C`era una volta una cascata

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C`era una volta una cascata
AI PIEDI DELLA CASCATA
C’era una volta una cascata.
Questa cascata era limpida, trasparente come vetro, come quel sottile e fragilissimo cristallo, che gli
artigiani più esperti usano per rinchiuderci mondi meravigliosi, e poi basta agitare per far scendere
la neve su città fantastiche, paesi sognati e inventati, prati di ceramica di color verde acceso.
L’acqua della cascata cadeva fragorosa e senza sosta, anche se il balzo non era eccessivamente alto,
ma si formava comunque, nella piscina naturale dove i flutti si gettavano, quella tenera schiumetta
fatta di soffici bollicine, che solleticano la pelle delle fanciulle quando vi s’immergono.
Quando splendeva il sole, le goccioline d’acqua sospese nell’aria fresca e umida facevano sempre
comparire l’arcobaleno, che attraversava tutta la gola rocciosa in mezzo alla quale la cascata
compiva il suo salto.
Un grande fiume portava la sua acqua a questa cascata: in realtà non era poi così grande, perché da
una riva all’altra si vedeva benissimo, e per attraversarlo occorrevano solo pochi minuti, dato che la
corrente non era nemmeno forte e impetuosa.
Per gli abitanti della valle però, questo placido corso d’acqua era l’origine di tutta la vita e la
prosperità che essi portavano avanti da generazioni.
Il loro villaggio si trovava sul lato destro del fiume, mentre la riva opposta ospitava un’immensa
foresta. La terra era occupata da tantissime fattorie e campi coltivati dagli abitanti del villaggio,
mentre le pecore, le capre, le vacche e i cavalli pascolavano liberi sul fianco della montagna che
chiudeva la valle, oppure andavano ad abbeverarsi ad un piccolo canale, formato da un altrettanto
piccolo ramo secondario del fiume.
La vita nel villaggio trascorreva tranquilla e impegnata dal lavoro nei campi e con gli animali; gli
abitanti formavano una comunità allegra e gioiosa, si conoscevano tutti tra loro.
Non avevano leggi scritte, perché ognuno sapeva ciò che era meglio fare per vivere in armonia con
gli altri e con la natura che li circondava; non usavano monete o denaro, perché tutti vivevano del
loro lavoro e mettevano in comune tutto ciò che avevano. I bambini giocavano felici insieme nei
prati, correvano dietro alle oche nei cortili delle case, con le madri che li rimproveravano di non far
spaventare le galline, altrimenti le uova sarebbero state meno buone!
Tutti avevano qualcosa da fare, e all’ora di pranzo si ritrovavano attorno a grandi tavoli di legno,
per mangiare insieme quello che le donne e gli uomini addetti alla cucina avevano preparato per
tutto il villaggio.
Non mancava proprio nessuno: c’erano contadini, boscaioli, artigiani, cuochi, sarti… C’era anche
un medico, sempre impegnato ad andare per i boschi a raccogliere erbe per preparare i suoi infusi.
Ogni due anni era nominato un capo-villaggio, che aveva il compito di presiedere le assemblee cui
partecipavano tutti gli abitanti, e inoltre aveva a che fare con i (rarissimi) forestieri che capitavano
nella valle.
Ora, il capo-villaggio era Oloap, il bibliotecario. Sì, c’era anche una biblioteca, formata da tutti quei
libri che gli antenati degli abitanti avevano scritto e lasciato alle future generazioni, per insegnare
loro tutto quello che avevano imparato dalla vita.
Oloap aveva una figlia bellissima, di nome Anele: era alta, con la pelle abbronzata e i capelli lunghi
e scuri; gli occhi del colore della corteccia degli alberi del bosco, un sorriso su cui splendeva il sole,
e che le faceva venire le fossette alle guance.
Anele era fidanzata con Ylor, il figlio di un artigiano: alto, coi capelli e gli occhi scuri, le spalle
larghe; di lui si diceva che avesse letto tutti i libri della biblioteca del villaggio! Dava una mano in
cucina solitamente, e poi, insieme ad Anele, si occupava di far giocare e divertire i bambini: era
solo una delle mille e più cose che i due giovani avevano in comune!
Sentivano entrambi di stare benissimo insieme, non si stancavano mai, ogni loro momento libero lo
sfruttavano per fare passeggiate sui monti, per distendersi sull’erba verde a guardare le nuvole, per
andare a fare il bagno nella piscina della cascata riscaldata dal sole: erano felicissimi, e gli altri
ragazzi del villaggio un po’ li invidiavano.
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Un giorno si decise nel villaggio di costruire un ponte, per raggiungere l’altra sponda del fiume
senza bisogno delle barche. Sulla riva sinistra si trovava, infatti, il cimitero del villaggio: gli
antenati erano sepolti nella terra del bosco, ognuno sotto un albero diverso.
Gli uomini e i giovani del villaggio si misero al lavoro; anche alcune donne robuste si impegnarono
nell’impresa. Ylor era tra i costruttori, mentre Anele sembrava persa ad osservarlo in ogni
momento, ogni movimento che faceva: aveva lasciato bruciare parecchie pagnotte nel forno, mentre
era persa nei suoi sogni, e sua madre non la smetteva mai di farle ramanzine!
Erano state prese molte pietre dalla montagna, trasportandole con le barche fino al punto esatto del
fiume. Poi era stata costruita un’impalcatura di legno che sorreggesse la struttura del ponte, e le
pietre lavorate e modellate erano state posate, utilizzando acqua e sabbia per tenerle compatte: non
c’erano mai inondazioni, quindi difficilmente il ponte sarebbe crollato.
Il lavoro fu ultimato in poco meno di un mese. Subito il villaggio si animò di una grande festa,
c’erano balli, canzoni, fuochi d’artificio, tavolate immense di cibo e dolci, per la gioia dei bambini e
di Anele, che era molto golosa.
Come se non bastasse, il giorno seguente cadeva il solstizio d’estate, quindi la baldoria proseguì per
festeggiare il ritorno del sole caldo e della bella stagione: alla fine delle due giornate, nel villaggio
erano tutti felicissimi. Oloap aveva anche tenuto un discorso, per il quale si era ispirato ad un libro
scritto un centinaio di anni prima, in occasione dell’arrivo dei primi contadini nella valle; Ylor lo
avrebbe saputo recitare quasi a memoria, ma si limitò a sorridere divertito mentre lo ascoltava,
abbracciato ad Anele.
Passarono i giorni, gli abitanti ormai utilizzavano il solidissimo ponte per far visita ai loro cari al di
là del fiume, quando accadde qualcosa di straordinario: dal valico sulla cima della montagna,
qualcuno cominciò a vedere due piccoli puntini neri che si muovevano sulla neve candida.
I bambini erano incantati da quelli che sembravano due folletti, o due gnomi che danzavano nel
freddo. Ma alla fine della giornata, i due esserini si erano ormai avvicinati al villaggio, e si erano
pure ingranditi. Altro non erano che due eleganti cavalieri.
Erano grossi e possenti, con armature lucenti, metalliche, che mandavano un riflesso azzurro alla
luce del sole; in testa portavano elmi decorati con figure di animali; cavalcavano due bianchi
destrieri dal portamento fiero, che sembravano non sentire la stanchezza del viaggio appena
affrontato.
Il villaggio era tutto in subbuglio: i bambini correvano incontro ai nuovi arrivati, gli adulti si
diedero subito da fare per preparare un’accoglienza calorosa, e meno male che era quasi ora di cena,
così non fu difficile aggiungere due posti d’onore a fianco del capo-villaggio.
Oloap, seguito dalla moglie e da alcuni uomini, si fece incontro ai visitatori per dar loro il
benvenuto: “Salute a voi, nobili signori! Ben arrivati nella nostra valle. Sarete di certo molto
stanchi: lasciate i cavalli nelle nostre stalle e sedetevi a cena con noi. Io sono Oloap, il capovillaggio.”
Gli rispose quello che aveva sull’elmo un’enorme aquila, talmente ben fatta da sembrare vera e
impagliata: “Siamo lord Eamon e sir Galedh, onorati di conoscervi. Credo proprio che un buon
pasto caldo ci farà solo bene! Molte grazie!”
Lasciarono i cavalli a due uomini e si sedettero a tavola.
Ylor intanto guardava la scena da lontano, fissando particolari che gli altri sembravano non avere
nemmeno notato: le lunghe spade da battaglia che i due ospiti si portavano alle cinture, e un
immenso stendardo con un sole nascente ricamato da mani molto esperte, che era rimasto a
svolazzare sul suo bastone, attaccato alla sella di uno dei cavalli.
La cena si svolse in un clima di allegria e di festa: era davvero molto raro avere degli ospiti nella
valle. I due cavalieri sembravano divertirsi, mangiavano, ridevano e scherzavano, e lodarono Oloap
per la grande laboriosità degli abitanti, poiché avevano già adocchiato il nuovo ponte che era stato
costruito.
Ylor continuava a fissarli, incuriosito e pensieroso. Anele si accorse immediatamente che qualcosa
lo turbava: “Cosa c’è, amore mio? Che pensieri ti passano per la testa?”
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Ylor le sorrise e la rassicurò: “Oh nulla!” disse “Mi piacerebbe solo sapere come mai sono arrivati
nella valle…”
“Sei troppo sospettoso, amore. Anche io ho notato le loro armi, ma pensi che vogliano farci
guerra?! Non abbiamo mai dato fastidio a nessuno, viviamo praticamente fuori dal loro mondo.”
“Vediamo cosa hanno da dire” rispose Ylor.
Proprio in quel momento, Oloap si alzò, richiamando l’attenzione di tutti: “Amici, un momento di
silenzio, per favore. Ora i nostri ospiti ci spiegheranno i motivi che li hanno portati fin qui da noi.”
Il secondo cavaliere, che aveva sull’elmo la testa di un leone, si alzò e iniziò a declamare: “Siamo
cavalieri dell’esercito di sua maestà Yuklad, sovrano delle terre del Regno Celeste. Siamo qui per
rivendicare l’appartenenza di questa valle e di tutti i suoi abitanti alla corona regale. Da oggi sarete
protetti dalla clemenza e dalla benevolenza di sua maestà: rallegratevi, poiché questo è un gran
giorno per voi!”
Appena ebbe finito di parlare, Oloap sbiancò, Ylor sgranò gli occhi, dai tavoli si alzarono voci di
protesta e mormorii di dissenso. Il capo-villaggio si riprese e cercò di ristabilire la calma: “Amici,
amici, per favore. Sono sicuro che questa situazione potrà essere risolta, senza nessun bisogno di
alzare la voce o agitare i pugni.”
I due cavalieri sembravano stupiti della reazione che avevano avuto tutti gli abitanti.
Oloap convocò subito un consiglio per parlamentare con i due militari: chiamò uno ad uno gli
anziani del villaggio, uomini e donne, saggi che avevano visto passare molti anni davanti ai loro
occhi. Anele intanto si avvicinò piano al padre, e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Oloap rimase
un attimo perplesso, poi disse: ” Vieni anche tu, Ylor! Anche se sei giovane, la tua grande
conoscenza ci sarà d’aiuto in questa difficile situazione.”
Ylor si alzò incredulo: era forse l’onore più grande, essere ammesso nel consiglio degli anziani,
visto poi che lui aveva solo vent’anni. Quando incrociò lo sguardo di Anele, però, comprese tutto e
la ringraziò con un battito di ciglia: la sua amata avrebbe capito. Affrontò le occhiate invidiose degli
altri ragazzi, e anche di molti adulti, mentre si avviava verso la Casa degli Anziani, il luogo dove si
tenevano le assemblee del villaggio.
Quando il consiglio fu riunito, e tutti ebbero preso posto, il primo a prendere la parola fu lord
Eamon, sempre più incredulo: “Io non capisco! Perché protestate? Non sapete quali immensi
vantaggi vi può offrire la protezione del re?”
Gli rispose Sanjah, un’anziana sarta che era stata capo-villaggio anni prima: “Siete voi a non capire!
Noi abbiamo sempre vissuto liberi da tutto e da tutti, in armonia tra noi. Ora voi volete farci parte
di un regno di cui non sappiamo nulla!”
Fu Gant, un pescatore, a proseguire: “Di quali vantaggi ci parlate? Pagare le tasse? E con quali
soldi? Onorare i vostri dei? Ingrossare le fila del vostro esercito?”
Si alzò sir Galedh: “Un momento! State dicendo che voi non onorate Shiman, l’unico vero dio? E
che non utilizzate il danaro? Ma che razza di primitivi…”
Fu interrotto da Ylor, che non riuscì più a trattenersi: “Ehi soldatino, cerca di moderare le parole! I
nostri soli dei sono la Natura che ci sfama e gli antenati che ci hanno insegnato a vivere. Non
abbiamo bisogno di monete né di oro, né di nessun’altra porcheria che voi utilizzate per sentirvi
superiori l’uno all’altro! Questa valle è sempre stata libera e aperta per chiunque avesse buone
intenzioni, ma non credo che sia il vostro caso.”
“Come ti permetti, moccioso?” Galedh mise mano all’elsa della spada, ma Eamon lo trattenne e
prese la parola: “Volete dire che voi non sapete nulla di ciò che succede al di fuori di questa valle,
oltre le montagne?”
Oloap disse: “No, non lo sappiamo, e non ci interessa saperlo. Per noi il mondo è la nostra verde
vallata e il nostro azzurro fiume.”
“Quindi non avete idea” riprese Eamon “del fatto che oltre l’immensa foresta sull’altra riva del
fiume, nelle Terre Rosse, l’imperatore Fjodor stia radunando un esercito per partire alla conquista
del nostro regno?”
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“Del vostro regno!” rispose Oloap “E comunque perché dovrebbe interessarci? Nessuno, neanche
con un intero esercito, si azzarderebbe ad attraversare la foresta: gli animali feroci e gli spiriti dei
morti non perdonano gli intrusi; e dall’altra parte della valle, sono le montagne a proteggerci. Non
abbiamo nulla da temere: combattete la vostra guerra lontano da noi, sul vostro territorio.”
“Stolti! Pazzi!” urlò Galedh.
Eamon, più diplomatico, riprese: “Voi non avete idea! Fjodor ha costruito armi molto potenti, può
radere al suolo l’intera foresta con fiamme alte come castelli!”
“Gli spiriti non glielo permetteranno!” disse Oloap “Essi ci proteggono, non gli lasceranno
compiere un tale scempio.”
“Purtroppo le vostre credenze non serviranno a fermarlo. Fjodor è un sanguinario, non si fermerà
davanti alle tombe dei vostri cari solo per portare rispetto.”
Ylor prese la parola: “Ma perché l’esercito delle Terre Rosse dovrebbe passare proprio per la nostra
valle? C’è anche il fiume di mezzo, è molto difficoltoso attraversarlo. È molto più semplice passare
per le montagne, anche se il terreno è impervio.”
“Giovane, le Terre Rosse sono un deserto. Il più grande deserto del mondo conosciuto. Fjodor vuole
impossessarsi del fiume e deviarlo per irrigare le sue dune. O peggio ancora, potrebbe decidere di
conquistare la vostra valle per rimanerci: sareste tutti fatti schiavi. Pensateci bene. Inoltre, ora che
avete costruito il ponte, Fjodor potrà usarlo per invadere più facilmente il reame.”
La risposta di Eamon lasciò attimi di sgomento e incertezza tra i partecipanti all’assemblea.
Avevano sempre vissuto in pace, disinteressandosi del mondo al di fuori della valle; adesso però il
pericolo era concreto e la loro terra minacciata.
Oloap si riscosse: “E dunque, quali sono le vostre richieste? Cosa volete da noi?”
“Dovete giurare fedeltà al Celeste Re Yuklad, mettere la vostra terra al servizio del Regno e
concedere il passaggio al nostro esercito. Non vogliamo che, una volta conquistata la valle, Fjodor
attacchi anche il Regno Celeste” disse Eamon.
“E in cambio, cosa ci offrite?”
“La nostra protezione, è ovvio! Chi vi difenderà dalle armate dell’imperatore, altrimenti? I vostri
morti?!” intervenne Galedh.
“Non provare ad offendere i nostri antenati!” tuonò Werry, un vecchio contadino.
Eamon disse: “Se Fjodor distruggerà la foresta, non avrete più nessuna protezione. Gli spiriti dei
morti saranno sconvolti dallo scempio fatto sui loro corpi.”
Oloap prese la parola, interrompendo il mormorio che si era diffuso nella stanza: “Io credo che lord
Eamon abbia ragione, riguardo agli spiriti degli antenati e alla foresta. Ma allora io chiedo: che
intenzioni avete? Volete voi invadere la nostra valle col vostro esercito? E come pensate di fermare
i nemici?”
Eamon gli rispose: ”Il nostro esercito dovrà passare per la valle: cercheremo di avere rispetto per la
vostra terra. Dovremo attraversare la foresta, per cogliere di sorpresa le armate nemiche, quindi ci
serve una garanzia di protezione: non vogliamo essere decimati dalla furia del bosco.”
Galedh fece una smorfia e un grugnito di disprezzo: come poteva Eamon credere a quelle fandonie
sui fantasmi dei contadini morti?
“Sua maestà re Yuklad non ha sete di conquiste, ma vuole solo difendere il suo popolo. Non vi
imporrà tasse o altre forme di controllo: saprà ricompensarvi a dovere” concluse Eamon.
Infine Oloap: “Abbiamo ascoltato. Ora dovremo ritirarci per decidere.”
Immediatamente il consiglio si sciolse: Eamon e Galedh rimasero da soli nella stanza, mentre il
capo-villaggio, seguito dagli anziani e da Ylor, uscì, lanciò uno sguardo alla folla di abitanti
frementi in attesa fuori dalla Casa, e si diresse verso il bosco, percorrendo il ponte.
Dopo una mezz’ora, il gruppetto ritornò. Oloap salì su un masso, mentre gli abitanti e i due cavalieri
si disposero ad ascoltarlo: “Amici!” disse “Oggi è un giorno triste per tutti noi: la tranquillità delle
nostre case è stata scossa. Ma questo è nulla in confronto alle difficoltà che ci attendono nel futuro.
La guerra incombe su di noi, la nostra libertà è messa in pericolo. Abbiamo pertanto deciso di
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accettare la proposta dei nobili cavalieri, e concedere loro di attraversare la nostra sacra foresta con
tutto il loro esercito, in cambio della protezione contro il nemico delle Terre Rosse.”
Si levarono subito mormorii tra la folla, molti non capivano nemmeno di cosa stesse parlando il
capo-villaggio, ma alcuni anziani si affrettarono a spiegare la situazione. I cavalieri avevano un’aria
soddisfatta, e subito si avvicinarono a Oloap per stringergli la mano e ringraziarlo.
Ylor cercò Anele tra la gente, e le raccontò tutto ciò che era successo. Gli abitanti della valle erano
divisi: alcuni perplessi, altri a favore della decisione del consiglio.
L’indomani mattina, lord Eamon e sir Galedh si congedarono con la promessa di tornare entro due
settimane con tutto l’esercito del Regno, e si misero in viaggio verso il valico.
Dieci giorni dopo, le montagne brulicavano di una grande fiumana indistinta che si muoveva verso
valle. Quando l’esercito arrivò al villaggio, gli abitanti si fermarono meravigliati e sbigottiti: le
armate di re Yuklad potevano contare su cinquemila cavalieri, con cavalli maestosi e bardati
riccamente, ventimila tra arcieri e balestrieri e ottantamila fanti con lance e spade; tutti portavano,
sopra l’armatura, corpetti azzurri finemente ricamati con lo stemma del regno. Inoltre, c’erano un
gran numero di carri, scudieri, medici e funzionari al seguito dei soldati. Era uno spettacolo
stupefacente. Molti abitanti del villaggio non credevano nemmeno che potesse esistere una così
grande moltitudine di uomini in tutto il mondo.
L’esercito arrestò la sua marcia prima di entrare fra le case e le fattorie, aprendosi nel mezzo per
formare un corridoio, lungo il quale si fecero avanti due cavalieri conosciuti e un terzo uomo:
l’anziano personaggio che seguiva lord Eamon e sir Galedh portava un vellutato mantello celeste
sopra l’armatura, e il suo capo era cinto da una corona metallica, semplice, senza oro né gemme. Il
suo sguardo emanava tranquillità e saggezza; molti rimasero a fissarlo a bocca aperta.
Oloap, che lo attendeva in mezzo al semicerchio formato dai suoi compaesani, ebbe l’impulso di
inginocchiarsi ai suoi piedi, quando l’ebbe davanti, ma il re scese rapido da cavallo e lo trattenne,
posandogli una mano sulla spalla: “Io e il reame che rappresento siamo onorati di fare la
conoscenza di questa valle e dei suoi gentili e ospitali abitanti.”
Il capo-villaggio non sapeva cosa dire, ma fu il sovrano a prendere di nuovo la parola, rivolgendosi
ai paesani: “Siamo grati a tutti voi per averci voluto concedere la vostra amicizia e alleanza. La
guerra che ci aspetta decreterà la pace e la libertà di noi tutti, oppure la nostra schiavitù. Chiunque
del villaggio volesse unirsi al nostro esercito, sarà ben accetto, equipaggiato e addestrato. E ora
sistemiamoci e condividiamo queste giornate di riposo prima della battaglia.”
Subito i militari sciolsero i ranghi e si diedero da fare per preparare l’accampamento e la cena per
tutti, con l’aiuto degli abitanti: molti strinsero subito amicizia, altri rimasero indifferenti o diffidanti,
ma il clima fu di generale collaborazione e allegria.
Oloap, finalmente riscossosi dallo stupore, intrattenne fitte conversazioni col re, ansioso di
conoscere e trovare le risposte a molte domande che si erano formate nella sua testa; Ylor era
sempre vicino a lui, ascoltando le parole di Yuklad e provando già una forte attrazione e
ammirazione per quel personaggio.
Quella notte, mentre il villaggio dormiva e si sentivano solo le grida di alcuni soldati ubriachi che
giocavano nelle loro tende, Ylor e Anele si incontrarono nel loro posto preferito, la piscina della
cascata. Era stata una giornata stancante per entrambi, e rimasero abbracciati nell’acqua a riposare
per parecchio tempo, prima che il giovane dicesse: “Anele, ho deciso di unirmi all’esercito del re.”
La ragazza rimase attonita, guardandolo con incredulità, poi disse: “Ma come? Che cosa ti è preso?
Non eri proprio tu che diffidavi dei militari? E poi, non puoi partire per la guerra! Ti rendi conto di
cosa significa? Mi lascerai qui al villaggio, da sola, in pena per te, senza sapere se tornerai da me
oppure no! Ti rendi conto che potresti morire? Sai cosa significa questo?”. Il suo viso si contorse
lentamente con tristezza e disperazione, e le lacrime iniziarono a bagnarle le guance arrossate.
Ylor cercò di non commuoversi, ma dovette lottare contro l’emozione per riuscire a risponderle:
“Sono consapevole di tutto questo, amore mio. Ma da questa guerra dipende il nostro futuro. Siamo
sempre stati un popolo pacifico e ripudiamo le violenze, ma se perdiamo contro Fjodor non ci sarà
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più neanche una valle dove potremo abitare, o peggio ancora potremmo essere tutti resi schiavi o
uccisi. Non voglio che accada questo, e soprattutto non voglio che accada a te!”
“Smettila di fare l’eroe!” gridò Anele “Possiamo fuggire, scappare oltre le montagne, nelle terre del
regno, solo io e te, e vivere tranquilli. Non andare a farti ammazzare! Non hai mai preso in mano
un’arma: come pensi di poter affrontare una guerra?”
“Hai ragione sono inesperto, ma cercherò di imparare il più possibile in questi giorni. Neanche io
voglio perderti, piccola. Non voglio fuggire, non voglio lasciare la nostra terra. Per quanto possa
essere bello e accogliente il mondo esterno, da nessuna parte troveremmo un posto come la nostra
valle, senza corruzione, senza odio, senza delitti e senza prepotenze. Mi batterò per far sì che tutto
questo rimanga per sempre nostro.”
Le lacrime iniziarono a bagnare anche il viso di Ylor, mentre Anele scoppiò in un pianto a dirotto e
si gettò tra le sue braccia, non sapendo cosa pensare. Sentiva il suo immenso amore dalle sue parole,
ma aveva troppa paura: senza di lui, la sua vita avrebbe perso di significato.
Rimasero abbracciati a lungo, finché si addormentarono uno vicino all’altra.
La mattina dopo, quando si svegliarono, si fissarono a lungo, poi Anele baciò il suo amore con
dolcezza e gli diede una carezza; Ylor la ringraziò baciandole le mani. Senza bisogno di parole, lei
gli aveva concesso di fare ciò che credeva meglio, mentre lui le aveva promesso di tornare sano e
salvo per riabbracciarla. Tornarono al villaggio mano nella mano, in silenzio.
Ylor si presentò da lord Eamon, che stava raccogliendo le reclute: parecchi erano i giovani e gli
adulti che si volevano unire ai soldati, chi per meraviglia, chi per orgoglio, chi perché attratto da
questa nuova possibilità, chi per motivi molto simili a quelli di Ylor.
Eamon lo riconobbe subito e, dopo aver scambiato alcune parole, lo indirizzò al campo di
addestramento. Gli diedero una corazza, uno scudo, una lancia e una spada lucente. Gli spiegarono
varie tattiche di combattimento: l’uso della lancia per fermare le cariche della cavalleria avversaria,
le tecniche di spada, come parare i colpi delle curve scimitarre nemiche, come usare lo scudo di
legno per riparasi dalle frecce.
Gli insegnarono persino a combattere con due armi insieme, nel caso ne avesse presa un’altra da un
cadavere sul campo di battaglia. I militari che lo addestravano erano molto esperti, non usavano
mezzi termini, andavano al sodo e non tralasciavano particolari.
Nel frattempo, il re illustrava al Consiglio riunito i piani e le possibili disposizioni per la battaglia:
tutti gli anziani, compreso Oloap, naturalmente non sapevano nulla di tattica militare, ma il re fu
molto soddisfatto di poter mettere al loro servizio la sua abilità di stratega per istruirli, così come
aveva appreso in gioventù, quando frequentava la scuola militare.
Nei momenti di riposo, tuttavia, il sovrano si dimostrava anche un uomo estremamente colto, e
passava molto tempo nella biblioteca insieme a Oloap. La maggior parte dei volumi non erano
conosciuti al di fuori della valle, quindi il capo-villaggio chiamò spesso Ylor per trovare risposte
alle curiosità di Yuklad: il giovane si sentiva a suo agio a parlare con il sovrano, il quale cominciava
a nutrire una certa curiosità per questo ragazzo, così diverso da come lui si aspettava potesse essere
l’abitante di una valle di contadini.
E venne il giorno della partenza.
Nonostante il sole fosse alto e splendente nel cielo, gli animi erano preoccupati, agitati.
Re Yuklad prese la parola, rivolgendosi al suo maestoso esercito, che ora comprendeva anche Ylor
e altri abitanti del villaggio: “Miei soldati, amici miei! Questi saranno giorni dolorosi per tutti noi,
ma saranno anche giorni di coraggio e di forza, di virtù e di amore per la nostra libertà. A noi si
sono uniti anche molti uomini valorosi che vogliono battersi per la loro terra: accogliamoli con
gioia e sconfiggiamo insieme questo terribile nemico che ci aspetta. Che gli dei siano con noi oggi!”
Yuklad lanciò un grido, dall’alto del suo destriero: l’immenso esercito rispose con una sola voce e
un boato terribile scosse le fondamenta stesse della valle.
Si fecero quindi avanti gli anziani del villaggio e iniziarono a cantilenare parole incomprensibili per
i soldati. Dopo qualche minuto si riscossero dallo stato di trance in cui erano caduti, e
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annunciarono: “Ora avete la nostra protezione, e quella dei nostri cari antenati che dimorano nella
foresta. Essi vi lasceranno passare indenni e vi proteggeranno dai pericoli che incontrerete.”
I militari si guardarono un po’ increduli.
Il re fece un gesto di ringraziamento col capo, in direzione di Oloap, poi urlò: “In marcia!” e il
fiume di uomini si mise in cammino, attraversando il ponte, verso la vecchia foresta.
Ylor faceva parte della fanteria, come tutte le nuove reclute; indossava una corazza leggera, un
elmo semplice, portava come armi una lunga lancia in mano e una spada nella cintura, nell’altra
mano reggeva uno scudo tondo di legno. Si mise in marcia insieme agli altri e, voltandosi indietro,
l’ultima cosa che vide furono gli occhi di Anele che lo fissavano senza lacrime. Poi lo sguardo si
spostò sul suo polso, dov’era annodato un fazzoletto rosso che la sua amata gli aveva dato, per
essere sempre con lui durante lo scontro.
La foresta si apriva minacciosa e cupa davanti al re che marciava in testa all’esercito. Le armate
avrebbero avuto difficoltà a passare per lo stretto sentiero, quindi dovettero formare dei ranghi più
ridotti. Mentre camminavano, gli uomini del regno sentivano attorno a loro rumori strani, sinistri:
ululati, ruggiti di belve, presenze minacciose, il tutto immerso nell’oscurità profonda del bosco.
Solo Ylor e gli altri abitanti sembravano non avere nessuna paura, anzi pareva quasi che stessero
parlando con degli invisibili fantasmi, mentre tutti li fissavano con terrore ancora maggiore.
Persino il sovrano si sentiva inquieto, mentre avanzava tra rami e foglie, tronchi massicci e
fruscianti chiome, che sarebbero state verdi se ci fosse stata un po’ di luce; alcuni avevano
addirittura acceso delle torce per rischiarare il cammino, ma continue folate di vento le spegnevano,
tra la paura dei soldati e i volti quasi divertiti di Ylor e dei suoi compagni.
Finalmente si intravide una luce in fondo al sentiero, la tanto attesa uscita dalla foresta: appena
fuori, i militari ringraziarono a voce alta tutti gli dei di cui conoscevano il nome, mentre gli uomini
della valle sembravano sempre più ridenti di fronte a quello strano comportamento dell’esercito.
La traversata del bosco era tuttavia durata parecchio, gli uomini erano stanchi e il sole stava già per
tramontare. Re Yuklad ordinò di accamparsi per la notte, mentre in lontananza si vedeva il fumo dei
villaggi incendiati al passaggio delle armate di Fjodor, l’imperatore delle Terre Rosse.
Pochi parlarono quella sera, mangiarono tutti con poca voglia ed ebbero sonni agitati: il giorno
seguente ci sarebbe stata la battaglia, nessuno poteva stare tranquillo.
All’alba tutto il campo fu svegliato al suono delle trombe degli uomini di guardia. Continuava ad
esserci un silenzio irreale tra le truppe, che in poco tempo furono pronte per riprendere il cammino.
Marciarono un paio d’ore, prima di giungere alla grande piana dove i due eserciti si sarebbero
scontrati. I nemici avanzavano lasciandosi dietro una riconoscibile scia di fiamme, fumo e morti,
finché si videro spuntare all’altro capo della pianura. Il sole stava salendo piano e illuminava le
scintillanti corazze dell’esercito del Regno Celeste, ordinato e silenzioso con lo sguardo rivolto agli
avversari, che si avvicinavano chiassosi e coperti di cupe armature, gridando insulti alla volta di re
Yuklad e dei suoi uomini.
Un cavaliere con un’armatura nera, un elmo con l’effigie di un drago colorato di rosso e un
mantello immenso e scuro come la notte, si fece largo tra gli uomini delle Terre Rosse; cavalcava
un animale che molti nel Regno Celeste non avevano mai visto: una sorta di dinosauro possente,
grande come due cavalli, che lanciava acuti stridii e ruggiti in continuazione.
Il cavaliere lanciò un grido così disumano che i soldati di Yuklad rabbrividirono, mentre tra le
armate delle Terre Rosse ci fu finalmente silenzio.
Il cavaliere si tolse il maestoso elmo e tutto il suo esercito si prostrò in ginocchio, poi si volse verso
i suoi nemici e parlò, e la sua voce rimbombò fastidiosamente nelle orecchie di tutti: “Salute,
Yuklad, sovrano ancora per poco di terre verdi, rigogliose e appetitose. Davvero commovente il tuo
esercito di bravi bambini disciplinati e ordinati! E quell’ammasso di contadini straccioni che ti porti
dietro?! Ah, capisco, hai voluto portare la cena alla mia docile cavalcatura! Ah ah ah ah ah!”.
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Mentre questa risata spettrale risuonava nella piana, l’uomo dai lunghi capelli corvini e con il volto
solcato da feroci cicatrici, accarezzò la bestia che lo portava, la quale lanciò un orrido ruggito.
Lo sguardo di re Yuklad era fermo e duro, mentre i suoi uomini rabbrividivano di terrore. Ylor era
impaurito e ammaliato allo stesso tempo da quella creatura, che mai avrebbe immaginato potesse
esistere.
Il sovrano parlò: “Interpreti molto bene il ruolo che più ti si addice, Fjodor: quello dello sbruffone
esaltato. Non ti servirà a nulla. I miei uomini liberi ricacceranno te e il tuo esercito di schiavi da
dove siete venuti. Non ci fanno paura uomini e creature assoggettate con la forza al tuo spregevole
volere. Oggi sarai sconfitto, Fjodor!”
E appena ebbe finito di parlare, si levò il grido del suo esercito: i mercenari di Fjodor, stupiti,
indietreggiarono.
“Carogne! Cosa pensate di fare?” si voltò ad ammonirli l’imperatore “Avete forse dimenticato che
siete vivi solo grazie a me? Avete scordato forse chi è il vostro imperatore?”
L’esercito delle Terre Rosse, ancora più impaurito, guardò gli avversari ringhiando minaccioso.
Fjodor li incitò: “Avanti animali! Oggi dovete massacrarli tutti! Volete conquistarvi o no una vita
migliore?”. Un urlo scomposto e fragoroso gli rispose.
Yuklad si voltò verso i suoi e disse semplicemente: “Facciamoci onore, miei soldati”.
E tutt’a un tratto incominciò.
Gli arcieri del Regno tesero le corde dei loro archi e scoccarono alte nel cielo le loro frecce; quando
ricaddero, dalla moltitudine avversaria si alzarono parecchie grida di dolore: molti erano stati colpiti
e gemevano riversi a terra.
Fjodor non lasciò passare un attimo e diede subito l’ordine: i suoi arcieri lanciarono migliaia di
frecce, cui era stato appiccato il fuoco con delle torce. Le schiere di Yuklad si ripararono subito, con
gli scudi sopra la testa. Ylor fermò un dardo, ma si accorse che il suo scudo di legno aveva preso
fuoco, così dovette lasciarlo cadere, mentre intorno a lui vide molti dei suoi compagni contadini
della valle, che giacevano a terra trafitti: l’inesperienza e la paura li avevano traditi subito.
Senza un momento per respirare, la battaglia stava già entrando nel vivo: ci furono squilli di tromba
e da entrambi gli schieramenti partirono i cavalieri al galoppo, mentre la terra tremava sotto i colpi
degli zoccoli dei cavalli, lanciati con forza verso lo scontro. Ylor fissò a bocca aperta il momento
dell’impatto tra le due cavallerie, udendo un botto di ferraglia che cozzava contro altro metallo. Era
una scena spaventosa: si vedevano destrieri volare letteralmente per aria, con ancora in sella i
soldati; si sentivano risuonare colpi di spade sugli scudi e sulle corazze, e i morti si contavano anche
a centinaia di metri di distanza.
Il re diede ordine ai cavalieri di ritirarsi, e quelli indietreggiarono inseguiti dai nemici. Ylor pensò
che si stesse mettendo male, se Yuklad richiamava i suoi uomini, e inoltre i soldati a cavallo di
Fjodor stavano avvicinandosi… Ma quando la cavalleria del Regno Celeste si mise in salvo dietro
l’esercito, le prime file di fanti avanzarono tenendo in mano lance lunghissime, di circa quattro
metri: i cavalieri avversari, lanciati al galoppo, furono colti di sorpresa e decimati contro quella
barriera di punte affilate. I rimanenti si ritirarono in tutta fretta.
Fjodor fece una smorfia all’udire il gridò di gioia proveniente dall’esercito nemico, poi con un gesto
fece partire la fanteria alla carica.
Ylor li guardò mentre correvano con aggressività, e si accorse che gli stavano tremando le gambe.
Allora chiuse gli occhi e pensò intensamente, pensò al viso di Anele, alle sue parole, a ciò che le
aveva promesso – di tornare da lei sano e salvo – poi guardò il fazzoletto rosso avvolto al suo polso,
strinse con forza l’elsa della spada, fissò la carica nemica e si mise a correre contro di essa con un
grido, insieme a tutti gli altri soldati a piedi.
La mischia era di una violenza che Ylor non avrebbe mai immaginato. Si udivano i colpi metallici
delle spade, le grida dei combattenti, urla di dolore di uomini feriti. Il ragazzo era atterrito a
guardare teste mozzate, braccia e gambe insanguinate, petti squarciati: si era come isolato, in trance,
non sentiva più neanche i rumori della battaglia ora. Poi qualcosa lo spinse e lo riportò alla realtà:
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era il cadavere di Seloim, un uomo del villaggio, che lo fissava adesso con gli occhi sbarrati e pieni
di morte.
Ylor si guardò intorno, scorse un nemico in cerca di un avversario, e si gettò su di lui con tutta la
sua rabbia. Il mercenario non riuscì ad alzare l’arma, che Ylor già l’aveva trafitto all’altezza dello
stomaco, facendolo stramazzare in un lago di sangue. Il giovane rimase per qualche istante a
contemplare il suo primo omicidio.
Ma non c’era tempo per pensare: la guerra infuriava e altri nemici gli corsero incontro.
Ylor condusse duelli serrati, pur essendo in difficoltà poiché non aveva più lo scudo, bruciato dalle
frecce incendiarie. Uccise ancora tre avversari, poi gli si avvicinò un essere spaventoso: era ben più
alto di lui, e ciò significa che superava abbondantemente i due metri, era grosso come il tronco di
una quercia, con una barba rossiccia unta e sporca, teneva in mano una mazza che ad occhio e croce
avrebbe potuto pesare una cinquantina di chili. A Ylor si mozzò il respiro.
Il colpo lo colse di sorpresa: non si aspettava una tale velocità da quell’energumeno.
Il giovane fu scaraventato a qualche metro di distanza, mentre sentiva chiaramente che le ossa del
braccio destro erano tutte frantumate, un dolore immenso lo stava pervadendo, lottava per non
svenire. Il gigante si avvicinò facendo tremare il suolo. Ringhiò mentre alzava l’arma per dare
l’ultimo colpo a Ylor, che faticava a capire cosa stesse succedendo, talmente la mazzata precedente
l’aveva disorientato. Non ebbe il tempo di pensare che stava per morire; il colpo partì…e si infranse
con un rumore metallico. Ylor si riebbe giusto in tempo per vedere sir Galedh, accompagnato da un
altro guerriero più giovane: l’avevano riparato dal terribile fendente con due scudi metallici grandi
come porte, che ora erano contorti e inservibili.
Galedh e altri soldati sopraggiunti attaccarono in massa l’enorme guerriero, che riusciva a dar loro
parecchio filo da torcere.
L’altro giovane si era invece avvicinato a Ylor: “Tutto bene? Stavi per non mantenere la
promessa…”
Aveva una nota di commozione nella voce, Ylor non capì subito, poi il compagno si tolse l’elmo:
una fluente chioma castana accarezzò il volto del ferito. Anele lo baciò piano.
“Mio Dio, cosa ci fai tu qui?”
“Non potevo starti così lontana, non ce l’avrei mai fatta, volevo proteggerti.”
“Ma…tu non sai combattere!”
“Beh, diciamo che ho preso qualche lezione di nascosto” sorrise “Ma ti spiego tutto dopo. Ora
dobbiamo andarcene da questo inferno, sei ferito. Riesci ad alzarti?”
“Credo di sì…”
Ylor si issò aiutato dalla ragazza. Insieme lasciarono il campo di battaglia cercando di evitare le
mischie più accese.
Arrivarono nella retroguardia del loro esercito ed Anele affidò Ylor al medico.
Giusto in tempo per vedere la seconda ondata di cavalieri, con in testa re Yuklad in persona, che si
lanciava sul campo e spazzava via o metteva in fuga i pochi avversari rimasti.
Quindi tutti rabbrividirono: Fjodor era arrivato in mezzo a loro a cavallo della sua orribile bestia.
Aveva ammazzato alcuni soldati che avevano tentato di contrastarlo, e ora si avvicinava al re.
Ylor e Anele non sentivano quello che si dicevano i due sovrani, ma videro che si formò un cerchio
attorno a loro due mentre combattevano: ci furono scambi veloci, colpi forti e sguardi minacciosi.
Anche le due cavalcature sembravano volersi scannare a vicenda.
Ad un tratto, Yuklad si fermò gridando qualcosa e puntò la spada verso Fjodor.
Un fulmine squarciò il cielo con una boato, colpì la spada del re e si proiettò addosso all’imperatore
e al suo dinosauro, scaraventandoli sul terreno, vivi ma impossibilitati a continuare la sfida.
L’esercito delle Terre Rosse era ormai in rotta e si stava disperdendo. I soldati celesti cercarono di
catturare quanti più nemici possibile; anche Fjodor e l’animale furono incatenati.
La battaglia era finita, l’Esercito Celeste aveva trionfato e una gioia immensa stava percorrendo i
sopravvissuti.
Ylor e Anele si strinsero forte la mano e rimasero vicini, senza mai separarsi fino al ritorno a casa.
9
Il villaggio accolse con gioia infinita l’esercito che tornava vincitore e i soldati si fermarono, sfiniti
e affamati, per condividere ancora qualche momento di allegria con gli abitanti della valle, così
ospitali.
Ylor e Anele andarono immediatamente a tuffarsi nella loro piscina sul fiume: il ragazzo si sentiva
davvero rilassato, dopo essersi levato l’opprimente armatura. Gli sembrava addirittura che il braccio
fasciato e steccato avesse smesso di dolergli. Anele aprì la bocca per parlare e raccontare al suo
amore come avesse fatto ad infiltrarsi nell’esercito di Yuklad.
Ylor la guardò e le fece cenno di non dire nulla, che non ce n’era bisogno; poi si avvicinò e le
sussurrò all’orecchio: “Grazie per avermi salvato la vita! Sarò tuo per sempre…” e poi le fece una
proposta strana, inattesa, ma quando tornò a guardarla, lei era felicissima e gli saltò al collo.
E si addormentarono così, abbracciati nell’acqua e felici.
Una settimana dopo, l’esercito era pronto per tornare a casa. Oloap prese la parola: “Voglio
ringraziare coloro che hanno salvato la nostra terra dall’invasione e dalla distruzione. Da oggi, gli
abitanti del Regno Celeste potranno passare senza problemi sulle nostre terre, a patto che le
rispettino e non cerchino di fare prepotenze su noi abitanti. Inoltre, doneremo una piccola parte dei
nostri prodotti al re ogni anno, per fargli sentire quanto ci consideriamo a lui vicini, e per ricordagli
sempre del nostro piccolo villaggio. Saremo amici e alleati finché non sopraggiunga qualche
imprevisto che potrebbe cambiare la situazione!”
Gli abitanti sembravano tornati tutti d’accordo ed esultarono felici dopo questo discorso.
Re Yuklad replicò: “Anche noi, amici, vi siamo fortemente riconoscenti per l’aiuto che ci avete
dato. Vi proteggeremo da qualunque pericolo vi minaccerà. Spero inoltre che molti di voi siano ora
incuriositi dal mondo al di fuori della valle, e vorranno allietarci con qualche visita nel nostro
reame.”
Disse questo cercando con gli occhi Ylor tra la folla.
Seguirono altre grida festanti, poi una voce chiese: “Che fine faranno i prigionieri?”
Yuklad riprese: “Ad essi e al loro imperatore Fjodor sarà garantita la possibilità di sperimentare la
vita nella pace e nell’impegno sociale, come succede nel Regno Celeste; persino l’orrenda bestia ha
avuto la nostra pietà. Noi non crediamo nelle punizioni crudeli, quali l’uccisione dei prigionieri o la
loro detenzione a vita. Sono metodi crudeli e inutili a far capire ad un individuo i suoi sbagli.”
Nessuno si aspettava tanta saggezza da un uomo che viveva al di fuori della valle. Si levarono altre
grida gioiose e tutti si ringraziarono e si salutarono. Anele e Ylor dissero addio ai militari con cui
avevano combattuto.
La colonna marciante si mise in cammino e dopo poco tempo la si poté vedere scalare la montagna,
come un lungo serpente di uomini in fila ordinata. Qualcuno nella valle sentiva già un vuoto dentro,
come se qualcosa di importante fosse sparito, dopo aver significato tanto.
Passarono i mesi e tutti ritornarono alle loro attività. Era anche stato eletto un nuovo capo-villaggio,
l’artigiano Metlee. Il braccio di Ylor era guarito e la riabilitazione l’aveva quasi riportato al vigore
originario, così un giorno… Lui ed Anele si presentarono davanti ai loro genitori dicendo:
“Abbiamo deciso di uscire dalla valle, di fare un viaggio nelle terre al di là dei monti!”
Lo sbigottimento iniziale si trasformò in voci preoccupate: “No, non fatelo! È pericoloso, non
sapete cosa vi attende!”
“Non importa, vogliamo seguire l’invito di re Yuklad, benché in realtà fosse una decisione già presa
in precedenza. Non preoccupatevi, torneremo presto e vi racconteremo ogni cosa che vedremo!”
“Sì, mamma” disse Anele “non avere paura. Papà, tu lo sai che di noi ti puoi fidare.”
“È vero” rispose Oloap “cercate però di prestare attenzione, e imparate più cose possibili, così
quando tornerete potrete arricchire la valle con nuove conoscenze.”
“Andate, ma tornate presto!” dissero in coro gli altri adulti.
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“Grazie! Grazie davvero!” Ylor ed Anele non stavano più nella pelle. Erano felicissimi e volevano
solo partire ora, alla scoperta di tutto un mondo nuovo, forse terribile, forse stupendo, ma sapevano
che, se fossero rimasti vicini, avrebbero superato ogni ostacolo senza perdersi mai d’animo.
Così iniziarono a preparare i bagagli. Anele chiese stupita: “Ma come? Non ti porti neanche un
libro?”
“No! Ormai li ho letti tutti! Voglio leggere qualcosa di nuovo nel Regno Celeste!”
Il giorno della partenza, tutto il villaggio venne a salutare quei due giovani coraggiosi che per primi
lasciavano il loro luogo di nascita per scoprire l’ignoto fuori della valle. C’erano anche i soliti
ragazzi invidiosi, perché ancora una volta Ylor ed Anele avevano fatto qualcosa d’importante prima
di loro.
I due innamorati salutarono commossi tutti quanti, abbracciarono i parenti e promisero di tornare
entro sei mesi. Dissero ancora di non preoccuparsi, che non sarebbe accaduto nulla di grave.
Infine, partirono, cavalcando un destriero, uno di quelli che i soldati avevano lasciato in regalo
prima di andarsene.
Quando furono in cima al monte, sul passo, si fermarono e si voltarono. Poi si diedero un bacio
intenso, sorrisero e ripartirono.
Negli occhi avevano la loro cascata, e nelle orecchie il suono della sua acqua che cadeva rombando.
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