedica un paragrafo allo Stabilimento dei
Pazzi ad Aversa, con indicazione dei permessi necessari per visitarlo21; così come
nella guida Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, edita da Gaetano Nobile
nel 1845 in occasione del VII Congresso degli Scienziati Italiani svoltosi nella capitale borbonica, Francesco Puoti si dilunga orgogliosamente sugli stabilimenti
aversani (la Maddalena e le sue succursali), riferendo i metodi di cura tramite il lavoro artigianale e nei campi, e descrivendone accuratamente la pianta con l’articolazione degli ambienti22. Anche la guida di Siena varata in occasione del x
Congresso degli Scienziati Italiani del 1862 contempla un lungo capitolo sul manicomio (di circa 40 pagine), in cui l’alienista Carlo Livi descrive dettagliatamente
19
Su questi temi, cfr. G. DOTI, Il manicomio, la città, il territorio: un campo di relazioni transitorie, in I complessi manicomiali in Italia… cit., pp. 29-38, e A. GIANNETTI, Alla ricerca di Gheel, tra
amene campagne e decorosi quartieri: la Natura in manicomio, ibid., pp. 39-46.
20
M. PAROLETTI, Turin à la portée de l’étranger ou description des palais, édifices, et monumens
de science et d’art qui se trouvent dans cette ville et ses environs..., Turin, Frères Reycend et Comp.,
1826, pp. 114-115.
21
G.B. DE FERRARI, Nuova Guida di Napoli, dei contorni di Procida, Ischia e Capri compilata
su la Guida del Vasi, ed altre opere più recenti, Napoli, Tipografia di Porcelli, 1826, pp. 527-529.
22
F. PUOTI, Istituti di beneficenza e loro edifizi, in part. Manicomio, in Napoli e i luoghi celebri
delle sue vicinanze, Napoli, Stabilimento tipografico di Gaetano Nobile, 1845, II, pp. 283-286.
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lo stabilimento esistente, «nella sua giacitura e costruzione», e coglie anche l’occasione per esporre la sua idea di struttura diffusa, vagheggiando sulla collina
«quella specie di manicomio a villaggio, vale a dire a villette o capanne svizzere,
sparse in mezzo a boschetti e giardini»23, ispirata a modelli stranieri, che di fatto
non avrà luogo. Persino alla fine del primo quarto del Novecento, una popolare
guida di Arezzo si dilunga a illustrare il locale manicomio24.
Ancor più interessanti, nell’ambito della letteratura odeporica, i resoconti del
«voyage médicale» – autentico fortunato genere editoriale – sia di alienisti stranieri
in Italia25, sia di italiani interessati a un confronto con esempi europei, come quelli
di Cesare Castiglioni26, Giuseppe Girolami27, Serafino Biffi28. Dal punto di vista
della storia dell’architettura, importante risulta la rara presenza di tavole. Joseph
Guislain, ad esempio, pubblica nel 1840 le Lettres médicales de l’Italie, dove, accanto a considerazioni più generali sulla costituzione fisico-geografica della nostra
penisola, sul clima e i suoi riflessi sulla salute della popolazione, presenta un’ampia rassegna degli stabilimenti sanitari in genere, compresi i manicomi, analiticamente descritti e commentati, con 32 tavole nelle quali, sulla base di schizzi presi
«à la hâte», si illustrano, tra l’altro, mezzi di contenzione, serramenti e arredi dei
pochi asili dei folli esistenti all’epoca, ma anche le loro piante (il grande «carré»
ad h del Regio Manicomio di Torino, lo schema a panopticon di Genova, l’impianto a corte nell’adattamento del convento della Maddalena ad Aversa)29. Reciprocamente, più tardi (nel 1877), Paolo Funaioli documenta gli impianti dei
manicomi di Francia e Svizzera, individuando una linea di progresso, dai sistemi
a forme geometriche di Losanna, Berna, Brugg, a quelli più perfezionati a padiglioni di Bassens, Burghölzli, S.te Anne a Parigi, St. Pierre presso Marsiglia, al
sistema misto, ma regolare e ordinato di Bron vicino Lione, fino al sistema disseminato, «a case separate ma non simmetriche, d’un bello aspetto esteriore, distanti
23
C. LIVI, Manicomio di San Niccolò, in Siena e il suo territorio, Siena, Tip. nel R. Istituto dei
sordo-muti L. Lazzeri, 1862, pp. 324-364, in part. p. 329.
24
Cfr. U. PASqUI - U. VIVIANI, Guida illustrata storica artistica e commerciale di Arezzo e dintorni, Arezzo, Viviani, 1925.
25
Utile la recente pubblicazione del resoconto di viaggio di J. G. DESMAISONS DUPALLANS, La
Francia alla ricerca del modello e l’Italia dei manicomi nel 1840, a cura di P.L. CABRAS - S. ChITI - D.
LIPPI, con il contributo di E. CAMPANINI - D. VANNI, Firenze, University Press, 2006.
C. CASTIGLIONI, Sopra un viaggio ai più reputati Manicomii d’oltr’alpi e d’oltremare, in «Annali Universali di Medicina», CLV, 1856, fasc. 464, pp. 225-280.
26
27
G. GIROLAMI, Intorno ad un viaggio scientifico ai manicomi delle principali nazioni di Europa,
Pesaro, Tip. Nobili, 1854.
28
S. BIFFI, Reminiscenze di un viaggio nel Belgio e nella Francia, in «Gazzetta Medica ItalianaLombardia. Appendice psichiatrica», 1854-1856 (anche in estr. Milano, Tip. Giuseppe Chiusi, 1856).
Prima di lui, Stefano Bonacossa aveva già pubblicato Sullo stato de’ mentecatti e degli ospedali per i
medesimi in varii paesi dell’Europa: narrazione con osservazioni critiche, Torino, Tipografia Fratelli
Favale, 1847.
29
J. GUISLAIN, Lettres médicales sur l’Italie, avec quelques renseignements sur la Suisse; résumé
d’un voyage fait en 1838, adressé à la Société de Médecine de Gand, Gand, Imprimerie de F. et E. Gyselynck, 1840.
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assai l’una dall’altra, situate all’aperta campagna»30, da lui eletto a paradigma; e
proprio per rendere più efficace il confronto di modelli, l’alienista toscano si fa
accompagnare dal costruttore Agostino Andreucci, autore delle tavole - esclusivamente piante - che corredano il volume.
Nonostante la sua rilevanza, l’architettura manicomiale compare tardi e in misura limitata nella manualistica: a differenza della Francia, dove entra precocemente
a far parte del repertorio professionale, come dimostrano le tavole di asili di alienati
presenti nel Choix d’édifices publics projetés et construits en France depuis le commencement du XIXe siècle (1825-50), destinate a fornire indirizzi ai tecnici dei Départements, ben pochi sono gli esempi di manicomi italiani che possono essere
inclusi in simili raccolte, come – fra le rare eccezioni – le piante del Manicomio
Regio di Torino e di San Servolo a Venezia, che figurano rispettivamente nelle aggiunte al Recueil di Durand delle edizioni veneziane del 1834 e 185731. Occorrerà
attendere il nuovo secolo per assistere ai primi manuali specialistici prodotti anzitutto da alienisti (come il già citato testo di Tamburini, Antonini e Ferrari del 1918)
o da tecnici (il Manuale dell’Architetto per cura dell’architetto ing. Daniele Donghi, che nel 1927 annovera un’ampia rassegna dei manicomi italiani e stranieri
nella sezione sugli Stabilimenti sanitari curata da Renato Fabbrichesi).
Più tempestiva l’illustrazione sulle riviste. Il milanese «Il Politecnico. Giornale
dell’Ingegnere Architetto civile ed industriale» ospita nel 1877 il progetto di manicomio per 500 alienati compilato dall’architetto Gaetano Castelli per «essere di
norma in qualche parte ai novelli istituti, che debbono ancora presso di noi costruirsi»32 e documenta, negli anni Novanta, i manicomi di Napoli33 e Genova34;
altrettanto accade, talvolta, nei «Bollettini» dei collegi provinciali di ingegneri e
architetti, mentre un’importante tribuna nazionale di divulgazione dei più rilevanti
interventi architettonici, «L’edilizia moderna. Periodico mensile di architettura pratica e costruzione», oltre quello di Genova (nel 1897), nel 1900 descrive e illustra
con grafici e tavole i progetti per i due grandi impianti di Firenze e Palermo35.
30
P. FUNAIOLI, Una visita ai Manicomi della Svizzera e della Francia. Ricordi e studi, Siena, Tip.
dell’Ancora, 1877, p. 109.
31
Cfr. Raccolta e parallelo delle fabbriche classiche di tutti i tempi d’ogni popolo e di ciascun
stile di J.N.L. Durand con l’aggiunta di altre 300 e più fabbriche e monumenti d’ogni genere antichi e
moderni e della storia generale dell’architettura di J.G. Legrand opera pubblicata per cura de’ professori della I.R. Accademia di Belle Arti, Venezia, presso Giuseppe Antonelli, 1834, tav. Lxxx; Appendice alla raccolta e parallelo delle fabbriche classiche di tutti i tempi, di ogni popolo e di ciascun stile
di J.N.L. Durand comprendente parecchie fabbriche inedite moderne e tutte quelle pubblicate novellamente (…) per cura e studio di Francesco Zanotto, Venezia, Stabilimento nazionale di G. Antonelli
Editore, 1857, tav. xxI.
32
G. CASTELLI, Progetto di un Manicomio per cinquecento infermi d’ambo i sessi compilato sulle
norme dei più recenti dettami della scienza, in «Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto civile
ed industriale», xxV, 1877, pp. 129-137.
33
A. CANTALUPI, Della costruzione dei manicomi ed in particolare del nuovo progetto di Napoli, in
«Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto civile ed industriale», xxxIx (1891), pp. 353-367.
34
Manicomio provinciale di Genova in Quarto al mare. Eseguito su progetto dell’Ing. Vincenzo Canetti (con Tavole), in «Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto civile ed industriale», xLVI (1898),
pp. 32-38; 81-101.
35
Il nuovo Manicomio di S. Salvi a Firenze, in «L’edilizia moderna. Periodico mensile di archi-
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A parte che in riviste tecniche (come la torinese «L’Ingegneria sanitaria» del
1890, poi fusa con «L’Ingegnere igienista» del 1900)36, il tema figura anche su riviste
dedicate a tematiche assistenziali, come la milanese «Rivista della beneficenza pubblica e delle Istituzioni di previdenza»37, o medico-sanitarie, come il «Giornale della
Società Italiana d’Igiene», pubblicato a Milano dal 1879, e gli «Annali universali
di Medicina» (Milano, 1817-1874, poi «Annali universali di Medicina e Chirurgia»).
Ciò vale, a maggior ragione, per i periodici specialistici38, a iniziare dall’«Appendice
psichiatrica» della «Gazzetta medica italiana-Lombardia», fondata nel 1852 da Andrea Verga, all’epoca direttore del manicomio della Senavra, all’«Archivio italiano
per le malattie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali» (1864), alla
«Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale» (1875), capostipiti di un filone progressivamente tradottosi nelle riviste di neuropsichiatria.
Un’attenzione particolare meritano le pubblicazioni prodotte all’interno dei
manicomi che infatti, almeno negli impianti principali, dispongono di proprie stamperie dove sono impiegati gli stessi folli. Gli «Annali frenopatici italiani», organo
della Società frenopatica italiana, vengono impressi, dal 1863 al 1868, nell’attrezzata tipografia del manicomio di Aversa, che mette a stampa anche le opere dei direttori Biagio Miraglia e Gaspare Virgilio. A ciò si aggiunge una notevole messe
di pubblicazioni minute, costituite da bollettini, cronache, gazzette, deputate, inizialmente, non a compiti scientifici, ma a stabilire un collegamento informativo tra
le chiuse comunità dei manicomi e le famiglie dei ricoverati39: oltre a offrire una
testimonianza preziosa sulla vita corrente (le attività, le feste, le visite eccellenti),
e a documentare, con relazioni e tabelle, l’andamento dei ricoveri, i bollettini si
estendono a riportare la storia e la descrizione dei rispettivi istituti e a fornire notizie
di programmi edilizi e lavori. Dopo pubblicazioni antesignane – il «Giornale medico-storico-statistico del Reale Morotrofio del Regno delle Due Sicilie per la parte
Citeriore al Faro», voluto da Miraglia nel 1843, e, sempre nel Mezzogiorno bortettura pratica e costruzione», Ix (1900), 1, pp. 10-11; G. MISURACA, Il nuovo Manicomio di Palermo,
ibid., 6, pp. 41-42. Negli anni successivi, cfr. A. ROTTER, Il nuovo Manicomio provinciale di Mantova,
in «L’edilizia moderna», xxIII (1914), 10, pp. 64-67. Anche alla sua ripresa, dopo il 1931, la rivista
continua a dedicare spazio agli impianti manicomiali: cfr. G.B. MILANI - N. NOVELLETTO, L’Ospedale
psichiatrico di Rieti, in «L’edilizia moderna», 12, 1934, p. 47.
36
Prosegue nel 1905 come «Rivista di ingegneria sanitaria» e poi dal 1911 come «Rivista di ingegneria sanitaria e di edilizia moderna».
37
Così denominata dal 1873 al 1890, poi dal 1891 «Rivista della beneficenza pubblica», dal 1893
«Rivista della beneficenza pubblica e d’igiene sociale», infine «Rivista della beneficenza pubblica e
delle istituzioni di previdenza e di igiene sociale», edita a Roma dal 1896 al 1914.
38
Per una panoramica, cfr. G. PADOVANI, La stampa periodica italiana di neuropsichiatria e
scienze affini nel primo centenario di sua vita (1843-1943), Milano, hoepli, 1946.
39
Così nel primo numero del «Bollettino del Manicomio Provinciale di Ferrara» del 1874 : «Il
nostro periodico si raccomanda specialmente ai parenti dei malati, ai Sindaci e delegati comunali, ai
Farmacisti, ai Parroci della città e delle campagne, e a tutti quei filantropi che prendono interesse alla
sorte dei poveri alienati. I contadini e gli operai, che hanno la sventura di avere un loro congiunto nel
Manicomio, potranno averne notizie periodiche con facilità dal loro Sindaco o dal loro Parroco, per
mezzo di questa pubblicazione, la quale raggiungerà così il suo scopo principale, che è quello di lenire
il dolore e lo sconforto di tante famiglie».
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bonico, «Il Pisani Giornale psichiatrico della Real Casa dei matti di Palermo», fondato da Girolamo Valdaura nel 1853 – il fenomeno registra, nell’Italia postunitaria,
una notevole diffusione, sia pure con prodotti di breve vita editoriale, destinati
spesso a estinguersi nel giro di pochi anni: il «Diario dell’Ospizio di San Benedetto
in Pesaro» (1872); il «Bollettino del Manicomio Provinciale di Ferrara»; la «Cronaca del Manicomio Anconitano»; il «Diario del Manicomio Provinciale di Colorno» (tutti apparsi nel 1874); il «Giornale del Manicomio di S. Margherita in
Perugia»; la «Cronaca del Manicomio di Siena» e la «Gazzetta del Frenocomio di
Reggio» su iniziativa del direttore dello stabilimento di San Lazzaro, Carlo Livi,
che inaugurano le loro pubblicazioni nel 1875; la «Gazzetta del Manicomio di Macerata», varata nel 1878 durante la direzione di Enrico Morselli sulla scorta della
precedente «Cronaca»; alle quali fanno seguito, nei dieci anni successivi, i fogli
dei manicomi di Fermo, Novara, Milano in Mombello, Alessandria, Pavia in Voghera, Como, Cuneo in Racconigi40.
Carattere misto assume, nel Mezzogiorno, l’organo del Manicomio interprovinciale Vittorio Emanuele II a Nocera Inferiore, per il quale il suo fondatore (Federico Ricco, direttore del napoletano Ospedale della Pace e libero docente di
Clinica medica dell’Università partenopea) vara già nel 1883, anno dell’apertura
ufficiale della sede nel complesso dell’ex monastero di Monteoliveto, «Il Consorzio-Gazzetta medica», ancora stampato a Napoli, sostituito nel 1884 dal quadrimestrale «Il Manicomio», impresso nella tipografia dell’istituto, poi rinato nel 1888
con l’intitolazione «Il Manicomio Moderno»41, facendo seguire alla sezione medica
una Parte seconda con il rendiconto statistico e morale e, per un breve intervallo,
la rubrica Cronaca nella quale si dava conto delle attività dei ricoverati e delle costruzioni42. L’utilità di simili pubblicazioni come mezzo di comunicazione con
l’esterno è ancora confermata, agli inizi del nuovo secolo, dall’editoriale che apre,
nell’agosto del 1902, la «Cronaca del Manicomio di Arezzo»43, che affianca in tale
40
Cfr. ancora G. PADOVANI, La stampa periodica italiana di neuropsichiatria e scienze affini…
cit., cap. II, Bollettini, Cronache, Diari, Gazzette, etc. dei Manicomi italiani, pp. 15-26.
41
Il periodico cambierà più volte, nel corso della sua produzione, il sottotitolo: da «Giornale di
Psichiatria» diventa nel 1900 «Rivista di Psichiatria», poi nel 1901 «Archivio di Psichiatria e Scienze
affini», per mutarsi definitivamente, dal 1922 e fino al termine delle pubblicazioni, in «Giornale di Psichiatria e Scienze Affini».
42
Cfr. G. SALOMONE, Il Manicomio di Nocera Inferiore. Il «Vittorio Emanuele II» dal 1882 al
1924, quarto, Idelson-Gnocchi, 2004. Un’analitica disamina anche nella tesi sperimentale in Storia del
libro e dell’editoria di A. ACANFORA, Biblioteche e tipografie manicomiali: il caso di Nocera Inferiore,
Università degli studi di Salerno, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea triennale in Scienze dei
Beni culturali, relatore prof. V. Trombetta, a.a. 2010/2011.
43
La «Cronaca» viene definita quale «modesta pubblicazione periodica, che, bisogna dir subito,
è a tutt’altri indirizzata che ai medici. Potrebbe infatti parer strano ai Colleghi che mentre Bollettini
d’Istituti congeneri o hanno cessato le pubblicazioni, o vanno trasformandosi, noi si cominci in una
forma che tende a disusare. Oggi, si dice, la facilità di comunicazioni rende inutili o almeno tardive le
notizie dei malati date nei Bollettini e quindi viene a mancare uno degli scopi precipui per cui furono
istituiti: ed è giusto. Ma evvi in genere, in tali pubblicazioni, un’altra parte destinata alla cronaca del
Manicomio: e se anche questa può parere superflua in luoghi dove l’Istituto esiste da tempo, ciò non è
per la Provincia nostra (…) in cui purtroppo ben pochi hanno un concetto giusto ed esatto di quello che
sia oggigiorno un Manicomio».
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La ricerca universitaria per la conoscenza e la valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici
21
compito organi informativi locali, quali «La Provincia di Arezzo. Periodico settimanale per gli Atti delle Amministrazioni Pubbliche della Provincia», o «L’Appennino. Periodico della città e provincia di Arezzo» o «Il Cesalpino. Giornale
medico della Provincia di Arezzo».
Sia pure con scopi diversi, estesi piuttosto a documentare l’avanzamento della disciplina, il fenomeno delle riviste interne prosegue nel Novecento44, come dimostrano
il «Giornale di psichiatria clinica e tecnica manicomiale», organo del Manicomio di
Ferrara (1902-1930)45, o la rivista «L’igiene mentale» (1926-1935), trimestrale dell’Ospedale psichiatrico provinciale di Trapani, tradottosi negli «Atti della Lega italiana
di Igiene e Profilassi mentale», e i frequenti Annali, come: gli «Annali del Manicomio
provinciale di Perugia», che si inaugurano nel 190746; gli «Annali del Manicomio provinciale di Catanzaro in Girifalco», fondati nel 1914 dal direttore Bernardo Frisco; gli
«Annali dell’Ospedale Psichiatrico della Provincia di Genova», inaugurati nel 1929
nell’istituto di Cogoleto; gli «Annali dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Sassari»,
del 1945; gli «Annali dell’Ospedale Neuro-psichiatrico di Teramo»47 e gli «Annali
degli Istituti ospedalieri aquilani» del 1946-1947, o gli «Annali dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trapani» del 1954, per citare i casi più noti.
Per l’intero settore dei periodici si tratta di pubblicazioni a cadenza irregolare,
giunteci spesso incomplete e solo in parte consultabili presso le principali biblioteche pubbliche (eccezionalmente in rete, grazie a campagne di digitalizzazione),
più frequentemente confinate nelle biblioteche delle istituzioni dismesse. Tribuna
di confronti e di divulgazione di acquisizioni scientifiche, le riviste alimentavano
infatti, unitamente ad abbonamenti a testate straniere, le biblioteche specialistiche
degli stessi manicomi (riservate al direttore e al personale medico) che affiancavano
le biblioteche destinate ai ricoverati. Raramente ordinate e aperte al pubblico, simili
biblioteche conservano inoltre un vasto e prezioso repertorio di opuscoli, memorie,
relazioni a stampa, persino album illustrati recuperati durante i «viaggi d’istruzione
medica»48, ponendo oggi, analogamente agli archivi, un urgente problema di conservazione e fruizione.
44
Cfr. L. GUARDAMAGNA, Manuali e riviste per l’architettura dei manicomi, in I complessi manicomiali in Italia... cit., pp. 47-50.
45
Si traduce poi in «Giornale di Psichiatria e di Neuropatologia» dell’Ospedale psichiatrico provinciale di Ferrara (1931-1970).
46
Divengono poi «Annali del Manicomio provinciale di Perugia ed autoriassunti e riviste di psichiatria e neuropatologia» 1908-1922; «Annali dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale in Perugia»,
1923-1929; «Annali dell’Ospedale Psichiatrico Interprovinciale in Perugia», 1930; «Annali dell’Ospedale Psichiatrico di Perugia», 1931-1955; «Annali di Neurologia e Psichiatria e Annali Ospedale Psichiatrico di Perugia», 1956-1981.
47
Già nel 1945 come «Annali dell’Ospedale psichiatrico di Teramo», poi dal 1959 «Annali dell’Ospedale neuropsichiatrico interprovinciale di Teramo».
48
Nella Biblioteca del Leonardo Bianchi di Napoli, ad esempio, si conservano album e pubblicazioni che illustrano impianti italiani ed europei, in parte raccolti da Giuseppe Buonomo con l’ingegnere provinciale Francesco Saverio Suppa nel viaggio eseguito nel 1875 per studiare i migliori modelli
su cui progettare il manicomio napoletano.
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Cettina Lenza
Le fonti documentarie. – I complessi archivistici degli ex OP sono stati riconosciuti, almeno dagli anni ’90, quale giacimento fondamentale per gli studi sulla
storia della medicina e in particolare della psichiatria49. Il censimento capillare intrapreso all’interno del SIUSA, il recente moltiplicarsi di pubblicazioni di inventari50 – nella sola Campania, quelli dei manicomi di Napoli, Aversa, Nocera
Inferiore51 – e l’accessibilità on-line di alcuni di essi forniscono strumenti essenziali
ai ricercatori del settore. Ciò vale segnatamente per i fondi delle cartelle cliniche,
ritenute a giusto titolo – accanto ai registri di ricoveri e alle relazioni dei direttori
– documenti chiave per ricostruire lo sviluppo delle discipline psichiatriche, ma
anche per desumere informazioni a carattere più generale per una storia della follia,
come, ad esempio, i contesti sociali di provenienza dei ricoverati. La stessa attenzione si sta estendendo a documentazione non cartacea, ma affidata alla memoria
orale, specie per la fase finale dell’istituzione52.
Nel corso della ricerca è emersa con evidenza la rilevanza dei complessi archivistici anche per la storia dell’architettura, come fonti per ricostruire l’assetto originario dei manicomi (spesso alterato e talvolta, almeno in parte, perduto), le condizioni
che hanno condotto alla loro progettazione e realizzazione e lo svolgimento diacronico delle trasformazioni. Se gli stessi documenti di natura sanitaria possono chiarire
aspetti organizzativi e cause di modificazione, più direttamente pertinenti appaiono
le serie relative all’amministrazione (spesso corredate da statuti e regolamenti, verbali
di organismi di gestione e controllo), alle forniture (anche di impianti e attrezzature),
alla contabilità e soprattutto agli immobili e ai relativi lavori.
Nell’ambito dei documenti di natura amministrativa, fondamentali si sono rivelati gli atti dei Consigli e delle Deputazioni provinciali – talvolta messi anche a
49
A titolo esemplificativo, cito i contributi: M. MALAGNINO, L’archivio dell’Ospedale di Santa
Maria della Misericordia di Perugia come fonte per la storia della medicina, in Gli archivi per la storia
della scienza e della tecnica. Atti del convegno internazionale, Desenzano del Garda, 4-8 giugno 1991,
Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1995, pp. 1105-1115; PROVINCIA DI ROMA, ASSESSORATO
ALLA PUBBLICA ISTRUZIONE E CULTURA, Fonti per la storia della follia: Santa Maria della Pietà e il suo
archivio storico (secc. XVI-XX), Bari, Dedalo, 1994.
50
Tra gli esempi recenti, Archivio dell’Ospedale Neuropsichiatrico di Racconigi, a cura di D.
CAFFARATTO, Torino, hapax, 2010.
Cfr. Folia/Follia. Il patrimonio culturale dell’ex ospedale psichiatrico «Leonardo Bianchi», a
cura di G. VILLONE - M. SESSA, Salerno, Gaia, 2010; C. CARRINO - G. SALOMONE, L’Archivio dell’Ospedale psichiatrico «Vittorio Emanuele II» di Nocera Inferiore 1882-1998, presentazione di W. DI MUNZIO,
Nocera Inferiore, Fondazione CeRPS, 2011; C. CARRINO - R. DI COSTANZO, Le Case dei Matti. L’archivio dell’ospedale psichiatrico «S. Maria Maddalena» di Aversa 1813-1999, Napoli, Filema, 2011.
In coerenza con il titolo, il volume, dedicato al patrimonio culturale dell’ex OP Leonardo Bianchi, contiene anche un saggio sulla storia architettonica del complesso: cfr. C. LENZA, Storia e architettura del
«Leonardo Bianchi». Dal progetto di «manicomio modello» alla dismissione, in Folia/Follia… cit., pp.
37-82. Per un primo contributo su questo stesso tema, cfr. anche C. LENZA, Ex Ospedale Psichiatrico
Provinciale di Napoli «Leonardo Bianchi», in Dimore della conoscenza. Le sedi della Seconda Università degli Studi di Napoli, a cura di G. AMIRANTE - R. CIOFFI, Napoli, E.S.I., 2010, pp. 224-239.
51
52
Cfr., ad esempio, CENTRO PROMOZIONE PER LA SALUTE FRANCO BASAGLIA, Utopia e realtà: una
memoria collettiva. Ricordi e testimonianze per la fondazione di un Archivio della Memoria Orale dell’Ospedale Neuropsichiatrico di Arezzo, a cura di G. MIChELI, Arezzo, Provincia di Arezzo - Firenze,
Edifir, 2009.
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La ricerca universitaria per la conoscenza e la valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici
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stampa, ma non sempre di semplice reperibilità – nei cui processi verbali è possibile
seguire l’intero iter che ha condotto all’istituzione di un manicomio, dalla scelta
del luogo alle procedure di affidamento del progetto o dei lavori; ma anche le nomine, l’avvicendamento dei direttori, le risorse assegnate nei bilanci annuali e la
loro ripartizione. Altrettanto vale per la documentazione contabile e soprattutto tecnica, quest’ultima riferita, in larga parte, all’attività degli Uffici tecnici provinciali,
preposti molto spesso (la procedura del concorso resta limitata a pochi casi eccellenti) alla progettazione e alla direzione dei lavori sia di primo impianto che di ampliamento e modifica, o anche di semplice manutenzione. Si annoverano: dalle
planimetrie generali di esproprio o di acquisto dei suoli destinati al manicomio o
ai suoi ampliamenti e dipendenze, alle relative stime, agli elaborati progettuali del
complesso (grafici, computi, relazioni) riguardanti la definizione architettonica, le
reti impiantistiche, i dettagli costruttivi, gli arredi, fino ai materiali per le gare d’appalto e per le forniture (elenchi, capitolati, depliantistica). La documentazione testimonia anche ipotesi incompiute, progetti non realizzati, varianti successive,
rivelando il dibattito, spesso articolato, che ha accompagnato la nascita e la trasformazione dei complessi. Registri, inventari, verbali di visite e ispezioni, rapporti
medici, carteggi, inclusa la corrispondenza dei ricoverati, possono fornire ulteriori
tasselli conoscitivi per ricomporre il quadro complessivo.
Se l’aliquota più rilevante dei documenti degli ex manicomi si trova ancora in
sede, in numerosi casi essi sono stati versati negli Archivi di Stato53, e in minor percentuale, talvolta, a seguito della legge di riforma del sistema sanitario 833/1978,
in archivi comunali. Occorre tuttavia fare i conti con uno spettro più ampio di soggetti conservatori: preziosa documentazione amministrativa e tecnica (specie grafica) si conserva negli Archivi storici provinciali, e non trascurabile è anche la
presenza di materiali presso biblioteche, fondazioni e centri studio (come la Fondazione San Servolo-IRSESC, che conserva gli archivi dei manicomi veneziani di San
Servolo e San Clemente54, la Fondazione Marchi di Firenze, per i materiali del Manicomio di Fregionaia a Lucca, l’archivio de «La Memoria storica», Società Cooperativa di Cagliari per il Manicomio Villa Clara), e in archivi di singoli architetti
(Archivio Palazzotto di Palermo), soprattutto per i casi più recenti (come l’Archivio
Daniele Calabi, l’Archivio D. Baresi e l’Archivio privato Martucci55).
Disomogenee le condizioni di fruizione. Gli archivi degli ex OP, oggi di competenza delle ASL, figurano spesso privi delle risorse – a iniziare dal personale –
La ricerca ha segnalato la provenienza di materiali dagli Archivi di Stato di Ancona, Ascoli Piceno, Catania, Catanzaro, Cremona, Ferrara, Firenze, L’Aquila, Lecce, Lucca, Macerata, Mantova, Novara, Pesaro, Piacenza, Perugia, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Rieti, Sassari, Siracusa, Torino.
53
54
PROVINCIA DI VENEZIA, L’archivio della follia. Il manicomio di San Servolo e la nascita di una
Fondazione. Antologia di testi e documenti, a cura di M. GALZIGNA - h. TERZIAN, Venezia, Marsilio,
1980; AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI VENEZIA, La follia, la norma, l’archivio. Prospettive storiografiche e orientamenti archivistici, a cura di M. GALZIGNA, Venezia, Marsilio, 1984.
55
Di grande interesse la documentazione relativa alle Fondazioni Don Uva, con materiali grafici
degli ingegneri Libero e Demetrio Martucci e dell’architetto Marcello D’Olivo, su cui vedi C. DE FALCO,
Le Case della Divina Provvidenza nell’Italia meridionale, in I complessi manicomiali in Italia… cit.,
pp. 306-314.
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Cettina Lenza
per consentire la consultazione da parte degli studiosi. Non sempre ordinati e raramente aperti al pubblico risultano gli archivi storici provinciali. Senza considerare
che la storia post-dismissione dei complessi – anch’essa inclusa nella nostra analisi
– prevede il rinvio a documentazione presente in archivi correnti di differenti amministrazioni pubbliche. Anche il lungo elenco proposto non esclude, comunque,
altri possibili percorsi dei documenti56, così come non esaurisce il più generale panorama delle fonti, da estendere a fotografie, filmati, documentari. Persino il contributo ben noto della letteratura e del cinema, nei numerosi casi in cui l’ospedale
psichiatrico offre il tema o l’ambientazione della vicenda, arricchisce la nostra conoscenza dei significati e valori intangibili del microcosmo manicomiale, comprovando la rilevanza e pervasività di una realtà oggi negletta, o rimossa.
Attualità e prospettive. – Se il compito dello storico richiede di consultare e
intrecciare più fonti, di diversa natura e tipologia, la cui numerosità risulta proporzionale alla «densità» dell’oggetto, la storia dell’architettura vanta una specificità,
potendosi svolgere in praesentia della sua fonte primaria, in questo caso gli stessi
complessi manicomiali. La lettura di tali «documenti», nella loro evidenza fisica,
ha richiesto accurati sopralluoghi e rilievi fotografici, insieme al reperimento di
materiali cartografici e grafici di stato attuale.
Anche questa indagine non è risultata priva di problemi, a partire dall’accessibilità ai complessi, specie per quelli in disuso, talvolta inagibili e spesso chiusi, e
dalla difficoltà, per quelli recuperati, di identificarne l’assetto originario al di sotto
delle trasformazioni successive. Il destino degli ex OP all’indomani della legge 180
del 1978 e del processo di dismissione, protrattosi lungamente per travalicare, in
qualche caso, la soglia del nuovo millennio, restituisce, infatti, un panorama estremamente diversificato, che va dalla totale cancellazione dell’impianto – come è accaduto all’OP di Reggio Calabria, dismesso e demolito nei primi anni Novanta, a
eccezione della cappella, per lasciare posto alla Scuola Allievi Ufficiali dell’arma
dei carabinieri – alla rifunzionalizzazione radicale che ha comportato la perdita della
memoria dei luoghi (così è stato per il San Clemente a Venezia, oggi albergo di
lusso). Di un recupero integrale, sia pure con forzato adattamento dei caratteri storici,
si può parlare anche per il Sant’Artemio di Treviso, dove nel 2009 sono stati concentrati tutti gli uffici della Provincia, trasferendovi i circa 650 addetti. A parte le
amministrazioni locali (il Regio Spedale dei Pazzi di Torino ospita da tempo servizi
comunali), l’Università ha svolto un ruolo significativo nel riuso dei complessi, con
l’insediamento delle Facoltà di Agraria e Veterinaria a Grugliasco, quella di Architettura a Ferrara, le sedi dipartimentali a Trieste e l’impegnativo investimento dell’Università di Siena sia negli immobili principali del locale manicomio di San
Niccolò, sia in quelli del manicomio di Arezzo; a Perugia si è insediato da anni un
centro di istruzione superiore e a Macerata e a Reggio Emilia si è programmata la
trasformazione di alcuni immobili a destinazione residenziale-universitaria.
56
Tra gli approdi inaspettati, un esempio è fornito da alcune pagine del diario inedito di Gabriele
Bonfatti, direttore dell’Ospedale per le malattie mentali in Rieti (1940 e 1960) apparse nel recente romanzo di A.C. PONTI, Argo. Una storia italiana, Perugia, Murena, 2013.
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La ricerca universitaria per la conoscenza e la valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici
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Nella maggioranza dei casi sopravvivono nelle strutture funzioni sanitarie e
socio-assistenziali, compresi centri di servizio psichiatrici e residenze sanitarie assistite, convivendo raramente con altre destinazioni (a Nocera Inferiore con la cittadella giudiziaria) e assai più spesso con la mancanza d’uso. All’interno del
medesimo complesso, recupero e rifunzionalizzazione si alternano a degrado e fatiscenza, che colpiscono segnatamente le costruzioni di servizio, e talvolta anche i
padiglioni, rispetto ai meglio conservati edifici direzionali, senza considerare le
condizioni degli spazi complementari e del verde; laddove le condizioni di abbandono non diventano prevalenti, come in non pochi complessi del centro-sud (Pesaro, Teramo, Aversa, Napoli), ma anche nel nord (tra i casi più eclatanti, il grande
Manicomio di Mombello a Limbiate).
L’obiettivo della conservazione integrata, che prevede l’inserimento di funzioni
al tempo stesso compatibili con i valori da preservare e utili nel quadro sociale, si
configura come difficile sfida. La presenza di funzioni medico-sanitarie, apparentemente affini alla destinazione iniziale, non sempre garantisce il rispetto dei caratteri
originari, specie a scala architettonica, a causa dell’inevitabile adeguamento degli
immobili, e altrettanto vale per l’inserimento di attività di servizio (socio-assistenziali, formative, ecc.), mentre la destinazione a verde attrezzato e a servizi culturali
nell’ottica di una «musealizzazione», non riesce a giustificare il recupero complessivo, attesa la vastità dei complessi e il proporzionale impegno economico. A sua
volta, l’esperimento del «Paolo Pini» di Milano (un tempo Grande Astanteria Manicomiale di Affori), volto a coniugare l’assistenza sanitaria con la presenza delle
Botteghe d’arte e del MAPP (Museo d’Arte Paolo Pini), resta un caso singolare.
Eppure, i complessi manicomiali si propongono, oggi, come risorse strategiche,
in grado di candidarsi – per la loro dimensione, la posizione, per lo più prossima e
ben collegata ai centri abitati, la presenza di giardini e parchi spesso con essenze
di pregio, che offrono rari polmoni di verde pubblico – come attrezzatura satellite
a valenza territoriale, autentici fulcri di riequilibrio, in grado di sanare, stavolta,
una nuova forma di disagio sociale, quello ingenerato dalla congestione delle nostre
città. Salvo rari episodi – come per il Manicomio provinciale di Trieste, dove è intervenuta la piena integrazione del complesso nel tessuto cittadino, a iniziare dal
verde e dalla maglia viaria un tempo a esclusivo servizio dell’istituto – anche i
complessi recuperati rimangono comunque entità separate dall’organismo urbano.
Negli interventi da programmare andrebbe tenuta in conto una scala gerarchica,
secondo la quale, tra i valori da tutelare, si pone in primo luogo l’impianto generale,
il che richiede un progetto unitario, spesso ostacolato anche dal frazionamento delle
proprietà e delle competenze. L’unitarietà del progetto non esclude, tuttavia, la diversificazione delle funzioni, né la collaborazione coordinata tra soggetti pubblici e
privati. Ben più difficile preservare il valore testimoniale a scala architettonica e
degli interni (compresi impianti, finiture, arredi), spesso delegato a singoli spazi
museali (come per il Padiglione Lombroso a Reggio Emilia57). Infine, viene quasi
57
Cfr. Per un museo storiografico della psichiatria. Atti del «Concorso pubblico di idee per la
attivazione di un museo storiografico della psichiatria» bandito dagli Istituti Psichiatrici S. Lazzaro di
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sempre trascurato il patrimonio documentario, che, adeguatamente conservato e
aperto alla pubblica fruizione, potrebbe fornire un significativo apporto alla conoscenza e alla memoria (tra le poche eccezioni: il Santa Maria della Pietà a Roma,
dove nel 1991 è sorto il Centro studi e ricerche per tutelare e valorizzare il patrimonio storico-scientifico dell’ex ospedale psichiatrico, compresi la biblioteca scientifica
e l’archivio58, e nel 2000 il Museo laboratorio della mente; o il caso di Arezzo, dove
al recupero degli immobili adattati a sede universitaria si è accompagnato, in collaborazione tra diverse istituzioni, anche quello dell’archivio sanitario59).
Le esperienze straniere hanno costituito, in proposito, un interessante termine
di paragone. In Francia, l’Asile de Bron, sorto vicino Lione nel 1876 su una superficie di 37 ettari con progetto dell’architetto Antonin Louvier, trasformato nel 1937
in hôpital Départemental e ampliato fino a raggiungere, con gli annessi agricoli,
un’estensione di 112 ettari, costituisce oggi il Centre hospitalier Le Vinatier, e rappresenta uno dei due centri ospedalieri pubblici a servizio dei secteurs psychiatriques (12 per adulti e 9 infantili) del Dipartimento del Rhône stabiliti dopo la
trasformazione del sistema di cura in psychiatrie de secteur. Pur conservando la
destinazione medica per malattie mentali, Le Vinatier è stato organizzato in poli di
attività cliniche e medico-tecniche, con una diversificazione dei servizi e delle funzioni (compresa la prosecuzione dell’attività agricola). Alcuni tra i suoi edifici di
interesse storico-architettonico (come la cappella), fulcro del complesso, sono stati
restaurati; in altri casi, i padiglioni sono stati trasformati per tener conto delle esigenze attuali; per gli alloggi dei pensionanti, demoliti, i resti dei portali sono stati
rimontati liberamente come arredi del parco agricolo. Iniziative e mostre allestite
nella Ferme du Vinatier, sede dei servizi culturali presso la colonia agricola, e persino visite guidate dimostrano l’intento di conservare una memoria consapevole
della storia della psichiatria, mentre a sua volta il patrimonio documentario – disegni e foto d’epoca – è stato digitalizzato e reso acessibile sul sito del Patrimoine
de Rhône-Alpes.
Un esito del tutto differente segna il destino dello storico complesso del Littlemore hospital, già Oxford County Lunatic Asylum, manicomio per pazzi poveri
sorto nel 1846. Dopo la sua chiusura nel 1996, il complesso è stato venduto a privati
e trasformato in struttura residenziale con il nome di St George’s Manor. Ben leggibili sono, a parte la cappella e la casa del direttore, i grandi corpi simmetrici ad
Reggio Emilia il 6 marzo 1978, in «Rivista sperimentale di Freniatria e Medicina legale delle alienazioni
mentali», CIII (1979), suppl. al fasc. III.
58
PRESIDENZA DELLA PROVINCIA DI ROMA - MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITà CULTURALI - ASL
ROMA E - CENTRO STUDI E RICERChE S. MARIA DELLA PIETà, L’Ospedale S. Maria della Pietà di Roma,
I. L’archivio storico, secc. XVI-XX, a cura di A. BONELLA - N. PASTINA - R. SIBBIO, Bari, Dedalo, 2003.
59
Cfr. Inventario dell’Archivio storico dell’Ospedale Neuropsichiatrico di Arezzo, a cura di S.
GhERARDI - P. MONTANI, revisione di A. ANTONIELLA - L. GIUVA, presentazione di L. GIUVA, introduzione
e nota archivistica di S. GhERARDI, Montepulciano, Le Balze, 2004. Al recupero del San Niccolò, promosso dall’Università di Siena, si è accompagnata una pubblicazione sul suo patrimonio storico-artistico
e anche architettonico, per il quale ultimo cfr. S. COLUCCI, Il San Niccolò di Siena da monastero francescano a villaggio manicomiale: storia, architettura e decorazione (1810-1950), in San Niccolò di
Siena. Storia di un villaggio manicomiale, a cura di F. VANNOZZI, Milano, Mazzotta, 2007, pp. 79 -104.
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ali per le due categorie di alienati distinte per sessi. In questo caso, nulla – a parte
la sua architettura – rinvia alla destinazione originaria, mentre la ricca documentazione grafica, confluita negli Oxfordshire health Archives, è agevolmente consultabile presso il vicino Oxfordshire history Centre.
Una terza via è esemplificata dal Manicomio di Illenau ad Achern, nel Baden,
celebre e prestigioso – all’epoca – per l’impostazione che il suo fondatore, Wilhelm
Roller, diede all’asilo, traducendolo, con progetto di Johann hans Voss, in un complesso articolato di corpi variamente disposti e aperti verso il paesaggio circostante
per stimolare la ricettività del Gemüth. Oggi il complesso ospita uffici comunali,
laboratori artistici, e, nel cuore dell’edificio direzionale, la Festsaal per ricevimenti,
mentre numerosi padiglioni sono stati adibiti a residenze, anche mediante massicci
interventi di ristrutturazione, determinando, complessivamente, la compresenza di
una molteplicità di funzioni che conferisce comunque al complesso la vitalità di
un quartiere urbano. La documentazione iconografica storica (specie foto d’epoca)
è conservata presso l’Acherner Stadtarchiv, di recente trasferito proprio nei locali
dell’ex manicomio (reparto agitate), insieme alla biblioteca e ad altri materiali relativi alla storia della città, potendosi avvalere di ampi spazi (circa 300 mq) per la
conservazione e la fruizione pubblica. D’altro canto, la difesa della memoria del
luogo è attestata anche dalla presenza di gadgets dedicati al manicomio nel locale
ufficio turistico.
In definitiva, il riconoscimento di una condizione di patrimonio culturale integrato, costituito da un sistema articolato di beni materiali e immateriali, di diversa
natura e tipologia – dagli edifici ai documenti, dalle testimonianze scritte e iconografiche a quelle affidate alla memoria orale – può costituire la chiave più corretta
per affrontare politiche di conservazione e valorizzazione. La ricerca fin qui sviluppata sull’architettura manicomiale ha inteso fornire una prima indispensabile
base di conoscenza, nella convinzione che solo facendo dialogare le diverse fonti
è possibile dare conto di forme storicamente stratificate e rendere ragione dei significati culturali che in esse si sono inscritti. A sua volta, solo una compiuta lettura
può soddisfare esigenze scientifiche e consentire valutazioni critiche per gestire,
progettualmente, il destino delle tracce fisiche pervenuteci, operando le inevitabili
scelte e selezioni. Vale a dire per guidare nelle decisioni di ciò che occorre preservare integralmente alla memoria, in quanto documento materiale irriproducibile
(restauro per i monumenti, conservazione per i documenti), di ciò che può essere
oggetto di trasformazione (ristrutturazione, riordinamento), e di quanto può essere
sacrificato (la demolizione di volumi incongrui, lo scarto di documentazione cartacea). A sua volta, il ricorso al web e a «surrogati digitali» fornisce uno strumento
efficacissimo per assicurare la tutela del passato (degli originali), e per renderlo
accessibile e comunicativo nei confronti delle comunità presenti e future alle quali
appartengono. Che non sono solo quelle radicate nel luogo, ma quelle, più ampie,
della società della conoscenza.
CETTINA LENZA
Seconda Università degli studi di Napoli
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Cettina Lenza
Veduta a volo d’uccello del Manicomio provinciale di Napoli nel complesso di San Francesco di Sales secondo il progetto irrealizzato di Francesco Saverio Suppa e Giuseppe Buonomo del 1877 (Biblioteca Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli).
Ernesto di Sambuy, Progetto di Giardino per l’Entrata Sud del Manicomio d’Imola, 1877
(Biblioteca comunale di Imola, Archivio storico comunale, Manicomio).
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STORIA, TUTELA, VALORIZZAZIONE
DEI COMPLESSI MANICOMIALI NEI TERRITORI CENTRO-ITALIANI
All’interno del progetto nazionale1, l’Unità di ricerca di Camerino ha condotto
l’indagine su tredici luoghi di ricovero dei ‘folli’ nei territori dell’ex Stato della
Chiesa – Lazio (Roma e Ceccano, Rieti, Viterbo), Marche (Pesaro, Macerata, Ancona, Fermo), Umbria (Perugia), Emilia (Bologna, Imola, Ospedale psichiatrico
provinciale Luigi Lolli e Ferrara, Ospedale psichiatrico dell’Osservanza) – includendo inoltre negli studi i quattro casi esterni ai territori pontifici, ma oggi parte
dell’Emilia-Romagna, rappresentati dagli ospedali psichiatrici di Reggio Emilia,
Piacenza, Parma in Colorno e Forlì2. Delimitato l’ambito culturale e geografico, si
è esaminata una serie selezionata di luoghi, di manufatti, di esperienze tecnico-progettuali e artistiche costituenti l’ossatura di un nuovo modo di rapportarsi della cultura architettonica e urbanistica al tema degli spazi della follia. Sul piano
cronologico si è scelto di prediligere la fase compresa tra la fine del xIx secolo e
l’inizio del xx, momento di discontinuità tra una tradizione di cultura tardo-illuminista e la manifestazione di un quadro innovativo di ricerche e linee di tendenza.
Non si sono, tuttavia, tralasciate né le vicende preunitarie, spesso matrici di un sistema istituzionale dalle solide radici, che ha avuto i suoi effetti anche dopo l’Unità,
né quelle del primo e del secondo dopoguerra, fino all’oggi.
Più considerazioni possono farsi sul valore di questi complessi. Innanzi tutto
va detto che la riconversione degli ex ospedali psichiatrici provinciali, successiva
alla loro dismissione, nei territori dell’Italia centrale ha seguito itinerari diversi, in
molti casi non ancora completati. È questo un argomento non marginale nell’attuale
panorama urbanistico, sia sul piano quantitativo – trattandosi di un’area complessiva, esclusa la Toscana, di circa 3.500.000 mq, di cui 240.000 di superficie edificata – sia su quello qualitativo, poiché pressoché tutti gli impianti ancora esistenti
hanno caratteristiche di pregio. Costituiscono concretamente un notevole patrimonio ambientale e architettonico da tutelare e valorizzare, che sembra però accogliere
con difficoltà le nuove destinazioni d’uso, spesso non compatibili con la funzione
1
Si veda, in questo numero, il contributo di C. LENZA, Memoria e futuro: la ricerca universitaria
per la conoscenza e la valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici in Italia.
2
L’indagine è stata coordinata da Maria Luisa Neri e Gerardo Doti e alla ricerca hanno partecipato,
per l’Emilia Romagna, Beatrice Bettazzi, Enrico Iori e Francesca Talò; per l’Umbria, Simona Salvo e
Francesco Di Lorenzo; per le Marche, oltre ai responsabili scientifici, Fabio Pasquaré; per il Lazio, Isabella Salvagni e Raffaella Catini.
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Maria Luisa Neri
originaria, tanto da aver subito in più casi operazioni di lottizzazione e frammentazione in diversi nuclei funzionali e proprietari, quando non addirittura sono stati
lasciati in uno stato di parziale o totale abbandono. Svelando con ciò una gestione
perlopiù strabica delle risorse economico-culturali italiane, che si evidenzia con
aspetti di forte criticità anche nel campo della pianificazione.
In un’altra chiave interpretativa, si può affermare che, qualunque percorso si
voglia fare attraverso gli spazi della follia, non si può prescindere da quello della
psichiatria e delle sue finalità teoriche, data la sincronia tra la costruzione dei sistemi spaziali finalizzati alla terapia e il metodo di cura della malattia mentale. Tralasciati i tentativi d’Antico Regime e gli esperimenti settecenteschi, l’origine ha
coinciso con la fase in cui il manicomio inizia a essere concepito come cittadella
autonoma. Da metà Ottocento, di fatto, diviene uno spazio elettivo, dove la ragione
medica e la logica architettonica, stabilita fra loro una forte sinergia operativa, definiscono un accurato programma pratico e un modello insediativo caratterizzante
la nuova istituzione, sorta di macchina ideale per curare i malati mentali3. Un percorso che nell’Italia postunitaria si apre con la legge 36/1904, per chiudersi con la
180/1978: settantaquattro anni di storia legislativa, solo in parte coincidenti con le
reali vicende che hanno connotato la costruzione fisica dei manicomi e il loro funzionamento.
Una ulteriore questione riguarda la qualità estetica dei luoghi dove sorgono i
complessi manicomiali. Chiunque vi acceda non può che ammirarne la qualità ambientale, paesaggistica e architettonica, laddove si metta da parte la realtà di una
presenza inquietante, che ha significato anche emarginazione, segregazione e dolore
della diversità; tuttavia, se visti nell’ambito della cultura che li ha generati, quelli
manicomiali sono stati certamente spazi privilegiati, dove accogliere e curare l’alienato mentale. Per circa un secolo questi spazi hanno costituito nel territorio elementi ben riconoscibili. In particolare dopo l’Unità d’Italia, la scelta del sito più
idoneo alla cura dei malati mentali era stata una delle voci più importanti da considerare, come lo erano state la questione del rispetto di un’idonea distanza dalla
città, per isolare i malati e proteggere i sani, e quella dell’accurata progettazione e
costruzione degli edifici di accoglienza e direzione. Nella maggior parte dei casi
opera di sconosciuti ingegneri o architetti provinciali – ma non mancano nomi illustri, sempre affiancati da noti alienisti, che sono anche ideatori di progetti –, nell’insieme gli ex ospedali psichiatrici raggiungono una tale qualità ambientale e
architettonica da costituire oggi un patrimonio culturale di notevole valore, spesso
poco o mal utilizzato, da restituire alla collettività come risorsa.
Spazi di ricerca tra storiografia, fonti archivistiche e manufatti architettonici. – Se lo scenario degli studi storici sul tema del controllo e cura della follia ha
restituito un’esuberante produzione scientifica – soprattutto in ambito giuridico,
amministrativo, sanitario e psicomedico, con numerosissimi e interessanti contri3
M. DEGANI - A. GORLA, Dal recinto alla macchina. Architettura e psichiatria nella definizione
degli spazi istituzionali, in Follia, psichiatria e società: istituzioni manicomiali, scienza, psichiatria e
classi sociali nell’Italia moderna e contemporanea, a cura di A. DE BERNARDI, Milano, Franco Angeli,
1982, pp. 402-412.
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buti di storia della psichiatria – al contrario, la storiografia architettonica ha prodotto un quadro d’insieme notevolmente frammentato, con una netta prevalenza di
ricerche locali a carattere monografico elusive, per loro stessa natura, della complessità e dell’ampiezza delle questioni che ruotano intorno al tema. In sostanza il
tema in oggetto – i complessi manicomiali – non è mai stato preso in seria considerazione né dalla storia urbana né da quella architettonica, forse perché ritenuto
argomento di secondo piano, spesso opera di figure professionali non emergenti o
frutto della collaborazione di differenti discipline.
In mancanza di tale produzione storiografica, ci si è appoggiati, in primo
luogo, alle assai fruttuose e chiarificatrici pubblicazioni degli stessi autori (architetti
e ingegneri, alienisti e psichiatri) che hanno redatto i progetti dei complessi manicomiali, in occasione dei quali hanno spesso pubblicato relazioni, testi descrittivi
e immagini delle costruzioni. Basti pensare alle numerose opere di famosi alienisti
o psichiatri – Ferdinando Ugolotti, Romolo Righetti, Augusto Tamburini, Francesco
Roncati, Luigi Lolli, Enrico Morselli, Giuseppe Girolami, Filippo Cardona, Clodomiro Bonfigli, Augusto Giannelli, Cesare e Giulio Agostini – che nei loro scritti
affrontano non solo questioni mediche ma elaborano principi tipologici e costruttivi
da applicare ai manicomi. Vanno anche ricordati i contributi meno numerosi ma
assai più dettagliati in termini progettuali e costruttivi, di architetti e ingegneri, tra
cui gli studi di Antonio Zannoni, Francesco Azzurri, Edgardo Negri.
È però l’Azzurri che può essere considerato un vero specialista nella progettazione di manicomi, avendo dedicato gran parte della sua attività, tra il 1824 e il
1901, a questo tema, prima a Perugia, poi a Roma (Lungara e Gianicolo)4, Alessandria e Siena. A lui è riconosciuta la priorità nell’aver propugnato in Italia il manicomio-villaggio, proposto dopo aver visitato diversi stabilimenti in Italia e
all’estero. Amico di Carlo Livi, collaboratore di Tamburini e socio della Società
medico-psicologica parigina, si affida agli scritti di Castiglione, Bonacossa, Trompeo, Girolami e Monti, mentre per la progettazione del manicomio-villaggio, ritiene
fondamentale la lettura dell’opuscolo di Andrea Verga, Il manicomio e la famiglia
(Milano 1879); reputa, inoltre, che sia indispensabile tener conto del clima, delle
abitudini e delle caratteristiche della città nella quale il manicomio sarà costruito.
Non stupisce tale considerazione se si tiene conto della sua attiva partecipazione
all’ambiente culturale dell’Associazione artistica fra i cultori di architettura di
Roma, che poneva al centro dei propri interessi proprio questi temi.
Della stessa Associazione farà parte anche Edgardo Negri, autore del manicomio di Santa Maria della Pietà a Sant’Onofrio (1914), che nei suoi scritti illustra
con dovizia di particolari il suo lavoro di progettista nel campo delle costruzioni
sanitarie, tanto che il manicomio romano sarà considerato da Tamburini l’equivalente architettonico della legge del 19045. Anche per quest’attiva partecipazione
4
F. AZZURRI, Il manicomio di S. Maria della Pietà in Roma ampliato e recato a nuove forme ...,
dal professore architetto Francesco Azzurri, Roma, Tip. B. Guerra, 1864; ID., Riforme e miglioramenti
eseguiti dal 1862 al 1893 nel manicomio di Santa Maria della Pietà in Roma, ora manicomio provinciale, Roma, Tip. Edoardo Perino, 1893.
5
A. TAMBURINI, I manicomi italiani all’esposizione internazionale d’igiene sociale. Roma 1912,
Roma, Tip. Editrice, 1913.
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culturale, nei complessi manicomiali del Lazio di fatto si stabilirà una forte continuità teorica e pratica tra l’omonimo manicomio al Gianicolo, opera di Azzurri,
che nel 1877 ne aveva normato i contenuti con l’invito ad abbandonare le «forme
simmetriche o monumentali»6, e i successivi ospedali psichiatrici di Sant’Onofrio
a Roma e Rieti (1932), quest’ultimo opera di Giovanni Battista Milani, anch’egli
parte dello stesso ambiente intellettuale romano.
Altrettanto utili sono state le pubblicazioni interne agli stessi manicomi, di
cui le più famose nell’Italia centrale sono il «Diario dell’Ospizio di San Benedetto
in Pesaro», il «Bollettino del manicomio provinciale di Ferrara», la «Cronaca del
manicomio anconitano», il «Diario del manicomio provinciale di Colorno», il
«Giornale del manicomio di S. Margherita in Perugia», la «Gazzetta del manicomio» di Macerata e i fogli del manicomio di Fermo, poi proseguiti con nuove titolazioni. Tutti questi testi sono ricchissimi di notizie sulle vicende che hanno
connotato la storia e la vita interna delle strutture, riportando in molti casi anche
notizie dettagliate sulle costruzioni effettuate. Inoltre, lì dove è stato possibile contare su edizioni a stampa, informazioni importanti sono emerse dai verbali dei Consigli provinciali, che hanno contribuito a ricostruire il dibattito interno su diverse
questioni, non solo costruttive.
Un caso a sé è rappresentato da un prezioso volume, gentilmente segnalatomi
da Cettina Lenza – Icnografie principali del Nuovo manicomio costruito dalla Provincia di Macerata in Sa. Croce, [Macerata], s. e., 1871 –, contenente i disegni originali del manicomio maceratese e conservato dalla Biblioteca storica dell’ex
Ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli. Probabilmente fu inviato, insieme alla lunga relazione da lui redatta sul nuovo stabilimento da costruire a Macerata, dall’alienista Filippo Cardona, consulente e supervisore del progetto
maceratese, a Biagio Gioacchino Miraglia, direttore del manicomio di Aversa, per
avere il suo illuminato parere; su suggerimento di quest’ultimo, nel manicomio di
Santa Croce sono poi state apportate una serie di modifiche nella distribuzione funzionale dei vani.
L’indagine sugli impianti manicomiali si è però avvalsa, in primo luogo, dei
complessi documentari presenti oltre che negli Archivi di Stato, negli archivi storici
provinciali e comunali, negli archivi degli ospedali psichiatrici, delle aziende sanitarie, in archivi di architetti, presso centri di studi e ricerche, biblioteche e, in alcuni casi, in raccolte fotografiche pubbliche e private. Il vasto materiale consultato
ha consentito di approfondire gli aspetti più propriamente urbani e architettonici
dei complessi manicomiali, ma in molti casi l’enorme quantità di documenti individuati ha reso particolarmente difficile la loro selezione; ciò anche in ragione dei
contenuti non sempre esplicitamente riferiti alla specifica disciplina architettonica,
anche se ritenuti suscettibili di un riesame secondo gli interessi peculiari della storia
6
F. AZZURRI, Intervento al II Congresso della Società freniatrica italiana (Aversa 1877), in «Archivio italiano per le malattie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali. Organo della
Società freniatrica italiana», 1877. Sul progetto del manicomio al Gianicolo, ritenuto assai meritevole
dall’alienista belga Ducpétiaux e dal francese Brierre di Boismont, e sulla proposta di Azzurri, Su un
sistema di manicomio disseminato, presentata al III Congresso della Società freniatrica di Reggio Emilia
(1880), si erano espressi favorevolmente anche gli alienisti italiani Trompeo, Castiglione e Bonacossa,
oltre al francese Chaslin.
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dell’architettura e dell’urbanistica, in specie per gli aspetti inerenti sia il disegno
d’insieme sia le soluzioni tecnico-costruttive.
Non sempre, tuttavia, è stato facile accedere ai diversi fondi archivistici, in
particolare quelli conservati dagli archivi storici provinciali e dalle aziende sanitarie, che pure detengono materiali di particolare interesse. In alcuni casi, a esempio
per il Santa Maria della Pietà di Roma, non è stato possibile consultare gli innumerevoli disegni originali del progetto esecutivo, illustrato attraverso ben 127 tavole e 231 disegni come attestato da un documento, poiché a tutt’oggi questo
imponente materiale grafico non è stato reperito: sembra sia andato perso, ma non
se ne conoscono né i motivi né le modalità. In questa circostanza, alcune immagini
progettuali sono state tratte dalle pubblicazioni dello stesso autore del complesso
romano, l’ingegnere Edgardo Negri. Diverso è il caso dell’Ospedale psichiatrico
di Rieti, i cui disegni, opera dell’architetto Giovanni Battista Milani, lungamente
conservati nell’archivio privato del professionista, alcuni anni orsono sono stati
depositati presso l’Archivio centrale dello Stato.
In altri esempi, così è per il manicomio maceratese, i documenti grafici conservati presso l’Archivio di Stato di Macerata sono talmente sovrabbondanti e ricchi
di dettagli che è stato inevitabile, e anche particolarmente complesso, selezionare
i disegni da sottoporre a verifica.
La ricerca su gran parte degli altri complessi esaminati sia nelle Marche sia in
Emilia Romagna e Umbria, i cui progetti sono oggi conservati in diverse istituzioni
pubbliche, ha portato all’individuazione di una considerevole produzione grafica.
Se le relazioni e le testimonianze grafiche hanno rappresentato le principali
fonti di notizie per ricostruire le vicende storico-architettoniche dei complessi manicomiali, negli studi effettuati non sono certo rimasti in secondo piano i resoconti
fotografici d’epoca, tra i principali strumenti utilizzati per avvalorare, o altrimenti
invalidare, molti dati tratti dalle due precedenti descrizioni.
Tuttavia, per chi, come il nostro gruppo di lavoro, ha avuto una formazione da
architetto, non v’è alcun dubbio che la principale testimonianza documentaria rimane il manufatto edilizio, sul quale sono state fatte una serie di considerazioni tipologiche, architettoniche e figurative, mettendolo a confronto con altre esperienze
coeve. È, dunque, questa testimonianza materiale che assume un’importanza primaria, anche lì dove ha inevitabilmente subito le necessarie modifiche dovute sia
all’aggiornamento delle pratiche mediche sia al cambiamento di destinazione d’uso.
Nell’insieme, si può comunque affermare che quella manicomiale è una vicenda che richiede di essere nuovamente rivisitata alla luce dei tanti documenti ancora da esaminare.
Un itinerario fra alcuni complessi manicomiali. – Costruiti perlopiù tra 1840
e 1914, con una concentrazione dopo il 1860, anni coincidenti con «l’età d’oro
dell’edilizia manicomiale italiana»7, questi spazi non mancano di esempi iniziati
in precedenza (Roma Lungara, Perugia, Reggio Emilia, Pesaro) né di realizzazioni
successive (Rieti), tentativi interrotti o indirizzati alla costruzione di manicomi
E. PADOVANI, La costruzione e l’arredamento degli ospedali psichiatrici, in «Rassegna di studi
psichiatrici», xxIV (1935), 6, pp. 1054-1066 (in particolare p. 1055).
7
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ideali, espressi nelle tante proposte mai concretizzate di cui molte province si fanno
promotrici. Diversi professionisti si cimentano sul tema con progetti di un certo
interesse, dal panottico di Domenico Mariotti per Macerata (1843) all’impianto di
Ignazio Gardella vicino a Bologna (1863) e alle quattro idee di Pietro Marchelli
per l’ampliamento del San Lazzaro di Reggio Emilia (1869), senza dimenticare le
diverse soluzioni alternative proposte per la nuova sede del manicomio romano.
Sono oltre cento anni di storia di una struttura variamente definita: «architettura della custodia», «città proibita», «santuario della follia», «luogo dei sentimenti
negati», «isola dei folli», «cittadella dei pazzi», espressioni spesso utilizzate con
connotazioni negative.
Al contrario, queste strutture manicomiali detengono oggi una notevole qualità
ambientale, paesaggistica e architettonica, sebbene da una certa data in poi siano
stati considerati luoghi e spazi di emarginazione e segregazione. Per circa cento
anni, tuttavia, hanno costituito un sistema di valori destinato all’accoglienza, custodia e cura dell’alienato mentale, prodotto da un mondo culturale che li ha creati
per essere habitat privilegiati, localizzati fuori dalla città e frutto di una ricerca di
principi generalizzabili per rispondere alla funzione cui il complesso edilizio era
destinato, in altre parole la definizione di un’idonea tipologia insediativa.
Nella maggior parte dei casi è stato scelto di localizzare le nuove strutture su
aree prossime alle mura urbane, esterne o interne o a ridosso delle stesse, sfruttando
preesistenze architettoniche monumentali. Solo il manicomio di Colorno, distante
dal capoluogo di provincia, Parma, ha sede nel centro dell’abitato, costituendone
addirittura l’elemento architettonico dominante.
Il manicomio di San Benedetto a Pesaro (1829) e quello di Ferrara (1858), ad
esempio, sono all’interno delle mura urbiche. Il primo utilizza un complesso conventuale in abbandono, la cui crescita nel tempo mantiene la formula insediativa
originaria. Il secondo, situato nei pressi di un bastione e appoggiato a palazzo Tassoni, sfrutta tutta l’area triangolare di pertinenza, resa efficiente da Clodomiro Bonfigli, per poi cercare di ampliarsi in località San Bartolo a tre chilometri dalla città.
Da qui partirà la battaglia dei giovani kraepeliani (seguaci dello psichiatra e psicologo tedesco Emil Kraepelin,1856-1926) con la pratica dell’open-door e del norestraint, e oggi è tra i casi più rilevanti di trasformazione in prestigiosa sede
universitaria (Facoltà di architettura).
Tendenzialmente l’origine dei manicomi ha una matrice conventuale (metà dei
casi esaminati), ma in due episodi si forma su un precedente sistema residenziale
(Ferrara, Roma Gianicolo), in due su uno misto di residenze e conventi (Pesaro, Colorno) e in altri due su una radice ospedaliera (Reggio Emilia, Imola centrale). Le
sezioni distaccate utilizzano sempre edifici preesistenti, ville (Macerata), collegi
(Roma, Ceccano), ospedali, mentre le colonie agricole in alcuni casi sono dislocate
in luoghi distanti dalla sede manicomiale (Ferrara, Piacenza). Sette sono gli impianti
di nuova costruzione, anche se diversi di questi si appoggiano a edifici preesistenti.
Sul piano architettonico, la scelta di utilizzare complessi conventuali o residenziali
dismessi non poteva che avere come conseguenza la progressiva distruzione di memorie consolidate da secoli: i casi più clamorosi possono considerarsi Macerata,
con la demolizione pressoché totale dell’antico convento e della facciata della chiesa,
Fermo e Bologna, dove anche lo spazio interno delle chiese è usato a fini ospedalieri,
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travolgendone l’originaria fisionomia architettonica.
In termini insediativi, sono state adottate più tipologie. Circa un terzo dei complessi ha applicato il modello di manicomio-villaggio, attuato nei cinque esempi
di Reggio Emilia, Perugia, Roma (Gianicolo e Sant’Onofrio) e Rieti. Nato da
un’idea filantropica e umanitaria ottocentesca, doveva corrispondere a una cittadella ideale modellata sulla vita sociale esterna e assumere l’aspetto di un quartiere
di città moderna, dove, secondo Augusto Tamburini, la piacevolezza e la varietà
del paesaggio e della natura circostante dovevano dare l’idea di una vita libera.
Una sorta di «città proibita», dov’era fondamentale ottenere l’effetto casa, di città
(fabbricato e villino) o di campagna (colonia agricola), e dove i malati non dovevano essere in vista del pubblico.
Frequente è anche il sistema insediativo misto – un blocco compatto o articolato, cui sono aggiunti padiglioni e villini isolati –, generalmente applicato quando
la preesistenza si era dimostrata insufficiente ad accogliere la nuova funzione e si
avevano a disposizione vasti terreni circostanti, come a Bologna, Piacenza, Macerata, Fermo e Colorno, tutti complessi realizzati nel decennio 1867-1877.
Se ragioniamo in termini cronologici, in realtà il primo Ospedale dei pazzi
era sorto a Roma nel centro della città, in piazza Colonna (1550), per poi essere
trasferito a metà Settecento alla Lungara, area posta sull’altra riva del Tevere e distante dal centro urbano, in un vasto complesso edilizio unitario che arrivò a ospitare circa 1.000 degenti, opera di Filippo Raguzzini. All’inizio dell’Ottocento, con
forte anticipo rispetto ad altre città è Reggio Emilia a costruire il proprio asilo di
San Lazzaro, esterno alle mura urbane, a due chilometri dal centro della città, così
come poco dopo farà Perugia con lo Stabilimento di Santa Margherita. Una prassi
che diventerà consueta solo nel Novecento, come possiamo rilevare ad Ancona, a
Roma, con Sant’Onofrio, collocato addirittura a sette chilometri dal centro ma ben
collegato da una linea ferroviaria, a Rieti e a Viterbo.
Fondato dal Governo ducale di Modena nel 1820, il frenocomio di San Lazzaro è sito in una zona periferica della città, disponendosi lungo la via Emilia. Cresciuto attorno a un complesso che era stato in origine un lazzaretto e poi un
ospitium, consistente in un blocco edilizio pluripiano con cortili chiusi delimitati
da portici, ha un impianto disseminato o a villaggio organizzato su tre fasce pressoché parallele, con gli edifici disposti liberamente, frutto di progetti concepiti e
attuati in tempi lunghi. Occupa una vasta area di circa 30 ettari di fertile campagna
con un’estesa colonia agricola, la prima italiana annessa a un manicomio. Dopo i
lavori varati nel 1842, durante le direzioni di Luigi Biagi, Ignazio Zani e Carlo Livi
si attuano diversi progetti di sviluppo del complesso, ma è la direzione di Augusto
Tamburini (1877-1907), unitamente all’opera di Angelo e Domenico Spallanzani,
a costituire uno spartiacque nella vicenda costruttiva del frenocomio, sia per la sua
durata trentennale sia per la definizione di un programma di interventi di ampio e
lungo respiro: una netta distinzione del genere e della gravità della malattia informerà le azioni da intraprendere nell’ammodernamento di spazi e strutture. Lavori
che proseguiranno nei decenni successivi con l’opera di diversi progettisti che modificano lo spazio e le architetture del San Lazzaro dentro il programma spaziale
definito sotto Tamburini e Giuseppe Guicciardi (1907-1928) ma aggiornato negli
aspetti costruttivi, tecnologici e figurativi per la realizzazione delle nuove soluzioni
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edilizie8. questo «manicomio in forma di città», «uno dei più antichi e ad un tempo
dei più moderni fra i manicomi italiani»9, già da fine Ottocento aveva iniziato a
caratterizzarsi come città reale, adottando perlopiù la tipologia del villino, di cui le
periferie urbane si stavano popolando. Seguendo l’approccio igienista dell’ingegneria, risponde ai principi della moderna freniatria e usa tecnologie all’avanguardia, fenomeno riscontrato in quasi tutti i complessi analizzati.
Storicamente, le istituzioni di assistenza o di carità dei territori dello Stato
pontificio si erano caratterizzate per una scarsa uniformità, rispondente alle tante
storie e culture delle diverse aree che lo componevano. Soluzioni innovative nell’assistenza ai malati mentali sono sperimentate fin dal primo ventennio dell’Ottocento sia nella capitale sia nelle sue periferie, che nei modelli adottati applicano e
legittimano assunti teorici allineati alla cultura medica internazionale; modelli fra
loro distinti ma forti di uno stretto legame di reciprocità, in cui è più volte la periferia a sperimentare, senza vincoli imposti da Roma, nuovi indirizzi organizzativi
nella conduzione degli istituti. Esemplari sono i casi di Bologna e Imola, che introducono innovazioni di tipo medico-clinico, ma è Macerata, amministrativamente
autonoma dalla curia romana, la prima città marchigiana a voler costruire ex novo
un manicomio.
Da metà Ottocento, in effetti, Pio Ix favorisce la trasformazione degli spazi
di assistenza in luoghi più propriamente terapeutico-sanitari, basandosi perlopiù
sugli esempi della tradizione alienista francese. Se prima i modelli manicomiali
dello Stato pontificio erano riconoscibili come appartenenti a quelle aree, dopo
l’Unità d’Italia, decadute le linee tendenzialmente privilegiate di quest’appartenenza e in conformità con le più aggiornate esperienze nel campo, tendono a seguire
nuovi prototipi. Superando i limiti di ordine storico-geografico, si rivolgono ad
altri poli istituzionali, fra cui i manicomi di Aversa e Imola, e soprattutto al San
Lazzaro di Reggio Emilia, vera e propria «officina scientifica» e riferimento incontestabile nella realizzazione di più complessi manicomiali. Parallelamente si
crea una complessa rete culturale nella quale gli alienisti, che si spostano liberamente tra i diversi manicomi italiani, aspirano a realizzare un riconoscibile modello
nazionale, azione che sarà possibile con la legge del 1904, e successivi regolamenti
del 1909, dando libera circolazione ai principi e alle regole architettoniche a questa
legati.
A Roma il settecentesco manicomio di Santa Maria della Pietà alla Lungara,
tra il 1855 e il 1863, è ampliato sul Gianicolo su progetto di Francesco Azzurri,
che ristruttura alcuni edifici preesistenti e ne progetta di nuovi, seguendo un piano
unitario di percorsi e spazi verdi tra i fabbricati, concependo l’insieme secondo le
più moderne tendenze europee e adottando il modello di un complesso a villaggio,
peraltro assai criticato dai fautori del sistema a padiglioni.
Il passaggio di competenze sul manicomio alla Provincia di Roma, nuove disposizioni del piano regolatore e la promulgazione della legge 15 agosto1904 in-
8
A. TAMBURINI, Il Frenocomio di Reggio Emilia, Reggio Emilia, Tip. di Stefano Calderini e figlio,
1880 (19002).
9
A. TAMBURINI - G. C. FERRARI - G. ANTONINI, L’assistenza degli alienati in Italia e nelle varie
nazioni, Milano-Napoli-Palermo-Roma, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1918, p. 113.
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ducono a bandire un concorso nazionale per la realizzazione del nuovo manicomio
nell’area di Sant’Onofrio, meno centrale e libera da costruzioni, dalla superficie di
circa 23 ettari e in prossimità della linea ferroviaria Roma-Viterbo. È lo stesso
bando a disporre la costruzione di un «manicomio a villaggio», poi affidato ai vincitori Edgardo Negri e Silvio Chiera10, sotto il controllo di tecnici provinciali e alienisti responsabili del manicomio romano. È inaugurato nel 1914, e completato nel
1924, quando è direttore Alberto Cencelli.
L’impianto insediativo, chiuso all’interno di un muro di cinta, si adagia sulla
naturale morfologia del terreno articolandosi sull’asse nord-est/sud-ovest – asse
che costituisce anche l’elemento di separazione tra i padiglioni destinati agli uomini
e quelli destinati alle donne e ai fanciulli –, lungo cui sono disposti gli edifici e le
aree di pertinenza collettiva. Ogni edificio dista dagli altri 50 metri, disponendosi,
come scrive Cencelli «in graziosa dissimmetria [che] appaga la vista e dà una idea
di grandiosità veramente romana». Un grande percorso anulare alberato, con la circonferenza lunga poco più di un chilometro, costituisce l’elemento ordinatore del
complesso manicomiale e contiene al suo interno un grande piazzale (diametro 240
metri) contornato da edifici e posto in posizione eccentrica rispetto all’anello viario.
Su quest’ultimo s’innervano strade in curva che connettono i diversi padiglioni.
Nell’insieme poteva alloggiare 1.300 malati (ma arriverà a contenerne fino a 3.000),
200 infermieri e 50 dipendenti: una vera e propria cittadella ideale che richiama i
principi e la forma delle Garden Cities of Tomorrow di Ebenezer howard, un modello teorico basato su schemi geometrici elementari, che poco dopo, negli anni
Venti del Novecento, vedrà a Roma la realizzazione concreta in due nuovi quartieri
residenziali, progettati dall’architetto e urbanista Gustavo Giovannoni e noti con il
nome di città-giardino: Garbatella e Aniene-Montesacro.
Oltre a Reggio Emilia e Roma, assai particolare è il caso di Imola, una vera e
propria «città in forma di manicomio», che al suo interno ha ben due complessi di
notevoli proporzioni, divenuti nel tempo la più importante azienda cittadina. Il manicomio centrale (poi intitolato a Luigi Lolli), con costruzioni di «severa eleganza»è
tra i primi a essere costruito ex novo con criteri moderni su progetto dell’architetto
napoletano Antonio Cipolla, attivo tra Firenze, Bologna e Roma, che realizza un
impianto insediativo e un’organizzazione funzionale esemplari, tanto da essere concettualmente ripresi in altri manicomi italiani, tra i quali si possono citare quelli di
Brescia, Voghera, Bergamo, Ancona e Napoli. Il più tardo manicomio imolese
dell’Osservanza è concepito senza muri di cinta, sostituiti da semplici reti metalliche. Anche qui, come nel Centrale, al disordine mentale dei malati si sceglie di
contrapporre l’ordine architettonico e la perfetta geometria degli spazi.
Note sui progettisti. – Nella maggior parte dei casi, e almeno fino al primo
E. NEGRI, Consorzio in secondo grado per il progetto e la costruzione del manicomio provinciale di Roma. Relazione esplicativa, Roma, Tip. L. Artero, 1907; ID., Terzo concorso per il progetto
del manicomio provinciale di Roma. Relazione esplicativa del progetto presentato dagli ingegneri Edgardo Negri e Silvio Chiera, Roma, Tip. L. Artero, 1907; E. NEGRI - S. ChIERA, Il Manicomio Provinciale di Roma. Ricordo della posa della prima pietra, Roma, s.e., 1909; E. NEGRI, Lo sviluppo delle
costruzioni sanitarie nella Roma moderna, estratto dagli Atti del II Congresso nazionale di studi romani,
Roma, P. Cremonese, 1931.
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ventennio del Novecento, quando altri soggetti tenderanno a egemonizzare nuovi
spazi di potere, la progettazione ed esecuzione dei complessi manicomiali si deve
all’opera di sconosciuti ingegneri provinciali, sempre affiancati da alienisti che seguono tutto l’iter ideativo e costruttivo dei manicomi, trasformandosi essi stessi in
progettisti: sono loro a fissare i criteri che devono essere di guida al progettista che
predisporrà i disegni del «manicomio moderno»11.
Poi, una nuova relazione tra cultura e potere tenderà a ridefinire i ruoli dei
protagonisti, con una predominanza dei tecnici rispetto agli psichiatri. La generazione di Gualandi, Girolami, Roncati, Livi, Tamburini, Antonini e altri, dopo la
Grande Guerra sembra aver esaurito il proprio peso operativo per essere sostituita
da architetti del calibro di Giovanni Battista Milani (Rieti), Cesare Valle (Forlì),
Daniele Calàbi (Perugia) e Vittorio De Feo (Frosinone). Alla trasformazione dei
complessi manicomiali, però, continuano a partecipare professionisti locali e tecnici
degli uffici provinciali.
Le vicende legate alla costruzione dei manicomi – dalla scelta dell’area di localizzazione alla soluzione tipologica dell’impianto e dei singoli edifici, dalla decisione dei criteri costruttivi alla crescita progressiva della struttura – si possono
comprendere solo legando insieme azioni di natura diversa che, caso per caso,
luogo per luogo, hanno contribuito alla realizzazione dei singoli complessi. Se consideriamo i manicomi come microcosmi sui quali hanno agito molti poteri, diverse
forze sociali e culturali, più teorie mediche e costruttive, non possiamo che interpretarli come manufatti nati da una forte contaminazione fra scelte politiche e azioni
burocratiche, fra interessi medico-sanitari e ideazione dei tecnici. Assente è il dibattito sull’aspetto figurativo dei singoli edifici, che devono essere costruzioni semplici, economiche, senza particolari esigenze decorative, proprio perché ritenuti
aspetti secondari.
Gli studi e le ricerche sul ruolo e la cultura dei tecnici provinciali sono argomento di scarsa tradizione storiografica, nonostante queste figure abbiano svolto
un’attività non certo trascurabile, misurandosi con una varietà di mansioni che
copre l’intero campo dell’attività pubblica e con diverse scale della progettazione,
dall’ideazione dei manufatti alla gestione del cantiere. Capacità individuale e senso
di appartenenza all’istituzione si valutano proprio in questa pluralità di competenze
e nella condivisione di culture, linguaggi e scelte operative con altri interpreti della
scena urbana e architettonica.
Tra i nomi illustri di architetti o ingegneri che hanno contribuito alla realizzazione della rete manicomiale tra 1824 e 1932 emergono quelli di Pietro Marchelli
a Reggio Emilia, del livornese Giuseppe Cappellini, che a Pesaro introduce «formule e dispositivi di matrice francese», di Francesco Azzurri, Luigi Poletti, Antonio
Cipolla, Giulio De Angelis, Edgardo Negri e Giovanni Battista Milani, attivi tra
Perugia, Imola, Roma e Rieti.
In conclusione, se omettiamo i casi di Forlì e Frosinone, esauriti in un concorso – il primo vinto da Cesare Valle (1935), il secondo da Vittorio De Feo (1956)
11
G. ANTONINI, Il tipo di manicomio moderno sotto il riguardo edilizio, in «Rivista sperimentale di
freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali. Organo della Società freniatrica italiana», xxxV
(1909), 1, n. mon.:Atti del XIII Congresso della Società freniatrica italiana (Venezia, 1907), pp. 146-157.
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Storia, tutela, valorizzazione dei complessi manicomiali nei territori centro-italiani
39
–, e quello di Viterbo, iniziato negli anni Settanta e di cui resta solo la gabbia di
cemento armato, icona di un’anacronistica sopravvivenza destinata alla cancellazione, gli ex complessi manicomiali dell’Italia centrale costituiscono un patrimonio
ambientale e architettonico dagli alti valori storici e di attualità. Patrimonio che
conserva una propria identità, individuale e collettiva, se non altro come contenitore
della memoria della follia12, e che ha rappresentato una precisa fase della cultura
del progetto, riconoscibile sul piano architettonico, ambientale, sociale, igienicosanitario e tecnologico. Nonostante la cancellazione della loro funzione, la vicenda
dei manicomi non va, dunque, considerata conclusa.
Ripercorrerne le vicende e l’evoluzione architettonica ha consentito di ampliare la loro conoscenza, obiettivo primo di questo lavoro di ricerca sui complessi
manicomiali, per molto tempo esclusi da accurate indagini storico-architettoniche
e urbanistiche13, che dovrà poi trovare precisi riscontri operativi nelle auspicate
azioni di tutela e valorizzazione di questi impianti. Per aprire a questo secondo
obiettivo il gruppo nazionale di ricerca ha deciso di elaborare il patrimonio di conoscenze acquisito in modo da renderlo disponibile anche per interventi di recupero
e miglioramento architettonico e urbano, realizzando una rete informativa on-line,
che raccoglie i dati e le valutazioni messe a punto dai ricercatori caso per caso in
modo da favorire promettenti sinergie interistituzionali14.
MARIA LUISA NERI
Università degli studi di Camerino
12
M. FOUCAULT, L’archéologie du savoir, Paris, Gallimard, 1969 (trad. it. L’archeologia del sapere, Milano, Rizzoli, 1971); J. LE GOFF, Storia e memoria, Torino, Einaudi, 1982; Qualità dell’architettura, qualità della vita, Atti e contributi della giornata di studi, Torino 24 febbraio 2005, a cura di
A. MAROTTA, Torino, Celid, 2008.
13
Una prima sintesi delle indagini storico-architettoniche condotte dall’intero team di ricerca è
contenuta nel volume I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. AJROLDI M.A. CRIPPA - G. DOTI - L. GUARDAMAGNA - C. LENZA - M.L. NERI, Milano, Electa, 2013.
14
sul web.
Si veda, in questo numero, il contributo di G. DOTI, Una storia rivisitata: gli spazi della follia
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40
Maria Luisa Neri
Piano di esecuzione dei lavori necessarij al perfezionamento del Fabbricato di S. Margherita
di Perugia redatto dall’ingegnere Francesco Cellini per Ordine dell’Eminentissimo Sig.re
Cardinale Agostino Rivarola visitatore apostolico degli Ospedali Perugini. Pianta del Pianterreno e Sezione sulla linea A-A, scala 1:100, tav. II, s.d. ma 1817-1824 (Archivio di Stato
di Perugia, Ex Congregazione di Carità, Manicomio di S. Margherita, b. 9).
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Storia, tutela, valorizzazione dei complessi manicomiali nei territori centro-italiani
41
Giuseppe Cappellini, Icnografia
generale del Manicomio, 29 novembre 1858 (da Tavole architettoniche del manicomio di Pesaro,
Pesaro, Tip. Nobili, 1867).
Giovanni Battista Milani, Progetto di massima per l’Ospedale provinciale di malattie mentali nervose, Rieti, Planimetria generale, scala 1:1.000, 1932 (Archivio centrale dello Stato,
Milani Giovanni Battista).
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UNA STORIA RIVISITATA: GLI SPAZI DELLA FOLLIA SUL WEB*
1. La pubblicazione scientifica online. – La consultazione di cataloghi, fonti
e materiali online è, già da molti anni, una tendenza assai diffusa presso i ricercatori
e gli studiosi delle varie discipline. La ragione è da ascrivere senza dubbio alla facilità nel costruire una bibliografia sfruttando le risorse elettroniche disponibili in
rete o nel reperire saggi, articoli e interi libri fuori commercio, spesso di notevole
interesse scientifico, direttamente in rete1. Le stesse modalità di ricerca delle fonti
bibliografiche, stanno rapidamente cambiando in conformità con i nuovi profili
utente e lo sviluppo incessante delle tecnologie dell’informazione. Se è vero che
gli OPAC sono enormemente aumentati nell’ultimo decennio, è altrettanto vero
che essi si stanno evolvendo verso forme più avanzate ed efficienti di interrogazione
e consumo delle risorse digitali. Gli specialisti parlano di una nuova e quanto mai
prossima generazione di cataloghi in grado di offrire un mix di caratteristiche nuove
e particolarmente efficaci: navigazione a faccette, ricerca per parole chiave, risultati
delle ricerche classificati in base al grado di pertinenza con l’argomento oggetto di
studio, suggerimento di voci compatibili e, non ultimo, meccanismi in grado di
raccogliere e visualizzare il feedback degli utenti2.
*
Desidero esprimere la mia gratitudine ai tecnici informatici della Scuola di architettura e design
«Eduardo Vittoria» di Ascoli Piceno, Andrea Orlando e Luca Montecchiari, rispettivamente web developer e web designer di <www.spazidellafollia.eu>, il cui aiuto e la cui amicizia hanno contribuito alla
preparazione di questo articolo e senza i quali il progetto web non avrebbe mai visto la luce.
1
Cfr. F. ANTONUCCI, L’algoritmo al potere, Roma-Bari, Laterza, 2009. L’a. sostiene che il tema
dell’accesso illimitato alle informazioni sia diventato un mito. È vero che qualunque ricerca fatta in
rete, nella peggiore delle ipotesi finisce per fornire come risultati pagine e pagine di voci che, con il
miglioramento dei motori di ricerca, sempre più bravi a estrarre le pagine che ci interessano dal web, e
l’incremento esponenziale dei materiali on-line, aumentano a vista d’occhio e in misura più che esponenziale. Il problema è chi sia bravo a districarsi tra queste migliaia e migliaia di voci, valutandone
l’attendibilità e la rilevanza. Una ricerca attraverso la parola «manicomio» fornisce 4.630.000 risultati.
La prima pagina riporta la voce di Wikipedia, siti istituzionali come il «Museo laboratorio della
mente»del Centro studi e ricerche Museo della mente ASL Roma-E, video amatoriali di ex ospedali
psichiatrici dismessi caricati su youTube, la scheda del S. Maria della Pietà del Sistema informativo
unificato per le soprintendenze archivistiche del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo
(MiBACT). La seconda pagina non aiuta in quanto a organicità e coerenza delle informazioni: testimonianze private tratte dalla cronaca giornalistica, repertori fotografici, perfino app da caricare su smartphone e tablet messe in commercio per prendersi gioco di amici e conoscenti con telefonate «pazze».
2
Cfr. M. BREEDING, Next-Generation Library Catalogs: Chapter 1 Introduction, in «Library Technology Reports», July/August 2007 (<www.librarytechnology.org/ltg-displaytext.pl?RC=18344>).
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Una storia rivisitata: gli spazi della follia sul web
43
Lo sviluppo e la distribuzione di interfacce web-based in grado di assecondare
le aspettative dell’attuale generazione di utenti, comunemente definita web-savvy,
si è sviluppata, quasi in forma sincronica, con la pubblicazione online dei prodotti
scientifici. «Gli articoli scientifici disponibili pubblicamente online sono i più citati». È questo il risultato di Online or invisible?, lo studio condotto da Steve Lawrence, ricercatore presso la sezione Ricerca di Google, in merito all’impatto sulla
ricerca dei documenti congressuali di informatica liberamente disponibili in rete3.
Nonostante quel lavoro si riferisca a un campo scientifico-disciplinare assai circoscritto e non disponga di una esauriente documentazione di supporto che comprovi
le tesi dell’autore, ha comunque preso piede l’idea secondo cui i saggi e gli articoli
di libero accesso in rete avrebbero un maggiore impatto sulla ricerca. Basti pensare,
del resto, che il numero di citazioni del saggio comparso nel 2001 su «Nature» è
pressoché pari a quelle che si è conquistato il suo omologo diversi anni dopo online.
Già nel 2003, del resto, David Malakoff, ex redattore di National Public Radio e
giornalista di «Science», sosteneva che gli studi liberamente disponibili in rete sono
in grado di raggiungere un più vasto pubblico di lettori e, per tale ragione, finiscono
per attirare un più alto numero di citazioni4.
questa è senz’altro una delle motivazioni che ci ha indotti a utilizzare un medium che, seppure non ancora pienamente sfruttato dagli «studiosi delle discipline
umanistiche, tradizionalmente più restii a servirsi delle tecnologie elettroniche»5,
offre tuttavia migliori strumenti e una maggiore diffusione dei risultati delle ricerche universitarie.
La questione del livello di impatto che un lavoro d’indagine può avere sulla
ricerca in generale è al centro di studi relativamente recenti sulle pratiche open access o, in altre parole, sulla piena e libera disponibilità in rete di e-prints, cioè versioni digitali di lavori di ricerca accessibili online, prodotti in diversi ambiti
scientifico-disciplinari6. È da poco più di un decennio che, sia nelle comunità accademiche sia nel mondo dell’editoria, è letteralmente esploso l’interesse per la
produzione culturale ed editoriale ad accesso aperto. Un interesse che ha origine e
trova giustificazioni tanto nei vantaggi quanto nei rischi che l’accesso aperto prefigura. La piena disponibilità di documenti digitali di vario tipo (articoli di riviste,
tesi di laurea e di dottorato, atti di convegni, capitoli di libri o libri interi nati in
formato digitale o digitalizzati in un secondo momento) è consentita attraverso
quelle che, da più parti, sono oggi definite «le due strade dell’accesso aperto»: le
riviste open-access e gli archivi digitali. A dispetto dei dubbi e dei timori legati so3
S. LAWRENCE, Online or Invisible (<ivyspring.com/steveLawrence/SteveLawrence.htm>); lo
stesso saggio era stato già pubblicato ma con un diverso titolo: Free online availability substantially
increases a paper’s impact, in «Nature», 411, 6837, 2001, p. 521.
4
D. MAKALOFF, Opening the Books on Open Access, in «Science», 2003 (24 ottobre), 302, pp.
550-554. Disponibile in rete all’indirizzo <marywaltham.com/Science.pdf>.
5
M. GUERRINI, Nuovi strumenti per la valutazione della ricerca scientifica. Il movimento dell’open
access e gli archivi istituzionali, in «Biblioteche oggi», 2009 (ottobre), p. 14 (<eprints.rclis.org/
13573/1/20090800701.pdf>).
6
Cfr. K. ANTELMAN, Do Open-Access Articles Have a Greater Research Impact?, in «College &
Research Libraries», 2004 (settembre), pp. 372-382, liberamente disponibile all’indirizzo <crl.acrl.org/>.
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44
Gerardo Doti
prattutto a due questioni annose, come il copyright e la peer-review, non sempre
garantiti nella libera diffusione online degli articoli scientifici, gli studiosi che, a
fronte dell’insostenibilità dei costi di pubblicazione, caricano i loro articoli e saggi
su pagine web personali o istituzionali sono sempre più numerosi. Ci sono comunque altre ragioni per le quali la maggioranza degli studiosi decide di pubblicare un
proprio lavoro su una rivista open-access: la fede nel principio del libero accesso
per tutti i lettori senza alcuna distinzione di sorta; lo sveltimento dei tempi di pubblicazione; la possibilità di raggiungere un più vasto numero di lettori; e, infine, la
convinzione che il proprio lavoro possa essere citato con maggiore frequenza.
Da qualche anno, alcuni editori stanno sperimentando l’offerta online gratuita
o a un prezzo irrisorio, di singoli articoli di riviste da loro pubblicate. Il risultato è
che a partire dal secondo anno successivo alla pubblicazione di tali articoli, più
della metà degli autori sceglie poi di acquistare la rivista. Studi condotti negli Stati
Uniti dimostrano che gli autori di articoli scientifici, veri e propri consumatori di
informazioni utili alla ricerca, si affidano sempre più alla navigazione attraverso
riviste e articoli online.
Il nostro progetto, come tutti i progetti web, ha come fine la massima diffusione dei materiali scientifici a una molteplice tipologia di utenti: innanzitutto quelli
che operano in campo accademico ma anche tecnici del settore o semplici curiosi.
L’esigenza di una maggiore circolazione degli studi o anche solo di semplici informazioni tra gli studiosi non è emersa solo in questi ultimi anni. Il primo circuito
di libera distribuzione e scambio di preprint è da far risalire all’iniziativa dei molti
matematici, fisici e ingegneri biomedici statunitensi che, negli anni Sessanta del
secolo scorso, tentarono di ovviare ai limiti dell’editoria scientifica tradizionale,
ancorata alle riviste di settore e al loro modello di diffusione, puntando alla piena
circolazione delle opere7. Da allora, grazie anche allo sviluppo delle reti telematiche
e delle tecnologie dell’informazione, sono stati fatti enormi passi in avanti nella
diffusione di lavori full text e, più in generale, di archivi e-print.
Altro motivo che ha avvalorato la scelta della pubblicazione online è la semplicità di fruizione dei dati propria delle tecnologie web. Hyperlink per collegare
informazioni, database per porre organicamente in relazione i dati e interattività
tra utente e publisher consentono di arrivare immediatamente all’informazione. Le
ricerche parametrizzate, inoltre, sono uno strumento utilissimo che non ha uguali
nella documentazione di tipo cartaceo.
Il web consente inoltre di abbattere sia le barriere del tempo sia quelle dello
spazio di fruizione, dando modo agli scienziati di avere ovunque e immediatamente
le informazioni con un enorme beneficio per tutta la collettività.
Altro capitolo è poi quello della libertà di utilizzo dei dati e della sempre più
diffusa consuetudine di rendere open le informazioni, come sistema di valorizzazione
dei dati stessi e dei diritti del produttore (che devono essere sempre riconosciuti).
In relazione ai dati, il web consente un accesso concorrenziale alle informazioni che possono quindi essere confrontate da più figure che ne avallano la veridicità e il valore.
7
Cfr. M. GUERRINI, Nuovi strumenti… cit., pp. 7-8.
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Una storia rivisitata: gli spazi della follia sul web
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2. Il progetto «Spazi della follia». – «Spazi della follia» nasce da un accordo
tra la Direzione generale per gli archivi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e una rete di atenei con l’obiettivo di divulgare i risultati del
progetto, finanziato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca
nell’ambito del programma PRIN 2008, dedicato alla conoscenza e alla valorizzazione degli ex complessi manicomiali italiani8.
Le vicende storico-architettoniche dei settanta ospedali psichiatrici oggetto di
indagine sono illustrate in apposite schede articolate in cinque sezioni tematiche con
diversi tipi di dati: identificativi, storici, architettonici, iconografici e bibliograficoarchivistici. Gli interventi edilizi eseguiti nel tempo o la consistenza e lo stato di
conservazione degli impianti attuali sono ampiamente restituiti dalla cospicua mole
di disegni, immagini d’epoca e fotografie provenienti sia dagli archivi e dalle biblioteche che costituiscono, a oggi, i principali enti conservatori della documentazione pertinente il tema al centro dell’indagine, sia dai sopralluoghi e dalle campagne
di rilievo fotografico eseguiti dai ricercatori afferenti all’équipe nazionale.
Il fine ultimo è restituire alla memoria collettiva una significativa pagina della
storia dell’architettura e della città, come anche della medicina, della società, delle
istituzioni e del costume, fornendo agli studiosi, ai soggetti pubblici e agli operatori
privati i fondamentali strumenti per la conoscenza di una risorsa culturale per la
quale è quanto mai urgente un’azione di tutela e valorizzazione. Il nostro auspicio,
al proposito, è che nell’immediato futuro, i soggetti pubblici possano estendere il
proprio campo di azione e di governo dagli interventi di restauro e riuso di singoli
manufatti a quelli più impegnativi e innovatori riguardanti i sistemi complessi,
quali, appunto, gli ex ospedali psichiatrici, che rientrano a pieno titolo – per valenze
ambientali, monumentali e urbanistiche – tra gli insediamenti storici. «Spazi della
follia», quindi, non solo aspira a sostenere e finanche a orientare, con l’ampio corredo di informazioni pubblicate in rete, le azioni finalizzate alla conservazione e
alla tutela degli ex complessi psichiatrici. Il progetto intende favorire una diversa
conoscenza e una migliore fruizione di tali complessi, soprattutto sotto il profilo
architettonico e del godimento estetico o, in altre parole, della gratificazione intellettuale che deriva dalla comprensione dei caratteri formali e del senso profondo
della storia di questi impianti.
Il sito riunisce diverse tipologie di dati digitali, organizzati in schede che definiscono le strutture manicomiali oggetto della ricerca. Le informazioni sono suddivise in dati di tipo testuale e oggetti digitali. I primi sono testi esplicativi,
hyperlink, date, posizioni geografiche e tags. Gli oggetti digitali possono essere in
formato PDF o immagini. Una grande attenzione è stata riservata proprio alle immagini, che sono risultato della digitalizzazione di fonti storiche, spesso difficilmente consultabili perché archiviate nella sola forma cartacea, e alle riprese
fotografiche dei manicomi catalogati. Alle immagini sono state applicate parole
8
Il sito www.spazidellafollia.eu si aggiunge al censimento promosso dalla Fondazione Benetton
Studi Ricerche (Per un atlante degli ospedali psichiatrici pubblici in Italia, Treviso 1999), e soprattutto
integra Carte da legare, il progetto della Direzione generale per gli archivi del MiBACT, «realizzato
per salvaguardare il patrimonio archivistico degli ex ospedali psichiatrici dopo la loro definitiva chiusura» (<cartedalegare.filosofia.sns.it>).
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Gerardo Doti
chiave o tags che ne rendono semplice e rapido il reperimento all’interno dei motori
di ricerca. La struttura dei metadati applicati alla documentazione fotografica è
stata concordata con la Direzione generale per gli archivi che ha definito uno standard per uniformare il metodo di catalogazione degli oggetti digitali. Tale standard
consentirà una più semplice fruizione, da parte dei visitatori, della documentazione
catalogata all’interno del portale del Sistema archivistico nazionale. La catalogazione tiene conto della titolarità dei diritti, degli enti conservatori, delle note descrittive e dei dati tecnici dell’oggetto digitale.
Riteniamo che l’innovazione non sia da riferire al fatto di aver trasferito vecchi
contenuti in una forma nuova. Cambiando la forma di diffusione dei risultati della
nostra ricerca abbiamo finito per cambiare anche i contenuti (il modello di scheda),
creando così una nuova unità di conoscenza che ci auguriamo possa rendere il nostro
lavoro più attrattivo, sia per gli studiosi sia per le persone interessate all’argomento.
3. Le tecnologie utilizzate. – «Spazi della follia» è stato realizzato con tecnologie open sources (a sorgente aperta) facendo propria una scelta che sta diventando
via via sempre più diffusa nel mondo della Information and Communication Technology, basata sulla libera circolazione della conoscenza.
Tale scelta, oltre a essersi oramai dimostrata matura e pronta a competere, in
ambito sia accademico sia professionale, con le più diffuse soluzioni proprietarie
e commerciali, assume precisi connotati virtuosi tipici del mondo open. Tra le più
importanti caratteristiche sono senz’altro da ricordare:
- l’indipendenza dai fornitori commerciali, che permette di sottrarsi alle rigide
logiche imposte, sulla sfera mondiale, dalle grandi aziende produttrici di software, che spesso operano in regime di monopolio;
- i bassi costi iniziali, di esercizio ordinario e di aggiornamento delle piattaforme
utilizzate, legati alla gratuità delle licenze software, che consentono di dirottare
le risorse verso altre voci di spesa del progetto, prima fra tutte l’ideazione;
- la massima flessibilità in materia di personalizzazione ed ampliamento delle
funzionalità in relazione a specifiche esigenze operative, con l’indiscusso vantaggio derivante dalla possibilità di avvalersi del supporto di una vastissima
community di utenti che collaborano volontariamente allo sviluppo e all’aggiornamento delle applicazioni.
Il sito è stato sviluppato su Drupal, uno dei più affidabili, completi e articolati
CMS (Content Management System o sistemi di gestione dei contenuti) attualmente
disponibili nel panorama degli strumenti software per la realizzazione di portali
web. Su tale sistema si basano moltissimi siti di enti e istituzioni di rilevanza internazionale che, per la realizzazione dei propri portali istituzionali, hanno effettuato la medesima scelta strategica9.
Tra le principali caratteristiche che ci hanno spinto a utilizzare Drupal (oltre
9
Si segnalano, a solo titolo di esempio, i portali della Casa Bianca (<www.whitehouse.gov>),
della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti (<house.gov>), del Governo francese (<www.gouvernement.fr>), del World Food Programme (<www.wfp.org>), del Louvre (<www.louvre.fr>) e di alcune tra le maggiori università statunitensi, come yale e Stanford (<www.yale.edu; www.stanford.edu>).
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Una storia rivisitata: gli spazi della follia sul web
47
a quelle già ricordate in riferimento alle tecnologie open source) segnaliamo:
- il supporto di una vasta comunità di sviluppatori; Drupal è un progetto software enorme, con migliaia di progettisti che contribuiscono quotidianamente
alla sua evoluzione tecnologica, rendendolo, al momento, uno dei più grandi
progetti open source al mondo;
- l’elevato standard di sicurezza, rispondente ai più elevati requisiti richiesti da
governi, università, o banche;
- l’integrazione con Google Analytics, tra i più diffusi servizi di analisi statistiche sui visitatori di un sito (pagine più visualizzate, tempo di consultazione,
posizione geografica etc.);
- l’integrazione con le applicazioni webGis, estensioni verso il web dei sistemi
informativi, in grado di acquisire, registrare, analizzare e visualizzare dati di
tipo geografico.
Il database manager utilizzato è MySqL, lo strumento per il web più diffuso
al mondo. I suoi punti di forza sono il basso costo, la velocità, l’affidabilità e la
flessibilità. MySql può essere utilizzato in ambiente Cloud Computing, consentendoci quindi di scalare il progetto in caso di crescita di dati.
La visualizzazione delle mappe (webgis) è stata gestita con OpenLayers, una
libreria javascript, che consente di inserire mappe dinamiche in qualsiasi pagina
web e, a partire da queste, di visualizzare, editare e interrogare dati di tipo geografico. Sviluppata da e per la comunità open source e rilasciata in versione gratuita,
OpenLayers è ottimizzata per i più diffusi browser web. ha diversi vantaggi, tra
cui la possibilità di utilizzare baselayers provenienti dai maggiori webmapproviders
quali Google Maps, yahoo Maps o Open StreetMaps.
In linea con la filosofia open source, abbiamo utilizzato, per l’interfaccia grafica, un tema progettato da Danetsoft. Principali caratteristiche del template sono:
- l’ottimizzazione per il SEO (Search Engine Optimization), ovvero quell’insieme di pratiche volte ad aumentare la visibilità di un sito internet migliorandone la posizione nelle classifiche dei motori di ricerca;
- la conformità con gli standard internazionali definiti dal W3C (World Wide
Web Consortium) grazie all’utilizzo di hTML e CSS validati; ciò assicura al
sito maggiore accessibilità, velocità di consultazione delle pagine e visibilità,
prescindendo dal dispositivo (laptop, tablet, smartphone) o dal browser utilizzato (Chrome, Firefox, Explorer, Safari).
4. Le funzionalità. – «Spazi della follia» nasce con l’intento di offrire non solo
i risultati di un lavoro d’indagine solo in parte concluso ma, soprattutto, le risorse
per avviare una ricerca su più archivi, fonti o complessi documentari. È orientato
all’utente e ha, di un sito avanzato, la finalità fondamentale che è quella di fornire
a uno studioso o a un semplice osservatore interessato all’argomento, risorse diverse,
sia per tipologia sia per provenienza (dati geotopografici, urbanistici e normativi,
saggi storici, disegni e mappe custoditi presso archivi pubblici e privati, elaborazioni
grafiche originali, foto storiche e attuali, riferimenti bibliografici e archivistici)10.
10
Sulla nozione di portale cfr A. POWELL, JISC Information Environment Architecture. Glossary,
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48
Gerardo Doti
Un unico punto di accesso, quindi, a dati eterogenei ma integrati e ordinati criticamente, per rispondere a intenti diversi: sondare la possibilità di sviluppi interessanti e innovativi nella diffusione della conoscenza dei grandi complessi manicomiali
dismessi e guardare a nuove modalità con cui un gran numero di informazioni possa
essere consegnato a un pubblico interessato e sempre più informato. In futuro, la tecnologia chiave che supporterà l’interoperabilità tra gli oggetti digitali presenti nel
sito sarà il protocollo OAI (Open Archives Initiative) per la raccolta dei metadati
(Protocol for Metadata Harvesting). A fronte della spinta a «portalizzare» tutto, dal
sito delle Poste alle risorse scientifiche online indirizzate ad allievi, insegnanti e ricercatori, «Spazi della follia» si muove quasi in controtendenza, essendo un sito
strutturato in una home page e in una serie di pagine web secondarie accessibili dalla
home tramite collegamenti interni. Non si tratta, quindi, di una «porta d’ingresso» a
risorse di rete ma di un insieme strutturato di informazioni e dati che lo rende tendenzialmente simile ai siti associati a database residenti sullo stesso web server.
Come la maggioranza dei siti web, rende disponibili e visibili online, tramite
un browser web standard, una serie di contenuti di base. È marcato come testo
hTML/xhTML con immagini incorporate e associate, collegamenti ipertestuali tra
le diverse pagine o sezioni informative, link o collegamenti sia da un punto del sito
a un altro sia a risorse esterne utili a illustrare e comprendere temi o problemi specifici11. L’integrazione con alcuni portali del Sistema archivistico nazionale e più in
particolare con «Carte da legare», è stata attentamente preparata e studiata per non
rimanere costretti nei limiti angusti dei siti inward-looking. In linea con quanto sta
accadendo nel campo delle risorse elettroniche remote disciplinari, dove si registra
il passaggio dalle forme più semplici di gateway al deepsearch, «Spazi della follia»
si fonda su una chiara e articolata stratificazione di contenuti e, conseguentemente,
di funzionalità, che ne fa qualcosa di molto diverso da un semplice contenitore web.
«Spazi della follia» è pensato e realizzato per essere consultabile nelle cinque
lingue più studiate al mondo (inglese, francese, tedesco, spagnolo e italiano)12. In
2005 (<www.ukoln.ac.uk/distributed-systems/jisc-ie/arch/glossary/index.html>): «technically, a portal is
a network service that brings together content from diverse distributed resources using technologies such
a cross searching, harvesting, and alerting, and collate this into an amalgamated form for presentation to
the user». Secondo P. MILLER, Towards a Typology for Portals, in «Ariadne», 30 ottobre 2003, 37
(<www.ariadne.ac.uk/issue37/miller>) un portale è: «a layer which aggregates, integrates, personalises
and presents information, transactions and applications to the user according to their role and preferences».
11
La «portalizzazione» incessante dei contenuti online non è certo una tendenza odierna, se si
pensa che già nel 2002, più del 40% delle università americane, aveva costruito o stava costruendo un
portale istituzionale, ibidem.
12
Dalla ricerca di T. DE MAURO - M. VEDOVELLI - M. BARNI - L. MIRAGLIA, Italiano 2000. I pubblici
e le motivazioni dell’italiano diffuso tra stranieri, Roma, Bulzoni, 2002, indagine condotta dall’Università
La Sapienza di Roma e dall’Università per stranieri di Siena per conto del Ministero degli affari esteri
(2012, coordinatori T. De Mauro, M. Vedovelli e M. Catricalà) è emerso che sono proprio l’inglese, il
francese, il tedesco, l’italiano e lo spagnolo, le cinque lingue più studiate al mondo (non certo le più parlate,
perché, com’è ovvio, in termini assoluti, lingue come il cinese, lo spagnolo, l’inglese, l’hindi, l’arabo, il
portoghese, il bengali e il russo occupano inevitabilmente i primissimi posti). Il comunicato del Ministero
degli affari esteri sulla presentazione della ricerca e sui suoi contenuti è disponibile all’indirizzo
<www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/Comunicati/2002/02/ Comunicato_11.htm>
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Una storia rivisitata: gli spazi della follia sul web
49
futuro, per tramite di uno script, l’utente sarà indirizzato automaticamente alla sezione del sito tradotta nella lingua configurata nel proprio sistema o avrà la possibilità di selezionarla direttamente attraverso uno specifico menù. Al momento solo
le pagine introduttive del sito, in cui si illustrano le ragioni e le finalità del progetto,
dispongono di un supporto multilingua.
Il sito non prevede l’obbligo di registrazione e autenticazione degli utenti né
dispone di un meccanismo di profiling degli stessi, finalizzato all’attribuzione di
privilegi di accesso diversificati come avviene in molti web sites. Si è ritenuto, in
linea con la filosofia open access, che i materiali pubblicati, compresi i saggi e le
schede di approfondimento sui singoli complessi, dovessero essere di libero accesso
a utenti anonimi.
Sono allo studio alcuni strumenti di condivisione di contenuti, come blog,
mailing list e feed. Lo scopo è contribuire a tenere viva la riflessione sugli assetti
spaziali dei luoghi di cura della follia realizzati negli ultimi due secoli, sul loro significato e la loro relatività storica, operando anche come aggregatore dei diversi
luoghi di discussione italiani e stranieri sul tema. La pubblicazione di note e articoli
sarà a cura dell’amministratore e occuperà una specifica sezione del sito, utilizzabile dagli utenti per interloquire e partecipare attivamente allo sviluppo dei temi
trattati, con commenti e contributi scientifici anche in forma di preprint. Mailing
list e feed saranno, com’è consuetudine, gli strumenti indispensabili per tenere costantemente informati gli utenti delle ultime novità circa gli aggiornamenti e i contributi pubblicati sul sito, ciascuno dei quali sarà disponibile in forma di estratto,
indipendentemente dalla frequenza con cui saranno visitate le pagine.
L’équipe di ricerca sta orientando molte delle proprie energie sulle tecniche
che consentono il reperimento delle informazioni o dei dati contenuti all’interno
di un archivio, comunemente indicate con l’acronimo IR (Information Retrieval).
Lo studio delle metodologie da utilizzare ha suggerito una suddivisione delle tipologie di ricerca in base alla conoscenza che l’utente ha delle informazioni contenute
nell’archivio e in base ai risultati attesi. Le forme di ricerca possibili, in questa
prima fase di sviluppo del sito, sono le seguenti:
- ricerca di un’informazione nota, da adottare nei casi in cui l’utente sappia già
che il dato da ricercare è sicuramente presente sul sito;
- ricerca di un’informazione sconosciuta, frequente nei casi in cui il visitatore
non sappia se nell’archivio sia presente il dato che sta cercando;
- ricerca di un’informazione derivata, che si adotta quando il dato da ricercare
è il risultato di una combinazione di informazioni.
Il sistema utilizza due differenti sistemi di ricerca delle informazioni contenute
al suo interno, la ricerca semplice e quella avanzata.
La ricerca semplice, o per parole-chiave, restituisce la ricorrenza di una o più
parole in tutti i contenuti testuali del sito. questo tipo di interrogazione presuppone
che la presenza del dato o dei dati da ricercare, all’interno del sito, sia, per l’utente,
pressoché certa. Il vantaggio di questo elementare sistema di reperimento delle informazioni è da riferire, come noto, alla possibilità di rintracciare documenti o semplici dati sconosciuti all’utente, ignorando lo schema di catalogazione delle
informazioni adottato dagli sviluppatori. Lo svantaggio, invece, è legato all’eventualità che la ricerca per parola-chiave generi un elevato numero di risultati, molti
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50
Gerardo Doti
dei quali, però, incongrui o lontani dagli esiti sperati e ciò a causa della ridondanza
della parola stessa nei contenuti del sito.
La ricerca avanzata guida l’utente nel reperimento delle informazioni, definendo inizialmente date, autori o posizioni. questa maschera di ricerca permette
al visitatore di ottenere informazioni note, sconosciute e derivate. In «Spazi della
follia» i parametri di ricerca dei dati sono informati a criteri storico-architettonici
e i risultati restituiti possono assumere una duplice forma, testuale o geografica.
La ricerca storica può essere sia sincronica, come nel caso in cui si vogliano
conoscere i nomi dei direttori alienisti a capo delle strutture manicomiali o i nomi
dei tecnici attivi in quelle stesse strutture in una certa data, sia diacronica, per esempio interrogando il sistema su quali e quante siano state le trasformazioni edilizie
di uno specifico complesso in un arco temporale definito. La ricerca attraverso i
dati architettonici consente invece di risalire agli aspetti dimensionali, tipologici e
costruttivi degli ospedali psichiatrici, filtrando i risultati secondo criteri multipli.
Il sito gestisce differenti posizioni o, in altre parole, diverse forme di interazione con i dati, per proteggere i contenuti da modifiche e attacchi indesiderati. La
visualizzazione dei dati è liberamente consentita a utenti anonimi, mentre la possibilità di inserire e modificare le informazioni è riservata agli amministratori (project leader, web designer e webdeveloper).
Molti utenti possiedono abilitazioni cognitive (capacità e quindi strumenti in
grado di valutare l’attendibilità e la rilevanza delle informazioni) ed esperienza
pratica per fruire dei contenuti di un sito con relativa facilità. Il nostro obiettivo è
venire incontro anche e forse soprattutto a chi non dispone di strumenti adeguati
per orientarsi sul web o non è in grado di districarsi tra molte possibili scelte. Il
nostro auspicio, in conclusione, è che il sito non precipiti nella massa confusa dei
materiali in rete, che si offra rapidamente agli studiosi e ai ricercatori, che pochi
elementi siano sufficienti a coglierne la rilevanza, vista l’ampiezza dei suoi contenuti, che metta gli studiosi in condizione di reperire esattamente quelle novità e
quei dati degni di interesse che essi ricercano in rete.
GERARDO DOTI
Università degli studi di Camerino
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STORIOGRAFIA E NUOVI USI PER GLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI
IN ITALIA. SPUNTI PER ULTERIORI RICERChE
queste mie riflessioni, a ricerca conclusa e dopo l’importante pubblicazione
realizzata1, intendono sintetizzarne gli esiti in vista dell’auspicata continuità di studi
e in rapporto alle modalità di recupero e valorizzazione del vastissimo patrimonio
edilizio e paesaggistico dei manicomi/ospedali psichiatrici (OP) dismessi, attività
già oggi avviate in maniera assai varia nei diversi contesti.
Nell’attività dell’Unità di ricerca Prin 2008, che ho coordinato al Politecnico
di Milano e che ha riguardato l’indagine storico-critica degli OP nelle aree geografiche della Lombardia e, con riferimento ai casi emblematici, del territorio nordorientale italiano coincidente con Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto
Adige, scopo primario è stato quello di pervenire, in accordo con le altre unità di
ricerca universitarie e pertanto secondo criteri il più possibile omogenei a scala nazionale, alla costruzione di un Atlante di tali complessi, finora privi della ricostruzione del contesto storico specifico, fondata su spoglio sistematico degli archivi,
valutazione della loro consistenza e caratterizzazione architettonica, della loro appartenenza a contesti territoriali, dell’attuale stato di fatto.
Per la Lombardia dato di partenza è stato l’elenco sulla base del quale, nel
1998, la Regione Lombardia ha affidato a un Comitato tecnico-scientifico interdisciplinare il coordinamento, il monitoraggio e la verifica dei processi di riconversione degli OP, così individuati: OP di Bergamo; OP di Brescia; OP giudiziario di
Castiglione delle Stiviere; OP di Codogno (Milano); OP San Martino di Como; OP
di Cremona; OP di Mantova; OP Paolo Pini di Milano; OP Antonini di Mombello
in Limbiate (Milano); OP di Sondrio; OP di Varese (in frazione Bizzozzero); OP
di Voghera (Pavia). Per le tre regioni dell’area nord-orientale dell’Italia gli OP va-
1
Il progetto di ricerca I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento. Atlante del patrimonio storico-architettonico ai fini della conoscenza e della valorizzazione, finanziato dal MIUR nell’ambito
del Programma PRIN 2008, ha implicato la partecipazione delle seguenti unità di ricerca: Seconda Università degli studi di Napoli (responsabile scientifico e coordinatore nazionale: Concetta Lenza); Politecnico di Torino (responsabile scientifico: Laura Guardamagna); Politecnico di Milano (responsabile
scientifico: Maria Antonietta Crippa); Università di Camerino (responsabili scientifici: Maria Luisa Neri
e Gerardo Doti); Università di Palermo (responsabile scientifico: Cesare Ajroldi). Il progetto si è ufficialmente concluso con la pubblicazione del volume: I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura DI C. AJROLDI - M. A. CRIPPA - G. DOTI - L. GUARDAMAGNA - C. LENZA - M. L. NERI, Milano,
Electa, 2013. Una sintesi dell’indagine dell’Unità di ricerca milanese è in: Conoscenza, conservazione e
valorizzazione degli ex-ospedali psichiatrici italiani / Knowledge, conservation, use of former Italian
psychiatric hospitals, a cura di M. A. CRIPPA - P GALLIANI, in «Territorio», 65, 2013.
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52
Maria Antonietta Crippa
lutati come più importanti sono stati quelli di San Servolo e San Clemente in Venezia, Pergine Valsugana, Gorizia e Trieste2.
L’indagine ha comportato contatti con istituzioni (amministrazioni comunali,
uffici dell’assessorato della sanità delle Regioni interessate, Archivi di Stato, archivi
provinciali e locali, ecc.), con centri ospedalieri e di storia della medicina, oltre
che interviste a esperti (psichiatri, storici della medicina, archivisti)3. Il lavoro preliminare sull’area oggetto di studio dell’Unità di ricerca di Milano, bibliografico e
di ricognizione della situazione attuale, ha dato luogo alla raccolta di materiali diversi (pubblicazioni, documenti, dati), organizzati in modo da essere fruibili da
tutti i ricercatori appartenenti all’Unità come base comune di riferimento e per studi
ulteriori. Preziosi sono stati in particolare i molti studi a carattere generale e connessi alla storia italiana della psichiatria4.
Si è subito colta anche la necessità di una ricognizione di carattere internazionale e orientativa, che consentisse un inquadramento chiarificatore della configurazione dei complessi per cura dei ‘matti’ a partire dalla fine del xVII secolo,
pur avendo valutato di dover puntare, nello svolgimento della ricerca, sull’identificazione storica di costruzione, uso e trasformazioni degli OP e dei loro contesti,
per un arco temporale sostanzialmente compreso tra l’unità nazionale e la complessa fase di dismissione, fino ad arrivare alla situazione attuale in generale caratterizzata da sottoutilizzo. Tale ricognizione è risultata indispensabile dal
momento che la storia della psichiatria e quella della costruzione e gestione degli
OP hanno preso avvio, in Italia, prima che il paese giungesse all’unità nazionale,
dato di fatto che ha configurato contesti e pratiche diverse nelle diverse aree,
ognuna con propri rapporti con le situazioni internazionali, contesti e pratiche più
tardi confluite, in modo complesso, in un quadro unitario su base provinciale.
Con accordo previo tra tutte le unità di ricerca, si è deciso inoltre di assumere
un unico metodo di sintesi e comunicazione finale del lavoro, tramite ampie schedature dei diversi OP, che ne restituissero, nel modo il più possibile unitario, concreto e documentato, dati tecnici, storia e stato di fatto attuale. Tali schede, con
autore/autori sempre individualmente identificati, costituiscono un corpus di va-
2
Si è predisposta la compilazione puntuale di schede in formato pdf e web, per i seguenti OP:
per la Lombardia: Bergamo, Brescia, Castiglione delle Stiviere, Como, Cremona, Mantova, Paolo Pini
a Milano, Mombello di Limbiate, Sondrio, Varese, Voghera; per il Veneto: Padova, isola S. Servolo e
isola S. Clemente a Venezia, Verona, Vicenza; per Friuli Venezia Giulia e Trentino: Pergine, Gorizia,
Trieste, Udine.
3
questa fase ha comportato anche confronti: con il Centro studi sulla storia del pensiero bio-medico (CESPEB) con sede in Villa Serena (Monza) e collegato all’Università di Milano Bicocca; con il
museo d’arte Paolo Pini, MAPP museo d’arte contemporanea in progress attivo da dieci anni, sorto dal
recupero dell’area dello storico ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano come luogo di incontroscambio tra artisti e persone affette da disagio psichico; con la Società sanmarinese di criminologia,
costituita nel 2006 e inscritta nel Registro delle associazioni della Repubblica di San Marino, che ha
facilitato l’approccio a tematiche proprie degli OPG.
4
Di notevole interesse per la ricerca sono stati: A. SCOTTI, Malattie e strutture ospedaliere dall’Età
dei lumi all’Unità, in Malattia e medicina, a cura di FRANCO DELLA PERUTA, Torino, Einaudi, 1984 (Storia d’Italia, Annali 7); F. DE PERI, Il medico e il folle: istituzione psichiatrica, sapere scientifico e pensiero medico fra Otto e Novecento, ibidem; M. GALZIGNA, La malattia morale. Alle origini della
psichiatria moderna, Venezia, Marsilio, 2006, ora anche e-book 2013; V. B.. BABINI, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2009.
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Storiografia e nuovi usi per gli ex ospedali psichiatrici in Italia
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lutazioni, conoscenze e documentazioni, anche grafiche e fotografiche, disponibile
per nuove interpretazioni sia della storia della psichiatria sia della storia delle grandi
strutture pubbliche italiane, oggi prezioso patrimonio recuperabile e reinseribile
nel processo di un auspicabile sviluppo sostenibile nel territorio nazionale.
Al fine di mettere a disposizione di studiosi specialisti tale complesso di nuove
conoscenze, l’intero gruppo di ricercatori del Prin afferenti alle diverse unità di ricerca ha lavorato in modo da costituire un Atlante informatizzato5, con format
messo a punto dall’Unità di ricerca di Camerino, in accordo con la Direzione generale per gli archivi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
e in coerenza con l’informatizzazione della ricerca ministeriale «Carte da legare»,
progetto relativo a documenti manicomiali.
Poiché, inoltre, configurazione architettonica, localizzazione e organizzazione
gestionale e funzionale degli OP in Italia non erano, prima della seconda metà
dell’Ottocento, del tutto chiaramente distinte da quelle degli ospedali per malattie
diverse dalla follia, è stato necessario ricostruire, tramite ricognizione di trattati e
analisi di pubblicazioni specialistiche, contiguità e diversificazioni tra i due ambiti
di cura e i relativi luoghi di attività. Tramite inoltre contatti aperti dai ricercatori
dell’unità di ricerca con istituzioni, centri di storia della medicina e esperti si sono
delineati, in termini generali, i caratteri, storici e attuali, più evidenti e peculiari
della psichiatria e degli OP delle aree lombarde e nord-orientali. queste ricognizioni, di carattere generale e locale insieme, hanno reso presto evidente le specificità delle situazioni regionali oggetto di studio dell’Unità e le loro interferenze con
diverse situazioni internazionali e nazionali. La fase informativa, così messa a
punto, è stata fondamentale per consentire ai ricercatori di procedere con consapevolezza e in dialogo tra loro nell’approfondimento dei singoli casi.
Gli studi segnalavano che, in generale, lo spartiacque tra gestione delle diverse
malattie e gestione della follia ha avuto luogo con l’affermazione teorica del principio di reclusione e della necessità di segregazione dei folli, formulata nel secolo
xVI, principio e necessità messi però in atto, ma solo in alcuni casi, nel secolo successivo. A metà circa del Settecento, come è noto, i medici dei due più grandi manicomi europei, Pinel e Esquirol - nel manicomio di Bicêtre, per gli uomini, e in
quello di Salpêtrière per le donne, a Parigi -, misero le basi per lo studio della pazzia
in chiave clinica. Sulle loro acquisizioni si fondarono in Italia gli studi di Cesare
Lombroso sull’alienazione e sull’antropologia criminale.
A partire dalla fine del Settecento prese corpo, in tutto l’Occidente, una rete
di rapporti costanti tra esperienze europee ed extraeuropee relative a segregazione,
gestione e cura negli OP. Si riscontrano molte analogie tra l’ideazione di nuovi impianti architettonici e edifici di antica data, come i lazzaretti e le carceri, per attuare
diverse forme di segregazione altamente razionalizzata. L’organigramma spaziale
ideale degli ospedali in generale e degli OP in particolare oscillò dapprima, a livello
internazionale, tra forme architettoniche a ‘panottico’, ritenute adatte anche per
scuole, prigioni e fabbriche, perché facilitanti controlli complessivi, e articolazione
5
La banca dati è oggi consultabile in rete nel Portale Spazi della follia, all’interno del Sistema
archivistico nazionale (SAN); cfr. in questo stesso numero G. DOTI, Una storia rivisitata: gli spazi della
follia nel web.
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Maria Antonietta Crippa
in volumi distinti, costituenti padiglioni tra loro variamente articolati e/o accorpati
o distribuiti a villaggio. Tra organigrammi ideali e effettive realizzazioni di OP si
è verificata tuttavia, ovunque, una profonda differenziazione, secondo opzioni di
singoli medici alienisti e psichiatri e diversi orientamenti nazionali: più rigidi e
chiusi quelli francesi; più aperti quelli inglesi e americani; misti quelli tedeschi.
L’Italia si inserì tardi, nell’ultimo ventennio del xIx secolo, nel processo internazionale, utilizzando soprattutto tipi a padiglione, riuniti o distanziati nel caso
di nuovi insediamenti, e adattando ville e monasteri preesistenti e abbandonati; in
qualche caso, tenendo conto del tema inglese del no restraint, anche a villaggio. Il
passaggio dalla situazione preunitaria a quella unitaria è stato molto articolato. Una
prima fase, che si può grosso modo collocare tra la promulgazione della legge
2248/1865 e l’istituzione della Direzione generale della sanità pubblica presso il
Ministero dell’interno del 1887, fu caratterizzata da un lento e confuso processo di
omologazione gestionale, durante la quale i singoli OP ebbero propria continuità
e/o evoluzione rispetto ad assetti preunitari.
In generale l’Ottocento è stato un secolo di grande sviluppo degli OP in tutta
l’Europa, nella seconda metà anche in Italia; tipologicamente ebbe diffusione, in
più varianti, soprattutto l’OP a padiglioni, in quanto forma di divisione che rispondeva a diverse necessità: mediche, amministrative, di ospitalità dei diversi ‘abitanti’, gestionali. Essa consentiva inoltre di organizzare l’OP come una cittadella
con proprie strade, piazze, aree a verde, zone per il lavoro e svago. Caso a sé sono
sempre stati gli ospedali psichiatrici giudiziari, che assommavano problemi carcerari a tematiche di cura psichiatrica in termini rimasti irrisolti fino ad oggi.
Una seconda fase, tra l’ultimo decennio del xIx secolo e gli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale (anni Cinquanta del xx secolo), è
stata costellata da situazioni tra loro molto diverse, a seconda della localizzazione
degli OP, pur mirando psichiatri e istituzioni pubbliche a rafforzare l’assetto provinciale del sistema ospedaliero manicomiale. Deve essere tenuto presente che tale
assetto provinciale fu essenziale, seppur faticoso, per l’Italia, perché quello provinciale fu l’unico ordinamento territoriale prima dell’istituzione delle Regioni
negli anni Settanta del Novecento. Rimasero attivi OP privati; si ebbero imponenti
‘scandali manicomiali’ legati soprattutto alla gestione di istituzioni religiose; nel
1904 venne promulgata la prima legge importante sul tema (legge 36/1904); già
dalla fine dell’Ottocento e con forte incremento con le due guerre mondiali, la
prima in particolare, l’aumento dei ricoverati negli ospedali psichiatrici fu in continuo, esponenziale aumento, causando l’urgenza di incrementi continui anche degli
spazi dei luoghi di ricovero.
In questo contesto crebbero velocemente i contrasti tra il vivace aggiornamento della psichiatria italiana e lo stato di fatto nazionale, in situazioni diversificate localmente che l’Unità di ricerca di Milano ha affrontato caso per caso: in area
lombarda si è consolidata infatti la tendenza ad aumentare le dimensioni dei singoli
siti, pur non mancando piccoli OP; in quella veneta si è riscontrata una maggiore
diffusione di insediamenti più piccoli collegati a rete, accanto a siti di maggiore
entità; nelle aree più a nord sono risultati evidenti i contatti con le situazioni oltre
confine, con quelle austriache in particolare. Il capoluogo lombardo, inoltre, può
essere ritenuto importante alveo d’incubazione e gestazione delle nuove tendenze
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Storiografia e nuovi usi per gli ex ospedali psichiatrici in Italia
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psichiatriche, grazie al ruolo svolto fino agli anni Settanta dell’Ottocento dagli alienisti milanesi - Verga, Antonini, Biffi – precoci capifila del coordinamento nazionale del loro settore medico.
Sempre nel periodo a cavallo tra i due secoli, il manicomio italiano si caricò
in modo esasperato, non tramite processi costruttivi o territoriali ma per opzioni
sociali rimaste a lungo indiscusse e sottaciute, della valenza di protezione sociale
tramite grande renfermement, confermato fino a Novecento avanzato, strettamente
connesso sia alla costante opzione scientifica somatica della psichiatria italiana sia
all’autoritarismo dell’epoca mussoliniana. Furono caratteri tipologici pressoché
costanti nel manicomio italiano del nord, al centro e all’est: la recinzione dell’intero
complesso con muri mai troppo escludenti; la separazione fra sessi e una scarsa distinzione tra malati curabili e non; la presenza di una sala per osservazione e di
un’infermeria per le malattie comuni e temporanee dei ricoverati; l’ordinata strutturazione in edifici isolati, per ogni grado o tipo di follia, talvolta collegati tra loro
e con gli edifici amministrativi tramite percorsi coperti; la prevalenza di dormitori
su celle individuali; la presenza di ampi spazi a verde e di aree consistenti per coltivazione agricole, destinate all’ergoterapia.
Le varianti del tipo, a padiglioni riuniti o distanziati e a villaggio, risultarono
tutt’altro che pedissequamente ripetitivi di modelli stranieri; anche i pochi manicomi in origine a sistema chiuso o a ‘corridoio’ (Como, Pergine Valsugana) vennero
rapidamente riarticolati in padiglioni. Un unicum è la traiettoria dell’OP gemmato
dall’amministrazione dell’Ospedale Maggiore di Milano, la celebre Ca’ Granda:
dall’ospedale di San Vincenzo all’ex convento dei Gesuiti alla Senavra in città,
spostato, provvisoriamente, a Mombello in vista del trasferimento dei ricoverati in
un manicomio modello a Desio (per 1000 degenti), progettato e mai realizzato
dall’architetto Pestagalli e dell’alienista Castiglioni, qui in seguito definitivamente
stabilizzato in uno sviluppo abnorme, fino a custodire quasi 3500 degenti nel periodo tra le due guerre mondiali. Singolare è stato anche il suo legame temporaneo
con l’OP di Affori (Paolo Pini, oggi museo).
In tale complesso contesto, di ricerche mediche e pratiche attuative, in un quadro socio-politico in forte evoluzione nel corso del xIx secolo e nella prima metà
del xx, l’architettura dell’OP acquisì caratteri specifici anche là dove si trattò di
ristrutturare o ampliare antichi edifici. Non erano però state indagate, prima delle
ricerche condotte con il Prin 2008, né le procedure attraverso le quali alcuni progetti
di OP divennero in Italia esemplari modelli di riferimento; né le logiche di riutilizzo
di antichi complessi di ville e monasteri; né quelle della localizzazione; benché,
soprattutto a partire dalla seconda metà del xIx secolo, in Italia come nelle altre
nazioni, sia gli ospedali in generale che gli OP fossero divenuti questioni centrali
di programmi politici e di impegno civile molto articolati, nel quadro di rapporti
istituzionali e sociali fondamentali.
Il tema di questa ricerca Prin si inscrive infatti anche nell’orizzonte delle modalità di costituzione di una effettiva unità politica e statale della nazione italiana,
nella quale il problema sanitario, nelle sue diverse componenti, è stato fattore centrale, cui contribuirono a vario titolo personalità anche del mondo medico e della
psichiatria in particolare. Molti istituti universitari, ad esempio, diedero luogo a un
dibattito internazionale sulla medicina in tutti i suoi aspetti, che gettò le basi per
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Maria Antonietta Crippa
una concezione di cura delle diverse malattie secondo un unico, nazionale ‘sistema
sanitario’, diffuso sul territorio, tuttora vigente.
In linea generale si può ritenere che la seconda fase della storia italiana della
psichiatria e degli OP ha evidenziato l’insieme delle più gravi contraddizioni con
le quali il paese ha dovuto confrontarsi nella costruzione di una propria unità identitaria. Si sono, in particolare, attivati un sistema di ricovero, una moltiplicazione
e un ampliamento dei complessi manicomiali di tale portata da costituire impaccio
irrimediabile alle innovazioni curative messe a punto dalla psichiatria nazionale e
internazionale.
La critica che, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, ha investito gli OP,
in quanto strumenti di sola custodia e non di cura, ha comportato la radicale corrosione della loro validità, svelandone inoltre il ruolo ambiguo rispetto sia alla maturazione della scienza psichiatrica sia alle motivazioni sociali e civili che, soprattutto
nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento, ne avevano determinato l’espansione in un assetto provinciale, a scala nazionale, di difficile costituzione e gestione.
Pertanto, la costruzione, la strutturazione interna, la gestione degli OP; la loro
distribuzione per province su tutto il territorio nazionale; lo scarto tra concezioni
psichiatriche e capacità di loro attuazione pratica nell’adeguamento delle strutture
di ricovero; questioni sociali importanti e spesso gravi segnali di difficoltà economiche e culturali nazionali come, per fare un solo esempio, il forte sfruttamento
‘ergoterapico’ degli internati; la conflittualità tra psichiatri e magistrati sull’imputabilità del folle: l’insieme di questi fattori costituì una miscela esplosiva, che le
mura dei manicomi non riuscirono a contenere oltre gli anni Sessanta/Settanta del
Novecento.
La messa in crisi medica e gestionale degli OP e l’influsso delle esperienze
inglesi delle ‘comunità terapeutiche’ furono gli elementi detonatori attivati, a Gorizia e a Trieste, da Franco Basaglia e dalla sua équipe. Divenne di dominio comune
e oggetto di aspre polemiche il fatto che, dall’unificazione del paese in poi, erano
stati raccolti negli OP italiani, non soltanto i cittadini che accusavano disturbi mentali, ma anche i disabili gravi, gli alcolisti, i disadattati, gli emarginati. L’internamento era, infatti, avvenuto più in ragione della pericolosità sociale della persona,
che non in base al riconoscimento di una patologia psichiatrica.
La legge 180/1978 (detta legge Basaglia), subito inclusa nella legge 833/1978
del Servizio sanitario nazionale, ha decretato il superamento degli OP e dei loro
metodi di ricovero e cura in tutta l’Italia; ha reinserito il malato mentale e l’operatore sanitario nel contesto della medicina generale; ha affermato l’importanza del
territorio come sede primaria dell’intervento terapeutico. La sua disorganica applicazione in tutto il paese ha richiesto la nuova legge 724/1994, nella quale si sancì
la chiusura definitiva degli OP in tutto il territorio nazionale entro il 1996, data
prorogata successivamente al 1997 e poi al 1998. Isolati dal processo qui sintetizzato furono gli ospedali psichiatrici giudiziari, tenuti in attività, dei quali solo uno
(quello a Castiglione delle Stiviere) rientra nella casistica affrontata dall’Unità di
ricerca di Milano6.
6
Le leggi varate nel 1978, la n. 180 e la n. 833 che istituiva il Sistema Nazionale Sanitario tuttora
vigente, fecero dell’ospedale psichiatrico un’istituzione negata, ne sancirono di colpo il ‘definitivo su-
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Storiografia e nuovi usi per gli ex ospedali psichiatrici in Italia
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L’abbandono, graduale e disordinato dal 1978 in poi, degli OP, spesso caratterizzati da grande estensione territoriale e situati in zone che l’urbanizzazione tendeva a inglobare aumentandone il pregio e la conseguente appetibilità da parte del
mercato immobiliare, ne ha implicato una damnatio memoriae nella storiografia
d’architettura e del territorio, che, a trent’anni dalla legge Basaglia, non ha più ragione di sussistere, è anzi causa di gravi carenze conoscitive e impedimenti alle
corrette pianificazioni nel rispetto di quanto indicato nel Codice dei beni culturali
e del paesaggio (legge 42/2004 e aggiornamenti successivi) attualmente in vigore.
Importanti valutazioni generali e caso per caso, a riguardo dei processi intercorsi dal 1978 ad oggi negli OP oggetto di studio del Prin 2008, sono maturate
nell’Unità di ricerca di Milano in rapporto a: regimi proprietari; consistenza patrimoniale; qualità architettonica e paesaggistica; trasformazioni urbanistiche e territoriali; modifiche sostanziali per smembramenti, abbandoni, vendite, riutilizzi, che
ne hanno modificato talvolta in modo radicale gli assetti originari, talaltra lasciato
in stato di abbandono la gran parte degli edifici, in altri casi ancora eroso vasti insiemi, agricoli e a verde. In generale si tratta di complessi architettonici molto vasti,
solo in qualche caso di alta qualità architettonica, spesso però dotati di aree verdi
molto ampie, persino con carattere di parco e in non pochi casi custodi di ricercate
essenze arboree o di micro-ecosistemi.
Avendo enucleato la complessità e la varietà dello stato di fatto dei diversi
siti, sarà possibile d’ora in poi la messa a punto di un quadro comparato di temi e
problemi di tutela e valorizzazione, sia architettonica che paesaggistica, degli OP
realizzati in Italia a partire dall’unificazione nazionale, per il quale l’Atlante informatizzato frutto della ricerca risulterà riferimento imprescindibile.
Il vasto patrimonio nosocomiale psichiatrico, persa definitivamente la primigenia funzione di istituzione di ricovero e totalizzante, si trova ora, nella stragrande
maggioranza dei casi, in condizioni di sottoutilizzo, di frammentazione e di degrado
generalizzato, che attendono indirizzi di conservazione e recupero secondo funzioni
compatibili oltre che utili nel quadro sociale, a scale diverse, dalla comunale alla regionale. Composti da edifici in forme e volumetrie essenziali e organizzati in padiglioni o a ‘villaggio’, ampliati nel corso degli ultimi due secoli, comprendenti spesso
anche ville oltre che parchi e giardini di pregio, essi esigono tutela in quanto rilevanti
testimonianze storiche e contesti dotati di una qualità paesaggistica recuperabile in
progetti attenti anche a generare nessi, talvolta in origine inesistenti, tra il loro ordinamento spaziale e i contesti urbani nei quali spesso si trovano ora inglobati.
ha scritto Foucault in Sorvegliare e punire:
«Ritroveremo a lungo, nell’urbanistica, nella costruzione di città operaie, di ospedali,
di ospizi, di prigioni, di case d’educazione, questo modello del campo, o almeno il principio
peramento’ determinando ‘uno stato di abbandono e di inaccettabile degrado delle condizioni di vita
dei ricoverati’, come segnalò, la legge 23 dicembre 1994, n. 724 che ne esigeva, dalle Regioni, la chiusura effettiva entro il 1996, richiesta ribadita nelle leggi finanziarie del 1994, del 1996 e del 1997. Con
la loro definitiva dismissione, avvenuta in toto in Lombardia solo entro il 2010, i loro beni mobili e immobili, rapidamente riassorbiti nella ristrutturazione della rete ospedaliera con possibilità di vendite totali o parziali, si trovarono coinvolti in un processo di riconversione sostanzialmente senza regole a
livello regionale e provinciale, e furono soggetti a frammentazione e dispersione.
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Maria Antonietta Crippa
che lo sottende: l’incastrarsi spaziale delle sorveglianze gerarchizzate»7.
Gli OP sono stati certamente, nella maggior parte dei casi, spazi di sorveglianza
gerarchizzata, aree strutturate secondo logica simmetrica ordinata da un asse distributivo centrale occupato da funzioni direttive, gestionali e amministrative.
L’analitico sguardo retrospettivo della ricerca dell’Unità milanese, dunque,
ha inteso recuperare l’importanza della dimensione storica dell’architettura degli
OP per coglierne, distinguendo ogni caso, i dinamismi gestionali rappresentativi e
immaginativi, di una modernità da ricomprendere nelle sue istanze, nelle sue battaglie e nelle sue sconfitte, non riducendo l’architettura a semplice e meccanico
specchio delle ideologie che, tuttavia, sempre la stimolano e ne determinano componenti rilevanti. ha tenuto anche sempre presente che si tratta di una modernità
che aveva lasciato alle spalle, da tempo, il mito della stultifera navis dei folli, dipinta da hieronymus Bosch alla fine del xV secolo, la barca che trasportava i vagabondi da una città all’altra lungo i fiumi tedeschi e i canali fiamminghi, e la realtà
tremenda e concretissima della veneziana pubblica fusta ormeggiata davanti a
piazza San Marco, dismessa nel xVIII secolo ma fino ad allora mossa sul mare dal
lavoro di pazzi poveri, schiavi rematori.
Non ha voluto sottovalutare, infine, come scrivevano Franco e Franca Basaglia
rifiutando gli OP, il fatto che:
«In ogni società si vive, ci si ammala, si diventa vecchi, si è soli. Ma una società produttivistica che si fonda sull’ideologia del benessere e dell’abbondanza per coprire la fame,
non può programmare sufficienti misure preventive o assistenziali. Si salva ciò che può essere facilmente recuperato; il resto viene negato attraverso l’ideologia dell’incurabilità, dell’incomprensibilità, della natura umana, su cui si costruisce il castello del pregiudizio»8.
Nel processo di dismissione e abbandono, dal 1978 in poi, affidato solo alle
amministrazioni locali che, per lo più, non hanno conoscenze e competenze per
una regia forte e unitaria delle componenti urbanistiche, architettoniche, storiche e
conservative, non si è riusciti in Italia a riconoscere, caso per caso, la complessità
e la varietà di valori specifici dei nosocomi manicomiali, nel loro doppio ordine:
la distribuzione, estensione e qualità dei corpi edilizi, il loro rapporto con ampi
vuoti e vaste aree verdi, l’implicazione, in non pochi casi, di importanti complessi
monumentali antichi, la loro sopravvenuta prossimità con la città, per un verso; per
l’altro, l’accumulo in essi e loro tramite, di memorie civili, delle condizioni di vita
dei diversi ceti sociali, degli studi di medici alienisti e di ingegneri e architetti igienisti di vaglia, delle modalità di risposta a emergenze locali e di momenti particolari, come le due guerre mondiali.
Non si tenne neppure conto del fatto che, essendosi l’Italia inserita nel processo di costruzione dei manicomi piuttosto tardi rispetto alla gran parte delle esperienze estere, vale a dire nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, progettisti e alienisti
7
M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1976, p. 18.
F. e F. BASAGLIA, Postfazione, in E. GOFFMAN, Asylums. L’istituzione totale: meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino, Einaudi, 2003, p. 411.
8
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Storiografia e nuovi usi per gli ex ospedali psichiatrici in Italia
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italiani - lo si è verificato nel caso di molte personalità di spicco in ambedue gli
ambiti per l’area di studi dell’Unità di ricerca milanese - elaborarono varianti del
tipo a padiglioni, riuniti o distanziati, e a villaggio tutt’altro che pedissequamente
ripetitivi di modelli stranieri, pur nel rigore tipologico che contraddistingue il tema
compositivo; anche i pochi manicomi in origine a sistema chiuso (Como, Pergine
Valsugana), vennero rapidamente riarticolati in padiglioni. Non si prestò attenzione
alla singolarità degli asili in preesistenze monumentali, ville o conventi: S. Clemente e S. Servolo a Venezia; S. Felice a Vicenza; Antonini a Mombello di Limbiate; Ente comunale di assistenza a Codogno.
Non si tennero neppure nel debito conto le ragioni storiche delle differenziazioni tipologiche. Del tutto specifiche anche le vicende isolane degli OP veneziani
e il loro rapporto con le istituzioni manicomiali sulla terra ferma, in tutta l’area veneta. Esito di elaborazione di interessanti varianti tipologiche, maturate in uno
stretto confronto tra progettisti e alienisti tra nord, centro e sud della penisola, sono
molti altri OP (Bergamo, Como, Treviso, Voghera). Notevole, per qualità, il progetto dell’architetto Daniele Calabi a Verona, sensibile alle ricerche in corso di Basaglia e rispondente a criteri progettuali innovativi nella configurazione a villaggio
comunitario del complesso. Di significativa valenza territoriale il sistema a rete,
con sedi centrali e sedi periferiche (Belluno, Mombello, Treviso, Vicenza). Del
tutto distinte dalla cultura otto e novecentesca peninsulare perché costruiti in contesto austroungarico, gli OP del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige
(Trieste, Gorizia, Pergine).
Non si prestò, infine, la benché minima attenzione alle vaste aree verdi.
Nella modalità di gestione nazionale delle ultime fasi della storia degli OP,
dunque, si inscrivono le ragioni del generale stato di fatto attuale, caratterizzato
quasi ovunque da parziale abbandono, diffuso degrado e frammentazione dell’unità
territoriale e dell’insieme degli immobili. Conseguente a questa gestione è il disinteresse generale per la loro valorizzazione negli attuali contesti paesaggistici.
L’architettura, attività di servizio e di ordinamento collettivo, è anche fonte e
insieme esercizio di simbolizzazione e gestione della e sulla vita quotidiana, in
connessione con pratiche politiche, amministrative, mediche, giuridiche, educative,
secondo dinamiche di fondazione, sviluppo e destino di singole costruzioni, di organici complessi, di sistemi urbani, ancora quasi in toto da esplorare e riconoscere,
per il xIx e xx secolo, in una storiografia che ne consenta ragionata e socialmente
utile valorizzazione. Si può dunque affermare che la gestione del patrimonio manicomiale da attivare oggi rientra, come caso con caratteri peculiari, nel quadro del
patrimonio immobiliare pubblico che, negli ultimi decenni, evidenzia necessità di
razionale riconversione in rapporto con la trasformazione della città, ma anche con
economie di spesa e di abbattimento del debito pubblico. Esso comprende, coi manicomi, il patrimonio militare, gli scali ferroviari e le loro attrezzature, i grandi
mercati coperti, cui vanno aggiunti siti monofunzionali, come i borghi e le città
paleo industriali, e architetture industriali private dismesse.
MARIA ANTONIETTA CRIPPA
Politecnico di Milano
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POLITIChE SABAUDE PER L’ACCOGLIENZA
E LA CURA PSIChIATRICA NELL’ITALIA NORD-OCCIDENTALE
DAL REGNO SARDO ALL’ITALIA UNITA
La fine del xVII e i primi decenni del xVIII secolo videro per i duchi di Savoia non solo il raggiungimento della agognata corona reale, prima di Sicilia e poi
definitivamente di Sardegna, con il consolidarsi territoriale sempre più italiano del
potere sabaudo, ma anche e soprattutto il varo di una grande serie di riforme che
investirono tutta la vita del Regno, dall’organizzazione politico-amministrativa,
militare, finanziaria, alla gestione del rapporto con tutte le componenti della società.
In particolare, la creazione ad opera di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III di
uno Stato moderno con una gestione governativa centralizzata riguardò anche i criteri di assistenza; le innovative politiche di vigilanza sociale varate da Vittorio
Amedeo II nel 1717 con la riorganizzazione anche degli ospizi generali e delle congregazioni di carità determinarono a loro volta provvedimenti atti ad un sempre
più ferreo controllo statale contro la crescente mendicità e «ozio colpevole» di
masse di diseredati e vagabondi che, seppur abili al lavoro, non avevano impiego
alcuno e rappresentavano sicuramente un fattore di instabilità sociale. Ideologo
della reclusione forzosa dei «falsi poveri» fu il padre gesuita André Guevarre che
si dedicò ai problemi sabaudi dopo aver fondato, con i padri della Compagnia honoré Chaurand e Pierre-Joseph Dunod, gli ospizi della Francia meridionale ed in
ultimo quello della sabauda Chambéry. La sua opera, che aveva riscosso tanta attenzione anche a Roma e nel Granducato di Toscana, proponeva lo «sbandimento»
della mendicità sia come rimedio al dilagante pauperismo conseguente a due decenni di guerre e carestie, sia come utile contributo allo sviluppo della nascente industria manifatturiera attraverso il lavoro coatto dei ricoverati abili.
L’assistenza ai malati di mente nel Ducato di Savoia e poi nel Regno sardo
offre, per quadri storici successivi, periodi di continuità nelle scelte e nei criteri di
intervento e momenti di crisi e cambiamento, per lo più coerenti con gli indirizzi
politici complessivi di organizzazione dello Stato – riforme e modernizzazioni – e
con le più generali politiche assistenziali e sanitarie che interessarono tutto il complesso di provvidenze sovente innescate e conseguenti a momenti di crisi socioeconomica a carico delle classi meno abbienti. In particolare si svilupparono
competenze mediche e specificatamente psichiatriche che, proprio nell’osservazione diretta dei reclusi, permise a grandi personalità cliniche di studiare sul campo
assimilando, soprattutto nel xIx e xx secolo, molti ospedali psichiatrici a veri la-
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Politiche sabaude per l’accoglienza e la cura psichiatrica
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boratori di ricerca.
Le prime opere di chiudimento dei malati di mente, o presunti tali, sono già
ascrivibili alla fine del xVI secolo e riguardano il tentativo di raccogliere gli alienati in strutture diverse da quelle tradizionalmente dedicate al ricovero di malati
poveri e viandanti. Secondo i disegni sabaudi sarebbero stati tutti raccolti nella
nuova capitale in un asilo affidato alla pietas dei frati di S. Giovanni di Dio nel
loro piccolo convento; questo progetto non fu certo in grado di risolvere il problema
del controllo, inimmaginabile parlare di cure, e del ricovero indistinto per tutti i
malati di mente del Ducato.
Il primo vero ricovero per i «pazzerelli», progettato ad hoc, data al 1728, ancora nella capitale; per volere di Vittorio Amedeo II, si stabilisce un ricovero «per
mentecatti poveri» affidato alla Confraternita del Ss. Sudario ma posto sotto il controllo reale.
La confraternita era stata fondata nel 1598, vent’anni dopo il trasferimento
della Sindone da Chambéry a Torino, per volere del duca Emanuele Filiberto di Savoia; dalla seconda metà del xVI secolo si diffuse nelle principali città dello Stato
sabaudo e specificatamente nella capitale. Gli scopi di culto furono presto associati
alla cura dei poveri, dei mendici e dei pellegrini e le riforme di Vittorio Amedeo II
indicarono la confraternita come la più idonea ad interessarsi dei poveri mentecatti.
Solo nel 1728 il sovrano concederà un’area gratuita nella zona di Porta Susina,
in cui elevare un «palazzo dei pazzerelli»: la confraternita richiese, oltre all’indispensabile costruzione di una chiesa ad uso del manicomio, anche l’intervento diretto del sovrano per disciplinare i ricoveri dei pazzi dello Stato, in modo da poterli
raccogliere tutti nella sede torinese. Dal 1731 il manicomio completato vide i confratelli del Ss.Sudario come amministratori del complesso, sostenuto anche dalla
carità pubblica, ricoprire anche il ruolo di infermieri e custodi dei degenti. La situazione amministrativa rimase pressoché stabile fino alle riforme volute da Carlo
Alberto nel 1836, che riguardarono anche le opere pie. In anni postunitari, nel 1888,
si sancì il definitivo passaggio amministrativo del manicomio dalla confraternita
alla Municipalità della Città di Torino.
La crisi di recettività della prima vera struttura progettata come manicomio
nel 1728 a Torino, che indusse, già nel 1769, a prevedere la costruzione nelle principali città del Regno di manicomi provinciali, può essere letta anche come rappresentazione del potere illuminato e paternalistico ma nei documenti si rileva
altresì la volontà di scegliere edifici adatti a rispondere alle nuove esigenze e ai
dettati della evolvenda scienza psichiatrica. Sono evidenti, inoltre, le nuove esigenze del progresso produttivo di quei sistemi industriali che portarono il Regno
sabaudo alla ribalta dell’Europa per produzione di filati, particolarmente della seta,
per i quali i ricoverati abili e mansueti rappresentarono una forza lavoro a bassissimo costo, anticipando, illusoriamente, le teorie di riabilitazione attraverso il lavoro che avranno poi tanto seguito nell’applicazione dell’ergoterapia, per la quale
il xx secolo doterà i manicomi di aziende agricole e di laboratori artigiani.
Un dibattuto problema riguarda gli anni dell’occupazione francese con l’annessione alla Repubblica prima e all’Impero poi, attraverso la creazione della 27ª
Divisione militare, degli Stati sabaudi di terraferma, fatto che rese effettivamente
gli antichi domini sabaudi territorio francese sottoposto alle conseguenti applicazioni
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Laura Guardamagna
dei codici e delle leggi riformate da Napoleone. Per quanto specificatamente riguarda
l’assistenza agli alienati il nuovo governo pose tutti i manicomi e le strutture assistenziali sotto la direzione di organismi statali completamente laici; occorre infatti
non dimenticare la soppressione tra il 1806 e il 1807 degli ordini e delle confraternite con incameramento dei beni nel demanio dello Stato.
La Restaurazione, anche in campo assistenziale, vide il ripristino delle amministrazioni prerivoluzionarie, comprese le congregazioni religiose, con le loro attribuzioni sia patrimoniali sia di impegno sociale. Una notevole svolta
nell’assistenza agli alienati nella capitale sabauda fu inaugurata con il progetto e
la conseguente costruzione di un nuovo grande edificio per la loro accoglienza; la
scelta del sedime adatto alla nuova costruzione cadde su un’altra zona periferica
della città, dove era già previsto l’ospedale S. Luigi Gonzaga su progetto di Giuseppe Maria Talucchi e dalla caratteristica pianta a croce di S. Andrea. Si venne
così a definire un polo dell’assistenza che sfruttava i nuovi terreni edificabili resi
disponibili dai processi di riplasmazione del tessuto urbano liberato dalla cinta muraria e dalle opere di fortificazione che erano stati varati in periodo napoleonico
ma che furono realizzati progressivamente negli anni della Restaurazione.
Per contro già negli anni centrali del xIx secolo la politica carloalbertina e le
innovazioni cavouriane sfociarono in una seconda abolizione degli ordini nel 1855,
con conseguente ritorno ad una relativa laicizzazione delle strutture di accoglienza
e cura, affidando allo Stato soprattutto il campo decisionale-amministrativo conseguente alla nuova regolamentazione dei rapporti tra Stato e Chiesa codificata dal
complesso delle leggi approvate su proposta del guardasigilli Giuseppe Siccardi.
L’istituzione dei manicomi provinciali che era già stata formulata nel lontano
1769 vedrà la sua concretizzazione solo in alcune città, Alessandria (1773-1780) e
Racconigi (1865); inizialmente essi vennero ospitati in edifici preesistenti.
Nel caso di Alessandria l’iniziativa trovò una forte resistenza nelle strutture assistenziali già esistenti, ossia l’Ospedale degli infermi dei santi Antonio e Biagio e
l’Ospizio di carità, i cui organismi gestionali e amministrativi tendevano a non volersi far carico anche dell’assistenza agli alienati. questo fermo rifiuto indusse anche
in questo caso alla previsione di un’istituzione autonoma, esclusivamente dedicata.
La scelta cadde su una delle più deboli confraternite della città, quella della Ss. Trinità, che non poteva vantare altri meriti che l’antichità della propria fondazione e si
decise di utilizzare l’Ospedale dei pellegrini di S. Giacomo d’Altopasso.
Il ripristino dell’ospedale, in condizioni di conservazione pessime, richiese
ben undici anni, al termine dei quali, nel 1773, fu possibile ospitare solo pochi alienati, circa una decina di degenti in un grave stato di promiscuità e con l’incertezza
dovuta alla precarietà dei finanziamenti privati.
Alterne vicende, miglioramenti, ampliamenti giunsero a saturare il lotto del
vecchio Ospedale S. Giacomo fino al 1836, quando l’amministrazione dovette ammettere che il sedime destinato non consentiva ulteriori ampliamenti e adeguamenti
atti a rispondere alla crescente richiesta di ricoveri. Nonostante l’impegno di rinnovamento e le trasformazioni che avrebbero dovuto adeguare una vecchia struttura
ospedaliera alle sempre più pressanti esigenze della medicalizzazione del disagio
mentale, fin dagli anni quaranta del xIx secolo un nutrito numero di interrogazioni, lettere dell’intendente unite alle scelte politiche di Carlo Alberto prima e di
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Politiche sabaude per l’accoglienza e la cura psichiatrica
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Cavour poi, posero con sempre più evidente attenzione il problema dell’assistenza
nelle sue più laiche declinazioni e se, anche nel caso del S. Giacomo, resisteva ancora la natura giuridica di opera pia, tuttavia si riformò pesantemente sia la direzione amministrativa, sia la gestione funzionale, privilegiando i criteri curativi
contro la tradizionale funzione asilare, di separazione e chiudimento a favore più
della società tutta che del vero interesse dei ricoverati.
L’evidente stato di crisi indusse l’Amministrazioni provinciale e quella del
manicomio ad individuare un’altra area della città adatta ad accogliere la costruzione di un nuovo ospedale psichiatrico. La scelta cadde sull’ex monastero dei Cappuccini che, dopo le leggi di soppressione del 1855 di molti ordini e corporazioni
religiose, era ascritto alla proprietà pubblica; inoltre si trattava di un sedime periferico ai margini settentrionali di Alessandria in prossimità del demolito spalto (terrapieno) «Marengo», quindi un terreno vasto, suscettibile di ulteriori ampliamenti
e adatto all’installazione di tutte le strutture di supporto all’istituzione manicomiale,
spazi verdi, laboratori e campi adatti all’ergoterapia, che ormai erano previste nei
progetti per gli ospedali psichiatrici.
Il caso di Racconigi e del suo manicomio per la provincia di Cuneo offre un
oggetto di studio piuttosto unico ed esemplare nella storia dell’assistenza sabauda.
Infatti la città è nota fin dal xVII secolo come un importantissimo centro di produzione della seta, dall’allevamento del baco alla confezione del pregiato filato; la
crisi produttivo-occupazionale, che si aprì già dalla seconda metà del xVIII secolo
e culminò nel 1787 con la distruzione dei gelsi causata dal gelo, si ripercosse pesantemente anche sull’economia degli anni seguenti paralizzando l’intero settore
produttivo e lasciando senza lavoro la maggioranza della manodopera; Racconigi
nel volgere di pochi anni da una situazione di benessere pressoché generale finì
per essere una città di poveri, disoccupati e mendicanti. In sintonia con quello che
era avvenuto nel resto dello Stato dopo il regio editto del 19 maggio 1717 di Vittorio
Amedeo II, con i suoi principi di «sbandimento» della mendicità e chiudimento
forzoso dei poveri, dei mendicanti e degli sbandati, anche a Racconigi si previde
la creazione di un Ospizio di carità specificatamente destinato e nel 1786 si propose
di costruire una «fabbrica ampia al segno di dar ricovero e posto per il lavoro ai
poveri mendicanti del paese», ma solo nel 1789 il sovrano autorizzò la costruzione
del reclusorio destinandogli un’ampia area non ancora edificata ai margini meridionali della città, ribadendo il criterio di segregazione dei ricoverati dalla società.
Il nuovo ricovero di mendicità, secondo il progetto del 1789 dell’architetto Giuseppe Ottino, era previsto in coerenza con il già attivo ospedale Spada; nello stesso
anno, l’architetto Filippo Castelli propose un nuovo progetto con una pianta articolata
su due cortili per un fronte di tre piani, l’opera risultò vasta e imponente, forse troppo
se appena tre anni dopo la Congregazione di carità si vide costretta ad interrompere
per mancanza di fondi i lavori che furono terminati solo nel 1829; l’imponente edificio non accolse quei poveri ai quali era stato destinato ma fu concesso in uso come
quartiere militare e, in parte, come collegio per i figli dei militari.
In applicazione della legge del 1865 che imponeva il mantenimento dei «maniaci poveri» a carico delle Province, il Consiglio provinciale di Cuneo, le cui disastrate finanze non consentirono di prevedere la costruzione di un nuovo ospedale
per i «pazzerelli», l’anno seguente decise di utilizzare questo importante edificio
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Laura Guardamagna
nato come ricovero dei poveri, ma poi affidato all’esercito ed ex-sede del collegio
militare, un grande complesso capace di ospitare fino a mille persone, sovradimensionamento che, di fatto, ne aveva sempre impedito un corretto e completo uso.
Mentre si procedeva per ottenerne la dismissione dal governo, si interpellarono il
dottor Stefano Bonacossa, alienista di fama e medico-capo del manicomio di Torino, e il dottor Serafino Biffi della scuola psichiatrica milanese, e, nonostante qualche voce locale levatasi contro la proposta, i giudizi favorevoli degli esperti
condussero al varo dell’iniziativa con l’approvazione del progetto presentato dalla
commissione il 4 luglio 1870. L’Italia ormai unita vedeva l’adattamento ad uso di
manicomio di uno dei sogni di magnificenza del preesistente Stato sabaudo. Le trasformazioni necessarie per adeguare l’edificio ai criteri di sicurezza e alla divisione
dei pazienti per genere e patologie furono condotti con rapidità, tanto che già nel
1875 il manicomio svolgeva la sua attività a pieno ritmo; la distribuzione su due
cortili facilitava la divisione degli alienati per genere, i diversi piani dell’edificio
consentivano di ospitare le diverse patologie in locali destinati.
Tra il 1904 e il 1906 l’ampio sedime alle spalle del vecchio reclusorio poté
ospitare i primi nuovi padiglioni, negli anni Trenta si dotò il complesso anche di
una colonia agricola e di laboratori artigiani per l’ergoterapia.
Alcuni dei grandi ospedali psichiatrici provinciali del nord-ovest italiano furono fondati dopo l’Unità nazionale, come quello di Novara, costruito ex novo dal
1871, in sostituzione del reparto per gli alienati che dal 1769 al 1852 si era avvalso
di un settore dell’Ospedale maggiore della città, con tutti i disagi e i problemi funzionali derivanti da tale sistemazione.
È il anche il caso dell’Ospedale psichiatrico di Grugliasco, erede della sede distaccata dell’Ospedale dei pazzerelli torinese, collocato dal 1852 nell’antica Certosa
reale di Collegno, che, per fasi successive di progettazione e costruzione, fu completato nel 1912, diventando uno dei più grandi ospedali psichiatrici dell’Italia unita.
Interessante la gestione della malattia mentale nei territori liguri, annessi a
forza al Regno di Sardegna dal Congresso di Vienna. Dal 1841 le province liguri
si avvalevano del manicomio di quarto, progettato da Carlo Barabino per una capienza di circa 400 ricoverati, che già negli anni Settanta del secolo risultava ampiamente insufficiente; quindi fino al 1879 l’accoglienza degli alienati risultava a
carico degli Spedali Civili e i ricoverati erano distribuiti in reparti dedicati ma strutturalmente non distinti dal resto dei complessi ospedalieri.
Rispondendo alle sempre maggiori necessità di ricovero, tra il 1879 e il 1904,
ripetutamente si accese il dibattito tra alienisti e amministratori per individuare un
lotto sufficientemente decentrato e ampio per la costruzione di un ospedale psichiatrico sufficiente ad accogliere i pazienti liguri. Tale sedime fu individuato a
Cogoleto in località Prato Zumino; dal 1907 si procedette, con alterne fortune, all’edificazione per padiglioni successivi del vasto complesso, attivo sino alla progressiva dismissione completata nel 1998.
LAURA GUARDAMAGNA
Politecnico di Torino
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DALL’ARChITETTURA DEI MANICOMI IN FRANCIA
ALL’ASSISTENZA PSIChIATRICA FUORI DALLE MURA1
Nella Francia di antico regime poche istituzioni pubbliche erano specificamente
dedicate all’accoglienza dei malati di mente: tre in Provenza (Aix-en-Provence, Avignone e Marsiglia), due in Fiandra (Armentières e Saint-Venant), una in Lorena (Maréville accanto a Nancy) e una vicino Parigi, il famoso ospizio di Charenton posto
allora sotto la direzione dei frati di S. Giovanni di Dio. Altrove questi malati erano
ricoverati in stabilimenti designati con il nome di «ospedale generale», omologo francese dell’istituzione di reclusione per mendicanti e vagabondi chiamata in Italia «albergo dei poveri», fondati a partire dall’inizio del regno di Luigi xIV: nel 1656 per
la città di Parigi, nel 1662 per le province. Il 7 settembre 1660 il Parlamento di Parigi
deliberò che in questa istituzione fosse previsto un apposito luogo per alloggiarvi gli
alienati, disposizione che dimostra quanto celermente la funzione caritativa prevalse
sull’intento repressivo previsto dall’iniziale legislazione monarchica. Dopo il grande
incendio dell’Ospedale maggiore di Parigi nel 1772 – evento di portata incalcolabile
dal punto di vista architettonico –, medici, chirurgi, filantropi e architetti si cimentarono nel concepire un edificio ospedaliero più salubre che dovesse sostituire il vecchio, ma, fra tanti progetti, solo il chirurgo Jacques-René Tenon si preoccupò degli
ammalati mentali, pubblicando una pianta di stabilimento manicomiale in una sua
opera famosissima tanto nel campo ospedaliero quanto in quello igienico2.
Nel periodo della Rivoluzione, si assisté a un netto declino delle condizioni
d’accoglienza dei malati a vantaggio di misure assistenziali generose – assistenza
medica gratuita a domicilio, aiuti agli indigenti (anziani poveri, ragazze madri, invalidi, ecc.) – promulgate ma mai applicate, e durante gli anni del Consolato e dell’Impero napoleonico si registrò quasi un ritorno alle precedenti condizioni
dell’Antico regime. Al principio della Restaurazione, il medico Jean-Étienne-Dominique Esquirol redasse una celebre relazione in cui sottolineava la necessità assoluta
di alloggiare i malati di mente, ribattezzati da lui alienati, in istituti specificamente
a loro destinati3. Secondo la dottrina di Esquirol, la struttura architettonica dei ma1
Sul tema di questo contributo, mi permetto di rinviare a P-L. LAGET, Naissance et évolution du
plan pavillonnaire dans les asiles d’aliénés in «Livraisons d’histoire de l’architecture», 7, 2004, pp.
51-70; ID., Utopie asilaire: une conception architecturale bercée par l’illusion d’un effet bénéfique sur
des esprits dérangés, in «Revue de la Société d’histoire des hôpitaux», 130, 2008, pp. 38-51.
2
3
J.-R. TENON, Mémoires sur les hôpitaux de Paris, Paris, Royez, 1788, pp. 393-396 e tav. xV.
J.- É-D ESqUIROL, Des établissements des aliénés en France et des moyens d’améliorer le sort
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Pierre-Louis Laget
nicomi doveva essere concepita come strumento terapeutico sulla mente squilibrata
degli alienati: in particolare, raccomandò la creazione di manicomi composti da unità
architettoniche, ognuna costituita da corpi divisi in stanze e disposti in quadrilatero
attorno a un cortile, chiuso, su uno dei lati, da un semplice portico. Così, gli alienati
avrebbero potuto godere di una veduta sull’esterno e non avrebbero troppo sofferto
della sensazione di chiusura. queste unità, denominate quartieri o sezioni, dovevano
essere indipendenti e limitate al piano terreno. Solamente due quartieri nell’Ospizio
di Bicêtre, vicino Parigi, e il manicomio di Saint-yon a Rouen, il primo costruito in
Francia, tra il 1821 e il 1827, riflettevano le originarie concezioni architettoniche di
Esquirol4. Tale formula, infatti, non ebbe successo e venne abbandonata anche prima
della morte dell’alienista perché il modello di stabilimento da lui proposto mancava
di funzionalità e il suo costo di costruzione era maggiore di quello di un edificio a
più piani (tenuto conto del costo fisso delle fondamenta e dei tetti). quindi, nella
città di Le Mans, l’architetto Félix Delarue costruì, nel 1828, un manicomio che presentava un allineamento doppio di padiglioni riuniti da gallerie, separati da un ampio
intervallo libero nel quale si ubicavano l’edificio dell’amministrazione, quello dei
servizi generali e la cappella. Con questa disposizione, che si approssimava al celeberrimo progetto di ospedale allegato alla terza relazione dell’Accademia reale delle
scienze pubblicata nel 17885, Félix Delarue introdusse un tipo architettonico che
avrebbe caratterizzato il sistema manicomiale francese. Nel 1836 una pianta corrispondente a tale sistema fu pubblicata da Scipion Pinel6, – figlio dell’eminente alienista Philippe Pinel –che affermava esplicitamente di averne tratto l’ispirazione da
Benjamin Desportes – un amministratore degli ospizi di Parigi – introducendo qualche modifica. La larga diffusione delle idee di Desportes dopo la pubblicazione del
suo saggio nel 18247 spiega probabilmente le forti similitudini fra la pianta del manicomio di Le Mans e il modello di Pinel.
Con l’istituzione, nel 1835, di un organismo statale per soprintendere ai manicomi, chiamato ispettorato generale, il Ministero dell’interno si dotò di uno strumento di controllo sulla loro progettazione. Nonostante il potere accordatogli, il
primo ispettore, Guillaume Ferrus, non riuscí a imporre il sistema panottico che
aveva potuto osservare a Londra nel quartiere manicomiale di Guy’s hospital, ma
fu il promotore in Francia del lavoro degli ammalati nei campi come nuova terapia
per la salute mentale8. Perciò, la necessità di disporre di un esteso podere agricolo
de ces infortunés. Mémoire présenté à S. E. le Ministre de l’Intérieur en septembre 1818…, Paris, huzard, 1819.
4
J.-M. LENIAUD, Un champ d’application du rationalisme architectural: les asiles d’aliénés dans
la première moitié du XIXe siècle, in «L’Information psychiatrique», LII (1980), 6, pp. 747-761.
5
Troisième rapport des commissaires chargés, par l’Académie, des projets relatifs à l’établissement des quatre hôpitaux, a cura di J.-S. BAILLy, Paris, Imprimerie royale, 1788.
6
S. PINEL, Traité complet du régime sanitaire des aliénés ou manuel des établissements qui leur
sont consacrés, Paris, Mauprivez, 1836.
7
B. DESPORTES, Programme d’un hôpital consacré au traitement de l’aliénation mentale pour
500 malades des deux sexes, proposé au Conseil général des hôpitaux et hospices civils de Paris, dans
sa séance du 5 mai 1821..., Paris, huzard, 1824.
8
G.-M.-A. FERRUS, Des aliénés. Considérations générales 1. sur l’état des maisons qui leur sont
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Dall’architettura dei manicomi in Francia all’assistenza psichiatrica fuori dalle mura
67
spiega l’ubicazione semirurale di quasi tutti gli impianti fino agli anni Sessanta del
secolo scorso. Il secondo ispettore, Maximien Parchappe, era dotato di acuta sensibilità estetica in materia di architettura, sentimento raro in quest’epoca in cui regnava il primato dell’igienismo. Per esempio, non gli piacevano gli insiemi di
padiglioni isolati, ma preferiva la nobile composizione di facciate monumentali9.
Così, nel manicomio di Navarre, vicino alla città di Evreux in Normandia, eretto
nel 1862, si adottò la formula degli edifici continui. Tuttavia, il sistema a padiglioni
desunto dal manicomio di Le Mans si perpetuò in Francia, dopo la morte di Parchappe nel 1866 e, fino alla Grande guerra, si declinò soltanto con sottili variazioni:
cioè padiglioni paralleli o perpendicolari all’asse longitudinale.
Di fronte ai risultati di guarigione quasi nulli ottenuti nei manicomi, ci si cominciò a interrogare sulle condizioni di internamento che erano stato applicate agli
alienati. questo movimento, chiamato no-restraint, nacque in Inghilterra con Robert-Gardiner hill che, fin dal 1837, propose l’abolizione dei mezzi di contenzione.
Uno dei suoi colleghi, John Conolly, ebbe il merito di assicurare la diffusione di
tali principi10. In base a essi, furono esclusi tutti gli elementi che richiamassero l’architettura delle prigioni, come serrature e chiavistelli imponenti, sbarre alle finestre,
inferriate e mura di cinta, fossato di chiusura dei giardini a bocca di lupo.
In Germania, le critiche furono molto più radicali, con l’esclusione di tutto
quanto richiamasse il tipo architettonico dell’alloggio collettivo, cioè caserme, collegi, conventi, ospedali; ciò significò rinunciare agli allineamenti di padiglioni, alla
simmetria assiale e alla ripetizione dello stesso modulo architettonico per tutti i padiglioni. Inoltre, l’austerità era condannata e si cercò di dare un carattere attraente
agli edifici, presentando diversità di aspetto esteriore e incoraggiando una certa ricerca decorativa. L’istituto che costituì il modello di riferimento per queste innovazioni fu il manicomio di Galkhausen, situato nella Prussia renana, costruito fin
dal 1897. A Galkhausen ci si sforzò di far somigliare il manicomio a un comune
villaggio, stabilendo al suo centro una piazza circondata da edifici pubblici come
la chiesa, il teatro o la sala delle feste e l’ufficio amministrativo che fungeva da
municipio11. Esiste in Francia un magnifico esempio di manicomio che risponde
perfettamente a questa tipologia a villaggio, aperto nel 1906 in Alsazia, nel periodo
in cui questa provincia insieme con la Lorena era annessa alla Germania: quello
di Rouffach nel sud dell’Alsazia, vicino alla città di Colmar12.
destinées tant en France qu’en Angleterre, sur la nécessité d’en créer de nouvelles en France et sur le
mode de construction à préférer pour ces maisons; 2. sur le régime hygiénique et moral auquel ces malades doivent être soumis; 3. sur quelques questions de médecine légale ou de législation relatives à
leur état civil, Paris, huzard, 1834.
9
J.-B.-M. PARChAPPE DE VINAy, Des principes à suivre dans la fondation et la construction des
asiles d’aliénés. Paris, V. Masson, 1853.
10
J. CONOLLy, The construction and government of lunatic asylums and hospitals for the insane,
London, Churchill, 1847.
11
J. BRESLER, Deutsche Heil- und Pflegeanstalten für psychischkranke in Wort und Bild, halle,
Marhold, 1910-1912, I, Galkhausen, pp. 287-296.
12
G. LÉSER, Rouffach, de l’asile au centre hospitalier: 90 ans de psychiatrie, Strasbourg, Edition
du Rhin, 1999.
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Pierre-Louis Laget
In Francia, il rancore nei confronti dei tedeschi dopo la sconfitta del 1871
sembra motivare la sorda prevenzione contro un modello elaborato e sviluppato in
Germania. Di conseguenza, un unico manicomio del tipo a villaggio venne eretto
prima della seconda guerra mondiale: si aprì nel 1913 a Fleury-les-Aubrais, accanto
a Orléans, il capoluogo del Dipartimento del Loiret. Del resto, il medico direttore
non volle chiamarlo manicomio, un termine diventato allora dispregiativo, ma istituto psicoterapeutico13. Dopo la prima guerra mondiale, nell’Ispettorato generale
dei manicomi si elaborò un nuovo modello di stabilimento con pianta a «V» chiamato dagli ispettori – Julien Raynier e Jean Lauzier – manicomio «par zones»14.
Tale pianta a «V» permetteva di aprire due lati del giardino di ogni padiglione sulla
campagna circostante. Inoltre, i padiglioni degli ammalati acuti erano situati vicino
al centro della «V» (nella zona ospedale), quelli dei cronici più lontano (nella zona
ospizio). Solo due manicomi, quello di Ravenel a Mirecourt, nel Dipartimento dei
Vosgi, e quello di Lannemezan nel Dipartimento degli Alti Pirenei, entrambi eretti
tra le due guerre mondiali, seguirono le prescrizioni dell’Ispettorato generale.
Invece, dopo la seconda guerra mondiale, il manicomio a villaggio fu promosso come tipo ideale sotto l’influsso di psichiatri attivi nel movimento detto
della «psychiatrie institutionnelle»15. questo tipo a villaggio venne pure prescritto
come modello da un comitato costituito, nel 1956, dall’Organizzazione mondiale
della sanità a Ginevra. Nel comitato sedevano due psichiatri, il francese Paul Sivadon e l’inglese Alex Baker, e un architetto britannico, Richard Llewelyn Davies,
specializzato nel campo ospedaliero16. Conseguentemente, ispirato dallo stesso movimento della «psychiatrie institutionnelle», il Ministero della sanità francese intraprese, nel 1956, un programma molto ambizioso di costruzione di manicomi a
villaggio17, allorché dappertutto l’istituzione manicomiale incominciava già a essere
contestata come mezzo unico di trattamento delle malattie mentali. Per comprendere tale paradosso, bisogna sottolineare che ogni capofila di questo movimento
riformista occupava un posto di direttore di manicomio, perciò era un po’ difficile
per loro contestare troppo radicalmente tale luogo di cura (non si può segare il ramo
sul quale si è seduti!). Tuttavia, nel 1960, lo stesso Ministero iniziò, contemporaneamente, ma timidamente, a promuovere una politica assistenziale chiamata «sectorisation», cioè creazione di strutture di cura della follia fuori dalle mura dei
manicomi, come dispensari di igiene mentale, residenze terapeutiche, ospedali
diurni, ecc18. Tuttavia, la partenza reale di tutte queste strutture alternative si ebbe
13
J. RAyNEAU, Notice sur l’établissement psychothérapique de Fleury-les-Aubrais (Loiret), Orléans, Imprimerie orléanaise, 1923.
14
J. RAyNIER - J. LAUZIER, La construction et l’aménagement de l’hôpital psychiatrique et des
asiles d’aliénés..., Paris, Edition de l’Aliéniste français, 1935.
15
G. DAUMEZON, Vers une conception moderne de l’hôpital psychiatrique, in «Techniques hospitalières, sanitaires et sociales», 8, mai 1946, pp. 6-9.
16
A. A. BAKER - R. LLEWELyN DAVIES – P. SIVADON, Services psychiatriques et architecture, Ginevra, Organizzazione mondiale della sanità, 1960, p. 65.
17
J. LAUZIER, Fixation des normes de construction des hôpitaux psychiatriques, in «L’Information
psychiatrique», 4e série, xxxVI (1960), 4, pp. 373-391.
18
Circulaire du 15 mars 1960 du Ministère de la santé publique et de la population.
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Dall’architettura dei manicomi in Francia all’assistenza psichiatrica fuori dalle mura
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molto più tardi, al principio degli anni ‘80, con l’appoggio decisivo, ma tardivo,
della legge del 25 luglio 1985, che diede un quadro normativo a uno sviluppo nato
nel 1958 dall’iniziativa pionieristica dello psichiatra Philippe Paumelle19, nel tredicesimo circondario della città di Parigi.
Benché il governo francese non abbia osato sopprimere l’istituzione manicomiale radicalmente come ha fatto l’Italia nel 1978 su incitamento di Franco Basaglia, ha tuttavia intrapreso un’azione similare, ma più cauta, per timore delle
reazioni dei sindacati dei dipendenti dei manicomi e anche degli amministratori
locali, svuotando a poco a poco gli istituti dei loro ammalati. Il processo è stato
avviato da almeno due decenni, ma non è ancora terminato, avendo il governo
troppi riguardi per le suscettibilità locali e per la conservazione dei posti di lavoro
(l’ospedale costituiva la principale fonte d’impiego nelle contrade rurali in cui la
maggior parte di essi era stata impiantata).
Oggi gli psichiatri non si preoccupano più tanto dei problemi architettonici
quanto di sottolineare che non bisogna più emarginare i malati mentali, allontanandoli dal loro ambiente sociale. Così, dopo essere stati esiliati per quasi un secolo
e mezzo in stabilimenti isolati nella campagna lontana dai miasmi urbani, che rappresentava all’epoca l’immagine stessa della salubrità, questi malati, per la loro
cura, sono ritornati in nuove strutture assistenziali create nelle città in cui lavoravano, in cui vivono le loro famiglie e in cui intrattenevano le loro relazioni sociali.
Tale movimento di rimpatrio delle entità di cura psichiatriche verso i centri urbani
non è ancora terminato, benché sia stato invocato fin dagli anni ‘60, paradossalmente all’apogeo della costruzione del manicomio a villaggio20.
PIERRE-LOUIS LAGET
Région Nord - Pas de Calais
Service du Patrimoine culturel
19
S. GAUThIER, Actualité de Philippe Paumelle, in «L’Information psychiatrique», LxxIx (2003),
2, pp. 151-159.
20
G. FERRAND - J.-P. ROUBIER, L’hôpital psychiatrique dans la cité. Programme d’un hôpital psychiatrique urbain de moins de cent lits, in «Recherches», 6, juin 1967, n. mon.: Programmation architecture et psychiatrie, pp. 35-136.
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70
Pierre-Louis Laget
Ospizio di Bicêtre a Kremlin-Bicêtre, Île-de-France, in B. DESPORTES, Rapport fait au
Conseil général des hospices civils de Paris, dans sa séance du 13 novembre 1822, sur le
service des aliénés traités dans les établissemens de l’administration, depuis le 1er janvier
1801 jusqu’au 1er janvier 1822, Paris, huzard, 1823, planche 1.
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Dall’architettura dei manicomi in Francia all’assistenza psichiatrica fuori dalle mura
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Asile d’aliénés de Navarre, Evreux, Département de l’Eure, veduta aerea, cartolina postale,
anni ‘50.
Asile d’aliénés de Rouffach, Alsace, Département du haut-Rhin, veduta aerea, cartolina
postale, anni ‘50.
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Pierre-Louis Laget
Ospedale psichiatrico di Ravenel, Mirecourt, Lorraine, Département des Vosges, progetto
di Georges Jacquet in J. RAyNIER et J. LAUZIER, La construction et l’aménagement de l’hôpital psychiatrique et des asiles d’aliénés, Paris, Edition de l’Aliéniste français, 1935.
Asile d’aliénés de Vaucluse, Epinay-sur-Orge, Essonne, Île-de-France, in F. NARJOUx, Paris,
monuments élevés par la ville, 1850-1880, Paris, Veuve A. Morel, 1878-1883, t. IV.
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UN WORKShOP DI PROGETTAZIONE A PALERMO
Rispetto alla ricerca Prin (Programmi di ricerca d’interesse nazionale), il
gruppo di lavoro di Palermo si intesta anche una parte di proposta progettuale che
può avere un valore generale rispetto al futuro di questi complessi nella città contemporanea. Data la presenza di molti docenti di composizione architettonica,
l’Unità ha posto come momento importante il progetto di riuso dell’ex Ospedale
psichiatrico di Palermo e di valorizzazione di edifici particolarmente significativi
all’interno di questo, attraverso un workshop di progettazione sul tema «Dalla Casa
dei matti alla città: aree intercluse, infrastrutture e sistemi urbani». Molti ricercatori
coinvolti fanno parte, come membri del collegio dei docenti, come assegnisti di ricerca o come dottori, del dottorato di ricerca in progettazione architettonica con
sede a Palermo e sedi consorziate Napoli, Reggio Calabria, Parma e Milano, che
ha lavorato in questi ultimi dieci anni sul tema del restauro del moderno.
Il workshop riguarda, come detto in precedenza, l’ex Ospedale psichiatrico
di Palermo, costruito da Francesco Paolo Palazzotto tra la fine del xIx e l’inizio
del xx secolo, un grande e molto interessante complesso a padiglioni (uno dei più
significativi tra i manicomi esaminati nell’intera ricerca a scala nazionale) edificato
in sostituzione della Real casa dei matti ubicata non molto lontano, sempre nella
parte a monte del centro storico. Oggi l’ospedale si trova nelle immediate adiacenze
della Circonvallazione, la via larga che funge da raccordo tra le autostrade di Messina/Catania da un lato, Trapani/Mazara dall’altro: tra l’ospedale e la Circonvallazione ci sono quasi soltanto dei campi di calcio, che dovrebbero essere sostituiti e
costituire un tema di progetto.
Il complesso fu eseguito secondo i criteri allora più avanzati, provvisto dei
servizi necessari, tra cui una parte di terreno da coltivare: i padiglioni sono uniti
tra di loro da un passaggio coperto e tra i padiglioni esiste una cospicua quantità di
verde.
Il sistema architettonico si conclude a monte con una esedra, mentre l’esedra
prevista originariamente a valle fu poi sostituita da un corpo rettilineo lungo la
strada, via Pindemonte. Il lotto è diviso da una strada longitudinale, che separa il
gruppo dei padiglioni uguali da un gruppo minore, posto lungo via La Loggia.
A monte dell’esedra esistono un edificio cubico seicentesco, in origine dei
Gesuiti, la Vignicella, di grande interesse storico e architettonico, che fu utilizzato
come parte dell’ex ospedale, una cappella barocca a croce greca e altri edifici coevi
in grave stato di degrado, che non dovrebbero essere demoliti. Si ipotizza invece
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Cesare Ajroldi
di demolire l’incongruo nuovo edificio del padiglione geriatrico, posto tra la Vignicella e l’esedra. Esiste una rete sotterranea di canali di origine araba (qanat) che
passa proprio sotto la Vignicella e ne determina l’altezza rispetto al suolo.
Attualmente l’ospedale, dopo l’applicazione (lenta) della legge Basaglia, è in
realtà in gran parte ancora occupato dalla ASL. La nostra ipotesi di lavoro è che
una parte, quella a monte fino alla Circonvallazione, sia utilizzata per altri scopi
(il Piano regolatore generale prevedeva un museo scientifico, ma la scelta è dei
progettisti), mentre il resto rimanga della ASL. quindi il progetto riguarderà la
parte alta del complesso, a partire dalla clinica neurologica su via La Loggia (possibilmente esclusa) fino alla Circonvallazione, prendendo in esame le relazioni a
Nord e a Sud, che costituiranno dei temi. Infatti i cinque organizzatori (Cesare
Ajroldi. Francesco Cannone, Giuseppe Di Benedetto, Renzo Lecardane, Zeila Tesoriere) hanno proposto dei temi di progettazione relativi al complesso e alle sue
relazioni con la città.
Chi scrive ha proposto il tema «Monumento, progetto, geometria»: esso riguarda soprattutto la Vignicella, da restaurare eliminando le superfetazioni e destinandola a museo, e la possibilità, eliminando il padiglione geriatrico, di un nuovo
edificio basso che si integri al rapporto geometrico tra il cubo dell’edificio seicentesco e l’esedra dell’ospedale. questo edificio dovrebbe avere lo stesso uso di
museo e potrebbe essere collegato alla Vignicella.
Il tema di Francesco Cannone è «Interno di città»: cioè come mettere in rapporto la città murata di Palazzotto con la città caotica, disordinata ma viva, che potrebbe iniettare germi salutari all’interno di una struttura tetragona, passando
attraverso il margine, il muro, per prefigurare usi nuovi, dettati dalla logica ma
anche dalla fantasia. quello di Giuseppe Di Benedetto è «Connessioni, margini,
legami. Il disegno degli spazi aperti nella forma del progetto del suolo nell’area
della Vignicella»: l’idea progettuale deve essere tesa alla ridefinizione delle connessioni contestuali, fornendo dei tramiti, dei legami, anziché delle cesure, con la
molteplicità dei principali fattori di connotazione identitaria dell’area d’intervento.
Renzo Lecardane ha scelto il tema «Dall’ex Ospedale psichiatrico all’Ecoquartiere». Nel rispetto delle linee guida in materia di ecocittà e di rigenerazione
urbana, si propone un progetto urbano e architettonico trainante di una serie di interventi più ampi nel patrimonio costruito e nel paesaggio naturale, dal tessuto preesistente con la sua strada interna al margine della Circonvallazione.
La proposta di Zeila Tesoriere è «Re-urban _Defrag. L’architettura tra aree
intercluse e infrastruttura». Il progetto di architettura deve costruire le forme dell’incontro fra componenti a lungo considerate estranee e incompatibili, attraverso
un procedimento unitario e articolato di trasformazione delle materie urbane: aree
intercluse, infrastrutture, residenza, spazio pubblico.
Il tema progettuale è di grande interesse, in quanto attiene a un intervento su
un complesso di alto valore architettonico e inoltre con una forte struttura compositiva, fondata sulla chiarezza di rapporti geometrici. La presenza della Vignicella,
con la sua forma quasi cubica e la sua imponenza di volume chiuso, senza aggetti,
è un ulteriore elemento di attenzione. È possibile quindi riconoscere nel progetto
di Palazzotto un evidente «sistema di regole» che può servire da riferimento, da
confermare o anche da contestare, per l’intervento da fare. Si tratta della stessa
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Un workshop di progettazione a Palermo
Vista della parte alta del
complesso: dalla Circonvallazione alla Vignicella
all’esedra, immagine tratta
da I complessi manicomiali
in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. AJROLDI
- M.A. CRIPPA - G. DOTI L. GUARDAMAGNA - C.
LENZA - M.L. NERI, Milano, Electa, 2013.
operazione svolta all’interno del dottorato sul tema del restauro del moderno: quindi
di un progetto che sappia confrontarsi con una condizione esistente e dotata di suoi
valori. Come scrive Martí Arís citando Diaz: «progettare è trasgredire un determinato tipo con decisioni logiche»1.
Si pongono così in evidenza tre tematiche che ritengo essenziali nella progettazione architettonica: regole (ne abbiamo appena parlato), ordine, trasmissibilità.
Per l’ordine basta citare le parole di Louis Kahn, secondo il quale «progettare è
comporre forme in ordine»2: senza ordine non c’è forma, ma solo aggregazioni di
elementi. La trasmissibilità è un altro requisito essenziale del progetto, che deve
essere descrivibile (come scrive Loos criticando i suoi contemporanei architetti
della Sezession e dicendo che «l’architettura è scaduta ad arte grafica»3), per poter
essere trasmesso e avere un fondamento razionale. È questa a mio avviso una caratteristica della scuola italiana, che ha origine negli studi degli anni ’70 che portarono alla definizione del «progetto come strumento di conoscenza»: queste
acquisizioni, che oggi tendono a non essere più all’ordine del giorno, costituiscono
invece un patrimonio dell’architettura italiana che può essere una forma di resistenza contro la deriva della progettazione internazionale verso una coincidenza
dell’architettura con l’arte. Bisogna conservare la specificità della disciplina archi1
2
3
C. MARTí ARíS, Le variazioni dell’identità: il tipo in architettura, Torino 1994.
Louis I. Kahn, a cura di R. GIURGOLA, Bologna 1981.
A. LOOS, Architettura, in ID., Parole nel vuoto, Milano 2001.
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76
Cesare Ajroldi
tettonica e dei suoi statuti, che consiste soprattutto nei temi della costruzione e
dell’uso, i quali costituiscono una radicale differenza rispetto alle altre arti.
I progetti più interessanti si sono mossi in questa direzione, come è meglio
specificato appresso: essi si sono soprattutto misurati sul rapporto con la Circonvallazione, ridisegnando l’area a monte dell’Ospedale in relazione ai temi tracciati,
e sulla Vignicella, l’edificio più significativo e quello su cui era più possibile intervenire attraverso il progetto di restauro, con nuove ipotesi di sistemi di accesso
al monumento.
Si segnalano in particolare tre progetti (esaminati non in ordine di merito). Il
primo, di Tomaso Garigliano e Luciana Macaluso, affronta il tema proposto da chi
scrive in modo specificamente architettonico (punto di partenza per un progetto urbano), proponendo un nuovo ingresso alla Vignicella, fondato su un basamento che
sostituisce le due scale simmetriche e consente l’accesso alla quota dei qanat, per
inserire questi particolari elementi all’interno del progetto e del percorso possibile.
Il secondo, di Clara F. Sorrentino, si riferisce allo stesso tema, e si incentra in
primo luogo sulla volontà di ridare valenza allo spazio pubblico, eliminando la recinzione del complesso e ridisegnando l’area sportiva con un sistema di servizi parallelo all’ospedale e alla Vignicella, che chiude l’intervento verso la
Circonvallazione. Inoltre il progetto riguarda la Vignicella, di cui propone un nuovo
accesso e un nuovo corpo regolare sul retro in sostituzione dei corpi aggiunti recentemente, e soprattutto un sistema di scale sul fronte laterale con una camera urbana, una doppia pelle che racchiude una promenade architecturale che esalta la
monumentalità dell’edificio.
Il terzo progetto, del gruppo coordinato da Cinzia De Luca, dal titolo «La città
dentro – fuori i matti», propone l’eliminazione del recinto dell’ospedale, il potenziamento del suo asse interno, che diviene pedonale o ciclabile, attraverso un viale
alberato, la conferma del ruolo centrale della Vignicella e la messa in luce del sistema dei qanat.
Altri progetti sono anche intervenuti all’interno dell’Ospedale, proponendo
una nuova geometria che si sovrappone a quella esistente (il progetto di Luigi Cafiero e Saura Gargiulo: una ipotesi interessante, in cui, però, non c’è sufficiente approfondimento architettonico).
Nel loro complesso i progetti hanno ipotizzato una maggiore compenetrazione
tra ospedale e città attraverso l’eliminazione della recinzione e la soluzione di alcuni
nodi irrisolti relativi ad ambiti particolari nel contatto tra il complesso di Palazzotto
e il resto del tessuto urbano. quindi il risultato si è concretato soprattutto in ipotesi
di soluzione del rapporto con la Circonvallazione e, attraverso questo, con l’intera
città, eliminando così l’isolamento dell’ex ospedale e conferendogli un evidente
ruolo urbano. In questo senso il workshop ha dato un’indicazione chiara, pur non
intervenendo (non era previsto) sull’uso dei singoli padiglioni ma evidenziando la
possibilità di trasformazione del complesso in un servizio urbano di grande importanza, vista la sua dimensione e la sua qualità architettonica.
CESARE AJROLDI
Università degli studi di Palermo
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TRA SUGGESTIONE E TIMORE. I COMPLESSI MANICOMIALI ITALIANI
TRA OTTOCENTO E NOVECENTO
I complessi manicomiali italiani tra Ottocento e Novecento, a cura di Cesare
Ajroldi, Maria Antonietta Crippa, Gerardo Doti, Laura Guardamagna, Cettina Lenza
e Maria Luisa Neri è un libro dall’ampio formato e dallo spessore consistente, denso
e molteplice nei contenuti, dalla grafica chiara ed elegante. In un ordinamento esauriente e accurato dei testi e del ricco materiale illustrativo, comprendente planimetrie,
piante, prospetti, elaborati e fotografie degli edifici, completato da un’esauriente bibliografia, esso raccoglie i risultati di una ricerca interdipartimentale, coordinata da
Cettina Lenza, relativa a un Progetto Prin del 2008, riguardante un tema difficile, e
forse per questo poco indagato, sintetizzato efficacemente nel titolo del contributo
di Cettina Lenza: Memoria e futuro: la ricerca universitaria per la conoscenza e la
valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici in Italia. Oltre a una serie di saggi su
argomenti generali concernenti tale tema, il libro propone un sistema di schede molto
circostanziate su settantuno ospedali psichiatrici. Ciascuna scheda fornisce una serie
d’informazioni sul periodo in cui un certo complesso manicomiale è stato fondato,
la scelta della sua sede nel caso in cui fossero disponibili strutture preesistenti, le
circostanze della sua progettazione se l’edificio venne invece realizzato ex novo, i
caratteri dell’ospedale, e le sue eventuali trasformazioni. Dato il suo impianto rigoroso e il suo aspetto visivamente autorevole, l’opera dei sei curatori, coadiuvati da
un numero considerevole di altri studiosi, si configura come notevole impresa editoriale che ha tutte le possibilità di diventare nel tempo un riferimento essenziale
per la conoscenza di un aspetto importante non solo della storia dell’architettura italiana ma della stessa vita del paese.
In effetti questo libro è un’opera importante per almeno tre motivi. Il primo
consiste nel fatto che esso restituisce alla storia dell’architettura italiana un capitolo
che era rimasto finora in ombra. questo oscuramento è avvenuto per una ragione
alla quale è necessario dedicare qualche breve considerazione. È noto che il problema della costruzione dello Stato unitario dal punto di vista dell’architettura fu
affrontato in modo discontinuo e in gran parte indeterminato. Non furono infatti
molti i tentativi di delineare una sorta di «idea nazionale» dell’architettura, una
strategia necessaria e urgente che nel corso della sua formazione, peraltro indecisa
e intermittente, si scontrò con la persistenza di una concezione fortemente regionalistica della cultura e delle sue varie manifestazioni, uscendone dimezzata, se
non proprio perdente. Solo la letteratura, per merito di Francesco De Sanctis, trovò
un terreno unificante nella Storia dell’architettura italiana, pubblicata nel 1870
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Franco Purini
dallo studioso irpino. Per quanto attiene all’architettura, che non poté disporre allora
di una interpretazione complessiva e tematizzata, il discorso non riuscì a superare
una dimensione stilistico-revivalistica, che vide nel Nord una ripresa di temi romantico-gotici, e nel Centro il recupero di soluzioni classico-rinascimentali, che
nel Sud si mescolarono a elementi prelevati dall’architettura spontanea. Soprattutto,
però, la storiografia successiva dell’architettura italiana, proprio a causa della mancanza di un vero fondamento, si è risolta in un racconto centrato più sulle singole
personalità e sulle tendenze alle quali queste appartenevano che non sul complesso
delle opere prodotte. In sintesi, la storia dell’architettura italiana non è la «storia
delle architetture italiane» ma dei loro autori e delle situazioni che essi crearono o
che li videro partecipi. Contrastando questo più che secolare orientamento, il libro
consiste in una narrazione delle vicende di una particolare tipologia di edifici riconsegnati alla loro specificità e al contempo inseriti in un contesto di rapporti con
le altre componenti architettoniche del territorio e della città. La ricostruzione a
più voci della vicenda riguardante la realizzazione dei manicomi consente di comprendere come anche in questa particolare categoria di edifici i programmi edilizi,
proprio per la mancanza di un discorso generale, non riuscirono a trovare una definizione tipologica precisa, risolvendosi in formulazioni distributive e architettoniche ibride e, in molti casi, approssimative e incomplete.
Il secondo motivo di interesse che questo volume presenta è, al di là dei limiti
già esposti, una lettura attenta e spesso innovativa delle modalità attraverso le quali
i manicomi si sono definiti nel tempo, sia dal punto di vista della loro organizzazione interna e della loro immagine architettonica, sia da quello delle relazioni istituite con la città. Il tutto all’interno della dialettica tra un grande edificio compatto
e un sistema a padiglioni. Ciò nel caso di edifici nuovi, e non di manufatti adattati
a complessi manicomiali. Per quanto riguarda la relazione tra tali complessi e la
città interviene un’altra dialettica, quella tra appartenenza e separazione. Alcuni
ospedali psichiatrici sono infatti integrati nel tessuto urbano, anche se la loro presenza non è mai stata considerata normale, in quanto ritenuta un pericolo per la sicurezza della società o comunque qualcosa di intrinsecamente perturbante. In altri
casi il manicomio si è posto come un «antipolo» nei confronti della città, ovvero
come un corpo allontanato da essa, anche se sempre in grado di suscitare un senso
di alterità e di timore.
Il terzo motivo di interesse di questa ricerca va riconosciuto nell’aver posto il
problema del futuro di queste grandi architetture. A seguito di quel vero e proprio
cambiamento di paradigma che si è verificato nell’idea stessa di disagio mentale e
delle relative cure psichiatriche di cui è stato artefice Franco Basaglia, protagonista
di iniziative avanzate e illuminate che hanno avuto come esito la legge 180 del
1978, i complessi manicomiali sono oggi quasi del tutto dismessi. È quindi possibile considerarli come risorse edilizie essenziali per funzioni che oggi le città non
offrono ancora. A tale scopo la sezione Progetti,con la quale il volume si conclude,
presenta una serie di proposte sul recupero e la riutilizzazione di alcuni di questi
grandi manufatti. Cesare Ajroldi ha coordinato un gruppo di progettazione a Palermo, Giuseppe Arcidiacono e Antonio Marino a Messina, Pierfranco Galliani si
è occupato del recupero e della valorizzazione dell’ex Ospedale psichiatrico Paolo
Pini di Milano.
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I complessi manicomiali italiani tra Ottocento e Novecento
79
Il mondo della sofferenza mentale ha una grande storia nell’arte, nella letteratura, nel cinema, nella filosofia. Basti pensare al marchese Donatien-AlphonseFrançois De Sade, ad alcune straordinarie opere di Francisco Goya, agli
sregolamenti ossessivi di Fedor Dostoevskij, alla scena del film Il conformista di
Bernardo Bertolucci in cui il manicomio è il Palazzo dei Congressi di Adalberto
Libera, a Michel Foucault e alla sua idea di «istituzione totale», per comprendere
quali dimensioni problematiche si aprono quando si affronta questo tema, per più
versi eroico, dislocato, straniante. La follia e il suo confinamento in universi separati è sempre stato un luogo di fascino e al contempo uno spazio concettuale nel
quale non si vuole in alcun modo essere coinvolti. Oltrepassare le regole della coscienza e dell’autocontrollo è sempre stato considerato per un verso come una sfida
da accettare, perché piena di un forte senso dell’avventura nel quale l’essere umano
può dimostrare fino in fondo la sua libertà. Per l’altro, l’infrazione di un codice di
comportamento fortemente regolato viene ritenuta una pratica da evitare con costanza e severità per non essere espulsi dalla compagine sociale. In breve la follia
suscita per un verso paura e per l’altro suscita un fascino per tutto ciò che è oscuro
ed estraneo. questa analogica e contraddittoria dualità è suscitata indirettamente
dal libro. Chi lo legge si trova infatti in presenza di una sorta di testo parallelo a
quello più propriamente scientifico, fatto di storie individuali e collettive, di immagini, di memorie familiari, evocate dal contenuto stesso degli scritti e delle illustrazioni. Ciò determina una continua interferenza tra la distanza critica del tema
imposta dalla ricerca storica e i risvolti emozionali di ciò che viene ricostruito.
I saggi introduttivi (di Cettina Lenza, Gerardo Doti, Laura Guardamagna,
Anna Giannetti e Ferdinado Zanzottera) e gli inquadramenti storico-territoriali (di
Laura Guardamagna e Maria Chiara Guerra, Maria Antonietta Crippa, Ewa Karwacka Codini, Maria Luisa Neri, Cettina Lenza, Maria Teresa Marsala) forniscono
una cornice tematica all’argomento trattato nel libro. questi contributi permettono
di entrare negli importanti nodi problematici proposti dai complessi manicomiali.
Dagli edifici per l’assistenza psichiatrica nell’Europa dell’Ottocento alla loro definizione tra la Restaurazione e il Regno d’Italia; dai manicomi nell’area nordorientale ai frenocomi in Toscana; dalle «città proibite» del centro della penisola a
quelle del Mezzogiorno e delle isole si dispiega un vasto paesaggio di interventi
urbani, di schemi planimetrici, di soluzioni tipologiche, di elementi linguistici. Si
tratta di un complesso e per molti versi labirintico contesto di problemi e di soluzioni nel quale le strutture architettoniche oggetto della ricerca si fanno rappresentazioni diverse, ma al contempo programmaticamente omologate tramite precisi
apparati normativi, di quell’istituzione totale di cui si è detto. Rappresentazioni
sempre divise tra la necessità di divenire esplicite e quella di collocarsi in una assenza premeditata e duratura, quasi dovessero negarsi o divenire del tutto invisibili.
Un’assenza, però, che è sempre stata molto più che presente.
FRANCO PURINI
Università La Sapienza di Roma
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RAPPORTI TRA RICERCA STORICA
E TUTELA DEL PATRIMONIO MATERIALE
Prescindendo dagli indubbi pregi scientifici del volume I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, dal modo in cui è stata strutturata la ricerca e
sono stati ordinati i vari contributi, dai contenuti dei saggi, dalla esemplare metodologia espositiva, la presente nota si propone essenzialmente di indicare alcuni
elementi di rilievo istituzionale collegabili all’iniziativa.
Considerazioni d’ordine generale. – Lavori come questo manifestano le possibilità, trasformandole in opportunità, di individuare specifiche categorie di beni
culturali nel mare magnum del patrimonio italiano, dalla cui conclamata estensione
e pervasività deriverebbe una sorta di primato internazionale esteso, ormai con
meccanicistica ripetitività, alla stessa legge di tutela e, intanto, pervicacemente contraddetto dalle politiche governative sul piano dei finanziamenti, della formazione
e dell’aggiornamento.
Una imprescindibile chiave d’accesso è il lavoro degli storici, da intendersi
nel significato più lato, oltre che in senso pluridisciplinare: studiosi d’architettura
e di urbanistica, ma anche sociologi, medici, giuristi, non a caso presenti nel convegno; in particolare gli alienisti e gli architetti, operanti fianco a fianco nei processi
di realizzazione di questi complessi (Nuovo ospedale di Torino; Voghera, Bergamo,
Treviso nel Lombardo-Veneto; Ospedale di Bonifacio in Toscana; e ancora nel meridione, nei progetti d’ampliamento del manicomio di Aversa ecc.).
Alcuni beni sono, infatti, rilevanti al di là dei valori figurativi, distributivi,
prestazionali, per ciò che hanno rappresentato come documento sociale, politico,
istituzionale. Forse perdite o snaturamenti irreversibili si sono talvolta verificati
perché non hanno incontrato in tempo utile l’attenzione di studiosi di queste discipline, prima ancora che degli architetti e urbanisti. Lo nota, ad esempio, Bruno Reichlin1 a proposito dell’Arbeitstamt (Ufficio di collocamento e orientamento
1
B. REIChLIN, Riflessioni sulla conservazione del patrimonio architettonico del XX secolo. Tra
fare storia e progetto, in Riuso del patrimonio architettonico, a cura di B. REIChLIN - B. PEDRETTI, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale; Mendrisio, Mendrisio Academic Press, 2011 (quaderni dell’Accademia di architettura di Mendrisio), pp. 21-22. Cfr anche B. REIChLIN, La Storia al servizio della
salvaguardia dello spazio interno del XX secolo. Ma quale Storia?, in Lo spazio interno moderno come
oggetto di salvaguardia, a cura di B. REIChLIN - R. GRIGNOLO, Mendrisio, Mendrisio Academy Press;
Cinisello Balsamo, Silvana, 2012, pp. 18-20.
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Rapporti tra ricerca storica e tutela del patrimonio materiale
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professionale dei disoccupati), realizzato da Gropius a Dessau tra il 1927 e il 1929,
in cui sono stati aperti dei finestroni che realizzano un piacevole contatto visivo
con l’ambiente circostante, ma travisano completamente il significato del progetto
politico e sociale che improntava la costruzione, alterandone il significato degli
spazi interni e dell’intera organizzazione distributiva.
La pluridisciplinarietà, dunque, e in generale il lavoro dello storico – come
già rilevato da tanti studiosi e ribadito da Cettina Lenza nel saggio introduttivo del
catalogo – è un elemento essenziale che, attraverso il conferimento di valori inediti,
può promuovere un processo di patrimonializzazione o ri-patrimolizzazione di determinati beni, attraverso quelli che Nathalie heinich, in un saggio intitolato La fabrique du patrimoine2, indica come essenziali riferimenti:
1. proprietà specifiche dei manufatti, intese come autonomi «appigli percettivi»;
2. significati rappresentativi dei manufatti recepiti dalla collettività e nuovi significati, aggiungiamo, dalla medesima recepibili attraverso il processo di patrimonializzazione;
3. condizionamenti legati alla situazione contestuale e temporale in cui è operata
la valutazione.
Tali fattori entrano in gioco contemporaneamente e, nella variabilità delle reciproche influenze, determinano il giudizio critico al quale, se non è mai ascrivibile
un’astratta oggettività, non per questo deve essere addebitata una prevalente componente negativa di soggettività dalla quale difendersi ricorrendo ad artefatte barriere
temporali per imbavagliarne gli esiti pensando, così, di «salvare la propria coscienza». Naturalmente occorre che la verifica critica costituisca il risultato di un
processo che coerentemente sviluppa una serie di premesse chiaramente enunciate.
Nel nostro caso un semplice atto legislativo come la legge Basaglia
n.180/1978 ha creato le premesse di segno negativo per un impietoso oblio in un
clima di damnatio memoriae, influendo negativamente sulle condizioni di questi
organismi; in senso positivo, tuttavia, ha definitivamente interrotto quella che George Kubler3 fino a un attimo prima avrebbe considerato una sequenza aperta e,
immediatamente dopo, una serie chiusa che ha creato di colpo le condizioni per
una reale prospettiva storica, in precedenza condizionata dal work in progress della
gestione dei complessi manicomiali esistenti e della realizzazione di quelli nuovi.
Una prospettiva di cui questo libro è un’inedita testimonianza.
L’individuazione di nuovi valori fa della storia l’imprescindibile base fondativa del progetto e in questa ottica il vincolo di tutela, formulato consequenzialmente al lavoro dello storico, deve poter fornire diretti contenuti al progetto in un
continuo e reciproco scambio d’influenze in cui, talvolta, anche il progetto può fornire contenuti al vincolo. Ne sono già un esempio, in particolare, le proposte palermitane illustrate da Cesare Ajroldi e quella per il recupero dell’ex-ospedale
psichiatrico Paolo Pini a Milano, di Pierfranco Galliani.
Un’altra considerazione riguarda, per così dire, un aspetto organizzativo del2
N. hEINICh, La Fabrique du Patrimoine: de la cathédrale à la petite cuillére, Paris, Editions de
la Maison des sciences de l’homme, 2009.
3
G. KUBLER, The Shape of Time, New haven, Connect., yale University Press, 1972; ed. it. La
forma del tempo. Considerazioni sulla storia delle cose, Torino, Einaudi, 2003, pp. 46 e seguenti.
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Ugo Carughi
l’azione di tutela.
Se si guarda all’articolo 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio,
dando naturalmente per scontato che quanto vi è scritto ha delle motivazioni sempre
giuridicamente fondate, per quanto derivanti da processi prevalentemente ricognitivi di riformulazione delle norme, deve convenirsi che, almeno a prima vista, ma
anche dopo, non si comprendono i criteri con cui i beni culturali vi sono indicati
ed elencati. Si ha la sensazione di trovarsi nella casa di qualcuno che, improvvisamente deceduto, non abbia avuto il tempo di far testamento lasciando i suoi beni
in un ordine che solo a lui era noto e con lui è ormai seppellito nella tomba: vi si
trovano categorie di carattere generale alternate ad altre di carattere specifico, differenti per natura, per criteri d’individuazione, per normative e per meccanismi
procedurali di tutela.
Contemporaneamente, fuori dai cancelli del Ministero, studiosi ed esperti, innanzitutto delle Università, come in questo caso, ma anche di qualificate associazioni, si occupano di particolari categorie di beni, per interessi esclusivamente
culturali, spesso contigui alla formazione didattica e solo in qualche caso venati
anche da interessi patrimoniali.
Le Università e le associazioni qualificate costituiscono formidabili serbatoi
da cui il Ministero, in crescente carenza di personale, potrebbe trarre soggetti coadiuvanti alla tutela, mentre le specifiche categorie di beni culturali da esse rappresentate, per alcune delle quali si è arrivati a formulare leggi ad hoc come, ad
esempio, nel caso dell’architettura rurale per cui fu approvata la legge di finanziamento, la n. 13 del 17 gennaio 2004, attraverso un continuo monitoraggio e aggiornamento, potrebbero trovar posto in allegati al Codice, da cui se ne evinca la
specificità e il particolare interesse culturale. La loro tutela, come traspare anche
dagli studi pubblicati nel volume sui manicomi italiani, avrebbe riflessi positivi in
primis sui rispettivi contesti territoriali. La legge, pur conservando saldamente la
generale struttura dei suoi principi e meccanismi attuativi, sperabilmente semplificati e «chiarificati», sarebbe uno strumento vivo e connesso con le istanze culturali divulgate dai soggetti collaboranti, rappresentativi delle rispettive fasce sociali,
a loro volta a contatto con la più ampia collettività.
Considerazioni di merito. – I contributi contenuti nel libro in oggetto focalizzano una serie di aspetti più o meno direttamente relazionabili ai meccanismi di
tutela.
Già nei saggi introduttivi sono impostate le problematiche essenziali riguardanti gli organismi manicomiali, problematiche che, nei loro caratteri di generalità,
rendono del tutto trascurabile la loro particolarità funzionale, oggi obsoleta. I concetti illustrati nei testi iniziali trovano svariate conferme esemplificative nei saggi
inerenti ai vari ambiti territoriali della Penisola e nella successiva sezione delle
proposte progettuali. E possono essere riferiti almeno a un paio di articoli del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Prescindendo da considerazioni specifiche, che potrebbero magari comportare
un vincolo diretto per interesse intrinseco su qualche complesso, due altri aspetti
illustrano su un piano più generale il rapporto tra ricerca e tutela. Il primo è il riferimento di questi organismi all’interesse culturale particolarmente importante con-
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Rapporti tra ricerca storica e tutela del patrimonio materiale
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templato dal comma 3, lett. d dell’art.10: «a causa del loro riferimento con la storia
politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia
delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose». Ad esso sono direttamente riferibili gli aspetti tipologici degli organismi realizzati, confinanti con la ricerca del
modello ottimale, illustrati da Cettina Lenza nel testo introduttivo; l’idea di manicomio, delineata attraverso i trattati nel saggio di Laura Guardamagna; l’excursus
sugli aspetti tecnologici, puntualmente svolto nel saggio di Ferdinando Zanzottera.
Il secondo aspetto è il rapporto con il contesto che questi organismi hanno instaurato, pur attraverso le inevitabili trasformazioni dei luoghi, interpretando e conservando più o meno parzialmente un ruolo di ‘distanziatori urbani’, essi stessi
incubatori di spazi aperti e verdi al loro interno, come chiaramente illustrato nel
saggio di Gerardo Doti, che riguarda, appunto, gli aspetti contestuali nel rapporto
con il territorio circostante, e nel testo di Anna Giannetti sui rapporti interni tra natura e costruito.
quanto al primo tema, troviamo continui riscontri nei saggi riferiti ai vari ambiti della Penisola (a cura di Laura Guardamagna e Mariachiara Guerra per l’Italia
nordoccidentale, di Maria Antonietta Crippa per quella nordorientale, di Ewa Karwacka Codini per la Toscana, di Maria Luisa Neri per le regioni centrali, di Cettina
Lenza per il Mezzogiorno continentale, e di Maria Teresa Marsala per le isole maggiori) e nelle relative schede (circa settanta) dedicate ai singoli complessi. Gli
aspetti tipologici che, assieme ai trattati, costruiscono il concetto di manicomio, si
concretizzano infatti nel sistema a padiglioni con spina baricentrica di servizi (certamente più diffuso) o in quello a villaggio, ancora oggi chiaramente leggibili. Riguardo invece al rapporto con il contesto, osserviamo che, in genere, in un
programma di tutela nessun edificio dovrebbe essere considerato avulso dal suo
intorno; il legame è, infatti, automatico in molte legislazioni straniere (Francia, alcuni Cantoni svizzeri come quello di Ginevra, Inghilterra, Spagna, ecc.) ma non in
quella italiana, che distanzia di oltre 30 articoli l’individuazione e il vincolo sul
singolo bene (artt..10, 11, 12, 13 e seguenti) da quello sul suo contesto (art. 45, cosiddetto «vincolo indiretto»), differenziandone le procedure. Distinzioni e parcellizzazioni che complicano l’applicazione delle norme e indeboliscono l’identità, la
riconoscibilità e la comprensione dell’azione di tutela, compromettendone le possibilità di condivisione da parte degli utenti e diminuendone la disponibilità a pagare per conservare, con conseguenze sullo stesso valore del bene culturale.
Distinzioni, peraltro, derivanti dall’ignoranza della più avvertita cultura italiana
del progetto, per come si è manifestata fin dagli anni ’50 (BBPR, Michelucci, Albini, Gardella, Gabetti, Isola, Ranieri, Ridolfi, Ponti, Cosenza, ecc.); e della stessa
cultura della tutela, in cui fin dagli anni ’60 trovava esplicita considerazione l’ambiente di pertinenza del «monumento».
La ricerca condotta sui manicomi italiani dimostra quanto rilevante sia il contesto rispetto alla collocazione territoriale dei complessi e, al loro interno, rispetto
agli schemi organizzativi: il loro rapporto con la città assume importanza assoluta,
sia per la collocazione, sia come metafora della medesima. Di «città in forma di
manicomio» si parla a proposito del complesso di Imola; di microcosmo, a proposito di quello di Bonifacio, in Toscana; tra i complessi che rievocano la città-giar-
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Ugo Carughi
dino si annovera quello di Firenze; tra quelli assimilabili ai sobborghi, gli organismi
di Arezzo e Volterra; a proposito di quelli lombardi, si citano le città operaie.
In conclusione, ci sembra di poter affermare che la presente ricerca, applicata
a un tema specifico, ma al contempo ampio per la diffusione che le sue testimonianze materiali fanno riscontrare sul territorio, dimostra quanto gli studi storici,
per natura volti a selezionare e mettere in luce rapporti tra fatti e prodotti dell’umano operare, siano di fondamentale importanza quali riferimenti sia delle esigenze di conservazione del patrimonio culturale, sia della sua gestione, rispetto ad
altre necessità, spesso pressanti, ma anche più contingenti e fuorvianti.
UGO CARUGhI
Soprintendenza per i beni architettonici paesaggistici
storici etnoantropologici per Napoli e provincia
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LA GRANDE GUERRA (E NON SOLO).
LE FONTI MILITARI
CONSERVATE NELL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE:
COMINCIAMO A PARLARNE
Giornata di studi sugli archivi militari
Archivio di Stato di Firenze, 4 novembre 2013
Rassegna degli Archivi di Stato, n. s., X (2014)
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IL PUNTO SULL’ATTIVITà DI TUTELA SVOLTA
DALL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE SUGLI ARChIVI MILITARI
Sono molto lieta di darvi il benvenuto in Archivio di Stato di Firenze per questa giornata di studio intitolata: «La Grande Guerra (e non solo). Le fonti militari
conservate nell’Archivio di Stato di Firenze: cominciamo a parlarne».
Prima però di introdurre il tema della giornata, voglio sottolineare che il convegno odierno è anche l’inaugurazione del nuovo biennio 2013-2015 della Scuola
di archivistica, paleografia e diplomatica del nostro Istituto, intitolata ad Anna
Maria Enriquez Agnoletti.
Do quindi il mio più cordiale benvenuto ai nostri nuovi allievi e spero che
questo incontro di studio sia per loro un buon modo di cominciare. quella di aprire
il corso biennale con una giornata un po’ speciale è una tradizione della nostra
scuola, come peraltro di altre Scuole di archivistica. Nei due bienni precedenti, in
cui io sono stata direttrice della Scuola, il corso è stato inaugurato, nel 2009, da
Christiane Klapisch - grandissima storica del medioevo, che ha studiato per anni
in Archivio di Stato di Firenze - con una prolusione dal titolo Una storica nel paradiso degli archivi e nel 2011 da Isabella Zanni Rosiello - direttrice per molti anni
dell’Archivio di Stato di Bologna e certamente una delle maestre dell’archivistica
italiana - con una conferenza intitolata A proposito del mestiere dello storico e di
fonti storiche1.
quest’anno abbiamo invece scelto di inaugurare il biennio non con una conferenza, ma con questa giornata di studi dedicata agli archivi contemporanei ed in
particolare agli archivi militari relativi soprattutto alla Grande Guerra.
La scelta non è ovviamente casuale. Prima di tutto, perché gli archivi contemporanei? L’Archivio di Stato di Firenze (da qui in avanti ASFi) è notoriamente uno
degli Archivi di Stato più importanti d’Italia, le fonti conservate coprono 1.300
anni di storia, i fondi archivistici presenti sono più di 600 e certamente vi sono alcuni fondi su cui cade da sempre in particolar modo l’interesse degli studiosi, tra
tutti basti citare l’Archivio Mediceo del Principato. Ma proprio la vastità e la ricchezza di questi archivi più antichi, rischia di far rimanere un po’ in ombra le fonti
contemporanee presenti in Istituto, particolarmente vorrei dire gli archivi contemporanei di natura pubblica. Naturalmente ci sono tante spiegazioni o meglio con1
I due interventi sono leggibili in formato PDF nel sito dell’Archivio di Stato di Firenze al seguente indirizzo: <www.archiviodistato.firenze.it/nuovosito/index.php?id=86>
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88
Carla Zarrilli
cause per questo. Gli archivi contemporanei, che necessariamente sono pervenuti
in ASFi più di recente, spesso mancano ancora di adeguati strumenti di corredo,
strumenti la cui predisposizione è ovviamente un processo lungo, e quindi sovente
ci troviamo di fronte a grandi masse di archivi –non bisogna dimenticare che progressivamente la documentazione prodotta aumenta sempre di più- in cui è difficile
orientarsi. Chi si occupa di storia contemporanea poi, oltre a doversi confrontare
con questa esplosione di fonti archivistiche conservate negli Archivi di Stato, ha
tante altre tipologie di fonti da esaminare: dalla variatissima documentazione conservata in archivi non statali, al cinema, alle fonti orali, per non parlare ora della
Rete, e tutto ciò rende ovviamente la ricerca più complessa. questo non vuol dire,
naturalmente, che sugli archivi contemporanei, che noi conserviamo, non si sia appuntato e non si appunti l’interesse sia degli storici professionisti, che dei comuni
cittadini appassionati della memoria storica. Certamente però si può fare di più per
valorizzare queste fonti archivistiche, prima di tutto rendendo maggiormente nota
la loro presenza in Archivio di Stato di Firenze e poi mettendone in luce le potenzialità per la ricerca, pur senza nascondere i problemi sia di gestione che di consultabilità, che questo tipo di documentazione pone a noi archivisti.
Di qui la nostra scelta di focalizzare oggi l’interesse sugli archivi contemporanei e di farlo nella giornata inaugurale del biennio della scuola. quelli dei nostri
allievi, infatti, che in futuro vorranno e/o potranno intraprendere la professione di
archivista, si dovranno necessariamente confrontare soprattutto con queste tipologie
di archivi e quindi credo che questo primo approccio possa essere per loro un viatico importante.
Venendo poi al perché nel variatissimo campo delle fonti contemporanee
abbiamo scelto quelle militari, prima di tutto c’è sicuramente l’avvicinarsi del
centenario della I Guerra Mondiale. L’Italia come è noto entrò in guerra solo
nel 1915, un anno dopo l’inizio della Grande Guerra, ma ciò non toglie che il
2015 sia comunque vicino e quindi cominciare ad occuparsi di queste fonti non
sia affatto prematuro, anzi!
Una forte suggestione nell’organizzare questo incontro mi è venuta poi da
un’importante esperienza di aggiornamento professionale che ho avuto proprio un
anno fa a Parigi presso gli Archivi nazionali francesi.
Nel novembre 2012 ho partecipato, infatti, alla prima Conférence Internationale Supérieure d’Archivistique2, dal titolo: «La place des archivistes et le rôle des
archives dans la société d’aujourd’hui et de demain», organizzata dal Ministero
della cultura e della comunicazione francese.
Una delle giornate di questa interessante settimana di confronto ed approfondimento tra archivisti europei era dedicata a «Archives et mémoire collective, éducation du citoyen» ed il tema era affrontato «à travers la commémoration de la
guerre 1914-1918 (2014)». La giornata non a caso si svolse nel Musée de la Grande
Guerre du Pays de Meaux, cittadina de L’Ile de France, non lontana da Parigi.
Il programma della Conférence è tuttora reperibile in rete al seguente indirizzo:
<www.google.fr/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=5&ved=0CFEqFjAE&url=http%3A%
2F%2Fwww.culturecommunication.gouv.fr%2Fcontent%2Fdownload%2F56582%2F438349%2Ffile%
2FProgramme%2BexposesCISA2012.pdf&ei=2lApU5e8LML_ygO8rIhgDw&usg=AFqjCNhwNslyJt8SFtBkhxBEfbmPT6WbZg>
2
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L’attività di tutela dell’Archivio di Stato di Firenze sugli archivi militari
89
Naturalmente non entro nei particolari di quella intensa giornata, voglio solo
sottolineare che sia gli intervenuti francesi, che quelli di altri paesi europei - colleghi archivisti, ma anche bibliotecari, curatori di musei, funzionari addetti alla comunicazione, nonché esperti del cosiddetto turismo della memoria - hanno messo
in luce che in tutta Europa sono in corso progetti importanti di valorizzazione di
ogni tipo di documentazione sulla Grande Guerra, soprattutto grandi progetti intersettoriali e spesso transnazionali, ed in tutti naturalmente gioca un ruolo fondamentale la digitalizzazione e la messa in rete delle fonti3.
Per quanto riguarda il nostro Paese, esiste la legge 7 marzo 2001, n. 78, che
ha per titolo «Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale»4. Sulla
base di tale legge in tempi più recenti è stato poi costituito un Comitato tecnico
scientifico speciale per il patrimonio storico della Prima guerra mondiale che opera
nell’ambito della Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e
l’arte contemporanee del Ministero dei beni delle attività culturali e del turismo.
Tale Direzione generale ha emanato un bando per l’assegnazione di contributi a
progetti relativi al patrimonio storico della Grande guerra. La Direzione generale
per gli archivi (con nota del 18 febbraio 2013 del Servizio II, Tutela e conservazione
del patrimonio archivistico) ha poi invitato gli Archivi di Stato a partecipare al
bando, inviando progetti.
L’ASFi ha raccolto l’invito e, seguendo le indicazioni pervenute dalle due
Direzioni generali, ha elaborato un progetto di inventariazione e digitalizzazione
relativo al fondo del Tribunale militare, fondo a cui sarà dedicata la relazione di
Paola Conti.
Suppongo che il nostro progetto sia solo uno dei tanti che sono stati presentati
e le iniziative già in atto, in diversi campi, sono certamente molte. Uno degli scopi
dell’incontro odierno è, infatti, proprio quello di avere delle utili indicazioni sulle
attività in corso o in fase progettuale relative al Centenario. Il professor Nicola Labanca dell’Università di Siena, che è certamente uno dei maggiori esperti italiani
di storia militare, farà il punto sugli studi di settore, il dr. Mauro Scroccaro (della
Società Marco Polo System g.e.i.e.) parlerà di un importante progetto transfrontaliero – una caratteristica dei progetti che si stanno sviluppando sulla Grande guerra
in Europa è quella di essere super nazionali – e naturalmente da tutte le relazioni
potranno venire informazioni interessanti in tal senso.
Per quanto riguarda l’ASFi, e questa è un’ulteriore spiegazione della scelta
del tema della giornata, un elemento importante è la ricezione, negli ultimissimi
anni ed in particolare nell’anno ancora in corso, di importanti versamenti di archivi militari. Ritengo quindi sia giusto darne notizia, cominciando così a svolgere quell’attività di valorizzazione degli archivi che è auspicabile vada sempre
collegata alla loro conservazione. Fornendo informazioni su archivi di nuova acquisizione spero, quindi, che l’ASFi svolga un servizio utile alla comunità degli
3
Per alcune importanti notazioni sulle iniziative in corso in alcuni paesi europei per le celebrazioni
del centenario della Grande Guerra, rimando all’intervento in questo numero di NICOLA LABANCA, Storia
militare e fonti archivistiche: una relazione stretta, base di un’alleanza fra storici militari e archivisti.
4
Su tale legge, nota come Legge Monticone dal nome del primo firmatario del progetto, rimando
di nuovo al citato saggio di Nicola Labanca.
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Carla Zarrilli
studiosi. Studiosi che in questo caso sono certamente gli storici di professione,
ma sono anche comuni cittadini, sia soli che riuniti in associazioni, che vogliono
conoscere meglio questo passato ancora molto recente, ancora molto vicino alla
memoria individuale o familiare di tante persone. Ormai la storia della Grande
guerra è, infatti, sempre meno, fortunatamente vorrei dire, un’histoire bataille
ed è sempre di più una storia di persone.
Naturalmente se da una parte, quali archivisti dell’ASFi, cerchiamo di fare
quanto possibile per accogliere e valorizzare questo patrimonio documentario,
dall’altra non possiamo neanche nasconderci i problemi che potrebbero scaturire
da un grande incremento di richieste da parte degli studiosi su queste «nuove» fonti,
che superasse le nostre capacità di soddisfare le giuste aspettative. Purtroppo, infatti, le forze dell’Istituto diminuiscono e non aumentano, visto il progressivo decremento del personale per i pensionamenti e l’inevitabile invecchiamento di chi
resta. Da non sottovalutare poi che, come dicevo all’inizio, questi fondi proprio
perché di recente acquisizione sono privi di strumenti di ricerca veri e propri, spesso
sono corredati solo da elenchi di consistenza, e possono inoltre sollevare problemi
di conservazione, avere necessità di restauro e altro.
Proprio per tutte queste ragioni credo sia importante fornire informazioni il
più possibile precise sulle recenti acquisizioni di archivi militari in ASFi.
Comincerò a farlo io in generale e poi i colleghi scenderanno più nello specifico. Vengo quindi più precisamente a quello che ho indicato nel programma del
convegno come il tema della mia relazione: «Il punto sull’attività di tutela svolta
dall’Archivio di Stato di Firenze sugli archivi militari».
Innanzitutto voglio sottolineare che anche per quanto riguarda la documentazione militare contemporanea, l’Archivio di Stato di Firenze si contraddistingue
per l’importanza e la vastità delle fonti che conserva ed in particolar modo per la
presenza di alcuni fondi che costituiscono un vero unicum nel panorama archivistico italiano.
Nel 2012 dopo quasi un secolo (il precedente versamento era avvenuto nel
1921), è ricominciato il versamento di documentazione prodotta dal Tribunale militare di Firenze. Sono stati già acquisiti i fascicoli processuali di tale Tribunale,
che coprono gli anni che vanno dal 1911 al 1923, per un totale di 539 buste ed il
versamento è tuttora in corso.
Non entrerò nei particolari delle vicissitudini di questo fondo archivistico, in
quanto abbiamo una relazione, quella di Paola Conti funzionaria del nostro Istituto,
che approfondirà tale tema. Sempre sui Tribunali militari era prevista una relazione
del presidente del Tribunale militare di Roma, Giovanni Pagliarulo, che purtroppo
però ci ha comunicato che per sopraggiunti impegni familiari non poteva essere
qui con noi oggi e ciò ci spiace naturalmente molto. Voglio solo sottolineare che la
documentazione proveniente dai Tribunali militari non è ovviamente presente in
tutti gli Archivi di Stato italiani: stando ai dati del SIAS (Sistema informativo degli
archivi di Stato)5 sono 18 gli Istituti (compreso naturalmente nel novero l’Archivio
centrale dello Stato) che conservano questo materiale ed in due casi in particolare
5
<www.archivi-sias.it/>
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L’attività di tutela dell’Archivio di Stato di Firenze sugli archivi militari
91
i Tribunali militari da cui proviene la documentazione sono pre-unitari, quindi si
tratta di istituzioni diverse dai Tribunali militari dell’Italia unita6.
Altra documentazione di grandissima importanza e questa volta praticamente
unica per quanto attiene agli Archivi di Stato italiani (sempre stando alle informazioni fornite dal SIAS) è quella proveniente dal Centro militare di medicina
legale, poi Dipartimento militare di medicina legale, di Firenze. Grazie a più versamenti avutisi dal 2006 all’anno in corso è pervenuto, infatti, il materiale archivistico che copre gli anni 1926 – 1967 dei soppressi ospedali militari di Firenze e
Livorno, nonché della Commissione medica collegiale di secondo grado, sempre
operante a Firenze. Si tratta quindi in questo caso di fonti relative ad anni posteriori
a quelli della Grande guerra. Ne sapremo comunque di più dalla relazione del collega Simone Sartini, che avrà per oggetto proprio gli archivi della sanità militare
o la loro mancanza.
quello della documentazione relativa alla sanità militare è forse un caso limite,
ma certamente è vasto il panorama degli archivi di ambito militare che non sono
conservati negli Archivi di Stato italiani.
Le ragioni di ciò sono come sempre molteplici, ma certamente va ricordato
che in base alla legislazione vigente, cioè all’articolo 41, comma 1 del Codice dei
beni culturali e del paesaggio (d. lg. n. 42/2004), nell’ambito della documentazione
militare c’è l’obbligo di versamento negli Archivi di Stato solo per le liste di leva
e di estrazione. Per tutto il restante materiale prodotto dalle tre Armi quest’obbligo
non è previsto, come specifica l’ultimo comma del citato articolo del Codice7. quali
riflessi abbia questa impostazione legislativa sulla conservazione degli archivi militari è un grande tema, che io posso solo lanciare e che eventualmente potrà essere
dibattuto nella prevista discussione tra i partecipanti all’incontro.
Venendo invece alla documentazione militare che a norma di legge deve essere
versata negli Archivi di Stato, l’ASFi è perfettamente in regola con i versamenti.
Per quanto riguarda le liste di leva l’ultimo versamento ricevuto dal Centro documentale dell’esercito per la Toscana di Firenze (ex Distretto militare di Firenze) è
relativo, infatti, alla classe 1942 ed è quindi in linea con quanto disposto dal citato
articolo 41 del Codice dei beni culturali, che prevede che «le liste di leva e di estrazione sono versate settant’anni dopo l’anno di nascita delle classi cui si riferiscono».
È già in programmazione poi il versamento della classe 1943.
Per i ruoli matricolari, invece, è stato accettato un versamento anticipato, sono
già stati ricevuti, infatti, i «ruoli» relativi alla classe nata nel 1945, in quanto fine
6
Gli Istituti archivistici presso cui si conserva documentazione dei Tribunali militari sono: Archivio centrale dello Stato, Archivi di Stato di: Alessandria, Ancona, Asti, Bari, Bologna, Chieti, Cuneo,
Imperia (Sezione di San Remo), La Spezia, Lecce, Mantova, Massa Carrara, Napoli, Palermo, Piacenza,
Taranto, Torino. La documentazione conservata negli Archivi di Mantova e Napoli è pre-unitaria. La
presenza o meno negli Archivi di Stato di questo materiale archivistico è legata, ovviamente, alla distribuzione sul territorio nazionale dei Tribunali militari ed alle loro vicissitudini, per una prima informazione sul tema rimando, in questo numero, al saggio di PAOLA CONTI, Il Tribunale Militare di Firenze:
storia di un istituto e vicissitudini di un archivio. Qualche cenno.
7
Per un interessante raffronto tra la legislazione italiana e quella di alcuni altri importanti paesi
europei sul tema della conservazione degli archivi militari, rimando al citato contributo di Nicola
Labanca.
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92
Carla Zarrilli
serie di questa tipologia documentaria.
Naturalmente viste le precise disposizioni di legge, le liste di leva, così
come i ruoli matricolari, sono conservati nella maggioranza degli Archivi di
Stato italiani. Si tratta di documenti che presentano di sovente problemi di conservazione - vista l’ingente quantità - di comunicazione, eccetera. Molto interessante sarà quindi in questo senso la relazione di Claudio Lamioni, già
funzionario dell’ASFi e tuttora docente della Scuola di archivistica dell’Istituto,
che ci farà il quadro della documentazione relativa alla leva conservata negli
Archivi di Stato toscani.
Come già accennato, con la classe 1945 termina la redazione dei ruoli matricolari, da tale data in poi si hanno solo i fogli matricolari, che sono presenti nei fascicoli personali. Su questo particolare tipo di documentazione è in corso un
progetto del Ministero della difesa in accordo con la Direzione generale per gli archivi. Sarà quindi particolarmente importante ascoltare la relazione della collega
Micaela Procaccia, dirigente del servizio II, Tutela e conservazione del patrimonio
archivistico, della Direzione generale per gli archivi, che ci parlerà in un’ottica nazionale del problema della conservazione di tali fogli matricolari.
Non è invece una nuova acquisizione dell’ASFi, ma vorrei dire una scoperta
interna quella di un fondo miscellaneo di carte militari del periodo della Grande
guerra. Si tratta di un fondo che, a onor del vero, nonostante le ricerche compiute,
non si sa come e quando sia pervenuto in ASFi - o per lo meno ci sono solo vaghe
ipotesi - e che certamente sinora non era stato oggetto di studio. Ora invece, grazie
al progetto ALISTO, si procederà alla sua inventariazione e digitalizzazione, si realizzerà quindi un importante intervento di valorizzazione di un patrimonio rimasto
sinora praticamente sconosciuto. Sarà Mauro Scroccaro della società Marco Polo
System a parlarci di questo intervento, frutto di una partnership tra tale società,
l’Archivio di Stato di Firenze e la Provincia di Treviso.
Sintetizzando sull’attività svolta dall’ASfi per la tutela degli archivi militari
posso dire che c’è stato e c’è un forte impegno sia sul fronte della documentazione che secondo la normativa vigente deve pervenire in Istituto, che è versata
con costante periodicità, che nel reperire e cercare di acquisire fonti, che non obbligatoriamente debbono giungere negli Archivi di Stato, ma di cui si valuta
l’importanza e si cerca di accogliere per evitarne la dispersione e/o l’allontanamento dal territorio in cui sono state prodotte. Va anche detto però che questa
politica di acquisizioni troverà anzi per meglio dire sta già trovando un fortissimo
limite nella mancanza di spazio. La sede dell’Istituto, benché grandissima, è infatti praticamente satura e lo è quasi anche quella sussidiaria e per giunta in affitto
passivo, sita nel vicino comune di Sesto Fiorentino. Il problema dello spazio costituisce per questo, come per praticamente tutti gli Archivi di Stato italiani, uno
dei principali, se non il principale problema. Una soluzione potrebbe venire, e
rimaniamo proprio in ambito militare, dalle caserme dismesse, su cui, però, anche
se fossero messe a disposizione degli Archivi dalle Agenzie del demanio, dovrebbero essere fatti importanti, e quindi inevitabilmente costosi, lavori di ristrutturazione, adeguamento impiantistico, etc., cosa che al momento attuale
sembra molto, molto difficile.
Ma questo potrebbe essere il tema per un altro convegno. Tornando al nostro
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L’attività di tutela dell’Archivio di Stato di Firenze sugli archivi militari
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convegno chiudo, ma non prima di aver ringraziato il collega Simone Sartini, che
quale responsabile del settore degli archivi del Regno e poi della Repubblica Italiana, si è impegnato e si impegna con grande entusiasmo e competenza nella tutela
e nella valorizzazione del patrimonio archivistico contemporaneo. Sempre a lui si
deve di aver condiviso con me l’ideazione e l’organizzazione di questa giornata di
studio e di aver realizzato con Paola Conti la piccola esposizione visibile in questa
sala convegni ed in quella d’ingresso, costituita naturalmente da documenti provenienti dai fondi di cui parliamo.
CARLA ZARRILLI
Archivio di Stato di Firenze
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LA MEMORIA DEI SINGOLI.
IL PROBLEMA DELLA CONSERVAZIONE DEI FOGLI MATRICOLARI
«Fra poco sarai sottoposto a nuova visita medica ed i casi sono due: o ti fanno non
idoneo o ti fanno idoneo; se ti fanno non idoneo te ne infischi; se ti fanno idoneo i casi sono
due: o ti mettono in armi speciali od in fanteria; se ti mettono in armi speciali te ne infischi;
se ti mettono in fanteria i casi sono due: o ti mandano in zona di guerra o ti mandano in territorio di pace; se ti mandano in territorio di pace te ne infischi; se ti mandano in zona di
guerra i casi sono due: o ti mettono ai servizi speciali o ti mandano in trincea; se ti mettono
ai servizi speciali te ne infischi; se ti mandano in trincea i casi sono due: o sei ferito leggermente o sei ferito gravemente; se sei ferito leggermente te ne infischi; se sei ferito gravemente i casi sono due: o vai all’altro mondo o guarisci; se guarisci te ne infischi; se vai
all’altro mondo i casi sono due: o vai in paradiso o vai all’inferno; se vai in paradiso te ne
infischi; se vai all’inferno i casi sono due: o trovi Cecco Beppe o non lo trovi; se non lo
trovi te ne infischi; se lo trovi i casi sono due: o lui impicca te o tu impicchi lui; se tu impicchi
lui te ne infischi; se lui impicca te, requie all’animaccia tua».
Ettore Petrolini, estate 1917
La memoria della Grande guerra, divisa fra mormorii del Piave, invettiva contro la maledetta Gorizia, sberleffi come quello di Petrolini e l’«inutile strage» di
Benedetto xV, si presenta come un mosaico complesso e allo stesso tempo fondamentale per la ricostruzione dei sentimenti nazionali (oltre che delle vicende) presenti in misura diversa e sfaccettata nel nostro paese.
Non per caso è la I guerra mondiale che vede nascere e strutturarsi nel mondo
anglosassone l’attenzione per le fonti orali come «documento» di restituzione delle
esperienze personali e dei punti di vista degli individui sulla storia. Avverrà, questo,
molto più tardi in Italia e se il confronto fra queste memorie e la storia documentata
nelle carte è comunque fondamentale per l’analisi e la ricostruzione delle vicende
storiche, tanto più nel nostro paese la conservazione delle carte che ci raccontano
le vicende dei singoli appare di primaria importanza.
Non a caso, fra i molti progetti che gli Archivi di Stato hanno presentato per
i finanziamenti in occasione del centenario della Grande guerra, gran parte è dedicata allo studio delle fonti che consentono di dare un nome, in qualche caso un
volto, dati biografici e anche opinioni a quegli altrimenti anonimi combattenti.
Dalle liste di leva ai tribunali militari, si tratta di un impressionante insieme di fondi
che sarebbe indispensabile poter analizzare tutti e rendere disponibili, come è stato
progettato, in data base accessibili sul web.
La progettazione di questi interventi, che ci auguriamo vengano resi possibili
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La memoria dei singoli. Il problema della conservazione dei fogli matricolari
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con l’approvazione dei finanziamenti dedicati, ha messo in luce un problema relativo non tanto alle fonti documentarie che concernono il periodo della I guerra
mondiale, quanto a quelle che si riferiscono a periodi più recenti.
Come è noto, accanto alle liste di leva, sono oggetto di versamento agli Archivi
di Stato, alla scadenza del settantennio della classe di riferimento, i fogli matricolari
che riportano, o dovrebbero riportare, tutti gli elementi essenziali relativi alla carriera militare di ciascun individuo, desunti dal relativo fascicolo personale.
Di fatto, in seguito al percorso intrapreso dal Ministero della difesa verso l’eliminazione progressiva della documentazione cartacea, è stato rilevato che il versamento della documentazione prescritta agli Archivi di Stato non è stato realizzato
relativamente alle classi a partire dagli anni ’40 se non in casi limitati e a macchia
di leopardo, a causa dell’onere insostenibile, in termini di costi e di tempi, per l’aggiornamento dei fogli matricolari da parte delle Commissioni che avrebbero il compito di analizzare il contenuto dei singoli fascicoli e di aggiornarli con gli elementi
ritenuti importanti, così da consentirne il versamento e permettere, quindi, la distruzione del cartaceo non più necessario.
Di fronte a questa situazione, il Ministero della difesa ha avviato due progetti
pilota di dematerializzazione dei fascicoli personali gestiti dai Centri documentali
con la costituzione di un Centro unico di conservazione sostitutiva (CUCS). Uno
di questi progetti prevede, accanto alla creazione delle cosiddette «liste di leva sospesa»1 native digitali, la digitalizzazione delle liste pregresse a partire da quelle
relative alle classi 1943-1945 (che risultano le più richieste per consultazione soprattutto a scopo amministrativo) e, comunque, di quelle liste e di quei fascicoli
che venissero richieste dai cittadini. È previsto il caricamento su un apposito punto
di accesso web, consultabile previa registrazione. Il secondo e parallelo progetto
investe i fascicoli personali relativi al Distretto di Roma.
I problemi che si pongono alla Direzione generale sono molteplici e complessi:
il versamento dei fogli matricolari non aggiornati priverebbe la ricerca storica di
una quantità di dati significativi, determinando una penalizzazione delle future possibilità di indagine sui casi individuali; allo stesso tempo, il versamento anche dei
fascicoli personali (teoricamente scartabili) configge con la scarsa disponibilità di
spazi che è ormai una costante della situazione degli Archivi di Stato. Una verifica
effettuata presso gli Istituti ha posto in evidenza che anche il solo versamento dei
fogli matricolari costituirebbe un problema, almeno in alcuni casi.
L’ipotesi che è stata formulata con i responsabili di entrambi i progetti pilota
ha previsto una serie di passaggi che potrebbero consentire una soluzione del problema. Si è, infatti, discusso un percorso che prevede il versamento dei fogli matricolari ove siano disponibili gli spazi e la digitalizzazione dei fogli matricolari,
delle liste di leva e dei fascicoli personali (secondo modalità e tempi non perfettamente coerenti tra i due progetti). Il o i repositories così costituiti nel rispetto delle
regole previste dal Codice dell’amministrazione digitale e certificati dall’Agenzia
per l’Italia digitale, potrebbero prevedere forme di accesso protetto per gli Archivi
1
Come è noto, la leva militare è sospesa in Italia a decorrere dal 1 gennaio 2007 con il decreto
legislativo 8 maggio 2001 n. 215 che tuttavia non esenta i Comuni dal formare le liste di leva.
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Micaela Procaccia
di Stato, che avrebbero così modo di offrire in consultazione ai loro ricercatori direttamente i fogli matricolari e i fascicoli personali (oltre che le liste di leva non
versate) in formato digitale, venendo sollevati nella pratica dalla necessità di attrezzarsi per la conservazione a lungo termine dei documenti digitali.
Accanto a questo, potrebbe essere studiata anche una possibile collaborazione
nell’ambito del progetto di realizzazione del Portale Antenati del Sistema archivistico nazionale2 che prevede la digitalizzazione delle liste di leva già conservate
negli Archivi di Stato. Andrebbe in tal caso creata una maschera di interrogazione
adeguata alla ricerca storica in luogo della maschera attualmente prevista in uno
dei progetti sperimentali, idonea per la ricerca del singolo nominativo ma non per
altri e più complessi tipi di indagine.
Altrettanto rilevante per una maggior tutela della documentazione è l’ipotesi
di verificare la possibilità che il Ministero della difesa (che ha già previsto di concentrare la documentazione interessata in appositi depositi) costituisca un polo archivistico per la conservazione anche cartacea dei fascicoli personali,
eventualmente sottoposti a sfoltimento. È da rilevare che in passato si era rilevato
che parte della documentazione contenuta nel fascicolo può essere scartata.
Un ulteriore problema sarà posto agli storici del futuro dalle liste di «leva sospesa» attualmente redatte dai Comuni al compimento del 17° anno di età dei cittadini di sesso maschile. queste liste, rispetto a quelle precedenti la sospensione
della leva, che vedevano il mero dato anagrafico integrato con informazioni derivanti dalle visite (altezza e peso, colore degli occhi e dei capelli, grado di istruzione,
professione), risultano estremamente povere di dati. quell’insieme di elementi che
ha fatto delle liste di leva fonti privilegiate per lo studio della storia dell’istruzione,
dei dati antropometrici, delle professioni e dei mestieri in Italia, sembra al momento
in via di sparizione. Occorrerà, forse, che gli archivisti del prossimo futuro prendano in considerazione una revisione dei parametri di conservazione illimitata relativamente a questa e altre tipologie documentarie (come i fascicoli personali dei
volontari) per conservare comunque la traccia documentaria delle vite dei singoli
militari.
MICAELA PROCACCIA
Direzione generale Archivi
2
www.antenati.san.beniculturali.it/
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STORIA MILITARE E FONTI ARChIVISTIChE:
UNA RELAZIONE STRETTA,
BASE DI UN’ALLEANZA FRA STORICI MILITARI E ARChIVISTI
La storiografia militare. – André Corvisier, un grande storico militare francese
dell’età moderna, introducendo una ventina di anni fa una fondamentale Histoire
militaire de la France1, aveva cadenzato l’evoluzione degli studi storico-militari,
a partire dal loro oggetto. Dapprima una storia militare fatta da militari per scopi
militari, una storia ufficiale interna alle accademie ed alle istituzioni militari, principalmente interessata a ricostruire battaglie e campagne di guerra. Poi una storia
sociale, una storia delle relazioni fra le istituzioni militari e la società, una storia
anche della società militare, una storia della composizione sociale delle forze armate e delle infinite relazioni fra la società militare (apparentemente chiusa) e la
società in generale. Infine una storia del fatto militare, una storia della dimensione
militare, con le sue regole e le sue tradizioni, le sue mentalità e le sue culture.
Tratteggiando questa evoluzione storiografica, Corvisier pensava certo in
primo luogo ai suoi colleghi e alla storia militare francese. Ma, attento conoscitore
degli archivi della Francia moderna, pensava anche alle carte su cui questo sviluppo
storiografico si era basato. Gli storici militari della prima fase, soprattutto fra Ottocento e Novecento, pur svolgendo un lavoro fondamentale di recupero ed organizzazione di sterminati materiali archivistici, avevano lavorato principalmente
sulle carte dei re, dei comandanti, dei grandi generali. Erano carte che, per il periodo
otto-novecentesco, spesso le istituzioni militari avevano trattenuto presso di sé,
dando vita ai magnifici e consistenti complessi archivistici militari dello Château
de Vincennes, a Parigi, non a caso sede al tempo stesso degli archivi militari e degli
Uffici storici di forza armata, oggi Servizio storico della Difesa (a livello interforze). Poi, anche grazie all’insegnamento di Corvisier stesso, era intervenuta un’altra generazione di storici militari, che avevano lavorato anche sulle carte di tipo
amministrativo, ad esempio carte del reclutamento militare, fondi archivistici
enormi e considerati dalle istituzioni militari di scarso interesse, e rimasti quindi
sul territorio, negli archivi comunati e di Stato locali, non in mani militari. Già nel
1969 uno storico di rilievo come Emmanuel Le Roy Ladurie2 aveva esaminato con
1
Cfr. l’introduzione a Historire militaire de la France, a cura di A. CORVISIER, Paris, Puf, 1992.
J.-P. ARON - P. DUMONT - E. LE ROy LADURIE, Anthropologie du conscrit français d’après les
comptes numériques et sommaires du recrutement de l’armée, 1819-1826. Présentation cartographique,
Paris-La haye, Mouton, 1972.
2
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98
Nicola Labanca
i mainframes di allora, cioè con le schede perforate, il reclutamento dei francesi,
prospettando una straordinaria immagine al tempo stesso dell’istituzione militare
francese e della Francia: un’immagine, vista la sua permanenza nel tempo e la sua
capillarità, soprattutto al tempo della coscrizione obbligatoria, quale poche istituzioni possono dare. (Una prospettiva ed un’intuizione che, oltre agli storici, presto
i demografi storici avrebbero colto.) Poi questi storici della società militare, o delle
relazioni fra istituzione militare e società hanno affinato i propri metodi, mentre
l’evoluzione della tecnologia metteva a loro disposizione nuovi e più semplici ma
non meno potenti macchinari: negli anni Ottanta, sempre computerizzando e analizzando in forma quantitativa e seriale questi fondi di carte militari, Jules Morin3
ha fatto uno studio straordinario di come due piccoli distretti della Francia meridionale hanno interagito, in maniera diversa, alla coscrizione obbligatoria. Nel frattempo altri studiosi esaminavano serialmente il corpo ufficiali della Francia fra
Ottocento e Novecento4. (Osserviamo incidentalmente che con tanta attenzione ai
fondi archivistici del reclutamento non stupisce se poi la Francia, fra le prime, è
stata in grado di mettere online i dati dei propri caduti nelle due guerre mondiali
nonché nei vari conflitti otto-novecenteschi: interesse dei ministeri della Difesa,
tutela archivistica, sensibilità degli storici – ognuno seguendo i propri interessi –
permettevano facilmente di assolvere anche ad una funzione memoriale pubblica,
di servizio triste ma necessario, in una società della conoscenza, in una democrazia,
di ricordo delle vittime.) Infine, dopo la storia militare prima e la storia dei militari
poi, dopo la storia tradizionale, politico-istituzionale, e la storia sociale, della composizione sociale delle forze armate, venne in Francia il momento del passaggio
alla storia della dimensione militare. E infatti gli storici francesi come pochi altri
hanno insistito sulla dimensione della cultura, delle mentalità, delle idee diffuse e
della memoria, pubblica e privata, collettiva e individuale. Per questi lavori gli storici si sono serviti di altre fonti, di altri archivi (quelli privati, ad esempio, o delle
istituzioni pubbliche, civili e militari, preposte alla propaganda e al ricordo), e talora
nemmeno degli archivi.
L’evoluzione storiografica tratteggiata da Corvisier, un’evoluzione non solo
di metodi ma anche di carte e di tipologie di fonti archivistiche, potrebbe avere una
valenza generale5. Potrebbe essere adatta per seguire il modificarsi dell’attenzione
degli studiosi su un singolo tema. E potrebbe essere applicata a molti Paesi, compresa l’Italia. Ad esempio, oggi, al tempo del centenario della Prima guerra mondiale, potremmo leggere con quelle lenti la crescita degli studi storico-militari sulla
Grande guerra e i conti in qualche modo tornerebbero: con il passaggio degli storici
militari italiani dalla storia delle battaglie e delle campagne, alla storia della leva
militare e della composizione sociale del corpo ufficiali, sino alla storia culturale
della memoria di quella guerra di massa con la sua tragica morte di massa.
3
J. MAURIN, Armée, guerre, société, soldats languedociens 1889-1919, Paris, Publications de la
Sorbonne, 1982.
4
W. SERMAN, Les origines des officiers français 1848-1870, Paris, Publication de la Sorbonne, 1979.
N. LABANCA, Sviluppo e cambiamento nella storia militare dalla seconda guerra mondiale ad
oggi, in «Revue internationale d’histoire militaire», 2013, 91, pp. 11-81.
5
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Storia militare e fonti archivistiche: fra storici militari e archivisti
99
Una diversità italiana?. – Eppure nel caso italiano qualche passaggio di quell’evoluzione, così semplice e nitida per il caso francese, mal si adatta. Come mai
gli storici italiani hanno studiato poco la storia della società militare? Come mai
sono passati dalla storia militare tradizionale e dalla storia politica alla storia della
cultura, non saltando ma certo non soffermandosi come i loro colleghi francesi hanno
fatto, sulla storia del reclutamento militare6? Come mai non abbiamo in Italia opere
come quelle di Le Roy Ladurie e Maurin? Una delle risposte sta nello stato degli
archivi italiani del reclutamento, conservati negli archivi di Stato, e più in generale
nello stato degli archivi militari o meglio ancora delle carte militari negli archivi
italiani. Archivi e carte che, negli anni in cui gli storici francesi lavoravano, non
erano così disponibili di qua dalle Alpi. Il passo intermedio tra la storia militare ufficiale e la storia della dimensione militare rappresentato dalla storia dei militari,
dei soldati, della società in uniforme, in Italia è mancato nelle dimensioni conosciute
in Francia anche perché la disponibilità di quelle carte non c’era: in Francia, come
in altri Paesi, le carte del reclutamento erano da tempo disponibili negli archivi locali
(nell’Esagono, nella serie «R»). Su quelle carte gli studiosi, nel 1969 con le schede
perforate e negli anni Settanta-Ottanta con computer e macchine diverse e con programmi di calcolo più accessibili, hanno potuto condurre analisi seriali, l’unico
modo per esaminare grandi quantità di documentazione. In Italia questo passo è
stato quasi saltato, non solo per diversa sensibilità storiografica ma forse anche per
la diversa disponibilità (o indisponibilità) di fonti d’archivio7. La storia militare italiana è stata prima storia ufficiale e poi storia politica, ora si sta facendo molta storia
culturale, ma la storia sociale si è un po’ persa. Oggi, finalmente, la situazione è
cambiata e la disponibilità delle fonti è cresciuta. Ma è cambiato il clima culturale
e le risorse per condurre quel tipo di ricerche, con la crisi, sono appassite. Tutto ciò
continua a rendere urgente, interessante e promettente la possibilità di esaminare
queste fonti adesso presenti e consultabili negli archivi di stato.
Eppure anche in Italia le dimensioni di questi patrimoni archivistici sono sorprendenti.
Straordinari patrimoni archivistici. – Erroneamente, talora, pensando alle carte
militari (prodotte cioè dall’amministrazione militare o comunque ad essa legate) si
6
N. LABANCA, Militari tra fronte e paese. Attorno agli studi degli ultimi quindici anni, in corso
di pubblicazione in «Annali della Fondazione Ugo La Malfa», xxVIII (2013), n. mon.: La società italiana e la Grande guerra, a cura di G. PROCACCI
7
S. TRANI, Le fonti documentarie d’interesse storico conservate presso le istituzioni culturali e
gli uffici delle forze armate a Roma, in «Le carte e la storia», VII (2002), pp. 149-178; ID., Gli archivi
degli uffici storici e dei musei delle Forze armate: appunti per una discussione, in «Le carte e la storia»,
xII (2006), pp. 40-47; ID., Uffici storici e musei militari. Formazione, conservazione e fruizione, in Archivi, biblioteche, musei militari. Lo stato attuale, le funzioni sociali, gli sviluppi. Acta del Convegno
di studi tenuto a Roma il 19 e 20 ottobre 2005 presso il Comando generale della Guardia di finanza,
Roma, Commissione italiana di storia militare, 2006, pp. 20-31, e la sua tesi di dottorato che porta al
culmine queste sue riflessioni: Storia e analisi dei processi di formazione e conservazione dei sistemi
documentari e archivistici nelle Forze armate del Regno d’Italia (1861-1945): il caso del Regio esercito
italiano e dell’Arma dei carabinieri reali, Università degli studi di Siena, 2012. L’autrice non ha mai
però affrontato come merita la questione delle numerose carte militari presenti negli archivi di Stato
non romani.
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Nicola Labanca
pensa agli archivi militari, gestiti ancora dall’Amministrazione della Difesa, o al
massimo a quelle conservate presso l’Archivio centrale dello Stato. In realtà carte
militari sono raccolte in molte altre istituzioni archivistiche. Chi facesse una ricerca
sull’Opac del Sistema archivistico nazionale (San), che pure è un catalogo in progress e nient’affatto definitivo, vedrebbe che tra i complessi archivistici troviamo
almeno 714 volte ripercorrere l’aggettivo militare, declinato al singolare o al plurale8
(è possibile qualche sovrapposizione, che pure non dovrebbe esserci: in ogni caso
il dato notevolissimo della numerosità di questi complessi archivistici non cambia).
È vero che l’ACS dà un contributo consistente a questi 714 fondi, ed è vero che da
tale rilevazione sfuggono – ed è un peccato – gli archivi storici militari di forza armata. Ma è anche vero che di quelle centinaia e centinaia di fondi moltissimi stanno
presso gli Archivi di Stato territoriali. Purtroppo solo una minima parte di quelle
serie è stata sondata dagli studiosi. Ciò avviene non solo e non tanto perché questi
fondi arrivano spesso senza strumenti di corredo, né perché presso quegli archivi
non sia presente un personale quantitativamente sufficiente e professionalmente attrezzato per ‘capire’ le carte militari, o perché manchino gli spazi o altro. qualunque
siano le ragioni, questa distrazione o disinteresse degli storici costituisce un problema perché la consultazione di questi fondi potrebbe non vogliamo dire rivoluzionare – parola che di questi tempi non va tanto di moda – ma almeno riformare
radicalmente l’immagine che noi abbiamo delle istituzioni militari, dei loro rapporti
con la società e ad esempio, in queste tempi di centenario, della Grande guerra. In
quest’ultimo caso specifico, a titolo appunto d’esempio, ovviamente la ricerca storica in Italia ha compiuto rilevanti passi in avanti: a sostenere queste ricerche da un
punto di vista archivistico sono stati però soprattutto i fondi dell’ACS, straordinariamente ricchi, e le fonti degli archivi degli uffici storici di forza armata. Ma ricerche non meno ricche e nuove potrebbero essere svolte basandosi su quelle centinaia
di fondi che una semplice ricerca sull’Opac del San mette in evidenza.
questa eccezionale quantità di materiale archivistico, militare perché di diretta
produzione di quella istituzione o d’interesse correlato, raccolto presso gli archivi
di Stato e non solo nell’ACS e tanto meno negli archivi militari, questa straordinaria
quantità e qualità di carte non dovrebbe in realtà stupire. Essa traduce e restituisce
un’immagine dell’istituzione militare quale essa fu, straordinariamente complessa
e articolata, presente non solo al centro, nella capitale, di uno Stato, ma innervante
tutta la sua società sino alla sua estrema periferia, i confini. Ciò è vero particolarmente nell’età moderna e contemporanea, al tempo della coscrizione obbligatoria.
Ma lo è anche per periodi precedenti, medievali, early modern e compiutamente
moderni, quando la forza armata era qualcosa che reggeva il territorio e ad essa era
demandata non solo la funzione bellica esterna ma anche la funzione di controllo
8
Rispettivamente <san.beniculturali.it/web/san/ricerca-avanzata1?denominazioneTA=&regione=&tipologia=&servizi=indifferente&sogcSistadId=&denominazioneCD=militare&complSistadId=&dataInizioCD=&dataFineCD=&tipoSP=&denominazioneSP=&sogpSistadId=&dataInizioSP=&
dataFineSP=&luogo=&tipoRicerca=compl&step=ricerca >; e <san.beniculturali.it/web/san/ricercaavanzata1?denominazioneTA=&regione=&tipologia=&servizi=indifferente&sogcSistadId=&denominazioneCD=militari&complSistadId=&dataInizioCD=&dataFineCD=&tipoSP=&denominazioneSP=&
sogpSistadId=&dataInizioSP=&dataFineSP=&luogo=&tipoRicerca=compl&step=ricerca>, accesso 13
febbraio 2014.
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Storia militare e fonti archivistiche: fra storici militari e archivisti
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interno di fronte a sommosse, moti, proteste annonarie eccetera9. Non c’erano,
anche allora, solo i militari che andavano a combattere per il proprio signore o re
in territori lontani per conquistare nuovi territori: c’erano anche armati, assoldati,
miliziani, ‘uomini di bande’ ecc. (le denominazioni erano varie) che controllavano
la società all’interno dei confini. questa lunghissima storia rimane negli archivi e
senza questa non comprendiamo un parte fondamentale della storia militare, sia
essa la storia di una guerra sia essa quella dell’istituzione militare in tempo di pace.
È per tale ragione, per l’estrema complessità ed articolazione dell’istituzione militare che troviamo nell’Opac del San, come in altre banche dati, una eccezionale
quantità di istituti, istituzioni, commissioni, realtà militari disperse sul territorio
che compongono l’immagine reale di ciò che fu per secoli ‘il militare’. Spesso la
storia militare ufficiale, quella prodotta dagli uffici storici di forza armata e dagli
storici militari in uniforme trascura questo lato, perché interessata solo all’onore
combattente della forza armata. Ma gli eserciti vivevano, e controllavano il territorio, anche quando non combattevano. Tutto quest’insieme di carte sta nelle istituzioni archivistiche locali (anche se spesso di straordinaria tradizione) ed è per lo
storico assolutamente fondamentale.
Per inciso, sarà opportuno ricordare che in materia l’Italia ha una legislazione
piuttosto particolare. Per quanto riguarda la conservazione dei documenti militari,
una parte consistente di essi sfugge al controllo dell’Amministrazione archivistica
e va appunto negli archivi militari. Si tratta, è bene ricordarlo sempre, di una soluzione italiana. Non tutti i Paesi fanno così, e sarebbe un errore considerare questo
una normalità archivistica. Per esempio la Germania ha le carte militari dentro un
unico grande archivio federale del tutto pubblico e governato dall’amministrazione
archivistica civile, anche se ovviamente nella gestione di queste carte militari essa
si fa aiutare (ma mantenendo sempre un controllo ed una gestione diretti) dal personale dell’Amministrazione della Difesa. Gli archivi sono insomma in Germania
svincolati dalle forze armate: e così avviene nel Regno Unito, negli Stati Uniti
d’America ecc., cioè in democrazie consolidate da ben prima della seconda guerra
mondiale, dove il controllo civile dei documenti militari è una parte tradizionale
del controllo civile dei militari. questo facilita il fatto che la storia militare, la memoria storica del passato militare di un Paese sia svincolata dalle pur comprensibili
esigenze della storia militare ufficiale, che talora può togliere dalla consultazione,
sottrarre o oscurare dall’accesso una serie di documenti e di episodi. Nelle grandi
democrazie in conclusione la legislazione è in molte parti diversa da quella italiana.
Ciò agevola anche le forze armate che, per la soluzione adottata in Italia, sono costrette a gestire immense serie archivistiche, oggi spesso senza le risorse economiche, umane e professionali necessarie. Peraltro, anche a livello di uffici storici
militari e dei loro archivi, la soluzione adottata in Italia è sempre diversa da quella
adottata, o formatasi, altrove. A livello degli uffici storici di forza armata, e dei loro
archivi storici, anche prima delle grandi restrizioni di fondi, di personale ecc. che
le forze armate ovunque fronteggiano nell’età post-bipolare, sempre più a livello
internazionale si è affermata la modalità dell’ufficio storico, e quindi dell’archivio
9
M. hOWARD, La guerra e le armi nella storia d’Europa, Roma-Bari, Laterza, 1978.
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dell’ufficio storico, interforze. Anche qui la Germania è un esempio importante,
dove esiste un unico (grande e qualificato) ufficio storico interforze, sin dal 1957.
In Francia l’unificazione in un unico Servizio storico della Difesa dei vari uffici
storici di forza armata è più recente, e ha condotto ad un unico archivio storico interforze, a Vincennes. A livello internazionale tale processo di unificazione ormai
va avanti da dieci, quindici anni: ciò vuol dire che la situazione e la legislazione
italiane in termini di archivi militari e di uffici storici militari è sempre più eccezionale, e difficile: perché è chiaro che mantenere una pluralità di archivi, in tempo
di crisi, comporta mantenere una pluralità di centri di costo che riduce la possibilità
che questi archivi siano aggiornati, bene attrezzati e modernizzati. questo, si badi
bene, nell’interesse stesso delle forze armate e delle magnifiche, splendide persone
che lavorano dentro questi uffici storici e questi archivi di uffici storici, le quali invece si trovano oggi a dibattersi con grandi difficoltà, di personale, di mezzi, di
strumenti. Insomma, uno sguardo comparato consiglia di non dare per scontate le
modalità oggi esistenti in termini di legislazione ed organizzazione relative alle
carte militari e agli archivi militari e suggerisce di ricordarsi che, in altre grandi
democrazie, pungolate dalla crisi, anche gli archivi militari si stanno trasformando.
Nel frattempo, come dicevamo, giacciono presso gli archivi italiani – centrali
e locali, militari e di Stato – carte straordinarie. Nell’Archivio centrale dello Stato
stanno, o meglio dovrebbero stare, principalmente le carte delle amministrazioni
centrali, dei ministeri. Ma le carte del ministero della Guerra – poi della Difesa –
sono assai poche in assoluto e soprattutto in confronto a quelle che furono al tempo
prodotte e che adesso dovrebbero stare all’ACS. Negli archivi militari centrali stanno
le carte operative degli Stati maggiori, dei Comandi supremi, e le memorie
storiche/diari storici dei corpi operanti in pace e in guerra. Sono carte dei vertici.
Ma, oltre all’ACS e agli archivi degli uffici storici di forza armata, mettendo per un
attimo da parte le carte degli archivi privati trattenuti dalle famiglie e dalla società
civile, ci sono – spesso insondate – le carte degli Archivi di Stato. Cosa contengono
questi archivi? Ci sono carte private, di singoli: piccoli fondi, ma che visti sistematicamente possono dare uno sguardo non secondario alla storia della guerra e della
società in uniforme. Ci sono, lo accennavamo, carte di reclutamento. Ci sono carte
della giustizia militare. Ci sono soprattutto carte di istituzioni militari territoriali di
tipo vario. A cosa possano servire queste carte è abbastanza semplice tenendo a
mente questa quadricompartimentazione. Possono servire a molti scopi. Le carte
private, che sono spesso di notabili, possono intanto spiegare la scelta del mestiere
delle armi, perché il singolo scelse di fare l’ufficiale e cosa fece mentre vestiva l’uniforme. Le carte del reclutamento, come hanno insegnato gli storici militari francesi,
possono aiutare a comprendere l’estrazione geografica e la composizione sociale
delle istituzioni militari. Le carte della giustizia militare, scorrendo la accennata
quadricompartimentazione, servono a comprendere il dissenso e il consenso nei confronti della guerra, e più in generale dell’istituzione militare, anche in tempo di pace:
fanno sentire anche la voce dei soldati. Le carte infine delle istituzioni militari territoriali di tipo vario fanno conoscere la articolazione e la presa straordinarie dell’istituzione militare in tempo di pace sulla società. Tutto ciò dovrebbe essere ovvio
non solo agli storici militari, ma agli studiosi di storia in senso più lato. questo è invece un aspetto che un po’ sfugge, comprensibilmente, sia agli storici in uniforme,
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agli storici militari interni all’istituzione, sia gli storici tout court: fare la storia delle
forze armate su queste carte serve ad analizzare la società civile e il Paese, soprattutto
in occasione di guerre mondiali e totali10. Da qui, sulla base di queste carte, la possibilità di leggere sia la storia della guerra sia la storia della società e della pace: nei
fogli e soprattutto nei fascicoli personali conosciamo lo stato fisico, sanitario, culturale (alfabetizzazione), morale (giustizia militare) dei soldati. Per non dire di ricerche straordinarie sull’onomastica, sulla scelta dei lavori e delle professioni ecc.
Fonti che purtroppo in Italia sono appena sfiorate, come potrebbe farlo un surfer
sulla cresta delle onde, mentre invece sistematicamente team di palombari potrebbero restituirci le profondità del mare. Purtroppo spesso le carte militari, a livello
locale, nella particolare e difficile situazione archivistica italiana, così mancante di
risorse, di spazi, di personale, sono avvertite solo come un problema: perché richiedono appunto altre risorse, spesso grandi spazi, competenze specifiche. Invece questi
fondi militari sono una grande risorsa, perché raccontano la storia non solo dell’istituzione militare ma della società intera, di un Paese, perché – ripetiamo – lo avevano
innervato sino al livello periferico: attraverso di essa, al tempo della coscrizione obbligatoria, c’erano passati tutti i suoi sudditi/cittadini maschi. Poche altre istituzioni
possono vantare, nel bene e nel male, questa caratteristica.
Insomma sta in questi archivi una serie straordinaria di fondi e di fonti che
dovrebbero attrarre non solo storici militari.
Un’occasione difficile: il centenario italiano della Prima guerra mondiale. – L’occasione da cui le precedenti considerazioni prendono le mosse è data dall’avvio di una
ricorrenza di notevole rilevanza: il centenario della Prima guerra mondiale. Siamo oggi
solo all’avvio, fra un lustro sarà possibile capire i caratteri con cui esso avrà preso forma
in Italia. Per adesso, le preoccupazioni prevalgono sulle rassicurazioni.
Ma, sia pur più rapidamente, anche qui procediamo per ordine partendo da
una comparazione e dalla storiografia per poi arrivare alle istituzioni ed alle istituzioni archivistiche.
Per comprendere peraltro il centenario italiano, uno sguardo comparato è necessario. Alcuni pochi tratti su alcune iniziative potranno dare l’idea. In Francia da
tempo era stato costituito dal Governo un comitato di alto valore culturale, con alcuni dei migliori storici francesi della prima guerra mondiale. Il comitato è stato
provveduto di ampi fondi e già a metà 2013 ha iniziato a vagliare i progetti scientifici e culturali che da tutto il Paese, e dall’estero, gli erano pervenuti. Ciò ha permesso che, prima del 2014, gli organizzatori sapessero quali iniziative potevano
fregiarsi del riconoscimento (e dei fondi) del Comitato del centenario. In altri Paesi
l’iniziativa privata si è mossa per tempo. La Cambridge University Press, in accordo con l’historial di Peronne e con il governo locale della Somme, ha promosso,
curata da Jay Winter, una monumentale Cambridge History of the First World War,
in tre volumi ed una settantina di ampi contributi11. L’opera, la cui preparazione è
10
La storiografia contemporanea, a cura di P. BURKE, Roma-Bari, Laterza, 1993.
The Cambridge History of the First World War, a cura di J. WINTER, Cambridge, Cambridge
University Press, 2013, voll. 3.
11
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Nicola Labanca
durata anni, è stata pubblicata a fine 2013 ed è già in traduzione presso l’editore
francese Fayard. In Germania, un progetto per una 1914-1918 on line Encyclopedia
ha ricevuto finanziamenti europei e nazionali, coinvolgendo alcune centinaia di
collaboratori in tutto il pianeta. A disposizione degli internauti ci sarà un aggiornato
e qualificato strumento di reference, in lingua inglese: un monumento virtuale ma
di alto valore scientifico ad una guerra globale12. Come si vede, in modi diversi,
Stati e società si erano preparati.
In Italia a tutta l’estate 2012 esisteva invece solo un Comitato tecnico di consulenza per una legge (la cosiddetta legge Monticone13, dal nome del firmatario del suo
primo progetto) che aveva a disposizione, per tutte le sue iniziative, 150.000 euro…
A proposito di collaborazione fra ricerca-Università e Difesa, basterà ricordare che,
ad un progetto di studio proposto da una serie coordinata di Università, il Comitato
ha risposto che su quel tema ci pensava la Difesa… (nonostante le Università fossero
ben disposte a collaborare…). Ben più importante di questo comitatino, il comitato
nazionale che veglierà in Italia sul Centenario sulla Grande guerra è lo stesso (prorogato) che aveva operato per il Centocinquantesimo dell’Unità… come se le competenze scientifiche richieste per vagliare progetti e finanziamenti potessero essere
le stesse. E in ogni caso sino a gennaio 2014 questo comitato nazionale non aveva
né presidenti né fondi: quando li ha avuti, per legge, circa tre quarti dei fondi sono
stati destinati ad interventi infrastrutturali e a grandi opere, fra cui il risanamento dei
sacrari militari, ai quali da almeno mezzo secolo doveva però aver provveduto apposito ufficio del ministero della Difesa. Nonostante queste notevoli défaillances pubbliche, nel frattempo si erano mossi i sogni da centenario di singoli, associazioni,
istituzioni in quasi tutti i 9000 comuni italiani. Tali sogni erano sorretti non di rado
da sinceri interessi di studio, di celebrazione e onoranze. Ma non pochi sembravano
ideati appositamente da mangiatori di fondi pubblici, da veri e propri imprenditorisciacalli della memoria nazionale, quasi sempre completamente ignoranti della materia ecc. Le (poche) risorse pubbliche di un Paese in difficoltà economiche come
l’Italia, in termini di risorse archivistiche, documentarie e finanziarie pubbliche, sono
esposte a queste alea. Si rischiano comitati e comitatini che possano avallare progetti
scoordinati e talora giganteschi, esposti allo spreco di soldi pubblici.
Se i pochi cenni fatti più sopra sono almeno in parte rappresentativi, è evidente
che rispetto all’Europa l’Italia arriva del tutto impreparata alla scadenza. Il divario,
che apparirebbe drammatico ad ogni osservatore equilibrato e disinteressato, poi
sarà certamente superato (o almeno così speriamo) grazie al genio italico e all’artistica improvvisazione: o – in altre e più eleganti ed indulgenti parole – al capitale
umano comunque accumulato dal Paese su questo tema sino ad oggi. È però sperabile che invece di sogni faraonici si preferisca la strada dei progetti piccoli ma
fattibili, che vadano in una direzione non provinciale ma europea, e che si avvalgano di competenze sicure, le quali ancora per un po’ stanno anche nelle università.
È auspicabile che le poche risorse disponibili siano indirizzate su progetti ben co12
<www.1914-1918-online.net/>.
D. RAVENNA - G. SEVERINI, Il patrimonio storico della Grande Guerra. Commento alla legge 7
marzo 2001, n. 7, introduzione di A. MONTICONE, schede fotografiche di L. FABI, Udine, Gaspari, 2001.
13
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ordinati di recupero e valorizzazione, ben sapendo che non si potrà né recuperare
né valorizzare tutto, nel breve torno di due o tre anni.
Per il resto, dal punto di vista strutturale, sarebbe improprio attendersi palingenesi. Il centenario non potrebbe, in astratto nemmeno dovrebbe, colmare le
lacune o i problemi nazionali. In Italia gli archivi militari soffrono di enormi difficoltà, non tutti hanno in organico un numero adeguato di posti di archivista,
eppure rimangono ancora distinti per forza armata; la rete degli archivi di Stato
soffre di carenze di spazi e di personale, che rende difficile che possano ricevere
versamenti di carte militari dai tanti reparti ed enti territoriali della Difesa che il
processo di trasformazione e di contrazione delle forze armate libera; per molti
anni l’ACS non è riuscito a sollecitare dal ministero della Difesa il versamento
delle sue importanti carte (nemmeno quelle del tempo della prima guerra mondiale…), fatto che configura una realtà archivistica nazionale del settore del tutto
difforme da quella delle grandi democrazie europee. Gli archivisti, civili o in uniforme, specializzati o meno, che lavorano in queste istituzioni sono in genere un
personale splendido, volenteroso e generoso. Spesso sono subissati da una quantità di ricerche genealogiche e di singoli appassionati che portano via molto
tempo e molte risorse, sottraendo tempo all’inventariazione delle enormi ricchezze documentarie che custodiscono. Se le carte sono conservate è grazie a
loro. Ma certo le istituzioni presso cui prestano servizio non hanno fatto moltissimo per aiutarli.
In tempi di scarsezza di risorse massima dovrebbe essere la collaborazione
tra la ricerca e la Difesa, tra ricerca e Amministrazione degli archivi. Far convergere le risorse e le professionalità, non escluderle come ha fatto il comitatino tecnico della legge Monticone. Operare in senso contrario può solo aumentare le
diseconomie e, come effetto, la distanza dall’Europa. Ovviamente niente è perduto, sia perché il centenario è lungo, sia perché sarebbe grave mancasse la consapevolezza che un tessuto lacerato tra ricerca, Difesa e Amministrazione degli
archivi è solo dannoso.
Se il quadro istituzionale-strutturale appare non sempre incoraggiante, diversa
è la situazione degli studi e della storiografia. Più o meno come aveva delineato
Corvisier, anche in Italia la storia della Grande guerra è stata prima una classica
storia militare e/o una storia politico-istituzionale, poi una storia sociale ed infine
una storia culturale e/o ambiziosamente ‘totale’ della partecipazione italiana al conflitto. Come abbiamo accennato, il secondo passo è stato – per quanto riguarda la
storia sociale del reclutamento dei combattenti italiani – piuttosto esile, se non proprio è stato saltato. Schematicamente, si potrebbe dire che si è passati dalle ricostruzioni tecnico-militari della Relazione ufficiale de L’esercito italiano nella
Grande guerra14 e dal suo contrappunto critico de L’Italia nella prima guerra mondiale di Piero Pieri15, o dal suo superamento nelle monografie degli anni fra Ses14
Ministero della Guerra (poi della Difesa), Comando di stato maggiore (poi Stato maggiore dell’esercito). Ufficio storico, L’esercito italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Roma, 1927-1988, voll. 7.
15
P. PIERI, L’Italia nella prima guerra mondiale, Torino, Einaudi, 1965, e ID., La prima guerra
mondiale 1914-1918. Problemi di storia militare, Torino, Gheroni, 1947, nuova edizione a cura di G.
ROChAT, Roma, Stato maggiore dell’esercito. Ufficio storico, 1986.
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santa e Settanta di Mario Isnenghi16, Giorgio Rochat17 e Piero Melograni18, alle storie culturali dell’esperienza di guerra degli anni Ottanta e successivi. Il passo intermedio storico-sociale di capire chi e da dove venissero quei combattenti è
rimasto limitato a poche, eccezionali, ma appunto poche, opere dedicate alla giustizia militare e alla prigionia italiana in mani austriache rispettivamente di Enzo
Forcella e Alberto Monticone19 e Giovanna Procacci20: gli studi storico-statistici
italiani, basati per lo più sulle fonti archivistiche del reclutamento militare conservate presso gli archivi di Stato, sui combattenti e sulle vittime dei combattimenti
sono stati pochi e non hanno da noi mai superato la dimensione dell’articolo e del
breve saggio21. Come aveva osservato Corvisier, siamo quindi passati da studi basati sulla consultazione dei fondi militari, del Comando supremo e del governo,
presso l’ACS o presso gli archivi storici di forza armata, a studi basati sulla caratteristica pluralità di fonti tipica della storia culturale, ‘saltando’ la storia sociale dei
combattenti basata sulle fonti del reclutamento: fonti oggi disponibili presso gli archivi di Stato ma non disponibili né organizzate in Italia negli anni Sessanta-Settanta, quando e come invece lo erano in Francia e altrove.
Senza ripercorrere qui, in così poco spazio, lo sviluppo storiografico degli
studi italiani sulla Grande guerra basterà osservare che al momento il più solido
grande punto di riferimento in termini di testi generali sulla guerra rimane il volume
pubblicato nel 2000 da Giorgio Rochat e Mario Isnenghi22. questo è ad oggi il canone storiografico, oggetto di discussione in questa o quella parte, aggiornato dalle
ricerche intercorse da allora, ma ancora non insidiato nella interpretazione di fondo.
In particolare per quanto riguarda la guerra combattuta Rochat si era molto basato
su analitiche e nuove consultazioni delle più varie fonti militari.
Rispetto a quell’opera, in questa sede, converrà ricordare due o tre punti caratteristici delle ricerche successive e delle loro relazioni con gli archivi.
Un punto fondamentale dell’attenzione è stato, in quest’ultimo quindicennio,
se e come la guerra e le istituzioni militari hanno fatto la nazione, in quel drammatico frangente, cioè se hanno contribuito a creare e a radicare un senso di unità nazionale tra gli italiani23. Vi sono state e rimangono riguardo a questo opinioni
16
M. ISNENGhI, I vinti di Caporetto nella letteratura di guerra, Padova, Marsilio, 1967; ID., Il
mito della grande guerra da Marinetti a Malaparte, Bari, Laterza, 1970.
17
G. ROChAT, L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini (1919-1925), Bari, Laterza, 1967;
ID., L’Italia nella prima guerra mondiale. Problemi di interpretazione e prospettive di ricerca, Milano,
Feltrinelli, 1976.
18
P. MELOGRANI, Storia politica della grande guerra 1915-1918, Bari, Laterza, 1969.
E. FORCELLA - A. MONTICONE, Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale,
Bari, Laterza, 1968.
19
20
G. PROCACCI, Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra. Con una raccolta di lettere
inedite, Roma, Editori riuniti, 1993.
21
Cfr. G. ROChAT - S. TORMENA, Primi dati sui soldati valdostani nella Prima guerra mondiale,
Aosta 2000, opuscolo edito dall’Istituto storico della Resistenza in Valle d’Aosta, ora in Fare il soldato.
Storie del reclutamento militare in Italia, a cura di N. LABANCA, Milano, Unicopli, 2007.
22
M. ISNENGhI - G. ROChAT, La grande guerra 1914-1918, Firenze-Scandicci, La nuova Italia, 2000.
Italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, III. La grande
guerra: dall’intervento alla ‘vittoria mutilata’, a cura di D. CESChIN - M. ISNENGhI, Torino, Utet, 2008.
23
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diverse tra gli storici. Antonio Gibelli aveva sostenuto che in fondo un senso di
unità nazionale fu creato24, Oliver Janz ha invece insistito che a base di tale unione
c’era stato un ‘capitale simbolico’ particolarmente contraddittorio: la morte di
massa e come essa è stata rielaborata dalle famiglie e dallo Stato25. Sulle divisioni,
invece, uscite dalla guerra ha insistito Giovanna Procacci con forza26. Attraverso
uno studio sistematico delle fonti dei tribunali militari e del reclutamento, sino a
qui usate solo episodicamente, sarebbe possibile dare un contributo importante se
non a risolvere la questione, almeno a portare avanti questa discussione, tenuto
anche conto del punto più generale che Giovanna Procacci ha recentemente riproposto, quello delle relazioni tra potere civile e potere militare.
Un altro carattere piuttosto rilevante degli studi italiani recenti sulla prima
guerra mondiale è che spesso essi abbiano purtroppo proceduto per binari paralleli
senza dialogare tra di loro. Da una parte è stata la storia militare ufficiale, che negli
ultimi anni si sta concentrando sulla ricostruzione di che cosa facevano i reparti
minori, i reggimenti e le divisioni. Dall’altra molti studiosi, penso ai collaboratori
trentini di «Materiali di lavoro»27, agli autori prima de Il popolo scomparso28 oppure
de I dimenticati della grande guerra29, o alle documentate ricerche di Irene Pluviano e Guerrini, come Le fucilazioni sommarie nella prima guerra mondiale30 o
Fucilate i fanti della Catanzaro: le decimazioni del Mosciagh e di Santa Maria La
Longa31, hanno dimostrato come l’Italia liberale nella guerra abbia avuto un numero
di fucilati notevole rispetto a tutti gli altri paesi europei, ad eccezione della Russia
che era un’autocrazia. Ma fra le due storiografie pochi sono stati i contatti. Le carte
di archivio della giustizia militare, sia quelle centrali sia soprattutto quelle disperse
sul territorio, potrebbero dare un enorme contributo a comporre una sintesi.
Un’altra discussione, che è una discussione internazionale, molto accesa tra gli
storici militari, ha riguardato le forme del combattimento. La convinzione che tutti i
grandi generali di tutti gli eserciti del 1914 furono sorpresi dalla guerra è ormai ge24
A. GIBELLI, La grande guerra degli italiani 1915-1918, Milano, Sansoni, 1998.
O. JANZ, Das symbolische Kapital der Trauer. Nation, Religion und Familie im italienischen
Gefallenenkult des Ersten Weltkriegs, Tubingen, Niemeyer, 2009.
25
26
G. PROCACCI, La società come una caserma. La svolta repressiva nell’Italia della grande guerra,
in «Contemporanea», VIII (2005), 3, pp. 423-424; ID., Le limitazioni dei diritti di libertà nello stato liberale:
il Piano di Difesa (1904-1935), l’internamento dei cittadini nemici e la lotta ai ‘nemici interni’ (1915-1918),
in «quaderni fiorentini. Per la storia del pensiero giuridico moderno», xxxVIII (2009), pp. 601-652.
27
«Materiali di lavoro. Bollettino per la storia della cultura operaia e popolare nel Trentino»,
1978-1981, dal 1983 «Materiali di lavoro. Rivista di studi storici», 1983-1992.
28
Il popolo scomparso. Il Trentino, i trentini nella prima guerra mondiale, 1914-1920, a cura del
Laboratorio di storia di Rovereto, Rovereto, Comune di Rovereto; Museo storico in Trento; Museo storico
italiano della guerra di Rovereto, Nicolodi, 2003. Ma cfr. prima La città mondo. Rovereto 1914-1918, a
cura del Laboratorio di storia di Rovereto, Rovereto, Museo storico italiano della guerra-Osiride, 1998.
29
q. ANTONELLI, I dimenticati della Grande Guerra. La memoria dei combattenti trentini (19141920), Trento, Il Margine, 2008.
30
M. PLUVIANO - I. GUERRINI, Le fucilazioni sommarie nella prima guerra mondiale, prefazione
di G. ROChAT, Udine, Gaspari, 2004.
31
M. PLUVIANO - I. GUERRINI, Fucilate i fanti della Catanzaro. Le decimazioni del Mosciagh e di
Santa Maria La Longa, Udine, Gaspari, 2007. Cfr. anche P. GASPARI - A. PERTOLDI, Il combattimento
di Pradamano. Bersaglieri fucilazioni e vicende nella memoria popolare, Udine, Gaspari, 2012.
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nerale. Però poi la guerra fu fatta, e da alcuni vinta e da altri persa. La storiografia
ormai altrettanto generalmente conviene che dietro gli eserciti combattenti stava il
retroterra della forza economica di ogni singolo Paese. D’altro canto, in guerra, è difficile ritenere non centrale anche il modo in cui le forze armate combattono. Da qui
è nata l’accesa discussione fra gli storici militari sull’efficienza in combattimento.
Su questo in Italia sino ad oggi sono stati fatti primi affondi su singoli reparti. Le relative piccole monografie potrebbero invece essere enormemente arricchite dalla consultazione di fondi militari, oggi disponibili, che – se intelligentemente digitalizzati
(cosa che in altri Paesi si fa e che in Italia ancora non è stato fatto) – permetterebbero
di avere un quadro più complessivo. È ovvio che si tratta di uno studio quanto mai
differenziato nel tempo e nello spazio. Essere in artiglieria non dava origine alla stessa
esperienza di guerra dell’essere in fanteria. Combattere sul Carso era diverso dal
combattere sulle montagne innevate del Trentino. Insomma la guerra non fu mai una
sola, le esperienze di guerra degli uomini e dei reparti furono molto diversificate:
tutto questo dalle fonti della giustizia, del reclutamento e persino dalle fonti più tradizionali (diari di reparto, interrogatori, memorialistica), depositate presso gli uffici
storici, da quello dell’esercito a quello della Marina e a quello dei Carabinieri (anche
se forse, nella misura in cui sono state conservate, le carte del Comando generale dei
carabinieri, mai versate, sarebbero ancora più utili) potrebbero dare contributi ancora
nuovi. Ciò vuol dire che anche vedere come gli italiani si battevano sul campo di battaglia è in buona parte una storia, a distanza di cento anni, ancora da scrivere.
Si potrebbero esaminare ancora molti altri campi di studio, più consolidati o più
recenti. Fra quest’ultimi, due meritano quanto meno di essere menzionati: gli studi sui
corpi ‘disabili’ e quelli sui monumenti. Anche per l’Italia, pur tardi rispetto alla Francia
o alla Gran Bretagna, dove erano già praticate negli anni Ottanta, sono state avviate
varie ricerche sui mutilati32. Non va infatti dimenticato che una porzione degli italiani
subì per via della guerra mutilazioni permanenti. Forse le serie archivistiche della sanità militare come anche della sanità in genere, per non dire di quelle delle associazioni
di rappresentanza, potrebbero permettere di sviluppare come meritano tali studi. Per
quanto riguarda i monumenti, è difficile negare che già negli ultimi anni si sia assistito
ad un ‘ripescaggio’ dei segni di memoria – steli, cippi, lapidi ecc. – che dopo cento
anni vanno sgretolandosi33. Studiosi di storia dell’arte e soprintendenze ai monumenti,
anche avvalendosi di un’atmosfera culturale diversa dai decenni precedenti, nei quali
la guerra e certi stili artistici erano tenuti in non gran cale, e di alcune sovvenzioni
economiche, hanno ripreso a studiare questi monumenti e segni di memoria. Ne sono
usciti molti volumi illustrati e cataloghi, più che monografie. Purtroppo tali pubblicazioni assai raramente si sono avvalse di approfondite ricerche d’archivio e talora le
soprintendenze si sono mosse senza rapporto con la ricerca universitaria, e soprattutto
32
Fra i vari recenti cfr. B. BRACCO, La patria ferita. I corpi dei soldati italiani e la Grande guerra,
Firenze-Milano, Giunti, 2012.
33
Per qualche nota su questo tema ci permettiamo di rinviare a N. LABANCA, Studiare i monumenti
e i segni di memoria della Grande guerra, oggi, in Lontano dal fronte. Monumenti e ricordi della Grande
guerra nel Senese, a cura di M. MANGIAVACChI - L. VIGNI, Siena, Nuova immagine, 2007, pp. 19-36; Pietre
di guerra. Ricerche su monumenti e lapidi in memoria del primo conflitto mondiale, a cura di N. LABANCA,
con la collaborazione di M. MANGIAVACChI - A. RANIERI - L.VIGNI, Milano, Unicopli, 2010.
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Storia militare e fonti archivistiche: fra storici militari e archivisti
109
con quella storica. In particolare studi storico-artistici e studi storici, sulla base di estese
ricerche d’archivio, anche locali, avrebbero potuto aiutare a capire la distribuzione e
il numero dei caduti, e forse ad identificare anche le ‘ingiustizie’ dei monumenti: davvero tutti i caduti hanno avuto, dall’Italia liberale o dal regime fascista, un ‘loro’ monumento? E i fucilati? E i prigionieri? Peraltro, anche banalmente, fotografare e
chiosare il valore estetico di monumenti ancora oggi presenti, come spesso fanno
questi cataloghi illustrati, in un Paese che ha subito vent’anni di dittatura fascista, significa dimenticare o ignorare i monumenti e i segni di memoria che esprimessero
un’ideologia contraria a quella del regime, anche se oggi non sono più visibili. Converrebbe invece ricordare che tutta una serie di monumenti piccoli o grandi, di lapidi,
di targhe, tra il 1918 e il 1922 era stata eretta o apposta da associazioni popolari, dal
partito socialista34, dalle leghe cattoliche e democratiche, per ricordare alla loro maniera la tragedia della guerra. Tutti questi segni di memoria purtroppo furono erasi dal
fascismo. Inoltre intere categorie di combattenti (i fucilati, i disertori, i prigionieri) o
anche di non combattenti (i renitenti, le donne, i vecchi e i bambini che comunque
soffrirono della guerra) non ebbero mai un loro monumento. quindi quando gli operatori delle soprintendenze fotografano tutti i monumenti esistenti fanno opera meritoria, ma se non vanno in archivio, rischiano di legittimare anche non volendo una
costruzione memoriale dell’identità nazionale che rinvia al fascismo. Con un esito talora opposto alle loro pur lodevoli aspirazioni in tema di consapevolezza storica del
Paese. E questo anche perché non sempre si torna agli archivi.
Archivi e storia militare, archivisti e storici militari. – All’altezza del centenario, molte questioni nel rapporto fra storia militare e archivi tornano in evidenza.
Non poche di esse, in Italia, rinviano ad un insufficiente contatto e raccordo fra la
ricerca, la Difesa e gli archivi. In assenza di tale raccordo, nessun attore potrà dirsi
avvantaggiato: o c’è e si procede, o in sua assenza perdono tutti. Perché la storia
militare ufficiale diventa manchevole, perché gli archivisti non sempre hanno le
competenze degli storici militari per decodificare e archiviare quei documenti, perché gli storici non possono avere tutte le competenze necessarie in materia militare
o archivistica. Solo un raccordo, una federazione delle competenze, può evitare ricostruzioni parziali. E queste non sarebbero un gran portato per un centenario e
per il Paese. Il centenario può essere insieme una risorsa, ma anche un problema.
Comunque sia, come Corvisier aveva capito, archivi e ricerca sono collegati.
E fra archivisti e storici (militari) sono evidenti le basi per un’alleanza ed una cooperazione nella valorizzazione degli straordinari patrimoni archivistici oggi presenti. Anzi, in Italia archivisti e storici militari dovrebbero stringere anche
formalmente una vera e propria alleanza per la conservazione, per la tutela e per la
valorizzazione delle carte d’interesse storico-militare.
NICOLA LABANCA
Università degli studi di Siena
34
G. ISOLA, Guerra al regno della guerra! Storia della Lega proletaria mutilati invalidi reduci
orfani e vedove di guerra (1918-1924), Firenze, Le lettere, 1990.
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LE LEVE NEGLI ARChIVI DI STATO DELLA TOSCANA:
MATERIALI, ORDINAMENTI, STORIE ARChIVISTIChE
È noto e ho già esposto in altra sede il quadro istituzionale complessivo della
leva militare di terra in Italia dall’unità politica del paese (1861) ad oggi1; in quella
stessa sede spiegavo le motivazioni generali e quelle tecniche dell’intervento sulla
documentazione di leva conservata nell’Archivio di Stato di Firenze dove ero in
servizio e dove mi occupavo della contemporaneità. Dunque non ripeterò qui
quanto già detto. In effetti quello studio era finalizzato a fornire una introduzione
istituzionale generale oltre che storico-archivistica e tecnica al riordinamento e all’inventario dell’archivio della leva. Il lavoro imboccò poi un itinerario inatteso
quando l’Amministrazione ritenne di pubblicarlo come articolo a sé stante sulla
«Rassegna degli Archivi di Stato». L’inventario restò invece - come d’ordinario a servizio dell’Ufficio e della sala di studio. Fu quello l’ultimo lavoro di grande
impegno (10.280 unità) prima del mio ritiro dal servizio.
Spiaceva all’epoca (luglio 2007) non investire in altre analoghe iniziative
un patrimonio di esperienze così importante. Emerse allora l’idea di ritrovare
negli altri Archivi di Stato della Toscana la stessa documentazione per affrontarla
con identica metodologia critica. L’obiettivo era quello di coglierne, forse, identità, analogie, difformità, vicende storiche, operando poi ordinamenti e descrizioni uniformi su materiali del tutto analoghi. Affascinava, in effetti, la possibilità
di compiere un esperimento raramente effettuabile in condizioni di lavoro ordinario: non affrontare, cioè, fondi diversi nello stesso Archivio, ma lo stesso fondo
in Archivi diversi. Tentare - se possibile - nel microcosmo degli atti di leva presenti negli Archivi di Stato una sorta di esame comparativo tra le carte e le loro
vicende a partire da un panorama istituzionale degli enti produttori (gli Uffici di
leva, appunto) e della legislazione rigidamente uniforme. In altre parole, interessava verificare nell’orizzonte regionale se quanto osservato, ipotizzato e operato a Firenze mantenesse una validità pur articolandosi in varianti locali
diverse2. Seguirò qui il filo cronologico degli interventi.
1
C. LAMIONI, La documentazione dell’Ufficio di leva di Firenze, classi di nascita 1842-1939, in
«Rassegna degli Archivi di Stato», n. s., III (2007), pp. 253-300.
2
Un approccio critico complessivo sulla scorta dell’esperienza maturata a Firenze con particolare
riferimento ai problemi della trasmissione archivistica, avevo già proposto in C. LAMIONI, La documentazione sulle leve e gli Archivi di Stato. Trasmissione archivistica e ricerca, in SOCIETà ITALIANA
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Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
UFFICI DI LEVA. VERSAMENTI, CONSISTENZE
111
Archivio di Stato di Pistoia. – Per prima (marzo-aprile 2008) venne affrontata
la documentazione conservata all’Archivio di Stato di Pistoia: la realtà più piccola
nel panorama toscano (534 unità)3, ma che rappresenta bene il concentrato delle
criticità trasmissive che - simmetricamente - si erano osservate a Firenze. Tipico
quel carattere che abbiamo definito di «carsismo» della documentazione di leva
che sembra affiorare e scomparire senza ragioni intuibili ora qua ora là in Archivi
di Stato diversi. Esso è conseguenza della intersezione - per così dire - delle linee
evolutive delle diverse istituzioni che a Pistoia, come altrove, esercitarono le loro
funzioni nel territorio di competenza. Il circondario di Pistoia dal 1865 faceva parte
della provincia di Firenze; il circondario fu poi elevato, nel 1927, a dignità di provincia: quindi il locale Ufficio di leva soppresso nel 1923 come ufficio circondariale
e rifuso con quello provinciale di Firenze, riprese a lavorare autonomamente anche
se su un territorio leggermente allargato (Valdinievole, 1928). La città, invece, non
ebbe subito un Archivio di Stato; previsto dalla l. 2006/1939, esso di fatto divenne
operante dopo la fine della guerra. I primi versamenti fino al 1927 dunque vennero
effettuati all’Archivio di Stato di Firenze (classi 1842-1887). Nel 1930 poi, in esecuzione della legge 1144/1929 che estendeva fino al 55° anno di età la passività al
servizio militare obbligatorio, anche l’Ufficio di leva di Pistoia chiese all’Archivio
di Stato di Firenze la restituzione della documentazione già versata relativa alle
classi 1880-1889. L’operazione portò al regresso presso l’Ufficio di leva di Pistoia
delle Liste, delle Estrazioni e dei Registri sommari afferenti le classi 1880-18874.
Analogamente si operò anche nei confronti dell’Archivio di Stato di Lucca per gli
atti di leva di quelle classi relativi ai comuni della Valdinievole da appena due anni
passati alla provincia di Pistoia5. Finalmente, nel secondo dopoguerra, quando le
cose sembravano avviate alla normalità (versamenti 1953-1961, classi 1880-1914
col recupero anche delle «regressioni» ex fiorentine ed ex lucchesi), intervenne
prima la legge «archivistica» 1409/1963 che fissava al settantennio la giacenza
degli atti di leva presso gli uffici prima del versamento e, infine, l’abolizione (1964)
dell’Ufficio di leva di Pistoia. Così nel 1961 si arrestarono i versamenti e ripresero
nel 1989, ma su Firenze dove, dal 1964, si era spostato l’Ufficio il quale poi, dal
DI DEMOGRAFIA STORICA,
Statura, salute e migrazione: le leve militari italiane, a cura di C.A. CORSINI,
Udine, Forum, 2008, pp. 227-237.
3
qui come in seguito si dà la consistenza complessiva dopo il lavoro di ordinamento e di descrizione. L’ammontare è sempre superiore, talvolta anche di molto, a quanto noto in precedenza per la diversa definizione delle unità dopo l’ordinamento.
ASFi, Archivio, b. 451, fasc. 174. Le unità erano addirittura già numerate e inserite nell’Inventario redatto dal Sapori nel 1925 presso l’Archivio di Stato di Firenze: nn. 458-512, 1-22, 1-11 (Liste
di leva); nn. 558-566, 23-28, 12-13 (Liste di estrazione); nn. 608-612, 29-30, 14 (Registri sommari);
La discontinuità delle vecchie numerazioni, pur nella stessa serie, dipende dalla scarsa perspicuità del
De Rubertis nel proseguire, in Appendice, l’inventario del Sapori. ASFi, Inventari, 634 bis.
4
5
ASLu, Archivio, prot. 251 e 289, b. 115: 1930, tit. Ix. Liste di leva dei comuni di Buggiano,
Massa e Cozzile, Monsummano, Montecatini Valdinievole, Pescia, Ponte Buggianese, Uzzano, Vellano;
Liste di estrazione dei mandamenti di Buggiano, Monsummano, Pescia.
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112
Claudio Lamioni
1992, sarebbe stato ormai competente su tutta la regione. Il deposito documentario
conservato all’Archivio di Stato di Pistoia si riduce così a ben poca cosa e ad un
arco cronologico ristretto (classi 1880-1914). Le tabelle riportate in Appendice I
evidenziano bene il «carsismo» della documentazione di leva del circondario di
Pistoia: a Firenze le classi 1842-1879, a Pistoia le classi 1880-1914, di nuovo a Firenze le classi a seguire.
A Pistoia troviamo anche un piccolo nucleo di documentazione prodotta in
esecuzione della disciplina preunitaria sul reclutamento: la legge granducale 18
febbraio 1853 ed il r.d. 18 gennaio 1860, n. 26, promulgato dal Governo provvisorio
toscano. La cosa non stupisce e la osserviamo in qualche altro Archivio di Stato: i
neocostituiti Uffici di leva unitari di impianto piemontese ereditarono, localmente,
gli archivi delle precedenti amministrazioni. Spesso, specie se i materiali sono esigui, restano nello stesso fondo, quasi a formarne l’apertura, anche se strutturalmente
ben diversi. Del tutto eccezionale invece la modalità di arrivo a Pistoia: furono trasferiti nel 1961 dall’Archivio di Stato di Lucca ad iniziativa del direttore Domenico
Corsi; si trattava delle Liste dei comuni della Val di Nievole delle classi più antiche
(comprese dunque anche le ultime preunitarie) non coinvolte nei trasferimenti tra
uffici e nelle restituzioni, appena ricordate, del 1930 e quindi, in qualche modo, rimaste decontestualizzate, nell’Archivio di Lucca6.
Importante invece a Pistoia la presenza delle speciali liste formate durante la
Grande guerra per la revisione dei riformati (classi 1874-1899), purtroppo non conservate in tutti gli Archivi di Stato.
Se ci siamo un poco diffusi sulla piccola realtà di Pistoia è perché essa esemplifica bene, quasi in un paradigma, realtà archivistiche che ritroviamo negli altri
Archivi della Toscana.
Archivio di Stato di Grosseto. – Con poche sedute nel giugno e nel settembre
2008 e infine nel luglio 2012, venne ordinato e descritto il fondo delle leve conservato all’Archivio di Stato di Grosseto. Al contrario della realtà pistoiese, la sostanziale stabilità dell’assetto territoriale nel lungo periodo è certamente alla base
della semplice e ordinata sedimentazione della documentazione; questa, comunque,
non esclude alcune gravi lacune. In ossequio alla circolare del Ministero della
guerra 132/1928, gli atti della leva restarono conservati presso l’Ufficio fino all’attivazione dell’Archivio di Stato di Grosseto che, per quanto previsto anch’esso
dalla l. 2006/1939, venne istituito solo il 22 febbraio 19587. I versamenti effettuati
6
ASLu, Archivio, b. 154: 1961, tit. VII, prott. vari da 226 a 519, lettera di Domenico Corsi, direttore, al Ministero dell’interno, 25 feb. 1961: «materiale archivistico di cui all’allegato, non inventariato ed accodato alla Prefettura di Lucca in epoca imprecisata, il quale interessa la Sezione di Archivio
di Stato di Pistoia»; il Ministero consentiva il trasferimento degli atti della leva, ma non altro (liste elettorali e bilanci comunali forse proposti con altra richiesta) relativo a quegli stessi comuni in quanto
parte integrante dell’archivio della Prefettura di Lucca.
7
La circolare 132/1928 del Ministero della guerra prescriveva che gli atti di leva a conservazione
perenne rimanessero a tempo indeterminato presso gli Uffici di leva che li avevano prodotti fino a che
non fossero stati attivati i rispettivi Archivi di Stato nelle stesse provincie. La Sezione di Archivio di
Stato di Grosseto venne istituita con decreto del Ministero dell’interno 22 feb. 1958, n. 1124, cfr. V.
PETRONI, Guida dell’Archivio di Stato di Grosseto, Siena, Cantagalli, 1971.
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Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
113
tra il 1959 ed il 1991 coprono le classi 1842-1920, ma mancano completamente le
Liste di leva delle classi 1857, 1858, 1868, 1871, 1873, 1875, 1887-1890 e risultano
gravemente penalizzate quelle delle classi 1872, 1880, 1886; mancano anche le
Liste di estrazione delle classi 1842-1862, 1864, 1866, 1868-1873, 1878, 1887,
1891; i Registri sommari delle classi 1842-1865, 1871-1885. Dai riscontri effettuati
al proposito si ritiene che i materiali mancanti non siano mai giunti in Archivio8.
La consistenza totale ammonta a 467 unità, comprese le Liste speciali per la revisione dei riformati.
Archivio di Stato di Pisa. – Ben più complesse e soprattutto più impegnative
per dimensione le realtà archivistiche di Pisa e di Siena. All’Archivio di Stato di
Pisa la consistenza dell’archivio dell’Ufficio di leva ammonta a 1.882 unità che
furono prese in esame tra il maggio e il dicembre 2008. La provincia di Pisa, ricalcando sostanzialmente l’ordinamento territoriale preunitario, fin dall’Unità era suddivisa nei due circondari di Pisa e di Volterra; sulle loro circoscrizioni avevano
dunque giurisdizione due diversi Uffici di leva. Il r.d 1309/1923 – com’è noto –
soppresse gli Uffici di leva cosiddetti «circondariali» unificandoli in un Ufficio
unico competente per l’intera provincia; anche i materiali archivistici vennero ovviamente trasferiti9 e, in gran parte, rifusi. Sembrerebbe che la documentazione riguardante le classi più antiche, fino a quella 1850 compresa, serbasse la distinzione
degli originari circondari di Pisa (versamento 1889) e di Volterra (prima parte del
versamento del maggio 1933). Su questa situazione forse ancora fluida, intervenne
il r.d. 2011/1925 che, al fine di dare maggiore consistenza alla Provincia di Livorno,
le aggregò alcuni Comuni distaccandoli dalla Provincia di Pisa; essi appartenevano
tanto al circondario di Pisa (Collesalvetti e Rosignano Marittimo) quanto a quello
di Volterra (Bibbona, Campiglia, Castagneto, Cecina, Piombino, Sassetta e Suvereto). In compenso con lo stesso decreto vennero aggregati a Pisa alcuni comuni
staccandoli dalla Provincia di Firenze (San Miniato, Castelfranco di sotto, Montopoli Valdarno, Santa Croce sull’Arno, Santa Maria a Monte) e già facenti parte del
circondario di San Miniato. Non è difficile immaginare quali pesanti ripercussioni
sul deposito archivistico dell’Ufficio di Pisa abbia portato tale riassetto territoriale,
tenendo anche conto (regressivamente) dei tempi di passività al servizio militare
che formalmente mantenevano vive le carte. Le Liste relative ai Comuni che passarono alla provincia di Livorno cessarono di figurare nell’archivio dell’Ufficio di
leva di Pisa fin dalla classe 1892 e da questa invece figurano in quello di Livorno;
8
Già alle prime prese di contatto col neocostituito Archivio di Stato (5 dicembre 1958), il Commissario di leva ricordava che «quest’Ufficio è stato distrutto per la quasi totalità per gli eventi dell’ultima guerra ed è stato ricostruito nel 1946»; questo potrebbe spiegare le molte lacune che penalizzano
la documentazione. Anche il direttore Vittorio Petroni parla in generale dei disastrosi effetti della guerra
e delle due inondazioni che colpirono la città nel 1944 e nel 1966 sugli archivi ancora conservati presso
gli uffici produttori; viceversa lo stesso Petroni ricordando l’alluvione del 1966, non fa menzione di
danni subiti dall’Archivio di Stato (ASGr, Archivio, b. «1958-1962, IV-VII» e b. «Relazioni annuali...»,
Relazione per il 1966. Le buste sono citate riportando le indicazioni presenti sulla costola, in quanto la
serie Archivio non è ordinata e le buste non sono numerate).
Circolare del Ministero della guerra, 30 agosto 1923, n. 519, in «Giornale militare ufficiale»,
1923, n. 39, pp. 1192-1194.
9
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114
Claudio Lamioni
quelle relative ai Comuni che provenivano dalla provincia di Firenze figurano in
archivio a partire dalla classe 1887. I versamenti iniziarono - si è detto - nel 1889,
ma proseguirono, regolarizzandosi, dal 1933 (ad assetti istituzionali e territoriali
ormai consolidati) al 1994 abbracciando le classi 1842-1923. Il riordinamento, con
la ricostruzione delle serie, ha reso ben evidenti le lacune che penalizzano il fondo.
Dal riscontro degli atti di versamento si ritiene che i materiali mancanti non siano
mai pervenuti in Archivio. Nel dettaglio, si segnalano per l’Ufficio di Volterra, le
Liste di leva delle classi 1860-1862, le Liste di estrazione della classe 1891, i Registri sommari per le classi 1887-1891; per l’Ufficio di Pisa, la Liste di estrazione
della classe 1891, i Registri sommari per le classi 1856-1857 e 1887-1891.
Archivio di Stato di Siena. – L’archivio dell’Ufficio di leva di Siena, conservato in quell’Archivio di Stato, detiene, dopo Firenze, il primato della consistenza:
2.811 unità, con le classi di leva dal 1842 al 1920. Il fondo venne sottoposto a revisione tra il settembre 2008 e l’aprile 2009. Come a Pisa, anche a Siena, la provincia era ripartita nei due circondari di Siena e di Montepulciano ma il territorio
provinciale e quelli dei due circondari non subirono, nel tempo, variazioni: i comuni
non subirono passaggi di provincia né di circondario. questa stabilità strutturale
di lungo periodo ha fatto sì che anche la sedimentazione archivistica dei due Uffici
non subisse perturbazioni. La Sottoprefettura di Montepulciano fu la prima a versare le carte di quell’Ufficio di leva il 9 novembre 188910; seguì il 10 settembre
1890 la Prefettura di Siena per l’Ufficio di Siena11 e così di pari passo, quasi in parallelo, i due Uffici continuarono ordinatamente a versare fino al 1924. A quella
data risultavano versati gli atti di leva delle classi 1842-1884 di Montepulciano e
delle classi 1842-1893 di Siena. Il primo atto dell’Ufficio unificato dopo la riforma
del 1923, fu la richiesta all’Archivio di Stato di Siena di restituire la documentazione afferente le classi 1880-1893 di Siena e 1880-1884 di Montepulciano che
aveva riacquisito valore operativo a seguito della l. 1144/1929 gia evocata12. I materiali tornarono poi definitivamente all’Archivio nei versamenti 1940 e 194713
riavviandosi i versamenti interrotti nel 1924. La pacifica prassi di versamenti regolari seguita nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento sembrò rivivere fino
al 1963 quando, versata la classe 1917, in ossequio alla legge archivistica
1049/1963 che introduceva la norma del settantennio di giacenza, già detta, si attese
fino al 1990 per poter versare le classi 1918 e 1919. Le Liste della classe 1920 furono le ultime ad arrivare, il 29 gennaio 1991, quando l’Ufficio era ormai in predicato di soppressione. Una volta riordinato il fondo, si sono evidenziate le poche
ma consistenti lacune: mancano del tutto i Registri sommari del circondario di
Montepulciano delle classi 1866-1890 e le speciali Liste formate per la revisione
dei riformati durante la Prima guerra mondiale dello stesso circondario; control10
11
12
ASSi, Archivio, Affari, b. 37, fasc. 32.
Ibid., b. 38, fasc. 32.
Ibid., b. 78, fasc. 13.
Ibid., b. 84, fasc. 13; b. 91, fasc. 20, ma l’allegato al verbale 1947 col dettaglio dei materiali
versati è, in fotocopia, nell’Inventario 125 in Sala di studio.
13
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Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
115
lando i verbali, per altro, tale documentazione non risulta mai versata. Tali speciali
Liste sono invece presenti per il circondario di Siena.
Archivio di Stato di Arezzo. – L’Ufficio di leva di Arezzo esercitò, dalle origini,
la propria giurisdizione sull’intera provincia, formata da un solo circondario. Il territorio provinciale non subì, nel tempo, apprezzabili mutamenti e anche in questo
caso la sostanziale stabilità di lungo periodo è alla base della semplice e ordinata
sedimentazione della documentazione, che pur non esclude qualche lacuna. Si ripete
anche ad Arezzo il paradigma già osservato altrove: gli atti della leva restarono conservati presso l’Ufficio fino all’attivazione dell’Archivio di Stato che, previsto dalla
l. 2006/1939, venne istituito, come Sezione, il 7 giugno 1941; divenne poi Archivio
di Stato col d.p.r. 1409/1963. I versamenti presero avvio solo nel 1954 esaurendosi
poi con altri tre episodi nel 195914 e nel 1961; gli atti abbracciano le classi di nascita
1841-1920. Tra le singolarità si segnala una filza (giunta col versamento del 1959)
relativa all’arruolamento della classe 1841 effettuata secondo il r.d. 26/1860 del Governo provvisorio toscano ed una serie di Protocolli della corrispondenza per gli
anni 1901-1949, ordinariamente oggetto di scarto da parte dell’Ufficio15. In totale
la consistenza del fondo (rivisto tra il maggio e il luglio 2009) ammonta a 1.537
unità, ma al di là di qualche occasionale lacuna, si lamenta soprattutto la mancanza
dei Registri sommari relativi alle classi 1842-1882 e le speciali Liste per la revisione
dei riformati compilate durante la Prima guerra mondiale.
Archivio di Stato di Massa Carrara. – Ben altro impegno richiese il fondo
delle leve all’Archivio di Stato di Massa Carrara: 1.418 unità esaminate tra il novembre 2009 e il dicembre 2010. L’Italia liberale strutturò la provincia di Massa
Carrara nei tre circondari di Massa, Pontremoli e Castelnuovo di Garfagnana in
vista anche di dare una qualche unità a componenti territoriali di diversa provenienza e di tormentate vicende storiche. Seguendo l’ultima sistemazione territoriale
immediatamente preunitaria, infatti, Pontremoli e l’alta Lunigiana provenivano dal
Ducato di Parma; l’alta Garfagnana, Albiano, Calice, Fivizzano, Massa e Terrarossa
dal Ducato di Modena; il resto della Garfagnana, già lucchese, con Barga e Pietrasanta, da sempre fiorentine, dal Granducato di Toscana16. Le diverse ascendenze
storiche del territorio spiegano almeno due particolarità delle carte sul reclutamento
14
Il versamento era stato sollecitato all’Ufficio fin dal gennaio 1957, ma venne rinviato fino al 1959
per la lunga e, in parte, contrastata, vicenda dell’acquisizione e della sistemazione del Palazzo Albergotti
(allora detto Camaiani) che vide impegnati Sandro De Colli e Arnaldo D’Addario succedutisi alla direzione
in quel torno di anni (1952-1957 e 1957-1961). ASAR, Archivio, «Acquisizione Palazzo Camaiani».
15
Giunsero col versamento del 1959. Sono di utilizzazione praticamente nulla mancando del tutto
la documentazione cui si riferiscono. Resta – banalmente – il loro valore di testimonianza su aspetti
dell’agire dell’Ufficio.
16
Si ricorderà che tale ultima sistemazione venne fissata dal trattato di Firenze del 28 novembre
1844 tra il Granducato di Toscana e i Ducati di Modena, Lucca e Parma, reso esecutivo nel gennaio
1848. questo assetto territoriale si sarebbe conservato fino ai rivolgimenti unitari del 1859. Per un’immediata percezione grafica si veda: La Toscana dal Granducato alla Regione. Atlante delle variazioni
amministrative territoriali dal 1790 al 1990, Firenze, Giunta regionale Toscana-Marsilio, 1992, pp. 2425, 32, portanti le carte geografiche nn. 3-4, 6.
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conservate nell’Archivio di Stato di Massa. In primo luogo, troviamo la presenza
di vari nuclei di documentazione relativi alla disciplina del reclutamento vigente
negli ordinamenti preunitari di Modena e di Parma17. In secondo luogo osserviamo
che il sedimento documentario degli Uffici di leva di Massa e di Pontremoli (e
anche di Castelnuovo di Garfagnana dal 1923 tornato lucchese) prende avvio dalla
classe 1840, mentre nel resto della Toscana la classe 1842 sarebbe stata la prima
chiamata con la legge 696/1862 che chiamò alle armi tutti i maschi italiani. Al di
là della vicenda risorgimentale delle annessioni al Piemonte di questi territori, (18
maggio 1860), praticamente contemporanee a quella dell’ex Granducato di Toscana
(22 marzo 1860) furono le effettive contingenze applicative della legge piemontese
sul reclutamento n. 1676/1854 che colsero la classe di nascita 184018. Lo schema
circoscrizionale si sarebbe sostanzialmente mantenuto ininterrottamente fino al
1923 quando la provincia di Massa perse, dal proprio circondario, i comuni di Calice al Cornoviglio e Rocchetta di Vara aggregati alla provincia di La Spezia (r.d.
1913/1923) e poi vide il distacco dell’intera Garfagnana a vantaggio della provincia
di Lucca (r.d. 2490/1923). La riforma degli Uffici di leva e quella delle circoscrizioni provinciali, ambedue intervenute nel 1923, e poi quella della l. 1144/1929
sull’allungamento dell’età passiva di servizio apparentemente non portarono particolari turbative nella trasmissione del sedimento archivistico perché tutte avvenute
a monte - per così dire - dei versamenti. Si può, con buona probabilità, affermare
che, concentrati gli Uffici già circondariali nell’unico sedente a Massa, questo abbia
senz’altro ereditato il patrimonio archivistico di quello soppresso di Pontremoli.
Data poi la quasi concomitanza della riforma territoriale e di quella degli Uffici di
leva, si ritiene che l’archivio dell’ex Ufficio di Castelnuovo di Garfagnana sia pas17
Se ne fa qui un accenno in riferimento all’ultimo decennio precedente l’Unità d’Italia. Il Ducato
estense di Modena fissò la disciplina del reclutamento obbligatorio col decreto 5 aprile 1849, n. 10
(Collezione generale delle leggi, costituzioni, editti ecc. per gli Stati estensi, xxVIII-xxIx, Modena,
Eredi Soliani, 1849-1850, passim); questa normativa è alla base di due nuclei documentari: Archivio
della Garfagnana, serie xII (38 unità), Inventario a cura di B. Pennucci e «Atti di leva» del Principato
di Massa (52 unità non inventariate). Il Ducato di Parma giunse all’Unità col regolamento sul reclutamento approvato con decreto 17 agosto 1851, n. 285 (Raccolta generale delle leggi pei Ducati di Parma,
Piacenza e Stati annessi, Parma, Tipografia reale, 1851); questa normativa è alla base di un piccolo nucleo documentario (32 registri) relativo al reclutamento del solo territorio di Pontremoli che è stato descritto a parte: ARChIVIO DI STATO DI MASSA, Ducati di Parma, Piacenza e Stati annessi, Territorio di
Pontremoli, Consiglio di reclutamento della Lunigiana parmense, classi di nascita 1828-1839, Inventario sommario, a cura di CLAUDIO LAMIONI, 2010 consultabile in linea <www.icar.beniculturali.it/inventari/ASMS/Consiglio_di_reclutamento_della_Lunigiana_parmense.pdf>.
18
La l. piemontese 30 giugno 1860, n. 4140, estese genericamente la l. organica sul reclutamento
1676/1854 «per le leve avvenire nelle nuove provincie dello Stato» (art. 2), ma la disciplina del reclutamento vigente «negli ex Ducati di Parma, Modena e nella Toscana, rimangono aboliti appena siano ultimate le operazioni di leva attualmente in corso» (art. 4); conformemente, la stessa l. 4140/1860 bandì
la leva sulla classe 1840 «in tutte le provincie dello Stato nelle quali non fosse per anco fatta» (art. 2).
Finalmente il r.d. 26 set 1860, n. 4325, ordinava la pubblicazione, cioè estendeva ufficialmente la vigenza
delle leggi e regolamenti subalpini sul reclutamento «nelle nuove provincie dello Stato» (art. 1). Infine
in applicazione della l. 4140/1860 e a conferma di quanto fin qui esposto, il r.d. 12 dic. 1860, n. 4479,
portava la ripartizione numerica del contingente di uomini, classe 1840, da fornire da parte di ciascun
circondario: nell’apposita tabella troviamo, tra gli altri, i circondari di Castelnuovo di Garfagnana, di
Massa e di Pontremoli, ma non gli altri della Toscana, Raccolta degli atti del governo di Sua Maestà il
Re di Sardegna, xxIx, Torino, Stamperia reale, 1860, pp. 849-850, 851-852, 1751-1752, 3426-3431.
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Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
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sato direttamente all’Ufficio di leva di Lucca, senza transitare da quello di Massa.
Istituito l’Archivio di Stato nel 1887 ed ospitato nel Palazzo ducale in ambienti
lasciati liberi o non utilizzati da altri uffici, esso si trovò in consegna – pare su base
meramente verbale – documentazione ivi lasciata dalla locale Prefettura; tra essa
anche i materiali più antichi e meno utili prodotti dall’Ufficio di leva. quando, due
anni dopo, intervenne la circolare del Ministero della guerra n. 40250/1889 che
avviò i versamenti delle carte della leva negli Archivi di Stato allora esistenti19, essa
ebbe, a Massa, la paradossale conseguenza di vedere il regresso all’Ufficio di leva
della documentazione già di fatto consegnata, ma eccedente la classe 1851. Non si
sarebbe più parlato di versamenti fino al 1932, quando l’assetto dell’Ufficio di leva
e quello territoriale potevano dirsi ormai stabilizzati. I versamenti proseguirono,
senza seguire una particolare sistematicità, fino al 1994, con la classe 1923. Alla
fine, dunque, le diverse variazioni nel panorama istituzionale non hanno provocato,
a Massa, quelle conseguenze traumatiche sulla documentazione che si sono viste in
altri contesti. Una volta riordinato e descritto, il fondo ha rivelato comunque qualche
grave lacuna: mancano quasi completamente le Liste delle classi 1855-1859; i Registri sommari delle classi 1876 e 1878-1891 per il circondario di Pontremoli e delle
classi 1849 e 1878 per il circondario di Massa; non sono state neppure versate le
speciali Liste per la revisione dei riformati durante la Grande guerra.
Archivio di Stato di Lucca. – L’ultima fatica è stata l’Ufficio di leva nell’Archivio di Stato di Lucca: 1.228 unità riordinate e descritte tra il gennaio 2011 e il
marzo 2012, dopo una prima ricognizione effettuata tra l’aprile e il maggio 2008.
Il territorio del precedente Ducato di Lucca nel 1848 venne inserito nel Granducato
di Toscana, se pure - come si è appena richiamato - diminuito della Garfagnana; il
nuovo Regno lo incluse nel reticolo provinciale estendendone la circoscrizione con
l’aggregazione dei comuni della Valdinievole sottratti al circondario (granducale)
di Pistoia. La provincia, comunque, non era suddivisa in circondari; sull’intero territorio si esercitava dunque la giurisdizione dell’unico Ufficio di leva sedente in
Lucca. Eccezionalmente le fonti ci consentono oggi di vedere, in quegli anni, un
ben organizzato archivio dell’Ufficio: la documentazione si presentava nettamente
distinta in serie tipologiche e cronologiche che si accrescevano nel tempo20. Ad un
nucleo iniziale di liste e documenti relativi alle leve preunitarie degli anni 18531860 (classi 1833-1841) prodotte in base alla legge granducale del 1853 e del Go19
Per il testo della circolare: C. LAMIONI, La documentazione sulle leve e gli Archivi di Stato.
Trasmissione archivistica... cit., pp. 236-237.
20
ASLu, Ufficio di leva, b. 794, fasc. 24; b. 804, fasc. 20; b. 809, fasc. 20: «Inventario delle carte
ed oggetti esistenti in ufficio al 30 giugno 1865. Riveduto e completato a tutto il giorno 17 settembre
1870»; sono disponibili anche altri due inventari aggiornati al 25 ott. 1877 e al 26 lug. 1879; si tratta di
inventari compilati a seguito di passaggi di consegne o di ispezioni fatte dal prefetto di Lucca, come,
peraltro, previsto dai regolamenti (C. LAMIONI, La documentazione dell’Ufficio di leva di Firenze…
cit., pp. 268-269). C’è da dire che a Lucca, per fortuna e in deroga alle normative interne, venne conservata e poi versata (1° set. 1899 e 9 nov. 1900, ASLu, Archivio, Affari, b. 73, n. 344 e b. 75, n. 453)
documentazione di carattere burocratico relativa agli anni 1872-1881, ora nell’Inventario redatto da chi
scrive, ai nn. 755-816.
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verno provvisorio del 1860, seguivano le Liste di leva dei comuni a iniziare dalla
classe 1842, poi quelle di estrazione, i Registri sommari delle decisioni del Consiglio, i materiali sulla leva corrente, le buste del carteggio e quelle dei titoli ed
istanze presentate dai coscritti per far valere qualche diritto. Altre serie riguardavano i renitenti, i chierici temporaneamente esentati, quadri, tabelle e statistiche,
«capilista» e «rivedibili», registri delle surrogazioni, registri delle assistenze mediche al Consiglio, registri di protocollo del carteggio. L’Ufficio completava, infine,
la propria dotazione con raccolte legislative e di circolari e con strumentario burocratico e tecnico. Il 1° luglio 1894 venne effettuato il primo versamento: il verbale,
che porta la controfirma di Salvatore Bongi, elenca le Liste di leva e di estrazione
dei comuni della provincia relative alle classi 1842-1851 ed i relativi Registri sommari. Con essi giunse anche la documentazione sul reclutamento del periodo preunitario granducale e del governo provvisorio, che copre le classi 1832-1841. Da
allora i versamenti di tali atti all’Archivio di Lucca assunsero il carattere di una ordinaria routine dotata anche di una certa regolarità; giungevano gli atti relativi alle
classi che avevano ormai superato i limiti di passività al servizio. Il versamento
del 1921, alla vigilia della riforma dell’Ufficio e delle circoscrizioni provinciali
(1923), portò la documentazione alla classe 1881; i successivi episodi, dal 1921 al
1927, vennero vanificati dalle diverse regressioni agli Uffici più sopra ricordate,
talché si può affermare che il patrimonio in Archivio restò quello versato fino al
1921. Riuniti i materiali provenienti dall’ex Ufficio di Castelnuovo, nel 1931 vennero versati in blocco dalla classe 1840, ma fino alla classe 1873 in riguardo alla
l. 1144/1929 sull’allungamento dell’età passiva di servizio. Finalmente nel secondo
dopoguerra, il massiccio versamento del 1948 vide anche la «restituzione» di
quanto regredito nel 1929, ma con pesanti lacune. Successivamente si ricorderà
appena il trasferimento dei materiali della Valdinievole all’Archivio di Stato di Pistoia voluto dall’«ipercorrettismo» del direttore Corsi nel 1961 e la pausa tra il
1963 ed il 1990 in applicazione della nuova disciplina voluta dalla legge archivistica 1409/1963. Tra il 1990 ed il 1994 l’Ufficio di Pisa, ormai competente per territorio, porterà il patrimonio delle leve di Lucca conservato in Archivio alla classe
1923. Pesantissime lacune, purtroppo, affliggono il fondo: classi 1874-1890 della
Garfagnana (estrazioni dalla classe 1880) e classi 1880-1890 della Lucchesia. Non
si hanno testimonianze che spieghino il problema; non sembra comunque un caso
che la documentazione garfagnina non sia mai stata versata e che quella lucchese
riguardi classi incluse nelle regressioni del 1929. Non sono presenti neppure le speciali liste formate tra il 1915 ed il 1917 per la revisione dei riformati.
Archivio di Stato di Livorno. – A completare il quadro manca la documentazione relativa alla provincia di Livorno. Al presente è impossibile accedervi; essa,
dal 25 giugno 2004, è conservata fuori sede a cura di una impresa di outsourcing
presso Perugia21. Nonostante questo, si può, comunque, tentare di disegnare il qua-
21
Assieme ai materiali che qui interessano, il dirigente dell’epoca trasferì in buona sostanza l’intero patrimonio documentario postunitario, conservato fino ad allora in un deposito sussidiario ritenuto
privo della necessaria sicurezza antincendio.
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dro delle realtà istituzionali fruendo - con estrema cautela - di qualche strumento
disponibile. Ricalcando, anche qui, la recente sistemazione preunitaria (1848), la
provincia di Livorno era formata dai circondari di Livorno, il cui territorio rimaneva
limitato alla città, porto e un ristretto suburbio e da quello di Portoferraio che si
estendeva su tutta l’Isola d’Elba; l’isola poi, agli effetti giudiziari22, ma anche a
quelli relativi ai meccanismi del reclutamento, era suddivisa nei due mandamenti
di Portoferraio e Marciana Marina. Tutto restò immutato fino alla riforma del 1923
che, nello specifico, abolì l’Ufficio di leva di Portoferraio ed estese la giurisdizione
di quello di Livorno all’intera provincia. Come si è già anticipato a proposito di
Pisa, il r.d. 2011/1925 riordinò il territorio della provincia ampliandola col trapasso
di alcuni comuni dalla provincia di Pisa già appartenuti ai circondari di Pisa (Collesalvetti e Rosignano Marittimo) e di Volterra (Bibbona, Campiglia, Castagneto,
Cecina, Piombino, Sassetta e Suvereto) e dell’Isola di Capraia, fino ad allora appartenuta alla provincia di Genova. Si ritiene che la stretta contiguità temporale
dei due interventi legislativi abbia portato ad una complessiva riorganizzazione
dell’Ufficio e del suo archivio, ma non abbiamo su questo alcuna testimonianza.
Come anche nulla sappiamo di eventuali regressi della documentazione in esecuzione della l. 1144/1929 sull’età passiva di servizio. Dall’Inventario dell’Ufficio
leva di Livorno di Bruno Casini (1959, n. 46 in Sala di studio) e dalla Introduzione
di Prunai e Merli alla Guida-Inventario (1961)23, apprendiamo comunque che un
primo versamento degli atti di leva (insieme a molti altri pre e postunitari di natura
militare e anche di origine comunale) venne effettuato nel 1924 portando in Archivio documentazione delle classi 1842-1884 di ambedue i circondari. Il secondo
versamento, nel 1956, portò, dalla classe 1887 alla 1909, le Liste di leva di tutti i
comuni della nuova provincia di Livorno, comprese cioè anche quelle provenienti
dalla provincia di Pisa e prodotte a suo tempo dagli Uffici di leva dei circondari di
Pisa (Collesalvetti e Rosignano Marittimo) e di Volterra (Bibbona, Campiglia, Castagneto, Cecina, Piombino, Sassetta e Suvereto). Nello stesso versamento sono
comprese le Liste di estrazione (mandamenti di Campiglia e di Piombino24, ma non
quelli di Cecina25 e di Rosignano26) per quanto in misura molto modesta perché
prodotte fino alla classe 1891 (riforma del 1911); non figurano invece i Registri
sommari delle decisioni del Consiglio di leva di Pisa e di Volterra delle classi 18871891, i quali sembrerebbe più logico trovarli all’Archivio di Stato di Pisa, ma risultano mancanti anche lì. I versamenti proseguirono nel 1960 e nel 1963 portando
22
Forse non è disutile, a questo punto, ricordare anche che Portoferraio era sede di un Tribunale
civile e penale la cui giurisdizione si identificava col circondario dell’Isola d’Elba e che faceva parte,
con quelli di Lucca, Pisa, Volterra e Livorno, del Distretto di Corte d’appello di Lucca, fino alla riforma
dell’ordinamento giudiziario del 1923.
23
C. PRUNAI - G. F. MERLI, Introduzione in ARChIVIO DI STATO DI LIVORNO, Guida-inventario
dell’Archivio di Stato, I, Roma 1961 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, xxxIx), p. xxIV.
24
Il mandamento di Piombino si estendeva al solo comune di Piombino, mentre il mandamento
di Campiglia a quelli di Campiglia, Sassetta, Suvereto e Monteverdi, quest’ultimo peraltro rimasto in
provincia di Pisa anche dopo la sistemazione del 1925.
25
26
I comuni di Bibbona, Castagneto e Cecina passarono nel 1925 alla provincia di Livorno.
Il solo comune di Rosignano passò alla provincia di Livorno.
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le Liste fino alla classe 1918; esse sono aggiunte al termine dello stesso Inventario
del Casini con numerazione di corda in continuità. Dopo lo stacco provocato dal
d.p.r. 1409/1963 sulla giacenza settantennale, con i versamenti degli anni 19901994 la documentazione giunge a comprendere la classe 192327. Un ulteriore elemento di criticità delle carte livornesi - ma al tempo stesso di provocazione potrebbe essere insito nella stessa genesi dell’Archivio di Stato di Livorno, nato
come archivio civico. In esso si conservano materiali afferenti la sfera militare tanto
nei fondi di natura comunale quanto in quelli di natura statuale e dei periodi pre e
postunitari degli uni e degli altri.
Da una lista dei fondi dissennatamente trasferiti a Perugia, ultimo fantasma
della documentazione contemporanea in possesso degli sconsolati colleghi livornesi, la consistenza complessiva dell’archivio dell’Ufficio di leva risulta ammontare
a 1.289 unità per uno sviluppo lineare di m. 57. Purtroppo, al momento presente,
qui si deve arrestare ogni osservazione ed ogni operatività sui materiali livornesi.
A conclusione della panoramica tracciata sulla documentazione di leva presente negli Archivi di Stato della Toscana, due dati temporali emergono immediatamente dall’osservazione degli episodi di versamento agli Archivi: essi presero
avvio, più o meno immediatamente, dopo la circolare del Ministero della guerra n.
40250 del 24 giugno 1889, là ove fosse presente un Archivio di Stato competente
per territorio28. L’altro momento di pressione che l’amministrazione militare esercitò in ordine alla cessione delle proprie carte della leva fu dopo la riforma degli
Uffici nel 1923. La circolare del Ministero della guerra 20 luglio 1923 disponeva
che, per effetto della soppressione, gli uffici circondariali in predicato versassero
all’Archivio di Stato competente la documentazione a conservazione perenne delle
classi ormai prosciolte29. Si può affermare che a orientare verso lo sfoltimento degli
archivi presso gli Uffici siano state diverse concause: il concentrarsi della documentazione in un numero ridotto di Uffici; l’accumulo di quella più antica non ancora versata; i travasi conseguenti alle sistemazioni territoriali ed infine, dal 1929,
l’allungamento dei tempi di giacenza (e quindi della consistenza nei depositi) delle
27
ASLi, Archivio, Versamenti, bb. 1-2. Non è stata reperita documentazione relativa al primo versamento del 1924 e per esso si è fatto riferimento all’Inventario del Casini; per gli altri episodi, pur con
una certa frammentarietà e con testimonianze di natura diversa (verbali, lettere di proposta, prospetti
usati per la relazione annuale, etc.), la ricostruzione può considerarsi certa grazie alle due buste qui
citate, nelle quali sono stati concentrati i materiali relativi ai versamenti all’Archivio di Livorno dal
1941, cioè dall’anno della sua fondazione.
28
C. LAMIONI, La documentazione sulle leve e gli Archivi di Stato. Trasmissione archivistica... cit.
Il quart’ultimo capoverso della circolare recitava: « (...) questo Ministero determina pure, dopo di aver
presi gli opportuni accordi con quello dell’Interno, che le carte indicate ai numeri 1, 2 e 6 dell’annesso
elenco n. 1, cioè le liste di leva e di estrazione e i registri sommari delle decisioni dei Consigli di leva,
quando riguardino classi state prosciolte da ogni servizio fino alla classe 1850 compresa, siano passate
negli Archivi di Stato, se nella provincia in cui si trovano esiste uno di tali archivi o negli archivi provinciali, nel caso contrario, invece di essere tenute, come le altre dell’elenco n. 1, negli uffici di leva».
29
La circolare (che viene indicata come n. 328, ma che non abbiamo reperito nel «Giornale militare ufficiale») è citata anche nel suo contenuto dal sottoprefetto di Pistoia che ne scriveva il 21 settembre 1923 al direttore dell’Archivio di Stato di Firenze proponendo il versamento delle carte di Pistoia
ormai pregresse, ASFi, Archivio, b. 429, fasc. 168.
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carte per l’estendersi della fascia di età passiva di richiamo. Nell’incertezza di molte
contingenze locali, la successiva circolare del Ministero della guerra 132/192830,
richiamando il paragrafo 177 della Istruzione permanente del 1904 e di fatto ripetendo il quart’ultimo capoverso della circolare 40250/1889, dispose che nei capoluoghi di provincia ove non esistesse l’Archivio di Stato, l’Ufficio di leva non
procedesse a versamenti, ma detenesse senza termine la documentazione a conservazione perenne. La norma, dal punto di vista archivistico è di grande rilevanza
perché spiega il blocco dei versamenti di questa documentazione fino all’attivazione, nella provincia competente, del relativo Archivio di Stato. Sotto altro profilo
la circolare manifestava anche il disagio operativo prodotto dalla disomogeneità
tra l’organizzazione territoriale a base provinciale, da sempre tenuta dagli Uffici
di leva e quella degli Archivi di Stato che ancora non l’avevano e per lungo tempo
non l’avrebbero compiutamente raggiunta. Si deve anche osservare una volta di
più come il mantenimento presso gli uffici produttori di documentazione a conservazione perenne è comunemente carico di rischi in ordine tanto alla sopravvivenza
e all’integrità di essa quanto alla sua trasmissione all’interno degli stessi ambiti
territoriali (principio del localismo degli archivi)31. Nel «lungo sonno» degli atti di
leva presso l’Ufficio (prima in attesa dei tempi di maturazione per il versamento e
poi magari anche dell’istituzione dell’Archivio di Stato che li accolga) molte cose
cambiano negli scenari istituzionali circostanti, considerando anche la tendenza
all’accelerazione di molte fenomenologie sociali e politiche nel corso della contemporaneità a noi più vicina32.
ORDINAMENTI E DESCRIZIONI
quali ordinamenti abbiamo trovato nell’affrontare gli archivi in questione?
Non è facile sintetizzarne le varianti in una sistematica accettabile. quasi non esistono o sono oggi dimenticati e irreperibili strumenti che ci consentano di capire
quale fosse l’assetto del fondo nel periodo - talvolta anche molto lungo - tra l’accumulo prodotto dai versamenti e il primo occuparsi di essi con qualche operazione
di riordinamento e di descrizione33.
Molto spesso la documentazione venne lasciata nell’ordine prodotto di fatto
dal succedersi dei versamenti e, in questi, addirittura dalla disposizione esposta nell’allegato al verbale. In questi casi si generalizzò la sciagurata massima di utilizzare
i verbali di versamento ed i loro allegati come strumenti per la ricerca a fini di ufficio
30
Ministero della guerra, Direzione generale leva, circolare 23 febbraio 1928, n. 132 in «Giornale
militare ufficiale», 1928, n. 8, p. 348.
Si deve ritenere che anche il cattivo stato di conservazione delle unità e le lacune, talvolta gravi,
che affliggono la documentazione, siano da imputarsi tanto al pesante utilizzo di esse presso l’ufficio,
quanto ai loro trasferimenti tra uffici (includenti spesso lo smembramento dei volumi), quanto alla lunga
giacenza senza più alcun interesse prima del versamento.
31
32
C. LAMIONI, La documentazione sulle leve e gli Archivi di Stato. Trasmissione archivistica...
cit., p. 229.
33
Abbiamo costruito una graduatoria tra gli Archivi di Stato della Toscana contando gli anni trascorsi tra il primo versamento di atti della leva ed il primo, anche occasionale, occuparsi di essi, cfr.
Appendice II.
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o per il pubblico, estraendoli dall’archivio dell’Archivio di Stato e rischiandone, il
più delle volte, la dispersione. questa pigra abitudine porta col tempo a ingenerare
e a perpetuare tra le generazioni degli impiegati l’idea che l’ordinamento del fondo
sia quello prospettato dagli allegati al verbale di versamento, spesso redatti in forma
tabellare: praticamente un micro inventario già fatto! La sostanziale inerzia critica
ed operativa nei confronti dell’archivio tende, se mai, a sfociare in ordinamenti detti
«cronologici» i quali - com’è noto - vengono comunemente messi in atto in assenza
dei necessari approfondimenti critici, specie in sede storico-istituzionale; essi, in
sede descrittiva, hanno anche l’effetto più o meno percepibile di mimetizzare le lacune nelle serie, perché, nella estenuante ripetitività delle operazioni e quindi degli
atti del reclutamento, sono rari gli anni nei quali manchino proprio tutte le tipologie
documentarie. Abbiamo trovato questi ordinamenti, più o meno ‘corretti’ o mescolati
ad altre metodiche, a Grosseto, a Massa, a Pisa, a Pistoia.
A Grosseto l’ordinamento dato dal Petroni può essere senz’altro definito «cronologico» in riferimento alle classi di nascita: per ognuna di esse, disposte in sequenza naturale dal 1842 al 1900, si trovavano le Liste di leva, quelle di estrazione
(fino alla classe 1890) ed i Registri sommari delle decisioni (fino alla classe 1891).
Formalmente parlando, alla chiave cronologica segue quella tipologica; in altre parole non viene rispettata la distinzione e l’aggregazione tipologica delle serie. Ovviamente, dopo la classe 1891, abolite le Liste di estrazione ed i Registri sommari,
l’ordinamento (e l’inventario) si banalizza e la mera successione cronologica delle
Liste di leva per classi di nascita costituisce l’unica ed obbligata modalità.
A Massa non sembra che le carte della leva siano state oggetto di studio o di ordinamento particolari34. Anche qui gli allegati ai verbali di versamento vennero tenuti
a parte, servendosene come guida per le ricerche; dispersi nel tempo e attualmente
irreperibili, non è facile tentare di ricostruire se e quale ordinamento tenesse la documentazione nel prosieguo dei versamenti e tanto meno quale fosse, nel dettaglio,
la sua consistenza, considerando anche le varie e disperse lacune delle quali oggi soffre. Nel 1943, in occasione del trasferimento dell’Archivio di Stato dal Palazzo ducale
alla sede attuale, venne predisposta, tra le altre, anche una lista numerica della documentazione di leva35. Gli 817 numeri dell’elenco coprono i materiali versati fino ad
34
L’inizio dei versamenti (1932) avvenne all’indomani della nomina di Gaetano Pappaianni alla direzione dell’Archivio di Stato (1931). E in effetti egli incluse l’Ufficio di leva di Pontremoli e quello di
Massa nella sua descrizione ragionata, dando la classe 1877 come terminale della documentazione fino ad
allora conservata (G. PAPPAIANNI, Massa ed il suo Archivio di Stato. Notizie storiche, ordinamento delle
carte, in «Atti della Società ligure di storia patria», Lx, 1934, 2, pp. 86, 88). Lo ricordò anche tra «i più notevoli versamenti» (509 unità) nel suo più celebrativo lavoro: Nel cinquantenario del R. Archivio di Stato in
Massa. Relazione sulle origini e sul funzionamento dell’Istituto (1887-1937), Massa, Medici, 1937, p. 32.
35
ASMs, Archivio, Carteggio, b. 64: 1944-1946, tit. I, fasc. «Trasferimento dell’Archivio nella
nuova sede, 1943-1944», s. fasc. «Inventari sommari provvisori». Si tratta della minuta di un elenco
numerico ms. su 4 fogli in-4°; uno strumento di lavoro molto affrettato e sintetico, quasi un appunto,
per censire la documentazione prima della partenza e riscontrarla poi all’atto della ricollocazione nel
nuovo edificio. I numeri, incolonnati a sinistra, sono in parte in sequenza naturale, in parte a blocchi;
le indicazioni sono sempre molto vaghe e generiche; gli anni sono riferiti, ma non sempre espressamente,
talvolta alle classi di nascita trattate, talaltra alla produzione documentaria. Da un confronto calligrafico
la lista sembrerebbe da attribuirsi alla mano di Renato Mori, che era stato comandato in missione a
Massa tra l’aprile ed il settembre 1943 a supporto delle operazioni di trasferimento. Resta dunque in-
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Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
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allora (settembre 1939, classe 1883) ed offrono almeno la sequenza con la quale si
può verosimilmente supporre che le unità fossero conservate nel deposito. Sulla scorta
delle antiche numerazioni, ancora in gran parte presenti sulle unità, non è stato difficile ricostruire l’assetto, anche se non la consistenza esatta, che il fondo aveva alla
fine del 1943, qui presentato in Appendice I. Ne emerge un quadro privo di ogni coerenza e riferimento alle sottese realtà istituzionali, ma nel quale si rintraccia, per blocchi, la periodizzazione delle fasi di accrescimento della documentazione. Ad un
nucleo iniziale di materiali preunitari e unitari presenti fin dalle origini e selezionati
dalle restituzioni del 1891, seguono quelli dei versamenti del 1932, 1938, 1939 settembre e luglio. Esaminando nel dettaglio la sequenza delle unità, al di là di lacune,
incongruenze e oscurità non poche, risulta comunque che anche a Massa, come altrove, i materiali prodotti dai due Uffici circondariali di Massa e di Pontremoli erano
rimasti distinti almeno fino alla classe 1877 (versamento del 1932), mentre quelli
delle classi successive risultano rifusi secondo la nuova logica provinciale portata
dalla riforma degli Uffici nel 1923. quanto ai criteri di ordinamento sembra emergere,
almeno dai materiali più abbondanti e articolati del versamento del 1932, un sistema
per chiavi gerarchiche in sequenza geografica, cronologica, tipologica: per ogni comune tutte le classi in ordine cronologico, e per ciascuna classe la Lista di leva ed
eventualmente quella di estrazione, se il comune è anche sede di mandamento. I registri sommari, ovviamente, sono a parte. La documentazione pervenuta con i versamenti del 1938 e del settembre 1939 osserva canoni analoghi. Né la numerazione né
l’elenco, che crediamo di Renato Mori, ebbero ulteriori sviluppi36.
Anche all’Archivio di Stato di Pisa non sembra che la documentazione di leva
sia stata oggetto di particolari attenzioni, ma che, se mai, i materiali, cumulatisi nel
tempo, siano stati lasciati nell’ordine di volta in volta prospettato dal verbale di
versamento. L’inventario originale (II.40) appare lo specchio di questa ipotesi, presentandosi come la riproposta, in progressione, dei verbali; su di essi è stata giustapposta una numerazione progressiva delle singole unità, più volte rifatta e
corretta, ma sempre incongrua e incompleta. Tale numerazione (comprese le sue
discontinuità e incongruenze) è riportata sui cartellini che contrassegnano i pezzi.
La descrizione delle prime 44 unità è manoscritta dall’inconfondibile pugno di
Achille De Rubertis, direttore a Pisa tra il 1934 ed il 194537. I materiali descritti si
riferiscono esclusivamente all’Ufficio di Pisa e alle classi 1842-1849; le chiavi di
spiegabile che il fondo delle leve di Massa venga completamente ignorato dal Mori (succeduto al Pappaianni e direttore tra il 1945 ed il 1951) nel suo SEZIONE DI ARChIVIO DI STATO DI MASSA, Inventario
sommario dell’Archivio di Stato, Roma, Ministero dell’Interno, Ufficio centrale Archivi di Stato, 1952
(Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 8), quando altri tre versamenti avevano accresciuto la documentazione fino alla classe 1883 compresa, rispetto a quanto già esposto dal Pappaianni nel 1937.
36
In effetti non si tentò più un ordinamento ed una descrizione complessive. Il Versamento dell’Ufficio leva classe 1860 al 1915, manoscritto, nonostante il diligente ordine compilativo, manifesta
gravi errori sistematici che, pur nelle finalità meramente pratiche verso le quali sembra orientato, ne
inficiano la validità scientifica e archivistica; ancora più modesti altri due strumenti parziali, uno manoscritto ed un dattiloscritto prodotti verso il 1970. questi e parte del Versamento appena detto, vengono
attribuiti al coadiutore Italo Fontanini attivo tra il 1958 ed il 1984.
37
Su di lui si veda C. LAMIONI, La documentazione dell’Ufficio di leva di Firenze... cit., pp. 286287 e nota 108.
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Claudio Lamioni
ordinamento sono quella cronologica della classe e, subordinatamente, quella tipologica delle Liste di estrazione e delle Liste di leva in questo rigido ordine; i Registri sommari, invece, sono descritti come serie a sé stante con le unità in
successione temporale. Un criterio misto, come si vede, che richiama peraltro l’Appendice, compilata dallo stesso De Rubertis all’Inventario delle leve di Firenze del
Sapori38. In realtà, l’inventario, più volte rimaneggiato, originariamente si apriva
con i materiali versati nel 1933 che, fino alla classe 1849 manteneva aggregata la
documentazione del circondario di Volterra, dimenticando quanto già versato nel
1889 del circondario di Pisa poi descritto, come si è detto, dal De Rubertis nel
1936. La documentazione delle classi successive risulta rifusa e ordinata come si
è detto per chiavi cronologica e tipologica in questo ordine. Non è difficile seguire
le vicende di accrescimento del fondo e dell’inventario, grazie alla diligenza con
la quale De Rubertis istruiva la «Relazione annuale» da inviare al Ministero. Così
dopo il collage del primo versamento, che sembra doversi attribuire al giovane
Mario Luzzatto39, a lui si devono ancora gli aggiornamenti relativi a quasi tutti i
versamenti successivi fino alla classe 1903. L’inventario in Sala di studio prosegue
con la copia dei verbali di versamento fino alla classe 1923.
Le carte della leva di Pistoia che, si è detto, concentrano tutte le criticità osservabili, non pare siano state oggetto di riflessione, ma videro la disposizione delle
unità in ordine genericamente cronologico. Così facendo senza il necessario supporto critico, scomparve la distinzione tra le serie delle Liste di leva e quelle di estrazione; i Registri sommari – come si è osservato in analoghe realtà documentarie –
sono stati disposti alla fine dell’arco cronologico come pure le speciali liste prodotte
per i richiami durante la Prima guerra mondiale, ma senza un apparente ordine interno. I materiali inviati da Lucca nel 1961 ovviamente aprono la sequenza, con le
unità prodotte dagli ordinamenti preunitari. Inoltre questa prima parte (cioè fino alla
classe 1879 compresa) appare ordinata secondo le chiavi nella sequenza geograficacronologica: per ogni comune o mandamento sono riunite le liste delle varie classi
chiamate. Molte di queste unità appaiono legate in epoca relativamente recente.
Segue la documentazione del cospicuo versamento del 1953: l’elenco allegato al
verbale di versamento non aiuta anzi pare contenere parecchi errori; la descrizione
dei pezzi va per classi e non per serie, così come il loro ordinamento fisico. Con i
successivi versamenti la materia va, per così dire, ordinandosi da sola perché l’unica
serie delle Liste segue la scansione annuale della classe chiamata. In questo senso e
per diversi aspetti, il fondo rispecchia, grossolanamente, l’andamento dei versa38
Ibidem.
Mario Luzzatto (Roma, 7 settembre 1905 - Pisa, 9 aprile 1962) prese servizio all’Archivio di
Stato di Pisa il 2 gennaio 1933. qui collaborò con Achille De Rubertis, direttore dal 1934, riscuotendo
senza riserve la fiducia del superiore che cercò sempre di favorirlo e di proteggerlo anche quando, emanate le leggi razziali, «essendo di razza ebraica, viene sospeso dalle funzioni» (5 settembre 1938). Superato il periodo più cupo della persecuzione, nel settembre 1944 lo ritroviamo ad Arezzo dove il
Ministero dell’interno colse «l’occasione (...) di compiere un atto di opportuna riparazione» incaricandolo temporaneamente di quella Sezione d’Archivio (novembre 1944); riammesso poi nei ruoli, tornò
finalmente a Pisa nel luglio 1945 dove fu prima reggente e poi direttore fino alla prematura scomparsa,
ACS, Ministero dell’Interno, Direzione generale Archivi di Stato, Div. Personale 1959-1963, b. 22;
ASPi, Archivio, bb. 70-76, 82-83; «Il Telegrafo», 10 aprile 1962, p. 4, cronaca di Pisa.
39
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Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
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menti. Lo strumento sommario presente fino al 2008 in sala di studio40 seguiva l’ordinamento esistente appena descritto facendo capo ad una numerazione progressiva
apposta sulle unità. Nella descrizione, compilata in semplice forma tabellare, scomparivano la distinzione, anche terminologica, delle serie e quella tra comuni e mandamenti; si notano inoltre numerosi errori e lacune nella descrizione delle unità;
insomma, rispetto agli elenchi di versamento, usati in precedenza, si apprezza purtroppo uno scadimento di incisività e di qualità informative. La compilazione, affidata a personale ausiliario appena giunto in servizio, venne completata nel 198141.
Talvolta ad un buon inizio non è seguita una tradizione conforme e la prassi
è di nuovo scivolata nella banale cronologia o nell’inerzia. In questo senso si devono però anche rilevare delle eccellenze che poi chi scrive ha cercato in qualche
modo di recuperare e applicare sistematicamente, come si vedrà.
A Lucca l’ordinamento e la descrizione portate a termine fin dal 1901 da Adolfo
Lippi trovarono esito nell’inventario R. Prefettura di Lucca, Ufficio di Leva, n. xVII
(pp. 343-376) della serie degli inventari manoscritti dell’Archivio di Stato42. Le 233
unità descritte comprendono le liste preunitarie (nn. 1-15, classi 1833-1841), quelle
unitarie delle classi 1842-1859: le Liste di leva (nn. 16-114), le Liste di estrazione
(nn. 115-164), i Registri sommari (nn. 165-182) e la Corrispondenza e documenti
(nn. 183-233, classi 1852-1860). I materiali riguardano solo la provincia di Lucca,
ma ancora comprensiva della Valdinievole. Le singole serie sono precedute da brevissime introduzioni atte a illustrare i quadri storico-istituzionali e le modalità della
ricerca col corredo anche degli organigrammi territoriali; il tutto lascia ammirati per
la chiarezza e la competenza assolute, oltre che per l’impeccabile rigore metodologico43. Purtroppo tanta eccellenza non ebbe seguito. Fu solo nel 1949, dopo i massicci versamenti del 1931 e del 1948, che il direttore Corsi affidò al giovane Renzo
Ristori, appena arrivato a Lucca, il compito di descrivere i materiali presenti, affiancandogli l’anziano coadiutore Gino Pieri. Ne uscì, nel 1951, una sorta di censimento molto sommario sintetizzato in nove tabelle che consentivano di verificare
40
Inventario 77: ARChIVIO DI STATO DI PISTOIA, Liste di leva di Pistoia e Provincia (1833-1914),
dattiloscritto, s. data; un’annotazione manoscritta avverte che «questo inventario sostituisce i precedenti
elenchi di versamento nn. 34, 35 e 60».
41
ASPt, Archivio, «Relazione annuale», 1981.
Per quanto, come nell’uso rigido dell’epoca e fino a tempi molto recenti, non venisse dichiarato
il curatore, il lavoro è sicuramente da attribuirsi ad Adolfo Lippi, allora sottoassistente di seconda classe
ed economo che «ha classificato, ordinato e compilato il relativo Inventario delle carte, registri e filze
della serie Prefettura di Lucca, Ufficio di leva (...) », ASLu, Archivio, Affari, b. 78, 1902, n. 28. Su
Adolfo Lippi (Lucca 1844-1914): MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITà CULTURALI, DIREZIONE GENERALE
PER GLI ARChIVI, Repertorio del personale degli Archivi di Stato, I, (1861-1918), a cura di M. CASSETTI,
Roma, 2008, pp. 515-516; il direttore Luigi Fumi nel novembre 1902, in occasione di un infortunio nel
quale il Lippi era incorso e che lo teneva lontano dall’ufficio, diceva di lui: «L’Ufficio che fin dal suo
primo impianto ha avuto la cura intelligente e assidua di questo ottimo impiegato, già risente della mancanza di lui, pratico come egli è specialmente alle ricerche amministrative da oltre 40 anni affidate al
suo zelo», ibid., b. 78, 1902, n. 443. quasi le stesse parole delle sue relazioni annuali usava lo stesso
Fumi in Il R. Archivio di Stato in Lucca nel 1903… cit., p. 33, sull’inventario, prima «provvisorio»
(1899) e poi definitivo (1901) delle Liste di leva.
42
43
Le unità vennero anche numerate con cartellini che sono riaffiorati durante le successive operazioni di riordinamento.
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Claudio Lamioni
immediatamente se una particolare lista fosse disponibile conoscendo il comune e
la classe di nascita, ma non altro. Finalmente, tra il 1985 ed il 1987 Lia Amico, su
incarico del direttore Tirelli, effettuò una schedatura completa del fondo (versamenti
fino al 1963) seguendo l’assetto e la numerazione, i cui autori e le cui logiche restano
oscuri, che l’archivio aveva assunto fino a quella data.
A Firenze, abbiamo visto44 come, dopo l’esemplare ordinamento dato dal Sapori nel 1925 (distinzione dei quattro Uffici circondariali fino al 1923 e strutturazioni per serie, classi 1842-1884), seguisse la poco perspicua continuazione del De
Rubertis (classi 1885-1887) e poi gli sconvolgimenti (ma solo fisici) del Maffei
nel 1948 (classi 1880-1902).
A Siena non sappiamo che assetto avesse l’archivio delle leve nella seconda
metà degli anni ’30 quando prese avvio l’opera di riordinamento generale e di descrizione di tutto il patrimonio dell’Archivio di Stato diretti dal Cecchini; certamente anche il lavoro su quei documenti era concluso per l’edizione del secondo
volume della Guida-Inventario45, nel 1951. La fatica (pp. 290-292) si deve al giovane Giulio Prunai, allora in servizio a Siena46. Egli, con la lucidità che ritroviamo
nella sintetica nota in calce alla descrizione del fondo, mise in atto un corretto ordinamento: tenne distinte le istituzioni produttrici (Uffici di Siena, nn. 5-144 e di
Montepulciano, nn. 145-243) e, per ciascuna di esse, le singole serie con le unità
sedimentate in ordine cronologico secondo le chiavi gerarchiche tempo-spazio (per
ogni classe di nascita le liste di leva di tutti i comuni o quelle di estrazione dei mandamenti del circondario)47. I materiali giunti con gli ultimi tre versamenti (1940,
1947 e 1948), che pure erano stati prodotti fino al 1923 dai due distinti Uffici (classi
1880-1903) e mantenevano, fino alla classe 1890, le tre classiche serie, restarono
invece non ordinati48. questi vennero inseriti nell’inventario dattiloscritto utilizzato
per la consultazione49, che segue pedissequamente e con numerazione continua, la
Guida-Inventario. L’inventario prosegue con varie giunte manoscritte che aggiornano la materia fino alla classe 1917 (versamenti 1960-1963). Le liste delle classi
1918-1920 (versamenti 1990 e 1991) non furono descritte.
Ad Arezzo la vicenda dei versamenti che si è qui sopra lumeggiata e le loro
modalità (praticamente per serie a blocchi omogenei), la forma degli elenchi allegati ai verbali e le più antiche numerazioni che contrassegnano le unità, fanno ipo44
C. LAMIONI, La documentazione dell’Ufficio di leva... cit., pp. 284-289.
ARChIVIO DI STATO DI SIENA, Guida-Inventario dell’Archivio di Stato, Roma 1951 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 5), voll. 2.
45
46
ASSi, Archivio, Affari, b. 96, fasc. 4. Devo questa preziosa indicazione alla collega Patrizia
Turrini che qui ringrazio.
47
La rara perspicuità con la quale Prunai ordinò le leve di Siena si riscontra - si è detto - nell’analogo ordinamento dato dal Sapori a quelle di Firenze (1925), dove lo stesso Prunai fu all’inizio
della carriera.
48
ARChIVIO DI STATO DI SIENA, Guida-Inventario cit., II, p. 292 dove in due righe si descrivono
cumulativamente, sotto i nn. 245-314, «settanta grosse buste composte di fascicoli ... relativi alle liste
e alle estrazioni ... per le classi 1880-1903.» In realtà, se seguiamo la numerazione, questa si arresta
alla classe 1894, ma comprende anche le speciali liste per la revisione dei riformati durante la Prima
guerra mondiale, relative al solo circondario di Siena (nn. 293-301).
49
In sala di studio col n. 125.
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tizzare – se pur con estrema prudenza – che l’archivio fosse in qualche modo strutturato per serie50. Dobbiamo all’iniziativa di Augusto Antoniella, direttore tra il
1983 ed il 2005, l’ordinamento e la numerazione di tutto il fondo e la compilazione
del relativo inventario, lavoro concluso nel 199351. I materiali sono lucidamente
suddivisi per serie (nell’ordine: Registri sommari, Liste di estrazione, Liste di leva,
Protocolli della corrispondenza) e, per ciascuna di esse, la documentazione è in
sequenza cronologica secondo il succedersi delle classi. Ripetendo ancora una volta
nel linguaggio tecnico, le chiavi di ordinamento sono in gerarchia secondo lo
schema: tipologia, tempo, spazio; cioè in ogni serie, per ogni classe di nascita, troviamo le liste di tutti i mandamenti o di tutti i comuni. Purtroppo l’inventario, oltre
che lamentare non poche lacune, non rispecchia l’eccellenza dell’ordinamento contenendo, al contempo, farragini e incongruità con la natura delle serie descritte.
In via generale bisogna, banalmente, osservare che le criticità che abbiamo
rilevato nella formazione e nella trasmissione del sedimento archivistico, talvolta
tra Uffici e poi da questi agli Archivi di Stato, si ripercuotono inesorabilmente nell’ordinamento e nelle descrizioni che i fondi ebbero negli Archivi nei quali vennero
conservati. La questione risulta tanto più evidente e drammatica per quei fondi attraversati dalle trasformazioni e dalle vicende istituzionali che si sono più sopra richiamate. Gli archivisti pare non siano mai riusciti a dominare e risolvere i labirinti
prodotti nella documentazione dall’intreccio degli sviluppi istituzionali degli Uffici
di leva, degli Archivi di Stato e dei relativi reticoli amministrativi sul territorio nel
medio e nel lungo periodo. Anche nei casi che abbiamo ritenuto di eccellenza, del
Lippi a Lucca, del Sapori a Firenze, del Prunai a Siena e poi a Livorno, l’ordinamento e le descrizioni, in effetti, non superavano il primo periodo di storia istituzionale degli Uffici e quindi dei fondi: quella che coglie le classi dalla 1842 alla
1880 circa, cioè un panorama sostanzialmente statico nella produzione e nella trasmissione documentaria e negli scenari territoriali52. La scomparsa delle Liste di
50
L’ipotesi troverebbe conferma anche da analoghe testimonianze reperite invece nell’archivio
dell’Ufficio di leva di Lucca che - come si è detto - ha fortunosamente conservato materiali attinenti la
gestione interna dell’Ufficio, oggi in quell’Archivio di Stato.
51
ASAR, Archivio, Relazioni annuali, 1994 (I.9); come curatori vengono indicati Nadia Menaboni,
Pietro Santoni e Isa Zacchei; in nota si dice che «La schedatura e la redazione inventariale sono state eseguite da un coadiutore [il Santoni] e da due custodi, su indicazioni della Direzione». L’inventario è in sala
di studio col n. 16: Archivio dell’Ufficio leva della provincia di Arezzo, dattiloscritto, pp. 120, senza data,
senza introduzione e senza indice; in epigrafe, ai piedi del frontespizio, riporta: «La schedatura è stata
eseguita da N. Menaboni, P. Santoni e I. Zacchei. La redazione dell’inventario è a cura di P. Santoni».
52
Si potrebbe fare anche una storia di uomini in parallelo a quella degli atti di leva e ne verrebbe
un quadro certamente poco confortante che peraltro confermerebbe una volta di più il sostanziale disinteresse del personale tecnico e dei dirigenti, completamente assorbiti dallo sconfinato lavoro sui fondi
più antichi, nei confronti della documentazione contemporanea, almeno fino ad un recentissimo passato.
De Rubertis a Firenze non capisce a fondo l’ordinamento del Sapori e non lo esporta a Pisa; tanto meno
lo insegna al giovane Luzzatto che si limita a pasticciare dei collages con i verbali di versamento. A Firenze, poi Maffei tenterà un parziale ordinamento «pratico» a chiavi invertite. Anche Pappaianni a Massa
non fa tesoro delle dure critiche per i propri lavori sulla contemporaneità subite a Firenze dal Sapori e,
di fatto, resta nell’inerzia, così come il successore Mori che, nel suo Inventario sommario, si dimentica
del fondo. A Siena il De Colli se ne occupa di sfuggita e non continua l’esperienza del Prunai. A Lucca
il giovane Ristori censisce il fondo con degli esaurienti quadri sinottici, ma l’eccellente esperienza del
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Claudio Lamioni
estrazione e dei Registri sommari dopo il T.U. 1497/1911 (ultima classe: 1891),
non semplificò il quadro degli assetti documentari posto di fronte agli archivisti
perché le successive e concomitanti riforme degli Uffici nel 1923 con la loro contrazione al solo livello provinciale, quella delle circoscrizioni provinciali e per ultima quella sull’età passiva di servizio, provocò una conseguente rifusione,
riordinamento e redistribuzione dei materiali tra Uffici diversi e regressivamente
fino alla classe di leva più antica ancora suscettibile di servizio. «Si capisce bene
che, così facendo, scomparve, per le classi più recenti, la distinzione delle fonti di
produzione (i precedenti Uffici competenti per circondario) e poi anche quella delle
serie abolite nel 1911, la cui utilità e le cui logiche si andavano ormai perdendo
nella memoria. Risulta evidente che la rigida applicazione del criterio di provenienza (puntuale ricostruzione del sedimento dei singoli Uffici) oppure la passiva
quiescenza ai portati fisici della trasmissione condurrebbe il riordinamento ad esiti
molto diversi ed ambedue molto discutibili». Così si rifletteva a proposito dell’ordinamento dato alle carte di Firenze53. quale ordinamento - e magari quale «ordinamento storico» - dare dunque a tutta questa documentazione? Essa era continuata
ad arrivare agli Archivi di Stato in un qualche ordine, ma dal quale affioravano, a
evidenza, tronconi di serie o unità apparentemente allogeni e incongruenti col resto
dei materiali: quell’«idrologia carsica» cui si faceva riferimento all’inizio. La questione non venne mai affrontata, almeno nel panorama toscano.
Nei riordinamenti che abbiamo operato nei fondi della leva conservati nei diversi Archivi di Stato toscani abbiamo applicato il modello o, per meglio dire, la
metodica già sperimentata a Firenze; essa ha, alle sue origini, la sistemazione data
dal Sapori e che abbiamo poi ritrovato confermata - si è detto - in altri esempi a
Lucca, a Siena e ad Arezzo. Essa verte su alcuni punti principali.
Separati preliminarmente i nuclei documentari relativi al reclutamento preunitario eventualmente esistenti e dotati di una certa consistenza, abbiamo tenuti distinti, quando ci sono e finché possibile, gli uffici produttori (gli antichi Uffici
circondariali) ordinandone e descrivendone la documentazione prodotta quasi fossero ancora fondi distinti. Abbiamo poi operato una rigida distinzione delle serie
(Liste di leva, Liste di estrazione, Registri sommari e altre se conservate) e per
quelle principali delle Liste di leva e di estrazione abbiamo ordinato le unità prima
per classe e poi per comune o per mandamento. Tecnicamente parlando, abbiamo
applicato cioè le chiavi di ordinamento in rigida gerarchia: tipologia, cronologia,
topografia. Lo schema si complica, e anche notevolmente, dopo la scomparsa degli
Uffici circondariali, quando ritroviamo le liste di tutti i comuni della provincia sud-
Lippi sembra ignorata dallo stesso Corsi che, anzi, si sbarazza, poco filologicamente, di quanto resta
della Valdinievole; il successore Tirelli, che pure fa condurre una schedatura completa del fondo, pensa
ancora che si tratti di una serie della Prefettura. A Grosseto Petroni d’impeto, com’è del suo carattere,
mette su immediatamente un ordinamento cronologico con i limiti critici che si sono detti. Così il fondo
delle leve come la maggioranza degli archivi sui quali si operano ricerche a fini amministrativi, resta terreno di lavoro dei ‘pratici’, gli impiegati che conducono le ricerche, i quali, però, non hanno né la scienza
né l’autorità per lavori di ordinamento e di descrizione. quando pure si fa qualcosa (il Fontanini a Massa,
la stesura dell’inventario ad Arezzo e a Pistoia) i risultati sono deludenti.
53
C. LAMIONI, La documentazione dell’Ufficio di leva... cit., p. 291.
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divise per classe, ma rifuse in unico ordine alfabetico, comprensivo, talvolta, anche
di liste di comuni provenienti da altre province, prodotte cioè da Uffici circondariali
diversi. E tutto - come si è più volte ripetuto - a partire da classi di leva anche molto
arretrate, in conseguenza del valore operativo ancora mantenuto dalle carte.
A questo punto ogni riordinamento di archivio costituisce una storia a sé in
relazione alle infinite varianti locali assunte dalla documentazione, ma al di là di
tanto, la questione principale resta poi sempre quella di decidere fino a che anno
mantenere la netta distinzione degli enti produttori: gli antichi Uffici suddivisi per
circondario formalmente attivi dal 1862 al 1923. Scegliere puntualmente l’anno
della loro riforma organizzativa (1923) avrebbe comportato una rigorosa riassegnazione delle unità agli Uffici produttori (criterio di provenienza appena evocato)
disconoscendo completamente la storicità del deposito nella sua componente trasmissiva (riordinamenti e manipolazioni, anche regressive, dell’Ufficio sulla propria documentazione) e finendo nell’impasse in relazione a Liste originate in Uffici
circondariali diversi e poi legate in volume oppure addirittura migrate prima presso
altri Uffici e oggi conservate in altri Archivi di Stato. È sembrato invece un accettabile compromesso mantenere distinti i sedimenti documentari fino alla classe
1891 che fu l’ultima, in base alla riforma del 1911, a vedere la formazione delle
Liste di estrazione e dei Registri sommari, cioè delle serie che, assieme alle Liste
di leva erano canoniche fin dalle origini dell’ufficio. Si è creduto peraltro doveroso
segnalare in inventario l’Ufficio di leva di provenienza degli atti dalla classe 1892
alla classe 1905, le cui Liste furono formate nel 1923 ed i cui giovani furono visitati
nel 1924. Dopo tale classe, ridottasi la documentazione da conservare alle sole
Liste di leva, compattatosi l’organigramma territoriale al solo livello provinciale e
rimasto stabile questo nel lungo periodo, cessa di colpo ogni criticità e le carte si
sedimentano banalmente in una struttura monoseriale.
Così sono stati riordinati e descritti gli archivi della leva conservati negli Archivi
di Stato della Toscana, ritenendo che, nel grande alveo del cosiddetto «metodo storico»
si potesse trovare un modo per salvaguardare e, anzi, evidenziare la stratificazione
creata nel tempo dalla produzione, dall’uso e dalla trasmissione di queste carte54.
CLAUDIO LAMIONI
54
Un’ultima parola sullo stato dei lavori alla definitiva consegna di questo scritto. Salvo che a
Livorno per le ragioni già spiegate, negli altri Archivi di Stato della Toscana i fondi della leva sono stati
tutti revisionati e descritti. A Firenze, Grosseto, Lucca, Massa e Pistoia le unità sono state anche fisicamente riordinate, ricondizionate (quando di assoluta necessità) e cartellinate con la numerazione che
segue il nuovo ordinamento. questa è continua e unica a prescindere dagli enti di produzione originari
e dalle serie, in considerazione della natura ‘chiusa’ dei fondi. Ad Arezzo l’archivio, già perfettamente
ordinato e numerato per serie, non ha subito interventi. A Pisa e a Siena il riordinamento è stato eseguito
solo virtualmente, ma si conta di realizzarlo anche fisicamente come negli altri Archivi di Stato. Gli inventari prodotti sono a disposizione presso i singoli Istituti; gli Archivi di Stato di Massa e di Grosseto
li hanno anche inseriti in linea.
Sento qui il dovere di esprimere la mia profonda riconoscenza ai direttori, ai colleghi e al personale di ogni ordine che mi hanno generosamente favorito in ogni modo possibile.
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130
Claudio Lamioni
APPENDICE I
DOCUMENTAZIONE DI LEVA DEL CIRCONDARIO DI PISTOIA
1890-1927: versamenti all’Archivio di Stato di Firenze
Serie
Liste di Leva Liste di
classi
estrazione
classi
1890 set. 17 1842-1850
1842-1850
1923 set. 22 1851-1884
1851-1884
1925 nov. 13
1885
1926 mar. 8 1885
1885
1926 apr. 27 1886
1886
1927 apr. 27 1887
1887
1880-1887
1880-1887
Versamenti
Registri sommari
classi
1842-1850
1851-1884
1886
1887
1880-1887
note
< versa Ufficio di Pistoia
< versa Ufficio di Pistoia
< versa Ufficio di Firenze
< versa Ufficio di Firenze
< versa Ufficio di Firenze
< versa Ufficio di Firenze
> restituzione all’Ufficio di Pistoia
1853-1961: versamenti all’Archivio di Stato di Pistoia
Versamenti
1953 set. 19
1957 giu. 8
1959 feb. 13
1960 feb. 12
1961 mar. 31
1961 mag. 10
Serie
Liste di
leva
classi
1880-1906
1907-1911
1912
1913
1914
1833-1879
Revisione dei
riformati
classi
1874-1899
Liste di
estrazione
classi
1880-1890
Registri sommari
classi
1880-1891
1842-1879
1989-2008: versamenti all’Archivio di Stato di Firenze
Versamenti
1989 nov. 16
1990 nov. 28
1991 gen. 24
1992 dic. 10
1993 apr. 2
1994 mag. 17
1995 mar. 14
1996 mag. 14
1997 apr. 22
1998 mag. 22
2000 feb. 15
2001 mar. 13
2002 mag. 31
2005 mag. 19
2007 gen. 11
2008 dic. 3
Serie
Liste di leva
classi
1915-1918
1919
1920
1921
1922
1923
1924
1925
1926
1927
1928-1929
1930
1931
1932-1934
1935-1936
1937-1939
note
< versa Ufficio di Firenze
note
< versa Ufficio di Pistoia
< versa Ufficio di Pistoia
< versa Ufficio di Pistoia
< versa Ufficio di Pistoia
< versa Ufficio di Pistoia
< Archivio di Stato di Lucca
trasferisce la documentazione
relativa ai Comuni della
Valdinievole
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Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
ARChIVIO DI STATO DI AREZZO
Versamenti 1954 - 1961
Versamenti
1954 ott. 2
1956 ago. 18
1959 gen. 21
1959 mar. 1
1961 feb. 27
Serie
Liste di
leva
classi
Liste di
estrazione
classi
1842-1890
Registri
sommari
classi
Protocolli
Note
anni
1883-1891
1841-1890
1891-1913
1914-1920
1901-1949
1 Ruolo matricolare, classe 1852
classe 1841: disciplina preunitaria
e una raccolta di normative, 34 voll.
ARChIVIO DI STATO DI GROSSETO
Versamenti 1959 - 1991
1959 set. 25
1961 ott. 9
Serie
Liste di
leva
classi
1842-1882
1883-1886
1965 nov. 17
1966 feb. 2
1967 gen. 13
1968 feb. 14
1969 gen. 29
1970 gen. 15
1971 feb. 17
1891-1894
1895
1896
1897
1898
1899
1900
1972 gen. 31
1973 gen. 22
1974 gen. 24
1975 gen. 18
1976 feb. 24
1977 gen. 18
1981 feb. 11
1982 gen. 11
1983 apr. 14
1984 feb. 27
1985 mag. 25
1987 feb. 3
1988 gen. 25
1989 feb. 14
1990 gen. 10
1991 gen. 23
1901
1902
1903
1904
1905
1906
1907-1908
1909-1910
1911-1912
1913
1914
1915-1916
1917
1918
1919
1920
Versamenti
Revisione dei Liste di
riformati
estrazione
classi
classi
1876-1891
1883-1886,
1888-1889
1890
Registri sommari
Note
classi
1886-1889
1890-1891
1876-1894
1874-1899
! Inventario PETRONI [1971]
< dall’Archivio di Stato di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
131
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:43 Pagina 132
132
ARChIVIO DI STATO DI LIVORNO
Claudio Lamioni
Versamenti 1924 - 1999
Versamenti
1924
1956 ago. 10
1960 giu. 23
1963 set. 13
1990 gen. 11
1991 gen.
1992 lug. 29
1993 giu. 30
1994 mag. 17
Serie
Liste di
leva
classi
1842-1884
1842÷1884
1885-1886
1885-1886
1887-1909
1910-1915
1916-1918
1919
1920
1921
1922
1923
Revisione
dei
riformati
classi
Liste di
estrazione
Registri
sommari
classi
1842-1884
1847÷1884
1885-1990
1885-1890
1887-1890
classi
1842-1884
1843-1864
note
Circondario di Livorno
Circondario di Portoferraio/Elba
Circondario di Livorno
Circondario di Portoferraio/Elba
anche comuni ex Circondari di Pisa e di
Volterra
! Inventario n.4, CASINI, 1959
! seguito Inventario n. 4
<versa Ufficio di Pisa !
1910-1920
e Renitenti 1939, 1941
ARChIVIO DI STATO DI LUCCA
Versamenti 1894 - 1994
Versamenti
Serie
Liste di
leva
1894 lug. 1
classi
classi
1832-1841
1842-1851 1842-1851
Liste di
estrazione
1899 set. 1
1900 nov. 9
1914 ott. 21
1921 lug. 20
1923 lug. 10
1924 feb. 21
1925 gen. 28
1926 feb. 2
1927 gen. 28
1929 giu. 27
1852-1858
1859
1860-1874
1875-1881
1882-1883
1884
1885
1886
1887
1880-1887
1852-1858
1859
1860-1874
1875-1881
1882-1883
1884
1885
1886
1887
1880-1887
1931 giu. 25
1948 nov. 6
1955 nov. 28
1961 mag. 10
1840-1873 1840-1879
1880-1899 1880-1891
1900-1910
1833-1879 1842-1879
1963 dic. 4
1990 gen. 10
1991 gen. 22
1992 lug. 29
1993 lug. 5
1994 mag. 17
2012 giu. 6
1911-1918
1919
1920
1921
1922
1923
1867-1868
Registri
sommari
Affari
relativi
classi
classi
«governo della Toscana»
«governo nazionale»
1842-1851
1859
1860-1874
1875-1881
1882-1883
1884
1885
1886
1887
1880-1887
1840-1879
1880-1891
note
1833-1840
1852-1858
1859
! Ordinamento A.Lippi, 1901
Restituzione > Ufficio di Lucca
> Ufficio di Pistoia
Comuni della Garfagnana
! Censimento R.Ristori/G.Pieri
Comuni della Valdinievole
Trasferimento > Archivio di Stato di
Pistoia
! Schedatura L. Amico, 1987
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< versa Ufficio di Pisa
< trasferisce A.S.Massa
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:43 Pagina 133
133
Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
Ordinamento Lippi 1901: Lucchesia e Valdinievole
Numerazione
unità
1-15
16-114
115-164
Serie
Leva
Liste di leva
Liste di
estrazione
Registri sommari
«Corrispondenza
e documenti»
165-182
183-233
Classi
1833-1841
1842-1859
1842-1859
Note
Disciplina preunitaria
1842-1859
1851-1860
Censimento Ristori-Pieri 1951
Ordinamento
Lippi
Tabelle
1-15
16-114
115-164
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Serie
Classi
Note
Leva
Liste di leva
Liste di leva
Liste di leva
Liste di leva
Liste di estrazione
Liste di estrazione
Liste di estrazione
Liste di estrazione
1833-1841
1842-1859
1860-1879
1840-1873
1880÷1899
1842-1859
1860-1879
1840-1879
1880-1890
Disciplina preunitaria
Lucchesia e Valdinievole
Lucchesia e Valdinievole
Garfagnana
Lucchesia e Garfagnana con lacune
Lucchesia e Valdinievole
Lucchesia e Valdinievole
Garfagnana
Lucchesia e Garfagnana
Situazione al 1963(ipotesi)
Ordinamento
Lippi
Censimento
Ristori-Pieri
1-15
16-114
115-164
165-182
183-233
1
2
6
Numerazioni
Corsi
Serie
Classi
note
1833-1841
1842-1859
1842-1859
1842-1859
1852-1859
Disciplina preunitaria
Lucchesia
Lucchesia
1-189
1-133
Leva
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
«Corrispondenza e
Documenti»
Liste di leva
Liste di leva
Liste di leva
Liste di estrazione
Liste di estrazione
Liste di estrazione
Liste di leva
Liste di leva
1860-1879
1840-1873
1880÷1899
1860-1879
1840-1879
1880-1890
1900-1910
1911-1918
Lucchesia
Garfagnana
Lucchesia e Garfagnana con lacune
Lucchesia
Garfagnana
Lucchesia e Garfagnana
Versamento 1955
Versamento 1963
3
4
5
7
8
9
Ordinamento 1985-2011
Ordinamento
Lippi
Censimento
Ristori-Pieri
Numerazioni
Corsi
1-15
16-114
115-164
165-182
183-233
1
2, 4
6, 8
1-15
16-117
118-183
184-218
219-280
3-5
7-9
281-400
401-543
544-616
617-805
806-938
939-981
1-189
1-133
Schedatura
Amico
e seguito
Serie
Classi
note
Leva
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
«Corrispondenza e
Documenti»
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
Liste di leva
Liste di leva
Liste di leva
1833-1841
1840-1859
1840-1859
1840-1859
1852-1859
Disciplina preunitaria
Lucchesia e Garfagnana
Lucchesia e Garfagnana
Lucchesia e Garfagnana
1860-1899
1860-1891
1860-1891
1900-1910
1911-1918
Lucchesia e Garfagnana
Lucchesia e Garfagnana
Lucchesia e Garfagnana
Versamento 1955
Versamento 1963
Versamenti 1990-1994
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:43 Pagina 134
134
Claudio Lamioni
Ordinamento 2012Ordinamento
Lippi
Attuale
Descrizione
Serie
Classi
note
1-15
1-15
Leva
1833-1841
Consiglio di reclutamento del Compartimento di
Lucca (disciplina preunitaria; inventario a parte)
1-18
19-102
103-157
158-190
191
16-114
115-164
165-182
183-233
192-504
505-677
678-754
755-814
815-816
817-863
<652, 853>
864-927
928-1228
1229
Circondario di
Castelnuovo Garfagnana
Liste di leva e Estrazione
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
Lista dei renitenti
Circondario di Lucca
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
«Corrispondenza e
Documenti»
renitenti, estrazioni, etc.
Provincia di Lucca
Liste di leva
Revisione dei riformati
Liste di leva
Liste di leva
elenco residenti in
provincia e all'estero
1840-1857
1858-1891
1858-1890
1840-1879
1875
1842-1891
1842-1890
1842-1887
1851-1860
1838÷1866 miscellanea
1892-1899
1874-1899
1900-1905
1906-1923
1941
con indicazione del Circondario di origine
frammenti
con indicazione del Circondario di origine
ARChIVIO DI STATO DI MASSA
Versamenti (1887) 1932-1994
Versamenti
Serie
Liste di Leva Revisione dei
riformati
1939 set. 26
classi
1840-1864*
1852-1864
1851-1877
1878-1882
1854, 1862,
1874, 1879
1883
1953 gen. 12
1954 mag. 17
1956 dic. 21
1958 ott. 25
1960 set. 14
1987 feb. 3
1988 gen.. 23
1989 feb. 14
1990 gen. 11
1991 gen. 29
1992 lug. 28
1993 giu. 29
[1994]
1884-1905
1907-1909
1910-1911
1912-1913
1914-1915
1916
1917
1918
1919
1920
1921
1922
1923
(1887)*
1891 mag.
1932 lug. 14
1938 lug. 15
1939 lug 10
classi
1882-1895
(Fivizzano)
Liste di
Estrazione
Registri
sommari
classi
...
classi
...
...
1878-1882
1852, 1862
...
1883
1884-[1891]
1900-1920
1852-1855,
1882-1883
note
restituzione
Massa e Pontremoli
Massa e Pontremoli
Pontremoli
Massa e Pontremoli
! 1943 trasferimento sede Archivio
Massa e Pontremoli
Massa e Pontremoli
< ! versa Ufficio di leva di Pisa
& 1 lista renitenti
* Documentazione lasciata in consegna dall’Ufficio di leva all’Archivio di Stato nel Palazzo ducale, sede inizialmente
condivisa dai due uffici.
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:43 Pagina 135
Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
Ipotesi di ordinamento secondo la numerazione dell’elenco del 1943
135
(nella tabella il grigio evidenzia nuclei di documentazione aggregata da una qualche connotazione unificante)
Numerazione
nell’elenco
1-52
materiali
anni
1849-1859
116-123
124-135
136-146
147
148-154
155-157
158
159
160
161-164
165
166
167-383
384-401
402-647
650÷668
Principato di Massa, «Atti di leva»;
Ducato di Modena, legge 5 apr 1849
Leve, Provincia di Garfagnana;
Ducato di Modena, legge 5 apr 1849
Pontremoli, estrazioni
Ducato di Parma, decr. 1822 e 1851
Pontremoli, leve
Bagnone, estrazioni [tutto il
Circondario]
Pontremoli, estrazioni
Pontremoli, leve
Massa, estrazioni
Massa, estrazioni
Pontremoli, registri sommari
Massa, registri sommari
Massa, registro sommario
Protocolli, voll. 5
Renitenti
Massa, leve
Massa, ??
Massa, protocollo
Pontremoli, Leve e Estrazioni
Pontremoli, Regg. sommari
Massa, Leve e Estrazioni
Massa, Regg. sommari
670-750
766-767
53-91
92-95
96-103
104-115
classi di
nascita
1849-1859
1848-1851
1828-1831
1852-1859
1832-1839
1840-1851
1852-1859
1860-1871
1832-1839
1840-1851
1840-1850
1868
1852-1859
1860-1871
1860
1869÷1880
1860-1863
note
in buste
presenti dall’origine
> Archivio della Garfagnana,
serie XII
presenti dall’origine
1832-1839
n. non corrisponde
presenti dall’origine
1840
presenti dall’origine
1840-1847
presenti dall’origine
1852-1877
1856-1877
1851-1877
1852÷1877
versamento 1932
Massa e Pontremoli, Leve
Massa, Estrazioni
1878-1882
1878-1879
versamento 1938
771-786
787-795
Massa e Pontremoli, Leve
Massa, Estrazioni
1883
1883
versamento 1939 set
797-808
809-814
815-816
817
Pontremoli, Leve
Pontremoli, Estrazioni
Pontremoli, Regg. sommari
Fivizzano, Riformati 1916
1854÷1879 versamento 1939 lug
1852, 1862
1851-1855, 1862
1882-1895
1859
1881-1883
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:43 Pagina 136
136
ARChIVIO DI STATO DI PISA
Claudio Lamioni
Versamenti 1889-1994
Versamenti
Serie
Liste di
leva
Liste di
estrazione
Registri
sommari
classi
classi
classi
1889 lug. 29
1933 mag. 12
1842-1849 1842-1849
1842-1877 1842-1877
1842-1849
1842-1877
1934 gen. 18
1878
1878
1878
1935 gen. 10
1936 gen. 17
1937 mag. 12
1938 apr. 2
1939 feb. 8
1940 apr. 9
1942 feb. 2
1948 [ott.]
1953 dic. 15
1961 gen. 3
1988 gen. 22
1989 gen. 26
1990 gen. 9
1991 gen. 22
1992 lug. 24
1993 giu. 28
1994 mag. 16
1879
1880
1881
1882
1883
1884
1885-1886
1887-1903
1904-1909
1910-1916
1917
1918
1919
1920
1921
1922
1923
1879
1880
1881
1882
1883
1884
1885-1886
1887-1890
1879
1880
1881
1882
1883
1884
1885-1886
1887
note
Ufficio circondariale di Pisa
Uffici circondariali di Pisa e di
Volterra
Uffici circondariali di Pisa e di
Volterra
tutta la Provincia
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:43 Pagina 137
Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
ARChIVIO DI STATO DI SIENA
137
Versamenti 1889-1991
Versamenti
Serie
Liste di
leva
classi
Revisione
dei
riformati
Liste di
estrazione
Registri sommari
classi
classi
classi
1842-1849
1850-1851
1852-1854
1855-1856
1857-1858
1859
1860-1861
1862
1863
1864
1865
1866-1884
1842-1849
1851
1852-1854
1855-1856
1857-1858
1859
1860-1861
1862
1863
1864
1865
note
Circondario di Montepulciano
1889 nov. 9
1891 gen. 13
1896 gen. 17
1897 gen. 27
1898 gen. 15
1899 feb. 10
1901 gen. 11
1902 gen. 10
1903 gen. 21
1904 mag. 6
1905 gen. 25
1924 mar. 2
1842-1848
1849-1851
1852-1854
1855-1856
1857-1858
1859
1860-1861
1862
1863
1864
1865
1866-1884
1890 set. 10
1833-1840
1842-1849
1850
1851
1852
1853
1854
1855
1856-1858
1859-1860
1861-1862
1867-1891,
1892-1893
1891 gen. 12
1892 gen. 14
1893 gen. 11
1894 mar. 25
1895 gen. 9
1896 gen. 22
1899 nov. 9
1901 giu. 14
1902 lug. 27
1923 lug. 28
1930 giu. 9
ex circondario di
Siena
ex circondario di
Montepulciano
1940 feb. 7
1880-1893
Circondario di Siena
19 unità preunitarie
1876-1881,
1882-1895,
1886-1894,
1892-1894,
1874-1899
C, 18741899 B,
altre
revisioni
1874-1899
1842-1849
1850
1851
1852
1853
1854
1855
1856-1858
1859-1860
1861-1862
1867-1890
1842-1849
1880-1890
1880-1883
1880-1884
1880-1884
1880-1884
1880-1884
1880-1884
1880-1884
1885-1890
1885-1889
1947 mag. 7
1885-1893
1874-1899
1948 nov. 25
1892-1903
1951 ott. 31
1953 lug. 29
1954 gen. 15
1956 gen. 5
1958 dic. 4
1960 ott. 26
1961 nov. 30
1963 feb. 8
1990 feb. 9
1991 gen. 29
1904-1905
1906-1907
1908
1909-1910
1911-1912
1913-1915
1916
1917
1918-1919
1920
manca verbale
1850-1851
1852-1853
1854
1855
1856-1858
1859-1860
1861-1862
1845-1853,
1867-1883;
«Processi verbali»
1845-1875
1880-1884
1885-1891
Provincia di Siena
Restituzione all’Ufficio di leva
ex Circondario di Siena
ex Circondario di Montepulciano
ex Circondario di Siena
ex Circondario di Montepulciano
tutta la provincia
tutta la provincia; 9 voll.
tutta la provincia
! Guida-Inventario, 1951
! Inventario 125
1^ aggiunta ms. [De Colli]
! 2^ aggiunta ms.
< versa Ufficio di leva di Siena
< versa Ufficio di leva di Siena
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138
APPENDICE II
Claudio Lamioni
Graduatoria tra gli Archivi di Stato della Toscana sulla base degli anni trascorsi tra il primo
versamento di atti della leva ed il primo, anche occasionale, intervento
Archivio di
Stato
Lucca
Grosseto
Pistoia
Firenze
Livorno
Arezzo
Pisa
Massa
Siena
versamenti
primo ordinamento anni di
attesa
1894-1999
1901
7
1959-1991
1971
12
1953-1961
1981
32
1890-...
1925
35
1924-1994
1959
35
1954-1961
1993
39
1889-1994
1936
47
(1887-)1932-1994 (1943) [1960]
(56)
1889-1991
1951
62
archivisti
note
Lippi, Ristori-Pieri, Amico
Petroni
[Tondini]
Sapori, De Rubertis, Maffei
Casini, Prunai-Merli
Antoniella
De Rubertis, Luzzatto
(Mori) trasloco 1943, [Fontanini] classi 1860-1915
Prunai, De Colli
Grosseto:
mancano completamente le Liste di leva delle classi 1857, 1858, 1868, 1871, 1873,
1875, 1887-1890 e risultano gravemente penalizzate quelle delle classi 1872, 1880, 1886;
mancano anche le Liste di estrazione delle classi 1842-1862, 1864, 1866, 1868-1873, 1878,
1887, 1891; i Registri sommari delle classi 1842-1865, 1871-1885.
Pisa:
Nel dettaglio, si segnalano per l’Ufficio di Volterra, le Liste di leva delle classi 18601862, le Liste di estrazione della classe 1891, i Registri sommari per le classi 1887-1891;
per l’Ufficio di Pisa, la Liste di estrazione della classe 1891, i Registri sommari per le classi
1856-1857 e 1887-1891.
Siena:
mancano del tutto i Registri sommari del circondario di Montepulciano delle classi
1866-1890 e le speciali liste formate per la revisione dei riformati durante la Prima guerra
mondiale dello stesso circondario
Arezzo:
mancano i Registri sommari relativi alle classi 1842-1882 e le speciali liste per la revisione dei riformati compilate durante la Prima guerra mondiale.
Massa:
mancano quasi completamente le liste delle classi 1855-1859; i registri sommari delle
classi 1876 e 1878-1891 per il circondario di Pontremoli
dellepresenti
classineppure
1849 ele1878
per
il
None sono
speciali
liste
f
circondario
di Massa; non sono state neppure versate le speciali liste per la revisione dei riformati durante la Grande guerra.
Lucca:
pesantissime lacune, purtroppo, affliggono il fondo: classi 1874-1890 della Garfagnana
(estrazioni dalla classe 1880) e classi 1880-1890 della Lucchesia. Non si hanno testimonianze che spieghino il problema; non sembra comunque un caso che la documentazione
garfagnina non sia mai stata versata e che quella lucchese riguardi classi incluse nelle regressioni del 1929. Non sono presenti neppure le speciali liste formate tra il 1915 ed il 1917
per la revisione dei riformati.
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ARChIVI RIORDINATI
Le leve negli Archivi di Stato della Toscana
139
ARChIVIO DI STATO DI AREZZO
N° d'ordine
1-9
1
2-252
1-1235
1
1-40
Descrizione
Serie
Registri sommari
Liste di estrazione
Liste di estrazione
Liste di leva
Ruolo matricolare
mod.525
Protocollo corrispondenza
Classi
anni
1883-1891
1841
1842-1890
1842-1920
1852
note
disciplina unitaria
disciplina R. Governo della Toscana
disciplina unitaria
nn. 579-742
1901-1949
ARChIVIO DI STATO DI GROSSETO
N° d'ordine
Descrizione
Serie
Classi
1-41
42-58
59-69
70-85
86-98
99-466
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
Liste di leva
Revisione dei riformati
Liste di leva
1842-1891
1863-1890
1866-1891
1892-1899
1874-1899
1900-1920
anni
note
anni
note
Circondario di Castelnuovo di Garfagnana
ARChIVIO DI STATO DI LUCCA
N° d'ordine
1-18
19-102
103-157
158-190
191
192-504
505-677
678-754
755-814
815-816
Descrizione
Serie
Classi
Liste di leva e estrazione
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
Lista dei renitenti
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
«Corrispondenza e
Documenti»
renitenti, estrazioni, etc.
1840-1857
1858-1891
1858-1890
1840-1879
1875
1842-1891
1842-1890
1842-1887
1851-1860
Liste di leva
elenco residenti in
provincia e all'estero
1892-1923
1941
1838-1866,
con lacune
Circondario di Lucca
1872-1881
miscellanea
Provincia di Lucca
817-1228
1229
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140
ARChIVIO DI STATO DI MASSA
Claudio Lamioni
N° d'ordine
Descrizione
Serie
Classi
1-262
263-396
397-428
429
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
miscellanea
1840-1891
1840-1890
1840-1891
1845,1865,1868
430-961
962-1050
1051-1080
1081-1088
1089
Liste di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
Protocollo corrispondenza
miscellanea
1840-1891
1840-1890
1840-1877
1090-1435
1436-1463
1464-1467
Liste di leva
Liste dei riformati
Lista dei renitenti
1892-1923
1900-1920
1841-1842,
1941
anni
note
Circondario di PoQtremoli
Circondario di Massa
1869-1885
1942,1844-1845
Provincia di Massa Carrara
ARChIVIO DI STATO DI PISTOIA
N° d'ordine
1-4
4-92
93-156
157-216
217-263
264-275
276-299
300-321
322-534
Descrizione
Serie
Liste di leva e di estrazione
Lista di leva
Liste di estrazione
Registri sommari
Liste di leva
Revisione dei riformati
Liste di leva
Classi
note
1833-1841
1842-1879
1880-1891
1846-1879
1880-1890
1880-1891
1892-1899
1874-1899
1900-1914
Valdinievole; disciplina preunitaria
Valdinievole; disciplina unitaria
Pistoia e Valdinievole
Valdinievole
Pistoia e Valdinievole
Pistoia
Pistoia e Valdinievole
Pistoia e Valdinievole
Pistoia e Valdinievole, poi Provincia di Pistoia
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:43 Pagina 141
IL PROGETTO ALISTO E IL FONDO MISCELLANEO
DI MAPPE MILITARI DELL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE
Il progetto ALISTO. – ALISTO –Ali sulla storia è un progetto finanziato nell’ambito del Programma di cooperazione transfrontaliera Italia Slovenia 2007-2013
coordinato dalla Provincia di Treviso con partner la Marco Polo System geie1 - società di diritto comunitario del Comune di Venezia che si occupa tra l’altro del recupero, della valorizzazione e della conoscenza del sistema fortificato della città
di Venezia con i suoi più di cento forti -, il Comune di Monfalcone (GO), il Comune
di Lugo (RA), il Comune sloveno di Divača, l’Agenzia di sviluppo regionale RRA
di Nova Gorica (SLO) e la Fondazione Poti miru v Posočju (Le vie della pace
nell’Alto Isonzo) di Kobarid/Caporetto (SLO). Il progetto si propone di «volare»
sul paesaggio storico del territorio italiano e austro-ungarico della prima guerra
mondiale ponendo in sinergia l’analisi storica con l’innovazione tecnologica del
volo simulato.
Per la prima volta, durante la Grande guerra, su tutti i fronti l’intero territorio
nel quale si svolgeva il conflitto e fasce molto profonde alle sue spalle, vennero sistematicamente rilevati, non solo attraverso la riproduzione cartografica o il lavoro
dei «pittori di guerra» ma anche e soprattutto attraverso l’aerofotografia.
Milioni di foto sono state scattate su tutta l’Europa durante centinaia di migliaia di voli e un’intera area del nostro paese comprendente Lombardia, Trentino,
Sud Tirolo, Veneto e Friuli Venezia Giulia è stata di fatto rilevata quasi a tappeto
permettendoci la straordinaria possibilità di ricostruire il paesaggio storico che, in
particolare in queste aree, l’agire dell’uomo e l’agire della natura hanno in poco
tempo significativamente mutato. Le aree pianeggianti del Veneto e del Friuli e in
parte anche le loro zone collinari, a partire proprio dal primo dopoguerra, hanno
infatti subito profonde e forse anche violente trasformazioni. Si pensi, per la parte
dovuta all’impatto antropico, alle ingenti opere di bonifica che tra le due guerre
hanno portato ad una profonda trasformazione delle aree costiere, alla progressiva
scomparsa di boschi planiziali sacrificati alla coltivazione ma anche, ovviamente,
1
Il geie (gruppo europeo d’interesse economico) è una nuova forma di cooperazione e partenariato
europeo transnazionale che consente ad istituzioni ed enti privati e pubblici di esercitare in comune alcune attività ai fini della partecipazione ai programmi dell’Unione europea. Per questo scopo il geie
agisce anche al fine di assicurare la valorizzazione, il recupero e la gestione del patrimonio culturale ed
ambientale appartenente ai territori di riferimento dei soggetti aderenti, con particolare riguardo al patrimonio militare dismesso.
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:43 Pagina 142
142
Mauro Scroccaro
alla forsennata urbanizzazione partita dagli anni ’60 del secolo scorso, oggi forse
appropriatamente battezzata come «il nord est dei capannoni», mentre al normale
agire della natura si devono, in parte, il mutare del corso dei fiumi o la modifica
delle linee di costa. Il progetto ALISTO si propone quindi attraverso la ricostruzione e lo studio della aerofotografia realizzata dall’aviazione italiana ed austroungarica l’elaborazione di un metodo per la ricostruzione del paesaggio storico,
quale utile strumento non solo alla conoscenza ma anche all’attività di enti e sovrintendenze all’atto dei rilasci delle competenti autorizzazioni. Accanto a ciò prevede la realizzazione di alcuni simulatori di volo che permetteranno di «volare»sui
territori dei fronti veneto e friulano del 1915-1918, la realizzazione di un itinerario
turistico culturale sui siti dei campi di volo che a decine erano presenti sui territori
dell’area di programma (aree slovene di confine, province di Trieste, Gorizia,
Udine, Pordenone, Treviso, Venezia, Rovigo, Ferrara), alcune attività didattiche e
divulgative sul tema dell’uso dell’aviazione durante la Grande guerra dal momento
che per l’immaginario collettivo la guerra aerea nel primo conflitto mondiale fu
soprattutto una guerra nei cieli, fatta di eroi solitari, di cavallereschi duelli a bordo
di precarie macchine volanti, di assi a volte stravaganti cui comunque tutto era consentito. In realtà la guerra aerea nella prima guerra mondiale fu soprattutto e molto
di più una guerra dai cieli; cieli nei quali si incrociavano potenti trimotori da bombardamento con lenti dirigibili, palloni frenati per dirigere il tiro delle artiglierie
con vulnerabili aerei per la ricognizione. Uomini e mezzi la cui attività fu sistematica, quotidiana, destinati a pagare un alto tributo alle loro indispensabili missioni
ma destinati anche a rimanere lontani dai riflettori di quella gloria che la propaganda trovava più efficace per i loro colleghi della caccia.
Nell’ambito del progetto ALISTO, Marco Polo System geie si è occupato
delle attività di ricerca scientifica volte all’individuazione e allo studio dei fondi
e dei materiali documentari indispensabili o utili alla realizzazione degli obiettivi
del progetto. Un’attività che ha dovuto fare i conti con la grande disseminazione
che, specie per il materiale fotografico, si registra nel nostro paese. Infatti, se per
la parte di competenza austro-ungarica centinaia di migliaia di foto, potremmo
dire quasi tutti gli originali scattati dalle Luftfahrtruppen, sono conservate al
Kriegsarchiv di Vienna2, non altrettanto lineare è la ricerca in Italia dove questo
materiale non è conservato nella sua organicità in nessun istituto in particolare ma
è disperso piuttosto in tanti fondi di diversi archivi o raccolte sia pubbliche che
private. A titolo di esempio si consideri come a fronte delle diverse copie che venivano stampate della stessa foto direttamente nei laboratori fotografici dei campi
di volo o nei laboratori dei Comandi di gruppo per essere inviate dopo lo studio e
le annotazioni ai vari altri comandi o reparti interessati, pratica che farebbe supporre la presenza di tali documenti in quantità più che consistenti almeno tra gli
archivi dei Comandi d’armata o dei Comandi di corpo d’armata, in realtà presso
2
Al momento però delle ricerche condotte durante le attività di progetto, tra il 2011 e il 2012,
tutte le foto in lastra, che rappresentano di fatto l’assoluta maggioranza dei documenti conservati al
Kriegsarchiv, non erano consultabili per ragioni di conservazione. Sono invece state consultate e acquisite in copia un migliaio di immagini sviluppate su pellicola, realizzate in buona parte dopo lo sfondamento di Caporetto tra il novembre del 1917 e la fine dell’estate del 1918.
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:43 Pagina 143
Il progetto ALISTO e il fondo di mappe militari dell’Archivio di Stato di Firenze
143
nessuno degli Uffici storici degli Stati maggiori dell’aeronautica, dell’esercito e
della marina è presente un fondo specifico che raccolga lastre o foto su pellicola
della ricognizione aerea3. Per contro si è rinvenuto materiale, anche se in quantità
assai limitate, presso l’Istituto storico e di cultura dell’Arma del genio di Roma,
l’Aerofototeca nazionale di Roma, il Museo centrale del Risorgimento sempre di
Roma, il Museo del risorgimento di Bologna, il Museo della III armata di Padova.
Raccolte di materiale fotografico, frutto della ricognizione aerea, si trovano
presso il Museo della guerra di Rovereto, la Fototeca Panini di Modena, l’Archivio
storico della Provincia di Gorizia, il Museo dell’aeronautica Gianni Caproni di
Trento4.
Le carte militari dell’Archivio di Stato di Firenze.– Dopo aver visitato senza
successo l’Istituto geografico militare di Firenze, ci si è rivolti all’Archivio di Stato
di Firenze, dato che la città era stata sede del Comando del VI corpo d’armata, nell’ipotesi di donazioni private da parte di ufficiali o ex ufficiali particolarmente legati
alla città. È in questa occasione che, chiedendo informazioni sulla eventuale presenza di fondi fotografici o cartografici relativi alla Prima guerra mondiale, grazie
alla disponibilità e alla competenza del personale dell’Archivio di Stato, ci si è imbattuti in un fondo di incerta provenienza, costituito da due parti: 12 pacchi di
mappe piegate e 108 unità di mappe arrotolate, tra pacchi (che contengono più fasci
di mappe) e fasci singoli.
I 12 pacchi sono numerati da 1 a 11 + 7bis e contengono 930 mappe, a loro
volta numerate a matita blu da 1 a 499 con molti numeri bis. In pratica si tratta di
499 soggetti geografici originali, più un numero variabile di doppioni di alcuni
degli stessi.
Tra queste mappe sono comprese sia normali carte topografiche, sia mappe
propriamente militari indicanti le posizioni italiane o austriache e il loro evolversi
nel tempo, più o meno dal 1916 al 1918. Le mappe militari sono state individuate
in 334 unità di cui 241 austriache, 55 italiane, 36 inglesi e 2 francesi. Tra le carte
di origine austro-ungarica 35 sono disegni, perlopiù della zona relativa al fronte
Pasubio-Asiago, mentre i disegni tra quelle italiane sono 6 in tutto, dei quali 4 ricavati da foto. Solo queste 334 mappe sono state selezionate per il progetto di riproduzione.
3
Si tenga presente che l’Aeronautica come forza armata indipendente venne costituita in Italia
nel 1923. Fino a quella data Regio Esercito e Regia Marina avevano proprie sezioni aeronautiche. Ne
consegue che non tutti i documenti relativi all’aviazione durante la Prima guerra mondiale sono oggi
conservati presso l’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’aeronautica.
4
Sintomatico è proprio il caso del Museo dell’aeronautica Gianni Caproni di Trento che conserva
il fondo Cattoi, costituito da più di 6.000 foto della ricognizione aerea del periodo della Prima guerra
mondiale e degli anni subito successivi, raccolte personalmente da Costantino Cattoi, ufficiale osservatore durante la Grande guerra rimasto poi in servizio attivo nella Regia Aeronautica. Ugualmente la
Raccolta aeronautica del Fotomuseo Giuseppe Panini di Modena, costituita da 420 raccoglitori, è in
gran parte il risultato, attraverso il contatto diretto con molti veterani, dell’attività di ricerca di Rinaldo
Dami, illustratore, fumettista e appassionato di aeronautica. Cfr. S. BULGARELLI, L’archivio aeronautico
Giuseppe Panini storia di una raccolta, in Il folle volo. Uomini e aerei della Prima Guerra Mondiale,
a cura di S. BULGARELLI - R. RUSSO - P. VARRIALE, Modena, Panini, 2007, pp. 13-18.
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Mauro Scroccaro
Uno spoglio sistematico dell’intero fondo, denominato provvisoriamente
Miscellanea di mappe militari della Prima guerra mondiale, ha portato a rilevare
la straordinaria importanza dei documenti contenuti: un numero consistente di
carte topografiche provenienti da comandi austro-ungarici e relative a tutto il
fronte italiano del 1915-1918 e in parte anche agli altri fronti nei quali era impegnato l’esercito asburgico nei Balcani, nei Carpazi e nelle pianure galiziane. Accanto a queste carte si è riscontrata la presenza di disegni e di rilievi anche di
discreto valore estetico relativi a viste sul fronte ritratte da particolari posizioni
di prima linea o da fortificazioni vicine alla linea di fuoco, da attribuire forse,
vista la loro qualità e per quelli relativi alla parte austro-ungarica (la maggioranza), ai Kriegsmaler, i «pittori di guerra»; una vera e propria specialità tra i reparti dell’esercito asburgico, che venivano arruolati tra artisti più o meno
affermati5. Di notevole interesse alcune carte britanniche appartenenti alle truppe
alleate operanti nella zona dell’Altipiano di Asiago, assai utili per compararne la
funzionalità e i criteri di realizzazione con quelli degli altri eserciti, sia avversari
che alleati. Sulla presenza e l’importanza delle carte austro-ungariche, se da un
lato è da rilevare che non si tratta di unici, dall’altro va detto che per poterne vedere di simili in termini di quantità e di contenuti bisogna recarsi al Kriegsarchiv
di Vienna. Attraverso lo studio e l’analisi di queste carte è possibile ottenere una
serie di informazioni molto interessanti sulla trasformazione e la creazione di infrastrutture sul territorio ai fini bellici operate in questo caso dall’esercito italiano.
Non vengono riprodotte solo le diverse linee di combattimento e con esse il puntuale andamento delle trincee e delle postazioni di artiglieria alle loro spalle
(molto spesso per ogni singolo pezzo) ma anche, per ampie aree all’interno, le
strutture logistiche come magazzini, depositi, strade, ferrovie, campi di volo, comandi, laboratori, ospedali. Insomma tutto quello che potremmo definire come
quella complessa organizzazione della macchina bellica della quale, concluso il
conflitto, si è persa la memoria e la conoscenza. Citiamo per tutti il caso dei
campi di volo, strutture all’epoca molto elementari, ricavati su dei semplici prati
con pochi e leggeri elementi di appoggio come hangar di tela o baracche in legno,
rapidamente installabili e per questo anche altrettanto rapidamente spostabili o
sostituibili, che poco hanno a che fare con l’idea che abbiamo oggi di aeroporti
con lunghe piste asfaltate, robusti hangar, grandi officine. Nessuna di queste strutture è sopravvissuta e la loro stessa ubicazione oggi non è più riconoscibile se
non attraverso carte come queste, la cui realizzazione si deve all’osservazione e
alla fotografia aerea6. Analogo discorso può valere per le tante «città di legno»
5
Il Comando supremo dell’armata austro-ungarica aveva creato nel 1914 un Kunstgruppe
(Gruppo artistico) nel quale furono riuniti pittori incaricati di usare, nel servizio militare di guerra,
invece che le armi, le loro capacità artistiche. Ricevevano il titolo di Kriegsmaler e avevano grado e
uniforme da ufficiale. Disponevano di appositi lasciapassare per il libero accesso a tutte le postazioni
militari e i componenti di questo gruppo produssero le loro opere in pieno teatro bellico, liberi in generale da condizionamenti e da fini propagandistici.
6
A conferma di ciò si cita una delle didascalie riportate nelle carte italiane: Comando della III
Armata/ Sezione II (Informazioni)/ Sistemazione difensiva austriaca desunta da fotografie di aviatori
e da informazioni di prigionieri.
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Il progetto ALISTO e il fondo di mappe militari dell’Archivio di Stato di Firenze
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sorte nelle retrovie per ospitare le truppe in riposo, i magazzini o i laboratori, poi
rapidamente scomparse come le tante piccole ferrovie decauville (a scartamento
ridotto) che attraversavano in lungo ed in largo il territorio per spostare rapidamente uomini e mezzi7. Si tratta dunque di un patrimonio di informazioni la cui
utilità va ben oltre gli immediati obiettivi del progetto ALISTO. Da queste considerazioni è derivata la proposta di approfittare delle opportunità offerte dal progetto che, prevedendo dei fondi per la riproduzione dei materiali utili alla
ricostruzione del territorio all’epoca del conflitto, offre anche la possibilità di
realizzare la digitalizzazione di questi importanti documenti destinati ad essere
poi messi con più facilità ed immediatezza a disposizione degli studiosi e degli
appassionati.
Da bottino di guerra a patrimonio dell’Archivio di Stato di Firenze. – Tentiamo di formulare qualche ipotesi su come possa essersi formato questo fondo archivistico assimilandolo, per la parte di carte di provenienza austro-ungarica, ad
uno dei tanti bottini di guerra di quei concitati primissimi giorni di novembre del
1918 durante i quali si consumava non tanto e non solo la sconfitta di un esercito
che aveva combattuto compatto per oltre quattro anni sui fronti di mezza Europa,
quanto piuttosto la sua letterale dissoluzione con il naturale corollario di fughe e
abbandoni8. Per fare ciò è necessario con una estrema sintesi tentare di spiegare
come era strutturato l’Impero austro-ungarico e come era organizzato il suo esercito. Dopo l’Ausgleich (compromesso) del 1867, seguito alla sconfitta contro la
Prussia e alla perdita del Veneto e del Friuli, la parte ungherese dei territori degli
Asburgo ottiene di fatto quella sostanziale autonomia per la quale si era a lungo
battuta mantenendo nella sola figura del sovrano l’elemento di unione con il resto
della compagine asburgica. Francesco Giuseppe è imperatore d’Austria e re d’Ungheria e le due parti dell’impero hanno governi e parlamenti autonomi, un confine
interno sul fiume Leith, un piccolo affluente del Danubio, tre soli ministeri in comune: quello degli esteri, quello delle finanze, quello della guerra. Non c’era una
cittadinanza comune e un residente austriaco doveva essere naturalizzato se voleva
diventare un cittadino ungherese e viceversa.
Nel regno d’Ungheria ricadevano la Slovacchia, la Croazia, la Transilvania
e vivevano oltre ai magiari, slovacchi, croati, italiani, serbi, sloveni, rumeni, tedeschi. Il resto dei territori imperiali non aveva nemmeno un nome preciso, ed era
designato come «il regno e le regioni rappresentate nel Reichsrat» oppure anche
più semplicemente Cisleithania. Comprendeva quasi tutta l’Austria attuale (meno
il Burgenland allora ungherese), la Boemia, la Moravia, la Galizia, il Trentino, il
Sud Tirolo, Gorizia, Trieste e l’Istria con tutte le isole della Dalmazia fino a Cattaro e vi erano tedeschi, cechi, polacchi, ruteni (come venivano chiamati allora
gli ucraini), italiani, sloveni, croati, serbi, montenegrini. La Bosnia - Erzegovina
non appartenendo direttamente a nessuna delle due parti era amministrata dal Mi7
Lo stesso non possiamo dire per esempio delle strade, dato che moltissime di queste, aperte proprio per esigenze belliche, sono ancora oggi in uso, specie nelle zone alpine.
8
Si veda a questo proposito il volume di G. PRIMICERJ, 1918 cronaca di una disfatta. Testi e documenti austriaci sul crollo militare dell’Impero absburgico, Milano, Mursia, 1988.
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nistero delle finanze. Tutto ciò che apparteneva in comune alle due parti dell’Impero era definito Imperiale e Regio, K.u.K. (Kaiserlich und Königlich), ciò che
era ungherese era Regio (K), ciò che era austriaco, termine che usiamo per semplificare il concetto di Cisleithania, era Imperialregio, KK (Kaiserlich-Königlich)9.
Così anche l’esercito aveva una sua tripartizione comprendente l’imperiale e regio
esercito comune (Kaiserliche und Königliche Armee) alle dipendenze del Ministero della guerra, l’esercito nazionale ungherese (Magyar Királyi Honvédség)
alle dipendenze del Ministero della difesa ungherese e l’esercito austriaco (Kaiserlich-Königliche Landwehr) alle dipendenze del Ministero della difesa austriaco.
Sia in Ungheria che in Austria esistevano poi le unità dei Landstürmer (la leva
territoriale di massa), formate dai giovani di diciannove e vent’anni che non avevano ancora prestato il servizio di leva (che si prestava al ventunesimo anno compiuto) e da tutti gli uomini abili dai trentuno ai cinquantacinque anni che avevano
ultimato il periodo di riservista attivo. Completavano questo quadro già abbastanza
complicato varie formazioni volontarie come quella degli Standschützen tirolesi,
composta di vecchi e giovanissimi che nei primi giorni di guerra sul fronte alpino
riuscirono a bloccare le prime spinte italiane e che nominavano da sé i propri comandanti e ufficiali. L’esercito comune veniva naturalmente levato in tutti i territori con soldati di tutte le varie nazionalità e ne facevano parte i reggimenti della
Bosnia - Erzegovina. Anche senza voler ripercorrere le vicende e le dinamiche
che portarono negli ultimi mesi di guerra all’implosione dell’Impero austro-ungarico, basta forse da solo questo complesso quadro di architetture etniche ed istituzionali per comprendere facilmente come, mentre all’indomani della primavera
del 1918 nel vecchio impero nascevano e si formavano nuovi Stati nazionali,
anche nelle unità dell’esercito logorato da quattro anni di una guerra durissima
cominciasse ad affermarsi la volontà di tornare a casa, a difendere le proprie terre
lontane da quei confini e da quella guerra che non aveva più senso per nessuno.
Così i magiari chiamati in patria a difendere i confini dalle aggressioni rumene,
serbe, croate o cecoslovacche. Croati e sloveni preoccupati di frenare le mire italiane ma anche di ottenere per il nuovo Regno dei serbi, croati e sloveni10 le zone
mistilingue della Stiria o della Carinzia. Polacchi preoccupati di allargare i confini
del loro nuovo stato verso la Boemia e l’Ucraina e ucraini spaventati di rimanere
sotto il giogo polacco. Infine italiani del Trentino, del Friuli austriaco e della Venezia Giulia più o meno entusiasti ma comunque destinati ad essere redenti e a
diventare cittadini italiani. In questo contesto l’esercito si sfalda perché pochi,
solo gli austriaci, lo riconoscono come loro e dunque fughe e abbandoni che uno
Stato ed una istituzione non più esistente non riescono a controllare. Come collegare questo contesto con le carte dell’Archivio di Stato di Firenze? Riportiamo
due piccoli brani di due diversi diari che ci raccontano cosa potrebbe essere accaduto in quegli ultimi giorni di guerra.
Il primo è tratto dal diario di Lucrezia Camera, un’infermiera volontaria italoPer tutta la complessa vicenda dell’impero asburgico e della sua impalcatura istituzionale si
veda A.A. MAy, La monarchia asburgica, Bologna, il Mulino, 1973.
9
10
Dal 1929 Regno di Jugoslavia.
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Il progetto ALISTO e il fondo di mappe militari dell’Archivio di Stato di Firenze
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americana che, dopo lo sfondamento di Caporetto, gestisce a Treviso un Posto di
conforto della Croce Rossa per le truppe di passaggio. Da qualche giorno è finita
la guerra ma la sua attività è ancora molto intensa e il Posto assai frequentato:
Il Capitano NL portò dentro alcune interessanti carte che aveva trovato in un comando
austriaco vicino al Piave. Una era una mappa di aviatori di Treviso, con ogni punto militare
chiaramente segnato con un cerchio rosso (..) e anche una mappa di Treviso trovata in un
comando di artiglieria austriaco con un grosso quadrato rosso per segnare porta Mazzini11.
Il secondo è il resoconto del capitano Alfredo Fiocca del battaglione alpini
«Cuneo» che, oltrepassata la linea del fronte sul vecchio confine, stava operando
con la sua unità dallo Stelvio verso la Val Venosta:
«Trafoi è in vista: appare per primo un albergo semidistrutto da un nostro bombardamento. Lungo la strada una seminagione di elmetti, maschere, fucili, coperte, diceva chiaramente in qual fuga disordinata il nemico fosse sceso dallo Stelvio. Nel centro di Trafoi,
davanti a un caseggiato, una larga seminagione di carte ci indica la ex sede di un comando
nemico. Entriamo in una casa: disordine indescrivibile, mobili sfondati, fogli dattiloscritti
sparsi sul pavimento, carte topografiche alle pareti (….)»12.
Facile pensare che simili episodi possano essersi verificati in diversa misura
in tantissime altre località di un fronte lungo più di 600 chilometri, lasciando nelle
mani di singoli ufficiali carte e documenti la cui destinazione finale in quel momento non era sicuramente la preoccupazione principale.
Resta da chiarire come questo importantissimo e straordinario corpo documentario, bottino di guerra militare, sia entrato a far parte dei depositi dell’Archivio
di Stato di Firenze13.
Lo raccontiamo facendo largo ricorso a citazioni di documenti conservati
presso l’Archivio di Stato di Firenze14, poiché quelle parole, scritte poco meno di
cent’anni fa da scrupolosi e lungimiranti funzionari, suonano straordinariamente
attuali per noi che oggi di quelle carte siamo i fruitori.
Il 24 marzo del 1919 l’Istituto geografico militare di Firenze faceva conoscere
con un fonogramma al Regio Archivio di Stato che
«per assoluta deficienza di locali disponibili, per il continuo affluire di materiale dalla
zona di guerra, è costretto a cedere immediatamente alla Croce Rossa Italiana, come da ordine ministeriale, le carte di rifiuto delle varie unità mobilitate, i cui esemplari in n° di 50
11
Porta Mazzini era la località dove si trovava il Posto di conforto. L. CAMERA, Porta Mazzini.
L’ultimo anno della Grande Guerra a Treviso nel diario di un’infermiera volontaria italo-americana,
Treviso, Istresco, 2010, p. 319.
12
P. POZZATO, Vittorio Veneto. La battaglia della vittoria (24 ottobre - 4 novembre 1918), Treviso,
Istresco, 2008, pp. 99-100.
13
Le informazioni che seguono si devono alle ricerche di Claudio Lamioni, funzionario archivista
di Stato non più in servizio, già responsabile del settore degli archivi del Regno d’Italia e della Repubblica Italiana.
14
ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE, Archivio, Affari, b. 416, fasc. 153.
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Mauro Scroccaro
per serie, saranno trasmessi a cotesto Archivio di Stato, appena ultimato il lavoro di cernita
dei vari tipi (…)»15.
La consegna alla Croce rossa italiana significava consegna delle carte per il
macero e il riciclo con il cui ricavato l’associazione di soccorso contribuiva a provvedere al proprio sostentamento. Significava insomma distruzione. Subito il giorno
successivo, 25 marzo 1919, il soprintendente dell’Archivio di Stato si affrettava a
rispondere all’Istituto geografico militare che prima della cessione alla Croce rossa
bisognava ottenere l’approvazione del Ministero dell’interno ma anche che:
«avendo interrogato il Soprintendente del R° Archivio di Stato di Venezia, il Direttore
di questa Biblioteca Nazionale Centrale e il Presidente della R. Deputazione di Storia Patria,
(…), hanno tutti convenuto nell’interpretazione su esposta e che è necessario conservare
come documenti e come cimeli storici importantissimi e trofei di guerra, almeno 50 esemplari di ogni carta»
dichiarando altresì di poter mettere temporaneamente a disposizione per quei
materiali alcuni locali degli Uffizi corti sul Lungarno16.
In quella stessa data il soprintendente coinvolgeva nella questione il Ministero
dell’interno:
«L’Archivio, avendo saputo che questo Istituto Geografico Militare aveva liberamente
disposto la cessione alla Croce Rossa di un’ingente quantità di carte topografiche prese al
nemico per molte tonnellate, che qui sono affluite ed affluiscono dalla zona di guerra, si è
creduto in dovere d’avvertirlo che, in conformità della circolare 21 marzo 1916, n. 8900.22,
di cotesto on. Ministero (…), di tali carte è necessario sia compilato l’elenco in duplice
esemplare, per la prescritta approvazione del Ministero. Dette carte sono in parte riproduzioni delle carte italiane dell’Istituto Geografico stesso, però con diciture tedesche e aggiunte e indicazioni preziosissime segnanti le traiettorie delle artiglierie, e il corso degli
aeroplani e idrovolanti. Si estendono non solo alle zone di guerra italiana e austriaca, ma
molte di esse giungono da una parte sino a Firenze, dall’altra oltre Innsbruck, Lubiana, ecc.
L’Istituto Geografico, dicendosi autorizzato dal Comando Supremo e dal Ministero della
Guerra, accampando ragioni di ristrettezza di tempo e locali, osservando che, agli effetti
militari, non hanno più alcun valore pratico, non vorrebbe recedere dal proposito di consegnarle immediatamente alla Croce Rossa. Al sottoscritto pare che, per lo spirito del noto
D.L. sugli scarti e per le migliori norme della scienza archivistica, queste carte non possono
essere considerate come moduli stampati di servizio o stampati letterari e scientifici qualunque, (…), ma che, per l’uso a cui dovevano servire o hanno servito, esse, per non essere
in commercio, per avere, anzi, alcune di esse carattere di riservatezza, debbono considerarsi
come documenti veri e propri. (…). Ad ogni modo, quand’anche non esistesse una precisa
disposizione legislativa, converrebbe, una volta scoperto il pericolo della distruzione, cercare d’impedirlo. È ovvio, infatti, il pensare che il potersi soltanto conoscere a quali regioni
e con quali particolari si estendono queste carte, avrà, per i lontani studiosi della più famosa
e gloriosa nostra epopea, un’importanza storica grande. A parte ciò, saranno questi preziosi
e curiosi cimeli e trofei di guerra che potranno essere desideratissimi non solo dai nostri
15
16
Ibid., lettera del 24 marzo 1919, prot. 1724, «Scarto atti dell’Istituto geografico militare di Firenze».
Ibid., lettera del 25 marzo 1919, prot. 1763, «Scarto».
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Il progetto ALISTO e il fondo di mappe militari dell’Archivio di Stato di Firenze
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maggiori Archivi, Biblioteche e Musei, ma anche dai minori Istituti delle città redente,
come Trento, Trieste, Zara, ecc. Per queste ragioni, ho pensato bene di far noto all’Istituto
che avrei giudicato di poter apporre il Nulla osta all’elenco, solo quando fossi assicurato
che almeno 50 copie per ogni carta sarebbero conservate agli scopi suesposti. (…)»17.
Il 28 marzo del 1919 la questione è già felicemente chiusa con la comunicazione da parte del direttore dell’Istituto geografico militare che sarebbero state consegnate all’Archivio di Stato di Firenze 50 copie di tutte le carte edite nell’ex
Impero austro-ungarico pervenute, o che sarebbero pervenute in seguito, quale
preda di guerra, impegnandosi ad inoltrare comunque tutte le carte disponibili anche
se in numero inferiore alle 5018.
MAURO SCROCCARO
Marco Polo System geie
17
18
Ibid., lettera del 25 marzo 1919, prot. 1764, «Istituto geografico militare di Firenze - Scarti».
Ibid., lettera dell’Istituto geografico militare di Firenze del 28 marzo 1919, prot. 275, «Scarti».
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IL TRIBUNALE MILITARE DI FIRENZE: STORIA DI UN ISTITUTO
E VICISSITUDINI DI UN ARChIVIO. qUALChE CENNO
La storia. – La più antica documentazione dell’archivio del Tribunale militare
di Firenze risale ai primi mesi del 1860.
Il nuovo organo, che prende avvio nel 1860, si innesta infatti sulla struttura
preesistente e i procedimenti giudiziari che si concludono nei primi mesi del 1860
hanno avuto inizio nel periodo precedente. Il Tribunale militare di Firenze svolge
inizialmente la propria attività secondo la normativa toscana, sostituita, nell’arco
di breve tempo, nel febbraio del 1860, da quella sabauda.
Il 1° maggio 1859 in Toscana, il Governo provvisorio, nominato il 27 aprile
1859, decide di sottoporre a revisione il Codice militare toscano del 9 marzo 1856
e il Regolamento organico e di procedura dei Tribunali militari del 12 agosto 18561.
L’11 maggio 1859 decade il Governo provvisorio e il Commissario straordinario nominato da Vittorio Emanuele II con funzioni di Capo di Stato, Carlo Bon
Compagni, forma un Gabinetto di governo per la Toscana2.
Alla vigilia dell’unificazione italiana, Vittorio Emanuele II, con legge del 1°
ottobre 1859, n. 36923, estende il Codice militare sardo del 1840, rinnovato, a tutto
l’esercito del nascente Regno d’Italia.
Tale codice prevede che la giustizia militare sia amministrata in tempo di pace da:
- Commissioni d’inchiesta per l’istruzione del procedimento penale, la raccolta
di prove e testimonianze e la proposta delle sanzioni4;
- Tribunali militari territoriali, in ogni capoluogo di Divisione militare territoDecreto del Governo provvisorio di Toscana 1° maggio 1859, n. xxxIII, in Atti del Governo
provvisorio toscano dal 27 aprile all’11 maggio 1859, Firenze, Stamperia governativa, 1859. Decreto
granducale 9 marzo 1856, n. xxxI e Decreto granducale 12 agosto 1856, n. LxxI, in Leggi e Bandi
di S.A.I. e R. dal 1° gennaio a tutto dicembre 1856, Firenze, Stamperia granducale, 1856.
1
2
Memorandum del Governo provvisorio di Toscana 2 maggio 1859, n. xxxIx, in Atti del Governo provvisorio toscano dal 27 aprile all’11 maggio 1859, Firenze, Stamperia governativa, 1859, in
cui si da conto della creazione del Governo provvisorio e si preannuncia l’arrivo del Commissario straordinario inviato dal Governo piemontese cui verrà affidato il reggimento della Toscana. Per il passaggio
di poteri al Commissario straordinario si veda anche il proclama del Governo provvisorio 11 maggio
1859, n. LxII, Firenze, Stamperia governativa, 1859, e il proclama del Commissario straordinario Carlo
Bon Compagni 11 maggio 1859, n. I, in Atti del Regio Governo della Toscana da 11 maggio a 31 dicembre 1859, Firenze, Stamperia reale, 1860.
3
4
Codice penale per gli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, Stamperia reale, 1859.
Ibid., Parte II, Libro I, art. 394 sgg.
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Il Tribunale militare di Firenze: storia di un istituto e vicissitudini di un archivio
151
riale e Tribunali presso le truppe concentrate, formati da sei ufficiali ed un segretario, per il dibattimento e il giudizio5;
- un Tribunale supremo di guerra per gli appelli e i ricorsi in nullità contro le
sentenze emanate dai Tribunali o decisioni di non luogo a procedere delle
Commissioni6.
In tempo di pace sono assoggettati a giurisdizione militare: i militari appartenenti all’esercito, gli ufficiali in disponibilità o in aspettativa, gli invalidi incorporati, tutti gli individui che sono, per provvedimento organico, assimilati ai militari,
i disertori, i militari che stanno scontando le pene della reclusione militare o del
carcere militare7.
Diversamente, nei luoghi dichiarati in stato di guerra:
- cessa la giurisdizione dei Tribunali militari territoriali e a questi subentrano i
Tribunali militari di guerra, in numero determinato dalla necessità, la cui composizione dipende dalle circostanze8; in aggiunta, in caso di gravi reati sanzionabili con la morte i cui responsabili siano stati colti in flagranza, il
comandante dell’unità militare può convocare un Tribunale militare straordinario, organismo a carattere eccezionale, convocato di volta in volta secondo
necessità, il cui collegio giudicante è composto da sei ufficiali operanti nello
stesso reparto dei militari processati9.
- mancano le Commissioni d’inchiesta normalmente filtro di garanzia per i denunciati, così che la semplice denuncia di un superiore basta a rinviare a giudizio il supposto colpevole10.
- manca il ricorso al Tribunale supremo di guerra per gli appelli e i ricorsi in
nullità contro le sentenze emanate dai Tribunali militari.
In tempo di guerra sono assoggettati a giurisdizione militare: i militari e tutte
le persone che, sotto un titolo qualunque, abbiano un impiego o un’ingerenza presso
gli Stati maggiori, nelle amministrazioni o nei servizi relativi all’esercito, ogni individuo che si trovi a qualunque titolo al seguito dell’esercito, i prigionieri di
guerra. È altresì soggetto alla giurisdizione militare chiunque sia colpevole dei reati
di tradimento, spionaggio, subornazione11.
Nel dicembre dello stesso anno, in vista della prossima aggregazione dell’Amministrazione militare toscana a quella del Regno Sardo viene creata, con decreto
7 dicembre 1859, una Commissione incaricata di armonizzare la legislazione militare toscana con quella piemontese e a tal fine vengono emanati una serie di decreti in materia12.
5
6
7
8
9
Ibid., Parte II, Libro I, art. 274 sgg.
Ibid., Parte II, Libro I, art. 296 sgg., 322 sgg., 507 sgg.
Ibid., Parte II, Libro I, art. 302 sgg.
Ibid., Parte II, Libro II, art. 515 sgg.
Ibid., Parte II, Libro II, art. 534 sgg.
10
11
Ibid., Parte II, Libro II, art. 519.
Ibid., Parte II, Libro II, art. 520 sgg.
12
Cfr. «Monitore Toscano», n. 308 del 10 dicembre 1859. Si veda anche il decreto del Regio Governo di Toscana 14 dicembre 1859, n. CCCxxxIx, in Atti del Regio Governo della Toscana da 11
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152
Paola Conti
Con decreto del Regio Governo di Toscana del 30 dicembre 1859 i Comandi
militari delle piazze toscane divengono centri per l’esecuzione delle leggi militari
e la Toscana viene distinta in due divisioni territoriali13: Firenze e Livorno che divengono quindi sedi di Tribunale militare territoriale. Le due Divisioni toscane divengono Ix e x, con numerazione progressiva a quella dei Reggimenti di fanteria
di linea e Battaglioni bersaglieri del nuovo esercito Esercito sardo.
Con decreto del 4 febbraio 1860 del Regio Governo della Toscana14 sono abrogati il Codice penale militare toscano e il Regolamento organico e di procedura dei
Tribunali militari toscani del 1856 e sostituiti dalla normativa sabauda con le modifiche e aggiunte conseguenti al lavoro della Commissione che doveva individuare
quali interventi erano necessari per renderla coerente con il sistema penale toscano,
ostile a tortura e pena di morte
Il 22 marzo a seguito dell’annessione delle Province della Toscana queste divengono parte integrante dello Stato sabaudo (r.d. 22 marzo 1860, n. 4014).
Il r.d. del 18 agosto 1861 n. 204 conferma le due divisioni territoriali toscane
di Firenze e Livorno come sedi di Tribunali militari territoriali15.
Il r.d. 18 febbraio 1864, n. 1676 stabilisce, invece, l’accorpamento di alcuni
Tribunali militari territoriali, così a partire dal 10 marzo cessa l’attività di quello
di Livorno che confluisce con tutta la sua documentazione nel Tribunale militare
territoriale di Firenze.
Con r.d. 28 novembre 1869, n. 5378, il Codice penale militare per gli Stati di
S. M. il re di Sardegna del 1859 fu sostituito dal Codice penale per l’esercito del
Regno d’Italia che riproduceva interamente il precedente (coordinato con il Codice
militare marittimo del 1826) ed entrò in vigore a partire dal 15 febbraio 187016.
Dalla loro istituzione sino al 1915 i Tribunali militari territoriali furono retti
dalle medesime disposizioni. Solo con la Grande Guerra si rese necessario potenziarli. Furono istituiti Tribunali di guerra in zona territoriale, Tribunali di corpo
d’armata mobilitato, Tribunali d’armata, Tribunali d’intendenza o di tappa, Tribunali marittimi, Tribunali di piazzaforte, Tribunali all’estero, per un totale di cento
maggio a 31 dicembre 1859, Firenze, Stamperia Reale, 1860, che attribuisce al ministro della guerra
Cadorna, l’autorità di porre in atto le necessarie disposizioni per l’assimilazione dell’Amministrazione
militare toscana a quella del Regno sardo. Si veda inoltre la Circolare ai sigg. Comandanti dei corpi,
depositi, istituti e dicasteri militari, sul nuovo ordinamento dell’Amministrazione militare del ministro
della guerra Cadorna, del 28 dicembre 1859, n. CCCLxV, in Atti del Regio Governo della Toscana da
11 maggio a 31 dicembre 1859, Firenze, Stamperia reale, 1860.
13
Decreto del Regio Governo di Toscana 30 dicembre 1859, n. CCCLxxIII, in Atti del Regio
Governo della Toscana da 11 maggio a 31 dicembre 1859, Firenze, Stamperia reale, 1860.
14
Decreto del Regio Governo di Toscana 4 febbraio 1860, n. Lxxx, in Atti del Regio Governo
della Toscana dal I gennaio al 25 marzo 1860, Firenze, Stamperia reale, 1860.
15
Il r.d. 9 giugno 1861 («Gazzetta ufficiale» 13 giugno 1861, n. 143) suddivide il territorio dello
Stato in compartimenti e ne definisce struttura e compiti: a Firenze ha sede il 5° Gran Comando che
abbraccia le Divisioni militari territoriali di Firenze (Firenze, Lucca, Pistoia, Rocca San Casciano, San
Miniato) e Livorno (Livorno, Castelnovo Garfagnana, Massa e Carrara, Piombino, Pisa, Portoferraio,
Viareggio e Volterra) e le due Sottodivisioni di Siena (Siena, Arezzo, Grosseto, Montepulciano e Orbetello) e Perugia (Perugia, Foligno, Orvieto, Rieti, Spoleto e Terni).
16
Con, in realtà, 23 articoli aggiuntivi e poche variazioni del testo.
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Il Tribunale militare di Firenze: storia di un istituto e vicissitudini di un archivio
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unità. Dopo la guerra si ritornò alla situazione precedente.
Gli archivi dei Tribunali militari di guerra, al momento della loro soppressione,
confluiscono nella Procura generale militare presso il Tribunale supremo militare
e da questo vengono versati all’Archivio centrale dello Stato17.
Il Tribunale militare territoriale di Firenze cessò la propria attività a seguito
del r.d. l. 26 gennaio 1931, n. 122 («Gazzetta ufficiale» 23 febbraio 1931, n. 44),
che assegnò la giurisdizione sulle Divisioni militari di Firenze e Livorno al Tribunale militare di Roma18. questo assorbì tutta la documentazione precedente, non
ancora versata all’Archivio di Stato di Firenze (la tranche 1911-1931), per la propria attività; mantenne tale giurisdizione fino al 1941.
In seguito, dal 1941 al 1943, la giurisdizione sulle Divisioni militari di Firenze
e Livorno passa al Tribunale militare di Bologna (r.d. 9 settembre 1941, n. 1022,
pubblicato in «Gazzetta ufficiale» 27 settembre 1941, n. 229).
Ai primi del 1943, con r.d. 2 febbraio 1943, n. 146 («Gazzetta ufficiale» 5
aprile 1943, n. 78, parte I, p. 1206), il Tribunale militare di Firenze fu nuovamente
reintrodotto, con il compito di operare per tutto il periodo della durata della guerra
e per i sei mesi successivi. Poco dopo, il 1° giugno 1943, riprende infatti a funzionare come Tribunale militare territoriale di guerra e la sua giurisdizione, molto ampliata, si estende alle province di Firenze, Arezzo, Grosseto, Siena, Ancona, Ascoli
Piceno, Macerata e Perugia.
Rimane attivo, anche dopo il 18 settembre 1943, con l’avvento della Repubblica sociale italiana, con la denominazione di Tribunale militare regionale di guerra
di Firenze, fino al 29 aprile 1945.
Il decreto ministeriale 9 ottobre 1943 attribuisce ai tribunali militari, oltre ai
reati militari, la cognizione dei seguenti reati: soccorso ai prigionieri di guerra evasi;
contatti con prigionieri di guerra o internati civili sotto la vigilanza delle forze armate; diffusione a mezzo stampa di materiale di propaganda contro le forze armate;
partecipazione a riunioni di carattere politico non autorizzate; detenzione non autorizzata di apparecchi radiotrasmittenti; istruzione di radiotelegrafisti e tecnici
della radio; saccheggio in territorio sgombrato dalle forze armate; abbandono del
servizio di lavoro; mancata notifica di domicilio o di limitazione di soggiorno; accensione di fuochi all’aperto durante le ore di oscuramento; scatto di fotografie all’aperto non autorizzato. Il medesimo decreto stabilisce inoltre, per tali casi, le pene
da infliggere19.
Il decreto interministeriale 23 marzo 1944, n. 268 stabilisce che è istituita una
Sezione autonoma del Tribunale di Firenze, con sede a La Spezia, con giurisdizione
17
ACS, Tribunale di guerra della 5a Armata – Firenze, 1942-1943, Fascicoli processuali, bb. 18;
Sentenze, un registro.
18
Cfr. anche d.m. 14 giugno 1931, n. 306, «Ordinamento del R. Esercito», che stabilisce la soppressione del Tribunale militare dei corpi d’armata di Firenze e il passaggio delle sue competenze al
Tribunale militare di Roma.
19
Il d.l. 14 giugno 1944, n 393 riformula gli elementi costitutivi del reato di diserzione in tempo
di guerra e prevede come pena la fucilazione al petto; stabilisce che i Tribunali militari regionali giudicano i reati di diserzione in tempo di guerra osservando le norme dei Tribunali militari straordinari di
guerra anche per quanto attiene alla non impugnabilità dei giudicati.
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Paola Conti
sulle province di La Spezia, Pisa, Massa, Lucca e Livorno. questa ha inoltre competenza sui reati commessi dagli appartenenti alla Marina nel territorio della Toscana, dell’Umbria e delle Marche.
Il decreto interministeriale 27 marzo 1944, n. 331, stacca la competenza su
Marche e Umbria da Firenze e stabilisce che presso il Comando militare regionale
delle Marche sia istituito un Tribunale militare regionale con sede a Macerata e
con giurisdizione sulle province di Ancona, Ascoli Piceno, Pesaro e Macerata.
Il Tribunale militare di Firenze continuò ad esistere dopo la Liberazione come
Tribunale militare territoriale di Firenze20 e svolse la propria attività fino al 1964,
quando fu soppresso e la sua giurisdizione passò al Tribunale militare territoriale
di La Spezia21.
L’archivio. – I Tribunali militari di Firenze e Livorno iniziano la propria attività autonomamente nel 1860. Nel 1864, al momento dell’accorpamento di quello
di Livorno con quello di Firenze, la documentazione prodotta dal primo dal 1860
al 1864 passa a quest’ultimo.
L’archivio del Tribunale militare territoriale di Firenze (1860-1910), con annesso quello del soppresso Tribunale militare territoriale di Livorno, fu versato
all’Archivio di Stato di Firenze nel luglio del 1921 per la parte di documentazione
anteriore al decennio in corso.
Le carte pervenute furono sommariamente riordinate da Armando Sapori22 e
da lui descritte in un primo inventario sommario, completato nel gennaio 1923, genericamente titolato Tribunale militare territoriale di Livorno e Firenze (n. 633
bis); si tratta di un primo lavoro che descrive succintamente le buste e i registri con
la sola indicazione dell’anno e con gli estremi dei fascicoli.
La scelta fatta dal Sapori di inserire nello stesso inventario prima la documentazione di Livorno, poi, di seguito, quella di Firenze, con una numerazione consecutiva, può generare l’errore che sia un solo istituto produttore di tutte le carte
invece che due ben separati e indipendenti.
La documentazione dei due Tribunali era similmente suddivisa in filze di processi, filze di verbali d’udienza, registri di sentenze del tribunale, registri di sentenze della commissione d’inchiesta, registri generali (dei giudicati e delle
esecuzioni, delle procedure penali, delle spese di giustizia, dei mancanti alla chiamata) e rubriche dei registri generali.
Il Tribunale militare di Firenze continuò la propria attività senza interruzioni
fino al 1931, anno in cui venne soppresso e la sua giurisdizione passò a quello di
Roma fino al 1941. La documentazione dei processi e delle sentenze, relative alla
Toscana, degli anni 1931-1941 si trova quindi all’interno della documentazione
prodotta dal Tribunale di Roma.
quella successiva, degli anni 1941-1943, si trova all’interno della documen20
21
D. l. lgt. 21 marzo 1946, n. 144.
D.p.r. 14 febbraio 1964, n. 199.
Storico dell’economia, (Siena 1892 - Milano 1976), laureatosi in legge, nel 1921 entrò nell’Archivio di Stato di Firenze, dove lavorò finché nel 1932 divenne professore di Storia economica all’Università di Ferrara.
22
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tazione prodotta dal Tribunale di Bologna.
Il 1° giugno 1943 riprende a funzionare come Tribunale militare di guerra e
la sua documentazione riguarda le province di Firenze, Arezzo, Grosseto, Siena,
Ancona, Ascoli Piceno, Macerata e Perugia.
Dal 18 settembre 1943 al 25 aprile 1945, nel periodo della Repubblica sociale,
è attivo come Tribunale militare regionale di guerra di Firenze.
Le carte prodotte negli anni 1943-1944 furono quasi completamente distrutte
per i noti eventi bellici e di tutta questa preziosa documentazione poco è rimasto.
Alcuni fascicoli rinvenuti dopo che riprese a funzionare il Tribunale militare territoriale di Firenze nel 1945 furono presi in carico nei registri generali delle procedure (1945-1964).
Dopo la Liberazione, continuò l’attività come Tribunale militare territoriale
di Firenze fino alla definitiva soppressione nel febbraio 1964.
Tutta la documentazione degli anni 1945-1964 al momento del passaggio di
competenze a La Spezia fu in parte trasferita al Tribunale militare di quella città
per la prosecuzione dell’attività giurisdizionale (sentenze e registri di espiata pena)
e per il rimanente (fascicoli dei processi e registri generali, assieme anche ai registri
generali del Tribunale attivo a Firenze durante la Repubblica sociale italiana) fu
versata nell’ottobre 1964 all’Archivio di Stato di Firenze.
Con l’alluvione del novembre 1966, la documentazione del Tribunale militare
territoriale, sia quella del 1860-1910 sia quella 1945-1964, subì pesanti danni ma
è stata in gran parte recuperata, identificata e riordinata, tranne i verbali d’udienza,
i registri generali e le relative rubriche che hanno subito gravi perdite.
Nel corso degli anni ’90 un secondo e grosso intervento di riordinamento, inventariazione dell’archivio e condizionamento delle carte, fu attuato da Claudio
Lamioni assieme al gruppo che lavorava all’epoca nel settore postunitario (Giulio
Capecchi, Paola Peruzzi ed Elena Missori). Lavoro minuzioso nell’intervento sul
materiale più colpito dall’alluvione, reso difficoltoso dalla mancanza di strumenti
descrittivi analitici; lavoro altresì prezioso anche per la compilazione di un inventario analitico, purtroppo rimasto incompiuto, corredato da indici alfabetici degli
imputati e delle imputazioni.
La documentazione dal 1910 fino al 1931 fu portata presso il Tribunale militare di Roma, divenuto in quell’anno competente sulla Toscana, e da questo è stata
conservata fino al 2012, anno in cui sono iniziate, nel mese di dicembre le operazioni di versamento all’Archivio di Stato di Firenze, attualmente ancora in corso.
Al momento è stata versata la documentazione relativa ai soli fascicoli processuali per gli anni 1911-1923 e mancano ancora quelli dei processi dal 1924 al
1931 e le serie delle sentenze con i registri generali e le rispettive rubriche dal 1911
al 1931, oltre a tutti i registri dell’archivio del Tribunale territoriale di Firenze 19451964, quelli che alla soppressione andarono al Tribunale militare di La Spezia.
Finalmente quando il versamento sarà completato, avremo, raccolta nello
stesso istituto, tutta la documentazione sopravvissuta prodotta dal Tribunale militare
di Firenze, sia quella che, senza soluzione di continuità, copre l’arco temporale dal
1860 al 1931, sia la successiva dal 1943 al 1964.
Purtroppo la documentazione giunta è estremamente bisognosa di un intervento massiccio di pulizia, per alcune tranches anche di trattamento contro le
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Paola Conti
muffe, di rifascicolazione e riordino, ma attualmente non si dispone delle risorse
economiche necessarie per affrontare un intervento così vasto e oneroso e il personale dell’Archivio, sia quello del laboratorio di restauro che del settore postunitario,
è troppo ridotto per ipotizzare un lavoro solo interno.
Forse vista la rilevanza del materiale per la storia della prima guerra mondiale,
in occasione del centenario, potrebbe essere ipotizzabile un coinvolgimento di altri
enti, di altri ministeri, di fondazioni interessati.
PAOLA CONTI
Archivio di Stato di Firenze
APPENDICE
Tribunale militare di Firenze. Fascicoli processuali versati in Archivio di Stato
1911: fascc. 490, dal 00401 al 00890
1912: fascc. 520, dal 00891 al 01410
1913: fascc. 396, dal 01411 al 01806
1914: fascc. 545, dal 01807 al 02350
1915: fascc. 790, dal 02351 al 03140
1916: fascc. 1.320, dal 03141 al 04460
1917: fascc. 2.8190 dal 4461 al 07280
1918: fascc. 5.410, dal 07281 al 12690
1919: fascc. 6.910, dal 12691 al 19600
1920: fascc. 3.190, dal 19601 al 22790
1921: fascc. 5.091, dal 22791 al 27881
1922: fascc. 2.445, dal 27926 al 30370
1923: fascc. 3.326, dal 30371 al 33696
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Verbale di ispezione redatto dalla Legione territoriale dei Carabinieri di Firenze a seguito di
denuncia contro la Ditta Luporini e compagni per frode su forniture di scarpe per l’esercito
realizzate con materiale scadente (cartone e ritagli di cuoio tenuti assieme con bullette e
colla). Ritagli di cuoio, sopratacco e bullette con la busta che li conteneva, allegati al fascicolo processuale. Il Tribunale militare si pronunciò con sentenza di proscioglimento per insufficienza di prove, 7 luglio 1916 (Archivio di Stato di Firenze, Tribunale militare di
Firenze, Fascicoli processuali, b. 58 bis, 1916, fasc. 4248).
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Paola Conti
Passaporto rilasciato dal Governo italiano nel 1910 a Leone Dami, classe 1882, emigrato
per lavoro in America del Nord e verbale di interrogatorio avvenuto presso il Distretto militare di Pistoia nel 1919. Dami fu accusato di diserzione per mancata risposta alla chiamata
per mobilitazione. L’imputato aveva ricevuto dal Consolato italiano la dispensa dal presentarsi ed era stato inviato a lavorare in una miniera americana di carbon fossile. Il procedimento si concluse nel settembre 1919, dopo tutti gli accertamenti del caso, con la richiesta
di non luogo a procedere (Archivio di Stato di Firenze, Tribunale militare di Firenze, Fascicoli processuali, b. 288, 1919, fasc. 17710).
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Copia conforme della sentenza di non luogo a procedere per inesistenza del reato, del Tribunale militare di Firenze con la descrizione dei fatti avvenuti all’indomani della rotta di
Caporetto. L’accusa era di diserzione con passaggio al nemico di 257 appartenenti al 7° Reggimento Alpini di Belluno. Durante la ritirata dell’ottobre 1917, le compagnie di reclute
classe 1899 del 7° Alpini, per esigenze belliche, furono raccolte in un battaglione e, pur non
ancora istruite, inviate a presidiare la linea sulla dorsale del Colle Moi – Colle Visentin, a
difesa della conca di Belluno. Durante la precipitosa ritirata tra il 9 e il 10 novembre, molti
soldati rimasero indietro impossibilitati a ricongiungersi col rimanente esercito anche perché
il 9 novembre furono fatti saltare i ponti sul Piave. Dispersi o catturati, furono accusati di
diserzione. Il processo che si svolse nel Tribunale militare vide il proscioglimento, il 16 ottobre 1926, di 34 imputati (Archivio di Stato di Firenze, Tribunale militare di Firenze, Fascicoli processuali, b. 396 bis, 1921, fasc. 24052).
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UNA FONTE IMPOSSIBILE:
PER UN CENSIMENTO DEGLI ARChIVI DELLA SANITà MILITARE
Oggetto di questa comunicazione, saranno le prime risultanze, che crediamo
non prive di significato, del lavoro di schedatura analitica, non ancora concluso,
delle carte del complesso archivistico denominato Centro militare di medicina legale poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze1, conservato nell’Archivio di Stato di Firenze. Complessivamente la documentazione comprende oltre
3.700 unità archivistiche, con uno sviluppo cronologico che copre, purtroppo in
modo non uniforme, il periodo compreso tra il 1915 e il 1970 ed occupa 350 metri
lineari di scaffalatura2.
1
A partire dal secondo dopoguerra, inizia un lento processo di riforma della sanità militare, anche in
relazione al mutare del contesto nazionale ed europeo che poterà nel tempo a ridisegnare le articolazioni
territoriali con soppressioni e accorpamenti. Ai nostri fini basterà dire che con la ristrutturazione dei servizi
sanitari militari varata nel 1975 si avvia la trasformazione di alcuni ospedali in «moderni istituti di medicina
legale», che assumeranno la denominazione di Centri militari di medicina legale e il potenziamento dei rimanenti in termini sia di attrezzature, sia di personale, cfr. F. BOTTI, La logistica dell’esercito italiano, 18311981, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio storico, 1991-1995, voll. 4 e in particolare IV. 2, La
logistica del dopoguerra (1945-1981), Roma 1995, pp. 381-431, soprattutto le pp. 390-395. Parallelamente
a questa serie di soppressioni e accorpamenti, anche la rete dei soggetti conservatori degli archivi della
sanità militare territoriale, che secondo il Regolamento della sanità militare territoriale del 1932 (consultabile on line nel sito: <www.forzearmate.org/sideweb/2008/circolari/sanita/ANNESSI_1_2.pdf>; ultima
consultazione il 13-03-2014) era incentrata sulle Sezioni archivio degli ospedali militari principali dislocati
presso ogni comando di corpo d’armata, va anch’essa incontro, almeno in parte, ai medesimi fenomeni di
accorpamento.
2
La documentazione è pervenuta in Archivio di Stato in due diversi versamenti. Nel 2005 il Centro
militare di medicina legale di Firenze medaglia d’oro A. Vannini, che aveva assorbito l’ex Ospedale militare principale, nella circostanza della soppressione della dipendente Commissione medica ospedaliera
distaccata di Livorno, a sua volta erede dell’ex Ospedale militare succursale di quella città, dovendo allestire una struttura accentrata a Firenze per accogliere le carte di entrambi gli enti, richiedeva in via preventiva, con una lettera del 5 ottobre 2005, la disponibilità dell’Archivio di Stato di Firenze a ricevere il
versamento almeno della documentazione definibile di carattere storico riferita, allora, al periodo 19261965, ASFi, Carteggio ordinario, 2005, tit. VII.3 (Depositi e versamenti), fasc. 8, lettera della direzione
del CMML di Firenze del 5-12-2005, prot. 316. Dopo un sopralluogo svolto da un funzionario dell’istituto
e dopo che l’Archivio di Stato di Livorno si era detto indisponibile a ricevere la documentazione di competenza, ASFi, Carteggio ordinario, 2005, tit. VII. 3 (Depositi e versamenti), fasc. 8, lettera della direzione del CMML di Firenze del 15-06-2006, prot. 169, sia le carte di Firenze, sia quelle di Livorno
vennero versate all’Archivio di Stato di Firenze il 14 dicembre 2006 (ASFi, Registri degli archivi e delle
carte versate, donate e acquistate, n. 1, verbale di versamento n. 186), per un totale di 2.818 unità archivistiche. Nel luglio 2013 l’Archivio di Stato di Firenze veniva contattato dal Nucleo stralcio del soppresso
Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, che dal 2007 aveva preso il posto del precedente
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Una fonte impossibile: per un censimento degli archivi della sanità militare
161
Al momento del versamento il complesso archivistico si presentava già articolato in due nuclei documentari principali, riferibili rispettivamente all’ex Ospedale militare principale medaglia d’oro Angelo Vannini di Firenze, noto in città
come Ospedale militare di San Gallo dal nome della via in cui si trovava, e all’ex
Ospedale militare succursale di Livorno3.
A prima vista i due nuclei apparivano ordinati e, sebbene piuttosto ridotti rispetto al periodo storico di attività dei due enti, cronologicamente compatti. Molte
erano le unità archivistiche in evidente cattivo stato di conservazione, spesso peggiorato da interventi piuttosto grossolani4. Le carte di Firenze si presentavano già
articolate in tre grossi gruppi che per comodità possiamo definire come: 1) carteggio amministrativo, quasi esclusivamente costituito da registri e da poche buste,
(1915-1970, ma in realtà la documentazione è continua solo dai primi anni ’20 in
poi); 2) cartelle cliniche (1962-1970); 3) carteggio medico-legale, esclusivamente
costituito dalle filze dei verbali di visita (1926-1970). Ugualmente le carte riferibili
all’ospedale di Livorno, si presentavano articolate in: 1) carteggio amministrativo,
solo registri, (1933-1970); 2) cartelle cliniche (1954-1970); 3) carteggio medico legale, registri e filze, (1926-1970). Per entrambi i nuclei, la parte che fin dall’inizio
Centro militare A. Vannini, per richiedere la disponibilità al versamento della documentazione sanitaria
ivi concentrata, visto che la struttura sarebbe stata definitivamente soppressa entro il 20 ottobre del 2013.
Dopo un breve sopralluogo condotto da chi scrive, il 3 ottobre 2013 venivano versate oltre 800 unità archivistiche, relative sia all’ex Ospedale militare di Firenze, sia all’ex Ospedale militare di Livorno, poi
Commissione medica ospedaliera distaccata, per il periodo 1926-1970 (ASFi, Registri degli archivi e
delle carte versate, donate e acquistate, n. 1, verbale di versamento n. 282) che in parte proseguivano le
serie versate in precedenza, e in parte colmavano lacune del precedente versamento, soprattutto per la
documentazione livornese, come nel caso delle carte della Commissione medica ospedaliera.
3
Si tratta delle due strutture in cui storicamente si è articolata in Toscana la sanità militare territoriale
dopo l’Unità. Senza poter qui delineare una storia puntuale dell’evoluzione delle circoscrizioni territoriali
militari italiane, basterà notare che l’antico monastero e conservatorio di S. Agata, posto in via San Gallo,
già trasformato nel 1852 per volere del granduca Leopoldo II in ospedale militare per la guarnigione austriaca, passava dopo l’Unità all’Esercito italiano per essere utilizzato come ospedale divisionale (cfr., O.
FANTOZZI MICALI e P. ROSELLI, Le soppressioni dei conventi a Firenze. Riuso e trasformazione dal sec.
XVIII in poi, Firenze, LEF, 2000, pp. 66-67; M. RUNFOLA, L’ospedale militare «San Gallo» e la chiesa
di Sant’Agata in Firenze, in «Giornale di medicina militare», 1981, 6, p. 568). Nel 1866 Firenze era sede
del Gran Comando del 4° Dipartimento militare, da cui dipendevano le Divisioni militari territoriali di
Firenze, di Livorno e di Perugia, nel cui ambito funzionavano a Firenze un ospedale divisionale di prima
classe e a Livorno e Perugia un ospedale divisionale di seconda classe (Calendario generale del Regno
d’Italia compilato per cura del Ministero dell’interno, Firenze, Barbera, 1866, pp. 199-200 e 296). Secondo la l. 8 luglio 1883, n. 1467, serie 3, che determinava la circoscrizione militare del Regno e il successivo r.d. 5 giugno 1884 (Raccolta delle disposizioni in vigore inserite nel Giornale militare dal 1831
a tutto l’anno 1895, Roma, Enrico Voghera, 1894, I, atti 169-170, pp. 605-622) che ne determinava le tabelle di dislocazione territoriale, in Toscana, sede dell’VIII Corpo d’armata, il cui comando aveva sede a
Firenze, erano di stanza due Divisioni territoriali: la 15ª a Firenze, cui facevano riferimento i Distretti militari di Firenze, Pistoia (con San Miniato), Arezzo e Siena (con Grosseto e Montepulciano), e la 16ª a Livorno, cui facevano riferimento i Distretti militari di Livorno (con Pisa, Portoferraio e Volterra), Lucca e
Massa (con La Spezia, Castelnuovo Garfagnana e Pontremoli). Dal punto di vista della sanità militare, a
Firenze, in quanto sede del comando di Corpo d’armata, vi era una Direzione di sanità da cui dipendevano
due ospedali militari principali posti rispettivamente a Firenze e a Livorno in quanto sedi dei rispettivi
comandi divisionali (Raccolta delle disposizioni in vigore… cit., p. 621).
Particolarmente dannosa si è rilevata la prassi di consolidare legature e carte sciolte ricorrendo
all’impiego di comune nastro adesivo da pacchi.
4
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162
Simone Sartini
si è rivelata la più complessa e problematica ma anche la più interessante dal punto
di vista della schedatura, è quella indicata come carteggio amministrativo. Al termine della schedatura, infatti, l’iniziale impressione di ordine e compattezza si era
completamente dissolta di fronte all’emergere di una ben diversa realtà; ovvero
quella di una miscellanea di unità archivistiche diverse per tipologia e provenienza
semplicemente giustapposte. Infatti vi si trovavano registri generali «degli entrati
e degli usciti», registri di reparto, registri degli atti di morte, registri di protocollo
della corrispondenza, rubriche alfabetiche varie, elenchi e repertori di cartelle cliniche, alternati gli uni agli altri senza soluzione di continuità secondo un ordinamento puramente e rigidamente cronologico. Inoltre, se la maggior parte delle unità
archivistiche era senz’altro riferibile ai due principali ospedali toscani, vi erano,
mescolate a queste, anche non poche carte chiaramente provenienti da altre strutture
ospedaliere militari, che risultavano aver operato, in pace e in guerra, sia in Toscana
sia all’estero. Oltre a Firenze e a Livorno, emergevano, pur in modo molto frammentario, le carte di quaranta diverse strutture sanitarie militari, di cui cinque della
Croce rossa italiana e tredici riferibili a ospedali da campo, che erano state operative
sia nelle varie province della Toscana, sia all’estero, prevalentemente durante la
guerra di Etiopia e la Seconda guerra mondiale. Di fronte a tale complessità, per
impostare correttamente il problema dell’ordinamento, è sembrato necessario avviare una riflessione sia sulle vicende istituzionali della sanità militare, sia sulla
tradizione archivistica di questo complesso documentario. Il primo, provvisorio
esito di questa riflessione è costituito da queste note e dalla guida che si presenta
in appendice e che si offre, quale prima messa a fuoco della questione, alla discussione di archivisti e storici.
Per prima cosa credo sia necessario accennare almeno nelle sue linee generali
alla struttura del servizio sanitario militare. Il servizio sanitario militare acquista
la sua fisionomia di base tra il 1866 e il 18875 modellandosi sulla struttura territoriale dell’esercito, in base alla quale presso ogni comando di Corpo d’armata venne
istituita una Direzione di sanità da cui dipendevano gli ospedali militari principali,
allestiti presso la città sede dei Comandi territoriali di divisione6. Per quanto attiene
agli effettivi, per il servizio negli ospedali, nelle altre strutture sanitarie e presso i
reggimenti, vi erano il corpo degli ufficiali medici, e le Compagnie di sanità, composte dai sottoufficiali e dalla truppa. Era prevista una Compagnia di sanità per
ogni Direzione di sanità, normalmente di stanza presso l’ospedale militare principale, che aveva sede nella città dove risiedeva anche il comando del Corpo d’armata. In tempo di guerra le Compagnie di sanità potevano essere suddivise in più
5
Per le vicende salienti dello sviluppo dei servizi sanitari militari dell’Esercito italiano si veda F.
BOTTI, La logistica dell’esercito italiano… cit., in particolare II, I servizi dalla nascita dell’esercito italiano alla Prima Guerra Mondiale (1861-1918), Roma 1991, pp. 56-67; 146-159; 335-360; 759-782;
III, Dalla guerra totale alla guerra integrale (1919-1940), Roma 1994, pp. 59-69; 240-258; 442-447;
707-712; IV. 1, Dalla guerra integrale alla guerra nucleare (1940-1981), Roma 1995, pp. 71-77; 208216; 303-308; IV. 2, La logistica del dopoguerra (1945-1981), Roma 1995, pp. 381-439. Un’altra sintesi,
chiara, anche se limitata all’ordinamento del 1887 si può leggere in Il Digesto italiano, Torino, Utet,
1891, 21, parte I, pp. 441-455.
6
Il Digesto italiano… cit., § 581-583, pp. 444-445.
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Una fonte impossibile: per un censimento degli archivi della sanità militare
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sottounità denominate Sezioni di sanità7. Dal punto di vista delle strutture territoriali, erano previste, alle dipendenze dell’ospedale militare principale, altre strutture
sanitarie quali gli ospedali militari succursali, le farmacie militari (in genere una
presso ogni ospedale militare), le infermerie di presidio, le infermerie speciali e di
corpo, i depositi di convalescenza e gli stabilimenti balneari8. In tempo di guerra
anche il servizio sanitario ebbe, come l’esercito, una sua particolare organizzazione
che era articolata in stabilimenti «da campagna» e in stabilimenti «di riserva». Gli
stabilimenti «da campagna» erano quelli che seguivano l’esercito sul piede di
guerra e si occupavano di prestare le prime cure e di assicurare il rifornimento dei
materiali sanitari. questi, a loro volta, erano divisi tra stabilimenti di prima linea e
stabilimenti di seconda linea9. Gli stabilimenti di prima linea erano, in buona sostanza, costituiti dalle Sezioni di sanità, di cui già si accennava sopra, e dai posti
di medicazione10. Le Sezioni di sanità prestavano le cure che non era possibile effettuare nei posti di medicazione e provvedevano ad inviare i feriti alle strutture di
seconda linea11. Gli stabilimenti di seconda linea erano, invece, rappresentati dagli
ospedali da campo, cui seguivano nel percorso a ritroso dal fronte alle retrovie, gli
ospedali di primo soccorso, gli ospedali di sgombero e le infermerie provvisorie.
Gli ospedali da campo, allestiti con tende o in locali requisiti sul posto, avevano il
compito di ricevere e curare i feriti provenienti dalle Sezioni di sanità o direttamente
dai posti di medicazione12. Le altre strutture, quasi sempre aperte presso i comandi
di tappa, servivano per lo più ad avviare i feriti meno gravi verso le zone non di
guerra, ed erano spesso allestite in strutture civili, ospedaliere e non, requisite allo
scopo e rifornite anche con materiali provenienti direttamente dalle amministrazioni
comunali13. Tutti questi stabilimenti erano accomunati dal fatto di essere strutture
mobili e potevano essere aperti, chiusi o spostati in modo relativamente rapido secondo le esigenze poste dall’evoluzione delle operazioni belliche Gli stabilimenti
di riserva si trovavano in patria o comunque in zone non interessate dalla guerra
ed erano costituiti ovviamente dalle strutture sanitarie militari territoriali ordinarie
(ospedali militari principali, succursali, ecc.), magari opportunamente ampliate per
l’occasione, ma anche da ospedali civili, o da strutture militari create all’uopo e
insediate in locali privati o pubblici requisiti per detto scopo14. Fino al 1899 tutte
queste strutture erano assegnate alle varie armate in numero predeterminato ma
successivamente il loro numero varierà a seconda delle esigenze operative e saranno contraddistinte da un numero progressivo relativo a tutto l’esercito; tuttavia,
ciascuna unità sarà, logisticamente ed amministrativamente, legata alla struttura
7
8
9
Ibid., § 587, p. 445.
Ibid., § 588, p. 445.
Ibid., § 626, p. 451.
10
11
12
13
Ibid., § 629-632, pp. 452-453.
F. BOTTI, La logistica dell’esercito italiano, II… cit., p. 284.
Ibid., p. 285; cfr., inoltre Il Digesto italiano… cit., § 634, p. 454.
Il Digesto italiano… cit., § 635-636, p. 454.
Cfr. F. BOTTI, La logistica dell’esercito italiano, III… cit., p. 771; cfr., inoltre Il Digesto italiano… cit., § 637, pp. 454-455.
14
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ordinaria di riferimento15.
Affrontando la questione della tradizione archivistica delle carte della sanità
militare territoriale non si può prescindere dal Regolamento del Servizio sanitario
militare territoriale del 193216, che all’art. 15, relativo alla composizione dell’ufficio
di direzione, stabilisce al paragrafo 60 che per gli ospedali in sede di comando di
divisione, debba esserci una Sezione archivio, «cui è addetto un graduato con adeguato numero di scritturali, che deve provvedere alla regolare tenuta del carteggio
ordinario dell’ospedale e di quello delle unità sanitarie da campo o territoriali che
funzionano durante la guerra». Sulla base di questa disposizione, presso ogni ospedale militare principale si sarebbe così venuto formando un archivio di deposito che
avrebbe dovuto raccogliere non solo le carte prodotte dall’attività ordinaria dell’ospedale, ma anche le carte delle strutture sanitarie di guerra dipendenti da quel
comando. Sul funzionamento della Sezione archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze siamo, almeno per gli anni 1940-1960, molto ben documentati grazie
alle ben 10 buste di verbali di versamento originali che ci testimoniano, anno per
anno e mese per mese, il più o meno ordinato trasferimento di migliaia di cartelle
cliniche dai reparti ordinari e dagli stabilimenti da campagna e di riserva alla Sezione
archivio. Sappiamo, inoltre, che almeno a partire dalla fine degli anni quaranta, l’archivio trovò posto presso la Sezione dell’ospedale militare detta di «Monteoliveto»,
un ex monastero posto sulle colline dell’Oltrarno e utilizzato, almeno dal 192517,
per allocarvi il reparto «cutanei e venerei». Per l’Ospedale militare di Livorno, invece, non si hanno notizie così dettagliate come per Firenze. Tuttavia, siccome non
risultano versamenti di atti da Livorno a Firenze, sembra di poter affermare che vi
fu, senz’altro, una Sezione archivio. Siamo meglio informati, invece, in merito al
fatto che solo a partire dall’immediato secondo dopoguerra, essa iniziasse a ricevere
le carte prodotte da alcuni stabilimenti di riserva18. Con la soppressione nel 2005
della Commissione medica ospedaliera di Livorno, ex ospedale militare e allora già
15
Cfr. F. BOTTI, La logistica dell’esercito italiano, II… cit., pp. 350-351.
Approvato con r.d. 17 novembre 1932; consultabile on line nel sito: <www.forzearmate. org/sideweb/2008/circolari/sanita/ANNESSI_1_2.pdf> (ultima consultazione 14-03-2014).
16
17
Allo stato attuale delle conoscenze, la prima attestazione dell’esistenza presso la Sezione di
Monteoliveto di un archivio di deposito utilizzato dalla Sezione archivio della direzione dell’Ospedale
militare principale di Firenze risale al 1949, là dove sull’elenco di versamento delle carte dell’ Ospedale
speciale della Croce rossa italiana n. 30 Maria Federici di Arezzo, si legge la stampigliatura: «Passato
[a] Mon[teoliveto] il 19.8.1949» (cfr. in Appendice 1 l’Ospedale speciale della Croce rossa italiana n.
30 di Arezzo).
18
Con la lettera del 25 agosto 1949 allegata agli elenchi segnalati nella guida in appendice, il Comando dell’VIII Centro militare di mobilitazione della Croce rossa italiana di Firenze versava all’ufficio
archivio dell’Ospedale militare di Livorno il carteggio sanitario dell’Ospedale speciale della Croce
rossa italiana n. 32 «Vanda Secchi» di Lucca relativo agli anni 1945-1947, avvertendo che il carteggio
precedente, relativo agli anni 1942-1945, era stato già trasmesso, secondo quanto in vigore allora, all’ufficio archivio dell’Ospedale militare di Firenze. Nella medesima lettera si aggiungeva che Firenze,
interpellata su questo punto, si sarebbe impegnata a trasmettere a Livorno il carteggio colà conservato
(cfr. in Appendice 1 l’Ospedale speciale della Croce rossa italiana n. 32 di Lucca). questo cambio di
prassi conservativa spiega perché ancora oggi le carte di alcune provenienze (l’Ospedale militare territoriale «Villa Seminario» di Calci (PI) e l’Ospedale militare territoriale n. 4 di Lucca) risultino divise
tra i fondi di Firenze e Livorno (cfr. in Appendice 1).
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dipendente dal Centro militare di medicina legale di Firenze, iniziò la dismissione
di entrambi questi archivi di deposito secondo un piano che prevedeva di riunire in
un unico luogo tutta la documentazione allora ancora conservata separatamente,
provvedendo poi a suddividere i vari carteggi in tre porzioni: 1) Sezione corrente:
contenente il carteggio relativo al periodo dal 1996 in avanti, ancora necessario per
la trattazione in corso di pratiche medico legali, da affidarsi ai comandi superstiti;
2) Archivio di deposito: contenente il carteggio relativo agli anni dal 1966 al 1995,
da affidarsi a struttura accentrata in seno al comando territoriale sovraordinato nella
cui giurisdizione ricadranno i menzionati comandi superstiti; 3) Archivio storico:
contenente tutto il carteggio sanitario relativo ai periodi precedenti da affidare ad
organismi istituzionali insistenti sul territorio19. Nel 2006 il Centro militare di medicina legale versava all’Archivio di Stato di Firenze tutto il carteggio definito storico, secondo lo schema sopra esposto, relativo sia a Livorno, sia a Firenze per gli
anni 1915-196720. Nel 2013, in preparazione del secondo versamento, chi scrive ha
potuto visitare l’archivio di deposito unico che nel frattempo era stato allestito in
alcuni locali posti all’interno dell’ex ospedale militare, dove risultavano essere state
concentrate le carte rimanenti, sia di Livorno sia di Firenze, dall’anno 1968 in poi21.
In quella circostanza è stato possibile reperire un inventario che descrive parte dell’archivio di deposito dell’ospedale militare conservato a Monteoliveto. Si tratta di
un dattiloscritto non datato, di carte 6, intitolato Elenco dei vari ospedali da campo
e ospedali militari (conservati all’archivio di Monteoliveto), in fotocopia, realizzato
internamente all’ufficio, probabilmente tra gli anni ’60 e gli anni ’70 del ‘90022. Un
documento piuttosto importante, ma complesso23 e assai difficile da interpretare perché non fornisce, se non in rari casi, indicazioni circa l’effettiva consistenza della
documentazione descritta né circa le tipologie documentarie presenti, poiché le carte
sono indicate, salvo rarissime occasioni, semplicemente come «carteggio sanitario»
senza altra specificazione. Inoltre, l’inventario procede su una rigida base cronologica. Per ogni anno, infatti, si ha una specie di tabella a tre colonne dove si riportano
rispettivamente: il nome dello stabilimento di provenienza delle carte; i mesi cui il
19
ASFi, Carteggio ordinario, 2005, tit. VII. 3 (Depositi e versamenti), fasc. 8, lettera della Direzione del Centro militare di medicina legale di Firenze al direttore dell’Archivio di Stato di Firenze,
del 5 ottobre 2005, prot. 316.
20
Cfr., supra nota 2.
22
Nonostante le ricerche non è stato possibile reperire l’originale.
Il versamento del 2013 (cfr. supra nota 2) ha riguardato la documentazione, sia di Livorno, sia
di Firenze, degli anni 1968-1970, più una serie di altri materiali documentari più antichi sfuggiti al precedente versamento come i registri e le filze della Commissione medica ospedaliera di Livorno dal
1926 al 1970. Dopo quest’ultimo versamento e la definitiva soppressione del Dipartimento militare di
medicina legale di Firenze, non è chiaro quale sarà la destinazione della documentazione dal 1971 in
avanti che si trova nell’archivio di deposito posto nei locali dell’ex ospedale militare.
21
Il documento è articolato in due parti ognuna dotata di un proprio titolo: 1) «[Notizie re]lative
al carteggio sanitario dei dipendenti ospedali militari [territor]iali di riserva per il periodo dal 1940 in
poi», cc. 1-4. Alla fine della c. 4 si legge la seguente nota: «Per i rimanenti anni fino alla data odierna,
esiste unicamente il carteggio sanitario di questo Ospedale Militare Principale e quello di Monteoliveto
- Firenze»; 2) «[Noti]zie relative al carteggio dei dipendenti ospedali da campo durante il periodo 19401954», cc. 5-6.
23
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Simone Sartini
carteggio dell’anno si riferisce ed eventuali note di specificazione. Il testo risulta
poi punteggiato da una fitta rete di aggiunte manoscritte e di «spuntature» che denotano, indubbiamente, un intenso lavorio sul testo e probabilmente anche sulle
stesse carte, di cui però è, allo stato attuale, impossibile conoscere l’epoca e il contesto. Nonostante i problemi posti dal testo, dalla sua lettura si possono comunque
rilevare alcuni dati interessanti sullo stato dell’archivio di deposito prima del progetto di riordino del 2005 e del versamento del 2006. In primo luogo emerge chiaramente che all’epoca della redazione di questo inventario parziale la consistenza
della documentazione conservata era già fortemente ridotta sia nelle quantità, sia
nella varietà delle tipologie documentarie, limitata, in buona sostanza, alle cartelle
cliniche e ai registri degli entrati e degli usciti e a poco altro. In secondo luogo
emerge chiaramente che già all’epoca della redazione dell’inventario la documentazione era ordinata in modo esclusivamente cronologico senza che fosse stato tenuto
conto delle provenienze e delle serie originarie24. Infine emerge altrettanto chiaramente, pur nei limiti di cui si diceva sopra, che la consistenza attuale, accertata con
i versamenti del 2006 e del 2013, è inferiore a quella registrata nell’inventario. Infatti, possiamo dire che mentre nell’inventario dattiloscritto sono descritti i carteggi
di 38 ospedali militari di riserva, di 5 ospedali della Croce rossa italiana e di 21
ospedali da campo, oggi si conservano gli atti solo di 22 ospedali, compresi i 5 della
Croce rossa italiana, e di uno solo di quelli da campo. In merito alla consistenza originaria delle carte anteriori al 1940 che non sono descritte in questo inventario, non
si hanno, purtroppo, notizie precise. Dall’esito della schedatura risulta che il registro
più antico dell’ospedale militare di Firenze risale al 1917, mentre quello più antico
della Sezione di Monteoliveto risale solamente al 1926. Sicuramente esistevano poi
i carteggi sanitari della guerra di Etiopia, di cui si sono conservati alcuni registri di
diversi ospedali da campo, e naturalmente vi doveva essere anche il carteggio sanitario degli stabilimenti sanitari da campagna e di riserva attivi durante il periodo
della Prima guerra mondiale, di cui non si sono conservati che scarsissimi ma molto
interessanti frammenti. Tutto ciò che rimane della documentazione di quel periodo
consiste in sole 4 unità archivistiche: un registro di entrati e usciti non intestato, ma
probabilmente dell’Ospedale militare principale di Firenze, dal 5 marzo al 10 agosto
1917; un registro non intestato e frammentario di visite di controllo di ufficiali, dal
giorno 8 giugno 1917 al 15 agosto 1917; un registro di necroscopie dell’Ospedaletto
da campo n. 93, dal 23 ottobre 1915 al 4 novembre 1918; un registro di verbali della
commissione medico legale dell’Ospedale militare territoriale di Fiesole Villa Manetti per autolesionisti25, dal 16 ottobre 1917 al 16 giugno 1918. Siamo, ovviamente,
24
questa particolare modalità di ordinamento, unita al fatto che spesso i registri non sono intestati,
ha nel tempo, sommandosi agli effetti di spostamenti, riordini e scarti, aggravato quell’aspetto di miscellanea che, come si notava all’inizio, le carte hanno finito per assumere.
Il registro, come già detto, contiene i verbali di visita, 249 in tutto, stesi dal 16 ottobre 1917 al
16 giugno 1918, ma spesso relativi ad avvenimenti accaduti nei precedenti anni di guerra, da una commissione medico legale insediata presso questa struttura di Fiesole, dedicata agli autolesionisti, ma che
operava in modo itinerante e soprattutto presso un’altra struttura, l’Ospedale militare territoriale di riserva Le querce di Firenze, dove era operativo il Reparto smistamento autolesionisti. Sezione Carlo
Corsi, al quale pervenivano militari feriti provenienti sia dagli stabilimenti di riserva, sia dagli stabilimenti da campagna.
25
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167
davanti ai miseri resti di un naufragio, ma tuttavia sufficienti a farci intuire, considerata la diversità delle provenienze in relazione all’esigua quantità, quanto probabilmente doveva essere conservato nell’archivio di Monteoliveto.
Spero con queste poche note, ma soprattutto con la guida che si pubblica in
appendice, di esser riuscito a dare un’idea dell’articolazione del fondo e del grande
interesse della documentazione in esso contenuta, per quanto conservata in modo
frammentario. Spero anche, più in generale, di esser riuscito a mettere in evidenza
quanto potenzialmente potrebbero essere importanti gli archivi della sanità militare
territoriale. Non resta adesso che osservare, prendendo proprio spunto dal caso fiorentino, come ancora oggi, su tutto il territorio nazionale, archivi del tutto simili al
caso studiato, per genesi e tipologia di documentazione, forse addirittura conservati
in modo più completo, si trovino ancora nella maggior parte dei casi presso gli archivi di deposito degli ospedali militari e dei dipartimenti militari di medicina legale
ancora attivi26, la cui salvaguardia appare oggi messa in discussione27, a causa delle
continue riforme cui è sottoposta la pubblica amministrazione italiana, quella militare compresa, e per la tutela dei quali credo sia urgente, prendendo proprio a pretesto il centenario del primo conflitto mondiale, lanciare un’opera di censimento28
a livello nazionale che veda, magari uniti sulle stesso fronte, archivisti e storici,
sia civili, sia militari.
SIMONE SARTINI
Archivio di Stato di Firenze
26
Dalla consultazione della banca dati SIAS (Sistema Informativo degli Archivi di Stato) consultabile on line sul sito: <www.archivi-sias.it/> (consultato il 14-03-2014) risulta ad oggi che, a parte
Firenze, solo l’Archivio di Stato di Bologna conservi archivi di strutture sanitarie militari, tutte, nel
caso, afferenti per altro alla CRI: l’Ospedale dei putti; l’Ospedale militare Mazzacorati di Bologna;
l’Ospedale speciale n. 47 di Vigorso di Budrio, per un totale di 220 unità archivistiche dal 1876 al 1950.
27
Non è certo questa la sede per affrontare la questione dei rapporti tra Amministrazione militare
e Amministrazione degli Archivi di Stato. Per una sintesi della questione e qualche approfondimento si
rimanda alle considerazioni di G. ROChAT, Gli archivi militari, in Storia d’Italia nel secolo ventesimo.
Strumenti e fonti, a cura di C. PAVONE, Roma, Direzione generale per gli archivi, 2006, III, pp. 155-166
(Saggi, 88).
28
Sebbene in questi ultimi venti anni siano uscite diverse pubblicazioni aventi come tema censimenti o rassegne di archivi e fonti militari, non mi sembra che il problema della documentazione degli
stabilimenti della sanità militare territoriale sia mai stato proposto in modo evidente. A proposito si ricordano alcune rassegne generali che hanno fatto il punto della situazione: Le fonti per la storia militare
italiana in età contemporanea. Atti del III seminario - Roma, 16-17 dicembre 1988, Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1993 (Saggi, 25); il numero speciale del «Bullettino dell’Archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito», I (2001), 1, gennaio-giugno, pp. 5-368, i cui vari
contributi costituiscono una vero e proprio censimento di archivi e fonti; inoltre si segnalano i singoli
contributi di: S. TRANI, Le fonti documentarie d’interesse storico conservate presso le istituzioni culturali
e gli uffici delle Forze Armate a Roma, in «Le Carte e la storia», 2002, 1, pp. 150-178; G. ROChAT, Una
postilla sugli archivi militari, ibid., pp. 179-180; G. ROChAT, Gli archivi militari, in Storia d’Italia nel
secolo ventesimo… citato. Si cita volentieri, sebbene uscito dopo che questo lavoro era terminato, l’interessante studio di Silvia Trani, Il Regio Esercito e i suoi archivi. Una storia di tutela e salvaguardia
della memoria contemporanea, Roma, Ufficio storico dello Stato maggiore difesa, 2013 (Istituzioni e
fonti militari, 1).
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Simone Sartini
APPENDICE 1
CENTRO, POI DIPARTIMENTO MILITARE
DI MEDICINA LEGALE DI FIRENZE (1915-1970)
OSPEDALE MILITARE DI LIVORNO. SEZIONE ARChIVIO (1933-1970)
Ospedale militare di Livorno
Direzione29
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1939-1970, regg. 123 (con lacune)
Rubriche dei registri generali degli entrati e degli usciti, 1940-1942, regg. 2
Registri licenze (?), 1941-1942, regg. 3
Attività medico - legale30
Reparto osservazione
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1933-1970, regg. 47 (con lacune)
Raccolta verbali di visita di osservazione, 1936-1970, regg. 112 (con lacune)
Commissione medica ospedaliera
Raccolta verbali di visite fiscali, 1945-1970, regg. 53
Raccolta verbali di visite per delega, 1940-1968, regg. 20 (con lacune)
Raccolta verbali di visite AA.CC., 1950-1972, regg. 9
29
Il Regolamento della sanità militare territoriale del 1932 (cfr. nota 17) prescrive, all’art. 11 §
45 che, tra le altre cose, il direttore debba dare le direttive tecniche, amministrative e disciplinari necessarie al buon andamento dell’ospedale, debba corrispondere con i comandi sovraordinati, svolgere
visite e stilare relazioni sul funzionamento degli stabilimenti dipendenti dal suo comando, occuparsi
del miglioramento degli edifici e delle strutture, per la qual cosa deve essere in corrispondenza con il
Genio militare. Infine il direttore presiede e coordina l’attività medico-legale e cura la corrispondenza
con le varie amministrazioni comunali per la comunicazione del decesso dei militari ricoverati e tiene
il registro dei deceduti. Il regolamento inoltre all’art. 15 prescrive che l’ufficio di direzione di un ospedale militare sia articolato in quattro sezioni: 1) sezione rassegna che tiene i registri delle determinazioni
di rassegna e delle licenze superiori ai 90 giorni; 2) sezione rapportino che deve tenere aggiornati i registri degli entrati e degli usciti; 3) sezione statistica che cura la redazione delle statistiche sanitarie; 4)
sezione archivio che si occupa della gestione del carteggio ordinario e del carteggio prodotto dalle strutture sanitarie funzionanti in periodo di guerra.
30
L’attività medico-legale è parte integrante delle funzioni di un ospedale militare e nel Regolamento della sanità militare territoriale del 1932 (cfr. nota 17) è disciplinata dagli artt. 134-161. Senza
poter approfondire un argomento così complesso si può dire che essa si articola in due funzioni: la verifica dell’attitudine al servizio militare per il servizio di leva e la verifica dell’idoneità fisica al servizio
dei militari in servizio e dell’eventuale dipendenza da causa di servizio dell’infermità eventualmente
riscontrata anche a fini pensionistici. Gli organi deputati a queste funzioni sono il Reparto osservazione,
la Commissione medica ospedaliera (art. 168) e il Collegio medico legale (art. 161). Per le vicende del
servizio di leva si rimanda al documentatissimo C. LAMIONI, La documentazione dell’Ufficio di leva di
Firenze. Classi di nascita 1842-1939, in «Rassegna degli Archivi di Stato», n. s., III (2007), 2, pp. 253300. Per le procedure medico-legali si può almeno dire che il nucleo normativo di riferimento risale al
r.d. 5 settembre 1895, n. 603, Testo Unico sulle pensioni civili e militari, come integrato prima dal d.lgt.
28 luglio 1918, n. 1274, poi modificato dal r.d. 7 giugno 1920, n. 835 e definitivamente ripreso dalla l.
11 marzo 1926, n. 416.
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Una fonte impossibile: per un censimento degli archivi della sanità militare
Raccolta verbali di visite G.d.F., 1954-1968, regg. 4
Raccolta verbali di visite Mod. A, 1937-1979, regg. 92 (con ampie lacune)
Raccolta verbali di visite Mod. B, 1926-1970, regg. 178 (con ampie lacune)
Raccolta verbali di visite Mod. AB, 1961-1970, regg. 9
Raccolta verbali di visite Mod. C, 1959-1970, regg. 18
169
Reparti di cura31
Cartelle cliniche, 1954-1970, cartelle e bb. 39532 (con lacune)
Ospedale militare territoriale n. 4 di Lucca, poi sezione dell’Ospedale militare di Livorno33
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1944-1948, regg. 5
Raccolta verbali di visita di osservazione, 1946-1950, regg. 2
Ospedale militare territoriale per patrioti Anna Maria Enriques di Pescia (PT)34
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1945 feb.-lug., un registro
Ospedale militare territoriale Villa Seminario di Calci (PI)35
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1945 mag.-lug., un registro
31
Non è certo possibile nell’ambito di una nota dare conto in modo esaustivo dell’organizzazione
interna di un ospedale militare, tuttavia, anche per dare sostegno al presente tentativo di ordinamento si
può almeno dire che nel Regolamento della sanità militare territoriale del 1932 (cfr. nota 17) si prescrive,
art. 15 § 51, che un ospedale militare principale debba avere almeno i seguenti reparti di cura: reparto
deposito per i neo ricoverati in attesa di assegnazione ad un reparto; reparto medicina generale; reparto
chirurgia; reparto di otorinolaringolatria; reparto cutanei e venerei; reparto di isolamento per malattie infettive; reparto osservazione; reparto neurologico con sezione di segregazione; reparto ufficiali.
32
Le cartelle cliniche del periodo 1954-1959 sono raccolte in cartelle originali e sono ordinate
per anno di dimissione e quindi per mese e per lettera alfabetica iniziale del cognome dei ricoverati.
Le cartelle del periodo 1960-1970 sono raccolte in buste di recupero e sono ordinate per anno di dimissione. Non sono pervenuti repertori o rubriche né al momento sono disponibili altri strumenti analitici di accesso.
33
Documentato dal 1941. Comandante, dal marzo al dicembre 1942, il colonnello medico, dott.
Italo Franceschini. Oltre ai registri qui descritti si conserva anche, tra le carte dell’Ospedale militare
principale di Firenze (vedi infra), un registro degli anni 1941-1943 e alcuni elenchi di versamento di
cartelle cliniche di militari italiani e di prigionieri di guerra dimessi dalla struttura da marzo a dicembre
1942 (ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze,
n. 213, numerazione provvisoria, ins. 16). Sulla coperta del registro relativo al 1947 si legge la seguente
annotazione manoscritta: «Da[l] 18 novembre [1947] l’Ospedale di Lucca si trasferiva a Livorno e furono inviati [sic!] all’Ospedale Militare di Firenze, oppure agli Ospedali civili del territorio. [L’]Attività
del funzionamento di questo ospedale fu ripresa dopo il trasferimento dal giorno 1 gennaio 1948 fino
al 29 febbraio 1948». Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze depositato presso la Sezione di Monteoliveto, reperito nel 2013, si registrava la presenza del carteggio sanitario degli anni 1942 (mar.-dic.), 1943 (gen.-ago) e 1944 (gen.-apr.).
34
Struttura allo stato attuale non altrimenti documentata. A Pescia è comunque attestata anche
la presenza di un ospedale militare territoriale di riserva attivo almeno tra il 1942 e il 1943 (cfr. Appendice 2).
35
Documentato dal 1941 al 1945. Inizialmente il presente registro non era stato identificato correttamente a causa di successive errate reintestazioni. In seguito è stato identificato con sicurezza come
un registro di «entrati e usciti» dell’Ospedale militare territoriale di Calci sulla base dell’elenco di versamento delle relative cartelle cliniche dei ricoverati di Calci del periodo maggio-luglio 1945 trasmesse
all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze, dove si conserva anche un altro registro
degli entrati e usciti relativo al periodo 1941-1942. Si conservano inoltre anche alcuni originali di elenchi
di trasferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze di cartelle cliniche di
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Simone Sartini
Ospedale speciale della Croce rossa italiana di Grosseto36
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1942-1943, un registro
Ospedale speciale della Croce rossa italiana n. 32 Vanda Secchi di Lucca37
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1943-1946, regg. 2
Elenchi di cartelle cliniche militari dimessi, 1949-1950, un fascicolo
Ospedale speciale della Croce rossa italiana di Antignano (LI)38
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1945-1946, un registro
militari dimessi dalla struttura nel 1943 e nel 1944 (ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 246, n.p., ins. 6 e n. 348, n.p., inss. 4 e 9). Comandante dell’ospedale, per gli anni 1941-1942, era il maggiore medico Gastone Ugurleri e, per il 1945, il
tenente colonnello medico Paolo Morganti. Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze depositato presso la Sezione di Monteoliveto si registrava la presenza del carteggio sanitario degli anni 1941 (lug.-dic.), 1942 (gen.-dic.), 1943 (gen.-dic.) e 1944 (gen.-ott.) e di 469 cartelle
cliniche di civili, oggi perdute.
36
Documentato solo dal 1942 al 1943. L’VIII Centro militare di mobilitazione di Firenze della
Croce rossa italiana informava, in data 25 agosto 1949 (cfr. infra Ospedale speciale della Croce Rossa
italiana n. 32 Vanda Secchi di Lucca), l’Ufficio archivio dell’Ospedale militare di Livorno che avrebbe
provveduto quanto prima a versare gli atti del disciolto Ospedale della Croce rossa italiana di Grosseto.
In allegato al registro degli entrati e degli usciti si trova il frammento di un verbale di versamento di
tali atti datato 29 marzo 1950, secondo il quale venivano versati dall’VIII Centro di Firenze all’Ufficio
archivio dell’Ospedale militare di Livorno, 1.810 cartelle cliniche relative al periodo 1942-1946, 2 registri degli entrati e degli usciti, rispettivamente relativi agli anni 1944-1945 e 1945- 1946 e un registro
degli atti di morte del periodo 1° dicembre 1945 - 1° dicembre 1946, contenente sei atti. Della documentazione versata nel 1950, oggi non rimane praticamente nulla. Unica eccezione è costituita dal presente registro, relativo al periodo 1942-1943, e curiosamente non menzionato nel citato elenco di
versamento. Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze, depositato presso
la Sezione di Monteoliveto, si registrava la presenza del carteggio sanitario del solo anno 1942 e solo
per il mese di agosto.
Centro di cura specializzato documentato solo dal 1943 al 1947. Il Comando dell’VIII Centro
militare di mobilitazione della CRI di Firenze, con lettera del 25 agosto 1949, trasmetteva all’Ospedale
militare di Livorno «tutto il carteggio sanitario del disciolto ospedale convenzionato CRI n. 32 Vanda
Secchi di Lucca, relativo al periodo dal 1-07-1945 al 18-01-1947» con allegato un elenco di versamento
che riporta 1.111 cartelle cliniche di militari e reduci dalla prigionia. questo versamento venne effettivamente eseguito il 1° settembre 1949 come risulta dalle firme di ricevuta in calce all’elenco stesso. A
questo versamento ne seguirono altri tre, tutti del 26 ottobre 1950, per un totale di altre 12 cartelle cliniche. Sempre nella citata lettera si specificava che le carte del periodo 1942-1945 erano state in precedenza trasmesse dal Vanda Secchi all’Ospedale militare principale di Firenze che si assicurava
«[avrebbe] provveduto ad inviarlo a codesto Ospedale di Livorno per unirlo a quello rimesso da questo
Centro». La lettera continua affermando che «sono tuttora in via di approntamento gli archivi dei disciolti Ospedali CRI di Grosseto e Antignano (LI) che si fa riserva di trasmettere al più presto possibile».
Si osserva che oggi si conservano soltanto i registri degli entrati e degli usciti, mentre delle cartelle cliniche non rimangono altro che gli elenchi di versamento. Tra le carte dell’Ospedale militare principale
di Firenze si conservano, per l’anno 1943, gli originali di alcuni elenchi di trasferimento delle cartelle
cliniche dei militari dimessi dalla struttura. Da questi elenchi risulta che, almeno per il 1943, il capitano
medico Napoleone Baldi era il comandante dell’ospedale. Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale
depositato presso la Sezione di Monteoliveto si registrava la presenza del carteggio sanitario degli anni
1942 (gen.-dic.), 1943 (gen.-nov.), 1944 (nov.-dic.) e 1945 (gen.-mar.).
37
38
Documentato dal 1945 al 1946. Allo stato attuale non sappiamo quando l’archivio del disciolto
Ospedale della Croce rossa italiana di Antignano venne effettivamente versato all’Ospedale militare di
Livorno, sappiamo solo che il 25 agosto 1949 le carte erano ancora presso l’VIII Centro della CRI di
Firenze (cfr. nota precedente). Da un’annotazione presente nella carta di guardia dell’unico registro
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Una fonte impossibile: per un censimento degli archivi della sanità militare
Ospedale civile Costanzo Ciano, poi Spedali Riuniti di Livorno39
Elenchi cartelle cliniche militari dimessi, 1940-1952, fascc. 2
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Ospedale civile Santa Chiara di Pisa
Elenchi cartelle cliniche militari dimessi, 1940-1943, un fascicolo
OSPEDALE MILITARE DI FIRENZE. SEZIONE ARChIVIO (1915-1970)
Ospedale militare principale di Firenze medaglia d’oro Angelo Vannini
Direzione
Registri generali e mensili degli entrati e degli usciti, 1917; 1922-1970, regg. 91040
(con ampie lacune)
Registro generale dei deceduti in ospedale, 1919-1952, un registro
Ruolini di varie unità della sanità militare di pace e di guerra, 1926-1946, vol. 4641
Attività medico - legale
Reparto osservazione
Raccolta verbali di visita, 1965-1970, filze 139 (con lacune)
Commissione medica ospedaliera
Raccolta verbali di visite Mod. A, 1926-1970, regg. 173 (con lacune)
Raccolta verbali di visite Mod. B, 1928-1970, regg. 315 (con lacune)
oggi conservato, che testualmente recita: «Attenzione i numeri riportati sulla rubrica a sinistra dei nominativi non valgono nulla, cioè non corrispondono ai nominativi delle cartelle. Le Cartelle sono messe
in ordine alfabetico [firma illeggibile] 1°-53 17-12-‘73», apprendiamo che ancora nel 1973 erano presenti nell’archivio dell’Ospedale militare di Livorno anche le cartelle cliniche dei militari ricoverati di
cui oggi si lamenta la perdita. Il fatto, poi, che l’unico registro superstite sia contrassegnato dal numero
«2» e all’interno la numerazione d’ordine inizi dal numero 721, ci fa supporre che doveva esistere almeno anche un registro n. 1 relativo ai ricoveri precedenti al marzo del 1945 che avrebbero dovuto
essere contraddistinti dalla numerazione progressiva da 1 a 720.
39
Il 23 gennaio 1952 la direzione degli Spedali Riuniti di Livorno provvedeva a versare all’Ufficio
archivio presso la direzione dell’Ospedale militare di Livorno le cartelle cliniche dei militari ricoverati
in quell’ospedale civile dal 1940 al 1951, per un totale di 12.253 cartelle cliniche. La documentazione
era descritta in due elenchi, trasmessi contestualmente, relativi rispettivamente ai periodi 1940-1942 e
1943-1951. Di tale versamento non restano oggi che i due elenchi.
40
Mescolati ai registri di questa serie vi sono anche molti registri ascrivibili ad un primo esame
al Reparto osservazione. La serie è attualmente oggetto di schedatura analitica al termine della quale si
provvederà ad un riordino dei materiali più soddisfacente.
41
La serie comprende i ruolini degli effettivi della Sezione di Monteoliveto degli anni 1930, 1933,
1934, 1937, del Corso allievi sottufficiali di sanità presso la Sezione di Monteoliveto degli anni 1927,
1928, 1938, della 7ª Compagnia di sanità di stanza presso la Sezione di Monteoliveto degli anni 19271929, 1931-1932 e degli anni 1936-1937 di stanza in Eritrea, della 1ª Sezione disinfestazione del 1945,
della 2ª Sezione disinfestazione dell’anno 1937 di stanza a Mogadiscio(AOI), della 7ª Sezione disinfestazione degli anni 1936, 1937, 1945, 1947, 1953, 1956, della 18ª Sezione disinfestazione dell’anno
1934, della 31ª Sezione disinfestazione dell’anno 1941 di stanza prima in Romania e poi in Russia,
della 42ª Sezione di sanità dell’anno 1939, dell’Ospedale da campo n. 1 dell’anno 1946, dell’Ospedale
da campo n. 179 dell’anno 1936 di stanza ad Adi Ugri (AOI), dell’Ospedale da campo n. 332 dell’anno
1939, della 17ª Ambulanza odontoiatrica del 1943 di stanza prima in Corsica, poi in Sardegna, della
17ª Ambulanza radiologica del 1940, del 25° Treno ospedale del 1940.
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Simone Sartini
Raccolta verbali di visite Mod. AB, 1957-1970, regg. 26
Raccolta verbali di visite Mod. C, 1949-1970, regg. 25
Raccolta verbali di visite per delega, 1944-1966, regg. 24 (con lacune)
Protocolli della corrispondenza ufficiali, 1942-1952, regg. 12 (con lacune)
Protocolli della corrispondenza truppa, 1943-1967, regg. 45 (con lacune)
Miscellanea di registri non identificati, 1932-1967, regg. 13842
Commissione medica interna
Raccolta verbali di visita, 1946-1966, bb. 20 e regg. 42 (con lacune)
Reparti di cura
Cartelle cliniche, 1962-1970, pacchi 65943 (con lacune)
Cartelle cliniche militari deceduti, 1941-1957, bb. 1644
Elenchi originali di cartelle cliniche trasmesse all’Ufficio archivio, 1940-1960, bb. 1045
Ospedale militare principale di Firenze. Sezione De Amicis46
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1941-1943, regg. 2
42
Si tratta di rubriche, registri di protocollo, registri di entrati e usciti, quasi tutti acefali e quindi
privi dell’indicazione del soggetto produttore, spesso in cattivo stato di conservazione, alcuni mutili o
frammentari.
43
Le cartelle sono raccolte in pacchi, secondo l’anno di dimissione. I pacchi sono ordinati per reparto e per mese. Per ogni reparto le cartelle sono disposte secondo un numero progressivo. La serie
dispone di repertori annuali, al cui interno le cartelle sono censite per reparto, mese e numero.
44
questo gruppo di cartelle non era stato evidenziato al momento della redazione dell’elenco di
versamento; infatti è emerso solo in seguito al lavoro di schedatura. queste cartelle, forse il frutto di
una sorta di raccolta «tematica» realizzata all’interno della Sezione archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze, erano in origine raccolte in pacchi e dotate di un repertorio-inventario, probabilmente
coevo all’operazione di estrazione. Si tratta di un dattiloscritto, non datato, di cc. 11 non numerate, intitolato Elenco nominativo delle cartelle cliniche dei militari deceduti durante il periodo dal 1941 al
1959 (ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze,
n. 347, n.p., ins. 7). In questo inventario si riportano anno per anno i nominativi dei militari deceduti,
elencati in ordine alfabetico. Ogni anno era condizionato in uno o più pacchi, a seconda della quantità
delle cartelle, per un totale complessivo di 20 pacchi. Oggi queste cartelle si presentano raccolte in 16
faldoni e da un rapido confronto tra la consistenza testimoniata dall’inventario e la consistenza attuale
emerge chiaramente che oggi mancano completamente le cartelle degli anni 1948-1949, mentre risultano
presenti solo in parte quelle degli anni 1941-1943.
45
Secondo l’art. 15, comma 60, del Regolamento del servizio militare sanitario territoriale del 1932,
presso ogni direzione di ospedale militare principale doveva essere istituita una sezione o ufficio archivio
che, oltre a gestire la documentazione prodotta dall’ospedale, aveva anche il compito di ricevere il carteggio
sanitario prodotto dalle strutture sanitarie di guerra dipendenti dall’ospedale militare principale. queste
buste raccolgono ciò che rimane degli elenchi di versamento originali e del relativo carteggio, prodotto
dalle varie strutture sanitarie militari permanenti e di guerra dipendenti dall’Ospedale militare principale di
Firenze. Si tratta di veri e propri verbali di versamento, qualche volta manoscritti ma per lo più dattiloscritti,
redatti a cadenza mensile. questi elenchi, purtroppo quasi tutti in pessimo stato di conservazione, nella
maggioranza dei casi sono molto dettagliati e, per ogni cartella, si riportano nome, cognome, grado, corpo
di appartenenza, data di entrata, data di uscita, diagnosi e in qualche caso anche il periodo di licenza o di
convalescenza. questa documentazione, visto il grado di estrema frammentarietà delle carte conservate, si
rivela di grandissima importanza per integrarne i dati e, in qualche caso, rappresenta l’unica testimonianza
dell’esistenza e dell’attività di strutture sanitarie di riserva e da campagna di cui non si è conservato null’altro.
Rimandando l’elenco puntuale di tutti i verbali di versamento conservati all’inventario che è in corso di redazione, si dà in appendice solo l’elenco di quelli relativi a strutture non testimoniate altrimenti.
46
La Sezione ospitava il reparto cutanei e venerei. Si conservano alcuni originali di elenchi di tra-
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Una fonte impossibile: per un censimento degli archivi della sanità militare
Ospedale militare principale di Firenze. Sezione Monteoliveto47
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1925-1945, regg. 8
173
Ospedale militare territoriale Collegio Santa Caterina di Arezzo48
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1944-1945, regg. 2
Ospedale militare territoriale di Arliano (LU)49
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1942-1943, un registro
sferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze di cartelle cliniche di militari
dimessi dalla struttura negli anni 1942-1943. Comandante il maggiore medico A. L. Barbieri. Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze depositato presso la Sezione di Monteoliveto, si registrava la presenza del carteggio sanitario degli anni 1942 (gen.-dic.), e 1943 (gen.-set.).
47
Sezione permanente dell’Ospedale militare principale di Firenze. Nell’inventario dell’archivio
depositato presso la Sezione di Monteoliveto si registrava la presenza del carteggio sanitario degli anni
1942 (gen.-dic.), 1943 (gen.-dic.), 1944 (gen.-dic.), 1945 (gen.-dic.) e degli anni 1946 (gen.-dic.), 1947
(gen.-dic.) e 1948 (gen.-dic.), oggi perduto.
48
Per il periodo 1941(?) - 1942 si conservano solamente gli elenchi originali di trasferimento all’Ufficio archivio dall’Ospedale militare principale di Firenze delle cartelle cliniche dei militari dimessi
(ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n.
346, n.p., ins. 19). Nel 1941-1942 è comandante il tenente colonnello medico Paolo Mariconda; nel
1943 si alternano al comando tre ufficiali: il maggiore medico Pietro Giuliani, il tenente colonnello medico Antonio Ricci (da giugno), il maggiore medico Enrico Tagliaferri (da settembre). Tra gli elenchi
delle cartelle cliniche del 1943 (ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di
medicina legale di Firenze, n. 247, n.p., ins. 11) compare la dicitura «Osp. Mil. Terr. Collegio S. Caterina
di Arezzo con sede in Subbiano». Allo stato attuale degli studi si ignora se si tratti di una struttura diversa, succursale di quella principale o se ciò indichi un trasferimento della struttura ospedaliera in una
zona più defilata. Nell’inventario dell’archivio si registrava la presenza del carteggio sanitario degli
anni 1941-1942 (incompleto), 1943 (gen.-dic.) e 1944 (gen.-giu.) di cui oggi non rimane nulla. Si conservano inoltre alcuni elenchi di cartelle cliniche di militari dimessi da un’altra struttura sanitaria militare
operativa in Arezzo nel 1943 e denominata «Ospedale sanatoriale A. Garbasso di Arezzo» (ASFi, Centro
militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 246, n.p., ins.
10), che forse è da identificare con quello registrato nell’inventario dell’archivio dall’Ospedale militare
principale di Firenze, come «Osp. Mil. Sanatorio Arezzo», di cui si conservavano solo 14 cartelle cliniche, che oggi risultano perdute.
49
Ospedale di riserva, documentato dall’aprile 1942 al settembre del 1943. Non è possibile stabilire quale fosse l’esatta consistenza della documentazione prodotta, poiché la struttura risulta essere
stata saccheggiata da truppe tedesche all’indomani dell’8 settembre 1943. La documentazione sopravvissuta venne trasmessa all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze il 29 ottobre
1947 dall’ex cappellano militare don Italo Giannini che aveva trattenuto presso di sé, dopo il saccheggio,
quanto restava delle carte dell’ospedale. L’esatta consistenza dell’archivio all’ottobre 1947 ci è testimoniata dal verbale di consegna che è allegato all’unico registro oggi superstite, che sembra di poter
identificare con il primo citato nell’elenco che segue:
«Elenco dei Registri consegnati all’Ospedale Militare Principale di Firenze dall’ex cappellano
militare sac. Italo Giannini, della Diocesi di Lucca, ed appartenenti già all’Ospedale Militare di Arliano
(Lucca), di cui il suddetto sacerdote fu cappellano, e che egli riuscì ad involare alle rapinerie dei tedeschi
occupanti lo stabilimento sanitario.
1. Un registro di soldati ricoverati dal 6 aprile 1942 al 30.9.43
2. Altro registro di soldati ricoverati, più completo, con la classe di appartenenza, il Distretto di origine,
il Corpo, la malattia, la causa di servizio; la dimissione o la morte ecc.
3. Registro dei defunti (consta di novantanove fogli firmato il 20 dic. 1940 dall’allora Col. Med. Franceschi prof. Italo)
4. Registro licenze dal 1 giu. 1943 al …
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Simone Sartini
Ospedale militare territoriale Colonia Firenze di Calambrone (PI)50
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1941, un registro
Ospedale militare territoriale Villa Seminario di Calci (PI)51
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1941-1942, un registro
Ospedale militare territoriale di Careggi (FI)52
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1942-1943, un registro
Ospedale militare territoriale per autolesionisti Villa Manetti di Fiesole53 - Ospedale militare
5. Registro pacchi dal 25.5.41 al 30.8.43
6. Registro delle raccomandate ed assicurate dal 21 maggio 1943 al 2.10.43
7. Registro degli espressi dal 17.6.43 al 26.10.43
Il sottoscritto dichiara che i suddetti documenti ha potuto versarli a codesto Ospedale solo in data
odierna, dato che dal novembre 1943 ad oggi le sue condizioni di salute sono state tali da non consentirgli di affrontare il viaggio da Lucca a Firenze.
Firenze, li 29 ottobre 1947
Il Sacerdote Italo Giannini
[firma autografa]
Per ricevuta
Il Ten. Col. Medico Segretario
(dott. ***)
[timbro in parte evanito]».
Si conservano, inoltre, gli originali di alcuni elenchi di trasferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze di cartelle cliniche di militari dimessi dalla struttura nel 1943.
Da questi elenchi risultano alternarsi al comando della struttura, durante l’anno, il maggiore medico
Salvatore Gino Cerri e il tenente colonnello medico Alfonso Carlesi. Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze si registrava la presenza del carteggio sanitario degli anni
1941, 1942 (gen.-dic.) e 1943 (gen.-set.).
50
Struttura non documentata altrimenti. Nello stesso luogo risulterebbe, invece, attivo l’Ospedale
militare territoriale Vittorio Emanuele III di Calambrone (PI), di cui rimangono alcuni originali di elenchi di trasferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze di cartelle cliniche
di militari dimessi dalla struttura negli anni 1941-1942 (ASFi, Centro militare di medicina legale, poi
Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 346, n.p., ins. 20) e 1943 (ASFi, Centro militare
di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 246, n.p., ins. 5). Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze si riportava il carteggio sanitario
per gli anni 1942 (gen.-dic.) e 1943 (gen.-lug.). Nel medesimo inventario si riportava l’esistenza anche
di un «Convalescienziario di Calambrone - Pisa» di cui si registrava la presenza del carteggio sanitario
soltanto per l’anno 1945 (mag.-lug.).
51
Un altro registro del 1945 è conservato presso l’Ospedale militare di Livorno.
Si conservano, inoltre, alcuni elenchi di trasferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare
principale di Firenze di cartelle cliniche di militari dimessi dalla struttura negli anni 1942-1943 (ASFi,
Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 213,
n.p., ins. 7 e n. 247, n.p., ins. 1), quando era comandante il tenente colonnello Giulio Lepri. Tra gli elenchi del 1943 ve ne sono alcuni relativi all’Ospedale civile Villa delle Rose di Careggi, Firenze, struttura
utilizzata come convalescenziario per ufficiali (ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze n. 213, n.p., ins. 9). Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze si fa menzione della struttura di Careggi per l’anno 1941, senza
indicare la tipologia e la consistenza delle carte, mentre per l’anno 1943 si riporta il carteggio sanitario
relativo ai mesi gennaio-novembre.
52
53
Nell’agosto del 1917 il Ministero della guerra istituì presso la sede di ogni corpo d’armata degli
speciali ospedali per autolesionisti. Il funzionamento di tali strutture era disciplinato dalla circolare 31
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territoriale La querce di Firenze – Reparto smistamento autolesionisti
Raccolta dei verbali di visita della commissione medica collegiale, 1917-1918, un registro
Ospedale militare territoriale Villa Granduchessa di Firenze54
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1941-1943, un registro
Registri di protocollo della corrispondenza, 1941-1946, un registro
Ospedale militare territoriale Villa Natalia di Firenze55
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1945, un registro
Registri degli atti di morte, 1941, un registro
Ospedale militare territoriale Villa delle Mantellate di Firenze56
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1942-1943, un registro
agosto 1917 n. 181693/2 diramata dall’Ufficio sanitario del Ministero della guerra. Secondo quanto
previsto dal testo della circolare «i feriti e gli ammalati sospetti vengono avviati agli ospedali per autolesionisti dai comandi di deposito e dalle direzioni dei vari ospedali militari (...) [G]li ufficiali medici
degli ospedali per autolesionisti, raggiunta la prova clinica della frode, provvederanno a denunziare il
degente all’autorità giudiziaria militare. qualora non si raggiunga la prova della frode ma permanga la
certezza che la lesione è stata provocata ad arte il militare (...) sarà segnalato al comando di corpo d’armata che ne disporrà subito l’invio in zona di guerra (...). Alla fine di ogni bimestre le direzioni degli
o.p.a. provvederanno a inviare al ministero un elenco numerico, raggruppato per lesioni e per corpi, di
tutti gli autolesionisti ricoverati indicando anche i provvedimenti disciplinari adottati e riferendo l’esito
dei procedimenti penali» (cfr. E. FORCELLA - A. MONTICONE, Plotone di esecuzione. I processi della
prima guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. xVIII-xIx e in particolare la nota 8). Come in
parte già anticipato nell’introduzione, a Firenze, da quanto risulta dai verbali contenuti nel registro superstite, operavano due strutture tra loro strettamente coordinate; l’Ospedale militare territoriale di riserva La querce, con sede in città, dotato di un apposito reparto di smistamento per autolesionisti e
l’Ospedale militare territoriale per autolesionisti Villa Manetti con sede in Fiesole. Al reparto smistamento pervenivano militari sospetti autolesionisti sia dalle strutture della sanità militare da campagna,
sia da quelle di riserva e in questa sede venivano esaminati da una commissione medica composta da
due ufficiali medici della struttura di Fiesole e dall’ufficiale medico responsabile del reparto smistamento. L’esito della visita poteva avviare il militare al ricovero nella struttura di Fiesole o determinarne,
invece, l’immediato invio in zona di guerra. L’incertezza dell’attribuzione del registro deriva dal fatto
che questo non presenta un’intestazione formale. Per ogni altra più dettagliata valutazione si rimanda
al termine del lavoro di trascrizione del registro che l’autore sta conducendo.
54
Si conservano, inoltre, alcuni elenchi di trasferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare
principale di Firenze di cartelle cliniche di militari dimessi dalla struttura nel 1942-1943 (ASFi, Centro
militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 213, n.p., ins.
8), quando era comandante il capitano medico Gastone Cesari. Sulla camicia che contiene gli elenchi
del 1942 si legge, scritto a pennarello nero: «Manca il carteggio sanitario». Nell’inventario si registrava
la presenza del carteggio sanitario degli anni 1942 e 1943 (gen.-dic.).
55
Si conservano, inoltre, alcuni elenchi di trasferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare
principale di Firenze di cartelle cliniche di militari dimessi dalla struttura nel 1943 e nel 1945 (ASFi,
Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 248, n.p.,
ins. 12 e n. 347, n.p., ins. 15). Nel 1943 era comandante il capitano medico Fedrigo Cavazzoni e nel 1945
il tenente colonnello medico G.D. Casola. Nell’inventario dell’archivio si registra, per l’anno 1942, solo
una rubrica, termine che spesso vuole indicare un registro di entrati e usciti, mentre il resto del carteggio
è dato per perduto; per l’anno 1943 il carteggio sanitario dei mesi gennaio-agosto, per l’anno 1944 il carteggio sanitario dei mesi gennaio-dicembre e 85 cartelle cliniche e, infine, per l’anno 1945 il carteggio sanitario dei mesi gennaio-luglio e 8 cartelle cliniche. Tutta la documentazione descritta oggi risulta perduta.
56
Documentato dal 1942. Si conservano, inoltre, alcuni elenchi di trasferimento all’Ufficio archivio
dell’Ospedale militare principale di Firenze di cartelle cliniche di militari dimessi dalla struttura negli
anni 1942-1943 (ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale
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Simone Sartini
Ospedale militare territoriale n. 4 di Lucca57
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1941-1943, un registro
Ospedale militare territoriale Locanda Maggiore di Montecatini Terme (PT)58
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1942-1943, un registro
Ospedale militare territoriale n. 8 di Prato59
Registri degli atti di morte, 1942-1943, un registro
Ospedale militare territoriale di Siena60
Registri degli atti di morte, 1940-1944, regg. 3
Ospedale militare di riserva n. 16 (Corsica?)61
Registri degli atti di morte, 1943, un registro
di Firenze, n. 213, n.p., ins. 10 e n. 248, n.p., ins. 13). Sulla camicia che contiene gli elenchi del 1942 si
legge, scritto a pennarello nero: «manca carteggio sanitario». Negli anni 1942-1943 era comandante il
capitano medico Gualtiero Vaselli. Nell’inventario di Monteoliveto si registrano due diverse fasi operative. Per la prima fase come Ospedale militare territoriale, relativa agli anni 1942-1943, si registra come
superstite del carteggio sanitario del 1942, andato perduto per cause belliche, solo una «rubrica» per i
mesi agosto-dicembre da identificare probabilmente con il registro tuttora conservato, e per il 1943 il
carteggio sanitario dei soli mesi gennaio-novembre che oggi risulta, invece, perduto. Per la seconda fase,
invece, come Ospedale militare territoriale del Sovrano Militare Ordine di Malta, per gli anni 1945-1947,
si registra, per il 1945, solo il carteggio di giugno più 14 cartelle cliniche di vari mesi, per il 1946 308
cartelle cliniche di vari mesi e per il 1947, 204 cartelle cliniche di vari mesi, di cui, oggi, complessivamente non rimane nulla, mentre si conservano solo alcuni elenchi delle cartelle cliniche inviate all’Ufficio
archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze relative ai militari dimessi nel 1945 (ASFi, Centro
militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 348, n.p., ins. 4).
In questi ultimi elenchi la struttura è denominata OMT n. 8 «Villa Mantellate» S.M.O.M.
57
Altra documentazione è conservata presso l’Ospedale militare di Livorno.
Documentato dal 1941. Si conservano, per gli anni 1941-1943, quando era comandante il tenente colonnello medico Teofilo Arganini, alcuni elenchi di trasmissione all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze di cartelle cliniche di militari dimessi dalla struttura (ASFi, Centro
militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 213, n.p., ins.
17 e n. 246, n.p., ins. 1). Nell’inventario di Monteoliveto, invece, si registrava la presenza del carteggio
sanitario degli anni 1941 (ago.-dic.), 1942 (giu.-dic.) e 1943 (giu.-ott.).
58
59
Si conservano, per gli anni 1942-1943, elenchi di trasferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze di cartelle cliniche di militari dimessi (ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 213, n.p., ins. 12 e n. 247,
n.p., ins. 2). Nel 1942 si alternano al comando della struttura quattro ufficiali: il capitano medico Luca
Fioravanti e i tenenti colonnelli medici Stefano Fabroni, Ciro Paoletti, Carmelo Bordone, che comanderà
la struttura anche per tutto il 1943. Nell’inventario di Monteoliveto si registrava la presenza del carteggio
sanitario degli anni 1940-1941, 1942 (feb.-dic.) e 1943 (gen.-set.).
60
Si conservano, inoltre, alcuni elenchi di trasferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare
principale di Firenze di cartelle cliniche di militari dimessi dalla struttura negli anni 1940-1942 e 1943
(ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n.
346, n.p., ins. 22 e n. 347, n.p., ins. 2). Da questi elenchi risultano i nomi di almeno due ufficiali comandanti: il colonnello medico A. Montone, per il 1941, e il tenente colonnello medico Alberto Mochi,
per gli anni 1942-1943. Nell’inventario di Monteoliveto risultavano presenti i carteggi sanitari degli
anni: 1940 (solo set.-ott. e dic.); 1941 (solo gen.-apr. e giu.-dic.); 1942 (gen.-dic.); 1943 (gen.-dic.);
1944 (gen.-lug.), oggi perduti.
61
Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze si registravano per il
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Una fonte impossibile: per un censimento degli archivi della sanità militare
Ospedale militare di riserva n. 165 di Antignano (LI)62
Libro paga dei militari ricoverati, 1945, un registro
177
Ospedale speciale della Croce rossa italiana n. 30 Maria Federici di Arezzo63
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1941-1946, regg. 5
Registri degli atti di morte, 1944-1946, un registro
Ospedale speciale della Croce rossa italiana n. 31 Santa Maria Nuova di Firenze64
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1945-1948, regg. 5
Registri degli atti di morte, 1940-1947, regg. 2
Ospedaletto da campo n. 93 (?)
Registri dei referti autoptici, 1915-1918, un registro
Ospedale da campo n. 77 (Africa Orientale Italiana?)65
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1935-1937, regg. 2
Registri dei rimpatri, 1935-1936, un registro
solo anno 1943 sia l’Ospedale da campo di riserva n. 16 di Bastia, Corsica, senza peraltro indicare la
consistenza del carteggio effettivamente conservato, sia l’Ospedale militare territoriale n. 16, di cui si
indicava la presenza del carteggio sanitario relativo ai solo mesi di giugno e luglio.
62
Nell’inventario dell’archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze si registrava la presenza del carteggio sanitario del solo anno 1945 per i mesi di giugno-settembre.
63
Struttura non permanente presente nella zona di Arezzo e attiva sicuramente dalla primavera del
1941 a tutta l’estate del 1946. Successivamente a tale epoca venne soppressa e gli atti dell’archivio vennero
inviati, ai sensi dell’art. 15, comma 60 del Regolamento del Servizio sanitario militare territoriale del 1932,
all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze, probabilmente entro l’estate del 1949.
quale fosse la consistenza dell’archivio del Maria Federici ci è testimoniato dall’elenco di versamento redatto dal commissario dott. Angelo Sasseroni dell’VIII Centro di Mobilitazione della Croce rossa italiana
in qualità di ispettore amministrativo, in cui compaiono alcuni prospetti delle competenze corrisposte agli
ufficiali degenti, ai sottufficiali e alla truppa; 7 registri dei degenti entrati e usciti e uno degli atti di morte;
circa 1.000 cartelle cliniche dei degenti. L’elenco non è datato, ma nel margine sinistro si legge la seguente
nota manoscritta a penna rossa: «Passato [a] Mon[teoliveto] il 19.8.1949». Oggi, di tutti i materiali presenti
nell’elenco sopravvivono soltanto i due registri indicati e il registro degli atti di morte (ASFi, Centro militare
di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 348, n.p., ins. 9). Particolarmente grave appare la perdita completa dell’archivio clinico. Si nota che vi erano conservate oltre alle cartelle dei militari regolari anche quelle degli internati nel vicino campo di prigionia di Laterina, come risulta
dagli elenchi di trasmissione delle cartelle cliniche degli anni 1943 e 1945.
64
Stabilimento di cura specializzato, sito in piazza Brunelleschi a Firenze. Si conservano anche,
per gli anni 1943-1945, alcuni elenchi di trasferimento all’Ufficio archivio dell’Ospedale militare principale di Firenze delle cartelle cliniche dei militari dimessi (ASFi, Centro militare di medicina legale,
poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 347, n.p., inss. 4, 9, 14 e 17). Nel 1943 si
alternano al comando della struttura tre diversi ufficiali: il capitano medico Gastone Calosci; il tenente
colonnello medico A. Magi; il maggiore medico G. Tognini. Nell’inventario di Monteoliveto tuttavia
si registrava, per il solo 1943, la presenza sia di un Ospedale militare territoriale S. Maria Nuova di Firenze, di cui si conservava il carteggio sanitario dei mesi di giugno-dicembre, sia dell’Ospedale della
Croce rossa italiana, di cui si conservava il carteggio per i mesi di gennaio-settembre.
65
Nelle carte di guardia del ruolino effettivi della 7ª Sezione disinfestazione dell’anno 1936 si
legge la seguente nota manoscritta: «Unità finora mobilitate dall’Ospedale Militare di Firenze ed Ancona
per esigenze A(frica). O(rientale): 3ª Sez. di Sanità «Divisione Gavinana», 2 ª Sez. Disinfezione - Somalia, 7° Comando unità sanitaria - varie comprendenti il: 10° Nucleo Chirurgico, 7ª Ambulanza radiologica, 27ª Ambulanza radiologica, 7ª Ambulanza odontoiatrica, 77° Ospedale da campo, 78°
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Simone Sartini
Ospedale da campo n. 78 (Africa Orientale Italiana?)
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1935-1937, regg. 8
Ospedale da campo n. 79 (Africa Orientale Italiana?)
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1935-1937, regg. 2
Registri degli atti di morte, 1935-1937, un registro
Ospedale da campo n. 178 (Africa Orientale Italiana?)
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1935-1937, regg. 3
Ospedale da campo n. 179 di Adi Ugri (Africa Orientale Italiana )66
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1935-1936, regg. 2
Ospedale da campo n. 180 di Cheren (Africa Orientale Italiana)67
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1935-1937, regg. 5
Ospedale da campo n. 487 (?)
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1939, un registro
Ospedale da campo n. 543 di Adi quala (Africa Orientale Italiana)68
Registri generali degli entrati e degli usciti, 1935-1937, regg. 7
Ospedale da campo n. 544 (Africa Orientale Italiana - Somalia)
Rubrica alfabetica dei militari ricoverati (?), 1936, un registro
Ospedale da campo n. 568 (?)69
Rubrica alfabetica dei militari ricoverati (?), 1941-1942, un registro
Ospedale da campo n. 2077 (Africa Orientale Italiana?)
Rubrica alfabetica dei militari ricoverati (?), 1936-1937, un registro
Infermeria presidiaria di Aiaccio70
Registri degli atti di morte, 1943, un registro
Ospedale da campo, 79° Ospedale da campo, 80° Ospedale da campo, 177° Ospedale da campo, 178°
Ospedale da campo, 179° Ospedale da campo, 180° Ospedale da campo, 542° Ospedale da campo, 543°
Ospedale da campo, 26ª Sezione di disinfezione, 544° Ospedale da campo - Somalia, 545° Ospedale
da campo - Somalia, 2077° Ospedale da campo, 2078° Ospedale da campo Mobilitati ad Ancona, 29ª
Sezione Sanità, 73° Ospedale da campo, 74° Ospedale da campo, 75° Ospedale da campo, 76° Ospedale
da campo, 243° Ospedale da campo, 18° Nucleo chirurgico».
66
Allestito durante il primo ciclo di operazioni della guerra d’Etiopia, disponeva di 710 posti
letto (cfr., F. BOTTI, La logistica dell’esercito italiano, III… cit., pp. 873-876). Si conserva anche un
ruolino effettivi per l’anno 1936.
67
Allestito durante il terzo ciclo di operazioni della guerra d’Etiopia, disponeva di 320 posti letto
(cfr. F. BOTTI, La logistica dell’esercito italiano, III… citato).
68
Allestito durante il primo ciclo di operazioni della guerra d’Etiopia, disponeva di oltre 1.000
posti letto (ibidem).
Nell’inventario di Monteoliveto si registrava la presenza del carteggio sanitario degli anni 1941
(apr.-dic.), e 1942 (gen.-nov.).
69
70
Non presente, almeno sotto il nome di infermeria presidiaria, nell’inventario di Monteoliveto.
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Una fonte impossibile: per un censimento degli archivi della sanità militare
APPENDICE 2
179
VERBALI DI VERSAMENTO DI CARTELLE CLINIChE PRODOTTE
DA STRUTTURE SANITARIE NON TESTIMONIATE ALTRIMENTI
Si riporta l’elenco dei verbali di versamento relativi a strutture altrimenti non testimoniate,
conservati in Ospedale militare principale di Firenze medaglia d’oro Angelo Vannini, Reparti di cura, Elenchi originali di cartelle cliniche trasmesse all’Ufficio archivio:
Ospedale militare territoriale di Castelfiorentino (FI): elenco cartelle cliniche militari dimessi
nel 194371.
Comandante: tenente colonnello medico Francesco Cultrera; capitano medico Marco Pellegrino (da settembre).
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra solo il carteggio sanitario dell’anno 1943 per i mesi di aprile-novembre.
OMT di Volterra (PI), elenco cartelle cliniche militari dimessi nel 194372.
Comandante maggiore medico Giuseppe Mari.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra solo il carteggio sanitario dell’anno 1943 per i mesi di agosto-settembre.
OMT «Scuole Elementari» di Signa (FI): elenco cartelle cliniche militari dimessi negli anni
1942-194373.
Comandante: maggiore. medico Ugo Socci.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1942, per i mesi di giugno-dicembre, 1943, per
i mesi di gennaio-dicembre, e 1944, per i mesi di gennaio-giugno.
OMT di Empoli: elenco cartelle cliniche militari dimessi nell’anno 194374.
Comandante: maggiore medico Leo Piegay.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra solo il carteggio sanitario dell’anno 1943 per i mesi di luglio-agosto.
OMT «A. Lodolo» di Castagneto Carducci: elenco cartelle cliniche militari dimessi degli
anni 1942-194375.
Comandante: tenente colonnello Carmelo Bordone (per il 1942) e maggiore medico Arturo Montone (per il 1943).
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra solo il carteggio sanitario degli anni 1941, per i mesi di agosto-ottobre, 1942,
71
ASFi, Centro militare di medicina legale, poi Dipartimento militare di medicina legale di Firenze, n. 246, n.p., ins. 9.
72
73
74
75
Ibid., n. 246, n.p., ins. 8.
Ibid., n. 213, n.p., ins. 13 e n. 248, n.p., ins. 1.
Ibid., n. 247, n.p., ins. 7.
Ibid., n. 213, n.p., ins. 15 e 248, n.p., ins. 5.
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Simone Sartini
per il mese di gennaio e 1943, per i mesi di giugno-luglio.
OMT dell’Impruneta: elenco cartelle cliniche militari dimessi per l’anno 194376.
Comandante: maggiore medico Sebastiano Cannizzo.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra solo il carteggio sanitario dell’anno 1943 per i mesi di settembre-dicembre.
OMT di Pescia: elenco cartelle cliniche militari dimessi negli anni 1942-194377.
Comandante: maggiore medico Cesare Ansaldi, cui nel corso del 1942 succede il capitano
medico Bernardo Fabbri. Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la
Sez. di Monteoliveto, si registra il carteggio sanitario degli anni 1942, per i mesi giugnodicembre, e 1943, per i mesi di gennaio-agosto.
OMT «Scuole Frosini» di Pistoia: elenco cartelle cliniche militari dimessi negli anni 1941194378.
Comandante: maggiore medico Alfonso Carlesi, cui succede il maggiore medico Vincenzo Consortini, cui succede nel 1943 il capitano medico Bernardo Fabbri, sostituito
dal luglio, dal maggiore medico Giuseppe Szilagy.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1941, per i mesi di ottobre-dicembre, ma una
nota successiva afferma che risulterebbe mancante, 1942, per i mesi di gennaio-febbraio,
aprile-maggio, e agosto-dicembre, e 1943 per i mesi di gennaio-dicembre.
OMT «Pia Casa» di Lucca: elenco cartelle cliniche militari dimessi nel 194379.
Comandante: maggiore medico Salvatore Gino Cerri.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra solo il carteggio sanitario dell’anno 1943 per i mesi di settembre-ottobre.
OMT «La Carità» - Sez. «8 gennaio» di Marina di Pisa: elenco cartelle cliniche militari dimessi nell’anno 1942-194380.
Comandante, tenente colonnello Luigi Antoni.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1942, per i mesi di novembre-dicembre, e 1943,
per i mesi di gennaio-luglio.
OMT «La Carità» – Sez. «Santa Chiara» di Pisa: elenco cartelle cliniche militari dimessi
nell’anno 194381.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra solo il carteggio sanitario dell’anno 1943 per il solo mese di agosto.
Centro di cura specializzato della C.R.I. «S. Michele» di Pisa: elenco cartelle cliniche militari
dimessi nell’anno 194382.
76
77
78
79
80
81
82
Ibid., n. 248, n.p., ins. 10.
Ibid., n. 213, n.p., ins. 18 e n. 247, n.p., ins. 6.
Ibid., n. 246, n.p., ins. 11 e n. 346, n.p., ins. 23.
Ibid., n. 248, n.p., ins. 4 e n. 347, n.p., ins. 3.
Ibid., n. 213, n.p., ins. 14.
Ibid., n. 247, n.p., ins. 8.
Ibid., n. 248, n.p., ins. 9.
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Una fonte impossibile: per un censimento degli archivi della sanità militare
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Comandante: maggiore medico Valentino Di Fabio.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1942, per i mesi di gennaio-dicembre, e 1943,
per i mesi di gennaio-luglio.
OMT «Oceano» di Lido di Camaiore (LU): elenco delle cartelle cliniche di militari dimessi
negli anni 1942-194383.
Comandante, maggiore medico Ciro Paoletti.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1942, per i mesi di novembre-dicembre, e 1943,
per i mesi di gennaio-settembre.
OMT di Cortona (AR): elenco di cartelle cliniche di militari dimessi negli anni 1942-194384.
Comandante: maggiore medico Carlo Mariotti negli anni 1942-1943, ma sostituito per
una parte del 1942 dal tenente colonnello medico Carlo Nenci.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1942, per i mesi di luglio-dicembre, e 1943, per
i mesi di gennaio-ottobre.
OMT «Regina Elena» di Firenze (forse sezione dell’OMPFi): elenco cartelle cliniche di militari dimessi nel solo 194385.
Comandante: capitano medico Giuseppe Feri.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1942, per i mesi di gennaio-dicembre, e 1943,
per i mesi di gennaio-settembre.
26ª Sezione di Sanità: elenco cartelle cliniche di militari dimessi negli anni 1944-194586.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1942, per i mesi di novembre-dicembre, e 1943,
per i mesi di gennaio-ottobre, 1944, per i mesi di febbraio-aprile, e 1945, per i mesi di
[gennaio]-agosto.
OC n. 82: elenco cartelle cliniche militari dimessi negli anni 1944-194587.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1943, mesi vari, 1944, per i mesi di gennaio-settembre, 1945, mesi vari, 1946, mesi vari, e 1947, per i mesi di gennaio-febbraio.
OC n. 84: elenco cartelle cliniche militari dimessi negli anni 1944-194588.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1943, mesi vari, 1944, vari mesi, ma si specifica
che sono 32 cartelle cliniche, 1945, per i mesi di gennaio-dicenbre, e 1946, dove si indicano solo 5 cartelle di vari mesi.
83
84
85
86
Ibid., n. 213, n.p., ins. 15 e n. 247, n.p., ins. 10.
Ibid., n. 213, n.p., ins. 11 e n. 248, n.p., ins. 2.
Ibid., n. 248, n.p., ins. 11.
Ibid., n. 347, n.p., ins. 13 e n. 348, n.p., ins. 16.
Ibid., n. 347, n.p., ins. 10 e n. 348, n.p., ins. 12.
87
88
Ibid., n. 348, n.p., ins. 11 e 12.
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Simone Sartini
OC n. 333 (Corsica?): elenco cartelle cliniche militari dimessi negli anni 1944-194589.
Comandante: tenente medico Achille Farina.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1942, per i mesi di luglio-dicembre, 1943, mesi
vari, 1944, per i mesi di gennaio-dicembre, 1945, per i mesi di gennaio-dicembre, e 1946,
per i mesi di gennaio-aprile.
OC n. 960 di Feltre (BL): elenco cartelle cliniche militari dimessi nel 194590.
Comandante, sottotenente medico Marco Tanda.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario del solo anno 1945, per i mesi di aprile-dicembre.
OC ausiliario attendato di Merano n. 331: elenco cartelle cliniche militari dimessi negli anni
1945-194691.
Comandante: capitano medico Giacomo Donegani.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra questo OC per gli anni 1945-1946, senza, però indicare una precisa consistenza
dell’eventuale carteggio conservato.
Convalescenziario della 210ª Divisione fanteria: elenco cartelle cliniche di militari dimessi
nell’anno 194592.
Comandante: tenente medico Umberto Fantacci.
Nell’inventario dell’archivio dell’OMPFi depositato presso la Sez. di Monteoliveto, si
registra il carteggio sanitario degli anni 1944 con 95 cartelle del mese di dicembre e 1945,
per i mesi di gennaio-aprile.
89
90
91
92
Ibid., n. 347, n.p., ins. 13 e n. 348, n.p., ins. 2.
Ibid., n. 348, n.p., ins. 7.
Ibid., n. 348, n.p., ins. 10.
Ibid., n. 348, n.p., ins. 17.
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DIBATTITO
Nicola Labanca: Chiederei solo qualche informazione maggiore, oltre a quelle che
ci ha dato, su questo big repository di Gaeta. Vorremmo capire un po’ meglio come
funziona, ovviamente senza svelare nessun segreto di Stato.
Micaela Procaccia: Non ho idea se ci siano segreti di Stato. Si tratta di un luogo
dove è prevista l’acquisizione in formato digitale della documentazione attraverso
una serie di procedure che sono, grosso modo, la scansione digitale ad altissima
definizione che dovrebbe avvenire in parole molto povere scansionando prima
l’esterno del fascicolo, poi i documenti inseriti nel fascicolo, in maniera tale che
già l’immagine virtualmente dia la sequenza archivistica; inoltre ogni documento
verrà corredato di metadati, con riferimento all’archivio, la serie, la sottoserie, il
numero del fascicolo ed anche un codice univoco che dovrà consentire l’identificazione del documento e l’impossibilità di confondere un documento con l’altro; questa identificazione univoca viene attribuita anche rispetto al fascicolo,
quindi è una classificazione gerarchica tradizionale che va dal generale al particolare e arriva al singolo foglio. L’altro aspetto importante è la previsione del
controllo periodico del mantenimento dei byte di ogni singolo documento, per
verificare la continuità nel tempo dell’informazione; è previsto anche il periodico
riversamento in software e in piattaforme di nuova generazione, man mano che
quelle adottate saranno obsolete. Lo staff prevede un responsabile della conservazione e archivisti informatici, perché le dimensioni dell’operazione saranno
tali che probabilmente sarà necessaria una struttura organizzativa complessa.
queste persone, periodicamente, ad ogni migrazione, dovranno certificare la corrispondenza all’originale, senza perdita di dati del documento riversato, mediante
l’apposizione di una firma digitale e di una marca temporale che attesti il giorno
e la persona che ha verificato il nuovo documento generato come assolutamente
corrispondente a quello di partenza; dopodiché sono previste anche altre procedure di sicurezza, che sono il backup e la conservazione di tutto il contenuto, in
luoghi diversi da identificare. Si tratta di procedure standardizzate che prevedono
gli interventi da attuare in caso di alluvione, terremoto, guerra, bombe atomiche
e quant’altro, e stabiliscono l’esistenza di tre diversi luoghi di conservazione per
l’intera banca dati.
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184
Dibattito
È un’impresa piuttosto complicata quella che stiamo seguendo, sulla base delle
procedure studiate da una serie di gruppi di lavoro internazionali, nei paesi UE,
in Canada e negli USA, sostanzialmente abbastanza concordi fra loro in questa
materia.
I soldi e le strutture sono forniti dalla Difesa, in quanto l’Amministrazione archivistica dispone di risorse minime; dovremo però controllare che effettivamente la
procedura sia seguita e che il supporto tecnologico e le ditte scelte siano adeguati
e offrano garanzie rispetto a tutte le operazioni previste.
Nicola Labanca: Non si potrebbe lasciare in una delle tante caserme dismesse,
scegliendo una provincia qualsiasi, un fondo cartaceo per le future generazioni?
Micaela Procaccia: questa è un’ipotesi che abbiamo preso in considerazione; ma
di tutto questo credo che bisognerà ragionare una volta emanate le famose regole,
perché al momento noi non autorizziamo la distruzione del cartaceo che viene conservato impacchettato su compact. Credo, però, che al dunque una conservazione
a campione potrebbe essere un’ulteriore misura di sicurezza, anche se al momento
sembra che l’operazione venga condotta in maniera piuttosto rigorosa. Possiamo
però immaginare e prevedere, tenendo presenti le disponibilità di spazi degli Archivi di Stato, anche una conservazione a campione identificando un preciso arco
temporale o qualcosa del genere.
Da tempo penso che dovremmo trattare le caserme dismesse come sedi di conservazione, però è un tipo di trattativa che va fatta concordemente anche con altri, ed
io continuo a suggerirla, come continuo a suggerire l’uso dell’esercito per il trasporto delle carte recuperate dopo le varie emergenze. Comunque, potrebbe essere
questo un piccolo canale che apre una collaborazione anche futura.
Simone Sartini: Io vorrei sapere se in questa operazione di recupero digitale di questa documentazione, è compresa e, se sì, in che termini, quella parte di fascicoli,
microfilmati negli anni passati e poi distrutti, di cui rimangono solo i microfilm;
siccome i Distretti procedettero, in quelle circostanze, secondo le disponibilità tecniche ed economiche che avevano, le riproduzioni sono spesso realizzate con formati e con criteri difformi tra di loro.
Micaela Procaccia: La Difesa ha previsto anche il recupero di questi microfilm,
ne abbiamo parlato; tecnicamente l’operazione è complessa ma non impossibile.
Per altri tipi di serie archivistiche mi è capitato di farla realizzare con buon successo, anche con microfilm fortemente danneggiati; quindi, con i sofisticati mezzi
che la Difesa dice di voler mettere in campo, quei microfilm sono perfettamente
recuperabili.
Simone Sartini: Vorrei una precisazione anche se mi pare sia già stato detto: il recupero sarà attuato anche per gli stati di servizio degli ufficiali? In caso affermativo
presumo venga bloccata quella prassi ordinaria di scremare i fascicoli degli ufficiali, soprattutto delle Sezioni seconda e terza, prima di essere inviati all’Ufficio
storico dello Stato maggiore dell’esercito.
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Le fonti militari nell’Archivio di Stato di Firenze
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Micaela Procaccia: Noi abbiamo affrontato molto rapidamente questo problema,
anche perché si trattava di documentazione destinata agli uffici storici. È un dato
di fatto che l’eventuale scrematura renderebbe - ed è l’argomento che abbiamo
usato - più complessa e costosa la procedura; mentre la metadatazione è affidata
a personale specializzato, la scansione non sempre lo è, poiché viene considerata
un’operazione relativamente semplice mentre la scrematura renderebbe tutto più
complicato e soprattutto allungherebbe i tempi. Nel breve tempo dedicato a questo aspetto, non si è mai parlato di scrematura. Resta il fatto che nulla impedisce,
dopo il versamento, di oscurare l’immagine, cosa che invece è decisamente poco
pratico fare nel momento della scansione. quando i documenti vengono messi
in consultazione è anche possibile non farne vedere una parte, questa però è una
scelta successiva.
Simone Sartini: questo poi apre il problema della consultabilità anche della versione digitale, poiché sia nei ruoli e ancora di più nei fascicoli matricolari, ci sono
tutta una serie di documenti, non ultimi quelli relativi alle situazioni sanitarie, che
pongono dei problemi, poiché la normativa della consultabilità è a tempi differenziati a seconda dei dati contenuti.
Micaela Procaccia: Nulla è cambiato nella normativa. Gli accorgimenti tecnici per
differenziare la consultazione ci sono tutti e sono anche sperimentati; dal punto di
vista della consultabilità nulla cambia se cambia il supporto, la normativa è quella
e quella rispettiamo.
Mauro Scroccaro: Non per porre una domanda a tema archivistico, anche perché
non è il mio mestiere, ma solo per riprendere una suggestione del prof. Labanca
rispetto alla questione degli archivi dei Tribunali militari, prendo spunto dal materiale posto in mostra qui nella bacheca, che racconta l’episodio di forniture di
scarpe per l’esercito realizzate con materiale scadente, un episodio tutto italiano
di cose mal fatte, per le quali poi i Carabinieri arrivano e viene processato anche
il piccolo imprenditore. Gli archivi dei Tribunali militari, specie per le zone di
guerra - mi riferisco in questo caso a Venezia, la mia zona, che è stata una zona
di guerra - riescono a dare uno spaccato del rapporto militari-civili che le relazioni dei prefetti sfiorano appena, poiché ovviamente la relazione del prefetto raramente è così fedele, in quanto viene scritto quello che il capo vuole sentire. In
realtà i processi ai civili, e a Venezia sono stati tanti, tantissimi, soprattutto a carico delle donne, mettono in luce una relazione ed uno spaccato, una fotografia
della società che ha veramente dello straordinario. Bene, l’archivio del Tribunale
militare di Venezia è finito a Bologna; ecco, a proposito del peso del passato che
rende inaccessibili, negli archivi come Firenze o Venezia, le carte contemporanee,
le carte contemporanee a Venezia non sono accessibili e quello che attiene al periodo della Grande guerra è messo in scatoloni e non consultabile, per cui bisogna
fare un largo giro per ricostruire una realtà molto particolare di una città in zona
di guerra.
Altro dato abbastanza interessante è quello relativo agli effetti sugli ex prigionieri
di guerra che, rientrati in patria, sono stati costretti a stare in uno stato di semide-
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Dibattito
tenzione, fino ad una nuova sentenza del Tribunale, per essere dichiarati non colpevoli di atti di diserzione o di viltà di fronte al nemico.
Carla Zarrilli: Per quanto riguarda gli archivi dei Tribunali militari sottolineo l’importanza del Sias per individuare la sede di conservazione di questa documentazione, cosa che spesso non è di evidenza immediata visto le complesse vicende
istituzionali dei tribunali medesimi. La conservazione delle carte relative a Venezia
presso l’Archivio di Stato di Bologna, a cui faceva riferimento Scroccaro, è un
chiaro esempio di ciò.
Mi rammarico poi della mancanza qui oggi con noi del dott. Giovanni Pagliarulo,
presidente del Tribunale militare di Roma, che ci avrebbe potuto dare informazioni
interessanti su questa importante istituzione.
Micaela Procaccia: Volevo solo segnalare che esistono archivi privati, alcuni dei
quali descritti in Siusa, come già segnalava Nicola Labanca, dove si trova materiale di grandissimo interesse; posso segnalare, per conoscenza diretta, l’archivio
Rosselli a Torino, dove si trova la corrispondenza di Aldo con il fratello Carlo e
soprattutto con la madre, una straordinaria corrispondenza dal fronte.
Sandra Marsini: Innanzitutto desidero complimentarmi con Claudio Lamioni per
aver parlato in modo così puntuale di tutti gli Archivi statali della Toscana e in
particolare dell’Archivio di Stato di Pistoia; vorrei invece affrontare il discorso
delle caserme e della possibilità di riutilizzarle per conservare la documentazione
militare. quando ho assunto la direzione dell’Archivio di Pistoia, ho dovuto affrontare il problema della caserma Gavinana, ex convento della Santissima Annunziata, assegnata all’Archivio di Stato di Pistoia nel 2002, perché diventasse,
al posto dell’attuale sede che è insufficiente e data in locazione dal Comune di
Pistoia, la nuova sede dell’Istituto. Tuttavia nessun finanziamento è mai arrivato.
Lo stato di degrado della caserma da allora è peggiorato e così ho in corso una
corrispondenza con il Demanio per la restituzione. questo per dire che se non ci
sono finanziamenti è molto difficile conservare la documentazione e non solo
quella militare.
Micaela Procaccia: Premesso che il Servizio II Tutela e conservazione, che io dirigo, non si occupa di sedi, so che è un problema non solo di Pistoia, ma generale.
Una trattativa sull’uso delle caserme dovrebbe prevedere i finanziamenti; che non
ci siano stati finanziamenti, in questo caso come in molti altri, è cosa purtroppo
nota, ma non deriva né da una scelta politica né da una cattiva volontà, ma dalla
povertà delle risorse disponibili: la situazione dei nostri bilanci è quella che è.
Adesso ci si trova di fronte a questa specie di alternativa assurda per cui la spending
review costringe a dismettere i locali in locazione passiva (cosa che riguarda molti
archivi) e ci troviamo da una parte con un obbligo di legge che impone di lasciare
le sedi che sono in locazione passiva, ma, in compenso, nei bilanci non ci sono i
soldi per riadattare eventuali edifici pubblici che possono essere destinati a ospitare
gli archivi. È un problema enorme con cui la Direzione generale sta combattendo
e non so se soccombendo, per cui va chiarito che si debbono avere la sede e i soldi
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Le fonti militari nell’Archivio di Stato di Firenze
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per ristrutturarla o la sede già ristrutturata.
Non so quale dei nostri architetti diceva che le caserme sono l’ideale per conservare
gli archivi per molti motivi, tra cui anche il cortile per movimentare all’interno,
c’è però un problema di strutture fatiscenti e ambienti da ristrutturare che è quello
che molto spesso ci ferma.
Abbiamo avviato una collaborazione con l’Agenzia del demanio quando a seguito
del decreto del 5 luglio 2012 ha dato inizio alla ricognizione di tutti gli spazi disponibili per archivio inserendo i risultati in una grande banca dati chiamata
RATIO. Abbiamo chiesto di avere accesso a questa banca dati e di verificare la
situazione che è descritta per vedere cosa eventualmente potrebbe essere utilizzabile anche per gli Archivi di Stato, per creare poli archivistici e via dicendo.
Abbiamo fatto una riunione, abbiamo detto che si collaborerà ma ancora non
siamo partiti.
Carlo Corsini: Vorrei fare solo qualche considerazione di carattere generale. La
definizione di «carte militari» attribuita loro fin dall’origine ha fatto sì che solo
in anni molto recenti tali carte siano state messe a disposizione degli studiosi,
seppure con molta reticenza da parte della autorità militari e con molti limiti per
la loro consultabilità. Come è noto esse riguardano generazioni di maschi che
giunti all’età di 20 anni sono sottoposti a visita medica completa per selezionarne
contingenti giudicati «abili» in quanto fisicamente e psicologicamente idonei per
il servizio militare, come prescritto dalle leggi. Di fatto si tratta di «carte demografiche» perché afferiscono a generazioni maschili sopravviventi dalla nascita
all’età della visita militare, in funzione del variare dei livelli di mortalità (maschili) per età e per causa, dalle generazioni più vecchie a quelle più giovani. È
evidente che altri fattori operano nel formare leve militari numericamente diverse
lungo il tempo, soprattutto perché i livelli di mortalità dalla nascita ai 20 anni diminuiscono fortemente e di conseguenza arrivano all’età della visita di leva generazioni più numerose, anche se poi, a seguito del progressivo declino delle
nascite, i contingenti da visitare si riducono. E il quadro generale è in realtà complicato dal fatto che decessi e nascite si articolano in modo diverso all’interno
dei confini nazionali, dando luogo - nei singoli distretti militari - a coorti maschili
di numerosità diversa rispetto ai contingenti di nascite registrate negli stessi distretti, per effetto non solo dei livelli di mortalità, che pure variano da un distretto
all’altro, ma anche per effetto delle migrazioni. Nell’ottica del demografo queste
carte sono veramente preziose, poiché costituiscono una fonte unica per studiare
l’evoluzione della popolazione (anche se solo di quella maschile) articolata non
solo secondo le caratteristiche sociali ed economiche (istruzione, professione,
luogo di nascita, e così via), quanto secondo quelle sanitarie e antropometriche.
Mi riferisco a tutte le connotazioni che vengono rilevate per ogni giovane al momento della visita militare.
Di qui la preoccupazione che hanno i demografi per l’inventariazione e la conservazione di tutta questa documentazione e di conseguenza per la sua messa a disposizione degli studiosi: e non solo i demografi, ma insieme gli statistici sociali, i
genetisti, gli antropologi, i medici e tanti altri. Soprattutto ora che è stato soppresso
il servizio di leva militare generalizzato che ne era all’origine.
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Dibattito
Una preoccupazione sostenuta dal fatto che una recente ricerca (con finanziamento
MURST, PRIN 2004) condotta in tredici sedi universitarie differenziate per competenza scientifica, coinvolgendo demografi e statistici, storici e bioantropologi che hanno lavorato in diversi distretti militari dal Nord al Sud alle Isole nel nostro
paese - ha messo in evidenza che le carte conservate negli archivi dei distretti interessati non restituiscono un quadro perfettamente comparabile: l’originaria documentazione, che risale alle visite di leva, è infatti carente sia per effetto degli
scarti sia perché sono state eliminate le carte relative ad alcune generazioni di sottoposti a visita di leva.
Infatti, a seguito della recente decisione del Ministero della difesa (lettera ai comandanti delle Regioni militari del 3 novembre 1999), per motivi di spazio in
molti distretti militari si è iniziato ad eliminare i fascicoli personali dei visitati
(fatti salvi i documenti matricolari), trascorsi 20 anni dalla data di congedo illimitato per chi ha ottemperato gli obblighi di leva. Nello stesso modo si è dato il
via alla distruzione dei fascicoli concernenti i riformati se sono trascorsi 45 anni
dalla riforma. In generale, è la mancanza di spazio che ha creato vuoti nella continuità e nella completezza della conservazione di una documentazione che costituisce una ricchezza inestimabile per la storia della popolazione italiana. Ma
la mancanza di spazio - come «giustificazione» per l’incuria - non costituisce
certo motivo di consolazione.
Carla Zarrilli: Certamente le notazioni di Carlo Corsini sono molto tristi; comunque, noi, come archivisti, cerchiamo la collaborazione di tutti e naturalmente
speriamo che il centenario di un avvenimento fondamentale per la storia mondiale, oltre che ovviamente italiana, come è stata la Grande guerra, serva appunto
a sollevare i problemi denunciati da Corsini, a parlarne, a evidenziare all’opinione
pubblica che esistono questi problemi che noi, che lavoriamo negli archivi, conosciamo bene.
Gli archivi, non mi stancherò mai di ripeterlo, sono un patrimonio di tutti, della
memoria di tutti, della nazione, e quindi non riuscire a conservare la documentazione, oppure non permettere alle persone di accedervi è un menomare, in fondo,
la nazione.
Carlo Corsini: Se ci riferiamo ai dati ufficiali (quelli pubblicati dall’allora Direzione generale della statistica) non sono ancora noti con esattezza i caduti dal 1915
al 1918, nelle diverse categorie: morti sul campo, morti in ospedale per ferite riportate in guerra, morti in prigionia, morti a casa dopo la fine dello stato di guerra
ma per malattia o ferite riportate in guerra, e così via. L’elenco delle differenti cause
di decesso non è certamente di poco interesse, qualora si volessero analizzare nella
loro complessità i riflessi degli eventi bellici sulla società italiana.
Non so se vi è mai capitato di soffermarvi a guardare le varie stele e tutte le iscrizioni, targhe, ecc. che, soprattutto nei piccoli comuni, ricordano in lista alfabetica
per cognome e nome i cittadini che sono morti durante la prima ma anche durante
la seconda guerra mondiale. Se si riflette a quanti potevano essere all’epoca gli abitanti dei comuni di riferimento, si rimane profondamente colpiti dal vuoto che quei
morti hanno lasciato sulla compagine della popolazione dalla quale provenivano.
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Le statistiche ufficiali dei deceduti in Italia in quegli anni non forniscono dati precisi: in breve dicono che nel 1915 sono stati registrati 811.000 morti in complesso,
di cui 70.000 al fronte (grossomodo, nei primi sei mesi effettivi di guerra) insieme
ad altri 31.000 a causa del terremoto del 13 gennaio 1915. I morti sul fronte diventano 134.000 nel 1916, sul totale di 856.000 deceduti nei confini nazionali dell’epoca, e salgono ancora ai 247.000 nel 1917, a fronte del totale di 929.000
registrati. Nel 1918 i morti al fronte (per 10 mesi, fino all’armistizio) sono 110.000,
ma in tutto l’anno in complesso i deceduti nei confini nazionali ascendono a un
milione e 253.000, compresi quelli portati via dalla «spagnola».
In realtà queste sono cifre complessive che non forniscono il dettaglio desiderato
né per quanto concerne le diverse cause specifiche di decesso, né per quanto riguarda la distribuzione territoriale. quali sono le zone del paese che hanno pagato
di più e quali gli effetti delle perdite di «combattenti» sulle vicende della compagine demografica, negli anni successivi alla guerra? Come hanno inciso sugli
assetti economici e sociali dei diversi territori? Una tragedia così estesa in termini
di persone coinvolte ha certamente avuto conseguenze non secondarie anche sulla
psiche, in particolare dei soldati: quanti sono poi stati ricoverati in ospedali psichiatrici? qual è l’orizzonte «demografico», nel suo significato più ampio, non
solo sociale ed economico (quindi, «storico») della guerra? È evidente che è indispensabile conoscere bene le fonti nella loro interezza, preliminarmente riordinate e rese accessibili.
Micaela Procaccia: Lei ha posto un problema che coinvolge, per essere risolto,
una pluralità di fonti notevolissima. Il progetto della Difesa, per partire da una fonte
su cui si sta lavorando, prevede un paio d’anni di lavoro, diciamo tre, visto che di
solito non si rispettano mai i tempi; ma non basta, poiché dal fascicolo personale
lei potrà desumere chi è stato ferito o chi ha subito un avvelenamento da gas e tutta
una serie di problemi, ma non saprà se poi questo soldato o ufficiale è morto.
Ora, a parte gli archivi anagrafici, delle anagrafi dei comuni, nei quali in qualche
caso si verificano una serie di complicazioni non indifferenti per la consultazione
della parte storica, altra fonte interessante potrebbero essere gli archivi ospedalieri,
lì si tratterebbe di fare un lavoro a tappeto sulle cartelle cliniche di un certo periodo,
lavoro possibile.
Abbiamo elaborato un software per la schedatura delle cartelle cliniche, nato per
quelle degli ospedali psichiatrici, perciò prima accennavo a statistiche sugli ospedali psichiatrici.
In questo settore è stato già fatto un enorme lavoro, schedando le cartelle, e quei
dati che citavo dal portale - dati sintetici, poiché poche cose sono riservate come
una cartella clinica - sono estrapolati da quella banca dati. Andrebbe fatto un lavoro
a tappeto sulle cartelle cliniche dei cinque anni successivi alla fine della guerra. È
un lavoro possibile, per il quale avremmo anche la tecnologia e per il quale, allo
stato attuale, non abbiamo i mezzi, nel senso che tutto quello che abbiamo fatto
sugli ospedali psichiatrici lo abbiamo fatto in tempo di vacche che grasse non sono
state mai, di vacche, diciamo, di media corporatura. Stiamo continuando a farlo
adesso col contagocce perché le risorse sono quelle che sono. Certamente sarei felicissima di poter scrivere a tutti i colleghi degli istituti periferici: avviamo un
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Dibattito
grande progetto sulle cartelle cliniche degli ospedali dal 1918 al 1922 o 1923, rilevando le cause di morte.
Se qualcuno riuscisse a convincere il nostro governo ad investire nel nostro settore,
potrebbe persino essere una cosa rapidamente fattibile; non ci mancherebbero né i
mezzi, né la tecnologia, né l’impostazione per poter fare un lavoro di questo genere,
e ci sono molti giovani qualificatissimi e disoccupati che potrebbero farlo, se noi
avessimo di che retribuirli.
È un progetto in teoria, come si dice, cantierabile.
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PARLIAMO ANCORA DI ARChIVISTICA E DEL SUO INSEGNAMENTO
[L’archivistica] non
è creata per capriccio,
ma per rispondere ad un’effettiva
necessità morale della società1
La consistente domanda di formazione in materia di archivi che si registra in
questi anni incoraggia l’impegno di tanti insegnanti delle Scuole di archivistica,
paleografia e diplomatica e delle università italiane nella formazione di competenze
che, pur costituendo un prezioso investimento nella crescita culturale e nella produttività della pubblica amministrazione e delle imprese, non godono tuttavia di
un adeguato status sociale. La professionalità dell’archivista non è ancora riconosciuta infatti come indispensabile requisito per lo svolgimento delle attività relative
agli archivi. Sono ancora molti gli uffici, anche all’interno della pubblica amministrazione, a ritenere, nonostante una normativa attenta ai problemi, che gli archivi
si possano affidare a soggetti in tutto o in parte privi di specifiche competenze professionali o che semplicemente si possano trascurare senza subire danni. L’incerto
riconoscimento del valore imprescindibile di queste competenze costituisce un serio
limite per l’ampliamento dell’offerta di lavoro nel settore. Tale situazione non è
dovuta, credo, soltanto allo scarso peso che hanno i beni culturali nel nostro Paese,
che non riesce a porre queste ingenti e delicate risorse al centro di una strategia di
rilancio culturale e civile. Essa è legata anche a incongruenze che purtroppo caratterizzano gli stessi archivisti e all’ancora incerta identità di un sapere che stenta a
trovare un preciso e condiviso statuto disciplinare e quindi un posto nell’ambito
delle scienze umane. Rispetto ad una materia considerata patrimonio esclusivo
dell’archivista conservatore e non anche del gestore dei sistemi documentali, Carla
Ferrante ha opportunamente osservato che «sarebbero necessarie attente e mature
riflessioni sulla natura stessa dell’archivistica quale disciplina e la verifica dei suoi
rapporti con le altre scienze»2.
Costituisce appunto l’obiettivo di questa riflessione l’analisi del rapporto fra
1
E. CASANOVA, Archivistica, Siena, Lazzeri, 1928 (rist. anast. Torino, Bottega d’Erasmo, 1966), p. 25.
C. FERRANTE, La formazione dell’archivista in Sardegna tra teoria e buone pratiche, in «Archivi», II (2007), 1, p. 114.
2
Rassegna degli Archivi di Stato, n. s., X (2014)
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Paolo Franzese
la ricerca di quest’identità e l’elaborazione dell’offerta formativa della disciplina.
Poiché il maggior impegno in questa direzione è stato prodotto nella seconda metà
del secolo scorso, mi è sembrato utile partire proprio dai problemi posti dai contributi di quegli anni, molti dei quali, a mio avviso, attendono ancora di essere adeguatamente affrontati e risolti3. Le frequenti e a volte ampie citazioni utilizzate in
questo saggio hanno la finalità di restituire tutto il senso delle valutazioni espresse
in passato sui temi che vi sono trattati. Pur volendo esprimere considerazioni e suggerimenti sull’archivistica e sul suo insegnamento, si farà particolare riferimento
alla situazione delle Scuole di archivistica, paleografia e diplomatica, ancora oggi
note con il nome di «Scuole d’archivio», costrette ad attendere una riforma che
ponga finalmente termine alla contraddizione fra una base normativa antiquata e
l’inderogabile esigenza di dare risposte soddisfacenti ad una domanda di formazione quantitativamente stabile e in continuo cambiamento.
Filippo Valenti, in un indimenticabile saggio del 1975, dal titolo Parliamo ancora di archivistica, al quale intendo far esplicito riferimento con il titolo di questo
articolo, constatava il dinamismo dimostrato in quegli anni dalle scuole attive
presso diciassette Archivi di Stato e l’accresciuta diffusione degli insegnamenti di
archivistica nell’ambito delle università italiane. Attribuiva quindi il positivo carattere di «sintomo di vitalità, di presa di coscienza di determinate esigenze e di
determinate carenze»4 allo sviluppo dell’interesse per l’archivistica che, in quegli
anni, dava l’idea di «una sorta di moda di questa materia, prima praticamente assente dai piani di studio delle nostre facoltà»5.
Valenti, dando ormai per stabilmente acquisita la consapevolezza dell’ «imprescindibilità degli archivi in tutti o quasi tutti i settori d’indagine (sociologici
non meno che storici, amministrativo-documentalistici non meno che culturali)»6
ed entusiasmato dall’attribuzione della gestione del patrimonio archivistico nazionale al nuovo Ministero per i beni culturali e ambientali e dall’implicito formale
riconoscimento del carattere eminentemente culturale di questo genere di beni, si
poneva «il problema di che sorta di disciplina sia, o meglio, possa e debba essere
l’archivistica»7. Aggiungeva quindi:
«Il vero problema non è tanto quello di insegnarla di più, questa nostra disciplina,
quanto quello non dirò certo di insegnarla meglio, ma semplicemente di come insegnarla o
meglio ancora di cosa insegnare caso per caso, sotto l’etichetta del suo nome, nei vari tipi
di corsi e di scuole nei cui programmi esso figura»8.
3
L’elaborazione teorica di quegli anni è opportunamente riassunta e ripercorsa in A. GIORGI - S.
MOSCADELLI, Il ruolo dell’Università nella formazione culturale dell’archivista, in «Archivi», II (2007),
1, pp. 267-281.
4
F. VALENTI, Parliamo ancora di archivistica, in «Rassegna degli Archivi di Stato», xxxV
(1975), pp. 161-197, ora in ID., Scritti e lezioni di archivistica, diplomatica e storia istituzionale, a cura
di D. GRANA, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Ufficio centrale per i beni archivistici,
2000 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi 57), p. 46.
5
6
7
8
Ibidem.
Ibid., p. 47.
Ibid., p. 45.
Ibid., p. 47.
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Parliamo ancora di archivista e del suo insegnamento
193
In effetti il nome di questa materia è stato ed è ancora utilizzato in una molteplicità di contesti e di sensi che non aiutano a farsi un’idea chiara e unitaria della
sua identità e dei suoi obiettivi. Non emerge infatti, dal panorama attuale, un preciso
minimo comun denominatore fra i diversi insegnamenti che oggi si tengono, in
questo ambito, nelle università italiane e nei vari centri professionali, sedi dove
spesso non appare ancora risolta l’annosa questione dell’abbinamento degli insegnamenti di archivistica e di biblioteconomia e nemmeno il problema di come stabilire ed adottare una denominazione normalizzata per il suo insegnamento, che
ne permetta l’univoco riconoscimento9.
L’archivistica, il suo ambito disciplinare e le «Scuole d’archivio». – Non è
facile individuare un minimo comun denominatore nemmeno negli insegnamenti
di archivistica che si tengono presso le stesse scuole d’archivio, che ancora oggi,
nonostante i limiti a cui si è fatto cenno, complessivamente forniscono un’offerta
formativa tendenzialmente in sintonia con l’orizzonte d’attesa di un pubblico, composito per provenienza, per livello culturale e per età, che desidera imparare, più
che a fare l’archivista, a lavorare con e negli archivi. questi insegnamenti, come
quelli di ambito universitario, non dispongono di un modello generale relativo ai
principi, ai contenuti e all’impostazione didattica, a cui gli insegnanti possano far
riferimento. Non lo sono ormai da molto tempo (e forse non lo sono mai stati) i
programmi allegati al Regolamento per gli Archivi di Stato, approvato con il r.d. 2
ottobre 1911, n. 1163, che invece costituiscono, ancora oggi, l’unica base normativa
per queste scuole10. Il loro valore si misura ormai più con la capacità di ciascuna
di esse di riuscire a forzare, integrandolo, l’ordinamento stabilito con quel decreto,
per cercare di rispondere all’effettiva domanda di formazione, che con la disponibilità a conformarsi alle disposizioni normative. Le scuole d’archivio e le altre attività formative degli Archivi di Stato (volontariato e stage universitario), rispetto
agli altri centri di formazione, hanno il significativo vantaggio di poter mettere il
contatto diretto con il patrimonio archivistico a fondamento di un equilibrato rapporto fra teoria e esperienza sul campo. Esse sono frequentate ormai da tempo quasi
esclusivamente da allievi esterni, via via sostituitisi all’originaria e tradizionale
utenza interna all’Amministrazione degli archivi, una volta costituita dalla categoria
dei giovani archivisti di Stato (gli «alunni» e gli «archivisti»). Costrette a una continua ed estenuante sperimentazione di nuovi modelli, queste scuole, grazie alla
versatilità e alla disponibilità di personale dotato allo stesso tempo di qualificazione
e di esperienza, stanno quindi via via provando a diversificare, senza riuscire a coordinarsi, come invece sarebbe opportuno, a livello nazionale, l’offerta formativa
9
In diversi atenei italiani sono attivi corsi di archivistica e biblioteconomia, che fanno riferimento
alla medesima classe di laurea magistrale e allo stesso settore scientifico disciplinare M-STO/08 (archivistica, bibliografia e biblioteconomia). quanto al titolo di questi insegnamenti, Francesco De Luca,
valutando i risultati del progetto «Eugenio», censimento della didattica dell’archivistica nelle Università
italiane, ha rilevato che «in ambito universitario risultano 154 insegnamenti relativi alla disciplina Archivistica, con 59 differenti denominazioni», F. DE LUCA, Quale didattica e per quale archivistica?, in
«Archivi», II (2007), 1, p. 97.
10
In virtù di questa norma, ancora oggi per accedere a queste scuole è sufficiente possedere la licenza di scuola media superiore.
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e i relativi programmi, alla ricerca di nuove soluzioni al problema di come fare per
soddisfare una diffusa domanda di conoscenza e di competenza sia nel trattamento
degli archivi storici che nelle attività riguardanti i sistemi per la gestione documentale.
Una significativa conferma del rapporto che si è stabilito fra l’archivistica e le
figure professionali che ad essa fanno riferimento costituisce la norma UNI 11536
pubblicata nel luglio del 2014. Nell’articolare in tre grandi aree i compiti dell’archivista - governare gli archivi, comunicare gli archivi, dirigere e amministrare una struttura o un servizio archivistico -, la norma, che intende esplicitamente definire «i
requisiti di conoscenza, abilità e competenza tecnico-culturale per lo svolgimento
dell’attività professionale di archivista, coerentemente con il quadro Europeo delle
qualifiche (EqF)», affianca infatti, nell’ambito della prima di quelle funzioni, alla
tutela, alla selezione, all’ordinamento e alla descrizione degli archivi la gestione documentale, consistente nel «complesso delle attività mirate a governare la produzione,
la tenuta, il trattamento, l’uso e la destinazione finale dei documenti» (paragrafo 4.2).
Le competenze faticosamente prodotte con tanto impegno grazie alle sinergie
fra istituti e allievi sono spesso destinate a disperdersi, in mancanza di opportunità
di lavoro che permettano di utilizzare e di sviluppare quel potenziale professionale.
Dubbi e perplessità sul ruolo dell’insegnamento dell’archivistica si pose già
Antonio Panella in un saggio del 1918 dal titolo Le scuole degli Archivi di Stato11:
«Tutti sono d’accordo che debba farsi una larga parte all’insegnamento dell’archivistica: non rimane che intendersi sul come (…)12. Il porre dei principi generali astratti è meno
che niente se non li riavviciniamo alla realtà viva, ciò che ci porta necessariamente a incardinare l’archivistica nella così detta storia delle istituzioni. Parliamo per esempio di ossatura
dell’archivio e delle serie che debbono costituirla. Noi potremo trattenerci a nostro bell’agio
a definire, ad esemplificare, a lavorare di ipotesi; ma se non entriamo su un terreno pratico,
sovraccarichiamo il cervello di chi impara di teorie incomprensibili e lo rendiamo recalcitrante ad apprendere cose che, dette in altra forma, possono riuscire facilissime. Nessuno
certo potrà sostenere che si debba scendere ad analisi minute, perché, si capisce, ogni archivio ha un’ossatura sua propria; ma occorre per lo meno procedere per via di raggruppamenti:
archivi di dicasteri centrali, di magistrature ed uffici locali, di comuni ed enti morali, di famiglie e via dicendo. Tutto ciò lo abbiamo fatto? quanti di noi sono in grado di dire quali
sono le serie di un archivio domestico e quali fra esse ne costituiscono l’ossatura? Prendo,
come ognun vede, un argomento a caso del complesso problema dell’archivistica teorica,
perché non mi sentirei capace di esaminarli tutti. Ma è necessario che le scuole questo problema affrontino e risolvano in tutta la sua completezza. Siamo in ciò ancora molto indietro,
abbiamo una disciplina nata da mezzo secolo appena, che ha bisogno di cure a preferenza
di altre già mature, e non ci sarà mai perdonato di averla negletta (…)»13.
Preoccupato del rapporto fra le università degli studi e le scuole d’archivio e
11
A. PANELLA, Le scuole degli Archivi di Stato, in «Gli Archivi italiani», V (1918), pp. 55-71ora
in ID., Scritti archivistici, Roma, Ministero dell’interno, 1955 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato,
xIx), pp. 65-79.
12
13
Ibid., p. 74.
Ibid., p. 75.
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convinto che le seconde avessero migliori requisiti per fornire adeguate competenze
archivistiche, Panella non solo prevedeva che le università avrebbero sempre più
portato nel proprio ambito la paleografia e la diplomatica, ma non vedeva in questa
linea di tendenza un pericolo da temere:
«E forse della trasformazione non dovremo dolerci. La paleografia e la diplomatica
sono dottrine che da tempo non appartengono più al campo degl’insegnamenti archivistici;
sono migrate altrove e si sono diffuse e si diffondono indipendentemente dall’opera delle
nostre scuole, nonostante che queste pure vi concorrano (…). Gli archivi - invece - hanno
dei fini così alti e così grande cammino resta da compiere in opere e studi più strettamente
ad essi connaturati che l’abbandono di insegnamenti diventati per noi troppo speciali può
forse costituire la liberazione da un impaccio (…)»14.
Molti anni dopo rappresentò il risultato di un’attenta riflessione su questi temi
l’articolo di Giorgio Cencetti Il problema delle scuole d’archivio15 che, a partire dal
titolo, sottolineava la situazione di disagio che questi istituti vivevano già allora. Lo
stesso autore, nel successivo contributo Archivi e scuole d’archivio dal 1765 al 1911.
I precedenti storici e legislativi di un discusso problema16, ripercorse tutta la storia
degli insegnamenti preposti alla formazione dell’archivista e si chiese quanto avessero fatto le scuole d’archivio dinanzi alla «concorrenza universitaria» che aveva già
dato luogo a una sorta di migrazione dei migliori archivisti verso quelle cattedre:
«Non molto a dir vero, e soprattutto per merito di singoli valorosi insegnanti. Dal punto
di vista amministrativo si ebbero successivi e non sempre felici ritocchi dei programmi, del
resto presto tralasciati anch’essi, sicché oggi sono ancora in vigore quelli, ahimè quanto invecchiati, del 1911: dal punto di vista didattico, fatte le debite ottime eccezioni, l’insegnamento rimase spesso su un piano prevalentemente empirico (…)»17.
«Un’orgia di programmi»18 rappresentavano in effetti le sei tabelle comprese
negli allegati di quel Regolamento. La stessa valutazione negativa sullo stato delle
scuole d’archivio esprimeva Cencetti anche a proposito della qualità dell’offerta
formativa:
«Le scuole d’archivio, povere di sangue e d’ossigeno, hanno ormai perso il contatto
col movimento scientifico e con esso l’adeguamento alle esigenze di una funzione generale,
difficilmente mantenibile con le dotazioni (…) che non abbiamo. E qualcuno dubita addirittura della loro efficacia professionale, domandandosi se, al punto in cui esse ora sono, sarebbero poi molto peggiori i risultati di un’istruzione pratica senza pretese e senza sussiego,
14
Ibid, pp. 78-79.
G. CENCETTI, Il problema delle scuole d’archivio, in «Notizie degli Archivi di Stato», VIII
(1948), pp. 19-35, ora in ID., Scritti archivistici, Roma, Il centro di ricerca, 1970, pp. 103-134.
15
16
ID., Archivi e scuole d’archivio dal 1765 al 1911. I precedenti storici e legislativi di un discusso
problema, in «Rassegna degli Archivi di Stato», xV (1955), pp. 5-31, ora in ID., Scritti archivistici…
cit., pp. 73-102.
17
18
ID., Il problema delle scuole d’archivio… cit., p. 105.
Ibid., p. 109.
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impartita ai giovani archivisti dal loro capo ufficio o da qualche collega anziano ed esperto,
sia pure non specialista delle nostre discipline»19.
L’analisi dello stato di fatto portava Cencetti a concludere con la proposta di
due diversi tipi di percorsi di formazione per la professione di archivista: una preparazione preventiva all’ammissione in servizio, fondata sull’esperienza da acquisire attraverso una forma di alunnato e su un titolo per l’ammissione al concorso,
rilasciato da una scuola speciale; una preparazione successiva che, prevedendo sia
le scuole interne ai principali Archivi di Stato, sia scuole speciali o corsi di perfezionamento nelle università degli studi, avesse al proprio centro una scuola nazionale degli Archivi di Stato:
«Una scuola centrale con ordinamento didattico e amministrativo di tipo universitario
(insegnanti scelti per concorso analogo all’universitario e parificati agli universitari nella
carriera, cattedre di ruolo per le materie fondamentali, insegnamenti complementari affidati
od incaricati, congruo numero di assistenti, ecc.), cui dovrebbero essere assegnati per un
congruo periodo i giovani vincitori di concorso prima di raggiungere le rispettive sedi, sotto
condizione di risoluzione del rapporto d’impiego in caso di mancata approvazione negli
esami finali e di collocazione nel ruolo del loro grado secondo l’ordine della classificazione
definitiva in quegli esami»20.
Alcuni anni dopo, il nostro confermò il suo giudizio sostanzialmente negativo
sulle scuole degli Archivi di Stato. Riconosciuto loro «il merito di avere insegnato
gli elementi delle scienze paleografiche e diplomatiche a coloro che intendevano
far ricerche negli archivi in un tempo in cui quelle discipline erano quasi totalmente
assenti dalle università»21, sottolineò tuttavia lo scarso contributo dato da quelle
scuole all’insegnamento dell’archivistica, che invece «dovrebbe costituire il perno
e il fondamento delle scuole destinate alla preparazione degli archivisti»22.
Nei circa sessant’anni trascorsi dal dibattito di cui erano espressione gli articoli
di Cencetti, è cambiato, come si è detto, il destinatario della formazione delle
Scuole d’archivio, non più costituito dal personale interno ma da studenti universitari, da professionisti, da addetti ai sistemi di archiviazione di uffici pubblici o
privati e da appassionati, già occupati o meno, in cerca di competenze specialistiche. È rimasto immutato invece l’ordinamento di tali scuole, non si è data loro
un’identità chiaramente distinta da quella degli Archivi di Stato presso i quali hanno
sede, che avrebbe consentito di renderle autonome, né si sono ridefinite le finalità
didattiche, ancora legate sostanzialmente alla formazione di una figura di archivista
in grado di lavorare solo con gli archivi storici, mentre stenta perfino ad affermar19
Ibid., pp. 106-107.
G. CENCETTI, La preparazione dell’archivista, in «Notizie degli Archivi di Stato», xII (1952),
pp. 15-34, ora in ID., Scritti archivistici… cit., pp. 161-162: relazione tenuta al III Congresso dell’Associazione archivistica italiana, Salerno 1951.
20
21
ID., Archivi e archivisti di ieri e di oggi. Discorso inaugurale del XII Congresso dell’Associazione nazionale archivistica italiana (Verona, 31 marzo 1963), in «Rassegna degli Archivi di Stato»,
xxIII (1963), 3, p. 316, ora in ID., Scritti archivistici… cit., p. 12.
22
ID., La preparazione dell’archivista… cit., p. 150.
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visi la centralità dell’insegnamento dell’archivistica. Il ruolo di queste antiche, ma
sempre vitali istituzioni nella formazione dell’archivista è sostanzialmente rimasto,
come si è detto, quello, pur fondamentale, di offrire, rispetto ai corsi universitari23,
un percorso formativo fondato su un tendenziale equilibrio fra teoria e pratica, fortemente ancorato e circoscritto però all’ambito storico e territoriale in cui opera
l’Istituto a cui ne è affidata la gestione e molto condizionato dalle risorse di cui
questo dispone. «Il ruolo positivo delle nostre scuole – ha sottolineato Paola Caroli
- è insito nell’integrazione profonda che gli archivisti possono offrire fra teoria,
pratica, realtà archivistica»24.
L’archivistica da disciplina ausiliaria a materia autonoma. – In questo difficile rapporto fra dottrina archivistica ed esperienza ha contato molto la convinzione
che, in fondo, l’archivistica non fosse una vera disciplina di studio, ma piuttosto
una sorta di «precettistica spicciola, [da acquisire] in vista dell’esperienza professionale»25. Pur riconoscendo i principi teorici definiti a partire dalle affermazioni
di Francesco Bonaini e fino a quelle dello stesso Giorgio Cencetti, con le successive
integrazioni e precisazioni legate soprattutto ai lavori di Claudio Pavone e di Filippo
Valenti, le scuole d’archivio hanno per molto tempo confermato l’idea di un’archivistica costituita da un complesso di buone pratiche, in cui i divieti o le «non
norme» («non smembrare gli archivi, non mescolare fra di loro i fondi, non rimaneggiare l’ordinamento originario»26) contavano almeno quanto i consigli e le istruzioni per l’uso. Non contrastare con determinazione poi l’idea che l’archivistica
debba stare fra le discipline ausiliarie della storia non solo non ha contribuito a
darle uno statuto scientifico, ma ha anche impedito (o ritardato) il riconoscimento
dell’autonomia del suo ambito di indagine e dei suoi strumenti di lavoro, confermando invece l’idea che si tratti di un sapere marginale e sempre in debito nei confronti della storiografia.
Nell’avvincente e serrato dibattito giunto fino ai primi anni Ottanta del secolo
scorso, il problema della definizione dell’identità epistemologica dell’archivistica
fu affrontato da diverse angolazioni. Tuttavia, nonostante le divergenze fra chi intendeva estendere il tradizionale campo d’interesse dell’archivistica, limitato alla
sola tenuta degli archivi (Eugenio Casanova), chi la vedeva strettamente legata alla
storia delle istituzioni (Giorgio Cencetti) e chi invece ne sottolineava soprattutto
la funzionalità alla ricerca storica (Vittorio Stella, Filippo Valenti), si cominciò a
delineare un’archivistica con le caratteristiche di una disciplina dotata non soltanto
di un proprio oggetto e di specifici metodi e strumenti, ma anche di principi e di
solide basi teoriche. Piuttosto che in bilico fra l’essere una «precettistica spicciola
23
Panella, a proposito di insegnamento della teoria e della pratica applicazione di questa, affermò
che «l’archivio rappresenta in certo modo la clinica di fronte alla cattedra di medicina», ID., Le scuole
degli Archivi di Stato… cit., p. 74. In effetti all’insegnamento di questa materia, le università associano
un periodo di stage che, regolato da specifiche convenzioni, si svolge in genere presso i locali Archivi
di Stato. questo tipo di esperienza può rivelarsi molto utile se adeguatamente progettata da entrambi
gli istituti, in modo da assicurarle un efficace raccordo con i contenuti dell’insegnamento teorico.
24
25
26
P. CAROLI, Esperienze formative dell’Archivio di Stato di Genova, in «Archivi», II (2007), 1, p. 145.
F. VALENTI, Parliamo ancora di archivistica… cit., p. 47.
Ibid., p. 61.
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[da acquisire] in vista dell’esperienza professionale»27 e il costituire una vera
«scienza degli archivi», essa poteva finalmente aspirare invece ad acquisire il rango
che le avrebbe permesso di entrare nell’ambito delle scienze umane non come mero
supporto, pratico o metodologico, di altri saperi o come una loro componente marginale, ma come una materia tout court, necessaria quindi, al pari di altre, alla formazione di alcune professionalità. Perché questa prospettiva potesse realizzarsi
occorreva naturalmente anche che gli addetti ai lavori e le istituzioni preposte all’insegnamento ne fossero convinti, ne accettassero le conseguenze e si adoperassero attivamente per un serio riadattamento dell’impostazione didattica e per la
definizione di un nuovo paradigma culturale della materia. Data la considerazione
di cui oggi gode l’archivistica, devo dire che questo processo di maturazione non
si è ancora pienamente compiuto.
L’incontro con l’informatica. – L’incontro, a partire dagli inizi degli anni Novanta, con la rivoluzione informatica ha via via introdotto importanti e profondi
fattori di cambiamento nel lavoro dell’archivista, spingendo questo a misurarsi con
le esigenze di uniformità e di standardizzazione che quella disciplina richiedeva.
In questo senso, si può ritenere che questo condizionamento abbia incoraggiato
l’assunzione da parte degli archivisti di un atteggiamento più omogeneo con quello
delle scienze umane. L’applicazione di tecnologie informatiche al lavoro di descrizione, enfatizzando le conseguenze sui risultati della ricerca delle informazioni
delle difformità di contenuto e di forma nell’elaborazione dei dati, ha indubbiamente favorito una più attenta progettazione degli interventi e una maggior attenzione a linguaggi e a schemi già sperimentati e accettati dalla comunità
professionale. Nel mondo del digitale infatti il mancato rispetto di regole di comportamento rende inattendibili gli strumenti di lavoro dell’archivista e sottrae valore
ai risultati delle sue attività. Chi ha vissuto questa complessa esperienza di incontro
con l’informatica, si sarà accorto che la nostra professionalità ha provato, in tali
frangenti, un senso di smarrimento d’intensità forse paragonabile con quello avvertito, nei primi anni del secolo xIx, dall’archivista che, da custode delle segrete
memorie del principe, cominciò ad essere chiamato a restituire valore ad archivi
messi a disposizione degli storici e a renderne possibile la consultazione da parte
del pubblico. L’apertura della nuova frontiera con il mondo delle tecnologie ha
posto sempre più in evidenza una serie di problemi. Fra questi la normalizzazione
dei criteri di descrizione e le nuove modalità di fruizione delle risorse prodotte:
l’archivista ha dovuto rendersi conto di come si stesse in effetti modificando il
modo in cui elaborare, costruire e montare le informazioni sugli archivi attraverso
le forme di rappresentazione previste dai nuovi strumenti tecnologici. Allo stesso
tempo è dovuto intervenire nel mondo dell’informatica, adottarne la logica e gli
strumenti di lavoro e parlarne la lingua per contribuire alla progettazione delle applicazioni che questa disciplina intendeva introdurre nel mondo degli archivi. quest’intervento si è reso ancor più necessario in occasione del passaggio dai sistemi
informatici locali a quelli proiettati sul web, che hanno determinato la delocalizza27
F. VALENTI, Parliamo ancora di archivistica… cit., p. 47.
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zione delle informazioni e delle stesse sedi in cui si svolgono le attività di mediazione fra gli archivi e gli utenti. quest’incontro con l’informatica, che per certi
versi ha determinato una vera contaminazione, ha avuto importanti effetti sull’insegnamento della materia o determinando una sua radicale trasformazione o, più
spesso, affiancandogli altri insegnamenti.
L’insegnamento dell’archivistica. – Una conseguenza di questi difficili e sempre incompiuti cambiamenti è stata l’introduzione dell’insegnamento di un complesso di nozioni e di istruzioni che si usa raccogliere sotto il concetto di
«archivistica informatica»28. Costituitosi soprattutto per l’esigenza di dar forma e
coerenza a cognizioni e ad esperienze maturate nel corso del tumultuoso incontro
fra gli archivisti e gli informatici, questo complesso intreccio di saperi fa fatica a
sviluppare un proprio stato giuridico, rischiando sempre di sovrapporsi non solo
all’archivistica generale, ma anche alla cosiddetta «archivistica contemporanea»,
termine con cui si indicano le conoscenze in materia di gestione documentale. questi due nuovi insegnamenti infatti, mirando a riempire vuoti o a mettere in luce
zone d’ombra dell’archivistica generale, tendono entrambi a formare competenze
propriamente archivistiche, in materia di gestione documentale e di procedure di
archiviazione, di definizione di criteri di normalizzazione della descrizione e di
adozione di standard di contenuto e di marcatura e di adeguamento a queste esigenze delle scelte tecnologiche. Nella pratica accade quindi che la distinzione fra
questi insegnamenti e quello di archivistica generale più che da specifici obiettivi
e da differenti finalità nell’ambito della programmazione didattica, finisca per dipendere invece soprattutto da una distribuzione degli argomenti fra più docenti,
sulla base delle rispettive preferenze e competenze29. Analogamente appare incerto
il confine fra l’insegnamento di archivistica generale e quello di legislazione relativa agli archivi (denominata anche legislazione archivistica), comprensivo in genere delle informazioni sull’ordinamento dell’Amministrazione archivistica.
In sostanza, in mancanza di una seria riflessione e di decisioni conseguenti
sul piano didattico, queste diverse articolazioni del sapere archivistico rischiano di
compromettere quel processo di formazione dell’identità dell’archivistica come disciplina unitaria, costituito sul nucleo teorico che sta a suo fondamento.
28
Marina Morena, nel tentativo di tracciare un quadro di sintesi degli insegnamenti di ambito informatico introdotti nelle Scuole d’archivio sotto svariate denominazioni («informatica applicata agli
archivi», «elementi di data base», «sistemi archivistici informatizzati»), auspicava una maggiore uniformità nell’offerta dei programmi, «cercando di superare le eventuali incertezze nell’individuazione
dei principi fondamentali delle nuove discipline», M. MORENA, L’insegnamento delle materie informatiche nelle Scuole d’Archivio: censimento e considerazioni, in «Archivi», II (2007), 1, p. 264.
29
Il Manuale di archivistica di Paola Carucci e Maria Guercio (Roma, Carocci, 2008) suddivide
la materia in tre parti:
1) amministrazione archivistica, normativa di tutela e nozioni riguardanti la salvaguardia dei documenti
e la sicurezza dei locali e degli operatori d’archivio;
2) ordinamento, descrizione e strumenti di ricerca [l’ «archivistica generale» in senso proprio];
3) gestione dei documenti da parte delle pubbliche amministrazioni.
In tal modo gli argomenti propri dell’archivistica contemporanea assumono una relativa autonomia dalla teoria archivistica, mentre la rappresentazione dell’organizzazione amministrativa degli Archivi di Stato è affiancata a temi di archiveconomia.
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Proprio quest’unitarietà della materia mirava a difendere e a consolidare Eugenio Casanova, articolandola, nel suo celebre manuale, in tre parti:
- L’amministrazione generale esterna dell’archivio, e come dicono i tedeschi,
con una sola parola, l’archiveconomia;
- L’ordinamento interno degli atti, ossia archivistica pura;
- Il servizio e la natura giuridica dell’archivio o anche natura giuridica e utilizzazione degli archivi30.
Con questa ripartizione, Casanova comprendeva nell’archivistica pura anche le
cognizioni relative alla formazione e alla sedimentazione dell’archivio, dall’acquisizione dei documenti alla loro fascicolazione, dalla registrazione al versamento, e inseriva fra la seconda e la terza parte, relativa alla normativa vigente e all’ordinamento
giuridico e amministrativo degli archivi, un ampio discorso sulla storia degli archivi,
intesi sia come complessi documentari che come istituti di concentrazione, e dell’archivistica. Casanova cercava così di mantenere ancorate le diverse branche della disciplina ad un profilo unitario, attribuendo alla teoria un posto centrale nella
distribuzione dei contenuti e il compito di definire i principi di tutte le funzioni proprie
della professione dell’archivista. Riferendosi agli insegnamenti impartiti ai suoi
tempi, Casanova precisava: «questo coordinamento, questa fusione escludono che
le parti di quella scienza siano artificiosamente o aridamente slegate fra loro»31.
La sperimentazione, ancora in pieno svolgimento, dell’articolazione dell’archivistica in più insegnamenti non ha giovato in effetti alla coerenza e alla coesione
della disciplina, che sembra tendere a diventare una sorta di ibrida area tematica.
Piuttosto che contribuire all’identificazione dei contenuti e delle partizioni dell’archivistica e favorirne l’arricchimento, l’integrazione con nuovi saperi e l’apertura
e l’esplorazione di nuove relazioni e di nuovi confini con altri ambiti disciplinari,
questa situazione ha finito per spezzare di fatto l’archivistica in più parti che, semplicemente giustapposte e prive di una vera reciproca sintesi, in molti punti si sovrappongono, determinando quindi addirittura, in mancanza di intese e di accordi
preliminari, la duplicazione (o l’assenza) di alcuni temi e concetti. Così si è verificato a volte che, dove si sono attivati corsi di archivistica contemporanea e di archivistica informatica, l’insegnamento generale, se affidato a persone che non
avevano seguito lo sviluppo di quei due indirizzi, ha continuato a proporre la formazione di una figura di archivista - paleografo - diplomatista con ingredienti che
prescindono dalle acquisizioni maturate in virtù dell’incontro con l’informatica e
da quelle legate alla gestione dei flussi documentali e dei moderni sistemi di protocollazione e di archiviazione.
L’archivistica e le altre discipline. – A questo punto, sia per rispettare i nuovi
spazi tematici, sia per stabilire corrette relazioni fra le diverse componenti della
medesima area disciplinare, sia infine per valutare i contributi che l’archivistica
può ricevere dai rapporti con altri ambiti, sembra necessario che gli archivisti pro30
E. CASANOVA, Archivistica… cit., pp. 25-26.
Ibid., p. 25. Sull’estensione in Casanova degli orizzonti dell’archivistica si può vedere il mio articolo Conservazione e «comunicazione» degli archivi nel rapporto fra Eugenio Casanova e il Comune
di Perugia (1924-1925), in «Rassegna degli Archivi di Stato», n. s. V-VI (2009-2010), pp. 89-108.
31
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vino a ridisegnarne lo statuto scientifico e a definirne le articolazioni e i rispettivi
settori tematici.
Prescindendo da tradizionali resistenze al cambiamento, dovute alla mancata
definizione dell’identità culturale della categoria e all’insufficiente impegno a consolidare e a sviluppare competenze e acquisizioni teoriche, attraverso un puntuale
e aperto confronto con i problemi della loro applicazione, l’atteggiamento professionale dell’archivista si è andato caratterizzando in senso scientifico, per una crescente attenzione a definire e a rispettare regole e standard da condividere e a
rendere espliciti e controllabili i principi e i criteri seguiti e verificabili o, meglio,
falsificabili32, le strategie adottate.
Il problema della definizione dell’identità disciplinare dell’archivistica e dei
suoi rapporti con l’insegnamento non è oggi al centro dell’attenzione della comunità archivistica. Le pur importanti occasioni di riflessione33, alquanto episodiche
o almeno non tali da coinvolgere la categoria nel suo complesso, hanno avuto il
merito di mettere a confronto le posizioni, non sempre convergenti, del mondo accademico e dell’Amministrazione archivistica e di riprendere, arricchendolo con
l’analisi della situazione attuale e delle prospettive, un dibattito avviato e impostato
anni prima e rimasto incompiuto.
Relativamente alle nuove articolazioni della materia emerse in questi anni –
archivistica informatica, archivistica contemporanea –, il problema non è naturalmente quello di decidere se sia il caso di riconoscere o meno l’opportunità di
ampliamenti degli orizzonti dell’archivistica o di come farlo. Si tratta piuttosto di
evitare che i «nuovi» contenuti vadano a giustapporsi ai principi dottrinali o addirittura a contrastare con quello che, nell’ambito dell’insegnamento di «archivistica
generale», si considera il nucleo dottrinale centrale o che rimangano patrimonio di
un insegnamento separato, non tenuto a integrarsi con quelli della disciplina generale di riferimento. In mancanza di un modello complessivo condiviso e a prescindere dalle situazioni più avanzate, numerosi concetti finora affidati solo alle «nuove
materie» stentano ad entrare a far parte integrante e a pieno titolo di ogni insegnamento di archivistica. Fra gli altri:
a) la possibilità che la descrizione archivistica possa essere realizzata con strumenti tecnologici e adottando schemi e linguaggi propri dei moderni sistemi
informativi;
b) la consapevolezza che, sulla base di quanto è possibile prevedere, gli archivi
(o tipologie di documenti) digitali costituiranno sempre più una realtà impre-
32
Fu Karl Popper (1902-1994), filosofo della scienza, a sostenere che è il criterio della falsificabilità a costituire la vera discriminante della scientificità di una teoria o di una tesi, non quello della sua
verificabilità. «La ricerca - ha sostenuto Umberto Eco a proposito della scientificità di una tesi di laurea
- deve fornire gli elementi per la verifica e per la falsifica delle ipotesi che presenta e pertanto deve fornire gli elementi per una sua continuazione pubblica» (U. ECO, Come si fa una tesi di laurea. Le materie
umanistiche, Milano, Bompiani, p. 45).
33
Dei recenti momenti di questo dibattito riferiscono in particolare gli atti del convegno di Erice
del novembre 2006, pubblicati in «Archivi», II (2007), 1 e il numero monografico di «Archivi & computer», xVIII (2008), 2-3. Vorrei ricordare che anche la seconda Conferenza nazionale degli archivi,
Bologna, novembre 2009, ha dedicato uno specifico workshop alla «formazione archivistica», al quale
sono intervenuti rappresentanti dell’Amministrazione archivistica, del mondo accademico, degli enti
locali e dell’ANAI.
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scindibile per chi si occupa di tutela e di conservazione;
c) l’idea che la ricerca dei dati possa essere realizzata sia in modo deduttivo, a
partire cioè dal generale per giungere al particolare, sia in modalità induttiva,
mirando quindi direttamente, a partire da un singolo lemma o da una stringa
di testo, ad un determinato elemento della base di dati;
d) l’idea che l’archivistica debba occuparsi non solo dei criteri con cui procedere
all’individuazione delle strutture e dell’ordinamento di un archivio storico,
ma anche dei principi e delle modalità con cui impostare e costituire piani di
classificazione e di conservazione e manuali di gestione degli archivi in formazione e dei flussi documentali di un’organizzazione di tipo aziendale.
Desistendo allora dal considerare l’archivistica come la «disciplina-contenitore» o «disciplina esponente», che ha sostituito, in questo ruolo, la diplomatica34,
e superando il semplice affiancamento di saperi nuovi a un’archivistica pura rimasta
legata alla tradizione e quindi distante dal mondo reale, si potrà lavorare invece a
una sostanziale integrazione di questi saperi, che permetta di puntare a finalità formative coerenti e ad obiettivi da condividere.
Una disciplina che voglia far parte del mondo scientifico a pieno titolo e con
pari dignità dovrà però far attenzione ad assumere la stessa apertura culturale delle
altre discipline, in primo luogo quelle umane e sociali e, quindi, la stessa disponibilità a rispettare competenze e ambiti disciplinari, a confrontarsi e a cooperare con
loro e, al contempo, a valutare i loro apporti e ad avvalersi dei loro contributi.
Rinunciando a un’ormai insostenibile pretesa di autosufficienza e tentando di
superare la tradizionale «acerbità»35 della disciplina rispetto alle altre, ci si renderebbe conto che l’archivista opera in campi nei quali ha evidentemente bisogno di
competenze e di strumenti di lavoro propri di altre professionalità. Non potendo
l’archivista diventare anche storico, storico del diritto italiano o informatico, occorre prospettare forme di cooperazione, in grado di trasformare i tradizionali confini in strumenti di dialogo e di conoscenza reciproca. Sia pure riferendosi ai
problemi relativi al rapporto con il digitale e agli archivi correnti, Giorgetta Bonfiglio Dosio ha recentemente sottolineato proprio come non si possa «prescindere
dal confronto con altre professionalità, ciascuna delle quali deve mantenere la sua
competenza specifica, ma sviluppando nel contempo la capacità di progettare insieme e di cooperare per il raggiungimento di un obiettivo comune, chiaramente
definito»36. Si potrebbe così finalmente pensare di impostare correttamente i rapporti con gli storici, utenti delle sale di studio e fortemente dipendenti dalle chiavi
di ricerca che elaborano gli archivisti e, al contempo, potenziali preziosi collaboratori nell’interpretazione delle informazioni presenti nei documenti degli archivi
da riordinare e da descrivere. Allo stesso modo si potrebbe condividere lo studio
delle istituzioni con lo storico del diritto il quale, mentre l’archivista individua le
fonti documentarie utili a rivelarne funzioni e ruoli effettivamente svolti, potrebbe
contribuire in modo significativo a delineare il contesto giuridico in cui quei sog34
35
F. VALENTI, Parliamo ancora di archivistica… cit., p. 57.
Ibid., p. 48.
G. BONFIGLIO DOSIO, La formazione degli archivisti, in Archivistica. Teorie, metodi, pratiche,
Roma, Carocci, 2014, p. 320.
36
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Parliamo ancora di archivista e del suo insegnamento
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getti sociali hanno operato. Un promettente filone di ricerca si potrebbe aprire insieme con i bibliotecari per l’analisi e per lo sviluppo di strumenti d’indicizzazione
e di ricerca di dati e di informazioni presenti negli archivi. Nell’ambito del lavoro
di identificazione e di interpretazione dei criteri con cui il soggetto produttore ha
costituito la denominazione delle unità archivistiche e dell’attribuzione di un nuovo
titolo37 o dell’integrazione di quello precedente, possiamo intravedere allora anche
una proficua apertura verso la linguistica, relativamente all’uso degli strumenti che
questa disciplina possiede in materia di analisi e di elaborazione testuale e di decodifica e di interpretazione del linguaggio della burocrazia. La descrizione è un
atto linguistico, fra i cui specifici requisiti, necessari ai fini dell’efficacia comunicativa, sono la coerenza, la concisione e l’essenzialità. Redattore infatti di chiavi
di ricerca da mettere nelle mani di storici e di cultori di memorie patrie, l’archivista,
più immediatamente di altri operatori di cultura, è anche un agente della comunicazione impegnato a stabilire e a qualificare il rapporto con il pubblico, il vero destinatario di ogni suo lavoro di rappresentazione e di esposizione dei documenti.
La descrizione non è mai un’attività autoreferenziale, ma sempre rivolta invece
verso interlocutori, in genere potenziali e indeterminati. Gli apparati descrittivi,
luogo d’incontro fra lo studioso e gli archivi, fonti di informazioni e reticolati di
relazioni significative accessibili solo attraverso l’attività di mediazione dell’archivista, risultano tanto più efficaci in termini di produzione di conoscenza se progettati
non solo con la necessaria competenza, ma anche con la consapevolezza che saranno
utili solo se effettivamente comprensibili, affidabili e quindi accettabili per il loro
destinatario. Un significativo contributo poi all’identificazione e alla definizione
della dimensione archivistica delle istituzioni e delle organizzazioni e alla progettazione dei sistemi di gestione dei documenti e dei flussi documentali potrebbe scaturire dall’incontro con l’economia aziendale, scienza che studia appunto l’azienda,
i suoi problemi di tipo organizzativo e gestionale e le interrelazioni fra le sue risorse.
Sperimentazioni da comunicare, raccordare e coordinare. – L’archivista ha
bisogno dunque di altri ambiti disciplinari per conseguire le sue finalità. Allo stesso
tempo altre professionalità hanno bisogno degli strumenti e degli apparati metodologici dell’archivistica. Significative e molto promettenti esperienze di collaborazione si sono maturate in questi anni fra archivi e mondo della scuola sul comune
terreno della didattica degli archivi e della didattica della storia. Sempre più spesso
gli insegnanti di storia, convinti che questa materia si possa insegnare meglio sperimentando, insieme con i discenti, tecniche di individuazione e di analisi delle
fonti e modelli di ricerca, progettano unità didattiche da svolgersi presso gli Archivi
di Stato per consentire agli allievi di conoscere questa realtà e di apprendere impostazioni, lessico, metodi e tecniche del lavoro d’archivio. Lavorare su questo terreno
non solo comporta per l’archivista capacità comunicative e didattiche da costituire
e da coltivare ma, attraverso la multiforme curiosità di insegnanti e di allievi, permette anche di esplorare la nuova domanda di memoria storica e di cultura documentaria che il mondo della scuola rivolge da tempo a quello degli archivi.
37
Il titolo di un’unità archivistica è in effetti un breve o brevissimo testo, cui è affidato il compito
di rappresentarla in modo essenziale e esauriente.
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Paolo Franzese
In mancanza di modelli condivisi di riferimento, esperienze e sperimentazioni
si susseguono da anni nei più svariati settori d’intervento, senza riuscire, se non
episodicamente, a trovare occasioni d’incontro e perfino di risonanza oltre l’ambito
locale. Una continuativa circolazione di informazioni sui problemi comuni e sulle
soluzioni via via adottate in sede locale per farvi fronte e un regolare confronto di
opinioni sulla loro esportabilità e delocalizzazione potrebbero costituire il solido e
affidabile fondamento di un agire collettivo e coordinato, in grado di valorizzare e
di capitalizzare i risultati già acquisiti anche dagli altri e di restituire la fiducia nella
possibilità di poter ripartire da posizioni sempre più avanzate.
Dannosi ritardi si scontano nel dar continuità a esperienze, spesso già maturate
e positivamente esplorate, di aree interdisciplinari, in cui individuare elementi comuni, connessioni, affinità e ruoli complementari fra ambiti diversi, ma confinanti,
purché si accetti di confrontarsi e di misurarsi con questi, rompendo uno splendido,
ma nocivo isolamento, diventato ormai un pericoloso fattore di scoramento e di
rassegnazione. Analoghe considerazioni si possono fare relativamente al superamento di un insegnamento troppo rigidamente settoriale, dinanzi agli incoraggianti
risultati di esperienze di compresenza di insegnanti di diverse materie o di diverse
articolazioni della stessa disciplina. In un territorio teoreticamente condivisibile,
interventi pluridisciplinari o interdisciplinari permettono di ricostituire, anche attraverso l’esame di significativi casi di studio, l’integrità e la concretezza dei problemi e delle realtà in cui si vuole intervenire per formare competenze.
Non è ancora possibile valutare esattamente le prospettive intersettoriali che
sembrano aprirsi con l’annunciato sorprendente trasferimento del coordinamento
dell’attività delle Scuole d’archivio dalla Direzione generale per gli archivi alla
nuova Direzione generale «Educazione e ricerca», costituita nell’ambito della riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo38. Appare
infatti strategicamente auspicabile l’ambizioso compito attribuitole di garantire,
«anche d’intesa con le regioni», sinergie fra questo ministero e quello dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR), il Consiglio nazionale delle ricerche
(CNR) «e altri enti di ricerca, le università e le scuole» nella «realizzazione di adeguati percorsi formativi», superando così la tradizionale compartimentazione fra i
soggetti addetti alla formazione di competenze specialistiche nei settori d’intervento
del ministero. Affinché questa finalità possa diventare un’affidabile prospettiva e
costituire un credibile orizzonte d’attesa occorre indubbiamente che queste istituzioni, pur così diverse, riescano a dotarsi di specifiche competenze nei diversi ambiti tecnico-scientifici e di capacità di cooperazione e di condivisione di programmi
e di obiettivi.
Con il mondo della scuola e con le università molti Archivi di Stato hanno costruito ormai da tempo, di propria iniziativa, proficue relazioni fondate sulla collaborazione e perfino su una sorta di temporaneo scambio di ruoli fra archivisti e
insegnanti. Sarebbe ora opportuno che queste esperienze potessero essere estese
anche alle scuole d’archivio.
Un aperto confronto con gli schemi di lavoro degli insegnanti delle scuole
38
D.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171: Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle
attività culturali e del turismo..., art. 13, comma 2, lettera p.
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Parliamo ancora di archivista e del suo insegnamento
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spinge in genere il docente di archivistica a considerare il rapporto della teoria con
la pratica non soltanto come un metodo per la verifica dell’apprendimento di principi teorici e di criteri operativi ma anche come una modalità, una sorta di «dispositivo didattico», in grado di favorire lo sviluppo della capacità di orientarsi nella
ricerca delle soluzioni dei problemi legati alla «determinatezza del vincolo archivistico» e quindi alla specificità dei contesti organizzativi, storici e documentari
da affrontare. questo volle sottolineare molti anni fa lo stesso Antonio Panella,
quando si pose la domanda:
«Chi impedisce di trasformare la scuola in una specie di palestra o, meglio, di officina
di lavoro? Il professore, insegnato che abbia il metodo per procedere sicuramente in un dato
genere di studi, può e deve imporre agli scolari di diventare in certo modo suoi collaboratori.
Distribuisca gli argomenti da svolgere, obblighi quelli a presentare ogni fin d’anno il risultato
dei loro studi con una trattazione scritta. Produrranno più o meno bene a seconda della loro
capacità; ma tutti in grado diverso avranno concorso a fornire nuovi elementi, siano i loro
lavori pubblicati o no, per quei manuali, dei quali sentiamo il bisogno e che potrebbero
essere il prodotto collettivo delle nostre scuole sotto la direzione degl’insegnanti (…)»39.
Oggi, dinanzi alla scarsa efficacia delle esercitazioni in aula, sorta di semplici
appendici delle lezioni frontali, consistenti in simulazioni d’interventi sulla realtà
documentaria, che non promuovono senso di responsabilità, si dimostra più produttivo e più motivante invece rendere l’allievo protagonista di una completa esperienza di lavoro con la realtà degli archivi, che comporti un’attività di ricerca.
Un’unità didattica di questo tipo, opportunamente progettata, permette all’allievo,
seguito e coadiuvato da un tutor, di raggiungere finalità e obiettivi formativi con le
proprie risorse, sviluppando capacità di orientamento nell’identificazione dei problemi e nella scelta delle soluzioni, con la prospettiva di relazionare in sede di
esame sull’esperienza compiuta, eventualmente con la premiante e gratificante
aspettativa di pubblicarne i risultati.
Il mondo della scuola ha da tempo acquisito la consapevolezza che conoscere
una disciplina e i suoi contenuti non significa ancora sapere come insegnarla e che
nessuna scuola è migliore dei propri insegnanti. Affinché poi la formazione risulti
efficace e possa produrre risultati significativi occorre tener conto che forme e criteri d’insegnamento non sono meno importanti del problema di come impostare
correttamente il processo di apprendimento e di assimilazione dei contenuti, focalizzando l’attenzione sulle capacità e sull’orizzonte d’attesa del discente. È forse
giunto il momento allora di prendere atto che finalità, obiettivi, argomenti delle lezioni, monitoraggio e analisi dei risultati, metodo di svolgimento del programma
e criteri di valutazione sono distinte e complementari componenti di una programmazione, a cui è affidato il delicato compito di impostare una valida strategia didattica e la possibilità stessa di confrontare (e eventualmente cambiare) modelli e
di verificarne il successo.
Il futuro dell’archivistica dipenderà sempre più dalla capacità degli archivisti
di rielaborare i fondamenti e l’identità di questa disciplina e di darsi gli strumenti
39
A. PANELLA, Le scuole degli Archivi di Stato… cit., p. 76.
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Paolo Franzese
per promuovere, attraverso un rinnovato modo di insegnarla, la formazione e la
diffusione di competenze necessarie alla conservazione e allo sviluppo di qualunque
sapere. Rappresenta una sfida da non trascurare il passaggio dall’imprescindibilità
degli archivi, di cui parlava Filippo Valenti, a quella dell’archivistica. questo suo
carattere trasversale, che le permette d’intersecare ambiti disciplinari diversi e di
condividere con questi significative aree del proprio terreno di coltura, può costituire la condizione per uscire finalmente dal pericoloso isolamento che, ribadisco,
sembra destinarla a svolgere sempre una parte marginale e accessoria, alla quale
destinare soltanto risorse residuali. Impostare su nuove basi le relazioni con le
scienze umane comporta senza dubbio un impegno di chiarificazione e di aperto e
sincero confronto prima al proprio interno e poi con altre professionalità, che, per
risultare efficace, non può essere soltanto individuale o episodico. Se l’archivistica
accetterà di svolgere un ruolo fra le scienze e di porsi in un esplicito e propositivo
rapporto con queste, acquisendo una più piena consapevolezza dei propri compiti
e del proprio posto nell’ambito della formazione in primo luogo delle figure professionali afferenti al mondo della documentazione e della comunicazione, sarà
davvero difficile immaginare, anche in un momento di crisi e di disorientamento
come questo, che un futuro migliore possa fare a meno di una simile cultura degli
archivi.
PAOLO FRANZESE
Soprintendenza archivista
per il Piemonte e la Valle d’Aosta
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Note
e
commenti
PER UNA STORIA DELL’AMMINISTRAZIONE ARChIVISTICA:
IL REPERTORIO DEL PERSONALE DEGLI ARChIVI DI STATO
1. Premessa. – Il progetto Repertorio del personale degli Archivi di Stato1 si
deve a Maurizio Cassetti, un romano trapiantato tra le brume del nord, che ha prestato servizio presso l’Archivio di Stato di Torino, poi in quello di Vercelli con le
Sezioni di Biella e Varallo, e infine in quello di Asti, concludendo la sua carriera a
Roma, come dirigente presso la Direzione generale per gli archivi. Il primo volume
è interamente a cura di Cassetti, mentre al secondo volume hanno collaborato anche
Ugo Falcone, docente presso l’Università degli studi di Udine, e Maria Teresa Piano
Mortari, a lungo bibliotecaria presso la Direzione generale per gli archivi. Trattandosi di una ricerca molto complessa, molte persone hanno collaborato alla raccolta
delle notizie e puntualmente Cassetti ne dà conto nell’Introduzione.
Il primo volume prende in considerazione il personale dell’Amministrazione
archivistica entrato in servizio dal 1861 al 1918, il secondo dal 1919 al 1946. Ai
nomi segue il numero di matricola che va, nel primo volume, dal n. 1 al n. 419, nel
secondo, dal n. 420 al n. 749; si tratta di persone delle diverse carriere, alle quali
si aggiunge l’elenco del personale di «basso servizio» e avventizio. La scheda descrittiva di ciascuna persona prevede un complesso di dati: il numero di matricola;
dati anagrafici con paternità e maternità; titoli di studi, lingue straniere conosciute,
corsi di specializzazione; evoluzione della carriera dall’inizio alla cessazione, preceduta da informazioni su precedenti servizi svolti presso altre amministrazioni;
partecipazione a eventi bellici; onorificenze o altre eventuali cariche culturali o
scientifiche o politiche; nota bibliografica.
Già questo complesso di dati costituisce una radiografia dell’Amministrazione
archivistica utile per la storia dell’archivistica, ma anche, più in generale, per la
storia dell’amministrazione.
Il saggio storico-archivistico di Elio Lodolini, premesso ai due volumi, dà
spessore storico e umano – nonostante la rigorosa obiettività nel delineare eventi e
comportamenti – ai dati oggettivi, fornendo un complesso organico di informazioni
sullo status dei pubblici dipendenti di un settore del Ministero dell’interno. Nel
primo volume il saggio introduttivo di Lodolini occupa 261 pagine, nel secondo
1
Repertorio del personale degli Archivi di Stato, I (1861-1918) a cura di MAURIZIO CASSETTI,
con saggio storico-archivistico di ELIO LODOLINI, Roma, Direzione generale per gli archivi, 2008; II
(1919-1946), a cura di MAURIZIO CASSETTI, UGO FALCONE, MARIA TERESA PIANO MORTARI, con saggio
storico-archivistico di ELIO LODOLINI, Roma, Direzione generale per gli archivi, 2012.
Rassegna degli Archivi di Stato, n. s., X (2014)
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Paola Carucci
376: è dunque quantomeno riduttivo l’uso della parola «saggio», trattandosi di una
vera e propria storia del personale. Sono limitate le inevitabili sovrapposizioni nei
due testi, poiché il Repertorio parte dalla data di entrata in carriera, ma questa evidentemente si protrae oltre l’arco cronologico preso in considerazione in ognuno
dei due volumi. Nel primo volume si considera il personale entrato in servizio tra
il 1861 e il 1913 e collocato a riposo entro il 1958. Per il secondo volume, che tratta
il personale entrato in servizio fino al 1946, è indicativo il fatto che io ricordi 38
delle persone citate, che ricoprivano le cariche più alte quando sono entrata in servizio nel maggio del 1966, mentre in effetti gli archivisti ancora in carriera erano
più numerosi.
2. La normativa sul personale fino al 1918. – Nel primo volume viene puntualmente ricostruita la fase del passaggio dagli istituti archivistici preunitari al
1862 e, dopo un’attenta analisi della Commissione Cibrario, la fase che porta all’unificazione di tutti gli archivi alle dipendenze del Ministero dell’interno (r.d. 5
marzo 1874, n. 1852), quando il ministro dell’interno, Girolamo Cantelli, aveva
anche l’interim della pubblica istruzione. Ciò determinò una compartecipazione
tra i due dicasteri nella designazione dei componenti del Consiglio superiore degli
archivi, nell’approvazione dei programmi delle Scuole d’archivio e nelle commissioni per gli esami finali. Come noto, il Consiglio superiore degli archivi era l’effettivo vertice dell’amministrazione archivistica che, sotto il profilo burocratico,
non aveva una struttura centrale autonoma.
Tra il 1861 e il 1892 vengono istituiti 19 Archivi di Stato e tanti rimarranno
fino al 1926, accrescendosi nei quattro anni successivi con quelli di Trento, Bolzano, Trieste e Zara.
La serie dei Registri matricolari del personale in servizio, che costituisce la
fonte primaria del Repertorio, ha inizio nel 1888, con nuova numerazione di matricola. A partire dal 1874 erano stati compilati quattro registri, di cui ne restano
solo due, il secondo (matricole, nn. 101-200) e il quarto (matricole, nn. 301-319).
Dal confronto tra questi due registri e la nuova serie di Registri matricolari emerge
che avevano lasciato il servizio 127 archivisti, tra cui Girolamo Azuni, Nicomede
Bianchi, Francesco Bonaini, Tommaso Gar, Cesare Paoli, Francesco Trinchera,
tanto per citare alcuni dei nomi più noti. Lodolini pubblica gli elenchi, forse incompleti, ricostruiti da Maurizio Cassetti – sulla base delle informazioni presenti
nei volumi del Calendario del Regno – relativi al personale in servizio tra il 1862
e il 1874, al personale in servizio tra il 1874 e il 1887, cessato prima del 1888 e
probabilmente indicato nei due vecchi registri mancanti (nn. 1 e 3), al personale in
servizio tra il 1874 e il 1887, presente nei due vecchi registri conservati (nn. 2 e 4),
ma che non compaiono nella nuova serie dei Registri matricolari.
Lodolini prende in considerazione anche gli archivisti degli Archivi provinciali
delle province meridionali e fornisce notizie sul personale degli Stati preunitari e
sul passaggio alla nuova amministrazione italiana; note dettagliate sul personale
descritto nel Repertorio e su alcuni dei nomi mancanti; riflessioni sull’esigenza di
fornire agli archivisti una specializzazione sulle istituzioni preunitarie e sulle difficoltà per preporre alle Soprintendenze, dotate di propri ruoli organici, archivisti
esperti delle istituzioni del territorio.
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Il repertorio del personale degli Archivi di Stato
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È rilevante l’elenco di leggi e decreti (escluse le leggi di bilancio) sul personale
degli Archivi di Stato dal 1862 al 1916, e quello dal 1920 al 1953 relativo a provvedimenti che incidono anche sul personale entrato in servizio prima del 1918. Numerose disposizioni definiscono ruoli e organici del personale nei diversi istituti
archivistici fino al provvedimento fondamentale del 1874 (r.d. 5 marzo, n. 1852)
con cui tutti gli Archivi di Stato sono posti alle dipendenze del Ministero dell’interno; seguono il riordinamento degli Archivi di Stato (r.d. 26 marzo 1874, 1861),
il cui nuovo ruolo organico è fissato nel 1875 (r.d. 16 dicembre, n. 2845), e l’individuazione delle Sovrintendenze (soppresse nel 1891) con le province incluse nelle
relative circoscrizioni (r.d. 31 maggio 1874, n. 1949).
Il nuovo ordinamento degli impiegati dell’amministrazione archivistica (r.d.
21 settembre 1896, n. 478) introduce una innovazione fondamentale: il personale
è diviso in tre categorie, oltre al «personale di basso servizio». L’obbligo della laurea è previsto nel concorso per accedere al ruolo della prima categoria e quello
della licenza di scuola superiore per accedere al ruolo della seconda, con seguito,
per entrambe le categorie di un anno di alunnato; al ruolo della terza categoria si
accede per titoli, a scelta del ministero; si vieta il ricorso agli avventizi, inserendo
nei ruoli quelli in servizio. Il saggio analizza la gestione del personale da parte del
Consiglio superiore degli archivi e la sua attività ispettiva, nonché le valutazioni
dei lavori archivistici; le Scuole d’archivio e i titoli di studio, libere docenze e conoscenza di lingue straniere degli archivisti.
Il Regolamento del 1902 (r.d. 9 settembre, n. 445) prevede anche norme sul
personale e istituisce la Giunta superiore degli archivi, cui farà capo gran parte
della gestione del personale. Porta a due anni il tirocinio degli alunni e rende obbligatorio il titolo biennale conseguito nelle Scuole d’archivio. Una tabella, allegata
al Regolamento, stabiliva un organico di 284 unità (119 di prima categoria, 83 di
seconda, 16 di terza, 66 di servizio). Anche questo Regolamento, come in precedenza, non prevedeva un organico per l’Archivio del Regno che, in sostanza, era
una sezione dell’Archivio di Stato di Roma. Vi era un certo ricambio nel personale,
in parte determinato dal passaggio di archivisti all’università o, comunque, a incarichi meglio retribuiti. La l. 20 marzo 1911, n. 232, peggiora la struttura dell’Amministrazione archivistica con conseguenze che si protrarranno fino al 1953. Riduce
le categorie da tre a due, sopprimendo di fatto la seconda, ovvero quella che prevedeva il possesso della licenza di scuola superiore, con retrocessione del personale,
ad eccezione di quanti erano in possesso dei titoli per passare alla prima categoria.
La legge istituisce un Laboratorio di restauro presso l’Archivio di Stato di Roma e
Archivio del Regno che doveva servire tutti gli Archivi di Stato. Il successivo Regolamento (r.d. 2 ottobre 1911, n. 1163) ne estendeva le competenze anche alle Biblioteche, fino alla successiva istituzione dell’Istituto di patologia del libro: alla
direzione del Laboratorio fu posto un chimico. Il Regolamento fissava l’organico
in 120 posti di prima categoria, 104 di seconda e 80 di personale di servizio: una
parte del personale prestava servizio presso il Ministero dell’interno, ove era stata
istituita nel 1910 una Sezione per gli archivi, nell’ambito della Direzione generale
dell’amministrazione civile. In base a disposizioni di carattere generale fu decisa
una riduzione degli organici tra il 1920 e il 1922. L’organico della prima categoria
(r.d. 7 marzo 1920, n. 227) fu ridotto a 110 unità e, anche se le disposizioni suc-
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Paola Carucci
cessive furono ampiamente disattese, l’Amministrazione archivistica ne ebbe sostanzialmente un danno.
Ampio spazio è dedicato da Lodolini al censimento degli archivi romani, affidato nel novembre1870 all’erudito Costantino Corvisieri, e alla particolare situazione dell’Archivio di Stato in Roma che, nato come «amministrativo», subì
distruzioni ingentissime di archivi importanti. Sono ricordate le relazioni sul personale di Napoleone Vazio per gli anni 1874-1882, di Angelo Pesce per gli anni
1883-1905, di Eugenio Casanova per gli anni 1911-1912, di Giuseppe Spano, redatta nel 1914 ma riferita all’ultimo decennio. Le ultime assunzioni, nell’ambito
del periodo considerato nel primo volume, si riferiscono al 1913.
Molti archivisti hanno partecipato alle guerre del sec. xIx e poi alla prima
guerra mondiale: da Giuseppe Conti, ufficiale napoleonico nel Regno d’Italia, che
partecipa ai moti del 1831, agli archivisti che combattono nella guerra del 184849, in quella del 1859 e nelle campagne del 1860-61; un archivista partecipa alla
guerra di Crimea; uno combatte nell’esercito pontificio a Monterotondo, mentre
alcuni militano tra i garibaldini. Numerosi partecipano alla prima guerra mondiale.
Durante la guerra, in base al d.lgt. 26 ottobre 1916, n.1688, viene istituito un Servizio di ispezione: l’ispettore generale avrebbe dovuto ispezionare tutti gli archivi,
anche sottoposti a vigilanza, una volta all’anno, esaminare il funzionamento delle
Scuole d’archivio e accertare gli incarichi conferiti ai dipendenti tenendo conto
anche dello stadio di avanzamento dei lavori.
Subito dopo la fine della guerra l’Italia rivendica gli archivi che l’Impero asburgico aveva asportato. Nella rivista «Gli Archivi italiani», diretta dal Casanova, vengono pubblicate notizie su Gli archivi e la guerra. Rivendicazioni archivistiche
dall’Austria, Devastazione degli archivi delle provincie italiane liberate dal nemico.
Al termine del conflitto viene istituita una Commissione interministeriale per le rivendicazioni degli oggetti d’arte, archivi, biblioteche e collezioni scientifiche, nella
quale Casanova rappresenta l’Amministrazione archivistica. Su richiesta del Comando supremo, alcuni archivisti svolgono, sotto la guida dell’ispettore generale Giovanni Battista Rossano, un’inchiesta sulle condizioni nelle quali il nemico aveva
lasciato gli archivi delle terre liberate. È citata, infine, un’iniziativa di Giuseppe Bonelli, in servizio presso l’Archivio di Stato di Brescia, tesa a mobilitare sindaci e parroci per convincere i parenti ad affidare all’istituto lettere e fotografie dei militari
caduti in guerra al fine di costituire una raccolta delle testimonianze del «tremendo
e tragico vissuto degli umili soldati contadini bresciani».
Il primo volume tratta, infine, tematiche che verranno riprese nel volume successivo, spingendosi fino alla l. 13 aprile 1953, n. 340, che istituisce, finalmente,
l’Archivio centrale dello Stato, ovvero l’Archivio nazionale d’Italia.
3. Archivisti e archivi dal 1919 al 1946. Alcuni aspetti della carriera. – Il secondo volume, che si riferisce al periodo compreso tra il 1919 e il 1946, affronta
le tematiche del personale durante il periodo fascista e nel tragico biennio 194345, quando si determina la spaccatura del paese con l’istituzione al centro nord
della Repubblica sociale italiana in territori occupati dai tedeschi (nel caso delle
zone di Bolzano e Trieste, direttamente dipendenti dai tedeschi), e il Regno del sud
con sede a Brindisi e poi a Salerno, ove la risalita degli anglo-americani verso il
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Il repertorio del personale degli Archivi di Stato
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nord affianca all’esile monarchia la Commissione alleata di controllo e l’Amministrazione militare. Il saggio di Lodolini mette in evidenza le conseguenze per l’Amministrazione archivistica di tale situazione e comprende una dettagliata analisi
dell’epurazione, spingendosi fino ad alcuni importanti provvedimenti successivi
che segnano il riavvio dell’Amministrazione archivistica nei primi anni del dopoguerra.
Non è possibile soffermarsi su tutti gli aspetti presi in considerazione da Lodolini e, pertanto, ho limitato la mia attenzione su tre punti: alcuni aspetti della carriera degli archivisti di Stato, anche in riferimento all’inchiesta Ferrigni; le vicende
dell’Amministrazione archivistica nel 1943-45; le affermazioni scientifiche, in
campo archivistico, realizzatesi durante il fascismo.
Per quanto attiene alla carriera, va rilevato che, nel periodo considerato, i ruoli
più elevati sono ricoperti da persone entrate in servizio prima del 1921. L’ultima
immissione di funzionari di gruppo A risale al 1911, i nuovi ingressi si avranno
solo nel dicembre 1932/gennaio 1933.
La carriera si svolge in un arco cronologico ben delineato sotto il profilo giuridico:
- r.d. 11 novembre 1923, n. 2395, «Ordinamento gerarchico delle amministrazioni
dello Stato», poi esteso agli impiegati dei territori acquisiti dopo la prima guerra
mondiale;
- d.p.r. 11 gennaio 1956, n. 3, «Ordinamento delle carriere degli impiegati civili
dello Stato»;
- d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, «Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato», che abroga l’Ordinamento delle carriere
del 1923.
Di fatto, si rileva la lentezza delle carriere, le basse retribuzioni, l’inquadramento degli archivisti di Stato in due categorie, sostanzialmente il gruppo A (livello
di funzionario) e il gruppo C (livello della carriera esecutiva), essendo stato soppresso il gruppo B (livello intermedio della carriera di concetto) che sarebbe stato,
invece, fondamentale per una razionale divisione del lavoro.
In compenso, in base alle norme del ’23, gli archivisti entravano al grado x,
come ruolo «tecnico-scientifico», invece che all’xI, come gli amministrativi. Malauguratamente, a seguito di una errata interpretazione del T.U. del ’57, la carriera
degli archivisti di Stato viene collocata nel ruolo amministrativo e non in quello
tecnico-scientifico, peggiorando lo status economico.
Emerge con chiarezza l’ambiguità di un profilo istituzionale che richiede una
specifica formazione culturale di alto livello – giuridica, storica e storico-istituzionale – cui corrisponde uno scarso riconoscimento, sotto l’aspetto della carriera e
del trattamento economico. Su 330 impiegati, entrati in servizio tra il 1919 e il
1946, ben 183 – prescindendo dall’appartenenza al gruppo A, che richiede obbligatoriamente la laurea – sono laureati: 105 in giurisprudenza, 49 in lettere, 11 in
filosofia, 7 in scienze politiche, 11 in varie altre discipline. La lingua straniera più
conosciuta è il francese (156 persone), seguita a distanza dal tedesco (48) e dall’inglese (44) e poi dallo spagnolo (28); ben 8 persone conoscono il serbo-croato,
1 il russo, 1 l’ungherese e 1 l’arabo. Un aspetto rilevante è rappresentato dalla bibliografia, molto ricca per i funzionari di gruppo A, ma presente anche per impiegati
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212
Paola Carucci
del gruppo B e del gruppo C.
Viene rilevato, in molteplici circostanze, il richiamo all’importanza degli studi
giuridici per svolgere bene il mestiere dell’archivista. Le prove di concorso, secondo il r.d. 2 gennaio 1942, n. 361, sono: storia d’Italia, dalla caduta dell’Impero
romano d’occidente ai nostri giorni; diritto amministrativo o costituzionale o corporativo (soppresso quest’ultimo nel 1943); storia del diritto italiano, con particolare riferimento al diritto pubblico; traduzione dal latino. Sono le prove sostenute
anche da chi è entrato con il mio concorso, svoltosi nel 1965, e durate fino al 1970,
quando si decide che una prova di latino, fondamentale per i documenti medievali
e per quelli della storia della Chiesa anche nei secoli successivi, viene ritenuta socialmente discriminante e dunque soppressa insieme alla terza prova scritta, quella
di diritto amministrativo o costituzionale. Difficile sostenere che queste innovazioni
abbiano giovato alla formazione professionale dell’archivista.
Riflessioni di grande interesse emergono dall’inchiesta di Mario Ferrigni condotta dal 26 febbraio al 12 maggio 1927 su «Il Corriere della Sera». Tale inchiesta,
di cui parla Ugo Falcone in Gli archivi e l’archivistica nell’Italia fascista. Storia,
teoria e legislazione (Udine, 2006), era stata ispirata da Alessandro Luzio, direttore
dell’Archivio di Stato di Mantova e poi di Torino, accademico dei Lincei e accademico d’Italia. Ferrigni rileva la condizione tutt’altro che buona degli Archivi di
Stato per la scarsità del personale e per la distribuzione incongrua del personale
che concentra nel gruppo A anche funzioni che potrebbero essere utilmente svolte
dal gruppo B. Rileva come per il personale austro-ungarico il passaggio nell’amministrazione italiana abbia costituito di fatto una pesante retrocessione. Così, ad
esempio, Leo Santifaller passa nel 1928 all’Università di Breslavia, nel 1943 all’Università di Vienna, ricoprendo poi dal 1945 al 1955 la carica di direttore generale dell’Archivio di Vienna e dal 1956 al 1964 quella di direttore della Sezione
storica dell’Istituto di cultura austriaca a Roma. A tale prestigiosa carriera fa riscontro un’interessante relazione di Antonino Lombardo sull’operato di Santifaller
fino al 1927, redatta in occasione di una ispezione a Bolzano nel 1959, piuttosto
critica per l’ordinamento dato da Santifaller alle carte, che non teneva conto della
storia delle magistrature.
Nei suoi articoli, Ferrigni sostiene la necessità di equiparare il trattamento
economico degli archivisti di Stato a quello dei professori universitari, anche per
evitare il passaggio dei più prestigiosi archivisti all’università, ma soprattutto per
l’alta qualificazione chiesta agli archivisti di Stato.
Sembrano, infine, parole di oggi quelle che Ferrigni dedica al rischio di soluzione di continuità tra i vecchi e i giovani senza trasmissione di competenze.
L’inchiesta tocca anche altri punti rilevanti, quali l’anomalia degli Archivi
provinciali del Mezzogiorno (che soltanto nel 1932 diventeranno Archivi di Stato)
e il fatto che presso gli Archivi notarili dipendenti dal Ministero di grazia e giustizia
si trovino anche le fonti notarili antiche che molto meglio starebbero negli Archivi
di Stato.
4. Le vicende dell’Ufficio centrale degli Archivi di Stato dal 1943 al 1945. –
Le vicende dell’Ufficio centrale degli Archivi di Stato (UCAS), sullo sfondo del
contesto politico e militare degli ultimi due anni della guerra, segnano in maniera
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Il repertorio del personale degli Archivi di Stato
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diversa anche la storia dei singoli archivisti.
Già per il Ventennio emerge la diversa posizione di quanti aderivano al regime
per forte convinzione personale – emblematico il caso di Giorgio Cencetti – e quanti
vi aderivano per deferenza all’autorità di governo o per convenienza.
quattro archivisti vengono allontanati dal servizio a seguito delle leggi razziali, tra cui Anna Maria Enriques, dal 1933 archivista di gruppo A a Firenze (risale
al 1927 l’ingresso delle donne nella carriera direttiva). Nel 1940 Anna Maria Enriques è tra i fondatori del movimento, poi partito, dei cristiano-sociali; svolge attività politica ed entra tra le fila dei partigiani dopo l’armistizio; viene fucilata dai
tedeschi nel 1944.
Altri sette archivisti, forse di più, aderiscono alla lotta partigiana. Altri, in ragione dell’età, partecipano alla guerra nelle Forze armate, così ad esempio Giulio
Prunai, che serviva lo Stato in Marina, viene fatto prigioniero dai tedeschi; Nicola
Nardone, dopo l’8 settembre 1943, partecipa alle operazioni militarti del Corpo
italiano di liberazione, mentre il fratello presta servizio nella RSI. Anche Ferruccio
Bravi partecipa alla guerra, inquadrato nel Corpo italiano di liberazione.
Dai registri matricolari non risulta, di massima, chi aderì alla RSI e combatté
nelle Forze armate repubblicane, mentre i casi di giuramento di fedeltà alla RSI risultano dalla documentazione relativa all’epurazione: il saggio ne pubblica l’elenco,
forse incompleto. Meno numerosi gli iscritti al Partito fascista repubblicano, non
essendovi particolari pressioni in tal senso da parte delle autorità civili, nonostante
gli archivisti dipendessero dal Ministero dell’interno; per bibliotecari e storici dell’arte, che dipendevano dal Ministero dell’istruzione, la pressione era decisamente
meno forte (ciò si rileva anche da una relazione di Emilio Re).
Dal saggio si evince che il Ministero dell’interno della RSI gestiva tutto il personale, compreso quello che si trovava al di là del fronte, o addirittura impegnato
contro la RSI. L’UCAS, al pari di tutta l’organizzazione amministrativa dello Stato,
viene trasferito al nord. La sua sede viene stabilita a Mompiano, in provincia di
Brescia. Leopoldo Sandri, che aveva partecipato alla guerra fino all’aprile del 1943,
riprende servizio nell’Amministrazione archivistica che, dopo l’armistizio, si trasferisce al nord. Il suo nome non figura nell’elenco, pubblicato nel saggio, di quanti
giurano fedeltà alla RSI, mentre nella parte dedicata alle misure di epurazione applicate ai singoli risulta aver giurato. Da sua dichiarazione si apprende che si è adoperato per la stampa del volume Gli Archivi di Stato italiani, pubblicato da
Zanichelli nel 1944, e di averne rifatta la prefazione. Inviato in missione a Firenze
nei primi di giugno del 1944, non fa ritorno a Mompiano e viene dichiarato «dimissionario» dal Ministero dell’interno della RSI, a partire dal 1° luglio 1944. Lo
ritroviamo a Roma, ove riprende servizio presso l’Archivio di Stato dal 1° settembre 1944. Nel 1945 viene inviato dalla Presidenza del consiglio al nord per la ricerca e il recupero degli archivi che, dopo l’armistizio, erano stati trasferiti al nord.
Successivamente, fino alla firma del Trattato di pace nel 1947, svolgerà un’attività
di collegamento tra gli uffici italiani e gli Alleati che detengono ancora documenti
dell’amministrazione centrale.
A sud, Luigi Caviglia, nato a Rivalta Bormida in provincia di Alessandria, costituisce a Salerno l’UCAS. La ricostituzione di un ufficio come l’UCAS non è un
fatto consueto per la sommaria organizzazione dell’amministrazione dello Stato
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Paola Carucci
nel Regno del sud e, dunque, questa attenzione riservata agli archivi meriterebbe
un ulteriore approfondimento. La direzione dell’ufficio passa quasi subito ad Antonino Lombardo che, fino all’armistizio, aveva combattuto nelle Forze armate.
Lombardo si adopera per la riorganizzazione dell’Amministrazione archivistica.
Come nota Lodolini, l’Amministrazione degli archivi – sia nella RSI che nel
Regno del sud – rimane affidata ad archivisti di Stato. Alla data del 23 febbraio
1945 sei funzionari di gruppo A prestano servizio presso l’UCAS: Emilio Re, Luigi
Enrico Pennacchini, Ruggero Moscati, Antonino Lombardo, Luigi Caviglia e Girolamo Giuliani.
Con d. lgt. 21 settembre 1944, n. 236, il Consiglio superiore degli archivi e la
Giunta vengono sostituiti da un Commissario straordinario per gli archivi, Emilio
Re, che rimane in carica per tre anni, fino alla ricostituzione del Consiglio superiore
degli archivi, nel luglio del 1947. Dal dicembre dello stesso anno diventa vice presidente del Consiglio superiore degli archivi Luigi Einaudi che, eletto presidente
della Repubblica nel maggio del 1948, non avrà l’opportunità di partecipare a nessuna riunione. Anche in precedenza, per un breve periodo dal novembre 1933 al
giugno 1935, il Consiglio superiore degli archivi era stato sostituito da un Commissario straordinario per gli archivi. Tale carica era stata conferita a Cesare Maria
De Vecchi di Val Cismon, che era stato uno dei quadrumviri e comandante generale
della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, MVSN: De Vecchi si prodiga
per far subentrare immediatamente nella direzione dell’Archivio di Stato di Roma,
dopo l’inaspettato collocamento a riposo di Eugenio Casanova nell’ottobre del
1933, Emilio Re che stava a Napoli, onde impedire ad Armando Lodolini e a Francesco Saverio Tuccimei di concorrere alla successione di Casanova. L’uscita di
scena di Casanova fa decadere la presidenza italiana nell’Organizzazione internazionale degli archivi e la decisione di tenere a Roma, nel 1936, il primo Congresso
internazionale degli archivi che si terrà, invece, soltanto nel 1950, a Parigi. Nel
1956 si terrà a Firenze l’unico Congresso internazionale svoltosi in Italia. Alla vicenda della successione di Casanova, nel periodo di reggenza di Armando Lodolini,
si collega un’accusa di presunta attività antifascista all’interno dell’Istituto per farne
ricadere la responsabilità sul reggente. Nelle more delle indagini, Lodolini viene
trasferito a Bologna, come reggente di quell’Istituto, il 25 gennaio del 1935. Poco
dopo, nel mese di febbraio, Lodolini viene sospeso dal grado, con sospensione
anche dello stipendio, a tempo indeterminato e il 21 ottobre dello stesso anno viene
decisa nei suoi confronti la revoca dall’impiego, insieme ad altri cinque dipendenti,
tutti poi riammessi, ad eccezione di Lodolini che potrà rientrare in servizio soltanto
nel 1948. Sono vicende delicate e certamente dolorose per Elio Lodolini che le
tratta in maniera pacata e oggettiva, solidamente attestata da fatti e documenti.
Anche le vicende dell’epurazione sono di grande interesse sia per l’ampio riferimento alla normativa adottata sia per la casistica puntuale. Tutto il personale
dell’Amministrazione archivistica è sottoposto ad epurazione e, grazie ad una cospicua documentazione, vengono ricostruite le posizioni individuali, fornendo un
analitico spaccato di un settore dell’amministrazione del Ministero dell’interno. qui
mi limito a segnalare solo la divertente querelle tra Guido Manganelli e Alessandro
Cutolo (che avrà poi un grande successo nella televisione dei primi anni): rivendicano ciascuno il proprio antifascismo, accusando l’altro di essere stato fascista.
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Il repertorio del personale degli Archivi di Stato
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5. Affermazioni scientifiche, in campo archivistico, durante il fascismo. – Gli
anni del fascismo, se per quanto attiene alle carriere e al riconoscimento economico
non possono considerarsi positivi, vedono, invece, notevoli progressi per l’evoluzione della disciplina e in ambito normativo.
Sotto il profilo dottrinario va segnalata la pubblicazione del manuale di Archivistica del Casanova, nel 1928, che costituisce un’importante opera di organizzazione razionale dei vari aspetti che concorrono a definire il lavoro dell’archivista.
hanno un ampio sviluppo gli studi sulle istituzioni in cui si distinguono, tra gli
altri, Antonio Panella e Giovanni Vittani. Sul finire degli anni Trenta gli scritti di
Giorgio Cencetti contribuiscono ad un approfondimento teorico della disciplina,
con le acute riflessioni sul concetto di universitas rerum e soprattutto con quelle
sul «vincolo archivistico», anche in ordine alla sostanziale differenza tra archivi e
biblioteche. Nel 1933 riprende la pubblicazione della rivista «Archivi d’Italia» poi
«Archivi», come seconda serie, rispetto alla rivista «Gli Archivi italiani», fondata
e diretta da Casanova, cessata nel 1921. Nel 1944, nella RSI, viene pubblicato il
volume sugli Archivi di Stato italiani, che fornisce un quadro generale del patrimonio archivistico.
L’archivistica, con Eugenio Casanova, diventa materia di insegnamento all’università presso la facoltà di Scienze politiche della «Sapienza», in Roma.
Sempre ad Eugenio Casanova si deve la rilevanza assunta dall’Italia nel contesto internazionale. Casanova viene eletto dai colleghi stranieri a presiedere la
prima organizzazione internazionale degli archivi, il «Comitato consultivo permanente di esperti archivistici» della Commissione internazionale della cooperazione
internazionale della Società delle Nazioni, nel 1931. Ottiene inoltre che si tenga a
Roma, nel 1935 o nel 1936, il primo Congresso internazionale degli archivi, cosa
che, come si è detto, non avvenne.
Degna di nota è la collaborazione di ben 22 archivisti di Stato all’Enciclopedia
italiana (Treccani), diretta da Giovanni Gentile.
Nel 1932 gli Archivi provinciali del Mezzogiorno entrano a far parte dell’Amministrazione archivistica, con una spiacevole conseguenza per i direttori che passano dal gruppo A, come archivisti provinciali, al gruppo B, come archivisti di
Stato.
Nel 1929 una sentenza del Tribunale di Napoli stabilisce l’indivisibilità dell’importantissimo archivio Aragona-Pignatelli-Cortés, ora conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli, nella controversia tra gli eredi delle famiglie, cui già nel
1926 era stato vietato, con decreto del Ministero dell’interno di «vendere, alienare
e dividere l’archivio senza il preventivo parere del Ministero dell’interno». Il Tribunale si avvale del parere dei funzionari archivisti, in qualità di periti. L’archivio,
nella sentenza, viene dichiarato «patrimonio ideale comune della Nazione», diventa
inalienabile e indivisibile e gli viene riconosciuto lo status di universitas rerum,
concetto che verrà poi ripreso e rielaborato da Giorgio Cencetti e da Antonio Panella, fondamentale per definire la natura giuridica dell’archivio.
Sotto il profilo normativo si realizzano due fatti rilevanti, l’approvazione della
prima legge archivistica, l. 22 dicembre 1939, n. 2006, che organizza la rete degli
Archivi di Stato sul territorio e l’attività delle Sovrintendenze, disciplinando la vigilanza sugli archivi privati, previa dichiarazione di notevole interesse storico, la
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Paola Carucci
consultabilità dei documenti e tutte le funzioni degli archivisti. L’approvazione del
nuovo Codice civile, nel 1942, non ripropone la norma che prevedeva l’obbligo di
consegna agli Archivi di Stato delle carte personali di politici e alti dirigenti, ma
reca la chiara definizione della natura demaniale degli archivi statali.
questi successi, dovuti all’intelligenza di alcuni e ad una diffusa formazione
culturale di alto livello, costituiscono le premesse per l’evoluzione dell’Amministrazione archivistica in una dimensione di grandi speranze per il futuro. Dai dibattiti dagli anni ’50 agli anni ’70 scaturiscono idee e proposte che trovano
realizzazione: la nuova associazione archivistica (ANAI); l’adesione al Consiglio
internazionale degli archivi; l’istituzione dell’Archivio centrale dello Stato, e soprattutto, l’inaugurazione della sede all’EUR nel 1960, che dota il nostro paese di
un Archivio nazionale finalmente autonomo; l’assegnazione del ruolo di dirigente
generale al sovrintendente all’Archivio centrale dello Stato che costituisce un riconoscimento dell’autorevolezza della professione di archivista in un sistema che,
inevitabilmente, pone a capo delle Direzioni generali i prefetti (come noto, sarà il
Ministero per i beni culturali a declassare l’Archivio centrale dello Stato, conferendo al sovrintendente il ruolo di semplice dirigenza); la presenza di un archivista
di Stato nel Comitato delle celebrazioni per i 100 anni dell’unificazione italiana,
cosa che non si verificherà nel 150° anniversario; l’istituzione della Direzione generale degli archivi, nel 1963, che fa dell’Amministrazione archivistica un settore
culturale del Ministero dell’interno di grande prestigio, riconoscendole una autonoma gestione del personale; l’azione per far entrare rappresentanti dell’amministrazione archivistica nel Consiglio nazionale delle ricerche come membri eletti
dagli archivisti; l’approvazione della nuova legge sugli archivi del 1963.
I dibattiti teorici toccano in quegli anni tematiche innovative: la proposta di
cambiare la denominazione del Consiglio superiore degli Archivi di Stato in Consiglio superiore degli archivi nasce dalla consapevolezza della crescente importanza
che si riconosce agli archivi non statali; si ricostruisce e si studia la legislazione
sull’Archivio centrale dall’Unità al 1950; si riflette sul vocabolario internazionale
di terminologia archivistica, sulle implicazioni connesse alla microfilmatura dei
documenti. Si discute ampiamente e in maniera approfondita sulla prospettiva di
sottrarre l’Amministrazione archivistica al Ministero dell’interno e di progettare
una amministrazione autonoma per i beni culturali, in cui si dia ampio spazio ai
tecnici e si riduca il ruolo della burocrazia.
Con l’istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali, nel 1975, la
storia degli archivi prende una piega diversa rispetto alle speranze che vi erano
state riposte: inizia una lunga lotta per non perdere le posizioni acquisite.
PAOLA CARUCCI
Archivio storico della
Presidenza della Repubblica
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UNA CORTE SENZA ARChIVIO
«Claustrum sine armario quasi castrum sine armamentario» era la scritta che
in età medievale figurava nel monastero di Santa Barbara d’Auge.
Ma se l’affermazione secondo cui un monastero (claustrum) privo di un archivio (armarium) è simile ad una fortezza priva di armi (castrum sine armamentario) è valida per ogni epoca, è singolare che proprio nella nostra ci sia un organo
costituzionale della Repubblica italiana, la Corte costituzionale, in queste condizioni.
La cosa, che potrebbe sembrare assurda, si apprende da un libro pubblicato
da Sabino Cassese non appena terminato il suo novennio di giudice costituzionale1.
Gli spunti offerti da quel volume hanno costituito il 24 giugno 2015 il tema di
un seminario dal titolo Pensare la Corte costituzionale, svolto nella Facoltà di Scienze
politiche della Sapienza Università di Roma. Il seminario è stato introdotto e coordinato da Fulco Lanchester; relatori sono stati Marco Benvenuti, Stefano Ceccanti, Sergio Fabbrini, Chiara Giorgi, Maria Rosaria Ferrarese, Guido Melis, Vincenzo
Zeno-Zencovich. Dal numeroso pubblico è venuto un solo intervento, in materia archivistica2. Al termine, Sabino Cassese ha ringraziato e risposto ai relatori.
Il volume oggetto di quel seminario è di sommo interesse in ogni sua pagina.
qui ci limitiamo a sottolineare un solo argomento, quello relativo all’archivio della
Corte costituzionale.
Scrive Cassese nell’Introduzione:
«Uno storico mi ha chiesto una volta di poter visitare l’archivio della Corte. Gli ho
dovuto rispondere, con rammarico, che esso è previsto dal regolamento, ma non è stato mai
1
S. CASSESE, Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, Bologna, Il Mulino, 2015.
Spiega l’autore nell’Introduzione: «Nel corso dei nove anni trascorsi alla Corte costituzionale (…), ho
tenuto quello che potrebbe dirsi un diario. Circa una volta al mese, ho annotato rapidamente quanto si
faceva alla Corte e quanto andavo riflettendo, anche sulla base delle letture e dei contatti con altre Corti,
valendomi degli appunti presi rapidamente durante l’attività svolta alla Corte o altrove. questo libro
contiene tale «diario» (più corretto sarebbe chiamarlo, con uno spagnolismo, «mensuario») che al termine ho solo riletto e rivisto per fare correzioni marginali», ibid., p. 15.
2
questo intervento è stato anche l’occasione per ricordare l’insegnamento di archivistica di Leopoldo Cassese, padre di Sabino; mentre sul tema di norme obliate o non osservate ho menzionato l’art.
39 della Costituzione italiana, sulla registrazione dei sindacati e la stipulazione di contratti collettivi
validi erga omnes, sinora assolutamente disatteso.
Rassegna degli Archivi di Stato, n. s., X (2014)
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218
Elio Lodolini
costituito. La ragione è semplice: si conservano le carte della vita amministrativa dell’istituto
(ad esempio, relative alla carriera dei funzionari), non documenti attinenti all’attività giurisdizionale. questa è stata dall’inizio concepita come qualcosa coperta da un segreto eterno.
Meglio: la Corte ha deciso di cancellare i documenti della sua storia, in ossequio a una sbagliata concezione del segreto. Nessuno dei più segreti atti o documenti di Stato è mai rimasto
coperto per sempre dal segreto. La Corte ha scelto la strada di annullare ogni traccia di
quanto va facendo. La Francia per il suo Conseil constitutionnel ha previsto che, dopo un
venticinquennio, i verbali delle sue riunioni siano integralmente pubblicati. Cosa che è stata
fatta per il primo periodo di vita dell’organo. E la Francia è il paese dal quale l’Italia ha
«importato» l’istituto del segreto della Camera di consiglio. Gli Stati Uniti conservano in
vari archivi le carte dei giudici, e alcune di queste hanno anche dato luogo a investigazioni:
si veda la vicenda della corrispondenza e dei diari di Felix Frankfurter narrata da J. Lepore,
The Great Paper Caper, in «The New yorker», 2014, 1 December»3.
E più avanti, sotto il titoletto È utile un archivio della Corte?:
«La Corte non ha un archivio. Si conservano gli atti ufficiali, non le note, le lettere interne, gli appunti dei singoli giudici ecc. I regolamenti prevedono l’istituzione di un archivio,
ma nessuno se ne è preoccupato. Negli Stati Uniti, i singoli giudici possono donare le proprie
carte ad istituzioni che le conservino. La hoover Institution (Stanford) conserva le carte di
Rehnquist, che sono state rese accessibili, in parte, proprio a fine 2008. Da esse si ricavano
dettagli di non grande importanza sulla vita interna e sul funzionamento della Corte, specialmente sui rapporti tra i giudici»4.
Ancora, sotto il titoletto Les grandes déliberations du Conseil constitutionnel:
«Il presidente del Conseil constitutionnel francese, Debré, mi invia il volume a cura
di B. Mathieu ed altri sulle deliberazioni del Conseil dal 1958 al 1983. La legge permette di
rendere pubblici i verbali delle sedute sino a quella data. Sintomatica la differenza con l’Italia
dove non c’è un verbale di seduta. Di grande interesse gli anni 1980-83, in cui era membro
della Corte francese Georges Vedel. I suoi interventi, riportati come gli altri in forma ampia,
spaziano su molti temi. Si vede che è uno dei padri fondatori»5.
In effetti, sembra ben strano che un organo costituzionale così rilevante come
la Corte non abbia istituito un proprio archivio storico; tanto più che esistono precise norme le quali stabiliscono che la Corte costituzionale, anziché versare le proprie carte all’Archivio centrale dello Stato, le conservi nel proprio «archivio
storico». Alludo, in particolare – fra altri testi legislativi e regolamentari -, al d. lg.
29 ott. 1999, n. 490, «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ott. 1997, n. 352», che
nell’art. 31, «Archivi storici di organi costituzionali», terzo comma, prevede che
la Corte costituzionale conservi «i suoi atti presso il proprio archivio storico, secondo le disposizioni stabilite con regolamento adottato a norma dell’art. 14 della
legge 11 mar. 1953, n. 87, come sostituito dall’art. 4 della legge 18 mar. 1958, n.
3
4
5
S. CASSESE, Dentro la Corte… cit., pp. 15-16.
Ibid., pp. 111-112.
Ibid., pp. 118-119.
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Una corte senza archivio
219
265».
Anche un altro testo di carattere generale sui beni culturali, il Codice degli
stessi (d. lg. 22 gen. 2004, pubblicato nella «Gazzetta ufficiale» con il n. 41, poi
corretto in 42, «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10
della legge 6 luglio 2001, n. 137») menziona l’archivio storico della Corte, cui
l’art. 42 dedica il terzo comma: «La Corte costituzionale conserva i suoi atti presso
il proprio archivio storico, secondo le disposizioni stabilite con regolamento adottato ai sensi della vigente normativa in materia di costituzione e funzionamento
della Corte medesima».
Da notare come i testi sopra citati usino il termine «atti» e non quello «documenti», e neppure l’endiadi «atti e documenti».
In ogni caso, comunque, i documenti prodotti dalla Corte avrebbero dovuto
essere conservati: difatti, se non fossero state adottate le norme suddette sulla istituzione di un archivio storico proprio, la Corte avrebbe dovuto versare i propri atti
all’Archivio centrale dello Stato, ed in tal caso la conservazione ne sarebbe stata
assicurata da quell’Istituto.
Anche norme interne di organizzazione della Corte prevedono l’esistenza di
un archivio storico. Un regolamento adottato con deliberazione del 26 settembre
2002, pubblicata nella Gazzetta ufficiale» del 19 ottobre 2002, n. 246, prevedeva
nell’art. 8 (sostitutivo dell’art. 29 di un regolamento precedente) che la «commissione per la biblioteca» sovrintendesse anche alla gestione dell’archivio storico e
ne predisponesse il regolamento6, nella errata convinzione, così tenacemente diffusa
fra i non archivisti (compreso il Consiglio universitario nazionale7), e così difficile
da sradicare da parte degli archivisti, di una presunta «affinità» fra due istituti così
diversi e lontani fra loro quali gli archivi e le biblioteche8.
6
«La Commissione per la biblioteca sovrintende alla biblioteca ed all’archivio storico e predispone gli schemi dei relativi regolamenti».
7
Basti dire che è stata introdotta nell’insegnamento universitario una materia che riunisce l’insegnamento dell’archivistica a quello della biblioteconomia, come se si trattasse di discipline così affini
da poter essere inserite in un unico insegnamento, anziché di materie assolutamente antitetiche fra loro
e che nulla hanno in comune.
8
È questo un tema ampiamente trattato da molti archivisti. Io stesso sono tornato più volte su
questo argomento, riportando anche un ricco panorama di scritti di autorevoli colleghi in materia, che
hanno avuto ampia eco e consensi in sede internazionale. Oltre ad averne trattato in opere di carattere
generale ed occasionalmente in scritti diversi, cito, in particolare: E. LODOLINI, La guerra di indipendenza
degli archivisti, in Miscellanea Carlos Wyffels («Archives et Bibliothèques de Belgique / Archief- en Bibliotheekwezen in België», LVII, 1986, 1-2, n. mon. pubblicato dalla rivista belga plurilingue in onore
di Carlos Wyffels, archivista generale del Regno del Belgio, in occasione del suo collocamento a riposo,
1° gennaio 1987), pp. 269-293, e riprodotto, leggermente ridotto, in traduzione inglese, nella rivista dell’Associazione degli archivisti canadesi: The War of Independence of Archivists, in «Archivaria», 28,
Summer 1989, pp. 36-47, più volte citato positivamente in varie sedi.
Sono ritornato sullo stesso tema con un nuovo articolo intitolato Archivi e biblioteche: due realtà
antitetiche, nel volume Sit liber gratus quem servulus est operatus. Studi in onore di Alessandro Pratesi
per il suo 90° compleanno, a cura di P. ChERUBINi e G. NICOLAJ, Città del Vaticano, Scuola di paleografia,
diplomatica e archivistica, 2012, t. II, pp. 1273-1285; articolo a sua volta tradotto in portoghese e ripubblicato in Brasile con il titolo Arquivos e bibliotecas, realidades antitéticas, nella «Revista do Arquivo
Público Mineiro» [dello Stato brasiliano di Minas Gerais], 51 (2015), 1, janeiro-junho, pp. 136-149.
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Elio Lodolini
La biblioteca della Corte costituzionale, comunque, non sembra brillare per
particolare efficienza. Ne scrive Cassese, sotto il titoletto Una biblioteca per la
Corte costituzionale:
La Corte ha una biblioteca di 120.000 volumi. Nessuno se ne interessa (c’è una commissione inattiva, personale inerte). Cerco di spiegare che cosa dovrebbe fare questo tipo di
biblioteca. Ma sono inascoltato. Premono i dipendenti. C’è timore di intervenire. Ignoranza
e scarso interesse»9.
E più avanti, sotto il titoletto La biblioteca della Corte:
«È uno dei patrimoni della Corte. 120.000 volumi, con donazioni importanti di giudici
(Astuti, Lampis, Ferri). Gli addetti lamentano sempre assenza di spazi, ma non è chiaro perché. In passato sono state rifiutate donazioni importanti, quelle di Costantino Mortati e di
Antonino de Stefano. Lo stanziamento per acquisto di libri e riviste è di 200.000 euro. La
biblioteca della Corte tedesca ha tre volte il numero dei volumi e tre volte lo stanziamento
della Corte italiana»10.
Sul rifiuto di quelle donazioni è intervenuto, nel citato seminario del 24 giugno
2015, Fulco Lanchester, informando che fortunatamente la biblioteca di Costantino
Mortati è stata acquisita dalla Facoltà di scienze politiche della Sapienza di Roma.
Tornando al tema dell’archivio storico, va osservato che, naturalmente, l’istituzione di un archivio storico comporta anche la creazione di un piccolo ruolo di
archivisti professionisti, cioè muniti di uno specifico titolo di studio in archivistica.
Come è (o dovrebbe essere) ben noto, quella archivistica è una delle poche professioni statali per l’esercizio delle quali non è sufficiente il possesso di una laurea,
ma occorre anche quello di una ulteriore specializzazione archivistica. Ma siccome
in italiano si indica con il nome di «archivio» anche il complesso delle carte correnti
di una istituzione e con la denominazione di «archivista» anche il personale che lo
gestisce, cui è richiesto soltanto un diploma di terza media, ciò crea una grande
confusione fra i non addetti ai lavori.
Il «segreto eterno». - La critica di Cassese ad un «segreto eterno» sui documenti di archivio – tema su cui torna più volte11 -, poi, è pienamente da condividere:
un segreto eterno non può esistere, se non si vuole azzerare la storia12. La legisla9
S. CASSESE, Dentro la Corte… cit., p. 118.
10
Ibid., p. 132.
Gli dedica anche alcune pagine di una delle Appendici, Lezione sulla cosiddetta «opinione dissenziente», pp. 275-285.
11
12
Su questo tema: E. LODOLINI, La consultabilità dei documenti: un valore assoluto (inesistenza
di una «secretazione perenne»), in «Archivi», VI (2011), 1, pp. 17-21, in polemica con una circolare
del Ministero dell’interno che affermava una secretazione perenne per gli atti di stato civile. Ivi, più
ampiamente, G. BONFIGLIO-DOSIO, Osservazioni sul tema della consultabilità (in particolare dei documenti anagrafici e di stato civile), pp. 23-37. Per sottolineare l’assurdità di una secretazione perenne
per gli atti di stato civile e documentazione analoga basta osservare che con una tale secretazione scomparirebbero discipline quali la genealogia ed in buona parte l’araldica.
Un interessante panorama internazionale, comprensivo di molti casi di notizie di distruzione vo-
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Una corte senza archivio
221
zione archivistica italiana prevede periodi nel corso dei quali i documenti dello
Stato e degli enti pubblici di carattere riservato o relativi a persone fisiche non sono
consultabili, e quei periodi sono anche piuttosto lunghi, di cinquanta o settanta
anni; ma, una volta trascorsi, anche il più segreto dei documenti diviene perfettamente consultabile.
Perfino il «segreto di Stato» è stato ridotto a soli trenta anni al massimo da
una legge di non molti anni or sono (legge 3 ago. 2007, n. 124, «Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto», pubblicata nella «Gazzetta ufficiale» del 13 agosto 2007, n. 187)13, mentre di recente è
stato ordinato il versamento all’Archivio centrale dello Stato della documentazione
relativa a stragi od altri eventi ancora coperti dal segreto, anche prima dei normali
termini di legge per i versamenti e per la messa di quei documenti in libera consultazione (direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 22 aprile 2014, «per la
declassifica e per il versamento straordinario di documenti all’Archivio centrale
dello Stato», pubblicata nella «Gazzetta ufficiale» del 2 maggio 2014, n. 10014). I
lontaria di documenti, è quello di Janice Gonçalves, A recusa do segredo: exercício de direitos e acesso
a documentos públicos, nella rivista brasiliana «Tempo e argumento» di Florianópolis, 9, 2013, 5, gennaio-giugno, pp. 266-287.
13
Art. 39, «Segreto di Stato», comma 7: «Decorsi quindici anni dall’apposizione del segreto di
Stato o, in mancanza di questa, dalla sua opposizione confermata ai sensi dell’articolo 202 del codice
di procedura penale, come sostituito dall’articolo 40 della presente legge, chiunque vi abbia interesse
può richiedere al Presidente del Consiglio dei ministri di avere accesso alle informazioni, ai documenti,
agli atti, alle attività, alle cose e ai luoghi coperti dal segreto di Stato». Comma 8: «Entro trenta giorni
dalla richiesta, il Presidente del Consiglio dei ministri consente l’accesso ovvero, con provvedimento
motivato, trasmesso senza ritardo al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, dispone
una o più proroghe del vincolo. La durata complessiva del vincolo del segreto di Stato non può essere
superiore a trenta anni». L’opposizione indicata nel comma 7 è quella del «segreto di Stato» che deve
essere opposto all’autorità giudiziaria da taluni soggetti – pubblici ufficiali, pubblici impiegati ed incaricati di pubblico servizio – chiamati a testimoniare. Tale opposizione decade se non è confermata entro
trenta giorni dal Presidente del Consiglio dei ministri.
questa legge dispone altresì, all’art. 10, «Ufficio centrale degli archivi», l’istituzione di un Ufficio
così denominato in seno al «Dipartimento delle informazioni per la sicurezza» (DIS) istituito dall’art.
4 della stessa legge presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Specifica il comma 1, lettera d),
dell’art. 10 che compiti dell’Ufficio degli archivi sono «la conservazione, in via esclusiva, presso appositi archivi storici, della documentazione relativa all’attività e ai bilanci dei servizi di informazione
per la sicurezza, nonché della documentazione concernente le condotte di cui all’art. 17 e le relative
procedure di autorizzazione» (l’art. 17 si riferisce alla non punibilità del personale dei servizi di informazione che -, ovviamente, è da supporre, per svolgere il proprio compito -, «ponga in essere condotte
previste dalla legge come reato»). Si tratta quindi della creazione di nuovi archivi storici di istituti che
non verseranno i propri documenti all’Archivio centrale dello Stato, come già avviene per gli organi
costituzionali, il Ministero degli affari esteri e gli Stati maggiori militari.
14
La direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri ordinava il «versamento della documentazione agli archivi di Stato, anticipando significativamente i tempi di versamento, di norma previsti in
almeno 40 anni dalla cessazione della trattazione corrente, che può avvenire anche a distanza di molto
tempo dall’evento cui gli atti si riferiscono. Per il raggiungimento delle finalità indicate, sulla base
anche della positiva esperienza compiuta in relazione al carteggio sul sequestro e sull’uccisione dell’Onorevole Moro, che ha consentito negli scorsi anni di rendere disponibili gli atti per la consultazione
con largo anticipo rispetto ai tempi prescritti, preso atto che non esiste in materia segreto di Stato, dispongo perciò in via preliminare che si dia luogo alla declassifica della documentazione relativa a gravissime vicende avvenute da un trentennio e, specificamente, degli atti concernenti gli eventi di Piazza
Fontana a Milano (1969), di Gioia Tauro (1970), di Peteano (1972), della questura di Milano (1973),
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Elio Lodolini
risultati ne sono stati verificati un anno più tardi, il 22 aprile 2015, in una conferenza tenuta all’Archivio centrale dello Stato15.
Secondo la legislazione positiva italiana, il caso in cui i documenti divengono
consultabili dopo un periodo più lungo è quello degli atti relativi alla madre che
partorisce, anche in una struttura pubblica, chiedendo di non essere nominata. In
questo caso il limite di non consultabilità, per l’art. 93, comma 2, del Codice in
materia di protezione dei dati personali (d. lg. 30 giu. 2003, n. 196), è di cento anni:
«Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati
personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà di cui all’articolo 30, comma 1, del d.p.r.
3 nov. 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento».
Si tratta di una norma – analoga ad una esistente già dagli anni Venti dello scorso
secolo (r. d. l. 8 mag. 1927, n. 798) e ad altre successive - di grande civiltà, in
quanto la certezza dell’anonimato ha convinto molte donne in situazioni difficili a
rinunciare all’aborto.
Proprio un caso di questa natura, giunto all’esame della Corte, è descritto da
Cassese:
«Una madre ha dichiarato alla nascita della figlia di non voler essere nominata. Il segreto rimarrà, secondo la legge, per cento anni. Ed è irreversibile. La figlia vuole accedere
alle informazioni sanitarie relative alla madre biologica per valutazioni che attengono alla
sua salute. Si bilanciano diversi interessi. La salute della figlia, alla quale possono interessare
dati relativi alla storia sanitaria familiare. L’interesse di agevolare l’adozione rompendo definitivamente il vincolo con la madre biologica. Il rispetto della volontà della madre, di rompere ogni legame con la figlia. Il rispetto della nuova unione creata dall’adozione.
Discussione molto ricca, con decisione di riconoscere la non irreversibilità»16.
di Piazza della Loggia a Brescia (1974), dell’Italicus (1974), di Ustica (1980), della stazione di Bologna
(1980), del Rapido 904 (1984)».
Inoltre la stessa direttiva ordinava, «al fine di assicurare la conservazione unitaria dei carteggi e la
consultazione da parte degli interessati in un’unica sede, che i documenti delle Amministrazioni centrali
relativi agli eventi indicati siano versati, anche anticipatamente, all’Archivio centrale dello Stato, secondo
le disposizioni che regolano la tenuta dei beni archivistici. Le operazioni suddette dovranno avvenire seguendo un criterio cronologico, a partire cioè dalla documentazione relativa agli eventi più risalenti».
Su questa disposizione c’è da fare una critica sotto l’aspetto della metodologia archivistica: anziché ordinare il versamento anticipato di gruppi di documenti relativi a determinati temi stralciati dall’insieme della documentazione di cui facevano parte, sarebbe stato più corretto ordinare il versamento
di tutta la documentazione sino alla data dei documenti di cui si voleva il versamento.
15
La conferenza è stata coordinata da Benedetta Tobagi ed Eugenio Lo Sardo e vi hanno partecipato i rappresentanti delle istituzioni già in possesso della documentazione cui la direttiva si riferiva,
oltre ad un numeroso pubblico. Si è affermato che il versamento all’Archivio centrale dello Stato è avvenuto per gruppi organici di scritture, in modo da non effettuare smembramenti; tuttavia l’affermazione
del rappresentante di una delle istituzioni che avevano effettuato i versamenti stessi, secondo cui sarebbero stati versati anche i documenti in qualche modo connessi con quelli indicati dalla direttiva (ha
fatto l’esempio dell’ordine, da lui ricevuto, di partecipare alla conferenza di quel giorno, tratto dal suo
fascicolo personale), ha reso evidente – come è stato rilevato nella stessa occasione - che tali smembramenti talora avvengono.
16
S. CASSESE, Dentro la Corte… cit., p. 229.
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Una corte senza archivio
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In questo caso era forse possibile evitare di rivolgersi alla Corte costituzionale,
chiedendo semplicemente copia delle informazioni sanitarie relative alla madre
biologica, senza chiedere l’indicazione del nome della stessa, del tutto irrilevante
per valutazioni attinenti alla salute.
Comunque, i limiti temporali di non consultabilità dei documenti possono essere anche molto lunghi, ma in ogni caso si tratta, appunto, di limitazioni temporali,
destinate ad essere automaticamente superate da un evento così naturale come il
decorso del tempo, senza che occorra alcun nuovo atto formale per abolirle.
Lasciamo ad altri gli ulteriori commenti al testo di Cassese, tutto di interesse
tale che meriterebbe di essere commentato pagina per pagina (di particolare significato ci sembrano, ad esempio, i frequenti confronti con le omologhe Corti straniere, effettuati da Cassese per conoscenza diretta) e i ripetuti accenni alla
«opinione dissenziente», in relazione al segreto. Segreto, si potrebbe aggiungere,
che è tale di fronte alla storia, mentre, per assurdo, non sempre è tale nei confronti
della cronaca spicciola. Per esempio, mentre i dibattiti interni non vengono verbalizzati e quindi i documenti non solo sono eternamente segreti, ma in questo caso
addirittura non vengono neppure prodotti, abbiamo letto in tutti i giornali quali
siano state le votazioni con cui è stata adottata la famosa sentenza del maggio 2015
sul blocco delle pensioni di milioni di italiani (il libro di Cassese era stato già pubblicato, quindi ovviamente non ne parla): su dodici giudici, sei hanno votato in un
modo e sei in quello opposto. ha prevalso la parte cui ha aderito il presidente, perché per statuto il suo voto vale doppio. Tutto questo, teoricamente coperto da un
segreto eterno, è stato immediatamente rivelato dalla stampa quotidiana.
Infine, un pepato commento, dal titoletto La Corte pratica bene, ma razzola
male:
«Frequentemente la Corte annulla leggi regionali (o statali) che dispongono «ruolizzazioni» o stabilizzazioni di dipendenti pubblici assunti senza concorso, operate in modi diversi, senza concorso, o con concorsi riservati, ovvero con concorsi con posti riservati.
Tuttavia la Corte, fin dall’inizio della sua attività, ha raramente assunto dipendenti per concorso, procedendo proprio nel modo da essa censurato. Il personale assunto in pianta stabile
con questi metodi illegittimi, perché contrari all’art. 97 della Costituzione, viene valutato in
60 unità. Mi pare una stima benevola. Si prepara una nuova «infornata». Esprimo la mia
opinione contraria. Mi pare un uso semifeudale di uffici pubblici. Ogni giudice ha potere di
nomina di una persona estranea all’amministrazione. La nomina è fatta con incarichi annuali
rinnovabili. A un certo punto, si dà per acquisito il diritto di questi dipendenti di passare nei
ruoli, in pianta stabile. Naturalmente, fra i beneficiari, vi sono non pochi figli di dipendenti.
Faccio proposte regolamentari per far cessare questo andazzo, prevedendo che possano essere nominate a termine, annualmente, solo persone già dipendenti da pubbliche amministrazioni. Ci riuscirò?»17.
E più avanti, sotto il titoletto Regole dure per gli altri, morbide per se stessi:
«Non passa giorno che la Corte non dichiari illegittime costituzionalmente leggi statali
17
Ibid., p. 175.
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Elio Lodolini
e regionali che consentono assunzioni e promozioni senza concorso e stabilizzazioni di precari
(entrata in ruolo). La Corte, più duramente che in passato, ricorda che bisogna fare concorsi,
aperti a tutti, fondati sul criterio del merito. Ma la Corte non segue gli stessi criteri per se
stessa. Bandisce un corso-concorso, solo per il personale già alla Corte, anche da un solo
anno. E prevede che le graduatorie rimangano aperte per quattro anni, così che i nove posti
messi a disposizione del corso-concorso possano raddoppiarsi. Non sono il solo ad oppormi,
facendolo constare a verbale (si tratta di decisioni amministrative e l’opinione dissenziente è
ammessa), ricordando l’illegittimità della decisione e la sua inopportunità. Ma due terzi dei
membri, o perché premuti dai propri collaboratori, o per quieto vivere, si dichiarano favorevoli
alla decisione. Il personale interno per un verso si oppone, per altro chiede interventi “compensativi” (altre procedure interne di promozione. Todos caballeros!)»18.
Ci si potrebbe chiedere: Princeps legibus solutus? Più semplicemente, dobbiamo renderci conto che si tratta di un costume molto diffuso, e non da oggi, come
rilevava già molti secoli fa nostro padre Dante: «Le leggi son, ma chi pon mano ad
esse?»19. Ma allora non c’era una Corte costituzionale per accertarne la costituzionalità.
ELIO LODOLINI
18
Ibid., pp. 198-199. Ma se la Corte dichiara sempre illegittime costituzionalmente le leggi che
consentono assunzioni e promozioni senza concorso e stabilizzazioni di precari, è da ritenere incostituzionale anche l’immissione in ruolo di centomila insegnanti precari dal 1° settembre 2015?
19
DANTE ALIGhIERI, Divina commedia, Purgatorio, canto 16, verso 97.
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L’ARChIVIO E LA BIBLIOTECA DELLE DISCIOLTE
ORGANIZZAZIONI SINDACALI FASCISTE
DI INDUSTRIA, COMMERCIO, AGRICOLTURA
La biblioteca.- Il 24 ottobre 1946 Armando Lodolini invia alla Segreteria della
CGIL ed all’Ufficio liquidazione delle disciolte Confederazioni sindacali fasciste
una «Relazione sulla Biblioteca confederale. Consistenza e valore del materiale bibliografico».
Nella relazione si legge:
«In occasione dell’inventario contabile e di consistenza chiesto da cotesta on. Segreteria,
e che si allega alla presente, si crede opportuno premettervi una breve relazione la quale dimostrerà - oso presumere - che la Biblioteca non è rimasta estranea al fervore di vita organizzativa e rinnovatrice che ha pervaso «Liquidazione» e «Confederazione» (...). La
Biblioteca confederale è stata formata con gli avanzi di tre biblioteche delle cessate confederazioni; quella dei lavoratori dell’industria, del commercio, dell’agricoltura. Il grosso, però,
proviene dall’industria ed è stato in considerevole parte salvato perché materialmente raccolto
e custodito dal sottoscritto durante la lunga crisi dell’interregno. La biblioteca dei lavoratori
dell’industria, infatti, si trovava in via dei Mille, cioè lontano dalla sede attuale, come le biblioteche dell’agricoltura e del commercio. quest’ultime per essere alloggiate in palazzi requisiti durante le vicende belliche, è facile immaginare quali dispersioni abbiano subito. A
ciò si aggiungano le asportazioni al nord col trasferimento degli uffici. Se quella dei lavoratori
dell’industria è risultata meno saccheggiata, si deve proprio alla presenza dello scrivente, poiché il cosiddetto Ufficio stralcio lasciò in completo abbandono locali e libri. quando poi arrivarono gli autocarri dal nord per caricare libri (con ordini perentori) il carico fu da me fatto
con gli innumerevoli pacchi di pubblicazioni propagandistiche che ammontavano a decine
di quintali che nessuno aveva mai aperto e che avranno impinguato le cartiere del nord. qualche superstite pacco può dare un’idea del genere di coteste pubblicazioni (conservate non
solo a scopo documentario, ma anche perché non c’è carta stampata che non presenti una
qualche utilità). L’accentramento del materiale bibliografico nei locali della biblioteca fu continuato in occasione della sistemazione di uffici e di federazioni in via Boncompagni, rastrellando di piano in piano, dove era accumulato per varie ragioni. Bisognò prima sceverarlo,
eliminare l’inutile, e poi trasportare il salvabile in biblioteca. Anche questa azione lunga e
faticosa fu tutta compiuta dal sottoscritto e sovente per la stessa parte facchinaggio.
Un notevole acquisto fu il recupero dal nord - presso quella delegazione - di un migliaio
circa di volumi ed opuscoli, ad iniziativa dell’on. Bibolotti. Di questi feci un inventario che
fu allegato al verbale di acquisto ed è negli atti dell’Ufficio patrimoniale. Così, finalmente,
il materiale poté dirsi concentrato nella sua sede definitiva (...)»1.
1
ARChIVIO STORICO DELLA CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO NAZIONALE (d’ora
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226
Ilaria Romeo
La Biblioteca, che nei primi anni dopo la Liberazione funzionava in nove locali
del piano rialzato di via Boncompagni, allora sede della CGIL, successivamente
venne trasferita nello scantinato e continuò in qualche modo a funzionare anche dopo
l’allontanamento di Lodolini perché vi era rimasto addetto «un vecchio compagno
(Mosciatti)» che aveva collaborato alla sua materiale formazione (1952-1953 ca.).
«Il locale della Biblioteca fu scelto felicemente in nove vani al piano rialzato; ma solo il
locale. Mancava letteralmente ogni attrezzatura (...) Intanto il materiale bibliografico era accatastato ovunque, in un disordine indescrivibile e pericoloso, anche perché un ambiente della
Biblioteca era stato destinato all’Ufficio stampa, cioè a un luogo frequentatissimo anche da
estranei: sicché la vigilanza doveva essere continua e preoccupante. Tutto questo era necessario
premettere perché potrebbe essere facile la critica alla rapidità e alla completezza dell’ordinamento attuale in relazione al tempo impiegatovi. Ma conoscendo la situazione precedente del resto ben nota - e come si è formata la Biblioteca, il giudizio dovrà necessariamente essere
quale forse meritano l’abnegazione e la fatica impiegate per raggiungere il risultato odierno.
Il sottoscritto non ha mancato, del resto, di notificare con «stati di avanzamento» periodici le
successive situazioni, consapevole che in questo genere di lavori non resta alcuna traccia del
loro svolgimento, come da una bonifica non risultano i precedenti acquitrini o sterpai. Per fortuna i commissari liquidatori (Rubinacci, Capogrossi, Giannitelli) si rendevano spesso conto
dello stato della Biblioteca e, sopratutti, l’on. Bibolotti che non mancava di confortare assiduamente il bibliotecario del suo consiglio, del suo sprono e, talvolta, di un elogio (...)2.
(...) ho detto più sopra che il materiale accatastato nei vari locali confederali incontrava
poca simpatia per la sua appartenenza fascista. Esso è infatti principalmente prodotto dal
fatale Ventennio e non può non portarne l’impronta, spesso necessaria perché potesse circolare. Ma accanto ad esso vi è un più vasto materiale scientifico o di studio in genere, la cui
messa in luce costituisce la più gradita delle sorprese (...). La bibliografia fascista propriamente detta può dividersi nel seguente modo: a) apologia esaltatrice a rime più o meno obbligate; b) pubblicazioni ufficiali; c) pubblicazioni di pregio o d’interesse storico. La prima
parte può conservarsi, dopo liberata dai quintali di doppioni di cui si è detto sopra, per documentare, ricordare ed anche ammonire con la terribile esperienza del passato. La seconda
va senz’altro conservata perché non può farsi un vuoto nella vicenda di organismi e di istituti.
La terza categoria è stata pure salvata e immessa nella Biblioteca. Si tratta in tutto di 950
volumi, che sono stati collocati in armadi chiusi, da considerare riservati. Tra essi vi sono
libri di autentico valore commerciale: come gli scritti e i discorsi di Mussolini che - universalmente distrutti - si vendono a prezzi di borsa nera. Gli «atti» del Partito fascista, pressoché
introvabili, gli ultimi libri di Alberto De Stefani3; gli undici grossi volumi delle «Opere del
regime» utili per seguire lo sviluppo tecnico dei lavori pubblici; di notevole valore commerciale sono pure le «Storie» della rivoluzione di Farinacci, Ercole4, Chiurco; e quelli sulle
guerre «fasciste» (...). La collezione dei giornali è, commercialmente, uno dei tesori della
Biblioteca. Vi si trova, rilegata, l’intera serie (dal 1903) del «Lavoro» di Genova che valuto
£ 100.000; il «Lavoro d’Italia» del Rossoni - pressoché introvabile - i cui 28 volumi calcolo
in poi AS CGIL NAZIONALE), Archivio dell’archivio, b. 1, fasc. 1. Aladino Bibolotti (1891-1951), partigiano, sindacalista, esponente del Partito comunista, nel 1945 assunse le funzioni di commissario liquidatore dell’ex Confederazione fascista dei lavoratori del commercio.
2
Ibidem.
4
F. ERCOLE, La rivoluzione fascista, Palermo, Ciuni, 1936.
A. DE STEFANI, Discorsi, Milano, Imperia, 1923; ID., Eventi economici, Bologna, Zanichelli,
1934; ID., Colpi di vaglio: commenti sulla finanza del 1927, Milano, Treves, 1928.
3
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L’archivio e la biblioteca delle disciolte organizzazioni sindacali fasciste
227
in £ 70.000. Anche al «Lavoro fascista»5 in 98 volumi rilegati credo di attribuire un valore
di almeno £ 50.000»6.
Del «fondo di via Boncompagni» si torna a parlare nel 19757. Leggiamo nella
«Nota informativa sulla biblioteca del Centro studi di Ariccia e sulle misure immediate da prendere in vista della ristrutturazione che si renderà necessaria nella
prospettiva di una utilizzazione del Centro studi per determinate attività di studio
e di ricerca» del 31 gennaio 1975:
«Il recupero del fondo di biblioteca di via Boncompagni ripropone con urgenza la necessità di un esame complessivo della situazione della biblioteca e delle sue strutture anche
in relazione alla prospettiva di una utilizzazione del Centro per determinate attività di studio
e di ricerca (...). Per rendere possibile una valutazione del materiale bibliografico recuperato
dalla biblioteca di Ariccia ed anche allo scopo di giustificare i tempi di lavoro che sono stati
necessari per rendere lavorabile ciò che era ormai al macero, è necessario premettere una
breve informazione sulla «Biblioteca della CGIL degli anni Cinquanta (1945-1955)». Tale
Biblioteca, che ha funzionato fino al 1952-1953 come comprovano le ricevute per prestiti,
fu costituita dagli avanzi del patrimonio di tre «cessate» confederazioni: industria, commercio, agricoltura. Di tali avanzi fu impedito il trasferimento al nord ad opera del bibliotecario A. Lodolini (custode del patrimonio durante l’interregno dall’8 settembre 1943 al
26 giugno 1944), il quale, inoltre, riuscì a convogliare in via Boncompagni altro materiale
diretto al nord. Un migliaio circa di volumi venne recuperato al nord dal compagno Bibolotti
e rinviato alla Biblioteca confederale. Ciò spiega l’esistenza di collezioni anche quadruple
di numerose pubblicazioni periodiche. La Biblioteca, che nei primi anni dopo la liberazione
funzionava in nove locali del piano rialzato di via Boncompagni, allora sede della CGIL,
successivamente venne trasferita nello scantinato e continuò in qualche modo a funzionare
anche dopo la morte del Lodolini perché vi era rimasto addetto un vecchio compagno (Mosciatti) che aveva collaborato alla sua materiale formazione. Per quello che abbiamo appurato e nella misura che abbiamo appurato riassumiamo come segue valutazioni e giudizi
cui facciamo seguire i dati quantitativi relativi al materiale recuperato. Il materiale è principalmente prodotto nel Ventennio (apologia esaltatrice e pubblicazioni ufficiali), ma accanto ad esso vi è un vasto materiale scientifico e di studio in genere, tra cui pubblicazioni
di pregio e d’interesse storico: per esempio la famosa «Rivista Popolare» di N. Colajanni 8,
5
6
Posseduto 1929-1943. Già «Il Lavoro d’Italia», posseduto 1922-1928.
AS CGIL NAZIONALE, Archivio dell’archivio, b. 1, fasc. 1.
Parte della documentazione custodita in via Boncompagni era già stata trasportata altrove. Il
congresso costitutivo della Federbraccianti (Federazione nazionale dei braccianti e salariati agricoli e
maestranze qualificate e specializzate in agricoltura) si tenne a Ferrara dal 25 al 29 gennaio 1948. Come
è noto, la denominazione contratta del sindacato bracciantile ha racchiuso nel tempo, con l’evoluzione
della sua politica sindacale, anche altre figure di lavoratori delle campagne (mezzadri, impiegati agricoli,
coloni ed altri). Nel 1964 Giuseppe Caleffi, allora alla guida della Federazione, dispose il recupero del
nucleo originario della documentazione custodita nelle cantine di via Boncompagni dopo il trasferimento
della sede nazionale da Bologna a Roma. La Federazione lavoratori dell’agroindustria (Flai-Cgil) conserva oggi le carte prodotte o acquisite dalla Federbraccianti dal 1948 al 1987, con documenti dal 1929
e della Confederterra dal 1946 al 1959, con documenti dal 1929.
7
8
«Rivista popolare di politica, lettere e scienze sociali», I (1896), Roma,Tipografia tiberina:
deriva dalla fusione della «Rivista di politica e scienze sociali» (1895) con la «Rivista popolare: politica
economica, scientifica, letteraria, artistica» (1893-1896), posseduto 1897-1924. Per maggiori informazioni sui periodici posseduti dalla Biblioteca <acnp.cib.unibo.it>.
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Ilaria Romeo
che è una rarità bibliografica, la rivista «I problemi del lavoro» diretta da Rigola9, il «Bollettino dell’Ufficio del Lavoro»10 dal 1909 al 1930, la rivista «Organizzazione scientifica
del lavoro»11 dal 1926 al 1943. Nel 1946 si calcolava che fossero circa un migliaio i volumi
di autentico valore storico e commerciale: scritti e discorsi di Mussolini12, atti del Partito
fascista pressoché introvabili, perché dati alle fiamme, libri di A. De Stefani, alcuni grossi
volumi sulle opere del regime, le storie della rivoluzione fascista di Farinacci, Chiurco e
quelli sulle «guerre fasciste». Particolarmente nutrita la parte giuridico-amministrativa e
quella di diritto corporativo e del lavoro, che sono ricche di importanti trattati. Notevoli le
opere riguardanti i contratti di lavoro, dei quali ultimi abbiamo la raccolta dal 1923 al 1942.
La bibliografia sul sindacato è presente sia attraverso le pubblicazioni ufficiali (corporazioni,
ecc.) sia con opere d’autore del periodo prefascista. Tra le opere di valore storico (e commerciale) di rilievo, alcuni esempi: Alfred Sudre, Histoire du communisme, ou réfutation
historique des utopies socialistes, Bibliothèque-Charpentier, Librairie Turati à Milan,
184913; L. Rava, La Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e vecchiaia degli operai,
ed. 190214; Le Società di mutuo soccorso in Italia, edito nel 1906, a cura del Ministero di
Industria, Agricoltura e Commercio15; E. Faguet de l’Académie Française, Le socialisme
en 190716; Panfilo Gentile, Sulla dottrina del contratto sociale, 191317; A. Majorana, Del
parlamentarismo, 188518; P. Gentile, L’attribuzione del prodotto industriale ai suoi fattori,
1913; Alfredo Gradilone, Bibliografia sindacale corporativa, volume di oltre mille pagine,
ed. Giuffré19; quirino querini, La beneficenza romana dagli antichi tempi fino ad oggi,
189220; Francesco Armellani, Umanesimo e socialismo, 189821 (parte prima, umanesimo);
9
«I problemi del lavoro. Periodico mensile di politica sindacale e cooperativa», I (1919), Firenze,
direttore Rinaldo Rigola, posseduto 1921-1922; vedi anche «I problemi del lavoro. Rivista di studi e di
volgarizzazione», I (1927), Milano, direttore Rinaldo Rigola, posseduto 1927-1940.
10
«Bollettino dell’Ufficio del lavoro. Ministero di agricoltura, industria e commercio», I (1905),
posseduto 1905-1917. Per le annate dopo il 1917 vedere «Bollettino del lavoro e della previdenza sociale. Ministero del lavoro e della previdenza sociale», I (1920), posseduto 1920-1930. Per le annate
dopo il 1930 vedere «Sindacato e corporazioni. Bollettino del lavoro e della previdenza sociale», I
(1933), direttore Renato Ricci, posseduto 1933-1943.
11
«L’organizzazione scientifica del lavoro. Rivista dell’Ente nazionale italiano per l’organizzazione scientifica del lavoro», I (1926), Roma, direttori F. Mauro e G. Olivetti, posseduto 1926-1943.
12
Per maggiori informazioni sui volumi posseduti dalla Biblioteca <opac.almavivaitalia.it/IEI/>.
Sui circa 4.000 volumi del fondo Disciolte organizzazioni sindacali fasciste ad oggi ne risultano
schedati (e riscontrabili in SBN) poco meno di un migliaio.
13
14
L. RAVA, La Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai in relazione
alle legislazioni estere, Bologna, Nicola Zanichelli, 19022, con l’esame della Legge del 7 luglio 1901, il Testo
Unico delle leggi del 1898 e 1901, lo Statuto e il Regolamento tecnico della Cassa del 1902 e le tariffe.
15
MINISTERO
DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA
e
COMMERCIO, ISPETTORATO GENERALE DEL CREDITO
e
DELLA PREVIDENZA, Le società di mutuo soccorso in Italia al 31 dicembre 1904: studio statistico, Roma,
Tipografia nazionale di G. Bertero, 1906.
1913.
16
17
E. FAGUET, Le socialisme en 1907, Paris, Société Française d’Imprimerie et de Librairie, 1907.
P. GENTILE, Sulla dottrina del contratto sociale: appunti storico-critici, Bologna, N. Zanichelli,
18
A. MAIORANA, Del parlamentarismo, Roma, Ermanno Loescher & C., 1885.
20
q. qUERINI, La beneficenza romana dagli antichi tempi fino ad oggi, Roma, F. Setth, 1892.
A. GRADILONE, Bibliografia sindacale corporativa (1923-1940), Roma, Istituto nazionale di
cultura fascista, 1942.
19
21
F. ARMELANI, Umanesimo e socialismo, Pitigliano, Della Lente di Osvaldo Paggi, 1898.
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L’archivio e la biblioteca delle disciolte organizzazioni sindacali fasciste
229
Trattato di medicina sociale, opera in due volumi, parte prima Fisiologia del lavoro del
prof. Z. Treves, parte seconda, Igiene industriale, del prof. G. Loriga, ed 191022; Arturo Labriola, Le crépuscule de la civilisation, senza data23; Enrico Levi, Dell’assicurazione sulla
vita e contro gli infortuni, Firenze, 188624; G. Licciardelli-Galatioto, Lo Stato nei rapporti
tra capitale e lavoro, 191325. Si tratta di alcuni esempi e si calcola che, di analogo valore,
esistano due o trecento volumi. Delle Enciclopedie (si allega a parte una nota26 di Biblioteca
del 1946 per sottolineare quanto è andato «perduto»!), è rimasto soltanto il «Dizionario di
politica» edito dal Partito fascista, in 4 volumi. quasi completi i due esemplari del «Nuovo
Digesto Italiano». Per il resto l’unica traccia rimasta è costituita dai volumi VI e xII dell’Enciclopedia Italiana (Treccani), ed. 1931, che erano pervenuti in Biblioteca ancor prima
del recupero di tutto il «fondo». Le collezioni di periodici e giornali rappresentano uno dei
«tesori» di quella che sarà la nuova Biblioteca: c’è IL LAVORO di Genova la cui prima annata è del 1903 con un intervallo fino al 1909 (periodo in cui vi fu anche una sospensione
del quotidiano) e con le annate fino al 1925 e, quindi, IL LAVORO dopo la confisca fascista,
dal 1926 al 194327. (...) Tra le collezioni complete si evidenziano alcune testate delle edizioni
del B.I.T.: La Revue international du travail che abbiamo ora dal 1921 (anno primo) al 1942
e quindi dal 1947 al 197228; il Bulletin Officiel che abbiamo ora dal 1902 (anno primo) al
1939 e quindi, dal 1946 al 197229; Civiltà cattolica che abbiamo ora dal 1937 al 197230;
Lex, la cui collezione comprende le annate dal 1915 al 1939 e quelle dal 1943 al 197231; la
Gazzetta Ufficiale in due esemplari di cui uno con il supplemento annunci legali, annate
dal 1927 al 194332; il Notiziario della Confindustria con le annate dal 1934 al 1940 e dal
1945 al 197233; la Ricerca scientifica annate dal 1936 al 1942 e dal 1950 al 197234; Securitas,
annate dal 1928 al 1941 e dal 1965 al 197235; la Rivista di politica economica, annate dal
22
Trattato di medicina sociale, diretto da A. CELLI e A. TAMBURINI, Milano, Vallardi, s.d., voll. 2:
1, Sanità fisica diretta da A. CELLI; 2, Sanità psichica, diretta da A. TAMBURINI. Dell’intera opera la Biblioteca CGIL conserva: F. BOTTAZZI - G. JAPPELLI, Fisiologia dell’alimentazione: con speciale riguardo
all’alimentazione delle classi povere (1, Sanità fisica), Milano, Vallardi, [19…].
23
A. LABRIOLA, Le crépuscule de la civilisation: l’occident et les peuples de couleur, Paris, G.
Mignolet & Storz, s.d.
24
E. LEVI, Della assicurazione sulla vita e contro gl’infortuni: note di legislazione e giurisprudenza comparata, Firenze, G. Pellas, 1886 (Biblioteca delle scienze legali, 60).
25
G. LICCIARDELLI-GALATIOTO, Lo Stato nei rapporti tra capitale e lavoro, Catania, Giannotta, 1913.
«Enciclopedie: la più importante è l’Enciclopedia Italiana (Treccani), posseduta in doppio esemplare, del quale uno, purtroppo, lacunoso di un volume. Anche duplice è il «Dizionario di politica» in
4 volumi, edito dal Partito fascista e con molte voci di grande importanza e di scientifica obbiettività.
Duplice è pure il «Nuovo Digesto Italiano». In tutto, questa sezione vale £ 165.000, con un calcolo prudenziale», AS CGIL NAZIONALE, Archivio dell’archivio, b. 1, fasc. 1.
26
27
«Il Lavoro», giornale quotidiano, Genova, direttore Francesco Chinotti, I (1903), posseduto
1903-1943.
28
«Revue internationale du travail», Ginevra, I (1921), posseduto 1921-1976, con lacune.
30
«La civiltà cattolica», I (1937), posseduto cumulativo 1937-2009.
Già «Bulletin de l’Office International du Travail», posseduto: 1902-1903; 1906-1909; 1912;1914;
1917-1918. Poi «Bulletin officiel. Bureau international du travail», posseduto: 1919-1939; 1946-1974.
29
31
32
33
34
35
«Lex», I (1915), posseduto cumulativo 1915-2009.
«Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia», I (1923), posseduto 1923-1943.
«Notiziario della Confederazione generale dell’industria italiana», posseduto 1945-1975.
Posseduto cumulativo 1936-1972 con lacune.
Posseduto cumulativo 1928-1979, con lacune.
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230
Ilaria Romeo
1928 al 1943 e dal 1950 al 197236.
Concludendo su questo punto si forniscono alcuni dati complessivi: circa 1000 volumi
editi in date che vanno (presumibilmente) dal 1849 al 1943-44; oltre 1622 annate, come totale delle collezioni enucleate per n. 176 testate di pubblicazioni periodiche formato rivista;
oltre 141 annate come totale di 34 testate di quotidiani (o di pubblicazioni sindacali di formato simile). Il lavoro di recupero del suddetto materiale - compiuto in settanta giorni lavorativi, con l’ausilio di 4 persone non dipendenti dal Centro studi - si è articolato in cinque
tempi che si rammentano sia allo scopo di dettagliare la mole di lavoro compiuto, sia allo
scopo di non lasciare equivoci sul punto cui è stato portato il materiale che indichiamo come
non accessibile: a) prelievo (...) e selezione superficiale prima dell’incassatura, per il trasferimento da Roma ad Ariccia (...); f) formulazione di schede provvisorie con enucleazione
dei doppioni e relativo inscatolamento per destinazione «GRAMSCI» e «PERMUTE». Il
materiale dell’Istituto Gramsci, elencato in apposito scambio di lettere, è già stato inviato a
destinazione. quello delle permute attende che sia organizzato un apposito scambio con Enti
e privati (Biblioteche, rivenditori, ecc.) che potrebbero offrirci preziosi cambi»37.
L’archivio.– Il fondo archivistico Disciolte organizzazioni sindacali fasciste
si organizza in due subfondi: Confederazione fascista lavoratori del commercio e
Confederazione fascista lavoratori dell’industria.
Il subfondo Confederazione fascista lavoratori del commercio è costituito da
un’unica serie Circolari a sua volta strutturata in due partizioni inferiori: Circolari
confederali, 28 volumi dal 1929-1942 e Circolari di federazione, 2 volumi contenenti circolari di: Federazione nazionale fascista addetti case di deposito vendita e
spedizione, 1934-1935; Federazione nazionale fascista lavoratori del commercio
alimentare, 1934-1936; Federazione nazionale fascista lavoratori del turismo e
dell’ospitalità, 1934-1935; Federazione nazionale fascista addetti agenzie e studi
professionali, 1934-1935; Federazione nazionale portieri, 1934-1935.
Il subfondo Confederazione fascista lavoratori dell’industria è costituito da
due serie.
La prima serie: Affari generali è organizzata al proprio interno in Circolari,
Contabilità e bilancio, Varie.
Nello specifico, la serie Circolari viene suddivisa in due partizioni ulteriori:
Circolari confederali, 9 fascicoli e un volume, dal 1938 al 1942 e Circolari di federazione, un volume contente le circolari della Federazione nazionale fascista
gente del mare, 1940-1941.
Nella sottoserie Varie si segnalano: veline di lettere inviate dal presidente ai combattenti e ai prigionieri in diverse occasioni: la nomina alla presidenza della Confederazione, il Convegno nazionale della Confederazione, l’anniversario del 28 ottobre, il
Natale 1942; documentazione relativa alla Cassa generale per la mutualità dei lavoratori portuali di Genova (6 maggio 1926 - 23 aprile 1930) e alla II Giornata della tecnica
del 1941, oltre ad un volume di deliberazioni del Direttorio della Confederazione nazionale sindacati fascisti dell’industria, dal 12 marzo 1929 al 3 ottobre 1930.
La seconda serie Servizio studi, propaganda e biblioteca, è organizzata sulla
36
37
Già «Rivista delle società commerciali», posseduto cumulativo 1928-2009, con lacune.
ASCGIL NAZIONALE, Archivio dell’archivio, b. 1, fasc. 1.
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L’archivio e la biblioteca delle disciolte organizzazioni sindacali fasciste
base del titolario di classificazione così strutturato:
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1. FRANCIA
1.1. Studi e documenti sulla situazione sociale, economica e finanziaria
1.2 Sindacalismo, corporativismo e condizioni di lavoro
1.3 Disposizioni in tempo di guerra
2. ITALIA
2.1. Confederazione fascista lavoratori dell’industria
2.1.1. Saggi e studi sul corporativismo
Raccolta di saggi sui temi del corporativismo (diritto, politica, economia), inviati
all’Ufficio studi in occasione del concorso nazionale bandito dalla Cnfli. Con note
di valutazione da parte degli esaminatori.
2.1.2. Direzione dei servizi sindacali
Circolari, decreti, disposizioni, contratti collettivi di lavoro e relazioni mensili delle
federazioni di categoria
2.1.3. Sezione studi, propaganda e biblioteca
Cronache dalle Unioni provinciali; articoli e inchieste sulla situazione economica,
politica e sociale in Europa; note di trasmissione di articoli, traduzioni, ecc., tratte
da pubblicazioni italiane e straniere, inviate dal direttore dei Servizi generali, Mario
Samotti, alle diverse strutture della Direzione dei servizi sindacali; note dattiloscritte sui principali argomenti di politica interna e estera, con particolare riferimento agli sviluppi del secondo conflitto mondiale; rassegna stampa
internazionale; corrispondenza con il Fronte tedesco del lavoro; atti dei Comitati
esecutivo e consultivo dell’Internationales Zentralbüro Freude und Arbeit (Izb),
svoltisi a Londra dal 6 all’8 febbraio 1939, note informative, elenco dei membri
del Comitato consultivo; promemoria sulla fondazione e l’attività del Büro.
2.1.4. Corsi di cultura sindacale
Corrispondenza concernente l’organizzazione e svolgimento di corsi di formazione
e cultura sindacale; invio di questionari, programmi culturali, informazioni diverse,
articoli di giornali, relazioni, repertori bibliografici.
2.1.5. Corrispondenza con propagandisti e collaboratori sindacali all’estero
2.1.6. Servizio rapporti culturali con l’estero
Documentazione relativa al personale del servizio; corrispondenza relativa a pubblicazioni ed iniziative diverse; rapporti con i paesi esteri per lo scambio di pubblicazioni, delegazioni, ecc.; curricula professionali, notizie biografiche, richieste
diverse provenienti da politici, giornalisti e collaboratori stranieri dell’Ufficio
stampa della Confederazione.
2.1.7. Archivio corrispondenza
Corrispondenza relativa ad abbonamenti, collaboratori, invio di articoli; documentazione contabile; attività confederale in Germania; corrispondenza con le federazioni; corrispondenza con le unioni, con il Ministero delle corporazioni e ministeri
vari; corrispondenza con le altre confederazioni, con la Banca nazionale del lavoro
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e periodici diversi.
Ilaria Romeo
2.1.8. Accordo Confindustria - Cfli: propaganda nelle fabbriche
2.1.9. Rapporti Cfli – Bit
Contiene atti e documenti dell’Ufficio internazionale del lavoro, 1936-1939; materiali relativi al Congresso ebraico mondiale, Ginevra, 8-15 agosto 1936; corrispondenza e materiali dattiloscritti relativi al primo Convegno nazionale per gli
studi di politica estera, Milano, ottobre 1936.
3. GERMANIA
3.1. Cenni generali sulla situazione economico politica
3.2. Politica finanziaria
3.3. Rapporti dall’Osservatore sociale in materia sindacale
3.4. Politica del lavoro
3.5. Legislazione economico-sociale di guerra
3.6. Fronte tedesco del lavoro
3.7. Ufficio rapporti culturali con la Germania
4. ROMANIA
4.1. Cenni generali sulla situazione economico-politica
4.2. Politica sociale
5. RAPPORTI ITALO-TEDESChI
Contiene, tra l’altro: contratto edili del 6 agosto 1938: Disposizioni speciali per l’occupazione dei lavoratori italiani edili (testo a stampa e dattiloscritto); proroga del contratto 6 agosto 1938 per gli operai edili occupati in Germania al 15 marzo 1939:
aggiunta clausole varie e protocollo trattative; scambio di note tra il ministro degli
esteri del Reich e l’ambasciatore italiano a Berlino riguardanti il trattamento degli operai italiani occupati in Germania; accordo fra i due governi del 17 marzo 1939: proroga
del contratto fino al 31 dicembre 1939; accordo dattiloscritto tra Italia e Germania per
il collocamento di lavoratori industriali, Roma 17 marzo 1939; testi tedeschi e italiani
relativi alle trattative del gennaio 1940; contratto di lavoro per gli operai edili italiani
occupati in Germania nel 1938; circolari, protocolli, norme e disposizioni; documenti
relativi alla organizzazione degli uffici italiani e tedeschi in Germania: elenchi dattiloscritti e ordini di servizio; dati relativi alle assicurazioni sociali: corrispondenza, tabelle, accordi e convenzioni dattiloscritti; materiali a stampa; accordi con le Ferrovie
dello Stato relativi al trasferimento dei lavoratori italiani dell’industria; istruzioni ai
lavoratori italiani in Germania (opuscoli di propaganda); accordi italo-tedeschi per il
reclutamento, collocamento ed occupazione dei lavoratori italiani in Germania; relazioni di viaggio, corrispondenza e note dattiloscritte sul lavoro italiano in Germania.
6. JUGOSLAVIA, ALBANIA, GRECIA
7. AUSTRIA
8. III INTERNAZIONALE E INTERNAZIONALE SINDACALE ROSSA
Si segnala: «Memoriale del Governo sovietico e del Komintern contro l’Italia»,
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L’archivio e la biblioteca delle disciolte organizzazioni sindacali fasciste
233
giugno 1936 (in lingua italiana e francese); «Composizione degli organi dirigenti
dell’Internazionale comunista eletti al VII Congresso dell’I.C.»; «L’Internazionale
sindacale rossa (Profintern»).
9. SVIZZERA, SERBIA
10. BULGARIA
11. IMPERI COLONIALI
Documentazione relativa a Africa, mondo islamico, Indie olandesi, Marocco francese e spagnolo, Somalia francese e britannica, Impero coloniale inglese (Kenya,
Costa d’Oro, Gambia, Nigeria, Sierra Leone, Egitto, India, Tanganica, Sud Africa)
e francese (Africa equatoriale francese, Africa occidentale francese, Algeria, Madagascar; Île de la Réunion, Siria, Libano, Somalia francese, Togo, Tunisia).
12. BELGIO
13. CROAZIA, PAESI NORDICI (NORVEGIA, FINLANDIA)
14. AMERICA CENTRALE E LATINA
15. STATI UNITI E CANADA
16. AUSTRALIA, CINA
17. INGhILTERRA, SPAGNA, UCRAINA, AFGhANISTAN
La documentazione relativa ai singoli paesi è di massima organizzata nelle seguenti
sottoclassi:
1. Cenni generali
2. Partiti politici
3. Politica economica e finanziaria
4. Politica sociale
5. Movimento ed organizzazione del lavoro
6. Legislazione del lavoro
7. Condizioni di lavoro
8. Previdenza e assistenza sociale
9. Collocamento, disoccupazione e formazione professionale
10. Medicina del lavoro
Le tipologie documentarie conservate all’interno dei fascicoli risultano essere
le seguenti: rassegna stampa, articoli in originale o loro trascrizione dattiloscritta,
materiale legislativo, bollettini di informazione, corrispondenza e materiali diversi
anche a stampa e in lingua originale.
L’intero materiale è stato schedato in forma analitica riordinato e condizionato.
Le buste presentano numero di corda unico mentre, per quanto riguarda le singole unità archivistiche, la numerazione riparte da 1 per ogni serie.
Per le circolari si è realizzato un intervento analitico con la schedatura delle
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Ilaria Romeo
singole circolari, rilevando: ufficio produttore, oggetto, data, consistenza ed eventuali allegati.
L’Archivio ospita al proprio interno una importante sezione iconografica.
ILARIA ROMEO
Archivio storico della CGIL nazionale
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LE ARTI VISIVE E LA DANZA. TESTIMONIANZE DAGLI ARChIVI
DELLE DANZATRICI JIA RUSKAJA (1903-1970)
E FRIDERICA DERRA DE MORODA (1897-1978)1
Jia Ruskaja e Friderica Derra de Moroda sono due tra le molte figure femminili
che hanno lasciato una forte impronta nella storia della danza - ballata, insegnata,
documentata - del xx secolo. Entrambe lasciano un archivio e una biblioteca che
conservano una preziosa e viva memoria della loro storia2. Diversi elementi le accomunano, a cominciare dal fatto di aver lasciato il paese di origine: Jia Ruskaja
(il cui vero nome era Evgenija Borisenko) abbandonò la Crimea all’indomani della
rivoluzione del 1917 per andare prima in Inghilterra e poi stabilirsi in Italia dopo
un soggiorno di studio in Svizzera; Derra de Moroda nata nell’attuale Bratislava,
visse a Monaco, poi a Londra e infine a Salisburgo. Entrambe da giovani calcarono
le scene come ballerine ma la loro memoria è legata soprattutto a quanto fecero
per la promozione e l’evoluzione della danza: la Ruskaja fondando una scuola che
dal 1948 sarebbe diventata l’Accademia nazionale di danza (d’ora in poi AND), la
prima e ancora oggi unica istituzione statale per l’insegnamento della disciplina
coreica in Italia a rilasciare un diploma; Derra de Moroda raccogliendo materiale
librario e documentario di straordinario valore, sulla base del quale è stato istituito
il Dipartimento di studi di danza dell’Università di Salisburgo.
A documentare l’attività della Ruskaja, a partire dal momento in cui si stabilisce in Italia, è l’archivio conservato presso l’AND3. Raccoglie carteggi, documenti
1
Ringrazio Manuela Canali, Francesca Falcone e Antonella Altavilla per la collaborazione e gli
scambi di idee sull’archivio Ruskaja; sono molto grata a Irene Brandeburg e a Claudia Jeschke per
avermi accolto all’archivio Derra de Moroda, fornendomi premurosa assistenza e stimolanti conversazioni. In questo articolo abbiamo dato solo una breve presentazione del materiale conservato nell’archivio della Ruskaja, che merita di essere studiato approfonditamente non solo per la storia della sua
fondatrice e di quella dell’AND ma della stessa cultura della danza italiana.
Sulla dimensione attiva e dinamica degli archivi di danza si è recentemente tenuta la giornata
di studi ‘Archivinmovimento: come condividere, promuovere e rendere fruibili gli archivi coreutici
oggi?’, a cura del Roma Europa Festival, Roma, Opificio Romaeuropa, 13 giugno 2014. Esempi di archivi di danza in Europa sono il Deutsches Tanzarchiv a Colonia (<www.skkultur.de/inhalte/themen/deutsches-tanzarchiv-koeln>), il Digital Dance Archive presso la University
of Surrey in Gran Bretagna (<www.surrey.ac.uk>), la Médiathèque del Centre national de la danse, di
Pantin, vicino a Parigi. Un bellissimo testo che illustra e documenta un archivio di danza è Les Archives
internationales de la danse 1931-1952, a cura di I. BAxMANN - C. ROUSIER - P. VEROLI, Pantin, Centre
national de la danse, 2006.
2
3
L’archivio storico dell’AND (d’ora in poi As AND), riconosciuto di rilevanza storica, è sottoposto al vincolo da parte della Soprintendenza archivistica per il Lazio.
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236
Natalia Gozzano
relativi all’amministrazione, alla didattica, alla coreografia, agli spettacoli realizzati
nella Scuola di danze classiche della Ruskaja prima a Milano e poi a Roma; si conservano inoltre programmi di sala, spartiti musicali, locandine; di grande rilevanza
sono gli album di ritagli stampa relativi all’attività di danzatrice, coreografa, attrice
della fondatrice e poi della Scuola; gli album con foto di opere d’arte; infine, molto
importante è anche il fondo fotografico e quello dei costumi e relativi bozzetti. Di
particolare valore storico è proprio il fondo fotografico, costituito da 15 faldoni
contenenti più di 6.550 stampe che documentano la storia dell’AND (gli spettacoli,
le prove, l’attività dei maestri ospiti fra i quali Anton Dolin, Alexander Sacharoff,
David Lichine per citarne solo alcuni) e dal Fondo Ruskaja che raccoglie immagini
della sua attività di attrice per il cinema, degli spettacoli a Siracusa e a Taormina,
dell’attività della sua scuola a Milano, Erba, Roma, nonché un cospicuo nucleo di
foto personali e ritratti, fra i quali spiccano quelli a firma di Anton Giulio Bragaglia
e, soprattutto, di Ghitta Carell, che consacrano e veicolano l’immagine glamour e
variegata della diva all’apice della sua affermazione (foto 1)4.
Jia Ruskaja ha creato una biblioteca che rispecchia la pluralità di interessi ancora oggi presente nell’impianto didattico dell’AND5.
La storia della formazione e della carriera di Jia Ruskaja viene tracciata da lei
stessa in un Curriculum dattiloscritto databile al 19586:
«Si accosta al mondo della danza quando da Ginevra, dove frequentava all’università
i corsi di medicina, giunse a Roma come turista e si avvicinò al cenacolo degli ‘Indipendenti’
fondato da Anton Giulio Bragaglia, di cui facevano parte Luigi Pirandello, Rosso di San Secondo, Curzio Malaparte, Orio Vergani, Massimo Bontempelli, Vincenzo Cardarelli, Massimo Lelj, Corrado Alvaro, Filippo Tommaso Marinetti, Giorgio de Chirico, Giacomo
Prampolini e altri artisti di avanguardia. Fu in questo ambiente che si risvegliò il desiderio
di approfondimento degli studi di danza iniziati da bambina nel collegio in Crimea. Riscosse
immediatamente grande successo come danzatrice e come coreografa nella compagnia di
balletti d’avanguardia del teatro degli ‘Indipendenti’. In seguito, l’incontro con Ettore Romagnoli la riavvicinò al mondo classico riportandola così all’originaria civiltà della sua città
natale Kerch (l’antica Tauride). (…) Ancora giovinetta espose le sue idee estetiche e il suo
credo artistico nel libro La danza come modo di essere (1928). Come interprete e coreografa
delle tragedie greche prese parte a spettacoli del teatro Licinium di Erba, del Teatro greco
di Siracusa, della Villa Reale di Monza e del Palatino. Allestì coreografie per il Teatro Regio
4
Ghitta Carell fu la fotografa prediletta dall’élite sociale e politica dell’Italia durante il regime
fascista. Sulla sua opera vedi R. DULIO, Un ritratto mondano. Fotografie di Ghitta Carell, Milano,
Johan & Levi, 2013.
5
La biblioteca dal 2010 è entrata a far parte del polo BVE della Biblioteca Nazionale Centrale
«Vittorio Emanuele II». Sull’archivio e la biblioteca dell’AND la studiosa di storia della danza Flavia
Pappacena ha presentato una breve illustrazione su Il progetto di Jia Ruskaja per la Biblioteca e l’Archivio di danza dell’Accademia Nazionale di Danza, in occasione dell’inaugurazione della Biblioteca
nazionale di danza di Stato nel 2010. Le aree tematiche presenti in biblioteca corrispondono alle discipline insegnate in AND: danza sotto i profili tecnico, storico, teorico; anatomia e medicina della danza;
storia della musica; storia dell’arte; storia dello spettacolo e del costume. Un importante nucleo è costituito dal fondo personale della Ruskaja comprendente tra l’altroil suo libro La danza come un modo
di essere e una pregiata raccolta di antichi testi sulla danza, fra cui il celebre Ballarino di Fabrizio
Caroso nell’edizione del 1605.
6
As AND, b. 41.
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di Torino, per la Fenice di Venezia, per l’Eden di Milano. Le fu affidata la prima mondiale
di ‘Tancredi e Clorinda’ di Monteverdi al Festival musicale di Ginevra. Precedentemente
(1927) era stata protagonista del film ‘Giuditta e Oloferne’ insieme al celebre Maciste».
Dal 1932 al 1934 diresse, insieme a Ettorina Mazzucchelli, la Scuola di ballo
del Teatro alla Scala dove introdusse l’insegnamento dell’Orchestica: «L’orchestica
rappresenta la selezione degli esercizi derivati dall’esperienza della nuova tecnica
che racchiudono uno studio del movimento coreutico delineatosi negli ultimi 30
anni in Italia e per mezzo della quale mette le allieve in grado di interpretare la
danza nelle sue più svariate espressioni»7.
«Nel 1934 lascia la Scuola di ballo del teatro alla Scala per fondare una propria scuola
di danza classica concepita con criteri didattici completamente nuovi: fondere cioè lo studio
della danza agli studi umanistici, in modo da offrire alla danzatrice la possibilità di una formazione integrale della sua personalità artistica, come anche ad armonizzare lo studio della
tecnica accademica con quello dell’orchestica. Nel 1936 la sua scuola conquista il ‘Lauro
Olimpionico’ alle Olimpiadi di Berlino. Nel 1940, su invito del ministero della Pubblica
Istruzione, istituisce a Roma la Regia Scuola di Danza (annessa all’Accademia di arte drammatica). Nel 1948 la scuola, divenuta autonoma, si è trasformata in Accademia Nazionale
di Danza. (…) Ogni anno vengono invitati a tenere lezioni ai corsi superiori e di perfezionamento maestri rappresentanti dei più diversi indirizzi estetici in campo internazionale, da
Anton Dolin ad Alexander e Clotilde Sakaroff, da Léonide Massine a Boris Kniaseff, da
Kurt Joos a Lander, da David Lichine a Mila Cirul. L’AND è l’unico istituto in Italia a rilasciare titoli per insegnanti di danza o di coregrafo-compositore o danzatore solista».
Seguendo il percorso cronologico tracciato dal suo curriculum, i primi contatti
con un ambiente di intellettuali e artisti la Ruskaja li colloca a Roma nei primi anni
Venti, quando prende parte alle attività della Casa d’arte Bragaglia a partire dal
1921 e poi al Teatro sperimentale degli indipendenti, sempre diretto da Anton Giulio Bragaglia8. Sembra fosse stato proprio Bragaglia a suggerirle di cambiare il suo
nome in quello di Jia Ruskaja (cioè Io Russa), sfruttando l’entusiasmo per la Russia
7
Sulla figura di Jia Ruskaja danzatrice e coreografa vedi F. PAPPACENA, L’orchesticografia di Jia
Ruskaja, in «Chorégraphie», V (1997), 10, pp. 53-84. Per una ricostruzione del contesto storico e dell’operato della Ruskaja, vedi P. VEROLI, Baccanti e dive dell’aria: donne, danze e società 1900-1945,
Perugia, Edimond, 2001, in particolare pp. 157-159, 175-181, 220-230, 264-265.
8
Dopo aver lasciato la patria, dove aveva seguito studi classici e musicali, Ruskaja aveva sposato
un ufficiale inglese dal quale ebbe un figlio. Si separò e si trasferì in Italia, prima a Roma, poi a Milano
(dove sposerà Aldo Borrelli, direttore del «Corriere della sera») e infine nuovamente a Roma dove visse
fino al 1970. P. VEROLI, Baccanti… cit., in part. pp. 145-181., Cfr. la scheda biografica a cura di S.
MAZZUCChELLI – R. VASSENA – P. VEROLI in www.russinitalia.it.
Il Teatro sperimentale degli indipendenti (noto come Teatro degli indipendenti), venne fondato
da Anton Giulio Bragaglia nel 1923 e rimase in vita fino al 1936. A. C. ALBERTI – S. BEVERE – P. DI
GIULIO, Il teatro sperimentale degli Indipendenti (1923-1936), Roma, Bulzoni, 1984. I primi spettacoli
coreografati dalla Ruskaja furono Tre danze di guerra, mimodramma di Balilla Pratella con visioni plastiche di Enrico Prampolini, La Tempesta, «mimodramma, fantasie plastiche senza musica di Madame
x», La Guerra, mimodramma di Balilla Pradella e scene di Prampolini, andati in scena nella stagione
1922-1923. A. VIGLIANI BRAGAGLIA, Cronologia degli spettacoli allestiti al Teatro sperimentale degli
Indipendenti di Roma diretto da Anton Giulio Bragaglia (1922-1936), in «Maske und Kothurn», 12
(1966), 4, pp. 414-418.
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Natalia Gozzano
diffusosi in Europa sulla scia dei Ballets Russes. Il Teatro degli indipendenti fu una
fucina di sperimentazioni e un luogo di incontro e di attrazione per artisti, letterati
e intellettuali, sia per il programma volto all’innovazione e alla contaminazione fra
le arti, sia per il suo curioso impianto che, dopo gli spettacoli, portava sullo stesso
piano la sala e il palcoscenico trasformandosi in un ristorante-cabaret9. Le idee
sulla danza elaborate da Anton Giulio Bragaglia, spesso cassa di risonanza del più
pensoso fratello Alberto, pittore e filosofo, trovano nella giovane Ruskaja la propria
musa. Per Alberto Bragaglia l’arte dev’essere essenzialmente ‘dinamica’ e ‘orchestica’, espressione cioè di una propria vita ritmica10. Per i fratelli Bragaglia la dimensione visiva è l’elemento fondamentale della nuova danza, che deve liberarsi
da ogni accademismo per esprimere ‘con fuoco’ i sentimenti e le emozioni del danzatore, attraverso forme pure nello spazio e nel tempo11.
È dunque nel milieu bragagliano che Jia Ruskaja inizia la sua carriera di ballerina, facendo parte della compagnia di danza del Teatro degli indipendenti già
dalla prima stagione nel 192312. Oltre alle coreografie e alle interpretazioni sul
palco della Casa d’arte Bragaglia e poi degli Indipendenti, il sodalizio fra la ballerina e lo scrittore-scenografo si manifesterà nei molti scritti che Anton Giulio Bragaglia le dedicherà, fra cui il capitolo Jia Ruskaja o dell’ispirazione nel suo libro
Scultura vivente:
«Ija (sic) Ruskaja ha rappresentato per noi anche nella danza la reazione al sistema artefatto che si fa passare per arte anche nella musica e nella poesia. Noi l’abbiamo accolta e
presentata come un esempio naturale delle idee moderne, opposte a quelle metodiste: e senza
difficoltà il pubblico l’ha sentito: pareva logico che ciò avvenisse: infatti l’arte della Ruskaja
è diretta e sincera»13.
A testimoniare il sodalizio sono i volumi di Bragaglia presenti nella biblioteca
della Ruskaja, a cominciare proprio da Scultura vivente: il capitolo dedicato alla
danzatrice russa è illustrato da disegni del pittore e architetto Ivo Pannaggi e di
altri artisti che ruotavano intorno al Teatro degli indipendenti, quali Antonio Fornari
e Bepi Fabiani; altri testi di Bragaglia presenti in biblioteca sono Del teatro teatrale
ossia del teatro (Roma, Tiber, 1929), La bella danzante (Roma, Nuova Europa,
1936) e Pulcinella (Roma, Casini, 1953).
Il debutto della Ruskaja sulla scena romana è documentato da numerose re-
9
M. SIMEONE, Un indipendente al Teatro degli indipendenti. Pirandello nelle messinscene di
Anton Giulio Bragaglia, in Quel che il teatro deve a Pirandello, a cura di E. LAURETTA, Pesaro, Metauro,
2010, pp. 149-154.
10
G. TADDEO, Il posto del corpo. Anton Giulio Bragaglia teorico di danza tra le due guerre, in
«Danza e ricerca. Laboratorio di studi, scritture, visioni», V (2013), 4, pp. 57-115. J. R USKAJA, La
danza…citata.
11
L’articolo intitolato Con fuoco, a firma Jia Ruskaja, dà avvio alla rubrica «La danza» sul periodico «Comoedia», VII (1925), 2. Tuttavia, come scrive Giulia Taddeo, l’autore di questi articoli è sempre
Anton Giulio Bragaglia che elegge la giovane danzatrice a suo alter ego. G. TADDEO, Il posto del corpo…
cit., pp. 75-76.
12
Oltre alla Ruskaja la compagnia era formata da Ikar, Anita Amari e Leba Ertel. G. TADDEO, Il
posto del corpo… cit., p. 68.
13
A. G. BRAGAGLIA, Scultura vivente, Milano, L’Eroica, 1928, p. 193.
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Dagli archivi delle danzatrici J. Ruskaja e F. Derra de Moroda
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censioni, annunci, foto e anche caricature (foto 2) raccolte dalla ballerina in un
grande album, il primo di una serie di tredici che, coprendo un arco cronologico
che va dal 1921 al 1942, sono una straordinaria testimonianza della sua attività di
danzatrice, coreografa, attrice e dell’attività della Scuola di danze classiche da lei
fondata a Milano, preceduta, come pare documentare una cartolina sul primo
album, dalla Scuola di danze sceniche di Roma nel 1921 (foto 3). Dopo il periodo
romano sotto l’ala bragagliana infatti, ci fu l’incontro con il grecista Ettore Romagnoli, in seguito al quale Jia Ruskaja si dedica a il mito dell’antica Grecia che già
da alcuni anni alimentava le istanze di rinnovamento coreico in Europa, sulla scia
dell’esperienza di Isadora Duncan. Interprete e coreografa tragedie greche al teatro
Licinium di Erba, al Teatro greco di Siracusa, alla Villa Reale di Monza e al Palatino
a Roma. Allestisce coreografie per il Teatro Regio di Torino, per la Fenice di Venezia, per l’Eden di Milano. Di queste coreografie, particolarmente interessanti
sono quelle dell’Ifigenia in Aulide (1930) e l’Agamennone al Teatro greco di Siracusa con scenografie di Duilio Cambellotti.
Il richiamo alle arti figurative, quali fonti di ispirazione e studio, è testimoniato
dalla già citata serie di album in cui la Ruskaja ha assemblato immagini di opere
d’arte di diverse epoche e stili, in gran parte proprio di arte greca14. L’interesse per
l’arte figurativa non si limita a quella antica: gli album raccolgono anche fotografie
della Santa Cecilia di Stefano Maderno, del Mercurio di Giambologna (ovvio è il
riferimento al disegno del maestro di danza Carlo Blasis che si rifà proprio a questa
statua per evidenziare la struttura dell’attitude)15. L’album 12 / III spazia dal Gotico
(la Deposizione di Pietro Lorenzetti, il Guidoriccio di Simone Martini, le opere di
Giotto), al Rinascimento: Beato Angelico, Botticelli, Signorelli, Ghirlandaio, Crivelli, al Manierismo: Sodoma, Bronzino (Cristo morto e la Vergine, Firenze, S.
Croce), per arrivare al Barocco con Bernini, Rembrandt e Rubens. La ricchezza di
questi album, che riuniscono all’incirca 350 fotografie, rivela un interesse per le
arti visive che va al di là della semplice raccolta da amatore: lo suggeriscono la
cura e il criterio storico con cui sono assemblate, pur spaziando dalla pittura alla
scultura e architettura di diverse epoche e civiltà.
Un diretto riferimento agli artisti e alle opere collezionate negli album si ha
nei ‘concerti di danza’ della Ruskaja, quali il Frammento del Beato Angelico e Penombre gotiche, La danzatrice con cimbali, Villa dei Misteri, Offerta del peplo.
Ma proprio la qualità delle opere documentate negli album evidenzia che l’arte era
intesa come fonte di ispirazione e non di imitazione, in una concezione che voleva
liberare la danza dalla tradizione accademica e anelava invece all’improvvisazione
attraverso movimenti scevri dalla pantomima16.
14
Si tratta di quattro grandi album; uno recante l’etichetta «riproduzioni fotografiche arte antica»
gli altri hanno la segnatura 3 S.R. III, 9/III S.R. , 12 / III S.R. dove le iniziali puntate stanno per Signora
Ruskaja.
15
Album 9 III. Cfr. C. BLASIS, Traité elémentaire, théorique et pratique de l’art de la danse, Milano 1820, pl. VIII, figg. 1-2.
16
Oltre ai testi di Bragaglia e della stessa Ruskaja, vedi anche quanto scrive la sua allieva prediletta Giuliana Penzi in M. MONNA – G. PENZI, Giuliana dai capelli di fuoco. Memorie della danzatrice
che ha scritto le favolose vicende dell’Accademia Nazionale di Danza, Roma, Nuova Eri, 1990, in particolare pp. 11-29.
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Natalia Gozzano
Il dialogo fra la danza e le arti visive continua ad essere perseguito dalla Ruskaja anche in qualità di direttrice della scuola di danza da lei creata che, nel 1948,
acquisirà profilo istituzionale divenendo Accademia nazionale di danza, dove l’insegnamento della storia dell’arte risponde a una visione che integra l’apprendimento tecnico con quello culturale17.
Nel 1950 questo dialogo sarà il tema ispiratore di una mostra promossa dall’AND al Palazzetto Venezia di Roma, per la quale le opere vennero selezionate
da una commissione composta da illustri storici dell’arte (Robero Longhi, Mario
Rivosecchi) e artisti (fra i quali Casorati, Mafai, Manzù)18.
L’archivio storico dell’AND conserva alcuni interessanti epistolari che la Ruskaja intrattiene con diversi pittori. In una lettera a Gino Calderari del 30 maggio
1966 la direttrice scrive
«Con piacere ho visitato la mostra e particolarmente mi hanno interessato i soggetti
ispirati alla danza. È un linguaggio pittorico che sa cogliere la prontezza modulata di un
gesto, la fugace grazia di un passo. Sa rendere l’espressione implicita nel movimento, la sua
veracità interna, e l’armonia dell’intero corpo umano. Il segreto di raffigurare una danzatrice
è di far intuire il punto di partenza e il punto di arrivo del suo movimento; e questa conquista
espressiva si verifica solo quando si è affrontato lo studio del corpo umano dall’interno,
nella sua struttura anatomica. quando la pittura abbraccia nel suo significato estetico
l’espressione coreutica, constato con gioia attuarsi il mio costante desiderio di vedere le arti
ravvicinarsi tra loro in una felice osmosi. E questo si è verificato nei periodi illuminati dell’antica Grecia e del Rinascimento, quando l’idea guida era l’uomo, misura di tutte le cose».
In una lettera del 31 gennaio 1964 Jia Ruskaja scrive alla pittrice Monique
Lancelot per chiederle di pubblicare alcuni suoi disegni nel Numero Unico dell’AND19: «L’idea di pubblicarli mi è venuta in quanto ho trovato che essi hanno
molta attinenza con il ritmo della Danza, ciò che in genere si verifica molto di
rado».
Particolarmente interessante per le idee espresse dalla Ruskaja sulla cultura
della danza è la corrispondenza con Mario Rossi, capo dell’Ispettorato per l’istruzione artistica: in una lettera del 1967 la direttrice scrive per sollecitare l’inserimento della danza nelle scuole; in una nota dal titolo Creazione del Centro
17
F. PAPPACENA, Il progetto di Jia Ruskaja sull’Accademia Nazionale di Danza, in La storia e la
visione, a cura di A. PORChEDDU, Roma, Gangemi, 2008, pp. 34-38.
18
R. LAMBARELLI, L’Accademia e le arti visive, in La storia e la visione… cit., pp. 70-79. La mostra venne documentata da un breve cinegiornale della Settimana Incom. Archivio Luce, La settimana
Incom, 00432 del 21 aprile 1950, <www.youtube.com/watch?v=GScKwmwxWzU>.
19
I disegni furono pagati 25.000 lire l’uno e la Ruskaja si scusa per la cifra ma dice che i fondi
statali sono pochi. As AND, b. 41.
Il Numero unico è il nome di una pubblicazione edita dall’AND tra il 1956 e il 1965. Nel numero
del 1956 la direttrice illustra alcuni progetti relativi alla danza quali il Centro nazionale coreutico, dove,
come si dice al punto 6 delle Direttive artistiche: «Verranno invitati noti pittori per i costumi e gli eventuali allestimenti scenici». Numero unico a cura dell’Accademia nazionale di danza, Roma 1956. I numeri monografici, dedicati a danza e architettura, danza e musica, danza e poesia, danza e pedagogia,
ospitavano saggi di prestigiose personalità della cultura italiana del tempo. R. LAMBARELLI, L’Accademia…cit., p. 70.
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Dagli archivi delle danzatrici J. Ruskaja e F. Derra de Moroda
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nazionale coreutico e apertura di scuole di danza in altre province (16 giugno
1966) sostiene la necessità dell’apertura di scuole di danza autonome dai teatri.
Scrive che caratteristica dell’AND, a differenza delle scuole dei teatri, è la formazione anche di insegnanti di danza, dotate di solida cultura. Oltre agli insegnamenti
coreutici infatti, «nel programma dell’accademia sono previste materie come storia
dell’arte, storia della danza, storia della musica, teoria della danza e sua scrittura,
solfeggio, elementi che sono indispensabili per completare la cultura artistica della
danza». A proposito del «rapido progredire dell’AND», la direttrice informa l’ispettore che sono necessarie nuove aule, un gabinetto per esercitazioni di fisica e chimica, e locali da adibire a biblioteca20.
In questi stessi anni è vissuta Friderica Derra de Moroda, come Jia Ruskaja,
danzatrice, insegnante e studiosa, con uno spiccato interesse per le arti visive, appassionata collezionista di libri sulla danza ma anche di storia dell’arte. Friderica
Derra de Moroda era nata nel 1887 a Bratislava, da padre greco e madre ungherese.
Da bambina si trasferì a Monaco dove cominciò a studiare danza e debuttò a Vienna
nel 1912, compiendo poi fortunate tournées in Germania, nei Paesi Baltici, in Russia. Dal 1913 visse a Londra, dove studiò con il ballerino, coreografo e maestro di
danza Enrico Cecchetti, divenendo, nel 1922, cofondatrice della Cecchetti Society.
Dal 1940 diresse il KDF Ballet di Berlino e dopo la guerra (durante la quale fu internata in quanto cittadina inglese) si trasferì a Salisburgo dove aprì una scuola di
balletto e dove morirà nel 1978. Il suo archivio e la ricca biblioteca vennero donati
all’Istituto di musicologia dell’Università di Salisburgo21.
Nella biblioteca e nell’archivio di Derra de Moroda si conservano libri, riviste,
spartiti, quaderni di appunti, lettere, fotografie, locandine, bozzetti di costumi, nonché stampe e disegni di eccezionale ricchezza22. Il fondo dei libri antichi è di particolare rilevanza: contiene i più importanti trattati sulla danza a partire da The code
of Terpsichore. The Art of Dancing di Carlo Blasis, primo libro acquistato da Derra
de Moroda, così come i testi di Caroso, Negri, Menestrier, Feuillet, Rameau e anche
volumi sulla mimica (G.G. Engel, Lettere intorno alla mimica, Milano, presso Giovanni Pirrotta 1818; Alfred Giraudet, Mimique, physionomie et gestes. Méthode
pratique. d’après le système de F. del Sarte, pour servir à l’expression des senti20
As AND, b. 41.
Il fondo librario, costituito da circa 5.000 volumi, è stato catalogato in ordine di acquisizione
da parte della fondatrice, F. DERRA DE MORODA, The Dance Library. A catalogue, a cura di S. DAhMS
- L. ROTh-WöLFLE, München 1982. Dopo la morte della de Moroda la biblioteca è stata in parte riorganizzata, spostando alcuni volumi, fra cui molti di storia dell’arte, nella biblioteca generale del Dipartimento di musica, arte e danza dell’Università di Salisburgo. Sulla vita e l’attività di studiosa di Derra
de Moroda (a cui si deve la scoperta del manoscritto di Gregorio Lambranzi Neue und curieuse Theatralische Tanz-Schul, Nürneberg 1716) vedi S. DAhMS, The Derra de Moroda Dance Archives at the
University of Salzburg, in «The Journal of the Society for the Dance Research», 1 (1983), 2, pp. 69-79.
S. SChROEDTER, Dance Research in Austria, with a focus on the Department of Musicology at the University of Salzburg, in «Dance Reasearch Journal», 30 (1998), 2, pp. 93-97. Der Tanz - ein Leben. In
Memoriam Friderica Derra de Moroda. Festschrift, a cura di S. DAhMS - S. SChROEDTER, Salzburg,
Selke Verlag, 1997.
21
Il Derra de Moroda Dance Archives si trova all’interno della Biblioteca dell’Università di Salisburgo, Dipartimento di arte, musica e danza.
22
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Natalia Gozzano
ments, Paris 1895) nonché il famoso testo di Maurice Emmanuel La danse grecque
antique d’après les monuments figurées (Paris, Librairie hachette, 1896). Molti
testi rivelano il suo interesse per i vari tipi di notazione (trasposizione grafica) della
danza, così come per la Modern Dance e la New German Dance di Rudolf von
Laban, Kurt Jooss, Mary Wigman e altri; notevole spazio è inoltre riservato alle
danze folkloriche. Nella sezione della biblioteca dedicata al Teatro si trova un nucleo di Almanacchi e Calendari teatrali risalenti al xVIII secolo; ci sono inoltre
spartiti, libretti, e numerose riviste di teatro e di moda.
La formazione della biblioteca è documentata da cinque piccole rubriche, la
prima datata 1917, in cui sono registrati i libri in ordine cronologico di acquisto
con tanto di numero progressivo, la data di acquisto, il prezzo e a volte appunti23.
Per quanto riguarda il materiale di archivio, molto interessanti sono i quaderni
di appunti nei quali Friderica Derra de Moroda annotava gli esercizi delle lezioni
con diversi maestri, fra cui ‘M.me Nijinska’ (London 1925) e ‘M.me Karsavina’
(1927).
L’attrazione per il mondo della Grecia arcaica, evocato dalla celebre danzatrice
americana Isadora Duncan nelle pose e nei costumi che, ispirandosi alle tuniche
antiche, liberavano i movimenti del corpo e lasciavano i piedi nudi, nell’anelito a
una ritrovata comunione con la natura, contagia anche Derra de Moroda. Così come
farà la Ruskaja, Derra de Moroda realizzerà, a partire dal 1912, diversi album di
ritagli di giornale che documentano la sua attività di danzatrice: la diciottenne Friderica viene celebrata come «a modern Product of Ancient Greece» in una recensione a una serie di balletti da lei eseguiti in Russia e poi a Londra. È nella capitale
britannica che Derra de Moroda dirigerà The hellenic School of Dancing che vantava il plauso e la collaborazione di ballerine del calibro di Karsavina24.
Oltre agli album con i ritagli stampa, Derra de Moroda assembla album con
foto e stampe relative alla danza: fra questi alcuni scrapbooks, in uno dei quali
compaiono foto di opere d’arte.
La ricchissima sezione iconografica - costituita prevalentemente da stampe,
non presenti invece nell’archivio Ruskaja - è condizionata in cassettiere in ordine
tematico e di formato. I soggetti sono figure di danzatori, scene di danza, scene di
danza teatrale o sociale; rilevante è anche il fondo relativo alla moda, tratto da riviste specializzate risalenti al xIx secolo e stampe anche del xVIII. Ci sono poi
cartelle di opere grafiche in grande formato, fra cui da segnalare il Ballet und Pantomime di Walter Schnackenberg (München, Georg Müller, 1920) e il Russisches
Ballett di Arthur Grunenberg (Berlin 1922).
Fra i disegni, da segnalare sono quelli del coreografo e danzatore belga Joseph
hansen (1842-1907) relativi al balletto Samson et Dalila, andato in scena all’Opéra
di Parigi il 23 novembre 1892.
Della sezione iconografica fa parte anche un fondo fotografico di danzatori,
condizionato in faldoni, all’interno dei quali in singole buste sono le foto sciolte
ma anche ritagli stampa e cartoline, divise per danzatori, in ordine alfabetico. Segue
23
24
I libri di storia dell’arte registrati nelle cinque rubriche ammontano a circa 80 titoli.
«The Tatler», 19 aprile 1916, citato in Der Tanz – Ein Leben… cit., pp. 23-24, 38.
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Dagli archivi delle danzatrici J. Ruskaja e F. Derra de Moroda
243
un fondo Compagnie di danza che inizia con i Balletti russi (sempre condizionato
in faldoni), e contiene: foto, programmi, ritagli stampa, riviste. Tra il materiale fotografico sulla danza si trova un curioso album intitolato Berühmte Tänzerinnen
(Ballerine famose) del 1933, in cui sono raccolte figurine di danzatrici dall’antichità
(nelle opere d’arte) al mondo teatrale dell’epoca, stampate proprio per poter essere
raccolte in album (foto 4).
Interessanti sono anche le cartelle di grafica e fotografie di danzatrici, come
quella intitolata Lebende Marmor Bildwerke vom Schonheit - Abend, raffigurante
Olga Desmond e Adolf Salge in atteggiamenti che imitano gruppi scultorei (Berlin
s.d., introduzione di Max Thielert).
È probabile che Jia Ruskaja e Derra de Moroda si siano conosciute in occasione del concorso internazionale di danza di Bruxelles del 1958, della cui giuria
Derra de Moroda faceva parte e che vide la scuola della Ruskaja aggiudicarsi il
primo premio. Eppure, stando allo stato attuale delle conoscenze, nei rispettivi archivi non vi è traccia di possibili incontri ma tra i libri di Derra de Moroda c’è, in
fotocopia, il testo di Jia Ruskaja, Teoria e scrittura della danza (Roma, Editoriale
Spazio, 1970, con una biografia di Francobaldo Chiocci).
Al di là di questo, sono proprio i loro stessi lasciti a legare queste due protagoniste del mondo della danza del xx secolo, nella consapevolezza del valore della
danza come espressione culturale e dell’importanza di tramandare un patrimonio
di esperienze e materiali quali fonti di conoscenza e ricerca continua.
NATALIA GOZZANO
Accademia nazionale di danza
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Natalia Gozzano
1. Ritratto di Jia Ruskaja di Ghitta Carell pubblicato sulla rivista «Abbazia e la riviera del
Carnaro», 1939, conservato presso l’Archivio storico dell’Accademia nazionale di danza,
Roma.
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Dagli archivi delle danzatrici J. Ruskaja e F. Derra de Moroda
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2. Caricatura di Umberto Onorato pubblicata sulla rivista «Il Dramma», 1928, conservata
presso l’Archivio storico dell’Accademia nazionale di danza, Roma.
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Natalia Gozzano
3. Scuola di danze sceniche,
Roma, 1921, dépliant conservato
presso l’Archivio storico dell’Accademia nazionale di danza,
Roma.
4. Berühmte Tänzerinnen, Berlin-Pankow, Garbáty Cigarettenfabrik, 1933, Universität
Salzburg, Derra de Moroda Dance Archives, DdM 4953.
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Versamenti, trasferimenti, de p o s i t i , d o n i e a c q u i s t i : 2 0 1 4
ARChIVIO CENTRALE DELLO STATO
Ve r s a m e n t i
CORTE MILITARE D’APPELLO - ROMA
– Sentenze di riabilitazione, 1952-1981, voll. 50 (elenco).
MINISTERO PER LO SVILUPPO ECONOMICO - DIREZIONE GENERALE PER LA LOTTA ALLA CONTRAFFAZIONE
– Ufficio italiano brevetti e marchi: invenzioni, 1963-1973, fascc. 343.000; modelli,
1965-1973, fasc. 69.000; marchi, 1965-1973, fascc. 128.000.
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI- DIREZIONE GENERALE DELLA MOTORIZZAZIONE CIVILE E DEI TRASPORTI IN CONCESSIONE
– Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione: Centro
sperimentale impianti a fune, 1950-2004, bb. 4.000.
ISTITUTO CENTRALE PER IL RESTAURO E LA CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO ARChIVISTICO E LIBRARIO (ICRCPAL)
– Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro degli Archivi di Stato (CFLR): 19552007, scatole 179.
AMMINISTRAZIONE AUTONOMA DEI MONOPOLI DI STATO
– Verbali del Consiglio di amministrazione, relazioni e bilanci, ruoli di anzianità di
impiegati e agenti, Divisione Servizi tecnici, 1869-1999, voll. 1.500 circa.
Doni
– Beatrice Ucci Marconi: arch. Paolo Marconi (1933-2013), 1962-2012, rotoli in scatoloni 4, materiale fotografico in scatoloni 22, faldoni e cartelle scatoloni 92 (ml.
60) (elenchi alfabetici per luoghi del progetto).
– Maurizio Vianello, presidente dell’Associazione Gente dell’ATI: comunicazioni tecnico operative della compagnia Aero Trasporti Italiani (ATI), 1964-1967, un volume.
– Eredi: arch. Laura Gallucci (1948-2012), 1985-2012, cartelle 44, contenitori 46, raccoglitori 2, rotoli di disegni 30.
Rassegna degli Archivi di Stato, n. s., X (2014)
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248
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Fondazione Luciano Massimo Consoli, in difesa della memoria e del patrimonio
d’archivio della comunità gay italiana: archivio L. M. Consoli (1945-2007), 19922006, materiali audio/video, scatole 5 (elenco).
Archivi di Stato
Ve r s a m e n t i
GUARDIA
DI FINANZA.
AGRIGENTO
COMANDO PROVINCIALE DI AGRIGENTO
– Atti a campione, 1994-2003, bb. 7.
– Protocolli, 2003, regg.36.
TRIBUNALE ORDINARIO DI AGRIGENTO
– Liste elettorali dei comuni della provincia, 2003-2009, bb. 227.
– Fascicoli dei procedimenti penali, 1929-1973, bb. 750.
– Atti di natura civile, 1959-1974, bb. 616 (elenco).
ARChIVIO
NOTARILE DISTRETTUALE DI AGRIGENTO
– Atti notarili originali, bastardelli, repertori, regg. e voll. 1205; testamenti inediti,
cartelle 46, 1865-1913.
Ve r s a m e n t i
ALESSANDRIA
CENTRO DOCUMENTALE DI GENOVA
– Ex Distretto militare di Alessandria: fogli matricolari, classi 1851-1939; 1904-1927
(partigiani), scatole 5 (elenco).
AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE DI ALESSANDRIA
– ex Ufficio del registro di Alessandria: denunce di successione, 1967-1984, bb. 443
(elenco).
DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI ALESSANDRIA
– Cooperative cessate, 1947-2006, bb. 37 (elenco).
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Trasferimenti
249
ARChIVIO DI STATO DI TORINO
– Ex Distretto militare di Alessandria: liste di leva di Novi Ligure e Tortona, classi
1814-1879, una cartella e regg. 77
Ve r s a m e n t i
ANCONA
qUESTURA DI ANCONA
– Attentato alla Stazione di Bologna, Picciafuoco Sergio, 1981-2009, fascc. 4, una
busta.
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ANCONA
– Assistenza ai carcerati, resoconti spese carceri, notizie di reato, repertori alfabetici, registro certificati e registro proventi di cancelleria, 1903-1979, bb. 50, regg.
25.
CENTRO DOCUMENTALE DI ANCONA
– Ruoli matricolari per le province di Ancona e Pesaro Urbino, Liste di leva dei comuni
della provincia di Ancona, classe 1943, bb. 5, regg. 26, una rubrica.
GUARDIA DI FINANZA. COMANDO PROVINCIALE DI ANCONA
– Fascicoli personali, 1830-1904, fascc. 1.123 in bb. 40.
Depositi
– Sig. Giorgio Giostra: archivio privato Ferretti Ricotti di Camerano, secc. xVI-xIx,
bb. 17.
– Famiglia Filonzi Ducci: archivio dell’architetto Neampotisto Filonzi Ducci
(1943-2002), 1965-2001, bb. 191, contenitori per elaborati progettuali 8, portarotoli 10.
Doni
– Famiglia Luchetti Gentiloni: archivio dell’architetto Amos Luchetti Gentiloni (18891969), 1912-1969, bb. 12, contenitori per elaborati progettuali 8.
– Famiglia Jannaci: archivio privato e biblioteca di Giuseppe Domenico Jannaci, studioso di storia locale, 1878-2010, bb. 183, voll. 744.
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250
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ve r s a m e n t i
ASCOLI PICENO
CENTRO DOCUMENTALE DI ANCONA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Ascoli Piceno, classe 1943, bb.6 (elenco)
– Ruoli matricolari, classe 1943, rubriche 12 (elenco).
TRIBUNALE ORDINARIO DI ASCOLI PICENO
– Sentenze civili, 1883-1970, voll. 139.
– Decreti ingiuntivi, 1923-1970, bb. 41.
– Contenzioso civile, 1926-1970, regg. 11, rubriche 8.
– Fascicoli civili, 1942-1970, bb. 529.
– Fallimenti, 1942-1979, bb. 314, un registro, una rubrica.
– Ricorsi per fallimento, 1948-1970, bb. 35.
– Istanze di fallimento, 1962-1968, regg. 2, una rubrica.
– Gratuito patrocinio, 1966-1971, regg. 9 (elenco).
– Volontaria giurisdizione, 1968-1970, bb. 6.
– ex Pretura di Ascoli Piceno: giudizi di graduazione, 1912-1936, bb. 13; tutele, 19121936, bb. 12; fascicoli penali, 1928-1970, bb. 410; sentenze penali, 1928-1970, voll.
49; fascicoli civili, 1928-1970, bb.221; sentenze civili, 1928-1970, voll. 47; contenzioso civile, 1932-1957, rubriche 19; decreti penali, 1935-1970, voll. 40; registri penali con rubriche, 1937-1970, regg. 52, rubriche 4; decreti ingiuntivi, 1941-1970,
bb. 30; fascicoli volontaria giurisdizione, 1941-1970, bb. 55; fascicoli esecuzione
mobiliare, 1942-1970, bb.106; registri esecuzione mobiliare, con rubriche, 19421970, regg. 10, rubriche 17; rubriche affari civili non contenzioso, 1950-1973, rubriche 9; (elenco).
– ex Pretura di Arquata del Tronto: fascicoli penali, 1928-1933, bb. 17 (elenco).
Ve r s a m e n t i
AVELLINO
CENTRO DOCUMENTALE DI SALERNO
– Ruoli matricolari dei sottufficiali, classi 1902-1934, bb. 9.
– Ruoli matricolari, classi 1926-1928, regg. 48
– Esiti di leva, classe 1943, voll. 11.
Doni
– Vincenzo Del Sordo: archivio familiare, 1763-2001, bb. 2.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ve r s a m e n t i
BARI
251
TRIBUNALE ORDINARIO DI TRANI.
– ex Sezione distaccata di Barletta, 1936-1970, bb. 849, regg. 89, voll. 181, rubriche16.
DIPARTIMENTO
BARI
DI
PER LA GIUSTIZIA MINORILE
– 1959-1962, bb. 23.
- UFFICIO
DI SERVIZIO SOCIALE PER I MINORENNI
CORTE DI APPELLO DI BARI
– 1961-1999, bb. 62, regg. e voll. 97.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA
– Fascicoli processuali, 1997-2000, bb. 1.678, CD ROM 1
CENTRO DOCUMENTALE DI BARI
– Fogli matricolari, classi 1941-1942, bb. 109.
– Ruoli matricolari, classi 1941-1942, regg. 95, rubriche 2.
– Liste di leva, classi 1935-19421, voll.140
CAPITANERIA DI PORTO DI BARI:
– Fogli matricolari e caratteristici (mod. 1884) dei compartimenti marittimi di Bari e
di Molfetta, classi 1901-1939, regg. 358.
REGIONE PUGLIA, SERVIZIO DEMANIO E PATRIMONIO, UFFICIO PATRIMONIO E ARChIVI
– Ex Ufficio del medico provinciale di Bari2, 1913-1979, bb. 886, regg. 99
Restituzione
– Con verbale in data 8 settembre 2014 è stato riconsegnato l’archivio dell’Università
degli studi di Bari, depositato nel 1998.
1
2
Ciascun anno si riferisce a 47 comuni, il 1942 a 48 comuni.
Soppresso con legge 23 dic..1978 e successiva legge regionale 20 lug. 1984.
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252
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ve r s a m e n t i
BELLUNO
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Belluno, classe 1943, regg. 70.
Doni
– Anna Mandarino: carte di Arcangelo Mandarino (1920-1991), procuratore della Repubblica di Belluno e pubblico ministero nel processo del Vajont, 1942-1991, una
busta contenente anche fotografie 149.
Ve r s a m e n t i
BENEVENTO
qUESTURA DI BENEVENTO.
– Divisione anticrimine: 1880-1997, fascc. 13.071 in bb. 298.
Ve r s a m e n t i
BERGAMO
PREFETTURA DI BERGAMO
– Gabinetto e Protezione Civile, 1960-2004, bb. 860, regg. 100.
qUESTURA DI BERGAMO
– Fascicoli dei pregiudicati, 1932-1968, bb. 135.
TRIBUNALE ORDINARIO DI BERGAMO
– Curatore fallimentare ditta Vamatex spa: 1982-1998, bb. 200.
CENTRO DOCUMENTALE DI BRESCIA3
– ex Distretti militari di Bergamo e Treviglio: ruoli e fascicoli matricolari, classi 19341943, bb. e regg. 259.
3
I Distretti militari di Bergamo e di Treviglio sono stati soppressi nel 1965 e assorbiti dal Distretto
militare di Monza, a sua volta soppresso nel 1996 e sostituito da quello di Brescia.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
COMUNE DI RANICA (BG)
253
– Ufficio del Giudice conciliatore, 1866-1995, bb. 21.
Depositi
– AZIENDA OSPEDALIERA «PAPA GIOVANNI xxIII» DI BERGAMO: 1395-sec. xx, bb. 917,
scatole 52, cartelle disegni 2, regg. 245.
– Fondazione Misericordia Maggiore di Bergamo: sec. xIx, bb. 334.
BIELLA
Ve r s a m e n t i
TRIBUNALE ORDINARIO DI BIELLA
– 1964-1980, scatole 85 (elenco).
– ex Pretura di Biella: 1979-1980, scatole 15 (elenco).
Ve r s a m e n t i
BOLOGNA
TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA
– Fascicoli 10/83, 5183,13185, 1/88 R.G. Corte d’Assise, 1983-1995, bb. 24.
CENTRO DOCUMENTALE DI BOLOGNA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Bologna, classe 1943,voll. 68.
– Ruoli matricolari di Bologna e Ferrara, classe 1943, voll. 39.
Ve r s a m e n t i
BOLZANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLZANO
– ex Pretura di Brunico: sentenze civili e penali, 1961-1970, voll. 49.
– ex Pretura di Monguelfo: sentenze civili e penali, 1955-1970, voll. 29.
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Bolzano, classe 1943, regg. 117.
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254
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
CENTRO DOCUMENTALE DI TRENTO
– Fogli matricolari e carteggio vario dei militari di truppa, dei graduati delle varie
armi e forze di polizia, classi 1943-1944, bb. 50.
– Ruoli matricolari, rubriche e elenco nominativo, classi 1943-1944, regg. 38.
RAGIONERIA TERRITORIALE DELLO STATO DI BOLZANO
– Conti giudiziali di diversi uffici statali e depositi definitivi estinti della Cassa depositi
e prestiti, a campione, 1935-2005, bb. 3.
Ve r s a m e n t i
BRESCIA
AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI BRESCIA
– Contenzioso, a campione, 1930-1994, bb. 47.
– Affari consultivi, a campione, 1956-1983, bb. 2.
– Fallimenti e pignoramenti, a campione, 1958-1994, una busta.
– Affari d’ordine, a campione, 1963-1987, una busta.
qUESTURA DI BRESCIA
– Fascicoli del casellario giudiziario, 1950-1969, bb. 218.
CENTRO DOCUMENTALE DI BOLOGNA4
– Liste di leva dei comuni della provincia di Brescia, classe 1943, bb. 198.
CENTRO DOCUMENTALE DI BRESCIA
– Fascicoli matricolari e note caratteristiche, classi 1910-1926, fascc. 11.
Ve r s a m e n t i
BRINDISI
TRIBUNALE ORDINARIO DI BRINDISI
– Ex Ufficio di conciliazione di Brindisi, 1852-1998, bb., voll. e regg. 463 (elenco).
4
A seguito della soppressione del Distretto militare di Brescia avvenuta nel 2002, le sue competenze in materia di leva militare sono passate al Distretto militare, poi Centro documentale, di Bologna.
Il Centro documentale di Brescia, competente per il territorio delle province di Brescia e Cremona, è
stato istituito il 1° luglio 2007.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
CENTRO DOCUMENTALE DI LECCE
255
– Liste di leva dei comuni della provincia di Brindisi, classe 1943, regg. 19 (elenco).
CAPITANERIA DI PORTO DI BARI5
– Capitaneria di porto di Brindisi: fogli matricolari e caratteristici (mod. 1884) dei comuni della provincia di Brindisi, classi 1928-1939, regg. 31 (elenco).
AGENZIA DELLE DOGANE. UFFICIO DI BRINDISI
– Registri a rigoroso rendiconto, 2008, regg. 37 (elenco).
CAGLIARI
Ve r s a m e n t i
COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SARDEGNA
– Sentenze, 1949-1973, bb. 92.
Doni
– Nelia Pili: documenti dell’archivio del «Villaggio San Francesco», fondato da p.
Francesco Solinas per accogliere ragazzi in condizioni di difficoltà sociale e familiare, 1946-2008, fascc. 8, un registro (integrazione di precedente donazione).
Ve r s a m e n t i
CALTANISSETTA
TRIBUNALE ORDINARIO DI CALTANISSETTA
– Fascicoli fallimentari, 1958-1972, bb. 261.
Ve r s a m e n t i
CATANIA
AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI CATANIA
– Contenzioso, 1972-1974, bb. 7.
I registri relativi ai fogli matricolari e caratteristici (Mod. 1884), appartenenti al Compartimento
marittimo di Brindisi, erano conservati presso l’Ufficio mobilitazione e matricola della Capitaneria di
Porto di Bari.
5
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256
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Consultivo, 1972-1974, bb. 4.
– Ordine, 1974, una busta.
CENTRO DOCUMENTALE DI CATANIA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Catania, classe 1943, regg. 60.
– Elenchi degli emigrati e deceduti, classe 1943, una busta.
UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA SICILIA
– Ufficio xII. Ambito territoriale per la provincia di Catania: 1951-1996, bb. 60.
Ve r s a m e n t i
CENTRO DOCUMENTALE
CATANZARO
DI
CATANZARO
– Liste di leva dei comuni della provincia di Catanzaro, classe 1943, voll. 109
(elenco).
– Fogli matricolari con rubriche, classe 1943, regg. 25.
ChIETI
Ve r s a m e n t i
qUESTURA DI ChIETI
– Categoria A8- Sorvegliati politici, 1951-1974, fascc.5.
CENTRO DOCUMENTALE
DI
ChIETI
– Liste di leva dei comuni della provincia di Chieti, classi 1942-1943, regg. 204
(elenco).
– Ruoli matricolari dei distretti militari di Chieti, L’Aquila e Sulmona, 1909-1943,
bb.86 e regg. 64 (elenco).
Doni
– Adriano Cianfarani Chiodi e Francesco Chiodi: carte di Valerio Cianfarani (19121977), archeologo e soprintendente per gli Abruzzi e il Molise dal 1947 al 1973, bb.
30 (elenco).
– Paola e Donatella Villante: carte di Donato Villante (1894-1957) e Ennio Villante
(1924-2011), architetti di Vasto, pezzi 435 (inventario).
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ve r s a m e n t i
COMO
257
TRIBUNALE ORDINARIO DI COMO
– Civile: ruoli generali, 1942-1974, regg. 32; sentenze, 1960-1974, voll. 93 (elenco).
– Penale: registri generali, 1963-1974, regg. 10, rubriche 2, 1967-1974; sentenze,
1965-1974, voll. 59; registri generali II grado appelli su pretori, 1964-1975, regg.
3, una rubrica, 1961-1970; Camera di consiglio, 1964-1967, un registro (elenco).
– Ufficio del Giudice istruttore: 1967-1974, bb. 70; registri generali, 1967-1974, regg.
9, rubriche 7, 1965-1974 (elenco)
– Corte d’assise di Como: sentenze, 1966-1973, voll. 2; fascicoli processuali, 19661974, bb. 43; registro generale, 1966-1977, un registro (elenco).
– ex Pretura di Cantù: infortuni sul lavoro, 1958-1982, un registro; impugnazioni
provvedimenti penali, 1958-1990, regg. 3; conciliazioni, 1958-1998, voll. 17; ruoli
contenzioso civile, 1958-1998, regg. 15, rubriche 4; sentenze civili, 1958-1998,
voll. 66 con una rubrica, 1993-1998; decreti ingiuntivi, 1958-1998, voll. 86; affari
penali, 1958-1998, regg. 89, rubriche 11; fascicoli civili a campione, 1958-1999,
fascc. 1.328; tutele, 1958-1999, bb. 9, un registro; successioni, 1958-1999, regg.
2, decreti penali, 1958-1999, voll. 33; sentenze istruttorie, 1958-1998, voll. 67; fascicoli penali a campione, 1958-1998, fascc. 2.115, mod. 29 voll. 39; esecuzione
civile, 1958-1998, regg. 25, rubriche 4, 1958-1999; registri generali di esecuzione
penale, 1958-1999, regg. 4; testamenti pubblicati, 1959-1998, voll. 29; ruolo generale contenzioso del lavoro, 1974-1989, un registro e una rubrica, 1974-1988;
contenzioso del lavoro, 1974-1989, fascc. 1.184; affidamento minori, 1983-1999,
un registro; rinunce eredità, 1984-1998, un registro; ruoli decreti ingiuntivi, 19861996, regg. 3 con rubriche, 1986-1998, regg. 5; (elenco).
TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCO
– Allegati di stato civile dei Comuni (tranne Lecco) 1866-2000, bb. 3.705 (elenco).
CENTRO DOCUMENTALE DI COMO
– Fogli matricolari, classi 1935-1944, bb. 681 (elenco).
Ve r s a m e n t i
CENTRO DOCUMENTALE DI CATANZARO
COSENZA
– Lista di leva dei comuni della provincia di Cosenza, classe 1943, voll. 16.
– Ruoli matricolari, classe 1943, voll. 26.
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258
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Recupero
SEZIONE DI ARChIVIO DI STATO DI CASTROVILLARI
– Carcere giudiziario di Castrovillari, 1861-1876, bb. 2 (documentazione rinvenuta
nel Castello aragonese, sede del carcere fino al 1995).
Ve r s a m e n t i
CREMONA
TRIBUNALE ORDINARIO DI CREMONA
– ex Pretura di Cremona: sentenze penali, 1917 e 1954, voll. 2 (elenco).
– ex Pretura di Cremona:decreti penali, 1920-1977, voll. 96 (inventario).
– ex Pretura di Cremona: sentenze civili, 1926, un volume (elenco).
– ex Pretura di Cremona:decreti ingiuntivi, 1942-1954, voll. 8 (inventario).
– ex Pretura di Casalmaggiore: decreti penali, 1947, un volume (elenco).
– ex Tribunale di Crema: verbali di conciliazione del Giudice istruttore, 1948-1949,
un volume (elenco).
– ex Tribunale di Crema: sentenze in materia agraria, 1948-1958, voll. 11 (inventario).
– ex Tribunale di Crema: sentenze di Stato Civile, 1948-1955, un volume (elenco).
– ex Tribunale di Crema: decreti ingiuntivi, 1948-1972, voll. 20 (inventario).
– ex Tribunale di Crema: sentenze civili, 1951-1972, voll. 40 (inventario).
– ex Tribunale di Crema: sentenze civili in Camera di consiglio, 1960-1963, un volume
(elenco).
– ex Pretura di Crema: decreti ingiuntivi, 1950-1973, voll. 25 (inventario).
– ex Pretura di Crema: sentenze civili, 1951-1972, voll. 27 (inventario).
CENTRO DOCUMENTALE DI BOLOGNA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Cremona, classe 1943, bb. 5 (elenco).
CENTRO DOCUMENTALE DI BRESCIA
– Ruoli matricolari e fascicoli personali, classi 1929-1943, bb. e regg. 646 (elenco).
DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI CREMONA
– Società Cooperative cessate, 1950-1995, bb. 65 (elenco).
– Orientamento e addestramento professionale, vertenze di lavoro, statistiche del mercato del lavoro, 1962-2008, bb. 49 (elenco).
Ex AZIENDA DI PROMOZIONE TURISTICA DEL CREMONESE
– ex Ente provinciale turismo, 1937-1989; 1997-1999, bb. e regg. 85 (inventario).
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Depositi
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
259
– COMUNE DI CREMONA, MUSEO CIVICO: carteggio Raccolta Risorgimento (completamento), 1860-1890, bb. 3 (inventario).
– COMUNE DI CREMONA, MUSEO CIVICO: carteggi della cosiddetta Raccolta Aroldi
(completamento), 1919-1936, bb. 23 (inventario).
– Camera di commercio di Cremona: società cessate, 1920-1954, bb. 2.971 (elenco).
– Associazione nazionale partigiani d’Italia, Comitato provinciale di Cremona: 19441998, bb. 46 (inventario).
Doni
– Lucia Zani: raccolta fotografica relativa alla Ditta Cavalli e Poli di Cremona per la
produzione di aste dorate, sec. xx, pezzi 288 (inventario).
Ve r s a m e n t i
CUNEO
GUARDIA DI FINANZA. COMANDO PROVINCIALE DI CUNEO
– Carte riguardanti le stragi di Bologna e di Ustica, declassificate giusta dpcm 22 aprile
2014, 1970-1980, docc. 27.
Ve r s a m e n t i
ENNA
CENTRO DOCUMENTALE DI CATANIA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Enna, classe 1943, pezzi 20.
Ve r s a m e n t i
FERMO
TRIBUNALE ORDINARIO DI FERMO
– Atti civili, penali e amministrativi, 1950-1981, scatole 402.
AGENZIA DELLE ENTRATE. DIREZIONE PROVINCIALE DI FERMO
– Dichiarazioni di successione, 1945-1970, ml 21.
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260
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ve r s a m e n t i
FERRARA
CENTRO DOCUMENTALE DI BOLOGNA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Ferrara, classe 1943, regg. 25.
FIRENZE
Ve r s a m e n t i
PREFETTURA DI FIRENZE
– 1960-2005: Affari di culto, bb. 25, ml. 3,57; Caserme forze di polizia e vigili del
fuoco, bb. 51, ml. 7,29; Depositi di oli minerali, bb. 25, ml. 3,60; Espropri per pubblica utilità, bb. 107, ml. 15,28.
TRIBUNALE MILITARE DI FIRENZE
– Fascicoli penali, 1917-1931, bb. 189, ml. 27.
– Registri vari, 1910-1931, regg. 32, ml. 2, 28.
– Registri delle sentenze e decreti, 1911-1931, regg. 75, ml. 5,35.
ISTITUTO COMPRENSIVO GUICCIARDINI - FIRENZE
– Registri scolastici delle soppresse scuole elementari «Cadorna», «Mameli», «Diaz»,
«La Monarchica», «Rossi», «Fucini», «Don Minzoni», 1895-1950, regg. 476, ml.
34.
Doni
– Società di mutuo soccorso fra i componenti il personale di servizio dell’Arcispedale
di S. Maria Nuova di Firenze: 1870-1980, bb. 137, regg. 78, voll. a stampa 86.
Ve r s a m e n t i
FOGGIA
CENTRO DOCUMENTALE DI BARI
– Liste di leva dei comuni della provincia di Foggia, classi 1935-1942, bb. 179
(elenco).
– Fogli e ruoli matricolari, classi 1937-1942, bb. 197 e regg. 178 (elenco).
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Doni
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
261
– Alfonso Arbore: archivio della famiglia Freda, 1640-1932, bb. 97 (inventario).
FORLÌ-CESENA
Ve r s a m e n t i
qUESTURA DI FORLÌ
– Bollettini di ricerche, 1913-1979, voll. 91 (elenco).
CENTRO DI ADDESTRAMENTO DELLA POLIZIA DI STATO DI CESENA
– Fascicoli personali, 1951-1972, b. 16 (elenco).
CENTRO DOCUMENTALE DI BOLOGNA
– ex Ufficio di leva di Forlì: liste di leva dei comuni della provincia di Forlì-Cesena,
Rimini e Ravenna, classe 1943, voll. 76 (elenco).
– Ruoli matricolari e rubriche nominative dei comuni della provincia di Forlì-Cesena,
Rimini e Ravenna, classe 1943, voll. 28 (elenco).
FROSINONE
Ve r s a m e n t i
CENTRO DOCUMENTALE DI ROMA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Frosinone, classe 1943, bb. 13.
GENOVA
Ve r s a m e n t i
qUESTURA DI GENOVA
– Divisione anticrimine, 1883-1944, fascc. 69.
– Commissariato di Genova San Fruttuoso, 1912-1975, fascc. 358.
– Commissariato di Genova Sestri Ponente, 1967-1972, fascc. 1.283.
TRIBUNALE ORDINARIO
DI
GENOVA
– 1942-1999, bb. e regg. 3.447.
– Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova, 1965-1968, regg. 5.
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262
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Ex Pretura di Genova, 1936-1999, bb. e regg. 5.275.
– Ex Pretura di Pontedecimo, 1848-1994, bb. e regg. 287.
– Ex Pretura di Sestri Ponente, 1956-1989, bb. e regg. 254.
– Ex Pretura di Torriglia, 1933-1964, bb. e regg. 50.
– Ex Pretura di Voltri, 1951-1989, bb. e regg. 366.
CENTRO DOCUMENTALE DI GENOVA
– Fogli matricolari partigiani, classi 1872-1933, bb. 24.
– Fogli matricolari truppa, classi 189-1943, una busta.
– Fogli matricolari sottufficiali, classi 1907-1930, bb. 15.
COMUNE DI RAPALLO
– Atti notarili, 1478-1593, filze 11.
Acquisti
– Lettera indirizzata a Cicco Simonetta, ante 1480.
Recuperi
– Atti insinuati di Genova, 1859 e Torriglia, 1864, regg. 2.
Ve r s a m e n t i
GORIZIA
PREFETTURA DI GORIZIA
– Attentato dinamitardo di Peteano 1972, 1972-1983, un fascicolo.
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA6
– Liste di leva dei comuni della provincia di Gorizia, classe 1943, regg. 25 (elenco).
CENTRO DOCUMENTALE DI UDINE7
– Ruoli matricolari, classi 1910-1913, bb. 23, regg. 7 (elenco).
Il Distretto militare, poi Centro documentale, di Padova dal 2002 è stato competente per tutte
le province della Regione Friuli Venezia Giulia.
6
7
Nel 1937 il Distretto militare di Gorizia venne soppresso e le sue competenze furono trasferite
in parte al Distretto militare di Udine e in parte a quello di Trieste.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
AGENZIA DELLE ENTRATE. DIREZIONE PROVINCIALE DI GORIZIA
263
– Registro inventario dei beni immobili del demanio di Gradisca d’Isonzo, 1938, un
registro.
AGENZIA DELLE ENTRATE. UFFICIO TERRITORIALE DI GORIZIA
– Catasto urbano, fogli di possesso fondiario, 1889-2013, scatole 225 (elenco).
Doni
– Loredana Degano Depetris: archivio personale dell’artista monfalconese Armando Depetris (1930-2011), 1948-2012, bb. 52, scatole 7, volumi a stampa 615
(elenco).
– Soroptimist International d’Italia, Club di Gorizia, 1966-2012, bb. 44, scatole 6, raccoglitori 6, riviste 181, un cd, un video.
ISERNIA
Ve r s a m e n t i
CENTRO DOCUMENTALE DI CASERTA
– ex Ufficio di leva di Campobasso: liste di leva dei comuni della provincia di Isernia,
classe 1936, regg. 52 (elenco).
L’AqUILA
Ve r s a m e n t i
AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI L’AqUILA
– 1956-1979, bb. 587 (elenchi).
qUESTURA DI L’AqUILA
– Gabinetto; Div. 2ª Anticrimine, 1900-1971, bb. 558.
CENTRO DOCUMENTALE DI ChIETI
– Liste di leva dei comuni della provincia de L’Aquila, classe 1943, bb. 7 (elenchi).
UFFICIO
DELLE DOGANE DI
L’AqUILA
– 1994-2002, bb. 18 (inventario).
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264
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ve r s a m e n t i
LA SPEZIA
PREFETTURA DI LA SPEZIA
– 1939-1976, bb. 12.
– 1947-2001, bb. 21.
Ve r s a m e n t i
LATINA
UFFICIO DELLE DOGANE DI GAETA
– Registri a rigoroso rendiconto, 1987-2007, regg. 184 (elenco).
CENTRO DOCUMENTALE DI ROMA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Latina, classe 1943, regg. 33 (elenco).
Ve r s a m e n t i
LECCE
PREFETTURA DI LECCE
– Controlli sulle opere in cemento armato, 1960-1988, bb.204.
qUESTURA DI LECCE
– Documenti relativi alle stragi non classificati o declassificati in ottemperanza alla
direttiva del Presidente del Consiglio del 22 apr. 2014, 1974-2007, fascc. 13.
CENTRO DOCUMENTALE DI LECCE
– Liste di leva dei comuni della provincia di Lecce, classe 1943, regg. 94.
COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA
– ex Commissione provinciale di appello di Lecce: verbali delle udienze e delle decisioni, 1937-1973, bb. 60.
Ve r s a m e n t i
LIVORNO
PROVVEDITORATO INTERREGIONALE PER LE
OPERE PUBBLIChE
TOSCANA MARChE E UMBRIA
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
265
– ex Ufficio speciale del Genio civile delle opere marittime di Livorno, 1969-1991,
disegni 433, ml. 6.
AGENZIA DELLE ENTRATE. UFFICIO TERRITORIALE DI PIOMBINO
– 1994-2001, bb. 23, ml. 2,50.
Doni
– Valeria Torregrossa: lettera al governatore di Livorno, 28 agosto.1777 e lettera al
gonfaloniere di Cascina, 29 aprile 1856, cc. 3
– Giuliana e Vittorio Moreno: archivio della famiglia Moreno, composta da commercianti e professionisti di spicco della comunità ebraica di Livorno e di quella italiana
a Tunisi, 1887-1930, bb.2 (integrazione di precedente donazione)
– Ilio Nencini: Commissione regionale riconoscimento qualifica partigiani che hanno
operato in Toscana, 1945-1947, cc.10
LUCCA
Ve r s a m e n t i
GUARDIA DI FINANZA. COMANDO PROVINCIALE DI LUCCA
– 1991-2002, bb. 46.
UFFICIO
SCOLASTICO REGIONALE PER LA
LA PROVINCIA DI
LUCCA
TOSCANA - UFFICIO xIII AMBITO TERRITORIALE
PER
– Diplomi scolastici e registri di protocollo e di statistica degli organici, 1889-2007,
bb. 306.
Acquisti
– Miscellanea di scritture relative alla famiglia Bottini, 1441-1778 e a Vincenzo Torselli,
direttore generale delle Finanze in epoca borbonica, 1836-1850, una bus
Ve r s a m e n t i
qUESTURA DI MACERATA
MACERATA
– Persone pericolose per la sicurezza dello Stato, 1973, una busta.
– Casellario permanente di Polizia giudiziaria, 1973, bb. 5 (elenco ).
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266
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
TRIBUNALE ORDINARIO DI MACERATA
– Atti civili e penali, 1927 -1972, bb., voll. e regg. 1.060 (elenco).
– ex Pretura di Macerata: atti civili e penali, bb. voll. e regg. 504 (elenco).
– Corte di assise di Macerata: atti penali, 1951-1972, bb. 38 (inventario).
– Corte di assise di Macerata: Sezione speciale, 1945-1947, con docc. del 1944 e del
1950, bb. 4 (inventario).
CENTRO DOCUMENTALE DI ANCONA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Macerata, classe 1943, cartelle 4 (elenco).
– ex Distretto militare di Macerata: ruoli matricolari, classe 1943, regg. e rubb. 11
(elenco).
Doni
– Renata Coen Pirani, Marzia e Linda Luchetti di Filottrano, a nome e per conto dell’ing. Glauco Luchetti Gentiloni: archivio Giacomo Costantino Beltrami (Bergamo,
1779 - Filottrano, 1855), esploratore e patriota, 1808-1870 ca., scatoloni 2 (integrazione di precedente dono).
Ve r s a m e n t i
SEZIONE DI ARChIVIO DI STATO DI CAMERINO
AGENZIA DELLE ENTRATE – UFFICIO TERRITORIALE DI MACERATA -
– Conservatoria dei registri immobiliari di Camerino: titoli, note e trascrizioni, 18161973, bb. 129 e voll. 1.719 (elenco).
Ve r s a m e n t i
MANTOVA
PREFETTURA DI MANTOVA
– Gabinetto 1970-1974, bb. 99, protocolli 4, rubriche 5, ml. 14.
CENTRO DOCUMENTALE DI VERONA
– Fascicoli personali, classi 1908-1937, fascc. 255, ml. 8.
– Fascicoli personali di sottufficiali, classi 1891-1900, fascc. 43, ml. 1,5; classi 19021942, fascc. 107, ml. 5,5.
– Fascicoli matricolari e personali dei sottufficiali, classi 1901-1938, fascc. 127,
ml. 6,
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
267
PROVVEDITORATO INTERREGIONALE ALLE OPERE PUBBLIChE PER LA LOMBARDIA E L’EMILIA ROMAGNA
– Magistrato alle acque per le province venete e di Mantova - Nucleo operativo di
Mantova, 1900-2005, bb. 740, regg. 65 e mappe su lucidi arrotolate 9 scatoloni,
ml. 120.
Ex
UFFICIO DEL GENIO CIVILE DI MANTOVA
– Prima metà sec. xIx-2000, ml. 280.
Doni
– Riccardo Balzarotti: lettera del comandante della piazzaforte di San Giorgio al generale Miolis, 22 giugno 1797.
– Milena Vaini: rogito notarile del 27 gennaio 1855 del notaio Anastasio Siliprandi.
– Bricio Boni: libretto personale e certificato di congedo illimitato del 28 agosto 1882
di Marcello Boni, nato a Viadana l’8 febbraio 1859.
– Adriano Rossi: atti Ufficio ipoteche e conservatoria di Mantova, sec. xIx, una
busta.
Acquisti
– Lettera di Carlo V al duca di Mantova del 21 giugno 1532.
MASSA
Doni
– Famiglia Remedi: archivio della famiglia Pelliccia, 1570-sec. xx, con in particolare
le carte di Ferdinando Pelliccia, scultore e direttore dell’Accademia di belle arti di
Carrara tra il 1846 e il 1895; archivio della famiglia aristocratica di Sarzana Remedi,
secc. xVIII-xIx, ml. 2 e opuscoli a stampa, sec. xIx, ml. 15.
– Carte di Giovanni Morabito, presidente dell’Ordine dei geologi della Toscana, 19702007, ml. 4, disegni 100, carte geologiche 21.
Depositi
COMUNE
sito).
DI
SEZIONE ARChIVIO DI STATO DI PONTREMOLI
PONTREMOLI: 1962-1973, bb. e regg. 450 (integrazione di precedente depo-
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268
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ve r s a m e n t i
MATERA
PREFETTURA DI MATERA
– Sanzioni per violazioni bancarie, 2004-2009, bb. 105 (elenco).
CENTRO DOCUMENTALE DI BARI
– Liste di leva dei comuni della provincia di Matera, classi 1935-1942, regg. 233
(elenco).
AGENZIA DELLE ENTRATE - DIREZIONE PROVINCIALE DI MATERA
– Ex Ufficio del registro di Genzano di Lucania: successioni, 1910-1934, bb. 27
(elenco).
– Ex Ufficio del registro di Irsina: successioni, denunzie di usufrutto, 1872-1937,
bb. 24 (elenco).
– Ex Ufficio del registro di Matera: successioni, denunzie di usufrutto, atti pubblici
e privati, 1915-1982, bb. 165, regg. 492 (elenco).
– Ex Ufficio del registro di Montescaglioso: successioni, 1878-1923, bb. 41 (elenco).
– Ex Ufficio del registro di Pisticci: successioni, denunzie di usufrutto, atti privati,
registri modelli I e II, 1883-1948, bb. 97, regg. 25 (elenco).
– Ex Ufficio del registro di Rotondella: successioni, 1927-1949, bb. 38 (elenco).
– Ex Ufficio del registro di Stigliano: successioni, denunzie di usufrutto, atti privati,
registri vecchio catasto, 1860-1949, bb. 147, regg. 182 (elenco).
– Ex Ufficio del registro di Tricarico: successioni, denunzie di usufrutto, 1879-1973,
bb. 128 (elenco).
DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO - POTENZA
– Ex Direzione provinciale del lavoro – Matera: fascicoli ispettivi sulle ditte della
provincia, 1966-2014, bb. 609 (elenco alfabetico delle ditte vigilate).
Ve r s a m e n t i
MESSINA
CORTE DI APPELLO DI MESSINA
– Fascicoli cause civili camerali, 1940-1970, bb.62.
– Fascicoli civili, 1942-1970, bb.515.
– Sentenze civili, 1955-1970, voll.139.
– Sentenze penali, 1955-1979, voll.113.
– Rubriche sentenze civili, 1928-1969, rubriche 15.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Rubrica del Registro generale penale, 1943, una rubrica.
269
– Rubrica ruolo generale Affari civili contenziosi, 1966-1968, una rubrica.
– Rubriche sentenze penali, 1973-1984, rubriche 2.
– Rubrica sentenze Magistratura del lavoro, una rubrica.
TRIBUNALE PER I MINORENNI DI MESSINA
– Riabilitazioni, 1964-1970, una busta.
– Procedimenti penali dibattimentali, 1971-1973, bb.63.
– Procedimenti penali camerali, 1971-1973, bb.6.
CENTRO DOCUMENTALE DI CATANIA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Messina, classe 1943, regg. 8.
Ve r s a m e n t i
MILANO
qUESTURA DI MILANO:
– Documenti sulla strage di Peteano, 1972-1992, una busta.
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
– Registri dei ruoli generali penali, 1960-1964, regg. 13
– Rubriche alfabetiche delle sentenze di separazione, 1964-1973, regg. 10.
CENTRO DOCUMENTALE DI MILANO
– Rubriche, fogli e ruoli matricolari degli ex Distretti militari di Milano, Monza e
Lodi, classe 1925, bb. 179, regg. 45, rubriche 3.
Depositi
– AZIENDA OSPEDALIERA GUIDO SALVINI DI GARBAGNATE MILANESE: archivio Casati, sec. xIx, bb. 175 e regg. 230; archivio Pio Istituto di Santa Corona, 18191978, bb. 2.170, regg. 671, scatoloni 16; archivio ex Ospedale psichiatrico
Antonini di Limbiate, 1871-1970, bb. 2.280, scatole 1.700 (pari a circa bb. 3.400),
regg. 115.
– ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE CARLO CATTANEO MILANO: Commissione dei pesi
e misure e Giunta metrica, prima metà sec. xIx, bb. 14, regg. 2, un pacco.
Doni
– Maria Emilia Zoja: archivio famiglia Cossa, 1548-sec. xx, bb. 4
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270
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Marianna Poli: corrispondenza di Marianna Montale Vignolo (sorella del poeta) con
l’amica Ida Zambaldi, 1908-1938, bb. 6.
Acquisti
– Fotografie de «Il Popolo d’Italia», 1925-1943, raccoglitori piccoli 27, raccoglitori grandi
2 e una, scatola, contenenti in totale 3.318 fotografie, una busta con 112 carte sciolte.
Ve r s a m e n t i
MODENA
CENTRO DOCUMENTALE
DI
BOLOGNA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Modena, classe 1943, regg. 49.
– Liste di leva dei comuni della provincia di Reggio Emilia, classe 1943, regg. 47.
– Ruoli matricolari dei comuni delle province di Modena e Reggio Emilia, classe1943,
regg. 29, una rubrica.
Ex
DIPARTIMENTO
DELL’ISPETTORATO CENTRALE DELLA TUTELA DELLA qUALITà E DELLA RE-
PRESSIONE FRODI DEI PRODOTTI AGROALIMENTARI
- LABORATORIO DI MODENA
– Istituto sperimentale agronomico di Modena, Servizio repressione frodi, protocollo,
1973, regg. 2.
Ve r s a m e n t i
NAPOLI
CENTRO DOCUMENTALE DI NAPOLI
– Liste di leva dei comuni della provincia di Napoli, classe 1943, voll. 118.
GUARDIA DI FINANZA – NUCLEO DI POLIZIA TRIBUTARIA DI NAPOLI
– 1968-1973, scatole 18.
GUARDIA DI FINANZA – TENENZA DI CAPODIChINO
– 1993-2004, bb. 4.
GUARDIA DI FINANZA – TENENZA DI CAPRI
– 1987-2005, scatole 19.
GUARDIA DI FINANZA – GRUPPO DI TORRE ANNUNZIATA
– Carte di pubblica sicurezza, 1986-2002, una scatola.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Doni
271
– Elisabetta Biasutti di Venezia: bolla di Gregorio xIII, febbraio 1572, una pergamena
– Augusto de Lutzenberger e Emilio Casella di Napoli, archivio di Francesco Antonio
Casella (Napoli, 1819-1894), avvocato, magistrato, erudito, ministro della Polizia
con Francesco II, 1785-1893, una busta.
Ve r s a m e n t i
NOVARA
PREFETTURA DI NOVARA
– Protezione civile, 1992-2002, bb. 12.
– Affari di culto, 2001, bb. 20.
qUESTURA DI NOVARA
– Cat. A2, 1934-1965, bb. 19.
– Cat. A3a e A3b e B1b, 1967-1970, bb. 5.
TRIBUNALE ORDINARIO DI NOVARA
– Sentenze civili, 1942; 1965-1937, voll. 38.
– Cancelleria contenzioso civile, 1952-1962, una busta.
– Repertorio, 1962-1971, regg. 5.
– Cause civili, 1963-1972, bb. 298.
– Volontaria giurisdizione, 1964-1972, bb. 21.
– Decreti ingiuntivi, 1965-1973, voll. 24.
– Ruolo generale civile, 1966-1971, regg. 7.
– Sentenze civili emesse in camera di consiglio, 1969-1972, voll. 4.
– ex Pretura di Novara: fascicoli civili, 1994-1999, bb. 11.
COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI NOVARA
– Decisioni della Commissione distrettuale, 1966-1967, bb. 3.
AGENZIA DELLE ENTRATE – SPORTELLO DI ARONA
– Ex Ufficio territoriale di Arona:
– Atti pubblici, sec. xx, regg. 329.
– Atti privati, sec. xx, regg. 128.
– Denunce di successione, 1952-1972, bb. 105.
– Locazioni, 1962-1997, regg. 30.
– ex Ufficio del registro: scadenzari, 1975-1977, regg. 50.
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272
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Pene pecuniarie e spese di giustizie, 1991-1997, regg. 12.
UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL PIEMONTE. AMBITO TERRITORIALE PER LA PROVINCIA
DI NOVARA
– Ex Ufficio scolastico provinciale di Novara: registri degli esami di maturità, 19641966, regg. 89.
NUORO
Ve r s a m e n t i
TRIBUNALE ORDINARIO DI NUORO
– Atti dei notai, 1907-1928, bb. 2.
– Controversie di lavoro,1931-1937, una busta.
– Fascicoli penali, 1933-1973, bb 329, ml. 67.
– Sentenze penali, 1933-1973, voll. 58, ml. 6.
– Sanzioni contro il fascismo, 1945-1946, una busta.
– Terre incolte, procedimenti, 1945-1957, bb. 8, ml. 1.
Depositi
ORISTANO
– Società bonifiche sarde: 1912-1989, bb., regg., carte sciolte, 600 ml; fotografie
2.476; lastre e negativi, 1.704; lucidi 1.723; rotoli di disegni e di progetti, 2.500
(elenco) (custodia coattiva ex art.43 d.lgs. 42/04).
Doni
– Famiglia Pili: carte di Paolo Pili (1891-1985), uomo politico, esponente del sardofascismo,: relative al Partito sardo d’azione e al Partito nazionale fascista, 19211949, bb. 2 (fascc. 50).
Ve r s a m e n t i
qUESTURA DI PADOVA
PADOVA
– Ufficio di gabinetto, 1969-1985, bb. 5.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
ARChIVIO NOTARILE DISTRETTUALE DI PADOVA
273
– 1875-1922, bb. 233, regg. 51.
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Padova, classe 1943, regg. 105.
Ve r s a m e n t i
PARMA
DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI PARMA
– Schede emigrati all’estero, 1946-1951, 6000 circa..
– Cooperative: fascicoli ispettivi, registro riepilogativo, schedario, 1945-2008, bb.
232, un registro, schede 2.500 circa (elenco).
Ve r s a m e n t i
PERUGIA
AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI PERUGIA
– 1961-1973, fascc. 3.885 (elenco).
ARChIVIO NOTARILE DISTRETTUALE DI PERUGIA
– Volumi di atti notarili originali, repertori, indici, testamenti relativi a 13 notai cessati
anteriormente al 1888, 1881-1888, regg. 300 (inventario).
CENTRO DOCUMENTALE DI PERUGIA
– Ruoli matricolari, classi 1937-1938, regg. 32 e due rubriche.
– Liste di leva dei comuni della provincia di Perugia, classi 1942-1943, regg. 118.
DIREZIONE REGIONALE DEL LAVORO DELL’UMBRIA
– Statistiche su vigilanza zone terremotate e sicurezza del lavoro nei cantieri edili e
indagini conoscitive sugli infortuni sul lavoro, corrispondenza con altri enti, rapporti
informativi, relazioni annuali sull’attività dell’Ispettorato del lavoro, 1961-2006, bb.
13 (elenco).
Doni
– Miscellanea Conestabile della Staffa, famiglia nobile perugina, secc. xIV- xx, pezzi
600.
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274
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Carte di Marsilio Magnini (1923-2010), medico e appassionato di storia locale,
1850-1990, bb. 165, album fotografici 6, regg. 3 (elenco).
– Società per l’essiccamento dei bozzoli. Anonima cooperativa a capitale illimitato
con sede in Perugia, 1910-1936, bb. 2 (inventario).
– Carte di Marzio Modena (1936-2006), noto avvocato perugino esponente di spicco
della Destra umbra, 1927-2005, bb. 3 (elenco).
– Bruno Orfei (1926-2007), artista perugino docente di pittura e scultura ai corsi internazionali presso l’ Accademia di Belle Arti «Pietro Vannucci», 1947-2006, cartelle
5, album-raccoglitori 11, una scatola di videocassette, targhe premio (elenco).
Acquisti
– Indice generale del marchesato della famiglia Bourbon del Monte di Santa Maria
di Perugia, vol. II, sec. xVIII.
– Carte di Giuseppe Bellucci (1844- 1921), scienziato, antropologo e collezionista,
docente di chimica presso l’Università degli studi di Perugia, grande appassionato
di archeologia e preistoria, 1665-1950, bb. 21 (inventario).
– Documenti e opere a stampa sul Risorgimento a Perugia, raccolti da Giuseppe Bellucci, pezzi 55 (inventario a stampa consultabile all’indirizzo: <siusa.archivi. beniculturali.it/inventari-pdf/umbria/Inventario_Risorgimento_rosso.pdf>).
Doni
SEZIONE DI ARChIVIO DI STATO DI ASSISI
– Carte di Umberto Giacanella (1917-1995), insegnante e studioso di storia e tradizioni
locali, 1946-1995, bb. 24 (inventario).
Depositi
SEZIONE DI ARChIVIO DI STATO DI FOLIGNO
– ASILO «GIUSEPPE GARIBALDI» DI FOLIGNO: 1862-1991, bb. 79, regg. 142 (inventario
a stampa).
Ve r s a m e n t i
CENTRO DOCUMENTALE DI ANCONA
PESARO
– Liste di leva dei comuni della provincia di Pesaro e Urbino, classe 1943, regg. 60, ml. 1.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE DELLE MARChE – ASUR PESARO
275
– Ex Congregazione di carità, ECA., IRAB di Pesaro, 1860-1981, verbali degli organi
collegiali, regolamenti, contratti, progetti, pezzi 457.
TRIBUNALE ORDINARIO DI PESARO
– Fascicoli procedure fallimentari, 1967-2002, ml. 120.
Ex
PRETURA DI PESARO
Ex
PRETURA DI NOVAFELTRIA
Ex
PRETURA DI PERGOLA
– Sentenze civili, sentenze penali, decreti ingiuntivi, decreti ingiuntivi del lavoro, fascicoli cause penali, verbali di conciliazione, tutele, fascicoli trattamento sanitario
obbligatorio, registri generali affari penali e civili e registri. vari, 1959-1999, bb. e
regg. 1.817.
– Sentenze civili e penali, fascicoli processuali, registri affari civili e penali e registri
vari, 1977-1989, bb. voll. e regg. 75.
– Sentenze civili, verbali di conciliazioni, sentenze penali, decreti penali, decreti ingiuntivi, procedimenti civili contenziosi, procedimenti penali, esecuzioni penali, registri vari, 1870-1989, bb. voll. e regg. 771.
AGENZIA DELLE ENTRATE – UFFICIO TERRITORIALE DI PESARO
– Successioni, distretto di Urbino, 1861-1972, pezzi 234.
– Successioni, distretto di Fano, 1945-1972, pezzi 94.
– Successioni, distretto di Pergola, 1945-1972, pezzi 59.
– Successioni, distretto di Fossombrone, 1945-1972; pezzi 36.
– Successioni, distretto di Cagli, 1861-1872, pezzi 158.
– Successioni, distretto di Macerata Feltria, 1925-1972, pezzi 77.
Doni
– W.W.F. Sezione di Pesaro, verbali riunioni e materiale vario, 1969-1999, ml. 2.
Ve r s a m e n t i
qUESTURA DI PESCARA
PESCARA
– Repressione frodi, 1986-2002, bb. 2, regg. 60.
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276
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
CENTRO DOCUMENTALE DI ChIETI
– Liste di leva dei comuni della provincia di Pescara, classe 1943, bb. 3.
COMANDO PROVINCIALE CARABINIERI DI PESCARA
– 1948-1974, bb. 6
AZIENDA UNITà SANITARIA LOCALE DI PESCARA
– 1918-1980, regg. 123
Ve r s a m e n t i
PIACENZA
PREFETTURA DI PIACENZA
– Servizi comuni, 1943-2001, bb. 18 (elenco).
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PIACENZA
– Alienati: fascicoli personali, 1908-1978, bb. 47, pacchi 8 (elenco).
CENTRO DOCUMENTALE DI BOLOGNA
– ex Distretti militari di Piacenza e di Parma: ruoli matricolari, classi 1942-1943, voll.
43, rubriche 2 (elenco).
– Liste di leva dei comuni delle province di Piacenza e di Parma, classi 1942-1943,
voll. 196 (elenco).
DIPARTIMENTO MILITARE DI MEDICINA LEGALE DI MILANO
– ex Ospedale militare di Piacenza, 1915-1971, bb. e voll. 3.397 (elenco).
Depositi
– Istituto scolastico paritario San Vincenzo: 1903-2014, con docc, dal 1843, bb, 90,
pacchi 200, regg, e voll, 230 (elenco).
Doni
– Paolo Schenoni Visconti: carte dello storico locale Guido Schenoni Visconti (19111995) relative alla storia delle alte valli dei fiumi Taro e Ceno, in particolare delle
opere fortificate della zona e delle famiglie Bardi e Compiano, sec. xx, bb. 3
(elenco).
Acquisti
– Carte del musicista Giuseppe Nicolini (1762-1842), 1790-1841, fascc. 2.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
PORDENONE
Ve r s a m e n t i
277
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA8
– Liste di leva della provincia di Pordenone, classe 1943, regg. 50.
POTENZA
Ve r s a m e n t i
qUESTURA DI POTENZA
– Un timbro a secco
CENTRO DOCUMENTALE DI SALERNO
– Fascicoli personali di militari, classi 1895-1916, 1921, 1923, 1924, 1925, fascc.
22.441 (elenco).
– Ruoli matricolari dei comuni della provincia di Potenza, classe 1926, regg. 27.
– Liste di leva dei comuni della provincia di Potenza, classe 1943, regg. 23 (elenco).
Doni
PRATO
– Eredi Paoletti: carte di Carlo Paoletti (Montecatini 1930 - Prato 2007), studioso di
storia locale, 1950-2004, pezzi 176.
Ve r s a m e n t i
REGGIO CALABRIA
qUESTURA DI REGGIO CALABRIA
– Atti in copia relativi alla strage di Gioia Tauro del 1970, 1970-1971, un fascicolo.
SERVIZIO DI POLIZIA SCIENTIFICA - GABINETTO REGIONALE DI REGGIO CALABRIA
– Atti in copia relativi alla strage di Gioia Tauro del 1970, 1970-2001, un fascicolo.
Il Distretto militare, poi Centro documentale, di Padova dal 2002 è stato competente per tutte
le province della Regione Friuli Venezia Giulia.
8
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278
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI REGGIO CALABRIA
– Atti estradizione, rogatorie, sentenze penali, 1940-1970, bb, 46 (elenco).
– Esecuzioni penali, 1945-1970, bb. 35 (elenco).
– Registri penali, 1949-1981, regg. 15 (elenco).
– Firme autografe degli Ufficiali di stato civile, 1953-1957, b. 1 (elenco).
CENTRO DOCUMENTALE DI CATANZARO
– Liste di leva dei comuni della provincia di Reggio Calabria, classe 1943, regg. 100
(elenco).
– Ruoli matricolari, classe 1943, regg. 23 (elenco).
AGENZIA DEL DEMANIO
DI
REGGIO CALABRIA
– Registri contabili dei beni patrimoniali dello Stato, 1935-2000, regg. 16 (elenco).
– Fascicoli dei beni patrimoniali ceduti in proprietà a privati o enti, 1952-1973, bb. 8
(elenco).
Ve r s a m e n t i
SEZIONE DI ARChIVIO DI STATO DI PALMI
ARChIVIO NOTARILE DISTRETTUALE DI PALMI
– Atti originali tra vivi, repertori, indici, 1850-1943, voll. 465 (elenco).
– Atti ultima volontà, docc. 1.165; repertori di atti tra vivi, regg. 30; repertori di atti
di ultima volontà, regg. 19; indici di atti tra vivi, regg. 5, 1863-1913 (elenco).
– Copie atti pubblici, 1881-1913, bb. 68 (elenco).
– Atti pubblici amministrativi, 1898-1913, bb. 6 (elenco).
– Secondi originali di scritture private, 1900-1913, bb. 25 (elenco).
– Scritture private, 1908-1910, bb. 2 (elenco)
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI. UFFICIO DELLE DOGANE DI GIOIA TAURO
– Registri di carico merci del porto di Palmi, 1995-2000, voll. 278 (elenco).
Ve r s a m e n t i
REGGIO EMILIA
TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA
– sec. xIx fine -1966, bb. 8
– Società commerciali, sec. xIx fine -1966, bb. 9.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
279
– Commissione provinciale per le sanzioni contro il fascismo di Reggio Emilia, 19461947, bb. 2.
– Carabinieri, Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e Guardia nazionale repubblicana, 1926-1945, bb. 8.
MOTORIZZAZIONE CIVILE - UFFICIO DI REGGIO EMILIA
– Registri di immatricolazione di autoveicoli, motoveicoli, rimorchi, macchine agricole, 1955-1980, regg. 490 regg. (ml 16).
Ve r s a m e n t i
RIETI
CENTRO DOCUMENTALE DI ROMA
– Liste di leva dei comuni di Accumoli, Amatrice, Antrodoco, Ascrea, Belmonte Sabino,
Borbona, Borgo Velino, Borgorose, Cantalice, Cantalupo Sabino, Casaprota, Casperia,
Castel di Tora, Castelnuovo di Farfa, Castel Sant’Angelo, Cittaducale, Cittareale, Collalto Sabino, Colle di Tora, Collegiove, Collevecchio, Colli di Labro, Concerviano,
Configni, Contigliano, Cottanello, Fara Sabina, Fiamignano, Forano, Frasso Sabino,
Greccio, Labro, Leonessa, Longone Sabino, Magliano Sabino, Marcetelli, Micigliano,
Mompeo, Montebuono, Monteleone Sabino, Monte San Giovanni Sabino, Montopoli
Sabino, Morro Reatino, Nespolo, Orvinio, Paganico Sabino, Pescorocchiano, Petrella
Salto, Poggio Bustone, Poggio Catino, Poggio Mirteto, Poggio Moiano, Poggio Nativo, Poggio San Lorenzo, Posta, Pozzaglia Sabina, Rieti, Rivodutri, Roccantica, Roccasinibalda, Salisano, Scandriglia, Selci, Stimigliano, Tarano, Toffia, Torricella in
Sabina, Torri in Sabina, Turania, Vacone, Varco, classe 1943, regg. 76.
DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI RIETI
– Gestione dei cantieri; corsi di istruzione; relazioni speciali, 1950-1971, bb. 26.
Ve r s a m e n t i
RIMINI
AGENZIA DELLE ENTRATE – UFFICIO TERRITORIALE DI RIMINI
– ex Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Rimini: seconde copie dei partitari
del Catasto terreni, 1875-1960, voll. 713 (elenco).
Doni
– Associazione riminese per la ricerca storica e archeologica: 1995-2014, bb. 81
(elenco).
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280
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
ROMA
Ve r s a m e n t i
qUESTURA DI ROMA
– Categoria II. Casellario di polizia giudiziaria, 1950-1960, scatole 330.
CASA CIRCONDARIALE FEMMINILE DI REBIBBIA - ROMA
– Registri dell’Ufficio matricola, 1928-1948, ml. 4,20.
CENTRO DOCUMENTALE DI ROMA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Roma, classe 1943, ml. 3,50.
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI
– Controllo fiscale su ditte, 1998-2003, scatole 2.
Ve r s a m e n t i
SALERNO
qUESTURA DI SALERNO
– Campo di concentramento di Campagna, 1940-1955, un fascicolo.
– Stampa locale, 1944-1985, bb. 6.
– Associazioni politiche, 1944-1986, bb. 14.
CENTRO DOCUMENTALE DI SALERNO
– Fascicoli dei sottufficiali con elenco alfabetico e cronologico, 1899-1939, fascc. 647
in bb. 16.
– Ruoli matricolari con rubriche alfabetiche, classi 1926-1930, regg. 196.
– Ruoli matricolari con rubriche alfabetiche, classe 1942, regg. 34.
– Liste di leva dei comuni della provincia di Salerno, classe 1943, voll. 157 (elenco).
Ve r s a m e n t i
SAVONA
ARChIVIO NOTARILE DISTRETTUALE DI SAVONA
– Atti tra vivi, 1850-1924, voll. 594.
– Repertori degli atti tra vivi, 1850-1924, regg. 82.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Indici degli atti tra vivi, 1850-1924, regg.16.
281
– Atti di ultima volontà, 1865-1910, bb. 42.
– Repertori degli atti di ultima volontà, 1865-1910, regg. 25.
– Indici degli atti di ultima volontà, 1865-1910, regg. 5.
– Atti privati e privati autenticati provenienti da ex Uffici del registro di Alassio, Albenga, Cairo Montenotte, Finale Ligure e Savona, 1885-1910, voll. 95.
Ve r s a m e n t i
SIENA
qUESTURA DI SIENA
– Gabinetto, massime, 1930-1963, bb 49.
– Cat. A8 (Antidemocratici) e cat. 2/2 (Atti generici di Polizia), 1930-1968, bb.
257.
AGENZIA DELLE ENTRALE - DIREZIONE PROVINCIALE DI SIENA
– ex-Intendenza di finanza di Siena,, 1883-1937, bb. 21 (elenco).
– ex Uffici del registro di Siena e Radicondoli, 1878-1989, bb. 20.
Ve r s a m e n t i
SIRACUSA
CENTRO DOCUMENTALE DI CATANIA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Siracusa, classe 1943, regg. 19
(elenco).
Ve r s a m e n t i
TARANTO
CAPITANERIA DI PORTO DI TARANTO
– Liste di leva di mare, classi 1921-1940, voll. 28.
– Ruoli matricolari, classi 1921-1940, regg. 98.
CENTRO DOCUMENTALE DI LECCE
– Liste di leva dei comuni della provincia di Taranto, classe 1943, voll. 28.
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282
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
TERAMO
Ve r s a m e n t i
CENTRO DOCUMENTALE DI ChIETI
– Liste di leva dei comuni della provincia di Teramo, classe 1943, voll. 46 (elenco).
– Ruoli matricolari, classi 1927-1928, regg. 52, bb. 44 (elenco).
Acquisti
– Imbreviature del notaio Andrea di Ser Nuccino da Teramo, 1404-1407, un registro
cartaceo.
Trasferimenti
TERNI
ARChIVIO DI STATO DI PERUGIA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Terni, classi 1925-1941; Lista generale
dei renitenti alla leva della provincia di Terni, classi 1944-1950, scatole 11.
Doni
– Famiglia Guerrini: archivio dell’ing. Silvio Guerrini (Terni, 1901-1969), autore di
numerose opere di edilizia pubblica e privata a Terni, 1924-1968, bb. 18.
Recuperi
– Famiglia Manassei di Terni, 1721-1857, docc. 13.
Ve r s a m e n t i
SEZIONE DI ARChIVIO DI STATO DI ORVIETO
ARChIVIO NOTARILE DISTRETTUALE DI PERUGIA
– Atti dei notai di Orvieto, 1847-1883, regg. e repertori 42.
Acquisti
– Carte di Gaio Fratini (1921-1999), giornalista ed epigrammista, 1927-1999 con documenti anteriori relativi al padre Gaetano dal 1915 al 1923 e successivi, relativi
alla moglie e ai figli, dal 2000 al 2010, pezzi 107.
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ve r s a m e n t i
TORINO
283
qUESTURA DI TORINO
– Gabinetto, 3ª sezione – Affari generali: A4, Raccolta di ordinanze, 2007, bb. 12; A13, Mattinali, 2007, bb. 37; cat. II, Casellario permanente di polizia giudiziaria, fascicoli personali chiusi al 1973, bb. 2.257 e regg. 53.
DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA - UFFICIO ESECUZIONE PENALE ESTERNA
TORINO E ASTI
DI
– Fascicoli di esecuzione penale, 1976-1983, bb. 153, ml. 20.
– Affidati militari; persone decedute, 1981-2010, bb. 19, ml 50.
CENTRO DOCUMENTALE DI TORINO
– Fogli matricolari dei sottufficiali, classi 1901-1916, bb. 135, ml 18.
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARChEOLOGICI DEL PIEMONTE E DEL MUSEO ANTIChITà EGIZIE
– Taccuini di scavo, fotografie, disegni, corrispondenza degli egittologi Francesco
Ballerini (1877-1910), Virginio Rosa, Evaristo Breccia (1876-1967), 1903-seconda
metà sec. xx, ml 1,30 (materiale in parte inedito e, benché di modesta consistenza,
di notevole rilevanza per gli studi sulle campagne di scavo in Egitto del secolo
scorso).
ARChIVIO NOTARILE DISTRETTUALE DI IVREA
– Repertori, registri, fascicoli scritture private, 1854-1964, regg. e voll. 57 e cartelle
101.
Doni
– Eredi dei marchesi di Ormea: albero genealogico della fine del xVIII secolo con
applicato stemma dei Ferrero d’Ormea a ricamo, entro cornice dorata (integrazione
di precedente donazione).
– Manifesto del Governatore di Asti, 1781, un pezzo.
– Eredi Bolgiani: archivio di Franco Bolgiani (Milano 1922 – Torino 2012), membro
dell’Accademia delle Scienze, professore di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Torino, attivo nei rapporti con l’episcopato torinese fin dal 1965, espressione di gruppi di riflessione culturale e politica sul concilio Vaticano II, metà sec.
xx - primo decennio sec. xxI, ml 12.
– Eredi Gilodi: archivio dell’ing. Costantino Gilodi (1853-1918), costituito da elaborati relativi all’attività progettuale svolta tra fine Ottocento e 1919, rotoli 33.
– Carte di Giuseppe Chiaudano, custode della regia Armeria (1876-1920), docc. 14 e
della famiglia Chiaudano, fine sec. xIx- prima metà sec. xx, docc. 129
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284
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Confederazione italiana per la promozione della salute e l’educazione sanitaria
(CIPES) - Piemonte: archivio dell’Associazione Sante Bajardi, dal nome del presidente, già assessore alla Salute della Regione Piemonte (1980/85) e protagonista della
prima applicazione della riforma sanitaria nazionale, 1979-1986, bb. 838 per ml 20.
– Lettere di Italo Cremona (1905-1979), pittore, scrittore, giornalista a Mino Maccari
(1898-1989), un fascicolo.
Recuperi
SOPRINTENDENZA ARChIVISTICA PER IL PIEMONTE E LA VALLE D’AOSTA
– Protocolli di notai di Ivrea, 1600-1613, 1640, voll. 3.
– Una lettera del gen. Avezzano, Comando divisionale dei volontari italiani, 1866.
Ve r s a m e n t i
TRAPANI
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MARSALA
– 1982-1999, bb. 503.
Ve r s a m e n t i
TRENTO
CORTE DEI CONTI - SEZIONE DI CONTROLLO PER LA REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE – SEDE DI
TRENTO
– Deliberazioni, decreti, decreti approvativi di contratti relativi all’attività di controllo
svolta nei confronti delle seguenti amministrazioni:
– Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, 1951-1966, voll. 229.
– Provincia autonoma di Trento, 1951-1966, voll. 245.
– Opere pubbliche, 1947-1966, voll. 28.
– Intendenza di finanza, 1951-1966, voll. 59.
– Cassa regionale antincendi, 1956-1965, voll. 4.
– Ministero del tesoro, 1957-1966, voll. 41.
– Direzione poste e telegrafi, 1957-1966, voll. 11.
– Provveditorato agli studi di Trento, 1957-1966, voll. 18.
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA
– Liste di leva della provincia di Trento: fascicoli ordinati alfabeticamente per comune,
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
classe 1943, fascc. 227.
285
CENTRO DOCUMENTALE DI TRENTO
– Ruoli matricolari con rubrica, classi 1943-1944, voll. 29.
– Fascicoli matricolari di truppa, graduati e sottufficiali di Trento, classi l943 -1944,
bb. 53.
– Fascicoli matricolari di marescialli di Trento e Bolzano, classi 1943-1944, bb.
35.
ISPETTORATO CENTRALE TUTELA DELLA qUALITà E REPRESSIONE FRODI
– Denunce penali, 1938-1979, bb. 39.
– Laboratorio, 1941-1992, bb. 22.
– Circoli ministeriali, 1949-2003, bb. 54.
– Registri dei verbali, 1956-1980, regg. 18.
– Verbali, 1957-2003, bb. 38.
– Protocolli, 1957-2003, voll. 49.
– Contestazioni, 1980-2002, bb. 48.
– Registri delle denunce, 1981-1991, regg. 11.
– Corrispondenza con il Ministero dell’agricoltura e delle foreste, 1988-2003, bb.
9.
PROVVEDITORATO INTERREGIONALE PER LE OPERE PUBBLIChE PER IL VENETO, TRENTINO-ALTO
ADIGE, FRIULI VENEZIA GIULIA - SEDE REGIONALE COORDINATA DI TRENTO
– ex Genio civile di Trento: 1920-1968, bb. 33 (integrazione di precedente versamento).
– Provveditorato opere pubbliche, sede regionale di Trento, sezione zona Bolzano:
danni di guerra, edilizia pubblica, viabilità, 1938-2007, bb. 110 e fascc. 844.
COMUNE DI TRENTO -SERVIZIO BIBLIOTECA E ARChIVIO STORICO
– Ex Giudice conciliatore di Trento: 1910-1942, bb. 156, voll. 79 (integrazione di precedente versamento).
Ve r s a m e n t i
CENTRO DOCUMENTALE
TREVISO
DI PADOVA
– Ruoli matricolari, classi 1925-1943, ml. 100.
– Liste di leva dei comuni della provincia di Treviso, classi 1943-1944, ml. 2.
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286
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ve r s a m e n t i
TRIESTE
qUESTURA DI TRIESTE
– Venezia Giulia Police Force (VGPF), detta anche Polizia civile9: fascicoli personali,
1966, bb. 7 (elenco).
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Trieste, classe 1943, regg. 10 (elenco).
Depositi
– Gianna Maria Wagner De Polo: Diario di guerra del capitano Johann Kunz con trascrizione e traduzione dal tedesco, 1915-1916, una busta.
– Cassa marittima adriatica Trieste: verbali dei consigli di amministrazione, 19281992, regg. 37.
Doni
– Veit Karl heinichen: volume miscellaneo riguardante veterinaria ed ippiatria, secc.
xVI-xIx, cc 69.
– Conservatorio di storia medica giuliana: secc. xIx-xx, una busta (integrazione).
– Roberto Barocchi: arch. Romano Barocchi (1904-1992), sec. xx, disegni 1.229 (inventario).
– Unione sportiva triestina: carte della Triestina calcio, 1920-1997, bb. 17.
– Cassa marittima adriatica Trieste: Pratiche previdenziali della cessata Cassa marittima adriatica, 1928-1992, bb. 265.
– Luciano e Carlo Celli ed eredi Tognon: archivio dello Studio architetti Celli Tognon10, 1964-1996, lucidi 480 e plastici 36 oltre a disegni, progetti, diapositive, lastre
fotografiche.
Ve r s a m e n t i
UDINE
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Udine, classe 1943, regg. 136.
9
La Venezia Giulia Police Force (VGPF), detta anche Polizia civile, fu un corpo di polizia costituito dal Governo Militare Alleato alla fine della Seconda guerra mondiale attivo nella Zona A della
Venezia Giulia e, dopo il 1947, nell’omonima zona del Territorio libero di Trieste.
Carlo Celli (Trieste, 1936), Luciano Celli (Trieste, 1940), Dario Tognon (Pola, 1936 - Trieste,
2008), hanno fondato lo Studio Celli Tognon nel 1964.
10
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
CENTRO DOCUMENTALE DI UDINE
287
– Fogli matricolari relativi a sottufficiali e truppa appartenenti ai distretti militari di
Udine e Sacile, classi 1910-1929, bb. 105, regg. 7.
AGENZIA DELLE ENTRATE. UFFICIO TERRITORIALE DI UDINE
– ex Intendenza di finanza di Udine, Ufficio danni di guerra: ricostruzioni, riparazioni,
risarcimenti del primo e secondo conflitto mondiale, bb. 2.109, disegni 21.
Ve r s a m e n t i
VARESE
CENTRO DOCUMENTALE DI COMO
– Fascicoli matricolari, classi 1930-1934, bb. 109 (elenco).
– Ruoli matricolari, classi 1930-1934; 1939-1944, regg. 154 (elenco).
– Rubriche alfabetiche, classi 1930-1934, regg. 5.
AGENZIA DELLE ENTRATE – UFFICIO TERRITORIALE DI GAVIRATE
– Successioni, 1862-1972, bb. 455 (elenco).
COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI VARESE
– Normativa, decisioni, processi verbali, 1958-1975; 1982-1985; 1989, bb. 40
(elenco).
– Atti a campione, 1990, una busta.
– Sentenze, 2000-2002, bb. 3 (elenco).
Depositi
COMUNE DI GALLARATE: Pratiche edilizie, 1950-1960, bb. 79 (elenco).
Ve r s a m e n t i
VENEZIA
CORTE D’APPELLO DI VENEZIA
– Verbali di immissione in possesso, 1951-1969, voll. 2.
– Procedimenti penali in Camera di consiglio, 1953-1967, un registro.
– Rubrica del ruolo generale, 1962-1966, un registro.
– Contenzioso, 1965-1973, regg. 5.
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288
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
– Minori, sentenze penali, 1966-1970, un registro.
– Adozioni, 1967, regg. 2.
– Fascicoli di minori, 1967-1972, bb. 6.
– Decreti del presidente della Corte d’appello, 1967-1971, regg. 2.
– Tribunale regionale per le acque pubbliche, sentenze, 1967-1972, regg. 3.
– Ruolo penale, 1968-1969, regg. 2.
– Fascicoli volontaria giurisdizione, 1968-1972, bb. 10.
– Fascicoli civili, 1972, bb 69.
– Collegio regionale di garanzia elettorale, 1978-2006, bb. 41.
– Spese in capitoli di bilancio, 1996-2002, regg. 45.
– Esami per procuratore legale, 1998-1999, bb. 2.
– Registro modello 24, 1999-2000, un registro
– Esami per avvocato, 2000-2008, bb. 9.
(elenchi)
CORTE D’ASSISE DI VENEZIA
– Ruolo generale, 1957-1969, un registro.
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Venezia, classe 1943, regg. 47.
– Elenco cancellati, 1938-1939, 1941-1943, regg. 5 (elenco)
CAPITANERIA DI PORTO DI VENEZIA
– Liste della leva di mare, classe 1943, regg. 2.
– Estratti matricolari, classi 1901-1913, regg. 58 (elenco).
CAPITANERIA DI PORTO DI ChIOGGIA
– Gente di mare di prima categoria, sec. xIx-1949, regg. 24.
– 1961-1970, bb. 14.
– Estratti matricolari, classi 1901-1913, regg. 13.
– Protocollo riservato, 1921-1926, 1932-1944, 1953-1961, regg. 32.
– Protocollo segreto, 1938-1941, 1944-1951, 1953-1954, regg. 15.
– Liste della leva di mare, classe 1943, un registro.
– Protocollo ordinario, 1950-1984, 1988-1995, regg. 232.
(elenchi)
Ex
UFFICIO DEL REGISTRO DI VENEZIA
– Dichiarazioni di successione, 1871-1964, fascc. 80.056 in bb. 1.849 (elenco).
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
Ex
UFFICIO DEL REGISTRO DI DOLO
Ex
UFFICIO DEL REGISTRO DI MESTRE
Ex
UFFICIO DEL REGISTRO DI MIRANO
Ex
UFFICIO DEL REGISTRO DI PORTOGRUARO
Ex
UFFICIO DISTRETTUALE DELLE IMPOSTE DIRETTE DI VENEZIA
289
– Dichiarazioni di successione, 1871-1972, bb. 174 (elenco).
– Dichiarazioni di successione, 1924-2000, bb. 1.095 (elenco).
– Dichiarazioni di successione, 1927-1972, bb. 71 (elenco).
– Dichiarazioni di successione, 1872-1999, bb. 450 (elenco).
– Catasto terreni e Catasto fabbricati, 1867-1972, regg. 424.
– Mappe catastali 494 (elenco).
VERCELLI
Ve r s a m e n t i
TRIBUNALE ORDINARIO DI VERCELLI
– Atti dello stato civile italiano per la provincia di Vercelli, 1922-1945, ml 33 (elenchi).
Doni
SEZIONE DI ARChIVIO DI STATO DI VARALLO
– Alice e Roberto Freschi: carte Carlo Conti, comprendenti documenti delle famiglie
Carestia, Gargano-Apostolo, Gibellini, Godio, Lanfranchi, Milanone, Molinari, Ottina, Ottone e Tasca, 1415-1882 e fino al 1914, pergg. 93, bb 10 (inventario analitico).
Ve r s a m e n t i
qUESTURA DI VERONA
VERONA
– Fascicoli di polizia giudiziaria, anteriori al 1970, bb. 27.
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290
Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
CENTRO DOCUMENTALE DI BRESCIA
– Fogli matricolari, classi 1913-1920, una busta.
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Verona, classe 1943, una busta.
CENTRO DOCUMENTALE DI VERONA
– Fascicoli matricolari, classi 1907-1942, fascc. 445.
COMPARTIMENTO DI POLIZIA FERROVIARIA DI VERONA
– 1964-1970, bb. 74.
AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE PROVINCIALE DI VERONA
– Caprino, 1871-1934, bb. 163
– Bardolino, 1924-1973, bb. 184
RAGIONERIA TERRITORIALE DELLO STATO DI VERONA
– 1973-2009, regg. 459.
AZIENDA UNITà LOCALE SOCIO-SANITARIA 21 LEGNAGO.
– Opera nazionale invalidi di guerra, bb. 47.
Ve r s a m e n t i
VIBO VALENTIA
CENTRO DOCUMENTALE DI CATANZARO
– Liste di leva dei comuni della provincia di Vibo Valentia, classe 1943, regg. 50.
AGENZIA DELLE ENTRATE. DIREZIONE PROVINCIALE DI VIBO VALENTIA
– Catasto terreni e fabbricati, 1870-1960, regg. 545.
Ve r s a m e n t i
VICENZA
ARChIVIO NOTARILE DISTRETTUALE DI VICENZA
– Atti dei notai, 1857-1914, bb. e voll. 714 (elenco).
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Versamenti, trasferimenti, depositi, doni e acquisti: 2014
CENTRO DOCUMENTALE DI PADOVA
291
– Liste di leva dei comuni della provincia di Vicenza, classe 1943, regg. 122 (elenco).
ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE «B. BIZIO» DI LONGARE
– ex Scuola di avviamento professionale «A. Rossi» di Vicenza poi Scuola media di
Longare: giornali di classe e dei professori, 1960-1974, regg. 876 (elenco).
COMUNE DI VICENZA
– Ospizio degli infanti abbandonati di Vicenza poi Istituto provinciale di assistenza
all’infanzia di Vicenza: verbali di consegna dei neonati illegittimi e legittimi, 19011954, cassette 50; negativi di foto su lastra e gelatina, 1899-1934, cassette 21.
Ve r s a m e n t i
VITERBO
CENTRO DOCUMENTALE DI ROMA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Viterbo, classe 1943, bb. 3.
ISTITUTO COMPRENSIVO ANNA MOLINARO MONTEFIASCONE (VT)
– 1921-1989, bb. e regg 154 (elenco).
Trasferimenti
ARChIVIO DI STATO DI PERUGIA
– Liste di leva dei comuni della provincia di Viterbo, classi 1925-1931, regg. 19.
– Lista dei renitenti, classi 1943-1950, un registro.
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Notiziario
bibliografico
Archivi delle donne in Piemonte. Guida alle
fonti, a cura di PAOLA NOVARIA - CATERINA
RONCO, Torino, Centro studi piemontesi
– Ca de studi piemontèis, 2014, pp. 345.
Con questa elegante pubblicazione la collana Archivi e biblioteche in Piemonte, curata dalla Direzione cultura, turismo e sport
della Regione Piemonte, raggiunge il quarto
volume, mantenendo il ritmo consueto di
un’uscita all’anno.
L’opera si pone un obiettivo di grande
interesse: rendere visibile la presenza femminile, nei diversi campi e in tutte le situazioni in cui è possibile farla emergere dall’ombra in cui è stata relegata dalla
soverchiante voce maschile. Il progetto è
stato coordinato dall’associazione Archivio
delle donne in Piemonte, sorta nel 2006 con
lo scopo di «accogliere, riunire, conservare
e valorizzare materiali e documenti di interesse per la storia delle donne e del movimento delle donne», come recita lo Statuto.
Il lavoro è frutto di un impegno corale, che
ha preso forma attraverso una pluralità di
iniziative, promosse da diversi soggetti e
realizzate da numerose ricercatrici, sia archiviste che storiche, che hanno messo in
comune professionalità e competenze diverse nel corso di un significativo arco di
anni, a partire dal 2006. Il censimento ha riguardato l’individuazione di nuclei documentari prodotti da soggetti o da istituzioni
femminili o anche in cui sia significativa la
presenza di donne, conservati da diversi enti
del territorio piemontese. Sono state redatte
oltre trecento schede ma i fondi individuati
sono assai di più, perché alla maggioranza
delle schede che descrivono in forma analitica un singolo fondo se ne affiancano altre
Rassegna degli Archivi di Stato, n. s., X (2014)
che riassumono in una stessa scheda la presentazione di più nuclei documentari. Le
schede sono riunite per istituto di conservazione e gli istituti per comune.
Per ciascun fondo individuato vengono
forniti numerosi elementi descrittivi: la denominazione della persona o dell’ente che
lo ha prodotto e brevi notizie biografiche o
istituzionali, complete di indicazioni cronologiche; gli estremi cronologici e la consistenza della documentazione; lo stato di ordinamento; la presenza di un inventario;
sintetiche indicazioni sul contenuto e talvolta
su come è pervenuto all’istituto che lo conserva; denominazione dell’eventuale complesso di fondi di cui il fondo è parte.
Le segnalazioni sono frutto di una ricerca
attenta che ha portato a individuare nuclei di
carte molto diversi. A un primo gruppo si
possono ricondurre i fondi personali: le donne
che li hanno prodotti sono state attive nella
Resistenza o militanti in movimenti politici
o sindacali o impiegate in diversi settori, dall’insegnamento alla sanità, o ancora artiste
o imprenditrici o impegnate nell’amministrazione del patrimonio di famiglia. Una seconda
tipologia riunisce le carte prodotte dall’associazionismo femminile, caritativo o di mutua
assistenza, e dai movimenti politici delle
donne, in primo luogo l’UDI. A un terzo
gruppo appartengono i fondi di istituzioni destinate ad accogliere donne, come gli orfanatrofi o le carceri femminili, e a un quarto
quelli prodotti da imprese a prevalente manodopera femminile, quali l’ottocentesco cotonificio Widemann, che gettano luce sulla
presenza femminile nel mondo del lavoro.
Infine, un’attività minuziosa di ricerca e scavo
ha consentito di identificare le tracce della
presenza femminile all’interno di archivi che
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:44 Pagina 293
Notiziario bibliografico
non sono stati prodotti da donne né ordinati
con criteri di genere, quali, ad esempio, il
fondo della Comunità ebraica di Vercelli,
Biella, Novara e Verbano Cusio Ossola, dove
vengono segnalate «le lettere e le suppliche
alla comunità con richieste di sostegno, generalmente scritte da donne, spesso vedove,
e i documenti relativi ad alcune donne particolarmente significative, come le maestre»,
o l’Archivio storico della Tavola valdese che
comprende, tra l’altro, le carte di insegnanti,
lettrici bibliche e mogli dei pastori.
Completano il volume due saggi di un’archivista e di una storica: Considerazioni archivistiche a margine di un censimento di
fonti, di Linda Giuva e Non solo polvere.
Soggettività e archivi, di Paola Di Cori, che
collocano il materiale informativo contenuto
nelle schede in un contesto assai più ampio
di riflessioni e critica storica e suggeriscono
interessanti spunti di ricerca e chiavi interpretative. Significativa è anche la presenza,
nelle pagine introduttive, di un breve testo a
firma di Daniela Caffaratto, funzionario della
Soprintendenza archivistica per il Piemonte
e la Valle d’Aosta, a conferma dell’attenzione
con cui l’Amministrazione archivistica ha
guardato al censimento.
Unico neo da segnalare è che alla raffinatezza della veste editoriale e al rigore scientifico e alla cura dedicati alla raccolta dei dati
non sempre corrispondono soluzioni di pari
eleganza nella presentazione delle informazioni. Eppure, a partire dalla Guida generale
degli archivi di Stato italiani il modello per
la presentazione delle informazioni in una
guida ai fondi è ormai ben consolidato ed è
stato più volte ripreso in altre pubblicazioni
successive. Se lo si fosse tenuto presente si
sarebbe potuta omettere, ad esempio, la formula «Descrizione generale» per la notizia
riassuntiva del contenuto di un archivio o
rendere con una più incisiva presentazione
gerarchica la forma discorsiva frequentemente utilizzata nell’intitolazione delle
schede (ad esempio: Carte di Lina Guenna
Borgo nell’Archivio dell’Educatorio infantile
Lina Borgo) o, ancora, differenziare nel corpo
293
o nel carattere la denominazione del fondo
da quella dell’ente conservatore, evitando il
rischio di ambiguità generato dall’identico
formato con cui sono attualmente presentati.
Antonella Mulè
DARIA DE DONNO, Notabilato e carriere politiche tra Otto e Novecento. Un esempio di
ascesa (Giuseppe Pellegrino, 1856-1931),
Galatina (Lecce), Congedo, 2010, pp. 260.
BARBARA BONESChI, Gian Luca Zanetti dall’avvocatura al giornalismo e all’editoria,
Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 269.
Si segnalano due buone ricerche di storia
contemporanea, due biografie pubblicate di
recente, per cercare di trarne qualche utilità
che le travalichi. La prima è la biografia di
Giuseppe Pellegrino (1856-1931), un avvocato di variegata cultura e con larga clientela
attivo a Lecce, esponente di una famiglia che
trae origine e forza dalla proprietà di molte
terre situate nelle vicinanze della città e in
provincia (a Matìno, Parabìta e Sannìcola), le
cui carte si conservano presso gli eredi a
Lecce.
Laureatosi a Napoli nel 1879, Pellegrino
è nel 1884 fondatore del Circolo democratico
e muove i primi passi in politica avendo
come referente nazionale Giuseppe Zanardelli. Buon amministratore, è sindaco di
Lecce per vari anni (1895-1899 e 1908-1911)
e dota la città di luce, acqua, tramvie per il
collegamento al mare, case operaie, asili, refezione scolastica, doposcuola, ospizi, campi
sportivi, monumenti e cucine economiche.
Nel 1900 prende in moglie Concettina Stajano, anche lei ricca di terre. Si candida alle
elezioni politiche a partire dal 1900 e viene
eletto nel 1909, nel 1919 e nel 1921. In itinere modifica la sua collocazione politica non se ne conoscono le ragioni -, accetta i
voti dei cattolici e, nel 1904, 1909 e 1913 si
batte contro il medico Vito Fazzi sostenuto
dalla massoneria. Giunto al potere il fascismo, ottiene dal Partito nazionale fascista la
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294
Notiziario bibliografico
tessera ad honorem e viene riguardosamente
eliminato dalla vita politica.
questa biografia riproduce un documento
bellissimo sul quale l’A. ha il torto di non
soffermarsi. Si tratta di un manifesto affisso
a Vernole - un piccolo centro nei pressi di
Lecce - durante la campagna elettorale per
le elezioni del 1913.
Esso recita:
«Cittadini di Vernole. Ricordatevi che la
vittoria di Fazzi sarebbe foriera di sangue e
di morte, giacché Fazzi appartiene a quel
radicalismo massonico che è il ludibrio, la
vergogna, il disonore dell’umanità!
Guai se un giorno trionfasse alle Camere
la Massoneria! Essa, la turpe Megera, che
produsse gli orrori della Rivoluzione Francese, e che anni or sono, atterrì il mondo
con l’efferato delitto di Monza, la Massoneria, si! sarebbe pronta a bombardare domani il quirinale, il Vaticano, le nostre
Chiese, tutto il popolo, per poi in ultimo appiccare il fuoco ai quattro angoli della terra.
Vernolesi! Vi scongiuriamo a nome di
Dio e di S. Anna votate compatti per l’on.
Pellegrino che ha giurato di difendere la nostra Santissima Religione!Abbasso Fazzi il
massonico! W Pellegrino!»
In verità, non accade spesso di incontrare
Dio e sant’Anna mobilitati per una campagna elettorale. A parte ciò, il manifesto, pur
contenendo un’errata sintesi delle malefatte
passate della massoneria (dalla rivoluzione
francese al regicidio di Monza), è pervaso
da uno spirito apocalittico che lo rende, mi
pare, eccezionale.
Se ne apprezza tutta l’importanza ricordando che le elezioni del 1913 sono le prime
a suffragio universale (maschile) e vedono
una lotta all’ultimo voto tra cattolici, decisi
a conquistare un peso politico proporzionato
alla loro presenza nell’economia e nella società, e massoni, tradizionalmente costituenti
il «partito dello Stato».
Contro l’attività febbrile svolta dal conte
Gentiloni per la parte cattolica, i massoni si
organizzano con un comitato centrale elettorale che coordina la lotta collegio per collegio.
Frutto del lavoro svolto da questo comitato,
guidato da Gino Bandini, sarà la compilazione
e la successiva pubblicazione dell’elenco dei
deputati firmatari del patto Gentiloni.
La seconda biografia è quella di Gian Luca
Zanetti, (1872-1926), nato a Bagolino (Brescia) da agiata famiglia legata politicamente
a Zanardelli. Educato mazzinianamente alla
religione della patria e del dovere, legato politicamente per tutta la vita alla lezione laica
e liberale di Giuseppe Zanardelli, il giovane
bresciano conduce studi severi a Pavia sotto
la guida di Pasquale Del Giudice e si laurea
nel 1896 in giurisprudenza. Dopo la laurea,
seguita dalla pubblicazione della tesi presso
l’editore hoepli, si sperimenta come organizzatore di cooperative a fianco di Luigi Buffoli
e prova a fare politica in provincia con un
settimanale democratico a Brescia nel 1910
(«Il Popolo») e con una candidatura politica
(accettata «per disciplina di parte») a Salò nel
1913. Nel 1911 apre studio a Milano in corso
Venezia, dopo un lungo tirocinio presso l’avvocato Luigi Rossi (esperto nel diritto commerciale), e presto diviene l’avvocato di banche (Banca Unione, Banca Belinzaghi) e
industrie (Fratelli Feltrinelli, Breda, Frua-De
Angeli, ecc.). Successivamente apre a Roma
un altro studio in via delle Convertite e lo gestisce con Ivanoe Bonomi.
L’operazione politico-culturale per cui si
può dire che Zanetti meriti una biografia è
stata, nel luglio 1917, la creazione della società Unitas, un gruppo editoriale-giornalistico che pubblica un quotidiano del pomeriggio a Milano, «La Sera», un’agile rivista
di cultura, «La Rivista d’Italia», aperta ai
problemi del tempo e alla collaborazione di
politici, intellettuali ed economisti di vario
orientamento, e varie altre riviste tra cui
«L’Industria», diretta da Giuseppe Belluzzo,
un ingegnere massone che poi passerà al fascismo e diventerà ministro. A tutte queste
iniziative egli aggiunge la creazione di una
casa editrice, la Unitas appunto, che tra il
1919 e il 1927 pubblica, tra gli altri, testi di
Bonomi e Zanardelli, di Bortolo Belotti e
Ugo Da Como, di Luigi Settembrini e Matteo
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Notiziario bibliografico
Mazziotti, di Antonino Anile e Filippo Meda,
di Ettore Ciccotti e Corrado Barbagallo, di
Alfredo Galletti e Francesco Ruffini, di Alfredo Poggi e Giuseppe Rensi, di Piero Calamandrei e Piero Gobetti, di Ghino Valenti
e Guglielmo Tagliacarne, oltre che opere dei
classici Cervantes, Molière e Stuart Mill. Zanetti è, in altri termini, un organizzatore di
cultura in faticoso e fecondo equilibrio tra
ozi e negozi. Le sue carte sono oggi custodite
presso la Biblioteca Angelo Mai a Bergamo.
A mio parere, è opportuno leggere insieme le due ricerche: attraverso le biografie
di Pellegrino e Zanetti, attivi più o meno
negli stessi anni, s’intravedono infatti due
modi di esercitare l’avvocatura, due idee del
fare politica, due contesti economici e culturali distinti e distanti eppure legati da un
comune destino. Lo scirocco di Lecce e le
nebbie di Milano appartengono alla stessa
Italia, interagiscono tra loro e si condizionano reciprocamente.
La sinossi è utile anche per un’altra ragione. A Lecce come a Milano, alle spalle
di Pellegrino e Zanetti, si percepisce l’ombra
della massoneria. A Lecce come «turpe Megera», a Milano come insieme di persone
rispettabili (e, in parte, venerabili come nel
caso di Fabio Luzzatto e Ferruccio Bolchini)
che collaborano alle iniziative di Zanetti e
si chiamano Bolchini e Luzzatto, Edgardo
Longoni e Luigi Perona, Ivanoe Bonomi e
Giuseppe Belluzzo, da Rodolfo Foà e Raffaello Nesti, Angelo Sraffa e Gino Borgatta,
Luigi Birondi e Eugenio Greco, Romolo
Caggese e Napoleone Colajanni. Lo stesso
passaggio de «La Sera», nel febbraio del
1924, dalla direzione antifascista di Zanetti
a quella fascista di Longoni sembra un affaire massonico se Ferruccio Bolchini scrive,
tra l’altro, sul «Popolo d’Italia» del 16 febbraio 1924 che «é pura amenità parlare di
provvedimenti disciplinari massonici che sarebbero stati iniziati in difesa di una direzione di giornale qualificatasi come squisitamente (…) antimassonica».
queste osservazioni, suggerite dalle carte
su cui si fondano le due eccellenti ricerche
295
qui segnalate, mi sembrano importanti perché, posto che gli storici non siano giudici
ma abbiano il dovere di capire e far capire
come andarono le cose, senza la massoneria
non si capisce nulla della storia delle classi
dirigenti e, tout court, della storia dell’Italia
unita. Né pare arbitrario pensare che una
tara cromosomica in questa parte della storia
d’Italia sia stata la guerra di religione combattuta in tempi assai attardati tra guelfi e
ghibellini: massoni e cattolici si sono legittimati, il più delle volte, in forza di motivi
ideologici piuttosto che per la bontà dei progetti di volta in volta elaborati per fare fronte
alle sfide dei tempi.
Naturalmente, tocca agli storici attrezzarsi per verificare se la massoneria abbia
davvero generato la Rivoluzione francese o
propiziato il regicidio di Monza e se abbia
avuto peso, e quale, nella storia d’Italia e
tocca alla massoneria rendere pubbliche le
proprie carte secondo le leggi dello Stato:
atteggiarsi a Chiesa, chiudersi cioè in un recinto sacro o comunque riservato nell’ambito dello Stato democratico, non sta, come
si dice, né in cielo né in terra; e non dovrebbe
stare neppure in Italia.
Gerardo Padulo
PAOLO FRANZESE, Manuale di archivistica
italiana, Perugia, Morlacchi, 2014, pp.
243.
È opportuno tributare a Paolo Franzese
il dovuto riconoscimento per avere concepito
e realizzato un’impresa definita da Mario
Tosti «coraggiosa», sicuramente ambiziosa,
e che talvolta può risultare addirittura temeraria, ma non nel caso in questione. Anche
perché, a fine lettura, il testo, più che un
manuale definito e definitorio, sembra essere
piuttosto una sorta di breviario, un utile vademecum destinato ai neofiti, ma anche uno
strumento di lavoro per chi, fra gli archivisti
più o meno ‘navigati’, voglia ancora ricercare fondamenti teorici, suggerimenti e pro-
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296
Notiziario bibliografico
spettive operative. Lo stesso autore esplicita
il progetto e le sue finalità, precisando che
«invece di definire i concetti, si è provato
piuttosto ad adoperarli». E infatti, è il caso
di leggere questo libro una prima volta dall’inizio alla fine, per poi rileggerlo a partire
dall’argomento più utile ai propri bisogni e
seguirne le tracce negli altri capitoli, secondo
gli itinerari mai scontati suggeriti dall’autore, raggruppati in tre grandi aree tematiche:
la scienza archivistica e gli archivisti nella I
Parte, l’organizzazione degli archivi nella
II Parte. Da un lato quindi l’impalcatura teorica e pratica della materia insieme ai professionisti che vi operano; dall’altro i beni e
gli istituti archivistici nel loro stato attuale
e nell’ambito della vigente normativa.
È chiaro già dal titolo che si tratta di una
storia prevalentemente «italiana», e l’accento posto sulla matrice nazionale è giustificato e nutrito dal frequente riferimento
alla connotazione specifica della ‘filosofia’
archivistica prodotta in Italia nell’arco del
Novecento da vari «padri» e «madri», da
Eugenio Casanova a Isabella Zanni Rosiello.
questo imprinting ha prodotto la caratteristica impalcatura dell’archivistica teorica
italiana, fondata sulla concezione unitaria
seppur complessa dell’archivio, sulla sua
struttura gerarchica e multilivellare, sulla
sua dignità di scienza autonoma, sempre ribadita ma ancora oggi applicata con qualche
difficoltà. Ed è irrinunciabile il riferimento
alle sue «radici», con la puntuale ricostruzione dell’organizzazione archivistica nell’Italia unita, dall’attribuzione degli archivi
al Ministero dell’interno, da taluni tuttora
rimpianta per il maggiore prestigio riconosciuto alle «carte dello Stato», fino all’assegnazione al Ministero dei beni culturali, che
ne avrebbe giustificata e accentuata l’appartenenza al mondo della cultura e della storia,
con qualche non lieve rischio di asservimento funzionale. Ciò nonostante l’archivistica evocata e descritta da Franzese non
pecca di nazionalismo, né risulta autoreferenziale. Frequenti sono i raccordi al contesto internazionale e alle più aggiornate pro-
duzioni nel campo degli standard descrittivi
fra i quali le norme ISAD, ISAAR e NIERA.
L’autore vi dedica approfondite riflessioni,
frutto di intenso studio e aggiornamento professionale, ma anche di lunga esperienza
«sul campo», che gli consentono la dovuta
padronanza di ambiti complessi, quali - ultima sfida lanciata alla professione - la massiccia digitalizzazione degli archivi, proclamata e perseguita in molti casi senza i
doverosi sostegni teorici e i necessari supporti descrittivi.
Il rapporto dell’archivistica con l’informatica è tanto problematico quanto risulta
controverso quello, pur sempre opportunamente riaffermato, con la storia delle istituzioni. Franzese denuncia chiaramente la
trappola illusoria dell’aderenza fedele degli
archivi ai soggetti produttori, lucidamente
consapevole della «vischiosità» tra gli uni e
gli altri alla prova dei fatti.
E di carte riordinate e inventariate l’autore ne sa qualcosa, avendo operato, tra l’altro, negli archivi dei Ministeri preunitari degli Esteri, della Presidenza e degli Affari
ecclesiastici del Regno delle due Sicilie e in
quello postunitario della questura di Napoli,
producendo utilissimi inventari. Con dovizia
di particolari racconta tutte le possibili problematiche che in corso d’opera si possono
verificare, quando si tratta di orientarsi tra
quadri di classificazione, protocolli, pandette
e fascicolazioni tra loro contraddittori, alla
ricerca delle motivazioni dell’apparente disordine, fino alla scoperta e all’applicazione
dell’«ordine storico», quasi mai aderente
alle premesse iniziali. Il ventaglio di esempi
probatori di tale fenomeno archivistico è dovizioso: casi di archivi ricchi di documentazione prodotta da soggetti istituzionali anteriori ormai soppressi; archivi smembrati
tra istituti di conservazione diversi; archivi
privati e pubblici presenti nello stesso fondo.
All’archivista di oggi si richiede quindi
un notevole bagaglio di competenze plurime
e una matura consapevolezza professionale.
quanto sembra lontano nel tempo l’archivario «unico vero utente» dei documenti,
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Notiziario bibliografico
gestore della memoria per conto del potere,
attivo fino al secolo xIx, quando, con la
nascita dei primi archivi pubblici, egli diventerà riferimento obbligato per i cultori
delle memorie patrie. Sarà questo un rapporto di apparente soddisfazione, ma di sostanziale sudditanza rispetto alle esigenze
degli storici, che porterà a compiere in più
di un’occasione e ancora oggi l’errore fatale
di «finalizzare il riordinamento alla ricerca».
E invece ordinare e inventariare sono operazioni obiettive e autonome. Opportunamente l’autore vi dedica uno specifico paragrafo nel quale descrive un «progetto di
riordinamento», che può essere davvero assunto a modello ispiratore per ogni piano
d’intervento archivistico, ben scandito nelle
sue fasi, dalla definizione delle finalità alla
costruzione dell’architettura dell’archivio,
fino alla pubblicazione dell’inventario.
Ma l’immagine dell’archivista che più
colpisce il lettore e che costituisce forse, fra
i tanti, l’aspetto trattato con evidente predilezione, è quella dell’archivista «agente della
comunicazione». In questa veste, il professionista perde definitivamente l’arida autoreferenzialità di esperto della documentazione, per rivestire una funzione sociale di
tutto rispetto, nutrita e sostenuta dai principi
sanciti a livello internazionale di trasparenza
e imparzialità. L’archivista «non sceglie»,
non valuta l’importanza di un dato rispetto a
un altro; al contrario tutto descrive, racconta,
spiega. Franzese lo ribadisce più volte chiaramente, suggerendo la metafora di Pollicino
e delle sue preziose briciole necessarie a ritrovare la strada di casa. E’ questa la figura
professionale dell’archivista dei nostri tempi:
un mediatore culturale, un agente relazionale,
consapevole del suo ruolo sociale e del dovere di «servizio» che è tenuto a prestare a
vantaggio della comunità. E il suo strumento
principe è il linguaggio, parlato e scritto, che
gli permette di comunicare e appunto di descrivere, spiegare, raccontare gli archivi, diventando l’utile nocchiero del viaggio che
l’utente desidera compiere nella memoria.
Per questo il rapporto dell’archivistica con
297
la linguistica è fondamentale e l’autore vi ricorre frequentemente, trattandone i vari
aspetti, lessicale sintattico e semantico, sia
nella trattazione dei concetti di documentoatto-fatto, di serie e di fascicolo, sia nella
descrizione della struttura logica propria di
ogni archivio, la cui scoperta all’interno delle
carte è il vero cuore della scienza archivistica
e il premio ambito di ogni archivista.
Il rapporto con le scienze della comunicazione conduce a un’ulteriore frontiera professionale, forse quella che andrebbe perseguita, oltre che a livello teorico, anche in
ambito politico: la considerazione dell’archivistica come scienza amministrativa. Ma
c’è ancora molta strada da compiere, perché
possa maturare la convinzione di quanto sia
fondamentale nella vita di ogni istituzione
la funzionalità e l’efficienza del suo archivio,
attribuendo il giusto valore al documento
come veicolo di informazione e quindi «supporto dei processi decisionali». Occorre potenziare i servizi destinati alla gestione documentale che, sempre sostenuta dalle
proprietà fondamentali di autenticità, affidabilità, integrità e usabilità, verrebbe quindi
a far parte a pieno titolo dell’archivistica.
Di questa archivistica, ricca della sua antica nobile storia, ma pronta alle nuove sfide
tecniche e amministrative la nostra società
«forse inconsapevolmente, ha e avrà molto
bisogno», scrive Franzese, concludendo con
un auspicio che suona anche da imperativo
categorico: «Occorre allora che gli archivisti
vecchi e nuovi raccolgano la sfida».
Rossana Spadaccini
FRANCESCA KLEIN, Scritture e governo dello
Stato a Firenze nel Rinascimento. Cancellieri, ufficiali, archivi, Firenze, Edifir,
2013, pp. 317 (Studi di storia e documentazione storica, 4).
Poco più di un secolo dopo l’uscita degli
studi sulla Cancelleria della Repubblica Fiorentina di Demetrio Marzi (1910, ristampati
in anastatica nel 1987), appare ora un’altra
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298
Notiziario bibliografico
significativa pubblicazione sulla documentazione pubblica e privata della Firenze del
tardo Medioevo da parte di uno dei massimi
esperti della Scuola di archivistica paleografia e diplomatica dell’Archivio di Stato
di Firenze. I quindici studi raccolti in questo
volume (più l’introduzione) edito da Edifir
nella collana diretta da Riccardo Fubini, già
pubblicati in altre sedi, ad eccezione di uno,
tra il 1980 e il 2013, sono da localizzare al
confine tra la storia politica e la storia delle
istituzioni, la storia archivistica e la storia
sociale. Le questioni legate alla genesi e alla
trasmissione dei rispettivi fondi archivistici
e dei documenti vengono trattate con molta
perizia e attenzione, spesso basandosi su
delle ricerche riguardanti i sui singoli notai.
Per quanto riguarda il secolo xIV sono
sicuramente da ricordare i tre saggi: su I consigli del Comune nel primo Trecento (pp. 6577), quello sul notissimo «Libro del Chiodo»
e sulle diverse liste di proscrizione dei ghibellini fiorentini (pp. 79-107) e, infine, il contributo su Il primo periodo del cancellierato
fiorentino di Coluccio Salutati (pp. 115-126).
Altrettanto fondamentali per ogni studioso interessato alle forme e alla genesi
della documentazione pubblica fiorentina risultano, per il periodo successivo, Leonardo
Bruni e la registrazione delle Consulte e
Pratiche (pp. 129-142), I Consigli della Repubblica fiorentina nel periodo savonaroliano (pp. 193-203) e Costruzione dello
Stato e costruzione d’archivio: ordinamenti
delle scritture della Repubblica fiorentina a
metà Quattrocento (pp. 205-229).
Altri saggi prendono invece spunto dalle
carte conservate negli archivi privati, tra cui
soprattutto quello della famiglia regnante di
Firenze, cioè l’archivio mediceo e quello
(meno) noto come archivio Marzi Medici:
«Recare indubitato honore et utile alla patria». Profilo di Angelo Marzi da San Gimignano segretario mediceo (pp. 233-242);
Strategie familiari e competizione politica
alle origini dell’archivio mediceo. Appendice. Inventario delle filze dell’Archivio Mediceo avanti il Principato (pp. 243-264),
ambedue i saggi scritti insieme con Vanna
Arrighi. Dalla collaborazione con Vanna Arrighi sono inoltre nati i due importanti studi
su Segretari e archivi segreti in età laurenziana. Formazione e vicende delle carte
Gaddi-Michelozzi (pp. 159-171) e Da mercante avventuriero a confidente dello Stato:
profilo di Bongianni Gianfigliazzi attraverso
le sue Ricordanze (pp. 173-191).
L’ultimo contributo (scritto insieme a
Francesco Martelli) Alle origini dell’Archivio di Stato di Firenze. I collaboratori di
Francesco Bonaini e Cesare Guasti tra professione e militanza culturale (pp. 279-299)
ci porta infine ai primi anni d’oro dell’Archivio di Stato di Firenze (dal 1852, chiamato allora «Archivio centrale di Stato»),
quando sotto i primi direttori, il Bonaini e il
Guasti appunto, e soprattutto dopo la fondazione della Scuola di paleografia e diplomatica (1858), l’archivio poteva contare
sulla collaborazione di allievi come Carlo e
Gaetano Milanesi, Cesare Paoli, Clemente
Lupi e Alessandro Gherardi.
Se dobbiamo per forza trovare qualche
neo, si potrebbero segnalare alcuni refusi
nelle citazioni di nomi di studiosi non italiani (Christiane Klapisch-Zuber invece di
«Züber»; Michael Mallett invece di «Mallet» nel saggio sul Gianfigliazzi) oltre ad
alcune righe non stampate alla chiusura di
p. 107. Va anche notato che mentre in alcuni
casi i riferimenti bibliografici sono stati aggiornati rispetto alla prima edizione dei
saggi (v. la nota bibliografica a p. 300:
esempi a p. 86, nota 21; p. 178, nota 21; p.
294, nota 58), in altri casi ciò non è avvenuto, come per esempio nel caso della Laudatio Florentine urbis di Leonardo Bruni,
che dal 2000 si può leggere nell’edizione
critica a cura di Stefano U. Baldassarri. Ma
queste osservazioni non tolgono niente ai
meriti della pubblicazione, frutto della quotidiana frequentazione e del costante impegno negli archivi pubblici e privati di Firenze.
Lorenz Böninger
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Notiziario bibliografico
MARCELLO MOSCONE, Notai e giudici cittadini dai documenti originali palermitani
di età aragonese (1282-1391), Palermo,
Archivio di Stato – Scuola di archivistica
paleografia e diplomatica, 2008, pp. 331
(quaderni, Studi e strumenti, 6).
Il volume di Marcello Moscone, Notai e
giudici cittadini dai documenti originali palermitani di età aragonese (1282-1391),
pubblicato dalla Scuola di archivistica paleografia e diplomatica dell’Archivio di
Stato di Palermo, muove da un progetto in
itinere di inventariazione elettronica e digitalizzazione dei documenti del fondo Diplomatico dell’Archivio di Stato di Palermo,
costituito da pergamene di pertinenza degli
ordini soppressi e in seguito accresciuto da
nuclei documentari acquisiti in virtù di donazioni, depositi, acquisti.
Un accurato spoglio del materiale archivistico - un corpus documentario di 851 testimonianze originali superstiti proveniente
in prevalenza dal Diplomatico di Palermo offre a Marcello Moscone una solida base
da cui muovere per un’indagine seria e rigorosa sui notai e i giudici palermitani lungo
un arco cronologico ricco di prospettive che
si estende dal 1282 al 1391. A una minuziosa
e documentata ricognizione – nella Premessa
- degli studi di storia del notariato e della
storiografia del settore concernente la Sicilia,
seguono tre densi e ben strutturati capitoli.
Il primo capitolo contribuisce ad approfondire e puntualizzare il quadro normativo
relativo al notariato palermitano fra xII e
xIV secolo, a partire dalla legislazione regia
di età normanno-sveva, e passa in rassegna
la prassi di redazione del documento notarile
a Palermo, con un’attenzione alle consuetudini cittadine.
Il secondo (Gli scrittori dei documenti
originali palermitani di età aragonese,
1282-1391) e il terzo capitolo (I giudici cittadini nei documenti originali palermitani
di età aragonese, 1282-1390) analizzano
dettagliatamente qualifiche notarili, gruppi
parentali (ventidue quelli individuati in età
299
aragonese), eventuale origine extrainsulare
dei notai (di provenienza toscana soprattutto) e ancora, i giudici ai contratti nella
legislazione federiciana, il nuovo assetto
istituzionale della Corte baiulare a partire
dalla seconda metà del xIII secolo, la Corte
pretoriana nel xIV secolo (con un’attenzione specifica a Palermo e Messina, città
in cui i tribunali cittadini ricoprivano un livello istituzionale autonomo e superiore). I
due capitoli sono supportati da analitici repertori prosopografici, dedicati rispettivamente agli scriptores dei documenti originali palermitani di età aragonese (164
schede in cui vengono specificate qualifica
posseduta, datazione cronica, attestazioni
documentarie) e ai giudici cittadini che sottoscrivono o sono menzionati come giudici
ai contratti (227 schede in cui vengono specificati gli anni indizionali in cui l’ufficiale
riveste la carica di giudice cittadino e le attestazioni documentarie).
A corredo delle schede, entrambe in ordine
alfabetico per nome proprio, degli utili ed
agevoli indici specifici: dei notai censiti e dei
giudici cittadini censiti; un indice cronologico
dei giudici cittadini censiti (1282-1283 /
1390-1391), e uno delle autorità laiche ed ecclesiastiche (si leggano in proposito le pagine
dedicate nel primo capitolo alla tradizione
ecclesiastica del notariato palermitano).
Condotto con scrupolo metodologico e
chiarezza scientifica, l’ottimo lavoro di Marcello Moscone si chiude con un dossier di
centosettantacinque immagini relativo ai signa rilevati nelle sottoscrizioni dei rogatari
palermitani vergate nella parte conclusiva
dei documenti: ciascuna immagine è accompagnata dal nome dello scriba preceduto dal
proprio numero d’ordine, secondo il corrispondente repertorio degli scrittori dei documenti originali palermitani.
Daniela Santoro
EUGENIA PAULICELLI, Writing Fashion in
Early Modern Italy. From Sprezzatura to
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300
Notiziario bibliografico
Satire, Farnham, Ashgate, 2014, pp. 278,
ill.
Ci sono libri la cui novità non è
assolutamente intaccata dallo scorrere del
tempo, anzi, può accadere che il tempo ne
amplifichi la portata innovativa. A questa
categoria appartiene Writing Fashion in
Early Modern Italy. From Sprezzatura to
Satire, l’ultima pubblicazione di Eugenia
Paulicelli - docente di italiano, letterature
comparate e studi femminili al queen’s
College e al Graduate Center della City
University di New york - che, catapultando
il lettore nell’Italia del xVI e xVII secolo,
apre prospettive e orizzonti nuovi di
conoscenza e comprensione della cultura e
della civiltà occidentale, attraverso la
letteratura e la moda. Evitando diffuse
semplificazioni, il libro disegna un metodo
che aiuti a pensare e a comprendere la
complessità dei fenomeni storici, segno
fondante dell’Età moderna, e la rete di
interrelazioni che è alla base dello sviluppo
dello stile e del gusto, a livello personale,
nazionale e collettivo.
Da tempo l’autrice ha intrapreso un
cammino di ricerca e di studio dello stile
italiano, dando alla luce una serie di volumi
(Lo spreco dei significanti. L’eros, la morte,
la scrittura, a cura di E. PAULICELLI - A.
PONZIO - M. TUNDO, Bari, Adriatica, 1983;
Parola e immagine. Sentieri della scrittura
in Leonardo, Marino, Foscolo, Calvino,
Firenze, Cadmo, 1996; Fashion under
Fascism. Beyond the Black Shirt, Oxford &
New york, Berg, 2004; Moda e Moderno.
Dal Medioevo al Rinascimento, Rome,
Meltemi, 2006; The Fabric of Cultures.
Fashion, Identity, Globalization, a cura di E.
PAULICELLI – h. CLARK, London and New
york, Routledge, 2008; 1960. Un anno in
Italia. Costume, cinema, moda e cultura, a
cura di E. PAULICELLI - A. MARALDI, Cesena,
Il Ponte Vecchio, 2010; Rosa Genoni. La
Moda è una cosa seria. Milano Expo 1906
e la Grande Guerra, Milano, Deleyva,
2015) e articoli che scandagliano le fitte
relazioni tra moda e letteratura, tra moda e
cinema italiano, soffermandosi sia sull’età
contemporanea sia sulle epoche precedenti.
In questa ultima pubblicazione la
studiosa focalizza la sua attenzione su testi
letterari e libri di costume, scritti in pieno
Rinascimento, in una fase di passaggio in
cui la situazione storico-politica dell’Italia
cambia profondamente. E’ per l’Italia infatti
un momento di rovina, di perdita
dell’autonomia e dell’egemonia politica.
Eppure in questa catastrofe proprio
dall’Italia si propaga a tutto l’Occidente una
grande proposta culturale: sbocciano testi
come Il libro del Cortegiano di Baldassarre
Castiglione (Venezia 1528), De Gli Habiti
Antichi, Et Moderni di Diuerse Parti del
Mondo di Cesare Vecellio (Venezia 1590),
Habiti d’huomeni et donne venetiane con la
processione della Ser.ma Signoria ed altri
particolari… di Giacomo Franco (Venezia
1610) che danno corpo normativo alla moda
e concorrono alla costituzione di un
carattere nazionale, nonché alla creazione di
codici di bellezza e di stile. Sono pertanto
testi esemplificativi di un processo di
metabolizzazione del cambiamento, prima
che diventi dirompente.
Punto di partenza di questo viaggio è
l’approfondimento, nel capitolo di apertura,
di una mappa terminologica tra lingue
europee affini, intercettando le radici e le
«traiettorie etimologiche» (pp. 5-6) di parole
come moderno, alla moda e moda, nel senso
di «moda dell’epoca presente» ma anche di
«mode di vestirsi soggetto al gusto
mutevole». Sin dall’esordio la moda si
afferma, nel suo processo di codificazione,
come una forma di disciplina e di forgiatura
del proprio sé nello spazio pubblico e
politico. La moda, come codice estetico
organizzato, supera, quindi, la legislazione
suntuaria, quel complesso di disposizioni
normative che tra il xIII e il xVI secolo,
negli stati e nelle città europee, avevano
disciplinato il lusso nell’abbigliamento
femminile e maschile e regolato la soglia di
decoro secondo la classe di appartenenza,
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Notiziario bibliografico
operando così un diffuso «controllo sociale»
nel processo continuo di civilizzazione.
Nel secondo capitolo si è subito immersi
nel mondo de Il Cortegiano di Baldassarre
Castiglione, testo capitale letto in tutta
Europa, una sorta di epitome della tensione
e dell’ansia che si respirava in quel periodo
di transizione. Lo scenario di fondo è la
società europea divisa e ordinata per classi
che entra in crisi e i personaggi (come il
Cortigiano) metabolizzano, ad libitum, il
cambiamento. Diventa quindi importante la
conoscenza di sé e la costruzione, attraverso
il potere mistificatorio della moda, della
propria immagine e del personale modo di
comportarsi. Vige infatti il principio ben
espresso dalle parole di Machiavelli ne Il
principe (cap. xVIII): «E gli uomini, in
universali, iudicano più agli occhi che alle
mani; perché tocca a vedere a ognuno, a
sentire pochi. Ognuno veder quello che tu
pari, pochi sentono quello che tu sei».
Il Cortigiano, padrone di se stesso,
sperimenta pertanto la sua qualità più
congeniale, la sprezzatura, ovvero, quella
maniera di comportarsi e di stare al mondo
con spiccata disinvoltura «che nasconda
l’arte e dimostri ciò che si fa e dice venire
fatto senza fatica e quasi senza pensarvi». È
pertanto il punto massimo della cultura,
l’arte di nascondere l’arte, nella naturalezza
e spontaneità. Attraverso i secoli, «la
sprezzatura è diventata una delle più potenti
mitologie dell’individuo moderno» (p. 54):
meraviglia scoprire come tale concetto
circoli nella nostra contemporaneità, nel
mondo dei fashion bloggers, che declinano
tutt’oggi la sprezzatura come un’idea di stile
legata all’Italia, alla sartorialità italiana e
alla perfetta eleganza.
La tensione, che nasce dalla
consapevolezza della trasformazione in
corso nel secolo xVII, è rintracciabile anche
nel libro di Vecellio, De Gli Habiti Antichi,
Et Moderni di Diuerse Parti del Mondo, 400
xilografie accompagnate da un testo
esplicativo. Grazie alla scoperta del Nuovo
Mondo, le opportunità di conoscere
301
l’abbigliamento e l’ornamento si ampliano
notevolmente attraverso la diffusione di libri
con immagini di costumi, i cosiddetti
«atlanti delle apparenze»: Vecellio osserva
e disegna fogge e abiti appartenenti a
diverse regioni dell’Europa e del mondo
conosciuto, proponendo un notevole sforzo
di classificazione, di rappresentazione del
mondo attraverso una precisa tassonomia.
Paulicelli esplora il trattato di Vecellio come
una «mappatura del mondo» (p. 119), in cui
«la cosa degli abiti» si struttura, attraverso
società e culture differenti, in un diffuso
sistema di segni.
A differenza del trattato di Vecellio,
l’opera di Giacomo Franco, Habiti
d’huomeni et donne venetiane con la
processione della Ser.ma Signoria ed altri
particolari…, presenta per ciascuna
incisione solo una breve didascalia,
riducendo all’osso la componente testuale.
È una galleria di immagini di grande
impatto visivo in cui Venezia è rappresentata
al centro del mondo, vero ritratto del
mondo, paradigma della moda. Nella
trattazione degli abiti, in considerazione
della relazione tra realtà e apparenza,
acquista un particolare valore l’elemento
seduttivo che aumenta l’inganno e la
capacità di dissimulare.
Negli ultimi capitoli la Paulicelli
esamina opere di scrittori italiani, non
ancora disponibili in traduzione inglese,
come quelle di Arcangela Tarabotti e
Agostino Lampugnani e di Vecellio. In
questi testi si respira un’aria diversa e la
moda è già un fenomeno acquisito che non
è più da mettere in discussione. Ora la si
critica e si crea satira sugli eccessi.
In difesa della libertà femminile
nell’abbigliamento e nella cura di sé, si
muove suor Angela Tarabotti (1604-1652),
femminista ante litteram, costretta a
prendere il velo contro la sua volontà. Nelle
sue opere, Paradiso monacale (1643),
l’Antisatira (1644) o Che le donne siano
della spetie degli uomini (1651), si
preoccupa anche della moda delle donne che
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302
Notiziario bibliografico
hanno diritto alla bellezza, asserendo che
«ho tagliato i miei capelli ma non sradicherò
i miei sentimenti. Riformai la mia vita ma i
miei capelli più si sono tagliati più crescono,
moltiplicando continuamente».
Agostino Lampugnani, abate milanese, è
autore, nel 1648 di un testo intitolato
Carrozza da Nolo overo Del vestire e usanze
alla Moda, in cui si ha «la prima apparizione
della parola moda nel lessico italiano», con
l’introduzione del neologismo modanti e il
suo sinonimo foggiani, qualità di coloro che
sono eccessivamente osservanti della moda.
Lampugnani critica potentemente le ultime
mode, tacciandole di essere di cattivo gusto,
sottolineando che la moda è una specificità
degli italiani.
L’autrice applica quindi un originale
metodo di analisi dei testi letterari,
smontando tutte le componenti che si
intrecciano e incrociano in questi discorsi
sulla moda. Evidenzia inoltre come i testi
letterari contribuiscano pienamente allo
studio della moda, la quale è contrassegnata
da un complesso crogiolo di studi,
all’insegna della interdisciplinarietà e della
relazione tra cultura materiale e cultura
immateriale. Getta così le basi per ulteriori
ricerche, posizionandosi come un
importante punto di riferimento nello studio
della storia della moda. Non resta quindi che
augurare a questo libro - e a noi - che sia
presto tradotto in lingua italiana.
Maria Natalina Trivisano
GEMMA TORRE, Archivi d’impresa a Genova.
Percorsi e materiali per un censimento,
Cargeghe, Editoriale documenta, 2015,
pp. 493 (Bibliographica, 11)
Gli archivi d’impresa costituiscono ormai
da molti anni un campo di indagine di significativa importanza nella ricerca storiografica
e un settore assai rilevante per l’archivistica
italiana e internazionale. Nel corso del tempo
sono state realizzate molte iniziative che si
proponevano di conoscere la natura e la composizione di questi fondi, oltre che di definirne le specifiche modalità di descrizione e
di trattamento, nonché progetti di fruizione e
di valorizzazione sulla base del territorio di
riferimento o del settore produttivo. Si è assistito all’apertura di numerosi archivi e musei
d’azienda, che ormai vengono proposti da
guide a loro dedicate e riscuotono un buon
interesse anche da parte di un pubblico non
specialistico. Di recente l’Anai ha istituito un
gruppo di lavoro sugli archivi d’impresa, il
GIAI, con il compito di «facilitare la conoscenza reciproca e la cooperazione tra quanti
lavorano sulle fonti aziendali».
questo volume riproduce, con qualche
aggiunta e qualche aggiornamento, la tesi
di laurea di Gemma Torre intitolata Censimento degli archivi d’impresa nel territorio
del Comune di Genova, che è stata discussa
nel 2013 presso l’Università degli studi di
Genova. Il lavoro di tesi ha poi vinto il
«Premio bibliographica» bandito dalla Biblioteca di Sardegna che ne ha permesso la
pubblicazione.
Il libro presenta i risultati della rilevazione condotta su 91 aziende storiche di Genova che posseggono ancora il proprio archivio. Al resoconto del censimento l’autrice
ha accostato numerosi approfondimenti riguardanti le scelte metodologiche e gli
aspetti operativi del lavoro condotto fra il
2012 e il 2013; alcuni saggi sulla storia economica di Genova e sugli archivi aziendali,
che permettono di contestualizzare il censimento inserendolo in un discorso più ampio;
un interessante corredo di immagini.
La pubblicazione viene introdotta da
Francesca Imperiale, soprintendente archivistico per la Liguria e direttore dell’Archivio
di Stato di Genova, che segnala l’importanza
di questo censimento per conoscere il patrimonio archivistico aziendale di Genova permettendone la tutela, la conservazione, l’utilizzo e la valorizzazione. Imperiale, poi,
sottolinea la serietà del lavoro, condotto di
concerto con la Soprintendenza, il Comune
di Genova e la Camera di commercio. Segue
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Notiziario bibliografico
la presentazione di Raffaella Ponte, direttrice
dell’Archivio storico del Comune di Genova
e del Museo del Risorgimento e Istituto mazziniano, che ripercorre lo sviluppo dell’opera
e ne evidenzia la bontà anche sotto il profilo
delle discipline archivistiche.
Il primo capitolo del libro (pp. 23-52)
presenta al lettore un quadro generale dei
diversi aspetti dell’archivistica d’impresa,
così da permettergli di accedere agli elementi sufficienti per apprezzare il lavoro genovese anche in un’ottica nazionale. Inizialmente l’autrice ripercorre il cammino che
ha portato gli archivisti a comprendere l’importanza dei documenti aziendali, a conoscerli e ad affrontarne la gestione. Vengono
ricordati alcuni momenti di particolare rilevanza: il convegno promosso dalla «Rassegna degli archivi di Stato» nel 1972, che
può considerarsi il momento di fondazione
dell’archivistica d’impresa in Italia, l’inaugurazione dell’Archivio Ansaldo nel 1982
seguito da altre esperienze fra cui quelle di
Fiat e Buitoni, le pubblicazioni della rivista
«Archivi e imprese» a cura della Fondazione
Assi a partire dal 1990, la nascita a Milano
di Museimpresa nel 2001, la presentazione
del Portale SAN degli archivi d’impresa in
occasione della II Conferenza nazionale degli archivi tenutasi a Bologna sul finire del
2009 e, infine, le più recenti iniziative di
formazione a cura dell’Anai. Nella seconda
parte di questo primo capitolo vengono proposte le definizioni dei termini più rilevanti
quali, ad esempio, «imprenditore»,
«azienda», «società», oltre ad uno schema
delle principali tipologie documentarie d’impresa, che risulta assai utile come riferimento
generale: le scritture sociali, i documenti
prodotti dagli Uffici di presidenza e dalla
segreteria del Consiglio di amministrazione,
la documentazione contabile e fiscale e i documenti di carattere tecnico. Nell’ultima
parte l’autrice illustra le norme principali
cui l’imprenditore deve attenersi, che definiscono i processi di produzione e conservazione dei documenti, e poi la legislazione
sugli archivi d’impresa, con particolare ri-
303
ferimento al Dpr 1409/1963 e al Codice dei
beni culturali del 2004.
Il secondo capitolo (pp. 53-72), intitolato
Genova: il capoluogo ligure nello sviluppo
dell’archivistica d’impresa, presenta una
breve analisi del contesto storico ed economico dell’imprenditoria genovese fra Otto
e Novecento, quindi in un momento in cui
Genova e la Liguria costituivano uno dei
poli più significativi dello sviluppo industriale italiano, fino a giungere poi agli anni
recenti. Per quanto riguarda la crescita di
una sensibilità orientata alla salvaguardia e
alla valorizzazione degli archivi d’impresa,
Genova rivendica il titolo di patria della disciplina, soprattutto in virtù dei due convegni
del 1982 e delle molte realizzazioni di quegli
anni, fra cui le esperienze della Fondazione
Ansaldo e dell’archivio AMT, che ancora
oggi indirizzano l’azione degli archivisti.
Infatti, la Liguria conserva fonti archivistiche di notevole importanza, non solo a Genova, ma anche ad Imperia, a Savona, ad
Altare, ad Albisola, a La Spezia, a Rapallo
e in altri luoghi che sono a disposizione per
gli studi di storia economica e lo sviluppo
dell’archivistica d’impresa.
Il terzo capitolo (pp. 73-89) elenca gli interventi di censimento condotti da vari soggetti, a partire dagli anni Settanta, allo scopo
di definire quale metodologia di rilevazione
adottare nel caso genovese. Dopo aver indicato le caratteristiche generali di un censimento, e ricordato che le azioni di sistematica
ricognizione erano già state segnalate fin dal
1972 come il più appropriato intervento da
realizzare per comprendere la natura di questi
beni, viene descritto l’approccio territoriale e
l’approccio su base settoriale. Seguono le
schede dei progetti realizzati in Lombardia,
in Toscana, in Lazio e in Emilia Romagna,
così da formare un quadro generale dei più
importanti lavori italiani. Bisogna però rilevare che la conclusione di questa ricerca in
anni precedenti alla pubblicazione del volume
ha impedito di includere anche il più recente
progetto realizzato su ampia scala in Piemonte, sostenuto dalla Direzione generale per
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304
Notiziario bibliografico
gli archivi e dalla Regione, i cui risultati sono
stati pubblicati nel 2013 sul web e in un corposo volume. Seguono le schede sugli interventi realizzati in favore degli archivi delle
case editrici, degli istituti di credito e, in ultimo, vengono accennati i censimenti dei fondi
delle aziende municipalizzate, delle imprese
tessili, delle assicurazioni e delle ferrovie.
Nel quarto capitolo (pp. 91-371) vengono
illustrati i criteri di ricerca e la metodologia
di rilevazione adottata, cui seguono le schede
dei 91 archivi aziendali realizzate con il software «Archimista». Per prima cosa ci si è
impegnati nel circoscrivere il campione delle
imprese da censire, che dovevano essere di
Genova, ancora attive e fondate prima del
1950; qui l’autrice racconta delle difficoltà
incontrate e della scelta di utilizzare l’elenco
delle aziende che hanno chiesto alla Camera
di commercio di essere riconosciute come
ultracentenarie in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Poi
viene presentata la scheda di rilevazione,
suddivisa in tre aree: la prima rivolta all’individuazione dell’azienda, la seconda all’identificazione dell’archivio e delle sue vicende, e la terza alla descrizione della
documentazione censita (incluse le informazioni sugli atti tecnici, la sezione fotografica,
la biblioteca, l’emeroteca e gli archivi aggregati), cui si aggiungono la data del sopralluogo e, ove necessarie, le informazioni
sul conservatore. In seguito si racconta di
come le imprese siano state coinvolte nella
ricerca, prima con una lettera trasmessa dalla
Camera di commercio e poi con un contatto
telefonico preliminare al sopralluogo. Infine,
si riferisce di come siano stati rielaborati i
dati raccolti nel rispetto degli standard archivistici Isad, Isaar, Isdiah e Niera e, in ultimo, preparati per la pubblicazione con l’uso
della funzione di stampa delle schede di «Archimista».
Alla parte introduttiva del quarto capitolo
seguono, come detto, tutte le schede delle
aziende e degli archivi d’impresa censiti,
proposte in ordine alfabetico. Le schede sono
il risultato di un elaborato lavoro di selezione
che ha preso avvio dall’elenco camerale con
108 ditte; di queste imprese due avevano
cessato l’attività nel 2012 e delle 106 contattate solo 73 hanno acconsentito a partecipare al progetto mentre 12 non erano interessate e 21 hanno dichiarato di non
conservare più il loro archivio. In seguito,
grazie alla partecipazione di alcuni istituti
culturali, al primo nucleo si sono aggiunte
altre 18 imprese. Fra le aziende censite troviamo molti marchi noti e altri meno conosciuti, fra cui le Acciaierie e ferriere di Bolzaneto, l’Ansaldo, le banche Carige e
Passadore, la bottiglieria Cantine Moretti e
la ditta Sciutto di movimentazione di oggetti
d’arte, la Costa, titolare di Costa crociere
fino al 1997 che all’inizio della sua attività
era dedita al commercio dell’olio d’oliva. E
poi alcune farmacie, l’Ilva, la Manifattura
italiana tappeti artistici, le Officine elettriche
genovesi, il Registro navale italiano e la Trattoria detta del Bruxaboschi con i suoi menù
fin dal 1920. La scheda n. 27 è intestata alla
Dufour: nata nel 1926 come Caramelle San
Giacomo per la produzione di gelatine di
frutta, nel 1975 si fonde con la società americana Elah pur restando sempre di proprietà
della famiglia Dufour; sul finire degli anni
Ottanta l’attività viene ceduta alla Novi, ditta
produttrice di cioccolato fin dal 1903 con
sede a Novi Ligure in provincia di Alessandria, assumendo la denominazione attuale di
«Elah, Dufour e Novi». L’archivio della Dufour è conservato dalla Fondazione Ansaldo,
che lo ha rilevato dal curatore fallimentare e
si compone di 1.500 unità dal 1926 al 1989,
oltre a 36 filmati di spot pubblicitari. In ultimo bisogna ricordare che, trattandosi di una
ricerca finalizzata alla stesura di una tesi di
laurea, le schede, pur ricche, si fermano ad
un livello di analisi dei complessi documentari che potrebbe essere ulteriormente dettagliato, ma comunque del tutto sufficiente all’identificazione societaria e dei materiali.
Fra le pagine 160 e 161 ci sono otto carte
bianche e patinate con alcune illustrazioni a
colori che propongono documenti e attestati,
belle fotografie, immagini d’archivio, cam-
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Notiziario bibliografico
pionari, disegni, pubblicità, cartoline, carte
intestate e qualche prodotto.
Nel quinto capitolo (pp. 373-383)
Gemma Torre trae alcune conclusioni dalla
ricerca condotta. Prima di tutto segnala una
generale disponibilità a partecipare alla ricognizione, anche se si può presumere che
tale comportamento positivo sia derivato dal
fatto che le aziende erano già inserite negli
elenchi di quelle ultracentenarie o perché,
in alcuni casi, si tratta di soggetti culturali
con funzioni di conservatore. Poi viene rilevato che mentre gli archivi custoditi da
soggetti culturali erano già stati riordinati,
quelli ancora in azienda si presentavano sostanzialmente allo stato originario o disordinati. È stato anche possibile rilevare una
certa discontinuità nella conservazione, che
incide sulla tipologia di documenti con una
evidente predilezione per i materiali tecnici
e contabili, benché parzialmente giustificata
sia dalla scarsa disponibilità di spazio, sia
dai danni provocati dalle alluvioni del 1970
e del 2011. In conclusione l’autrice rileva
che la cultura d’impresa è ancora poco diffusa, che gli obblighi conservativi imposti
alle aziende sono insufficienti alla preservazione della memoria, che molto è andato
perduto e ancora si sta perdendo, ma che lavori come questo riescono a portare alla luce
archivi fino ad oggi sconosciuti contribuendo quindi a salvarli dalla dispersione.
Purtroppo, però, la semplice segnalazione
dell’esistenza degli archivi non offre garanzie di conservazione futura e di accesso, e
ad oggi la documentazione viene più spesso
considerata un onere piuttosto che una risorsa sulla quale investire.
A completamento del quinto capitolo seguono otto pagine a colori fuori testo dove
l’autrice propone alcuni grafici che sintetizzano i risultati del censimento e offrono al
lettore alcuni dati di carattere generale riguardanti sia la presenza di archivi sul territorio, sia del contenuto degli stessi fondi documentari. Così si vede che per le 73
imprese ultracentenarie del primo elenco la
conservazione dell’archivio è da imputarsi
305
soprattutto al fatto che c’è stata continuità
nella conduzione da parte della stessa famiglia titolare, e che in tre casi su quattro il
soggetto produttore conserva direttamente
il proprio materiale, sebbene possegga di
rado serie complete. Gli archivi contengono
in prevalenza carte, ma anche documentazione tecnica, fotografie, una biblioteca speciale e altro materiale che si può presumere
composto da prodotti finiti o semilavorati,
campionari e altro. Entrando più nello specifico della documentazione conservata dalle
aziende, vediamo che negli archivi prevale,
in uguale misura, la documentazione amministrativa e quella contabile e fiscale, cui seguono le pratiche del personale e, in quantità
assai minore, le scritture sociali.
Alcune appendici (pp. 385-425) integrano
il lavoro illustrato nei precedenti capitoli.
Nella prima vengono elencate le 109 imprese
censite dall’Associazione degli industriali
della provincia di Genova nel 1982, e per
ciascuna se ne indica l’anno di fondazione.
La seconda appendice propone l’elenco delle
22 imprese editoriali censite in Liguria nel
2003; la terza riporta l’elenco delle 108 imprese storiche con sede nel capoluogo ligure
censite dalla Camera di commercio di Genova
nel 2012, e per ognuna viene indicato l’anno
di fondazione, il settore produttivo entro cui
è inquadrata oggi e il settore di produzione
che storicamente la caratterizzava. La quarta
appendice, più corposa delle altre e frutto di
un lavoro originale, riporta le schede delle
21 imprese storiche che non conservano un
fondo archivistico e che pertanto sono rimaste
ai margini del censimento; ogni scheda è
composta allo stesso modo di quelle del
quarto capitolo ed espone i dati identificativi
del soggetto produttore e conservatore, una
breve storia aziendale, alcune informazioni
sulle vicende dell’archivio non più disponibile, talvolta una bibliografia e la data della
redazione della scheda con qualche aggiornamento recente. Nella quinta e ultima appendice compaiono i nomi delle due imprese
storiche che hanno cessato l’attività nel 2012.
Al fondo del volume l’autrice propone
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306
Notiziario bibliografico
l’elenco dei principali riferimenti normativi
(pp. 427-431) disposti in ordine cronologico
a partire dal Codice di commercio di terra e
di mare pel Regno d’Italia del 1808 fino
alle leggi del 2012. Segue un’interessante
bibliografia ragionata e commentata (pp.
433-465) formata da un centinaio di titoli e
da un buon numero di siti web riferiti all’intero contesto nazionale o specifico di alcune Regioni (Campania, Emilia Romagna,
Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana e Veneto), oltre
ad una sintetica sitografia estera.
Gli indici completano il lavoro (pp. 467493): l’indice alfabetico delle imprese censite, l’indice cronologico delle imprese secondo l’anno di fondazione, l’indice delle
stesse aziende prima raccolte sulla base delle
attività svolte e poi secondo il settore produttivo, l’indice degli istituti di conservazione e, infine, l’indice generale del volume.
Il lavoro di Gemma Torre si propone
come il resoconto finale di un’utile ricerca
sull’archivistica d’impresa e offre al ricercatore di storia economica un buon numero
di schede di censimento di archivi aziendali.
questo libro, però, è più di quanto a prima
vista possa sembrare perché costituisce
un’efficace sintesi del percorso compiuto dagli archivisti d’impresa in oltre quarant’anni,
e perché presenta della disciplina le migliori
realizzazioni e ne mette in pratica gli insegnamenti in una rilevazione che potrà certamente essere assunta a riferimento da molti.
Dimitri Brunetti
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Indici dell’annata 2014
AJROLDI CESARE, v. CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI»
CARUGhI UGO, v. CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI»
CONTI PAOLA, V. «LA GRANDE GUERRA (E NON SOLO). LE FONTI MILITARI CONSERVATE
NELL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE»
CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI» (Archivio di Stato
di Roma, 18 giugno 2013)
Cettina Lenza, Memoria e futuro: la ricerca universitaria per la conoscenza e la valorizzazione degli ex ospedali psichiatrici in Italia, p. 9; Maria Luisa Neri, Storia,
tutela, valorizzazione dei complessi manicomiali nei territori centro-italiani, p.
29; Gerardo Doti, Una storia rivisitata: gli spazi della follia sul web, p. 42; Maria
Antonietta Crippa, Storiografia e nuovi usi per gli ex ospedali psichiatrici in Italia.
Spunti per ulteriori ricerche, p. 51; Laura Guardamagna, Politiche sabaude per
l’accoglienza e la cura psichiatrica nell’Italia nord-occidentale dal Regno sardo
all’Italia unita, p. 60; Pierre-Louis Laget, Dall’architettura dei manicomi in Francia all’assistenza psichiatrica fuori dalle mura, p. 65; Cesare Ajroldi, Un workshop di progettazione a Palermo, p. 73; Franco Purini, Tra suggestione e timore.
I complessi manicomiali italiani tra Ottocento e Novecento, p.77; Ugo Carughi,
Rapporti tra ricerca storica e tutela del patrimonio materiale, p. 80.
7
CRIPPA MARIA ANTONIETTA, v. CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI
PSIChIATRICI»
DOTI GERARDO, v. CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI»
FRANZESE PAOLO, Parliamo ancora di archivistica e del suo insegnamento
«LA GRANDE GUERRA (E NON SOLO). LE FONTI MILITARI CONSERVATE NELL’ARChIVIO
DI STATO DI FIRENZE: COMINCIAMO A PARLARNE». Giornata di studi sugli archivi
militari (Archivio di Stato di Firenze, 4 novembre 2013)
Carla Zarrilli, Il punto sull’attività di tutela svolta dall’Archivio di Stato di Firenze
sugli archivi militari, p. 87; Micaela Procaccia, La memoria dei singoli. Il problema
191
85
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:44 Pagina 308
308
Indici dell’annata
della conservazione dei fogli matricolari, p. 94; Nicola Labanca, Storia militare e
fonti archivistiche: una relazione stretta, base di un’alleanza fra storici militari e
archivisti, p. 97; Claudio Lamioni, Le leve negli Archivi di Stato della Toscana:
materiali, ordinamenti, storie archivistiche, p. 110; Mauro Scroccaro, Il progetto
Alisto e il fondo miscellaneo di mappe militari dell’Archivio di Stato di Firenze, p.
141; Paola Conti, Il Tribunale militare di Firenze: storia di un istituto e vicissitudini
di un archivio. Qualche cenno, p. 150; Simone Sartini, Una fonte impossibile: per
un censimento degli archivi della sanità militare, p. 160; Dibattito, p. 183.
GUARDAMAGNA LAURA, v. CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI»
LABANCA NICOLA, v. «LA GRANDE GUERRA (E NON
SERVATE NELL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE»
SOLO).
LE
FONTI MILITARI CON-
LAGET PIERRE-LOUIS, v. CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI»
LAMIONI CLAUDIO, v. «LA GRANDE GUERRA (E NON SOLO). LE FONTI MILITARI CONSERVATE NELL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE»
LENZA CETTINA , v. CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI»
NERI MARIA LUISA, v. CONVEGNO «MEMORIA E
ATRICI»
FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChI-
PROCACCIA MICAELA, v. «LA GRANDE GUERRA (E NON SOLO). LE FONTI MILITARI CONSERVATE NELL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE»
PURINI FRANCO, v. CONVEGNO «MEMORIA E FUTURO DEGLI Ex OSPEDALI PSIChIATRICI»
SARTINI SIMONE, V. «LA GRANDE GUERRA (E NON SOLO). LE FONTI MILITARI CONSERVATE NELL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE»
SCROCCARO MAURO, V. «LA GRANDE GUERRA (E NON SOLO). LE FONTI MILITARI CONSERVATE NELL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE»
ZARRILLI CARLA, v. «LA GRANDE GUERRA (E NON SOLO). LE FONTI MILITARI CONSERVATE NELL’ARChIVIO DI STATO DI FIRENZE»
NOTE E COMMENTI
CARUCCI PAOLA, Per una storia dell’Amministrazione archivistica: il repertorio del
personale degli Archivi di Stato
207
ROMEO ILARIA, L’archivio e la biblioteca delle disciolte organizzazioni sindacali
fasciste di industria, commercio, agricoltura (I. Romeo)
225
LODOLINI ELIO, Una Corte senza archivio
217
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:44 Pagina 309
Indici dell’annata
309
GOZZANO NATALIA, Le arti visive e la danza. Testimonianze dagli archivi delle danzatrici Jia Ruskaja (1903-1970) e Friderica Derra De Moroda (1897-1978)
235
VERSAMENTI, TRASFERIMENTI, DEPOSITI, DONI, ACqUISTI: 2014
247
NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO
292
INDICI DELL’ANNATA
307
Notiziario bibliografico
Opere segnalate
Collaboratori
310
310
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:44 Pagina 310
Notiziario
bibliografico
Opere segnalate
Archivi delle donne in Piemonte. Guida alle
fonti, a cura di PAOLA NOVARIA - CATERINA
RONCO, Torino, Centro studi piemontesi - Ca
de studi piemontèis, 2014, pp. 345
292
BONESChI BARBARA, Gian Luca Zanetti dall’avvocatura al giornalismo e all’editoria,
Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 269 293
DE DONNO DARIA, Notabilato e carriere politiche tra Otto e Novecento. Un esempio di
ascesa (Giuseppe Pellegrino, 1856-1931), Galatina (Lecce), Congedo, 2010, pp. 260 293
FRANZESE PAOLO, Manuale di archivistica
italiana, Perugia, Morlacchi, 2014, pp. 243
295
KLEIN FRANCESCA, Scritture e governo dello
Stato a Firenze nel Rinascimento. Cancellieri, ufficiali, archivi, Firenze, Edifir, 2013,
pp. 317 (Studi di storia e documentazione
storica, 4)
297
Collaboratori
MOSCONE MARCELLO, Notai e giudici cittadini dai documenti originali palermitani di
età aragonese (1282-1391), Palermo,
Archivio di Stato - Scuola di archivistica paleografia e diplomatica, 2008, pp. 331
(quaderni, Studi e strumenti, 6)
299
NOVARIA PAOLA, v. Archivi delle donne in
Piemonte
PAULICELLI EUGENIA, Writing Fashion in
Early Modern Italy. From Sprezzatura to
Satire, Farnham, Ashgate, 2014, pp. 278,
ill.
299
RONCO CATERINA, v. Archivi delle donne in
Piemonte
TORRE GEMMA, Archivi d’impresa a Genova. Percorsi e materiali per un censimento,
Cargeghe, Editoriale documenta, 2015, pp.
493 (Bibliographica, 11)
302
Böninger Lorenz, 297; Brunetti Dimitri, 302; Mulè Antonella, 292; Padulo Gerardo, 293;
Santoro Daniela, 299; Spadaccini Rossana, 295; Trivisano Maria Natalina, 299
imp_X_2014.qxp_Layout 1 15/12/15 09:44 Pagina 311
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imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 1
L e p u b b l i c a z i o n i d e g l i Archivi di Stato italiani
La Direzione generale Archivi, Servizio II - Patrimonio archivistico cura l’edizione di un periodico (Rassegna degli Archivi di Stato), di sei collane (Strumenti,
Saggi, Fonti, Sussidi, Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, Archivi italiani)
e di volumi fuori collana. Tali pubblicazioni sono in vendita a cura dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., Direzione Sviluppo Business & Solutions, Sviluppo
Business, via Marciana Marina 28, 00138 Roma, tel. 0685084127 - fax 0685083467
o 0685084117, e-mail: [email protected]. Per l’acquisto diretto Punto vendita Spazio
Verdi, piazza Verdi, 1 00198 Roma, tel. e fax 068417797; 0685301366 - 068549866,
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Altre opere vengono pubblicate a proprie spese da editori privati che ne curano
anche la distribuzione.
Il catalogo completo delle pubblicazioni, con una breve sintesi del contenuto dei
volumi e con l’indicazione del prezzo di vendita, è consultabile nelle pagine web della
Direzione generale Archivi: <www.archivi.beniculturali.it>, da cui è possibile scaricare
i testi delle pubblicazioni edite negli ultimi anni.
PUBBLICAZIONI DEGLI ARCHIVI DI STATO
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Archivio mediceo del Principato. Inventario sommario, Roma 1951 (ristampa xerografica 1966), pp.
XXXIV, 290.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Archivio mediceo avanti il Principato.
Inventario, I, Roma 1951 (ristampa xerografica 1966), pp. xxx, 414.
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, R. Cancelleria di Sicilia. Inventario
sommario (secc XIII-XIX), Roma 1950, pp. LXXXIV, 76, tavv. 2 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI TRENTO, Archivio del Principato vescovile. Inventario, Roma 1951, pp. XXXII, 244 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Guida-inventario dell’Archivio di Stato,
I, Roma 1951, pp. XXIV, 308, tavv. 5 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Guida-inventario dell’Archivio di Stato,
II, Roma 1951, pp. 298. tavv. 3 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Regesto della Cancelleria aragonese
di Napoli, a cura di JOLE MAZZOLENI, Napoli 1951, pp. XXII, 344
(esaurito).
SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI MASSA, Inventario sommario
dell’Archivio di Stato, Roma 1952, pp. XII, 132 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Archivio del Consiglio generale del
Comune di Siena. Inventario, Roma 1952, pp. XXIV, 156 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Archivio del Concistoro del Comune
di Siena. Inventario, Roma 1952, pp. XXVIII, 526, tav. 1 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Archivi privati. Inventario sommario,
I, Roma 19672, pp. L, 304 (esaurito).
Rassegna degli Archivi di Stato, n. s., X (2014)
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII.
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Archivio della Biccherna del Comune
di Siena. Inventario, Roma 1953, pp. XXXII, 234, tav. 1 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI MODENA, Archivio segreto estense. Sezione
«Casa e Stato». Inventario, Roma 1953, pp. LII, 318 tavv. genealogiche 7 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Archivi privati. Inventario sommario,
II, Roma 19672, pp. XII, 296 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA, Gli uffici economici e finanziari del
Comune dal XII al XV secolo. I. Procuratori del Comune - Difensori
dell’Avere - Tesoreria e Contrallatore di tesoreria. Inventario, Roma
1954, pp. XLVIII, 202 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA, Le Insignia degli Anziani del Comune dal 1530 al 1796. Catalogo-inventario, Roma 1954, pp. XXIV,
328, tavv. 16 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Serie di Nizza e della Savoia. Inventario, I, Roma 1954, pp. XVIII, 578 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Archivio mediceo avanti il Principato. Inventario, II, Roma 1955, pp. 548 (esaurito).
ANTONIO PANELLA, Scritti archivistici, Roma 1955, pp. XXXII, 322
(esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, L’archivio della S. Congregazione del
Buon Governo (1592-1847). Inventario, Roma 1956, pp. CLXXVI,
472 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI PERUGIA, Archivio storico del Comune di Perugia. Inventario, Roma 1956, pp. XLII, 474, tavv. 20*.
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Cartolari notarili genovesi (1-149).
Inventario, I, parte I, Roma 1956, pp. XXIV, 252 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Le sale della mostra e il museo delle
tavolette dipinte. Catalogo, Roma 1956, pp. XVIII, 164 tavv. 42.
UFFICIO CENTRALE DEGLI ARCHIVI DI STATO, Vita mercantile italiana.
Rassegna di documenti degli Archivi di Stato d’Italia (in occasione
del III Congresso internazionale degli archivi: Firenze 25-29 settembre 1956), Roma 1956, pp. XX, 118, tavv. 32 (esaurito).
ABBAZIA DI MONTEVERGINE, Regesto delle pergamene, a cura di GIOVANNI MONGELLI O.S.B., I (secc. X-XII), Roma 1956, pp. 352, tavv.
11 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Archivio di Balìa. Inventario, Roma
1957, pp. LXXXVI, 472, tav. 1 (esaurito).
ABBAZIA DI MONTEVERGINE, Regesto delle pergamene, a cura di
GIOVANNI MONGELLI O.S.B., II (1200-1249), Roma 1957, pp. 298,
tavv. 10.
* Il n. XXI era stato inizialmente assegnato al volume ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, Inventario
dell’Archivio di Stato. Archivio dello Stato Pontificio, Roma 1956, pp. XVI, 462. La pubblicazione fu
però ritirata e sostituita con l’attuale; una copia in bozze è consultabile presso l’Archivio di Stato di
Roma.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLVIII.
XLIV.
XLV.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Archivio mediceo avanti il Principato. Inventario, III, Roma 1957, pp. 558 (esaurito).
ABBAZIA DI MONTEVERGINE, Regesto delle pergamene, a cura di GIOVANNI MONGELLI O.S.B., III (1250-1299), Roma 1957, pp. 300, tavv.
15 (esaurito).
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL LAZIO, L’UMBRIA E LE MARCHE,
Gli archivi dell’Umbria, Roma 1957, pp. 202, tavv. 27 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA, Dispacci degli Ambasciatori al Senato. Indice, Roma 1959, pp. XVI, 410 (esaurito).
ABBAZIA DI MONTEVERGINE, Regesto delle pergamene, a cura di GIOVANNI MONGELLI O.S.B., IV (sec. XIV), Roma 1958, pp. 608, tavv.
24.
ABBAZIA DI MONTEVERGINE, Regesto delle pergamene, a cura di GIOVANNI MONGELLI O.S.B., V (secc. XV-XVI), Roma 1958, pp. 618,
tavv. 24 (esaurito).
ABBAZIA DI MONTEVERGINE, Regesto delle pergamene, a cura di GIOVANNI MONGELLI O.S.B., VI (secc. XVII-XX), Roma 1958, pp. 440,
tavv. 19.
JOSEPH ALEXANDER VON HÜBNER, La monarchia austriaca dopo Villafranca (Résumé de l’an I859 dal «Journal», vol. XIV), a cura di
MARIA CESSI DRUDI, Roma 1959, pp. VIII, 184 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA, Le Insignia degli Anziani del Comune dal 1530 al 1796. Appendice araldica, Roma 1960, pp. XII,
282 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Archivio dell’Ospedale di S. Maria della
Scala. Inventario, I, Roma 1960, pp. LXXXVI, 320, tavv. 3 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Archivio dell’Ospedale di S. Maria
della Scala. Inventario, II, Roma 1962, pp. XII, 200, tavv. 3.
ARCHIVIO DI STATO DI LIVORNO, Guida-inventario dell’Archivio di
Stato, I, Roma 1961, pp. XXVIII, 284.
ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Serie di Nizza e della Savoia. Inventario, II, Roma 1962, pp. XCX, 510 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Cartolari notarili genovesi (1-149).
Inventario, I, parte II, Roma 1961, pp. 254 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Libri dell’entrata e dell’uscita del Comune di Siena detti della Biccherna. Reg. 26° (1257 secondo semestre), a cura di SANDRO DE’ COLLI, Roma 1961, pp. XLX, 232
(esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Archivio Borbone. Inventario sommario, I, Roma 1961, pp. LVI, 304, tavv. 22 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Archivio Borbone. Inventario sommario, II, a cura di AMELIA GENTILE, Roma 1972, pp. XIV, 378, tavv.
21 (esaurito).
Gli archivi dei Governi provvisori e straordinari, 1859-1861, I. Lombardia, Provincie parmensi, Provincie modenesi. Inventario, Roma
1961, pp. XXVIII, 390.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
XLVI.
Gli archivi dei Governi provvisori e straordinari, 1859-1861, II. Romagne, Provincie dell’Emilia. Inventario, Roma 1961, pp. XIV, 378.
XLVII.
Gli archivi dei Governi provvisori e straordinari, 1859-1861, III,
Toscana, Umbria, Marche. Inventario, Roma 1962, pp. XII, 482.
XLVIII.
ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA, Riformagioni e provvigioni del Comune di Bologna dal 1248 al 1400. Inventario, Roma 1961, pp. XLVI,
384 (esaurito).
XLIX.
ABBAZIA DI MONTEVERGINE, Regesto delle pergamene, a cura di GIOVANNI MONGELLI O.S.B., VII, Indice generale, Roma 1962, pp. 388,
tavv. 12.
L.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE , Archivio mediceo avanti il Principato. Inventario, IV, Roma 1963, pp. 498 (esaurito).
LI.
ARCHIVIO DI STATO DI LIVORNO, Guida-inventario dell’Archivio di
Stato, II, Roma 1963, pp. 186 (esaurito).
LII.
ARCHIVIO DI STATO DI LUCCA, Regesto del carteggio privato dei principi Elisa e Felice Baciocchi (1803-1814), a cura di DOMENICO
CORSI, Roma 1963, pp. XLI, 302, tav. 1 (esaurito).
LIII.
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Libri dell’entrata e dell’uscita del Comune di Siena detti della Biccherna. Reg. 27° (1258, primo semestre),
a cura di UBALDO MORANDI, Roma 1963, pp. XLVIII, 238 (esaurito).
LIV.
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, I (aula III: capsule I-VII), a cura di TOMMASO LECCISOTTI, Roma 1964, pp. LXX,
312, tavv. 12 (esaurito).
LV.
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, Aspetti della Riforma cattolica e del
Concilio di Trento. Mostra documentaria. Catalogo, a cura di EDVIGE ALEANDRI BARLETTA, Roma 1964, pp. VIII, 278, tavv. 32.
LVI.
ABBAZIA DI MONTECASSINO , I regesti dell’archivio, II (aula III: capsule VIII-XXIII), a cura di TOMMASO LECCISOTTI, Roma 1965, pp.
LXIV, 352, tavv. 10 (esaurito).
LVII.
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Libri dell’entrata e dell’uscita del Comune di Siena detti della Biccherna. Reg. 28° (1258, secondo semestre), a cura di SANDRO DE’ COLLI, Roma 1965, pp. XLIV, 180
(esaurito).
LVIII.
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, III (aula II: capsule I-VII). Fondo di S. Spirito del Morrone (parte I: secc. XI-XV),
a cura di TOMMASO LECCISOTTI, Roma 1966, pp. XX, 454, tavv. 10
(esaurito).
LIX
ARCHIVIO DI STATO DI MANTOVA, Copialettere e corrispondenza gonzaghesca da Mantova e Paesi (28 novembre 1340-24 dicembre
1401). Indice, Roma 1969, pp. 344.
LX.
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, IV (aula II: capsule
VIII-XII). Fondo di S. Spirito del Morrone (parte II: sec. XVI), a cura
di TOMMASO LECCISOTTI, Roma 1968, pp. VIII, 382, tavv. 8 (esaurito).
LXI.
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, Ragguagli borrominiani. Mostra documentaria. Catalogo, a cura di MARCELLO DEL PIAZZO, Roma 1968
(ristampa xerografica 1980), pp. 386, tavv. 48 (esaurito).
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
LXII.
LXIII.
LXIV.
LXV.
LXVI.
LXVII.
LXVIII.
LXIX.
LXX.
LXXI.
LXXII.
LXXIII.
LXXIV.
LXXV.
LXXVI.
LXXVII.
LXXVIII.
Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova, 1866, I, Inventari, Roma 1968, pp. XXIV, 406.
Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova, 1866, II, Documenti, Roma 1968, pp. 436.
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, V (aula II: capsule XIII-XVII). Fondo di S. Spirito del Morrone (parte III: secc.
XVII-XVIII - Schede di professione: secc. XV-XVIII), a cura di TOMMASO LECCISOTTI, Roma 1969, pp. X, 404, tavv. 12 (esaurito).
SOVRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’EMILIA ROMAGNA, L’archivio
storico del Comune di Santarcangelo di Romagna. Inventario, a
cura di GIUSEPPE RABOTTI, Roma 1969, pp. 266.
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Regia Camera della Sommaria. I conti
delle Università (1524-1807). Inventario, a cura di DORA MUSTO,
Roma 1969, pp. 248, tavv. 4.
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Libri dell’entrata e dell’uscita del Comune di Siena detti della Biccherna. Reg. 29° (1259, primo semestre), a cura di SONIA FINESCHI, Roma 1969, pp. XXXVIII, 144.
Archivi di «Giustizia e Libertà» (1915-1945). Inventario, a cura di
COSTANZO CASUCCI, Roma 1969, pp. XX, 260, tavv. 7 (esaurito).
RICCARDO FILANGIERI, Scritti di paleografia e diplomatica, di archivistica e di erudizione, Roma 1970, pp. XXVIII, 458, tavv. 16 (esaurito).
L’archivio arcivescovile di Siena. Inventario, a cura di GIULIANO CATONI e SONIA FINESCHI, Roma 1970, pp. XXVIII, 392, tavv. 4.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Gli archivi del IV corpo d’esercito
e di Roma capitale. Inventario, a cura di RAOUL GUÊZE e ANTONIO
PAPA, Roma 1970, pp. XXIV, 278 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, Gli archivi delle giunte provvisorie di
governo e della luogotenenza generale del re per Roma e le province
romane. Inventario, a cura di CARLA LODOLINI TUPPUTI, Roma 1972,
pp. XVIII, 426.
ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, L’archivio del Tavoliere di Puglia.
Inventario, I, a cura di PASQUALE DI CICCO - DORA MUSTO, Roma
1970, pp. 670, tavv. 4 (esaurito).
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, VI (aula II: capsule XVIII-XXVII), a cura di TOMMASO LECCISOTTI, Roma 1971, pp.
LX, 394, tavv. 10.
FAUSTO NICOLINI, Scritti di archivistica e di ricerca storica, raccolti
da BENEDETTO NICOLINI, Roma 1971, pp. XX, 382 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Archivi del governo francese nel dipartimento dell’Ombrone. Inventario, a cura di GIULIANO CATONI, Roma
1971, pp. 218, tav. 1.
ARNALDO D’ADDARIO, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma
1972, pp. XII, 670, tavv. 25 (esaurito).
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, VII (aula II: capsule XXVIII-XLI), a cura di TOMMASO LECCISOTTI, Roma 1972, pp.
XXVI, 492, tavv. 12.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
LXXIX.
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, VIII (aula II:
capsule XLII-LVI), a cura di TOMMASO LECCISOTTI, Roma 1973, pp.
LXXXVIII, 380, tavv. 10 (esaurito).
LXXX.
L’archivio di Aldobrando Medici Tornaquinci, conservato presso
l’Istituto storico della Resistenza in Toscana. Inventario, a cura di
ROSALIA MANNO, Roma 1973, pp. XXXVI, 182.
LXXXI.
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, IX (aula II: capsule LVII-LXVIII), a cura di TOMMASO LECCISOTTI e FAUSTINO AVAGLIANO, Roma 1974, pp. XXXII, 560, tavv. 12.
LXXXII.
ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, L’archivio del Tavoliere di Puglia.
Inventario, II, a cura di PASQUALE DI CICCO - DORA MUSTO, Roma
1975, pp. 696, tavv. 7.
LXXXIII.
ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, L’archivio del Tavoliere di Puglia.
Inventario, III, a cura di PASQUALE DI CICCO - DORA MUSTO, Roma
1975, pp. 562, tavv. 4.
LXXXIV.
GIAN GIACOMO MUSSO, Navigazione e commercio genovese con il
Levante nei documenti dell’Archivio di Stato di Genova (secc. XIVXV), con appendice documentaria a cura di MARIA SILVIA JACOPINO,
Roma 1975, pp. 292 (esaurito).
LXXXV.
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, Fonti per la storia artistica romana al
tempo di Clemente VIII, a cura di ANNA MARIA CORBO, Roma 1975,
pp. 270 (esaurito).
LXXXVI.
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, X (aula II: capsule LXIX-LXXV), a cura di TOMMASO LECCISOTTI - FAUSTINO AVAGLIANO, Roma 1975, pp. LXXII, 364, tavv. 12 (esaurito).
LXXXVII.
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, L’archivio notarile (1221-1862), Inventario, a cura di GIULIANO CATONI e SONIA FINESCHI, Roma 1975, pp. 436.
LXXXVIII.
DIREZIONE GENERALE DEGLI ARCHIVI DI STATO, Guida delle fonti per
la storia dell’America latina esistenti in Italia, I, a cura di ELIO LODOLINI, Roma 1976, pp. XVI, 406.
LXXXIX-XC.
Radio Londra, 1940-1945. Inventario delle trasmissioni per l’Italia, a
cura di MAURA PICCIALUTI CAPRIOLI, Roma 1976, tt. 2, pp. CXXXVI, 852.
XCI.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Lettere a Giuseppe Pelli Bencivenni,
1747-1808. Inventario e documenti, a cura di MARIA AUGUSTA TIMPANARO MORELLI, Roma 1976, pp. XIV, 760, tavv. 9.
XCII.
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Guida-inventario dell’Archivio di Stato,
III, Roma 1977, pp. VIII, 168.
XCIII.
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, L’archivio dei visitatori generali di Sicilia, a cura di PIETRO BURGARELLA - GRAZIA FALLICO, Roma 1977, pp. 292.
XCIV.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Filippo Brunelleschi: l’uomo e l’artista. Mostra documentaria. Catalogo, a cura di PAOLA BENIGNI, Firenze 1977, pp. 120 (esaurito).
ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’archivio, XI (aula II: capsule LXXVI-LXXXVIII), a cura di TOMMASO LECCISOTTI - FAUSTINO
AVAGLIANO, Roma 1977, pp. LXXII, 614, tavv. 4 (esaurito).
XCV.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
XCVI.
XCVII.
XCVIII.
Il cartulario di Arnaldo Cumano e Giovanni di Donato (Savona,
1178-1188), I, a cura di LAURA BALLETTO, pp. CXX, 190; II, a cura di
LAURA BALLETTO - GIORGIO CENCETTI - GIANFRANCO ORLANDELLI BIANCA MARIA PISONI AGNOLI, pp. XII, 588 (voll. 2 in uno), Roma
1978.
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Archivio privato Tocco di Montemiletto. Inventario, a cura di ANTONIO ALLOCATI, Roma 1978, pp. 474.
Studi in onore di Leopoldo Sandri, a cura dell’UFFICIO CENTRALE PER
I BENI ARCHIVISTICI E DELLA SCUOLA SPECIALE PER ARCHIVISTI E BIBLIOTECARI DELL’UNIVERSITÀ DI ROMA, Roma 1983, tt. 3, pp. XVI,
988 (anche Saggi, 1).
STRUMENTI
IC.
C.
CI.
CII.
CIII.
CIV.
CV.
CVI.
CVII.
CVIII.
Guida agli Archivi della Resistenza, a cura della COMMISSIONE ARCHIVI - BIBLIOTECA DELL’ISTITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE IN ITALIA, coordinatore GAETANO GRASSI,
Roma 1983, pp. XVI, 974.
ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, L’archivio del Tavoliere di Puglia.
Inventario, IV, a cura di PASQUALE DI CICCO - DORA MUSTO, Roma
1984, pp. 542.
ARCHIVIO DI STATO DI AREZZO, Fonti per la storia del sistema fiscale
urbano (1384-1533). Inventari, a cura di PAOLA BENIGNI, LAURETTA
CARBONE e CLAUDIO SAVIOTTI, Roma 1985, pp. 246, tavv. 7.
Guida degli Archivi lauretani, I, a cura di FLORIANO GRIMALDI,
Roma 1985, pp. XIX, 870; II, a cura di ALESSANDRO MORDENTI,
Roma 1986, pp. 871-1118.
ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA, La società dei notai di Bologna.
Saggio storico e inventario, a cura di GIORGIO TAMBA, Roma 1988,
pp. 342.
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Notai ignoti. Frammenti notarili medioevali. Inventario, a cura di MARCO BOLOGNA, Roma 1988, pp. 404.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Archivio delle Tratte. Introduzione e
inventario, a cura di PAOLO VITI e RAFFAELLA MARIA ZACCARIA,
Roma 1989, pp. XXXII, 624.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Sicilia, a cura di SALVATORE CARBONE e LAURA GRIMALDI. Prefazione di SANDRO PERTINI, Roma 1989, pp. 840.
L’archivio storico del monastero di San Silvestro in Montefano di
Fabriano. Inventario dei fondi della Congregazione silvestrina, a
cura di UGO PAOLI, Roma 1990, pp. 382.
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’UMBRIA, Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza dell’Umbria. Profili storici e censimento degli archivi, a cura di MARIO SQUADRONI, Roma 1990, pp.
630, tavole (esaurito).
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
CIX.
CX.
CXI.
CXII.
CXIII.
CXIV.
CXV.
CXVI.
CXVII.
CXVIII.
CXIX.
CXX.
CXXI.
CXXII.
CXXIII.
CXXIV.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Partito Nazionale Fascista. Mostra della Rivoluzione fascista, Inventario, a cura di GIGLIOLA FIORAVANTI, Roma 1990, pp. 360 (esaurito).
L’Archivio dell’Università di Siena. Inventario della Sezione storica,
a cura di GIULIANO CATONI - ALESSANDRO LEONCINI - FRANCESCA
VANNOZZI. Presentazione di LUIGI BERLINGUER, Roma 1990, pp.
XXVI, 312 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Cartolari notarili genovesi (150- 299).
II, Inventario, a cura di MARCO BOLOGNA, Roma 1990, pp. 646.
UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Archivi di famiglie e di
persone. Materiali per una guida. I. Abruzzo-Liguria, a cura di GIOVANNI PESIRI - MICAELA PROCACCIA - IRMA PAOLA TASCINI - LAURA
VALLONE, coordinamento di GABRIELLA DE LONGIS CRISTALDI, Roma
1991, pp. 280.
ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, L’archivio del Tavoliere di Puglia, V,
a cura di PASQUALE DI CICCO, Roma 1991, pp. 450, tavv. 7.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Puglia, a cura di KATIA MASSARA. Prefazione di MICHELE CIFARELLI, Roma 1991, tt. 2, pp. XII, 912.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Ministero per le armi e munizioni.
Decreti di ausiliarietà. Inventario, a cura di ALDO G. RICCI - FRANCESCA ROMANA SCARDACCIONE, Roma 1991, pp. 656.
Archivio Turati. Inventario, a cura di ANTONIO DENTONI-LITTA,
Roma 1992, pp. XII, 452, tavv. 10.
ARCHIVIO DI STATO DI MANTOVA, Antichi inventari dell’archivio Gonzaga, a cura di AXEL BEHNE, Roma 1993, pp. 302.
Gli Archivi Pallavicini di Genova. I. Archivi propri. Inventario, a
cura di MARCO BOLOGNA, Roma 1994, pp. 430.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Basilicata, a cura di DONATELLA CARBONE. Prefazione di COSIMO DAMIANO FONSECA, Roma 1994, pp. XXII, 280.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, L’archivio della Direzione generale delle antichità e belle arti (1860-1890). Inventario, a cura di
MATTEO MUSACCHIO, Roma 1994, tt. 2, pp. VI, 1186.
Fonti per la storia artistica romana al tempo di Paolo V, a cura di
ANNA MARIA CORBO - MASSIMO POMPONI, Roma 1995, pp. 286.
<Documenti turchi> dell’Archivio di Stato di Venezia. Inventario
della miscellanea, a cura di MARIA PIA PEDANI FABRIS, con l’edizione dei regesti di ALESSIO BOMBACI, Roma 1994, pp. LXXII, 698,
tavv. 6.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Ministero per le armi e munizioni.
Contratti. Inventario, a cura di FRANCESCA ROMANA SCARDACCIONE,
Roma 1995, pp. 516, tavv. 32.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Volantini antifascisti nelle carte della
Pubblica sicurezza (1926-1943). Repertorio, a cura di PAOLA CARUCCI
- FABRIZIO DOLCI - MARIO MISSORI, Roma 1995, pp. 242, tavv. 64.
imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 9
Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
CXXV.
CXXVI.
CXXVII.
CXXVIII.
CXXIX.
CXXX.
CXXXI.
CXXXII.
CXXXIII.
CXXXIV.
CXXXV.
CXXXVI.
CXXXVII.
CXXXVIII.
CXXXIX.
CXL.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Direzione generale della pubblica
sicurezza. La stampa italiana nella serie F.1 (1894-1926). Inventario, a cura di ANTONIO FIORI, Roma 1995, pp. 268.
FONDAZIONE DI STUDI STORICI FILIPPO TURATI - UNIVERSITÀ DEGLI
STUDI DI MILANO, DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA, Archivio Rodolfo
Mondolfo. Inventari, a cura di STEFANO VITALI - PIERO GIORDANETTI,
Roma 1996, pp. 750.
UNIONE ITALIANA DELLE CAMERE DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA, Guida agli archivi storici delle Camere di commercio italiane, a cura di ELISABETTA BIDISCHINI - LEONARDO MUSCI,
Roma 1996, pp. XLII, 194, tavv. 18.
Gli Archivi Pallavicini di Genova. II. Archivi aggregati. Inventario,
a cura di MARCO BOLOGNA, Roma 1996, pp. XII, 476.
ROBERTO MARINELLI, Memoria di provincia. La formazione dell’Archivio di Stato di Rieti e le fonti storiche della regione sabina, Roma
1996, pp. 316.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Imperiale e real corte. Inventario, a
cura di CONCETTA GIAMBLANCO - PIERO MARCHI, Roma 1997, pp.
VIII, 532, tavv. 22.
Fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate nell’Archivio centrale dello Stato. Tribunali militari straordinari. Inventario, a cura di LORETTA DE FELICE, Roma 1998, pp. XX, 612.
ISTITUTO STORICO DELLA RESISTENZA IN TOSCANA, Archivio Gaetano
Salvemini, I, Manoscritti e materiali di lavoro. Inventario, a cura di
STEFANO VITALI, Roma 1998, pp. 858.
Archivi di famiglie e di persone. Materiali per una guida, II, Lombardia-Sicilia, a cura di GIOVANNI PESIRI, MICAELA PROCACCIA IRMA PAOLA TASCINI - LAURA VALLONE, coordinamento di GABRIELLA
DE LONGIS CRISTALDI, Roma 1998, pp. XVIII, 404.
ARCHIVIO DI STATO DI PISTOIA, Archivio di Gabinetto della Sottoprefettura poi Prefettura di Pistoia (1861-1944). Inventario, a cura di
PAOLO FRANZESE, Roma 1998, pp. X, 350.
Gli archivi del Centro ricerche Giuseppe Di Vittorio. Inventari, a cura
di SANDRA BARRESI - ANGELA GANDOLFI, Roma 1998, pp. X, 454.
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, L’archivio del Genio civile di Roma.
Inventario, a cura di RAFFAELE SANTORO, Roma 1998, pp. 462.
Fra Toscana e Boemia. Le carte di Ferdinando III e di Leopoldo II
nell’Archivio di Stato di Praga. Inventario, a cura di STEFANO VITALI
- CARLO VIVOLI, Roma 1999, pp. XXII, 358, ill.
Inventario dell’archivio della Curia diocesana di Prato, a cura di
LAURA BANDINI - RENZO FANTAPPIÈ, Roma 1999, pp. 450.
Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli Archivi di Stato. I, Roma 1999, pp. XXXVIII, 568.
I manifesti della Federazione milanese del Partito comunista italiano (1956-1984). Inventario, a cura di STEFANO TWARDZIK, Roma
1999, pp. 350, ill.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
CXLI.
L’Archivio diocesano di Pienza. Inventario, a cura di GIUSEPPE CHIRoma 2000, pp. 604.
GIORGIO TORI, Lucca giacobina. Primo governo democratico della
Repubblica lucchese (1799). I. Saggio introduttivo, Roma 2000, pp.
VIII, 334, tavole.
ARCHIVIO DI STATO DI LUCCA, Lucca giacobina. Primo governo democratico della Repubblica lucchese (1799). II. Regesti degli atti, a
cura di GIORGIO TORI, Roma 2000, pp. XVI, 630.
SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI PESCIA, Le deliberazioni del Comune di Pescia (1526-1532). Regesti, a cura di MASSIMO BRACCINI,
Roma 2000, pp. XII, 556.
Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli Archivi di Stato. II. Roma 2000, pp. 569-1314.
Guida agli Archivi capitolari d’Italia, I. a cura di SALVATORE PALESE
-EMANUELE BOAGA - FRANCESCO DE LUCA - LORELLA INGROSSO,
Roma 2000, pp. 336.
Archivio della Società Birra Peroni. Inventario, a cura di DANIELA
BRIGNONE, Roma 2001, pp. 410, t.f.
Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli Archivi di Stato, III. Roma 2001, pp. VI, 1315-2330.
L’Archivio della famiglia Sauli di Genova. Inventario, a cura di
MARCO BOLOGNA, Roma 2001, pp. 662.
Archivio Luigi Brasca. Inventario, a cura di GABRIELLA FUMAGALLI
- ANNALISA ZACCARELLI, Roma 2001, pp. 390.
ARCHIVIO DI STATO DI PISA, I disegni degli ingegneri della Camera
di Soprintendenza Comunitativa di Pisa, a cura di COSTANTINO CACIAGLI - ROBERTO CASTIGLIA, Roma 2001, tt. 2, pp. XII, 808, ill.
CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO, Inventario dell’Archivio storico (1944-1957), a cura di TERESA CORRIDORI - SUSANNA
OREFFICE - CRISTIANA PIPITONE - GIANNI VENDITTI, coordinamento di
TERESA CORRIDORI, Roma 2002, pp. LXIV, 1324, 64 t.f.t.
ISTITUTO DI BIBLIOGRAFIA MUSICALE (I.BI.MUS), L’Archivio musicale
della Basilica di San Giovanni in Laterano. Catalogo dei manoscritti
e delle edizioni (secc. XVI-XX), a cura di GIANCARLO ROSTIROLLA,
introduzione di WOLFGANG WITZENMANN, Roma 2002, tt. 2, pp. LXII,
1140.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Miscellanea medicea, I, (1-200). Inventario a cura di SILVIA BAGGIO - PIERO MARCHI, Roma 2002, pp.
VIII, 854.
RONI,
CXLII.
CXLIII.
CXLIV.
CXLV.
CXLVI.
CXLVII.
CXLVIII.
CXLIX.
CL.
CLI.
CLII.
CLIII.
CLIV.
CLVI.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Fonti per la storia della malaria
in Italia. Repertorio a cura di FLORIANO BOCCINI - ERMINIA CICCOZZI
- MARIAPINA DI SIMONE - NELLA ERAMO, saggio introduttivo di
MAURA PICCIALUTI, Roma 2003, tt. 2, pp. LX, 582, t.f.t.
CLVII.
Archivio del Servizio della nettezza urbana del Comune di
Roma. Inventario, a cura di M ARGHERITA B ETTINI P ROSPERI ILARIA BONINCONTRO - COSTANZA LISI , Roma 2003, pp. 378
imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 11
Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
CLVIII.
Guida degli Archivi capitolari d’Italia, II, a cura di SALVATORE PALESE - EMANUELE BOAGA - FRANCESCO DE LUCA - LORELLA INGROSSO, Roma 2003, pp. 254.
CLIX.
Archivio diaristico nazionale. Inventario, a cura di LUCA RICCI,
Roma 2003, tt. 2, pp. XXXVIII, 864.
CLX.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Censura teatrale e fascismo
(1931-1944). La storia, l’archivio, l’inventario, a cura di PATRIZIA
FERRARA, Roma 2004, tt. 2, pp. 1114, ill.
CLXI.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE - LICEO GINNASIO DANTE DI FIRENZE,
Archivio del Liceo ginnasio Dante. Inventario, a cura di M. ILARIA
MENCARELLI, coordinamento scientifico e presentazione di FRANCESCA KLEIN, Roma 2003, pp. XLVI, 240.
CLXII.
FONDAZIONE LELIO E LISLI BASSO - ISSOCO, Guida alle fonti per la
storia dei movimenti in Italia (1966-1978), a cura di MARCO GRISPIGNI e LEONARDO MUSCI, Roma 2003, pp. 298.
CLXIII.
L’Archivio di Francesco di Marco Datini. Fondaco di Avignone.
Inventario, a cura di ELENA CECCHI ASTE, Roma 2004, pp. XXIX,
200.
CLXIV.
L’Archivio comunale di Poggibonsi. Inventario della Sezione storica, a cura di MARIO BROGI, Roma 2004, pp. 332.
CLXV.
I notai della Curia arcivescovile di Milano (secoli XIV-XV). Repertorio, a cura di CRISTINA BELLONI - MARCO LUNARI. Coordinamento
di GIORGIO CHITTOLINI, Roma 2004, pp. CIV, 510.
CLXVI.
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, Archivio di Gabinetto della Prefettura
di Roma (1871-1920). Inventario, a cura di MANUELA CACIOLI MARIA GUERCIO, Roma 2005, tomi 2, pp. XLIV, 967.
CLXVII.
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL LAZIO, Reale Accademia d’Italia. Inventario dell’Archivio, a cura di PAOLA CAGIANO DE AZEVEDo
- ELVIRA GERARDI, Roma 2005, pp. LXXXIV, 492.
CLXVIII.
Economisti in Toscana. Problemi economici e politico-amministrativi dell’Italia liberale nei carteggi della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, a cura di RICCARDO FAUCCI con la collaborazione
di GIULIA BIANCHI, Roma 2005, pp. XLIV, 748.
CLXIX.
ARCHIVIO DI STATO DI PERUGIA, Le pergamene dell’Ospedale di S.
Maria della Misericordia di Perugia. Dalle origini al 1400. Regesti
a cura di ALBERTO MARIA SARTORE, Roma 2005, pp. LXIII, 862.
CLXX.
FONDAZIONE ISTITUTO PIEMONTESE ANTONIO GRAMSCI, Il partito comunista a Torino 1945-1991. I suoi archivi, la sua storia organizzativa, a cura di RENATA YEDID LEVI - ILARIA CAVALLO, Roma 2006,
pp. XVII, 719.
CLXXI.
Inventario dell’Archivio del Pontificio seminario regionale Pio XII
di Siena (1205-2003), a cura di MAURO LIVRAGA, Roma 2006, pp.
468.
CLXXII.
Guida degli Archivi capitolari d’Italia, III, a cura di SALVATORE PALESE - EMANUELE BOAGA - FRANCESCO DE LUCA - LORELLA INGROSSO, Roma 2006, pp. 206.
imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 12
Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
CLXXIII.
L’Unione fra l’Albania e l’Italia. Censimento delle fonti (1939-1945)
conservate negli archivi pubblici e privati di Roma, a cura di SILVIA
TRANI, Roma 2007, pp. 585.
CLXXIV.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Opera nazionale per i combattenti. Progetti. Inventario, a cura di FLORIANO BOCCINI - ERMINIA
CICCOZZI, Roma 2007, pp. CXXX, 352.
CLXXV.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO - ARCHIVIO AUDIOVISIVO DEL MOVIMENTO OPERAIO E DEMOCRATICO, United States Information Service
di Trieste. Catalogo del fondo cinematografico (1941-1966), a cura
di GIULIA BARRERA - GIOVANNA TOSATTI, progetto di ANSANO GIANNARELLI, schede di ELISABETTA SEGNA - MAURO ZACCARIA, Roma
2007, pp. XII, 392.
CLXXVI.
L’archivio comunale di Colle di Val d’Elsa. Inventario della Sezione
storica, a cura di LEONARDO MINEO, Roma 2007, pp. 782.
CLXXVII.
ISTITUTO PER GLI STUDI DI POLITICA INTERNAZIONALE, Inventario dell’archivio storico 1934-1970, a cura di MARIA M. BENZONI - ANNA
OSTINELLI - SILVIA M. PIZZETTI. Direzione scientifica BRUNELLO VIGEZZI, Roma 2007, pp. XXX, 742.
CLXXVIII.
Inventario archivio Luigi Sturzo 1891-1924, a cura di GUIDO
GUERRA, Roma 2007, tt. 2, pp. XIII, 1038.
CLXXIX.
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Le pergamene delle confraternite nell’Archivio di Stato di Siena (1241-1785). Regesti, a cura di MARIA
ASSUNTA CEPPARI RIDOLFI, Roma 2007, pp. LXXI, 584.
CLXXX.
CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO, Inventario dell’Archivio storico, II. (1958-1969), a cura di TERESA CORRIDORI GIANNI VENDITTI, Roma 2008, pp. XXXII, 776, t.f.t.
CLXXXI.
Mutui per la bonifica agraria dell’Agro romano e pontino (1905- 1975).
Inventario, a cura di NELLA ERAMO, Roma 2008, pp. XII, 504, tavv.
CLXXXII.
ISTITUTO NAZIONALE TOSTIANO. ORTONA, My Memories. L’archivio
del compositore Francesco Paolo Tosti e della famiglia. Inventario,
a cura di GIANFRANCO MISCIA, Roma 2009, pp. XV, 240.
CLXXXIII.
Archivi di famiglie e di persone. Materiali per una guida, III. Toscana-Veneto, a cura di GIOVANNI PESIRI - MICAELA PROCACCIA ELISABETTA REALE - IRMA PAOLA TASCINI - LAURA VALLONE, Roma
2009, pp. XVI, 661.
CLXXXIV.
Congregazione degli studi. La riforma dell’istruzione nello Stato
pontificio (1816-1870). Inventario, a cura di MANOLA IDA VENZO,
Roma 2009, pp. LVI, 879.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Statuti del Comune di Firenze nell’Archivio di Stato. Tradizione archivistica e ordinamenti. Saggio
archivistico e inventario, a cura di GIUSEPPE BISCIONE, Roma 2009,
pp. XXIII, 802.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Miscellanea medicea. II. (201450). Inventario, a cura di BEATRICE BIAGIOLI - GABRIELLA CIBEI
- VERONICA VESTRI. Coordinamento scientifico e revisione PIERO
MARCHI, Roma 2009, pp. VIII, 1094, ill.
CLXXXV.
CLXXXVI.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
CLXXXVII.
CLXXXVIII.
CLXXXIX.
CXCI.
CXCIII.
CXCIV.
CXCV.
CXCVI.
CXCVII.
CXCVIII.
CXCIX.
CC.
In praesentia mei notarii. Piante e disegni nei protocolli dei Notai
capitolini (1605-1875). Repertorio, a cura di ORIETTA VERDI, con la
collaborazione di FRANCESCA CURTI - STEFANIA PIERSANTI, Roma
2009, pp. XL, 451.
ARCHIVIO DI STATO DI RIETI, Archivio storico del Comune di Rieti.
Inventario, a cura di MARILENA GIOVANNELLI, Roma 2009, pp.
CLXVIII, 544.
L’Accademia degli Immobili “Proprietari del Teatro di via della Pergola in Firenze”. Inventario, a cura di MARIA ALBERTI - ANTONELLA
BARTOLONI - ILARIA MARCELLI, Roma 2010, pp. XII, 609.
CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO, Inventario dell’Archivio storico, III, (1970-1986), a cura di TERESA CORRIDORI - ILARIA
ROMEO - GIANNI VENDITTI, Roma 2011, pp. XXIII, 1004, tt. 2.
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Carte di terra per una Repubblica di
mare. Saggi introduttivi all’inventario on line dei fondi cartografici,
a cura di PAOLA CAROLI - STEFANO GARDINI, Roma 2011, pp. 464.
Archivio d’autore: le carte di Fabrizio De André. Inventario, a cura
di MARTA FABBRINI - STEFANO MOSCADELLI. Introduzione di STEFANO
MOSCADELLI, Roma 2012, pp. 342.
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL LAZIO, Accademia nazionale
dei Lincei. Inventario dell’archivio (1944-1965), a cura di PAOLA
CAGIANO DE AZEVEDO, Roma 2013, pp. XXIV, 410.
Fra Toscana e Boemia. L’archivio di Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena nell’Archivio nazionale di Praga. Inventario, a cura di ORSOLA
GORI - DIANA TOCCAFONDI, Roma 2013, pp. XLVI, 200.
CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO, I segretari della
CGIL: da Luciano Lama a Bruno Trentin, a cura di ILARIA ROMEO,
Roma 2013, pp. LXII, 250.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Miscellanea medicea, III (451730). Inventario, a cura di BEATRICE BIAGIOLI - GABRIELLA CIBEI
- VERONICA VESTRI. Coordinamento scientifico e revisione PIERO
MARCHI, Roma 2014, pp. VIII, 740.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Il carteggio della Signoria fiorentina
all’epoca del cancellierato di Carlo Marsuppini (1444-1453). Inventario e regesti, a cura di RAFFAELLA MARIA ZACCARIA, Roma
2015, pp. VIII, 1066.
Luoghi ritrovati. La Collezione I di disegni e mappe dell’Archivio
di Stato di Roma (secoli XVI-XIX). Inventario, a cura di DANIELA
SINISI, Roma 2014, pp. 218 con CD.
SAGGI
1.
Studi in onore di Leopoldo Sandri, a cura dell’UFFICIO CENTRALE PER
I BENI ARCHIVISTICI e della SCUOLA SPECIALE PER ARCHIVISTI E BIBLIOTECARI DELL’UNIVERSITÀ DI
ROMA, Roma 1983, tt. 3, pp. XVI, 988
(anche Pubblicazioni degli Archivi di Stato, XCVIII).
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
2.
Italia Judaica. Atti del I convegno internazionale Bari 18-22 maggio
1981, Roma 1983, pp. 518 (esaurito).
3.
Antologia di scritti archivistici, a cura di ROMUALDO GIUFFRIDA,
Roma 1985, pp. 848 (esaurito).
4.
La famiglia e la vita quotidiana in Europa dal ’400 al ’600. Fonti e
problemi. Atti del convegno internazionale, Milano 1-4 dicembre
1983, Roma 1986, pp. 524 (esaurito).
5.
Informatica e archivi. Atti del convegno, Torino 17-19 giugno 1985,
Roma 1986, pp. 362.
6.
Italia Judaica. «Gli ebrei in Italia tra Rinascimento ed Età barocca».
Atti del II convegno internazionale, Genova 10-15 giugno 1984,
Roma 1986, pp. 336.
7.
Gli archivi per la storia contemporanea. Organizzazione e fruizione.
Atti del seminario di studi, Mondovì 23-25 febbraio 1984, Roma
1986, pp. 322.
8.
Cartografia e istituzioni in età moderna, Atti del convegno. Genova,
Imperia, Albenga, Savona, La Spezia, 3-8 novembre 1986, Roma
1987, tt. 2, pp. 862, tavv. 134.
9.
Les documents diplomatiques. Importante source des études balkaniques. Actes de la Conférence scientifique internationale, TutzingMunich, 4-6 mai 1986, Roma 1988, pp. 216.
10.
GUIDO MELIS, Due modelli di amministrazione tra liberalismo e fascismo. Burocrazie tradizionali e nuovi apparati, Roma 1988, pp.
306 (esaurito).
11.
Italia Judaica. «Gli ebrei in Italia dalla segregazione alla prima
emancipazione». Atti del III convegno internazionale, Tel Aviv 15-20
giugno 1986, Roma 1989, pp. 230 e 154 in ebraico, tavv. 64 (esaurito).
12.
Esercito e città. Dall’Unità agli anni Trenta. Atti del convegno di
studi, Perugia 11-14 maggio 1988, Roma 1989, tt. 2, pp. XXXIV,
1276, tavv. 75.
13.
GIORGIO VACCARINO, I giacobini piemontesi (1794-1814), Roma
1989, tt. 2, pp. LXIV, 960, tavv. 18.
14.
ALBERTO AQUARONE, Dopo Adua: politica e amministrazione coloniale, a cura e con un saggio introduttivo di LUDOVICA DE COURTEN,
Roma 1989, pp. 422.
15.
Dal trono all’albero della libertà. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna dall’antico regime all’età rivoluzionaria. Atti del convegno, Torino 11-13 settembre 1989,
Roma 1991, tt. 2, pp. 824, tavv. 33.
16.
Il Lazio meridionale tra Papato e Impero al tempo di Enrico VI. Atti
del convegno internazionale, Fiuggi, Guarcino, Montecassino, 7-10
giugno 1986, Roma 1991, pp. 214.
17.
Dal 1966 al 1986 interventi di massa e piani di emergenza per la
conservazione del patrimonio librario e archivistico. Atti del con-
imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 15
Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
vegno e catalogo della mostra, Firenze 20-22 novembre 1986, Roma
1991, pp. 298, illustrazioni.
18.
UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Studi in memoria di Giovanni Cassandro, Roma 1991, tt. 3, pp. XXII, 1116.
19.
L’inquisizione romana in Italia nell’età moderna. Archivi, problemi
di metodo e nuove ricerche. Atti del seminario internazionale, Trieste 18-20 maggio 1988, Roma 1991, pp. 404 (esaurito).
20.
ARCHIVIO DI STATO DI MACERATA, La Marca e le sue istituzioni al
tempo di Sisto V, Roma 1991, pp. 382, illustrazioni.
21.
L’Ordine di Santo Stefano nella Toscana dei Lorena. Atti del convegno di studi, Pisa 19-20 maggio 1989, Roma 1992, pp. 338.
22.
Roma e lo Studium Urbis. Spazio urbano e cultura dal Quattro al
Seicento. Atti del convegno, Roma, 7-10 giugno 1989, Roma 1992,
pp. 554, tavv. 77.
23.
Gli archivi e la memoria del presente. Atti dei seminari di Rimini,
19-21 maggio 1988, e di Torino, 17 e 29 marzo, 4 e 25 maggio 1989,
Roma 1992, pp. 308.
24.
L’archivistica alle soglie del 2000. Atti della conferenza internazionale, Macerata 3-8 settembre 1990, Roma 1992, pp. 354 (volume
in vendita presso l’Università di Macerata).
25.
Le fonti per la storia militare italiana in età contemporanea. Atti del III
seminario, Roma, 16-17 dicembre 1988, Roma 1993, pp. 496, tavv. 16.
26.
Italia Judaica. «Gli ebrei nell’Italia unita (1870-1945)». Atti del IV convegno internazionale, Siena 12-16 giugno 1989, Roma 1993, pp. 564.
27.
L’Archivio centrale dello Stato 1953-1993, a cura di MARIO SERIO,
Roma 1993, pp. XVI, 612, illustrazioni.
28.
All’ombra dell’aquila imperiale. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori sabaudi in età napoleonica (1802-1814). Atti del convegno, Torino 15-18 ottobre 1990, Roma 1994, tt. 2, pp. 942, tavv. 48.
29.
Roma capitale (1447-1527), a cura di SERGIO GENSINI, Roma 1994,
pp. XII, 632 (in vendita presso Pacini editore).
30.
Archivi e archivistica a Roma dopo l’Unità. Genesi storica, ordinamenti, interrelazioni. Atti del convegno, Roma, 12-14 marzo 1990,
Roma 1994, pp. 564.
Istituzioni e società in Toscana nell’età moderna. Atti delle giornate
di studio dedicate a Giuseppe Pansini, Firenze, 4-5 dicembre 1992,
Roma 1994, tt. 2, pp. XXVI, 992.
Italia Judaica. «Gli ebrei in Sicilia sino all’espulsione del 1492».
Atti del V convegno internazionale, Palermo, 15-19 giugno 1992,
Roma 1995, pp. 500, tavv. 30.
Le fonti diplomatiche in età moderna e contemporanea. Atti del convegno internazionale, Lucca 20-25 gennaio 1989, Roma 1995, pp. 632.
Gli archivi per la storia dell’alimentazione. Atti del convegno, Potenza-Matera 5-8 settembre 1988, Roma 1995, tt. 3, pp. 2030.
31.
32.
33.
34.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
35.
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40.
41.
42.
43.
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Gli archivi ispirano la scuola. Fonti d’archivio per la didattica.
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Lettere di Ernesto Bonaiuti ad Arturo Carlo Jemolo. 1921-1941, a
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UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI - NACZELNA DYREKCJA
ARCHIWÓW PÁNSTWOWYCH, Documenti per la storia delle relazioni
italo-polacche (1918-1940) / Dokumenty dotyczace historii stosunków polsko-wloskich (1918-1940), a cura di / opracowane przez MARIAPINA DI SIMONE - NELLA ERAMO - ANTONIO FIORI - JERZY STOCH,
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
XXVII.
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XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
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XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
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SOPRINTENDENZA PER I BENI AMBIENTALI ARCHITETTONICI ARTISTICI E
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Luigi Vanvitelli nell’archivio della Reggia di Caserta 1752-1773, a
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ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, I Consigli della Repubblica fiorentina. Libri fabarum XIII e XIV (1326-1331), a cura di LAURA DE ANGELIS, prefazione di JOHN NAJEMY, Roma 2000, pp. 524.
I Libri Iurium della Repubblica di Genova, I/6, a cura di MARIA BIBOLINI, introduzione di ELEONORA PALLAVICINO, Roma 2000, pp.
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ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Fonti per la storia della scuola.
V. L’istruzione universitaria (1859-1915), a cura di GIGLIOLA FIORAVANTI - MAURO MORETTI - ILARIA PORCIANI, Roma 2000, pp. 376.
CARLO DI BORBONE, Lettere ai sovrani di Spagna, I. 1720-1734, a
cura di IMMA ASCIONE, Roma 2001, pp. 510, ill.
I Libri Iurium della Repubblica di Genova, I/7, a cura di ELEONORA
PALLAVICINO, Roma 2001, pp. x, 460.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Fonti per la storia della scuola,
VI. L’istruzione agraria (1861-1928), a cura di ANNA PIA BIDOLLI SIMONETTA SOLDANI, Roma 2001, pp. 688, ill.
CARLO DI BORBONE, Lettere ai sovrani di Spagna, II. 1735-1739, a
cura di IMMA ASCIONE, Roma 2002, pp. 538, ill.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Verbali del consiglio dei ministri
della Repubblica Sociale Italiana, settembre 1943-aprile 1945. Edizione critica a cura di FRANCESCA ROMANA SCARDACCIONE, Roma
2002, tt. 2, pp. CVI, 1612.
I Libri Iurium della Repubblica di Genova, I/8, a cura di ELEONORA
PALLAVICINO, Roma 2002, pp. XX, 412.
CARLO DI BORBONE, Lettere ai sovrani di Spagna, III. 1740-1744, a
cura di IMMA ASCIONE, Roma 2002, pp. 592, ill.
La legislazione suntuaria, secoli XIII-XVI. Emilia Romagna, a cura
di MARIA GIUSEPPINA MUZZARELLI, Roma 2002, pp. XXXIV, 734.
Il Liber iurium del Comune di Lodi, a cura di ADA GROSSI, Roma
2004, pp. XC-520.
La legislazione suntuaria, secoli XIII-XVI. Umbria, a cura di M.
GRAZIA NICO OTTAVIANI, Roma 2005, pp. XXXVIII, 1134.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Fonti per la storia della scuola,
imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 24
Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
VII. Gli istituti femminili di educazione e di istruzione (1861-1910),
a cura di SILVIA FRANCHINI - PAOLA PUZZUOLI, Roma 2005, pp. 526.
POLITICA, FAZIONI, ISTITUZIONI NELL’«ITALIA SPAGNOLA» DALL’INCORONAZIONE DI CARLO V (1530) ALLA PACE DI WESTFALIA (1648). Coordinamento di Elena Fasano Guarini, Istruzioni di Filippo III ai
suoi ambasciatori a Roma 1598-1621, a cura di SILVANO GIORDANO,
Roma 2006, pp. CIII, 248.
POLITICA, FAZIONI, ISTITUZIONI NELL’«ITALIA SPAGNOLA» DALL’INCORONAZIONE DI CARLO V (1530) ALLA PACE DI WESTFALIA (1648). Coordinamento di Elena Fasano Guarini, Lo Stato di Milano nel XVII
secolo. Memoriali e relazioni, a cura di MASSIMO CARLO GIANNINI GIANVITTORIO SIGNOROTTO, Roma 2006, pp. CXIV, 326.
POLITICA, FAZIONI, ISTITUZIONI NELL’«ITALIA SPAGNOLA» DALL’INCORONAZIONE DI CARLO V (1530) ALLA PACE DI WESTFALIA (1648).
Coordinamento di Elena Fasano Guarini, Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’«Italia spagnola» (15361648), I. 1536-1586, a cura di ALESSANDRA CONTINI - PAOLA
VOLPINI, pp. LXXII, 446; II. 1587-1648, a cura di FRANCESCO
MARTELLI - CRISTINA GALASSO, Roma 2007, pp. LXII, 608.
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, Il Tabulario della Magione di Palermo (1116-1643), a cura di ELISABETTA LO CASCIO, Roma 2011,
pp. XIV, 556, ill.
SUSSIDI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Bibliografia dell’Archivio centrale dello Stato (1953-1978), a cura
di SANDRO CAROCCI - LIBERIANA PAVONE - NORA SANTRELLI - MAURO
TOSTI-CROCE, con coordinamento di MAURA PICCIALUTI CAPRIOLI,
Roma 1986, pp. XXVIII, 458 (esaurito).
MARIO MISSORI, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e
prefetti del Regno d’Italia, Roma 1989, pp. 778.
CONSEIL INTERNATIONAL DES ARCHIVES, COMITÉ DE SIGILLOGRAPHIE,
Vocabulaire international de la sigillographie, Roma 1990, pp. 390,
tavv. 12.
UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI - ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME
- FONDAZIONE LELIO E LISLI BASSO, La rivoluzione francese (17871799). Repertorio delle fonti archivistiche e delle fonti a stampa conservate in Italia e nella Città del Vaticano, Roma 1991: I. Le fonti archivistiche, a cura di PAOLA CARUCCI - RAFFAELE SANTORO, t. 1, pp.
314; II. Le fonti a stampa, a cura di ANGELA GROPPI, tt. 4, pp. 1520.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, I blasoni delle famiglie toscane conservati nella raccolta Ceramelli-Papiani. Repertorio, a cura di PIERO
MARCHI, Roma 1992, pp. XVIII, 556, tavv. 26 (esaurito).
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Bibliografia. Le fonti documentarie nelle pubblicazioni dal 1979 al 1985, Roma 1992, pp. XXVI, 542.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
7.
Legati e governatori dello Stato Pontificio (1550-1809), a cura di
CHRISTOPH WEBER, Roma 1994, pp. 990.
8.
UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Le fonti archivistiche. Catalogo delle guide e degli inventari editi (1861-1991), a cura di
MARIA TERESA PIANO MORTARI - ISOTTA SCANDALIATO CICIANI, introduzione e indice dei fondi di PAOLA CARUCCI, Roma 1995, pp. 538.
9.
Riconoscimento di predicati italiani e di titoli nobiliari pontifici nella
Repubblica italiana. Repertorio, a cura di WALTER PAGNOTTA, Roma
1997, pp. 354.
10.
HARRY BRESSLAU, Manuale di diplomatica per la Germania e l’Italia, traduzione di ANNA MARIA VOCI-ROTH, sotto gli auspici della
ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI PALEOGRAFI E DIPLOMATISTI, Roma 1998,
pp. LXXXVI, 1424.
11.
GIACOMO C. BASCAPÈ - MARCELLO DEL PIAZZO, con la cooperazione
di LUIGI BORGIA, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata, medievale e moderna, Roma 1999, pp. XVI, 1064, illustrazioni e tavole
[ristampa].
12.
SOCIETÀ DI STUDI FIUMANI, ROMA - HRVATSKI INSTITUT ZA POVIJEST
ZAGREB, Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (19391947) / Žrtve talijanske nacionalnosti u Rijeci i okolici (1939.1947.), a cura di / uredili AMLETO BALLARINI - MIHAEL SOBOLEVSKI,
Roma 2002, pp. 702, ill.
13.
DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI, Le fonti archivistiche. Catalogo delle guide e degli inventari editi (1992-1998). Integrazioni e
aggiornamenti, a cura di MARIA TERESA PIANO MORTARI - ISOTTA
SCANDALIATO CICIANI, indice dei fondi di PAOLA CARUCCI, Roma
2002, pp. 426.
QUADERNI DELLA «RASSEGNA DEGLI ARCHIVI DI STATO»
1.
Signoria, Dieci di Balìa, Otto di Pratica: Legazioni e Commissarie,
missive e responsive. Inventario sommario, a cura di MARCELLO DEL
PIAZZO, Roma 1960, pp. 84 (esaurito).
2.
L’archivio del Dipartimento della Stura nell’Archivio di Stato di
Cuneo (1799-1814). Inventario, a cura di GIOVANNI FORNASERI,
Roma 1960, pp. 134 (esaurito).
3.
SALVATORE CARBONE, Gli archivi francesi, Roma 1960, pp. 128
(esaurito).
4.
ARNALDO D’ADDARIO, L’organizzazione archivistica italiana al
1960, Roma 1960, pp. 80 (esaurito).
5.
ELIO CALIFANO, La fotoriproduzione dei documenti e il servizio microfilm negli Archivi di Stato italiani, Roma 1960, pp. 80 (esaurito).
6.
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL LAZIO, L’UMBRIA E LE MARCHE,
Gli archivi storici dei Comuni delle Marche, a cura di ELIO LODOLINI,
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
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15.
16.
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23.
24.
25.
Roma 1960, pp. 130 (esaurito).
G. COSTAMAGNA - M. MAIRA - L. SAGINATI, Saggi di manuali e cartolari notarili genovesi (secoli XIII-XIV). (La triplice redazione
dell’«instrumentum» genovese), Roma 1960, pp. 108 (esaurito).
LEONARDO MAZZOLDI, L’archivio dei Gonzaga di Castiglione delle
Stiviere, Roma 1961, pp. 104 (esaurito).
ARMANDO LODOLINI, Il cinquantenario del regolamento 2 ottobre
1911, n. 1163, per gli Archivi di Stato, Roma 1961, pp. 82 (esaurito).
ANTONINO LOMBARDO, Guida delle fonti relative alla Sicilia esistenti
negli Archivi di Stato per il periodo 1816-1860, Roma 1961, pp. 54
(esaurito).
BRUNO CASINI, L’archivio del Dipartimento del Mediterraneo nell’Archivio di Stato di Livorno, Roma 1961, pp. 98 (esaurito).
BRUNO CASINI, L’archivio del Governatore ed Auditore di Livorno
(1550-1838), Roma 1962, pp. 182 (esaurito).
VIRGILIO GIORDANO, Il diritto archivistico preunitario in Sicilia e nel
Meridione d’Italia, Roma 1962, pp. 220 (esaurito).
CATELLO SALVATI, L’Azienda e le altre Segreterie di Stato durante il
primo periodo borbonico (1734-1806), Roma 1962, pp. 126 (esaurito).
GIUSEPPE PLESSI, Lo stemmario Alidosi nell’Archivio di Stato di Bologna. Indice-Inventario, Roma 1962, pp. 72 (esaurito).
GIOVANNI MONGELLI, L’archivio dell’Abbazia di Montevergine,
Roma 1962, pp. 184 (esaurito).
UBALDO MORANDI, I giusdicenti dell’antico Stato senese, Roma
1962, pp. 78.
RAFFAELE DE FELICE, Guida per il servizio amministrativo contabile
negli Archivi di Stato, Roma 1962, pp. 106.
BENEDETTO BENEDINI, Il carteggio della Signoria di Firenze e dei
Medici coi Gonzaga, Roma 1962, pp. 44 (esaurito).
GIUSEPPE RASPINI, L’archivio vescovile di Fiesole, Roma 1962, pp. 192.
SALVATORE CARBONE, Provveditori e Sopraprovveditori alla Sanità
della Repubblica di Venezia. Carteggio con i rappresentanti diplomatici e consolari veneti all’estero e con Uffici di Sanità esteri corrispondenti. Inventario, Roma 1962, pp. 92 (esaurito).
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER LA TOSCANA, Gli archivi storici
dei Comuni della Toscana, a cura di GIULIO PRUNAI, Roma 1963, pp.
390 (esaurito).
DANILO VENERUSO, L’archivio storico del Comune di Portovenere.
Inventario, Roma 1962, pp. 42 (esaurito).
RENATO PERRELLA, Bibliografia delle pubblicazioni italiane relative
all’archivistica. Rassegna descrittiva e guida, Roma 1963, pp. 208
(esaurito).
FRANCESCO PERICOLI, Titoli nobiliari pontifici riconosciuti in Italia,
Roma 1963, pp. 76.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
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42.
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44.
FAUSTO MANCINI, Le carte di Andrea Costa conservate nella Biblioteca comunale di Imola, Roma 1964, pp. 268.
ANNA MARIA CORBO, L’archivio della Congregazione dell’Oratorio
di Roma e l’archivio della Abbazia di S. Giovanni in Venere. Inventario, Roma 1964, pp. LXXIV, 234.
DORA MUSTO, La Regia Dogana della mena delle pecore di Puglia,
Roma 1964, pp. 116, tavv. 8 (esaurito).
BRUNO CASINI, Archivio della Comunità di Livorno, Roma 1964, pp.
90.
ORAZIO CURCURUTO, Archivio dell’Intendenza di Catania (18181860). Inventario, Roma 1964, pp. 86.
PIETRO D’ANGIOLINI, Ministero dell’Interno. Biografie (1861-1869),
Roma 1964, pp. 250 (esaurito).
PASQUALE DI CICCO, Censuazione ed affrancazione del Tavoliere di
Puglia (1789-1865), Roma 1964, pp. 128, tavv. 8 (esaurito).
CATELLO SALVATI, L’Archivio notarile di Benevento (1401-1860).
(Origini formazione, consistenza), Roma 1964, pp. 138.
MARCELLO DEL PIAZZO, Il carteggio «Medici-Este» dal sec. XV al
1531. Regesti delle lettere conservate negli Archivi di Stato di Firenze e Modena, Roma 1964, pp. 156.
DANILO VENERUSO, L’archivio storico del Comune di Monterosso a
Mare, Roma 1967, pp. 80.
ELIO LODOLINI, Problemi e soluzioni per la creazione di un Archivio
di Stato (Ancona), Roma 1968, pp. 150, tavv. 9.
ARNALDO D’ADDARIO, Gli archivi del Regno dei Paesi Bassi, Roma
1968, pp. 132, tavv. 4.
ETTORE FALCONI, Documenti di interesse italiano nella Repubblica
popolare polacca. Premessa per una ricerca e un censimento archivistici, Roma 1969, pp. 140.
MARCELLO DEL PIAZZO, Il protocollo del carteggio della Signoria di
Firenze (1459-1468), Roma 1969, pp. 274.
GIOVANNI ZARRILLI, La serie «Nápoles» delle «Secretarías provinciales» nell’archivio di Simancas. Documenti miscellanei, Roma
1969, pp. 168.
RAOUL GUÊZE, Note sugli Archivi di Stato della Grecia, Roma 1970,
pp. 96.
SOVRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER LA CAMPANIA, Atti del convegno
per i primi trent’anni della Sovrintendenza (Positano, 5 gennaio
1970), Roma 1973, pp. 108.
SALVATORE CARBONE, Note introduttive ai dispacci al Senato di rappresentanti diplomatici veneti. Serie: Costantinopoli, Firenze, Inghilterra, Pietroburgo, Roma 1974, pp. 94.
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, L’archivio del Commissariato generale
per le ferrovie pontificie, a cura di PIETRO NEGRI, Roma 1976, pp. 86.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
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60.
ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA, Collegio dei X poi XX Savi del
corpo del Senato, Inventario, a cura di GIORGIO TAMBA, Roma
1977, pp. 78.
LUCIO LUME, L’archivio storico di Dubrovnik. Con repertorio di documenti sulle relazioni della Repubblica di Ragusa con le città marchigiane, Roma 1977, pp. 182 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Una fonte per lo studio della popolazione del Regno di Napoli: la numerazione dei fuochi del 1732, a
cura di MARIA ROSARIA BARBAGALLO DE DIVITIIS, Roma 1977, pp.
94 (esaurito).
PETER RÜCK, L’ordinamento degli archivi ducali di Savoia sotto
Amedeo VIII (1398-1451), traduzione di SANDRO D’ANDREAMATTEO,
prefazione di ISIDORO SOFFIETTI, Roma 1977, pp. 156 (esaurito).
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Inventario dell’archivio privato della
famiglia Caracciolo di Torchiarolo, a cura di DOMENICA MASSAFRA
PORCARO, Roma 1978, pp. XXII, 182 (esaurito).
ELVIRA GENCARELLI, Gli archivi italiani durante la seconda guerra
mondiale, Roma 1979, pp. VIII, 240 (esaurito).
GIAMPAOLO TOGNETTI, Criteri per la trascrizione di testi medievali
latini e italiani, Roma 1982, pp. 66 (esaurito).
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, L’archivio dell’amministrazione
Torlonia. Inventario, a cura di ANNA MARIA GIRALDI, Roma 1984,
pp. XXXIV, 178.
L’intervista, strumento di documentazione: giornalismo, antropologia, storia orale. Atti del convegno, Roma 5-7 maggio 1986, Roma
1987, pp. 176.
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL LAZIO, Guida degli archivi economici a Roma e nel Lazio, a cura di MARIA GUERCIO, Roma 1987,
pp. 132.
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, Mandati della Reverenda Camera Apostolica (1418-1802). Inventario, a cura di PAOLO CHERUBINI, Roma
1988, pp. 164, tavv. 8.
CENTRO DI FOTORIPRODUZIONE, LEGATORIA E RESTAURO, Le scienze
applicate nella salvaguardia e nella riproduzione degli archivi,
Roma 1989, pp. 204, tavv. 20 (esaurito).
ROSALIA MANNO TOLU, Scolari italiani nello Studio di Parigi. Il
«Collège des Lombards» dal XIV al XVI secolo ed i suoi ospiti pistoiesi, Roma 1989, pp. 168, tavv. 17.
Fonti giudiziarie e militari austriache per la storia della Venezia
Giulia. Oberste Justizstelle e Innerösterreichischer Hofkriegsrat, a
cura di UGO COVA, Roma 1989, pp. 174.
Fonti per la storia della popolazione. 1. Le scritture parrocchiali di
Roma e del territorio vicariale, Roma 1990, pp. 114.
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étrangères de France. Série Lucques. Inventario, a cura di GIORGIO
imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 29
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Carte Stringher. Inventario, a cura di FRANCO BONELLI - BONALDO
STRINGHER JR., Roma 1990, pp. 148.
PIERO SANTONI, Note sulla documentazione privata nel territorio del
Ducato di Spoleto (690-1115), Roma 1991, pp. 150.
Bibliografia di Cesare Guasti, a cura di FRANCESCO DE FEO, Roma
1992, pp. 282.
Archivio Galimberti. Inventario, a cura di EMMA MANA, Roma 1992,
pp. 200.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Archivio Vittorio Bodini. Inventario, a cura di PAOLA CAGIANO DE AZEVEDO - MARGHERITA MARTELLI - RITA NOTARIANNI, Roma 1992, pp. 156.
FIORENZA GEMINI, Due parrocchie romane nel Settecento: aspetti di
storia demografica e sociale, Roma 1992, pp. 168, tavv. 3.
COMUNE DI SAN MINIATO, Guida generale dell’Archivio storico, a
cura di LUIGINA CARRATORI - ROBERTO CERRI - MARILENA LOMBARDI
- GIANCARLO NANNI - SILVIA NANNIPIERI - ARIANNA ORLANDI - IVO
REGOLI, Roma 1992, pp. 160.
ELEONORA SIMI BONINI, Il fondo musicale dell’Arciconfraternita di
S. Girolamo della Carità, Roma 1992, pp. 230.
Fonti per la storia della popolazione, II. Scritture parrocchiali della
Diocesi di Trento, Roma 1992, pp. 206.
UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Fonti orali. Censimento
degli istituti di conservazione, a cura di GIULIA BARRERA - ALFREDO
MARTINI - ANTONELLA MULÈ, prefazione di PAOLA CARUCCI, Roma
1993, pp. 226.
GEHUM TABAK, I colori della città eterna. Le tinteggiature dei palazzi romani nei documenti d’archivio (secc. XVII-XIX), Roma 1993,
pp. 120, tavv. 20.
ANTONELLA PAMPALONE, La cappella della famiglia Spada nella
Chiesa Nuova. Testimonianze documentarie, Roma 1993, pp. 142,
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ASSOCIAZIONE ARCHIVISTICA ECCLESIASTICA, Guida degli Archivi diocesani d’Italia, II, a cura di VINCENZO MONACHINO - EMANUELE
BOAGA - LUCIANO OSBAT - SALVATORE PALESE, Roma 1994, pp. 310.
L’archivio storico dell’Istituto nazionale per la grafica - Calcografia
(1826-1945). Inventario, a cura di ANNA MARIA SORGE - MAURO
TOSTI-CROCE, Roma 1994, pp. VI, 148, tavv. 12.
Guida agli archivi della Fondazione Istituto Gramsci di Roma, a
cura di LINDA GIUVA. Guida agli archivi degli Istituti Gramsci, a
cura di PATRIZIA GABRIELLI - VALERIA VITALE, Roma 1994, pp.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
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78.
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80.
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87.
Il «Sommario de’ magistrati di Firenze» di ser Giovanni Maria Cecchi (1562). Per una storia istituzionale dello Stato fiorentino, a cura
di ARNALDO D’ADDARIO, Roma 1996, pp. 118.
Gli archivi economici a Roma, Fonti e ricerche. Atti della giornata
di studio di Roma, 14 dicembre 1993, Roma 1997, pp. 144.
Fonti per la storia del movimento sindacale in Italia. Atti del convegno, Roma 16-17 marzo 1995, Roma 1997, pp. 182.
ANTONELLA GIOLI, Monumenti e oggetti d’arte nel Regno d’Italia.
Il patrimonio artistico degli enti religiosi soppressi tra riuso, tutela
e dispersione. Inventario dei «Beni delle corporazioni religiose»,
1860-1890, Roma 1997, pp. 318.
Imaging Technologies for Archives. The Allied Control Commission
Microfilm Project. Seminario, Roma, 26-27 aprile 1996, a cura di
BRUNA COLAROSSI, Roma 1997, pp. 196.
LUCIANA DURANTI, I documenti archivistici. La gestione dell’archivio da parte dell’ente produttore, Roma 1997, pp. VIII, 232.
CAMERA DI COMMERCIO, INDUSTRIA, AGRICOLTURA ARTIGIANATO DI
RIETI - SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL LAZIO, L’archivio storico della Camera di commercio di Rieti. Inventario, a cura di
MARCO PIZZO, coordinamento e direzione scientifica di BRUNA COLAROSSI, Roma 1997, pp. 198.
L’archivio della Giunta per l’Inchiesta agraria e sulle condizioni della
classe agricola in Italia (Inchiesta Jacini), 1877-1885. Inventario, a
cura di GIOVANNI PAOLONI - STEFANIA RICCI, Roma 1998, pp. VI, 184.
ASSOCIAZIONE ARCHIVISTICA ECCLESIASTICA, Guida degli archivi diocesani d’Italia, III, a cura di VINCENZO MONACHINO - EMANUELE
BOAGA - LUCIANO OSBAT - SALVATORE PALESE, Roma 1998, pp. 146.
Bibliografia di Alberto Aquarone, a cura di LUDOVICA DE COURTEN,
Roma 1998, pp. 84.
Repertorium Iurium Comunis Cremone (1350), a cura di VALERIA
LEONI, Roma 1999, pp. 100.
88.
La «Revue mensuelle d’économie politique» nelle lettere di Théodore Fix a Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi, introduzione e cura di ALDO GIOVANNI RICCI, Roma 1999, pp. 166.
89.
CECILIA PROSPERI, Il restauro dei documenti di archivio. Dizionarietto dei termini, Roma 1999, pp. 188.
90.
La riproduzione dei documenti d’archivio. Fotografia chimica e digitale. Atti del seminario, Roma, 11 dicembre 1997, Roma 1999, pp.
120, illustrazioni.
91.
Archivi De Nava. Inventari, a cura di LIA DOMENICA BALDISSARRO e
MARIA PIA MAZZITELLI, Roma 1999, pp. 124.
92.
ARCHIVIO DI STATO DI TRIESTE, Inventario dell’Archivio di Igino
Brocchi, 1914-1931, coordinato con le carte Volpi dell’Archivio centrale dello Stato, a cura di PIERPAOLO DORSI, prefazione di GIAN
CARLO FALCO, Roma 2000, pp. XXVI, 202.
imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 31
Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
93.
How Do You Know the Real Thing? Authentic Documents in the
Electronic Age. Proceedings of the International Symposium, Vancouver, February 19, 2000, Roma 2001, pp. 194, ill.
94.
Gli archivi storici dei partiti politici europei. Atti del convegno,
Roma, 13-14 dicembre 1996, Roma 2001, pp. 188.
95.
Le biblioteche d’archivio. Atti della giornata di studi, Roma, 24 febbraio 1999, a cura di SERENA DAINOTTO, Roma 2001, pp. 196.
96.
ASSOCIAZIONE BIANCHI BANDINELLI - ARCHIVIO CENTRALE DELLO
STATO, La storia e la privacy. Dal dibattito alla pubblicazione del
codice deontologico. Atti del seminario di Roma, 30 novembre 1999,
e testi normativi, Roma 2001, pp. 140.
97.
ARCHIVIO DI STATO DI ANCONA, Suppliche al Comune di Ancona (sec.
XVI). Inventario, a cura di GIANNI ORLANDI, Roma 2001, pp. 214,
tavole f.t.
98.
SOCIETÀ ITALIANA PER LO STUDIO DELLA STORIA CONTEMPORANEA, Rivoluzioni. Una discussione di fine Novecento. Atti del convegno annuale SISSCO, Napoli, 20-21 novembre 1998, a cura di DANIELA
LUIGIA CAGLIOTI - ENRICO FRANCIA, Roma 2001, pp. XVII, 152.
99.
ARCHIVIO STORICO CAPITOLINO, I pubblici spettacoli a Roma (18481870). Inventario, a cura di ANGELA MARIA MONTANO, Roma 2001,
pp. 108, ill.
100.
Guida agli Archivi dell’Unione Donne Italiane, introduzione [di]
MARISA OMBRA, Roma 2002, pp. 160.
101.
SOCIETÀ ITALIANA PER LO STUDIO DELLA STORIA CONTEMPORANEA, Cittadinanza. Individui, diritti sociali, collettività nella storia contemporanea. Atti del convegno annuale SISSCO, Padova, 2-3 dicembre
1999, a cura di CARLOTTA SORBA, Roma 2002, pp. VIII, 232.
102.
Manoscritti ebraici nell’Archivio di Stato di Pesaro. Catalogo con
riproduzione del Mahazor francese di Pesaro, a cura di HILLEL M.
SERMONETA - PIER FRANCESCO FUMAGALLI, introduzione di GIANFRANCO RAVASI, Roma 2002, pp. 122, t.f.t.
103.
VALERIA DE SANTIS, Borsa di studio “Marcello Pacini”. Marcello Pacini e la normativa in materia di beni culturali, Roma 2003, pp. 174.
104.
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Le carte Brichieri Colombi. Inventario
analitico, a cura di ERMINIO JACONA - PATRIZIA TURRINI, Roma 2003,
pp. 210.
105.
L’archivio di Paola Masino. Inventario, a cura di FRANCESCA BERNARDINI NAPOLETANO, Roma 2004, pp. 228.
106.
Il Carteggio Marcovaldi (1401-1437) nell’Archivio di Stato di Prato.
Inventario, a cura di PAOLA PINELLI, Roma 2006, pp. 158.
107.
L’archivio di Giovanna Zangrandi. Inventario, a cura di MYRIAM
TREVISAN, Roma 2005, pp. 174.
108.
L’archivio di Gianna Manzini. Inventario, a cura di CECILIA BELLO
MINCIACCHI - CLELIA MARTIGNONI - ALESSANDRA MIOLA - SABINA
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
109.
110.
CIMINARI - ANNA CUCCHIELLA - GIAMILA YEHYA, Roma 2006, pp.
376, con Cd-rom.
Archivio Marino Raicich. Inventario, a cura di DANIELE MAZZOLAI.
Presentazione di STEFANO MOSCADELLI, Roma 2007, pp. 346, ill.
Una vita per gli archivi, Antonino Lombardo. Atti del seminario di
studi (Venezia, 8 ottobre 2012), a cura di MARIA LUISA LOMBARDO,
Roma 2014, pp.112.
ARCHIVI ITALIANI *
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
Archivio di Stato di Cagliari, coordinamento scientifico di MARINELLA FERRAI COCCO ORTU, testi a cura di GIUSEPPINA CATANI, Roma
2001, pp. 48, ill.
Archivio di Stato di Belluno, a cura di GIUSTINIANA MIGLIARDI
O’RIORDAN, con la collaborazione di LORIS ANNA DE LUCA - SILVIA MISCELLANEO, Roma 2001, pp. 48, ill.
Archivio di Stato di Cosenza e Sezione di Castrovillari, coordinamento scientifico di ASSUNTA CAIRO, testi a cura di SILVIA CARRERA,
Roma 2001, pp. 46, ill.
Archivio di Stato di Milano, coordinamento generale di MARIA BARBARA BERTINI, coordinamento scientifico di MARINA VALORI, Roma
2001, pp. 96, ill.
Archivio di Stato di Sassari, a cura di ANNA SEGRETI TILOCCA, Roma
2001, pp. 48 ill.
Archivio di Stato di Alessandria, a cura di GIOVANNI MARIA PANIZZA,
Roma 2001, pp. 48, ill.
Archivio di Stato di Brindisi, coordinamento scientifico di MARCELLA GUADALUPI - FRANCESCA CASAMASSIMA - ROSANNA SAVOIA,
Roma 2001, pp. 48, ill.
Archivio di Stato di Lecce, coordinamento scientifico di ANNALISA
BIANCO, testi a cura di GIUSEPPE BARLETTA - LILIANA BRUNO - ANTONIA PROTOPAPA, Roma 2001, pp. 48, ill.
Archivio di Stato di Teramo, coordinamento scientifico di CLAUDIA
RITA CASTRACANE, Roma 2001, pp. 48, ill.
Soprintendenza archivistica per la Calabria, Reggio Calabria, coordinamento scientifico di FRANCESCA TRIPODI, testi a cura di ADA
ARILLOTTA - FRANCESCA TRIPODI, Roma 2002, pp. 72, ill.
Archivio di Stato di Viterbo, coordinamento scientifico di AUGUSTO
GOLETTI, testi di ANGELO ALLEGRINI - GIANCARLO ROSSINI - SIMONETTA FORTINI - ROSALBA DI DOMENICO, Roma 2002, pp. 48, ill.
* Collana in coedizione con la Betagamma editrice, che ne cura anche la vendita.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
12.
Archivio di Stato di Trieste con sintesi tedesca e slovena/Staatsarchiv
Triest/Dravni arhiv Trst, coordinamento scientifico della DIREZIONE
DELL’ARCHIVIO DI STATO DI TRIESTE, testi di UGO COVA - PIERPAOLO
DORSI - GRAZIA TATÒ, Roma 2002, pp. 96, ill.
13.
Soprintendenza archivistica per la Sardegna, Cagliari, coordinamento scientifico di MARIA BONARIA LAI, Roma 2002, pp. 72, ill.
14.
Soprintendenza archivistica per la Puglia, Bari, a cura di ROSALBA
CATACCHIO e MARIA GIUSEPPINA D’ARCANGELO, coordinamento scientifico di DOMENICA PORCARO MASSAFRA, Roma 2002, pp. 72, ill.
15.
Archivio di Stato di Massa e Sezione di Pontremoli, coordinamento
scientifico di OLGA RAFFO, testi di GIUSEPPINA BANI - ROBERTA LONGINOTTI - GRAZIELLA MATTEONI - BRUNO PENNUCCI - OLGA RAFFO
- BIANCAMARIA RATTI, Roma 2002, pp. 48, ill.
16.
Archivio di Stato di Terni e Sezione di Orvieto, coordinamento scientifico di ANNA PIA BIDOLLI, Roma 2003, pp. 72, ill.
17.
Archivio di Stato di Imperia e Sezioni di San Remo e Ventimiglia,
coordinamento scientifico e testi MARISTELLA LA ROSA, Roma 2003,
pp. 72, ill.
18.
Archivio di Stato di Chieti e Sezione di Lanciano, coordinamento
scientifico [di] CARMINE VIGGIANI, testi [di] MIRIA CIARMA - ANNAMARIA DE CECCO, Roma 2004, pp. 48, ill.
19.
Archivio di Stato di Reggio Calabria e Sezioni di Locri e Palmi, testi
di LIA DOMENICA BALDISSARRO, Roma 2004, pp. 48, ill.
20.
Archivio di Stato di Potenza, coordinamento scientifico e introduzione [di] DONATO TAMBLE’, testi [di] VALERIA VERRASTRO, Roma
2004, pp. 72, ill.
21.
Archivio di Stato di Siena. Museo delle Biccherne, a cura di MARIA
ASSUNTA CEPPARI - MARIA RAFFAELLA DE GRAMATICA - PATRIZIA
TURRINI -CARLA ZARRILLI, coordinamento scientifico [di] CARLA
ZARRILLI, Roma 2008, pp. 96, ill.
22.
Archivio di Stato di Ragusa e Sezione di Modica, coordinamento
scientifico [di] ANNA MARIA IOZZIA, Roma 2008, pp. 72, ill.
23.
Archivio di Stato di Grosseto, coordinamento scientifico [di] FIORENZA GEMINI, Roma 2008, pp. 48, ill.
24.
Archivio di Stato di Bologna e Sezione di Imola, coordinamento
scientifico [di] ELISABETTA ARIOTI - MASSIMO GIANSANTE, Roma
2008, pp. 96, ill.
25.
Archivio di Stato di Messina, coordinamento scientifico [di] Alfio
Seminara, Roma 2008, pp. 48, ill.
26.
Archivio di Stato di Firenze, coordinamento scientifico [di] PIERO
MARCHI - CARLA ZARRILLI, Roma 2009, pp. 96, ill.
27.
Archivio di Stato di Roma, a cura di MARIA ANTONIETTA QUESADA LUISA SALVATORI, coordinamento scientifico [di] ANNA PIA BIDOLLI,
Roma 2009, pp. 96, ill.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
28.
Archivio di Stato di Bolzano, a cura di HUBERT GASSER - HARALD
TONIATTI - ARMIDA ZACCARIA, Roma 2009, pp. 46, ill.
29.
Archivio di Stato di Gorizia, coordinamento scientifico [di] ADELE
BRANDI, testo a cura di ANTONIETTA COLOMBATTI, Roma 2009, pp.
48, ill.
30.
Archivio di Stato della Spezia, testo a cura di ANTONINO FARO, 2010,
pp. 48, ill.
31.
Archivio di Stato di Bari e Sezioni di Barletta e Trani, coordinamento
scientifico [di] EUGENIA VANTAGGIATO, 2010, pp. 46, ill.
32.
Archivio di Stato di Perugia e Sezioni di Assisi, Foligno, Gubbio e
Spoleto, coordinamento scientifico [di] PAOLO FRANZESE, 2011, pp.
72, ill.
33.
Soprintendenza archivistica per l’Umbria, coordinamento scientifico
[di] MARIO SQUADRONI, 2011, pp. 72, ill.
34.
Archivio di Stato di Frosinone e Sezione di Anagni-Guarcino, coordinamento scientifico di VIVIANA FONTANA, testi di VIVIANA FONTANA ROSANNA CIANCHETTI - ONORINA RUGGERI - MARIA DE SORBO - GIULIO
BIANCHINI - PAOLA LAURETTI - AUGUSTA CALDARONI - LEANDRO FRASCA
- FRANCO NARDI - CHIARA D’ANDREA, Roma 2010, pp. 48, ill.
35.
Archivi di Stato di Nuoro e di Oristano, coordinamento scientifico
di CARLA FERRANTE, testi di CARLA FERRANTE - MICHELA PODDIGUE,
Roma 2010, pp. 47, ill.
36.
Archivio di Stato di Udine, coordinamento scientifico di ROBERTA
CORBELLINI, testi di ROBERTA CORBELLINI - LUCIA STEFANELLI LAURA CERNO, Roma 2010, pp. 48, ill.
37.
Archivio di Stato di Pescara, coordinamento scientifico di ANTODE BERARDINIS, testi di ANGELA APPIGNANI - ANTONELLO DE
BERARDINIS, Roma 2010, pp. 47, ill.
NELLO
38.
Archivio di Stato di Pisa, coordinamento scientifico di FIORENZA GEMINI,
testi di ROSALIA AMICO, SUSANNA BOZZI - FLAVIA BUCCIERO -GIANCARLO
DE FECONDO - CHRISTINE VALERIE PENNISON - MILLETTA SBRILLI - DANIELA STACCIOLI - GIOVANNA TANTI, Roma 2010, pp. 71, ill.
39.
Archivio di Stato di Cremona, coordinamento scientifico di ANGELA
BELLARDI, testi di ANGELA BELLARDI - VALERIA LEONI - MATTEO MORANDI - EMANUELA ZANESI, Roma 2010, pp. 47, ill.
40.
Archivio di Stato di Sondrio, Roma 2010, pp. 48, ill.
41.
Archivio di Stato di Mantova, coordinamento scientifico e testi di
DANIELA FERRARI, Roma 2010, pp. 72, ill.
42.
Archivio di Stato di L’Aquila, coordinamento scientifico di PAOLO
MUZI - DANIELA NARDECCHIA, Roma 2010, pp. 96, ill.
43.
Archivio di Stato di Latina, coordinamento scientifico di FLORIANO
BOCCINI, Roma 2010, pp.48, ill.
44.
Archivio di Stato di Enna, coordinamento scientifico di EMANUELE
LEONE, Roma 2010, pp. 48, ill.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
45.
Archivio di Stato di Modena, coordinamento scientifico di EURIDE
FREGNI - MARIA CARFÌ, Roma 2010, pp. 71, ill.
46.
Archivio di Stato di Benevento, coordinamento scientifico di VALERIA TADDEO, Roma 2013, pp.71, ill.
47.
Archivio di Stato di Catania e Sezione di Caltagirone, a cura di ANNA
MARIA IOZZIA, coordinamento scientifico di CLAUDIO TORRISI, Roma
2013, pp. 96, ill.
PUBBLICAZIONI FUORI COLLANA
MINISTERO DELL’INTERNO. DIREZIONE GENERALE DELL’AMMINISTRAZIONE CIVILE. UFFICIO
CENTRALE DEGLI ARCHIVI DI STATO, Gli Archivi di Stato al 19522, Roma 1954, pp.
VIII, 750 (esaurito).
MINISTERO DELL’INTERNO. DIREZIONE GENERALE DEGLI ARCHIVI DI STATO, La legge sugli
archivi, Roma 1963, pp. 370 (esaurito).
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI,
Itinerari archivistici italiani, opuscoli 21, Roma 1975-l995: Organizzazione archivistica (versione francese: L’Administration des Archives d’Etat d’Italie; versione
inglese: The State Archive Administration of Italy), pp. 36; Archivio centrale dello
Stato, pp. 20; Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro, pp. 20; Abruzzo Molise, pp. 24; Basilicata, pp. 16; Calabria, pp. 20; Campania, pp. 40; Emilia Romagna,
pp. 60; Friuli Venezia Giulia, pp. 20; Lazio, pp. 40; Liguria, pp. 28; Lombardia, pp.
44; Marche, pp. 24; Piemonte, pp. 36; Puglia, pp. 20; Sardegna, pp. 20; Sicilia, pp.
40; Toscana, pp. 80; Trentino Alto Adige, pp. 20; Umbria, pp. 24; Veneto, pp. 88.
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Inventario Archivio di Stato in Lucca, VII, Archivi gentilizi, a cura di GIORGIO
TORI - ARNALDO D’ADDARIO - ANTONIO ROMITI, Prefazione di VITO TIRELLI, Lucca
1980, pp. XX, 748; VIII, Archivi gentilizi, a cura di LAURINA BUSTI - SERGIO NELLI,
direzione e coordinamento di GIORGIO TORI, Lucca 2000, pp. XVI, 746.
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Guida generale degli Archivi di Stato italiani, I (A-E), Roma 1981, pp. XVIII,
1042; II (F-M), Roma 1983, pp. XVI, 1088; III (N-R), Roma 1986, pp. XIV, 1302;
IV (S-Z) Roma 1994, pp. XVI, 1412.
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI
- UFFICIO CENTRALE PER I BENI LIBRARI E GLI ISTITUTI CULTURALI, Garibaldi nella
documentazione degli Archivi di Stato e delle Biblioteche statali. Mostra storicodocumentaria, a cura dell’ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Roma 1982, pp. XXXII,
286, tavv. 146.
GIACOMO C. BASCAPÈ, MARCELLO DEL PIAZZO, con la cooperazione di LUIGI BORGIA,
Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata, medievale e moderna, Roma 1983,
pp. XVI, 1064, illustrazioni e tavole (esaurito).
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Le Biccherne. Tavole dipinte delle magistrature senesi (secoli XIII-XVIII), a
cura di LUIGI BORGIA - ENZO CARLI - MARIA ASSUNTA CEPPARI - UBALDO MORANDI
- PATRIZIA SINIBALDI - CARLA ZARRILLI, Roma 1984, pp. VIII, 390, tavv. 139.
imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 36
Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI,
La legge sugli archivi. Aggiornamenti (1965-1986), Roma 1987, pp. 434 (esaurito).
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA, Exempla Studii Bononiensis, Roma 1988,
tavv. 16.
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Le pubblicazioni degli Archivi di Stato. Catalogo della mostra, a cura di
MARIA TERESA PIANO MORTARI - ISOTTA SCANDALIATO CICIANI, Roma 1989, pp.
XVIII, 56.
ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA, Inventario dell’Archivio del Banco di San Giorgio
(1407-1805), sotto la direzione di GIUSEPPE FELLONI, Presentazione, Roma 1989,
pp. 36; II, Affari generali, Roma 2001, t. 1°, pp. 386; III, Banchi e tesoreria, Roma
1990, t. 1°, pp. 406; Roma 1991, t. 2°, pp. 382; t. 3°, pp. 382; t. 4°, pp. 382; Roma
1992, t. 5°, pp. 382; Roma 1993, t. 6°, pp. 396; IV, Debito pubblico, Roma 1989,
t. 1° e 2°, pp. 452 e 440; Roma 1994, t. 3°, pp. 380; t. 4°, pp. 376; t. 5°, pp. 378;
Roma 1995, t. 6°, pp. 380; Roma 1996, t. 7°, pp. 376; t. 8°, pp. 406.
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI. DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI,
Agenda 1989: La cartografia; 1990: L’iconografia araldica; 1991: Il sigillo; 1992:
La «scoperta» del Nuovo Mondo; 1993: L’Europa; 1994: La miniatura; 1995: La
II guerra mondiale; 1996: Lo sport; 1997: Il tesoro degli Archivi; 1998: La presenza
femminile nelle carte d’archivio; 1999: La scienza negli archivi; 2000: Gli archivi;
2001: La musica; 2002: L’alimentazione; 2003: La circolazione monetaria; 2004:
I beni culturali; 2005: L’acqua; 2006: L’arte moderna; 2007: Il gioco; 2008: Feste
e folklore; 2009: L’infanzia; 2010: La moda; 2011: Archivi di impresa.
ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, La Toscana dei Lorena nelle mappe dell’Archivio di
Stato di Praga. Memorie ed immagini di un granducato. Catalogo e mostra documentaria, Firenze 31 maggio - 31 luglio 1991, Roma 1991, pp. 430, tavv. 161.
Pane e potere. Istituzioni e società in Italia dal medioevo all’età moderna. Catalogo,
a cura di VINCENZO FRANCO - ANGELA LANCONELLI - MARIA ANTONIETTA QUESADA,
Roma 1991, pp. 266, illustrazioni.
Les archives nationales ou fédérales. Systèmes, problèmes et perspectives. Actes de la
XXVI Conférence internationale de la Table Ronde des Archives, Madrid 1989 /
The National or Federal Archives. Systems, Problems and perspectives. Proceedings of the 26th International Conference of the Rounde Table on Archives, Madrid 1989, Roma 1991, pp. 354.
COMMISSIONE NAZIONALE PER LA PUBBLICAZIONE DEI CARTEGGI DEL CONTE DI CAVOUR,
Camillo Cavour. Diari (1833-1856), a cura di ALFONSO BOGGE, Roma 1991, tt. 2,
pp. 810.
Les archives et les archivistes au service de la protection du patrimoine culturel et naturel. Actes de la vingt-septième Conférence internationale de la Table Ronde des
Archives, Dresde 1990 / Archives and archivists serving the protection of the cultural and natural heritages. Proceedings of the twenty-seventh International Conference of the Rounde Table on Archives, Dresden 1990, Roma 1993, pp. 186.
Archives before Writing. Proceedings of the International Colloquium, Oriolo Romano,
October 23-25, 1991, edited by PIERA FERIOLI - ENRICA FIANDRA - GIAN GIACOMO
FISSORE - MARCELLA FRANGIPANE, Roma 1994, pp. 416 (in vendita presso Scripto-
imp_X_pag_verdi.qxp_Layout 1 15/12/15 09:46 Pagina 37
Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
rium - Settore Università G.B. Paravia, via Piazzi 17, 10129 Torino).
ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Securitas et tranquillitas Europae, a cura di ISABELLA
MASSABÒ RICCI - MARCO CARASSI - CHIARA CUSANNO, con la collaborazione di
BENEDETTA RADICATI DI BROZOLO, Roma 1996, pp. 320, illustrazioni.
Administration in Ancient Societies. Proceedings of Session 218 of the 13th International Congress of Anthropological and Ethnological Sciences, Mexico City, July 29
- August 5, 1993, edited by PIERA FERIOLI - ENRICA FIANDRA - GIAN GIACOMO FISSORE, Roma 1996, pp. 192 (in vendita presso Scriptorium - Settore Università G.B.
Paravia).
L’attività dell’Amministrazione archivistica nel trentennio1963-1992. Indagine storicostatistica, a cura di MANUELA CACIOLI - ANTONIO DENTONI-LITTA - ERILDE TERENZONI, Roma 1996, pp. 418.
Wipertus Hugo Rüdt de Collenberg. L’archivio e la biblioteca di un genealogista e araldista, a cura di GIOVANNA ARCANGELI, s.n.t. [1998], pp. 64.
Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450-1500), coordinamento e
direzione di FRANCA LEVEROTTI, I, 1450-1459, a cura di ISABELLA LAZZARINI, Roma
1999, pp. XX, 576; II, 1460, a cura di ISABELLA LAZZARINI, Roma 2000, pp. 494;
III, 1461, a cura di ISABELLA LAZZARINI, Roma 2000, pp. 470); IV, 1462, a cura di
ISABELLA LAZZARINI, Roma 2002, pp. 448; V, 1463, a cura di MARCO FOLIN, Roma
2003, pp. 530; VI, 1464-1465, a cura di MARIA NADA COVINI, Roma 2001, pp. 568;
VII, 1466-1467, a cura di MARIA NADA COVINI, Roma 1999, pp. 492; VIII, 14681471, a cura di MARIA NADA COVINI, Roma 2000, pp. 688; XI, 1478-1479, a cura
di MARCELLO SIMONETTA, Roma 2001, pp. 586; XII, 1480-1482, a cura di GIANLUCA BATTIONI, Roma 2002, pp. 666; XV, 1495-1498, a cura di ANTONELLA GRATI
- ARTURO PACINI, Roma 2003, pp. 496.
Administrative Documents in the Aegean and their Near Eastern Counterparts. Proceedings of the International Colloquium, Naples, February 29-March 2, 1996,
edited by MASSIMO PERNA, Roma 2000, pp. 436 (in vendita presso Scriptorium Settore Università G. B. Paravia, via Piazzi, 17 10129 Torino).
Carte da legare. Dai luoghi della follia, Roma, Comprensorio Santa Maria della Pietà,
5 ottobre - 31 ottobre 2000, Città di Castello, Edimond, 2000, pp. 80, ill. In testa al
front.: Ufficio centrale per i beni archivistici; Soprintendenza archivistica per il Lazio;
ASL Roma E, Centro studi e ricerche. Con il patrocinio del Ministero della Sanità.
Scritti di teoria archivistica italiana. Rassegna bibliografica, a cura di ISABELLA MASSABÒ RICCI - MARCO CARASSI, Roma 2000, pp. 200.
Lo “spettacolo maraviglioso”. Il Teatro della Pergola: l’opera a Firenze. Archivio di
Stato di Firenze, 6 ottobre - 30 dicembre 2000. Catalogo, a cura di M. DE ANGELIS
- E. GARBERO ZORZI - L. MACCABRUNI - P. MARCHI - L. ZANGHERI, Roma-Firenze,
UCBA - Pagliai Polistampa, 2000, pp. 236, ill. (in vendita presso Pagliai Polistampa, via S. Maria 27/r, 50125 Firenze).
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI. ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Vinicio
Berti. Diari e lettere (1942-1952), a cura di LUISA MONTEVECCHI, in appendice Catalogo della mostra: Vinicio Berti. Dallo studio di un artista: carte e dipinti, Archivio
centrale dello Stato, 5 dicembre 2000 - 30 giugno 2001, Roma 2000, pp. 146, ill.
Piero Gobetti e Felice Casorati, 1918-1926, Roma, Direzione generale per gli archivi
- Milano, Electa, 2001, pp. 112, ill.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
COMITATO NAZIONALE PER LE CELEBRAZIONI DEL CENTENARIO DELLE NASCITE DI CARLO E
NELLO ROSSELLI, Carlo e Nello Rosselli. Catalogo delle mostre ed edizione di fonti,
I. BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE, FIRENZE, Lessico familiare. Vita, cultura e politica della famiglia Rosselli all’insegna della libertà, Firenze, 14 maggio - 14 giugno 2002, catalogo a cura di ZEFFIRO CIUFFOLETTI - GIAN LUCA CORRADI, mostra
a cura di ARTEMISIA CALCAGNI ABRAMI - LUCIA CHIMIRRI - GIAN LUCA CORRADI,
pp. XXII, 126, ill.; II. ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Un’altra Italia nell’Italia
del fascismo. Carlo e Nello Rosselli nella documentazione dell’Archivio centrale
dello Stato, Roma, 26 giugno 2002 - 31 maggio 2003, mostra, catalogo, ed edizione
delle fonti a cura di MARINA GIANNETTO, pp. XXVI, 312, ill., Roma, Direzione generale per gli archivi; Edimond, 2002.
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI. DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI, Cinquant’anni di attività editoriale. Le pubblicazioni dell’Amministrazione archivistica
(1951-2000). Catalogo, a cura di ANTONIO DENTONI-LITTA - ELENA LUME - MARIA
TERESA PIANO MORTARI - MAURO TOSTI-CROCE, Roma 2003, pp. XXXVIII, 492, t.f.t.
FLAVIO MANGIONE, Le Case del Fascio in Italia e nelle terre d’Oltremare, Roma 2003,
pp. XXIII, 514, ill.
ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Architettura militare. Luoghi, città, fortezze, territori in
età moderna, I, a cura di ANTONIO DENTONI-LITTA - ISABELLA MASSABÒ RICCI,
Roma 2003, pp. XXX, 316, tavv.
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VENEZIA. DIPARTIMENTO DI STUDI STORICI - ARCHIVIO DI
STATO DI TREVISO - BIBLIOTECA COMUNALE DI TREVISO, Gli estimi della Podesteria
di Treviso, a cura di FRANCESCA CAVAZZANA ROMANELLI - ERMANNO ORLANDO,
Roma 2006, pp. 908, con Cd-rom.
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI. DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI, Le
pubblicazioni dell’Amministrazione archivistica. Aggiornamento (2001-2005). Catalogo, a cura di ELENA LUME - MARIA TERESA PIANO MORTARI, Roma 2008, pp. 263.
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI. DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI,
Repertorio del personale degli Archivi di Stato. I (1861-1918), a cura di MAURIZIO
CASSETTI, con saggio storico-archivistico di ELIO LODOLINI, Roma 2008, pp. XXIV,
810, ill.
«Padre mio dolce». Lettere di religiosi a Francesco Datini. Antologia, a cura di SIMONA
BRAMBILLA, Roma 2010, pp. CLIII, 414.
Repertorio del personale degli Archivi di Stato, II (1919-1946), a cura di MAURIZIO
CASSETTI - UGO FALCONE - MARIA TERESA PIANO MORTARI, con saggio storico-archivistico di ELIO LODOLINI, Roma 2012, pp. XXII, 761.
Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia, a cura di MICHELE DI SIVO, Roma
2013, pp. 118.
Linee guida per la prevenzione dei rischi e la reazione alle emergenze negli Archivi, a
cura di CECILIA PROSPERI - MONICA CALZOLARI, Roma 2014, pp. 65.
Archivi memoria di tutti. Le fonti per la storia delle stragi e del terrorismo, a cura di
TOMASO MARIO BOLIS - MARIA LUCIA XERRI, Roma 2014, pp. 132.
Schegge di storia. Salerno e l'operazione Avalanche. Documenti, diari, memorie e reperti. Catalogo della mostra, Archivio di Stato di Salerno, aprile-dicembre 2013,
a cura di RENATO DENTONI-LITTA, Roma 2014, pp. 344.
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
QUADERNI DIDATTICI
MARIA LUISA BARROVECCHIO SAN MARTINI, Il tribunale criminale del governatore di
Roma (1512-1809), Roma 1981, pp. 18 (esaurito).
GUIDO GUERRA, Le sale di studio e di consultazione, Roma 1981, pp. 8 (esaurito).
LUCIO LUME, Il servizio tecnologico presso gli Archivi di Stato italiani, Roma 1981,
pp. 50 (esaurito).
MARIA GRAZIA RUGGIERO PASTURA, L’archivio della computisteria generale della Camera apostolica dopo la riforma di Benedetto XIV (1744): ipotesi di ricerca, Roma
1981, pp. 86 (esaurito).
CATELLO SALVATI, Esempi di scritture tipiche dell’Italia meridionale: la scrittura curiale
di Amalfi e Ravello, Roma 1981, pp. 32, tavv. 16 (esaurito).
VERA SPAGNUOLO, Il catasto gregoriano di Roma ed agro romano. Guida alla ricerca
archivistica, Roma 1981, pp. 14, tavv. 16 (esaurito).
ALTRE PUBBLICAZIONI DEGLI ARCHIVI DI STATO
I seguenti volumi sono stati pubblicati e diffusi per conto della Direzione generale Archivi da case editrici private, che ne curano, pertanto, anche la vendita.
CAMILLO CAVOUR, Epistolario, 1815-1859, I-XVII, a cura della COMMISSIONE NAZIONALE PER LA PUBBLICAZIONE DEI CARTEGGI DEL CONTE DI CAVOUR, Bologna, Zanichelli - Firenze, Olschki, 1962-2005; Appendice A (1837-1843), a cura di GIOVANNI
SILENGO, Firenze, Olschki, 2006.
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, The Lucca Codex. Codice Mancini. Introductory Study and Facsimile Edition, by JOHN NADAS and AGOSTINO ZIINO, Lucca, Libreria Musicale Italiana Editrice, 1990, pp. 228, tavole (Ars Nova, 1).
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, L’Archivio di Stato di Milano, a cura di GABRIELLA CAGLIARI POLI, Firenze,
Nardini, 1992, pp. 254, tavole (I tesori degli Archivi).
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, L’Archivio di Stato di Roma, a cura di LUCIO LUME, Firenze, Nardini, 1992,
pp. 286, tavole (I tesori degli Archivi).
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Il viaggio di Enrico VII in Italia, Città di Castello, Edimond, 1993, pp. XII,
328, tavv. 94.
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, L’Archivio di Stato di Torino, a cura di ISABELLA MASSABÒ RICCI - MARIA
GATTULLO, Firenze, Nardini, 1994, pp. 278, tavole (I tesori degli Archivi).
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, L’Archivio di Stato di Firenze, a cura di ROSALIA MANNO TOLU - ANNA BELLINAZZI, Firenze, Nardini, 1995, pp. 278, tavole (I tesori degli Archivi).
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Le pubblicazioni degli Archivi di Stato italiani
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, L’Archivio di Stato di Bologna, a cura di ISABELLA ZANNI ROSIELLO, Firenze,
Nardini, 1995, pp. 238, tavole (I tesori degli Archivi).
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Gentium memoria archiva. Il tesoro degli archivi, Roma, Museo nazionale
di Castel Sant’Angelo, 24 gennaio - 24 aprile 1996, Roma, De Luca, 1996, pp.
XIV, 304, tavole.
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI,
L’Archivio di Stato di Firenze. La memoria storica di tredici secoli, a cura di ROSALIA MANNO TOLU - ANNA BELLINAZZI, Firenze, Nardini, 2002, pp. 224, ill. (anche
versione inglese).
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, La Società Generale Immobiliare Sogene. Storia,
archivio, testimonianze. Atti della giornata di studio. Roma, Archivio centrale dello
Stato, 16 novembre 2000, a cura di PAOLA PUZZUOLI, Roma, Palombi, 2003, pp.
192, ill.
IL MONDO DEGLI ARCHIVI
Periodico quadrimestrale di informazione e dibattito dell’Associazione nazionale archivistica italiana edito con il sostegno della Direzione generale per gli archivi. Dal
1999 su supporto cartaceo, da aprile 2006 on line: www.ilmondodegliarchivi.org
MARIO GUARANY, direttore responsabile
Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 479 del 22 novembre 2005
Finito di stampare nel mese di novembre 2015
da Mura srl - Via Palestro 34 - 00185 Roma
ISSN 0037-2781
RASSEGNA DEGLI ARCHIVI DI STATO
gen.-dic. 2014
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RASSEGNA
DEGLI
ARCHIVI DI STATO
nuova serie - X/1-2-3
roma, gen.-dic. 2014