Sociologia dell`uomo senza dimora - italiano

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Sociologia dell`uomo senza dimora - italiano
laboratorio per le politiche sociali e i processi formativi
PROGETTO EUROPEO “CITTÀ E REGIONI PER UN’EUROPA SOCIALE”
Convegno internazionale
“Integrated Homeless Strategy”
Olmedo (SS), 7/11 marzo 2011
Sociologia dell’uomo senza dimora. Quali servizi di welfare?
On hobos and homelessness. Which welfare services?
di Stefano Chessa∗
Cominciamo dal titolo di questo breve intervento e cominciamo dal titolo in inglese (On hobos
and homelessness): è un omaggio a Nels Anderson, pioniere degli studi sulle persone senza dimora.
È il titolo di un suo volume del 1923 che inaugura la “Sociological Series” del Dipartimento di
Sociologia dell’Università di Chicago e che è il risultato di uno studio condotto nelle aree tra West
Madison e Jefferson Park della Chicago di quegli anni. Con questo volume Anderson – figlio di
immigrati di origine svedese e vagabondo lui stesso nella prima giovinezza – rappresentava
l’esperienza dei vagabondi, delle persone senza dimora, dei lavoratori migranti, anche nella
speranza che il proprio lavoro potesse contribuire ad un intervento dei Comitati di assistenza della
città di Chicago per il miglioramento della condizione delle persone senza dimora.
Scrive Anderson che gli hobos intrecciano le loro esistenze “con una vita sociale specificamente
loro propria, un gruppo di uomini molto differente dagli altri gruppi di lavoratori. Erano una società
con una cultura propria.”1 Lo scrive nel 1940 quando ormai la figura dello hobo da lui rappresentata
aveva praticamente già concluso la sua esistenza: la meccanizzazione agricola, l’ampliamento della
rete ferroviaria, la produzione in serie delle automobili etc. avevano portato a conclusione il ciclo
della frontiera statunitense e degli hobos stessi che ne erano, in un certo senso, espressione.
Hobohemia non esiste più, ma da allora altri luoghi – spesso più frammentati e invisibili –
continuano a segnare, all’interno del benessere e dello sviluppo, i percorsi di chi si muove senza
dimora: una condizione oggi sempre più diffusa che non ha nulla a che vedere con lo spirito dei
clochard e degli hobos di una volta. I nuovi senza dimora metropolitani vivono nella vergogna una
∗
Docente di Sociologia dei servizi socio-educativi nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di
Sassari.
1
N. Anderson, Men on the Move, The University of Chicago Press, Chicago, 1940, p. 2.
Università di Sassari, Dipartimento di Economia, Istituzioni e Società
Piazza Conte di Moriana 8, I - 07100 Sassari, Italia, tel. + 39 079229661, fax + 39 079229660, e-mail [email protected]
situazione che li isola in un limbo privo di relazioni sociali. I nuovi senza dimora stanno, ad
esempio, nel naufragio sociale di un pensionato che, non riuscendo più a pagare l’affitto, finisce a
vivere in solitudine nella propria macchina.
Marc Augé nel suo recente Journal d’un SDF (sans domicile fixe – n.d.r.) ne descrive la lenta
deriva: le difficoltà economiche, la scelta di abbandonare la casa e vendere i mobili, la prima notte
in macchina, il freddo, i problemi per mantenere “i segni esteriori della rispettabilità”. È una deriva
sociale che evidenzia la solitudine dei senza dimora, la progressiva rinuncia alle relazioni sociali, il
vuoto delle giornate riempite da lunghe passeggiate per le strade di una città che li ignora; una
deriva sociale che contribuisce a definire una carriera di povertà, vale a dire una sequenza di
situazioni e transizioni che si verificano in specifici ambiti di interazione sociale nel corso della vita
di una persona, nei suoi mondi vitali nei quali gli eventi di “rottura” contribuiscono ad innescare
meccanismi di impoverimento, isolamento ed emarginazione.
Anderson parlava ieri di hobos e homeless, Augé parla oggi di sans domicile fixe; Anderson
rappresentava Chicago, Stati Uniti d’America, Augé rappresenta Parigi, Francia.
E l’Italia? Chi sono oggi le “Persone senza fissa dimora” che saranno schedate in un registro
nazionale presso il Ministero dell’Interno?2
Occorre intendersi in primo luogo sulle definizioni: hobos, homeless, roofless, clochard, sans
domicile fixe, senzatetto, senza dimora etc. hanno implicazioni non sempre coincidenti. In generale
2
Si veda quanto previsto nell’art. 3, comma 39, L. 15 luglio 2009, n. 94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza
pubblica” e il Decreto del Ministero dell’Interno 6 luglio 2010 recante le “Modalità di funzionamento dei registro
nazionale delle persone che non hanno fissa dimora”.
2
se si considera la situazione in termini di “problema della casa” allora il disagio abitativo sarà letto
come fattore determinante; se invece la situazione viene ricondotta ad un “problema di relazione
sociale” allora la chiave di lettura del fenomeno sarà di tipo sociale e relazionale, riconducibile al
più vasto fenomeno dell’esclusione sociale. Negli anni si sono affinate definizioni che privilegiano
l’osservazione della realtà e delle condizioni di vita reali delle persone (p.e. la definizione prodotta
dall’Housing Fund di Helsinki più centrata sulla tipologia dei soggetti, quella ricavabile da una
serie di ricerca effettuate negli Stati Uniti d’America negli anni novanta più centrata invece sui
luoghi, quella dell’Osservatorio Europeo sulla Homelessness più orientata sulle cause3). In Italia la
Fondazione Zancan di Padova intende la persona senza fissa dimora come una “persona priva di
dimora adatta e stabile, in precarie condizioni materiali d’esistenza, priva di un’adeguata rete
sociale di sostegno”, tenendo conto dunque di più variabili.
I dati a disposizione non sono adeguati per un conteggio rigoroso delle persone (nemmeno il
costituendo Registro nazionale)4 ma sono comunque in grado di fornire elementi utili per delineare
“tipi sociali” di senza dimora, individuare i percorsi di generazione del fenomeno e il suo
mutamento qualitativo. In generale, e a livello internazionale, si può osservare un aumento del
numero di persone prive di abitazione; un abbassamento dell’età media dei soggetti; una crescita
della componente femminile (le cosiddette plastic bag ladies); un aumento della quota di soggetti
con problemi psichici; una trasformazione della componente etnica con un aumento della quota di
immigrati; una tendenza alla cronicizzazione del problema. In Italia, nello specifico, si può
osservare una tendenza all’autoisolamento dei soggetti, con particolare riguardo alle reti primarie;
una relazione significativa tra esclusione abitativa, marginalità occupazionale e malattie cronicodegenerative; un allontanamento dalla realtà produttiva pur nella condizione di occupabilità; una
diffusione della marginalità pur in presenza di alcuni luoghi più abitualmente frequentati.
Il fenomeno è difficile da misurare, come detto, ed è poco indagato: in Italia una prima indagine
nazionale specifica è stata realizzata dall’allora Ministero delle Politiche Sociali nel periodo 19992000, mentre attualmente l’ISTAT insieme al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, alla
Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD) e alla Caritas Italiana
ha aperto un nuovo fronte di ricerca finalizzato a definire un quadro approfondito del fenomeno e
del sistema dei servizi formali ed informali presenti sul territorio italiano.5 Proprio i rapporti annuali
3
Secondo la tipologia ETHOS (European Typology on Homelessmess and Housing Exclusion) sono ad esempio escluse
le persone che vivono in condizione di sovraffollamento, che ricevono ospitalità da parenti o amici, che vivono in
alloggi occupati o in campi strutturati presenti nelle città.
4
Si vedano i diversi articoli di R. Minardi, componente della Giunta Esecutiva di ANUSCA-Associazione Nazionale
Ufficiali di Stato Civile e Anagrafe.
5
Questa rilevazione, avviata per la prima volta nel 2010 e tuttora in corso, coinvolge 158 comuni italiani selezionati in
base alla loro ampiezza demografica. I dati per ora disponibili riguardano 31 comuni – nessuno della Regione Sardegna.
3
della Caritas Italiana dedicati alla povertà da tempo rappresentano lo strumento di rappresentazione
del fenomeno più consolidato, e continuativo, esistente nel nostro paese.
Il riconoscimento delle persone senza dimora da parte delle politiche di welfare è ostacolato dal
fatto che queste persone non costituiscano una categoria portatrice di uno specifico e prevalente
problema a fronte di una struttura del sistema dei servizi che è invece disegnata come offerta di
prestazioni in base a categorie specifiche di bisogni.6 L’atipicità dei senza dimora di fronte ai
Servizi, rispetto alla posizione più chiaramente definita di altre categorie quali i portatori di
handicap, i tossicodipendenti, gli anziani non autosufficienti, i disoccupati etc., rende difficile una
specifica rappresentanza di bisogni che favorisce il mancato consolidamento di una forma di aiuto
particolare a loro dedicata. Si potrebbe dire che la persona senza dimora per il sistema strutturato
dei servizi non è abbastanza utente (non usa o usa male i servizi sociali) e non è abbastanza
specifico (non appartiene ad una categoria con un preciso bisogno prevalente).
Per queste ragioni il ruolo dell’associazionismo di volontariato e del terzo settore in generale
risulta più significativo e più capace di fornire risposte:dai gruppi di volontari alle fondazioni
benefiche, dalle associazioni di cittadini solidali al servizio civile, dalla Caritas alle cooperative
sociali che gestiscono dormitori e centri di ascolto ai gruppi di intervento su strada etc.
È attraverso le funzioni svolte dalle organizzazioni di terzo settore che si ricompone la frattura tra la
domanda di aiuto (spesso inespressa) e l’offerta di servizi, anche attraverso la scelta dell’attore
pubblico di finanziare l’intermediazione del terzo settore
D’altronde, come emerge chiaramente dai primi dati disponibili della ricerca sui servizi alle
persone senza dimora (ISTAT, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Caritas Italiana,
fio.PSD), nei 31 comuni considerati sono state censite 115 organizzazioni o enti che erogano
direttamente almeno uno dei servizi oggetto di rilevazione7: nel 79% dei casi si tratta di istituzioni
od organizzazioni private. Più nel dettaglio l’erogazione diretta da parte di enti pubblici varia dal
3,7% per l’accoglienza diurna al 25,5% per il segretariato sociale; i servizi di accoglienza notturna
sono invece erogati da un ente pubblico nel 10,3% dei casi e da una organizzazione privata con
finanziamento pubblico in un ulteriore 60% dei casi; la quota dei servizi erogati da organizzazioni
private con finanziamento pubblico è elevata anche tra i servizi di accoglienza diurna (56%), poco
più bassa per gli altri servizi (45%).
6
L’interpretazione del fenomeno dei senza dimora attraverso la teoria della subcultura appare infatti non più sostenibile
a partire dalle emergenze empiriche di lavori sul campo: a Torino un lavoro di A. Meo mette in luce che, pur esistendo
una serie di elementi comuni a molte delle persone che vivono sulla strada, non si riscontrano i caratteri di
riconoscimento di una cultura comune. Diverso è il caso degli immigrati colpiti da esclusione abitativa, in alcuni casi
capaci di elaborare strategie di autoriconoscimento in termini di categoria e di mobilitarsi per la rivendicazione di
alloggi.
7
Si veda l’allegato 1.
4
Tavola 1 – Servizi per tipologia di servizio (totale dei 31 comuni). Anno 2010*
Supporto in risposta
ai bisogni primari
Accoglienza
notturna
Accoglienza
diurna
Segretariato
sociale
Presa in carico e
accompagnamento
Totale
v.a.
192
97
27
149
134
599
Perc.
32,1%
16,2%
4,5%
24,9%
22,4%
100,0%
Fonte: ISTAT, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Caritas Italiana, fio.PSD, I servizi alle persone senza fissa
dimora: primi risultati
* dati provvisori
Un terzo dei servizi riguarda quelli di supporto ai bisogni primari, un quarto quelli di segretariato
sociale, poco più di un quinto quelli di presa in carico e accompagnamento e solo il 16% dei servizi
si traduce in accoglienza notturna (più limitati ancora sono i servizi di accoglienza diurna).
Come si può notare l’analisi prende in esame unicamente i servizi di I° e II° livello (sono di
primo livello i servizi di mensa sociale, accoglienza e segretariato sociale; sono di secondo livello i
centri di accoglienza diurna e notturna); non sono infatti considerati i servizi di livello zero (di
acquisizione di conoscenza sulle situazioni e sui bisogni e volti ad instaurare un rapporto) né i
servizi di livello base (come le unità mobili di strada e il servizio medico itinerante). Allo stesso
modo non sono oggetto della rilevazione i servizi di terzo e quarto livello, ad esempio le case
famiglia o gli alloggi di edilizia residenziale pubblica per convivenze guidate (terzo livello) e le
imprese sociali (quarto livello), obiettivo finale del processo di intervento-inclusione.
5
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Tavola 2 – Servizi per tipologia e natura di servizio (totale dei 31 comuni). Anno 2010*
Presa in carico e
accompagnamento
Formale
Informale
Istituzionale
Formale
Informale
Istituzionale
Formale
Informale
Istituzionale
Formale
Informale
Istituzionale
Formale
Informale
Totale
Istituzionale
Segretariato sociale
Informale
Accoglienza diurna
Formale
Perc.
Accoglienza notturna
Istituzionale
Supporto in risposta ai bisogni
primari
29,2%
34,4%
36,5%
49,5%
35,1%
15,5%
25,9%
63,0%
11,1%
38,3%
31,5%
30,2%
28,4%
40,3%
31,3%
34,4%
36.4%
29,2%
Fonte: ISTAT, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Caritas Italiana, fio.PSD, I servizi alle persone senza fissa dimora: primi risultati
* dati provvisori
Università di Sassari, Dipartimento di Economia, Istituzioni e Società
Piazza Conte di Moriana 8, I - 07100 Sassari, Italia, tel. + 39 079229661, fax + 39 079229660, e-mail [email protected]
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La situazione dei senza dimora in Sardegna – e più in generale delle povertà estreme – è
desumibile dall’analisi dei prodotti dei due principali attori di welfare nel territorio regionale in
tema di povertà: la Caritas (attore di terzo settore) e i Comuni (ora associati nella programmazione
integrata dei servizi socio-sanitari).
Dal Rapporto Caritas 2009 su povertà ed esclusione sociale in Sardegna8 e dai diversi PLUSPiani Locali Unitari dei Servizi alla persona emerge un quadro che vede in crescita il fenomeno
delle povertà estreme.
Il Rapporto Caritas 2009 conferma la tendenza di un aumento della vulnerabilità sociale anche
per le fasce del ceto medio e mostra un aumento della richiesta di beni e servizi di tipo materiale, in
particolare alimenti. I dati provenienti dai Centri di ascolto delle Caritas della Sardegna forniscono
una idea della dimensione del fenomeno nella nostra isola: in media circa il 9% delle persone che si
rivolgono alla Caritas è senza dimora.
Tavola 3 – Dimora abituale e genere delle persone ascoltate (valori assoluti e percentuali)
Persone ascoltate (v.a.)
Dimora abituale
Persone ascoltate (perc.)
Maschi
Femmine
Totale
Maschi
Femmine
Totale
Ha un domicilio
721
1.207
1.928
83,3%
93,5%
89,4%
È senza dimora
120
70
190
13,9%
5,4%
8,8%
Altro
25
14
39
2,9%
1,1%
1,8%
Totale
866
1.291
2.157
100,0%
100,0%
100,0%
Dati mancanti
94
133
227
Fonte: Delegazione Regionale Caritas della Sardegna, Disagio e povertà in epoca di crisi dai dati dei Centri di ascolto
delle Caritas della Sardegna. Rapporto Caritas 2009 su povertà ed esclusione sociale in Sardegna, CTE, Iglesias,
2010.
Disaggregando i dati per diocesi è possibile osservare che la percentuale più elevata – sul dato
regionale – di persone che ha dichiarato di essere senza dimora sia da associare alle città di Cagliari
e Sassari, vale a dire a quelle aree urbane in cui si sommano differenti fenomeni di marginalità
sociale. Nel primo caso la quota delle persone senza dimora (pari al 10,7% di tutte le persone
ascoltate a livello diocesano, un dato che sale al 18,5% nel caso della sola componente maschile)
assorbe il 53,7% di tale tipologia a livello regionale. Per quanto riguarda Sassari, invece, il dato è
pari al 12% (14,2% nel caso dei soli uomini): poco meno di un quarto del dato complessivo a livello
regionale. Questi dati, considerata anche la loro non esaustività, suggeriscono l’esistenza di un
8
Delegazione Regionale Caritas della Sardegna, Disagio e povertà in epoca di crisi dai dati dei Centri di ascolto delle
Caritas della Sardegna. Rapporto Caritas 2009 su povertà ed esclusione sociale in Sardegna, CTE, Iglesias, 2010.
Università di Sassari, Dipartimento di Economia, Istituzioni e Società
Piazza Conte di Moriana 8, I - 07100 Sassari, Italia, tel. + 39 079229661, fax + 39 079229660, e-mail [email protected]
fenomeno che presenta cifre più elevate riguardo alla condizione di chi non ha un domicilio stabile,
soprattutto per quanto riguarda Cagliari: “in primo luogo a motivo della cronica difficoltà abitativa
della città più popolosa della Sardegna (nonché capoluogo di regione); ed in secondo luogo perché
proprio sulla provincia di Cagliari gravita la quota più consistente di immigrati dell’isola (pari a
circa il 34%, secondo i dati Istat più recenti sugli stranieri residenti), i quali, soprattutto nella fase
iniziale del soggiorno, sono notoriamente costretti ad affrontare gravi problematiche di disagio
abitativo.”9
Quali risposte allora?
Le risultanze dei tavoli tematici dei distretti socio-sanitari – confluite poi nei PLUS – hanno
contribuito ad incentivare la Regione Sardegna al varo di un programma di contrasto delle povertà
estreme che si è strutturato su tre assi di intervento volti allo sviluppo di servizi e interventi di
accoglienza, di inclusione sociale, di recupero della vita autonoma in sinergia con gli altri attori
sociali del territorio. In particolare le tre linee di intervento contemplano 1) l’erogazione di sussidi a
favore di persone e famiglie in condizione di accertata povertà; 2) l’erogazione di contributi per
l’abbattimento dei costi di servizi essenziali; 3) l’erogazione di sussidi per lo svolgimento del
servizio civico comunale.
A questo si è accompagnato il programma “Né di freddo né di fame” rivolto alle persone prive di
ogni bene primario (cibo, vestiario e riparo notturno) che ha finanziato progetti che prevedevano
interventi di prima accoglienza e di riparo notturno; potenziamento dei servizi di mensa, borse
viveri, aiuti alimentari; l’attivazione di unità itineranti di contatto; l’accompagnamento ai servizi
sociali e sanitari.
Quali sono i dati nei due maggiori centri urbani della Sardegna (i più interessati dal fenomeno)?
A Cagliari, presso i locali del Comune e sotto la supervisione dell’Assessorato alle Politiche
Sociali, sono disponibili 118 posti letto – ogni giorno sempre occupati – per i senzatetto e indigenti
residenti in città mentre nella Mensa del Povero gestita dalla Caritas sono forniti 350 pasti caldi al
giorno, tra colazione, pranzo e cena; ogni notte l’Unità Stradale, gestita dall’associazione
l’Aquilone dell’Ordine Vincenziano, compie il giro delle strade della città fornendo sostegno e
bevande calde. A questi servizi si aggiungono i Centri di Ascolto del Servizio Sociale Professionale,
il poliambulatorio, il servizio doccia e il servizio avvocati.
A Sassari sono disponibili 22 posti letto (12 per uomini e 10 per donne, suddivisi in due diversi
ostelli) mentre nella mensa della Caritas sono distribuiti ogni giorno 70 pasti più un sacchetto per la
cena oltre a 10 pasti consegnati a domicilio; la Casa della Fraterna Solidarietà distribuisce circa 500
sacchetti al giorno di generi alimentari; la distribuzione dei vestiti è operata dalla Caritas tre volte
9
Delegazione Regionale Caritas della Sardegna, Osservazione dei percorsi di povertà nei Centri di Ascolto delle
Caritas della Saregna. Rapporto 2006 su povertà ed esclusione sociale, CTE, Iglesias, 2006, p. 63.
8
alla settimana e dalla Casa della Fraterna Solidarietà due volte alla settimana. L’ex IACP-Istituto
Autonomo Case Popolari, oggi AREA-Agenzia Regionale Edilizia Abitativa, ha a disposizione
3400 alloggi; il Comune ha assegnato ad oggi circa 1200 alloggi con affitti agevolati da 20 a 240
euro (ancora 960 richieste in attesa) e ha erogato 912 contributi per l’affitto.
Appare evidente come gli interventi si focalizzino principalmente sulla dimensione “problema
della casa” o “problema degli alimenti”, un approccio che tende a lasciare più in ombra il fatto che
da persone senza dimora si scivoli gradualmente nell’essere persone senza identità di cittadino, fino
a diventare invisibili per la società che li circonda (ma che allo stesso tempo li genera). La storia
della maggior parte dei senza dimora è infatti una catena di perdite progressive, di sradicamenti
progressivi e cumulativi: dal lavoro perduto o mai trovato, agli affetti spezzati o troppo deboli, al
ruolo di poco rilievo nel proprio territorio, all’inadeguatezza culturale etc.
Due sono le principali precondizioni: il dissolvimento del tessuto delle relazioni primarie e la
cronicità della condizione. Il sigillo definitivo del non ritorno alla “normalità” viene apposto dalla
stigmatizzazione sociale attraverso gli sguardi di disapprovazione, pietà, giudizio morale (spesso
inconsapevoli): la cronicità viene segnata in questo modo dalla irreversibilità del processo. È ciò
che si definisce come crisi di cittadinanza, vale a dire il venir meno dei riferimenti sociali, l’uscita
dalle interazioni e dai ruoli che rendono le persone partecipi dei processi di costruzione sociale e
membri a pieno titolo di una società. Alla situazione oggettiva di disagio si accompagnano gli
elementi soggettivi legati all’autopercezione in rapporto con gli altri, rinforzando ulteriormente il
processo di marginalizzazione in corso, anche attraverso la progressiva riduzione della possibilità di
accedere a nuove reti di rapporti significativi in grado di portare aiuto – derivata dal crescere della
dipendenza e dalla mancanza di autonomia nell’accesso alle risorse – radicalizzando l’isolamento.
Appare allora indispensabile uno sviluppo pieno dei servizi di quarto livello, volti ad un
reinserimento lavorativo capace di essere potente strumento di costruzione di identità sociale.
9
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Allegato 1
Servizi potenzialmente rivolti alle persone senza dimora, classificati per tipologia:
Tipologia A - Servizi di Supporto in risposta ai bisogni primari
1. Distribuzione viveri
2. Distribuzione indumenti
3. Distribuzione farmaci
4. Docce e igiene personale
5. Mense
6. Unità di strada
7. Contributi economici una tantum
Tipologia B - Servizi di Accoglienza notturna
8. Dormitori di emergenza
9. Dormitori
10. Comunità semiresidenziali
11. Comunità residenziali
12. Alloggi protetti
13. Alloggi auto gestiti
Tipologia C - Servizi di Accoglienza Diurna
14. Centri diurni
15. Comunità residenziali
16. Circoli ricreativi
17. Laboratori
Tipologia D - Servizio di Segretariato sociale
18. Servizi informativi e di orientamento
19. Residenza Anagrafica fittizia
20. Domiciliazione postale
21. Espletamento pratiche
22. Accompagnamento ai servizi del territorio
Tipologia E - Servizi di Presa in carico e accompagnamento
23. Progettazione personalizzata
24. Counselling psicologico
25. Counselling educativo
26. Sostegno educativo
27. Sostegno psicologico
28. Sostegno economico strutturato
29. Inserimento lavorativo
30. Ambulatori infermieristici / medici
31. Custodia e somministrazione terapie
32. Tutela legale
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