rapporto-abdul-al-azred-in-mauretania

Transcript

rapporto-abdul-al-azred-in-mauretania
Rapporto redatto dal gregario Abdul Al Azred membro della coorte arcana
Data XXII nov. MCCXXXV.
Onoratissimo Ennio Valente, di seguito riporto i fatti accaduti nell’ultima nostra ricerca.
Dopo l’ultima nostra missione in quel di Thugga, gli antichi manoscritti da noi ritrovati e
consegnati in mano ad Arato di Tessalonica membro onorario del collegio degli auguri,
vennero requisiti da Silleo Cornelio Scipione, con grosso disappunto da parte
dell’onoratissimo Arato.
La missione ci fu affidata direttamente da Arato di Tessalonica, essa prevedeva di partire
per la volta di Togomos, un villaggio sperduto sui monti dell’Atlante, nella Mauritania sud
orientale per investigare su un’antica leggenda riguardo ad un valico montano di nome
passo Belken, in onore di tale Abdul Belken, ed inoltre stilare una topografia della zona.
Situazione della Zona
Questa zona della Mauritania è fuori dai confini dell’Impero, anche se non completamente
ostili, perché in prevalenza pecorai, ci sono delle piccole fazioni di ribelli Mauri capeggiate
da tale Rallo IV un giovane guerriero.
Missione
La partenza fu il XVI oct. MCCXXXV per la volta di Tingi. Era previsto che per la prima
parte di viaggio scortassimo il nostro rispettabilissimo Arato di Tessalonica, insieme ad un
altro gruppo appartenente alla Cohors Auxilaria Arcana. Dopodiché arrivati a Cesarea
Mauritana ci saremo divisi per poi rincontrarci a Tingi a fine missione.
Con noi sarebbero venuti anche due nuovi membri di questa coorte, un Romano
appartenente al cursus Auguralis, Caio Julio, e un esploratore della zona, Marzio M’Beti.
Durante il viaggio Facemmo tappa a Hippo Regius ove il nostro sempre intramestato
Nemus, acquistò una strana statuetta da un mercante, raffigurante un’antica divinità
dimenticata Cartaginese. Dagon, culto ormai sparito e dimenticato.
A Cesarea Mauritana il nostro nuovo membro fece un inquietante sogno. Sognò di
un’enorme nave, forgiata di metallo mai visto, proveniente dal mare Atlanticum ed
attraversare le colonne D’Ercole. Trasportava con se molti guerrieri che portavano
armature fatte di un metallo rosso, da me poi interpretato come Oricalco, metallo la cui
lavorazione era conosciuta alla grande civiltà, ormai scomparsa, di Atlantide, come da me
appreso nella breve lettura data al Timeo di Platone. Premonizione o ritorno con la mente
a cose ormai passate e dimenticate?
Si vedrà, anche se credo più alla seconda.
In data V nov. MCCXXXV arrivammo in un piccolo castra distaccato in prossimità del
confine comandato dal Centurione Valerio Rosso, il quale ci concesse un gruppo di guide
fino alle pendice della catena montuosa, ove poi proseguimmo da soli.
In data VIII nov. MCCXXXV Le guide ci lasciarono e ci incamminammo verso il passo.
Quello che si mostrava di fronte ai nostri occhi fu uno spettacolo divino, enormi alture
illuminate da un sole estivo con colori che spaziavano dall’estate più torrida del caldo
deserto, alla base dei colossi, fino a giungere ai colori più tristi dell’inverno sulle bianche
cime, passando attraverso la gioiosa primavera dei caldi mari d’Arabia, e il triste autunno
delle fredde lande germaniche.
In data X nov. MCCXXXV raggiungemmo un piccolo e povero villaggio di pastori, in una
giornata piovosa, ove fummo costretti ad affrontare dei Blemi, Orride creature senza testa
con delle enormi fauci incastrate nel petto. Dopo il combattimento curammo i feriti.
I Blemi
Queste ripugnanti creature, dalle fattezze sopra descritte, erano soliti attaccare il villaggio
per nutrirsi dei bambini. Queste creature, appartenenti a leggende locali, ma quanto mai
esistenti, hanno la capacità di combattere anche se ormai apparentemente morte, e sono
in grado di resistere enormi ferite, per poi stramazzare al suolo all’improvviso. Riescono a
ritardare la loro morte, e fintanto che ne sono capaci attaccano per uccidere. Inoltre i feriti
vedranno riaprirsi le loro lacerazione ogni qualvolta passano dal luogo dell’agguato.
Dopo tre giorni i riposo ripartimmo per Togomos, che raggiungemmo dopo una settimana
di pericoli e fatica, sia per la pioggia che incessantemente ci perseguitava sia per gli strani
incontri che facemmo.
Fu soprattutto uno quello che ci incuriosì di più, una strana vecchia signora sopra una
collina, cercammo di raggiungerla per chiederle delle informazioni, ma una cosa strana
accadde, la distanza tra di noi e lei sembrava mai essere colmata. Ma fu grazie a quella
arrampicata sul colle che riuscimmo a salvarci da un gruppo di ribelli capeggiati da due
Figli di Anteo.
Più tardi scoprimmo che la vecchia signora altro non era che una manifestazione della dea
Gea, la quale ci dava la sua protezione.
Infine il XX nov. Avvistammo il Passo di Belken, e raggiungemmo il villaggio di Togomos,
altamente fortificato, ed ancora con una struttura romana, reminescenza di un antico
avamposto romano, scampata alla distruzione.
Venimmo accolti amichevolmente dal capo, uomo libero, Giuba, dal quale apprendemmo
antichi vicende sul passo, per loro luogo maledetto.
Parlò di una corte sparita intorno all’anno DCCCLXVI, e di un senatore che passo per il
valico, ma mai ne tornò indietro. Questo accadeva nell’anno DCCCCV. Ma fu dallo
sciamano del luogo, Ar’Hut, che apprendemmo la vera storia di Abdul Belken.
Abdul Belken
La storia si svolge secoli or sono, quando il re cattivo comandava queste zone con
arroganza e soprusi nei confronti della popolazione, e tutto questo, Ahimè, nella legge di
Roma. Ma dopo anni di nefandezze, apparve una vecchia signora, la quale sconfisse il Re, e
costrinse il tiranno a espiare tutte le sue malefatte. Ella era l’incarnazione di Gea.
Il XXII nov. Raggiungemmo il Passo, in prossimità del quale, ai piedi di una cascata, sopra
una roccia, trovammo una coppa con all’interno ciò che poteva sembrare una mappa. Poi
rivelata come mappa della valle. Continuammo il viaggio fino a quando non si prostrò
dinnanzi a noi una splendida valle a forma di conca, come all’interno di un grosso cratere
vulcanico. Il sentiero sembrava proseguire fino in fondo alla valle, ove erano presenti un
villaggio e un palazzo.
Appena entrati nella valle con orrore ci accorgemmo che il passaggio dietro di noi non
esisteva più. Eravamo rinchiusi nella valle. Eravamo in trappola.
La Valle del Passo
Altro non era che un artifizio di Belken, il quale per espiare ai propri peccati, doveva far
capire a chi capitava in questo luogo i suoi errori, in modo ché gli sventurati non
avrebbero commesso le sue stesse malefatte.
Dovevamo liberarci dall’arroganza di Roma. Dovevamo liberarci da tutto ciò che di Roma
era malvagità.
E l’avremmo fatto solo superando delle prove.
Le Prove.
Prova prima.
Appena disceso il sentiero, trovammo una grotta ove era riportata un’incisione, la quale
richiedeva di depositare le armi per entrare nella valle. Ciò venne fatto e proseguimmo la
discesa. Lì avvenne il primo incontro. Degli spettri, guerrieri, che portavano armature di
tutti i popoli sconfitti in guerra da Roma. Essi da prima ci guardarono, poi ci scrutarono ed
in fine sorrisero. E da dove erano venuti, ritornarono.
Capimmo di aver superato la prima prova. La sete espansionistica dell’impero da noi era
stata ripudiata, Roma non si muoveva in noi per uccidere e conquistare, ma per dialogare e
parlamentare.
Prova seconda.
A mezzo sentiero, la valle era tagliata in due da un enorme canale di rifiuti, proveniente
dalla città e guadabile solo in un punto. Ma vi era anche un ponte custodito da piccoli
uomini, apparentemente inermi di fronte a noi, che però non ci fecero passare, almeno che
non li combattevamo.
Optammo per passare attraverso il guado e sporcarci piuttosto che combattere una
battaglia con un nemico molto più debole di noi.
Seconda prova superata. La forza di Roma non si era abbattuta su un popolo nettamente
inferiore ma aveva deciso di non combattere contro chi più debole.
Fu così che raggiungemmo il villaggio ove la popolazione ci accolse con gioia, li lavò, ci
nutrì e ci fece riposare.
Parlammo con il Capo villaggio, tale Tribuno il quale ci parlò di una loro divinità e di
qualche occhio che non dovevamo accecare.
Prova terza.
Ci dirigemmo dove si trovava questa divinità, altro non era che una strana statua vicino
quello che sembrava una solfatara, ma quello che per loro era l’occhio, ed il non accecarlo
significava non entrarvi dentro.
Ce ne ritornammo indietro, e fu così che superammo la prova. Roma non aveva distrutto le
credenze di altri popoli, ed era sottostata alla legge di altri paesi e aveva risparmiato una
morte orribile alla città.
Da lì ci dirigemmo al grande palazzo, per incontrarne il signore, che con nostro immenso
stupore apprendemmo che altri non era il nostro divino imperatore.
Sortilegi e magie erano in questa valle, a cospetto del falso(?) imperatore ci venne rivelato
il modo per uscire da questo luogo ove il tempo sembrava essersi fermato.
Prova quarta.
Nella valle, in un punto imprecisato, era sepolto un immenso tesoro, se l’avessimo portato
al signore di questa valle, ci avrebbe indicato l’uscita.
Ci mettemmo subito alla ricerca del tesoro, quando all’interno del bosco sentimmo in
pianto.
Era un piccolo gnomo il quale ci raccontò che la sua famiglia era stata rapita da un potente
senatore, il quale come riscatto voleva il tesoro del nonno dello gnomo.
Ci offrimmo di aiutalo. Trovato il tesoro, che era nascosto alla base di una pianta, ci
dirigemmo verso il luogo dove erano nascosti rapitori, per consegnare il riscatto.
Giunti lì il nostro spirito era combattuto tra la voglia di aiutare il povero gnomo e la sua
famiglia, e la paura di rimanere intrappolati in questa valle per sempre. Quelli erano i soldi
che ci sarebbero serviti per uscire da questo luogo. Persi quelli come avremmo potuto
salvarci?
Alla fine cedemmo e salvammo la piccola famiglia.
Anche quest’ultima prova venne superata, Roma aveva aiutato chi aveva bisogno
veramente, invece di arricchirsi inutilmente.
Il vecchio pastore.
Apprendemmo tutta la storia delle prove da un vecchio pastore, il quale altri non era che
Belken, che finalmente grazie a noi aveva definitivamente spiato le sue colpe.
Inoltre ci disse della corte scomparsa, la quale appena entrata nel villaggio ne uccise gli
uomini
e si impossessò delle donne. Fu questo gesto a condannare quegli uomini, e a farli vivere
per sempre in quel eterno oblio, la stessa cosa accadde al senatore ed alla sua scorta,
accecati dalla sete del tesoro, mai trovarono più il modo per uscire dalla valle.
Noi invece, spinti da buoni propositi, ci siamo comportati per il bene degli abitanti della
valle e venimmo ricompensati.
Il giorno seguente, dopo un lungo sonno, la valle, come la conoscevamo noi, non esisteva
più. Al suo posto adesso c’è uno stupendo passo, libero da tutto il male.
Belken ha espiato tutti i suoi peccati, e con lui tutti coloro che volevano passare da questi
luoghi.
Questa fantastica avventura ci doveva far capire, il modo giusto di comportarci. Roma è
forte, potente, divina, e dovrebbe usare queste virtù per il bene di tutti i popoli, usandoli
con giustizia e con equità, non con arroganza e vigliaccheria.
Ma purtroppo penso che qualcuno del gruppo non abbia capito questo messaggio e non si
sia liberato da tutta questa arroganza, ma anzi penso agisca per i propri fini, per avere solo
delle proprie conquiste, non curandosi del bene del gruppo e rischiando con le nostre vite,
e venerando divinità nuove e dimenticandosi di quelle vecchie.
Quando entrai nella speciale Cohors Arcana, pensai di farlo per la grandezza dell’Impero,
per riuscire a portare un messaggio di pace e di lealtà a chi non vi credeva ancora.
Capisco morire per le leggi del Divino imperatore, ma non accetterei mai di morire per la
vigliaccheria, le nefandezze e gli artifizi di un membro del gruppo.
Con questo ti saluto o venerabile.
Abdul Al Azred