LE ISCRIZIONI IN ALFABETO LEPONZIO DALLA NECROPOLI DI
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LE ISCRIZIONI IN ALFABETO LEPONZIO DALLA NECROPOLI DI
143 Patrizia Solinas LE ISCRIZIONI IN ALFABETO LEPONZIO DALLA NECROPOLI DI CASALANDRI (ISOLA RIZZA -VR-) Patrizia Solinas Su alcuni oggetti provenienti dalla necropoli di Casalandri di Isola Rizza (VR) sono presenti iscrizioni redatte nella varietà alfabetica nord-etrusca comunemente detta ‘leponzia’ che, nell’Italia settentrionale, nota le iscrizioni celtiche d’Italia1. La cronologia della necropoli di Casalandri è posta tra il II e il I sec. a. Cr.; le tombe dalle quali provengono gli oggetti iscritti sono databili alla prima metà del I sec. a. Cr.: siamo in una fase di avanzata romanizzazione, come è da attendersi in quest’area e con questa cronologia, e come è mostrato, in questo stesso volume, dall’analisi della tipologia dei corredi e delle monete ritrovate nelle sepolture. Sono dunque tre le entità culturali in riferimento alle quali doveva articolarsi il contesto socio-culturale in cui le nostre iscrizioni sono state prodotte: l’ascendenza culturale non romana, precisamente celtica, la romanizzazione ormai ad uno stadio decisamente avanzato e, a est, il polo venetico. Infatti la pianura veronese come area cenomane è un dato sempre più confermato dalle acquisizioni archeologiche degli ultimi anni 2, ma Isola Rizza - così come S. Maria di Zevio: v. oltre si trova lungo il corso dell’Adige, confine ma anche via di penetrazione in territorio paleoveneto. L’area geografica in questione è molto a est, non tanto rispetto alle altre testimonianze di celticità linguistica e culturale che si trovano in ambi- Fig. 2. Iscrizioni 1 È in fase di completamento da parte della sottoscritta un’edizione dei documenti epigrafici di celticità in Italia (la prima rassegna dei materiali epigrafici è in P. Solinas, Il celtico in Italia, in REI in St. Etr. LX, 1994, pp. 312-408). Il progetto editoriale non distingue, come tradizionalmente si fa fra gallico d’Italia e leponzio (si veda ad esempio l’ultima edizione delle iscrizioni galliche d’Italia di M. Lejeune, Recueil des inscriptions gauloises, Textes gallo-latins sur pierre, Parigi 1988), e tratta semplicemente del ‘celtico d’Italia’. Questa scelta va motivata non tanto rispetto alla realtà documentale - che mostra testi in alfabeto leponzio databili dal VI sec. a. C. alla tarda età augustea, redatti in una varietà celtica senza evidenti soluzioni di continuità -, quanto perché è in contrapposizione con una dicotomia (gallico d’Italia vs. leponzio) che ha radici profonde e antiche. Una nuova prospettiva di analisi ha maturato la convinzione che le motivazioni linguistiche fin qui addotte per questa separazione siano insufficienti o, in alcuni casi, inesistenti, legate a particolari concettualizzazioni e, soprattutto, ad una certa ideologia della penetrazio- ne celtica in Italia connessa ai Galli di Brenno del IV sec. a. C. Attualmente anche la prospettiva di storici e archeologi è cambiata e, rivalutando quanto portato da Livio V, 34-35, è quasi unanimemente accettata una celticità in Italia anteriore al IV sec. a. C.: il tema è stato al centro del seminario di studi Insubri e Cenomani tra Sesia e Adige (Milano, febbraio 1998). Per molti resta invece aperta la questione se vada accettata o meno l’omogeneità di questa celticità ante IV sec. con quella portata dai Galli del sacco di Roma. Su questo e in genere sulla questione storiografica della celticità in Italia P. Solinas, Sulla celticità lingui stica nell’Italia antica. Il leponzio da Biondelli e Mommsen ai nostri giorni, Atti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti CLI, 1992-3, pp. 1237-1335 e CLII, 1993-4, pp. 873-935. 2 Cfr. ad esempio L. Salzani, La necropoli di Valeggio nel qua dro delle documentazioni celtiche nel territorio tra Mincio e Adige, in AA. VV., La necropoli gallica di Valeggio sul Mincio , (a cura di L. Salzani), Documenti di Archeologia 5, Mantova 1995, pp. 45-48. 144 LA NECROPOLI GALLICA DI CASALANDRI A ISOLA RIZZA (VERONA) to venetico fin dal VI sec. a. C.3, quanto rispetto a quelle dell’alfabeto in questione che, fino ad una decina di anni fa, aveva le sue attestazioni più orientali nel bresciano. Per l’area del veronese si presumeva eventualmente una pertinenza all’ambito scrittorio venetico e, a questa cronologia, ci si attendeva comunque alfabeto latino. ‘Alfabeto leponzio’ è dizione invalsa - anche se non ideale - per identificare la varietà alfabetica, adattamento di modelli etruschi, che, nell’Italia settentrionale, nota le iscrizioni celtiche d’Italia. La prima identificazione di detta varietà risale a Pauli (Die Inschriften nordetruskischen Alphabets, Lipsia 1885) che utilizzò la denominazione di ‘alfabeto di Lugano’ in riferimento alla zona di rinvenimento della maggior parte delle iscrizioni allora note. La vulgata sull’ ‘alfabeto leponzio’ è stata fino a pochi anni fa - e per alcuni è ancora oggi - quanto sintetizzato da M. Lejeune in Lepontica (Parigi 1971 4). Lejeune parlava di una serie alfabetica di quattordici segni ai quali si aggiungevano alcune cosiddette ‘lettere morte’ resuscitate in occasione di almeno due riforme alfabetiche o per fare fronte a necessità grafiche particolari. L’ ‘alfabeto leponzio’ avrebbe, secondo Lejeune, un ante quem al IV sec. a. C. e potrebbe avere i suoi inizi intorno al 600 a. C.. Oggi, alla luce di rivisitazioni di documenti già noti (es. la retrodatazione dell’iscrizione di Prestino dal II al VI sec. a. C. e la revisione delle cronologie di molti materiali epigrafici dalla zona lombarda e piemontese) e di importanti nuove acquisizioni (es. l’iscrizione sul bicchiere da Castelletto Ticino e i cippi di Rubiera), tale vulgata è stata rivista: nella serie alfabetica si riconoscono oggi diciotto segni, con diverse tipologie ma tutti in uso. Inoltre una riconsiderazione del modello di trasmissione e adattamento dell’alfabeto etrusco nella Padania ha condotto a immaginare una creazione dell’alfabeto leponzio che attinga a modelli etruschi di VII sec. non ancora riformati5. Il ricorso al concetto di ‘corpus dottrinale’6 sostituito a quello di alfabeto princeps permette poi di spiegare le presenze di segni ‘inconsueti’ o la coesistenza di segni che, dal punto di vista funzionale, paiono equivalenti:si tratta di utilizzi ‘speciali’ di segni, comunque presenti nel corpus, ma di solito non in uso o in uso con funzionalità diversa. Le precisazioni presentate avanti riguardo la notazione delle occlusive e l’impiego del segno a farfalla confermano una certa ‘fluidità’ in alcuni punti della notazione nell’alfabeto ‘leponzio’, e insieme sottolineano il fatto che, talvolta, alcuni particolari non chiari sono dovuti al riferimento forzato e acritico alla vulgata di Lepontica.7 Come ho altrove già osservato riguardo le iscrizioni dalle necropoli di Valeggio sul Mincio e Santa Maria di Zevio 8 , ritengo possibile che l’utilizzo dell’alfabeto leponzio in un contesto quale quello dell’area veronese nel I sec. a. Cr. abbia una valenza ideologica e cioè sia indice di una volonta di connotazione in senso non latino e non venetico, precisamente in direzione celtica. La prima idea di una ideologizzazione dell’alfabeto ‘leponzio’ come alfabeto nazionale celtico è venuta dalla considerazione delle legende monetali in alfabeto ‘leponzio’9 su monete da aree celtiche come il Noricum o le foci del Rodano che, teoricamente, ci si attenderebbe gravitanti su altri poli di attrazione culturale (scrittoria): nel caso delle monete i due referenti culturali ‘naturali’- e con affermate tradizioni alfabetiche proprie - sarebbero dovuti essere quello venetico per il Noricum e quello greco per la zona delle foci del Rodano. È probabile che, nel caso delle legende monetali dal Noricum e dalle foci del Rodano così come in quello delle nostre iscrizioni dall’area cenomane del veronese, ci si trovi di fronte a quello che, in termini sociolinguistici, si definirebbe un fenomeno di Abstand e cioè l’espressione della volonta di prendere le distan- 3 Sulla celticità anteriore al IV sec. a. C. in ambito venetico si sione orale, di ciò che non è (più) in uso o in quanto usi equivalenti di tradizioni vicine. Il concetto di ‘corpus dottrinale’ così formulato risolve i problemi importati da un modello di trasmissione lineare che esclude moduli coesistenti, equivalenti o alternativi. Sul ‘corpus dottrinale’ nella formulazione più recente A. L. Prosdocimi, Alfabetari e insegnamento...cit. 7 Un altro esempio sia della fluidità della notazione, sia di come questa non sia rilevata a causa del riferimento alla vulgata di Lepontica è su un fittile da Solduno (Svizzera Italiana): si legge antes’ilu con notazione, da Lejeune non ammessa, della nasale fra vocale precedente e occlusiva. 8 Vedi P. Solinas, Le iscrizioni in alfabeto leponzio da Valeggio sul Mincio, in AA. VV., La necropoli gallica di Valeggio sul Min cio, (a cura di L. Salzani), Documenti di Archeologia 5, Mantova 1995, pp. 85-88 e P. Solinas, I materiali iscritti della necropoli gallica di S. Maria di Zevio in AA. VV., La necropoli gallica e romana di S. Maria di Zevio (Verona), (a cura di L. Salzani), Documenti di Archeologia 9, Mantova 1995, pp. 221-228. 9 A. Marinetti-A. L. Prosdocimi, Le legende monetali in alfabe to leponzio, in Atti del Convegno Numismatica e archeologia del celtismo padano (Saint Vincent, settembre 1989), Aosta 1994, pp. 23-48, spec. §§ 2.1 e 3.2.7. veda A. Marinetti-A. L. Prosdocimi, Venetico e dintorni, relazione al congresso Rapporti linguistici e rapporti culturali nell’Italia antica (Pisa, ottobre 1989), Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti CXLIX (1990-91), pp. 401-450 (con i riferimenti alla bibliografia precedente). 4 = Documents gaulois et paragaulois de Cisalpine, Et. Celt. XII (fasc. 2), 1970, pp. 337-500. 5 Su tutto ciò F. M. Gambari-G. Colonna, Il bicchiere con l’iscri zione arcaica da Castelletto Ticino e l’adozione della scrittura nell’Italia nord-occidentale, St. Etr. LIV, 1988, pp. 119-164; A. L. Prosdocimi, Insegnamento e apprendimento della scrittura nell’Italia antica in [M. Pandolfini-]A. L. Prosdocimi, Alfabeta ri e insegnamento della scrittura nell’Italia antica , Firenze 1990, pp. 157-301. 6 Il concetto di ‘corpus dottrinale’, elaborato a partire dagli anni ‘80, vuole identificare il complesso della dottrina necessaria alla messa in atto della scrittura quale è testimoniata. Tale dottrina è, per definizione, più ampia di quanto non ci mostrino le attestazioni scritte perché può comprendere anche segni, varianti degli stessi e regole d’uso che normalmente non compaiono nella documentazione scritta in quanto conservazioni, nella trasmis- Patrizia Solinas ze da un ‘altro’ verso il quale esistano motivi politici e culturali di opposizione: tale distanza è segnata dall’adozione di una varietà alfabetica, quella leponzia, diversa da quelle dominanti e segno di autoidentificazione in senso celtico. Ritengo dunque che l’impiego dell’alfabeto leponzio in un’area così orientale della pianura Padana e a una cronologia così avanzata possa essere interpretato come affermazione di una identità ‘celtica’ sia rispetto a Roma, politicamente ormai dominante, sia rispetto alla realtà venetica molto vicina e culturalmente assai connotata10. A conferma dell’ipotesi di ideologizzazione dell’alfabeto leponzio come alfabeto nazionale celtico o almeno come segno di celticità dell’elemento locale, ritengo possano essere chiamate le caratteristiche ‘locali’ dell’alfabeto latino in cui sono redatte alcune iscrizioni venute alla luce dalla vicina necropoli di S. Maria di Zevio11. In tali iscrizioni infatti, in un contesto di segni e attribuzioni di valore tipicamente latini, si inseriscono segni di tradizione non latina che connotano i testi in senso locale. Vi è ad esempio l’iscrizione a testo Ateporix (n° 2 dalla tomba 12) che, oltre al chiaro rimando alla base onomastica celtica, mostra, dal punto di vista grafico, l’accostamento di segni che potrebbero essere indifferentemente attribuiti sia a grafia latina sia a grafia leponzia (E, O, I), di segni che rimandano indiscutibilmente a un contesto latino (r in forma R e t in forma T - con la conseguente possibilità di attribuire a X valore x -) e, infine, di segni ‘leponzi’ quali a in forma e di versus sinistrorso (in un’iscrizione destrorsa!) e p in forma . Celtica è la sepoltura, celtico il nome e celtica l’ ‘atmosfera’ della grafia in cui l’iscrizione è redatta! 145 Se nel loro complesso le iscrizioni dalla necropoli di Casalandri rappresentano una testimonianza importante per la definizione del contesto socio-culturale che le ha prodotte, singolarmente esse non portano dati grafici nuovi, eventualmente confermano problemi già aperti. La soluzione alfabetica adottata non presenta caratteristiche particolari; è da segnalare il fatto che anche il versus sinistrorso, inatteso a questa cronologia, vuole probabilmente ulteriormente caratterizzare in senso locale, in senso non-latino se non anti-latino (v. sopra e nota n° 10). Alcuni degli oggetti iscritti presentano segni singoli ai quali è difficile attribuire una qualche significatività. Altri mostrano due o tre segni che possono essere interpretati come sigle relative a un marchio di fabbrica o di proprietà. Mi pare interessante osservare che, a parte le croci sotto il piede degli oggetti, i segni isolati che compaiono con maggior frequenza a Casalandri come altrove12 sono il segno ‘leponzio’ F (a) spesso sinistrorso, il segno a farfalla e il segno a forcone. Potrebbe essere significativo il fatto che si tratti dei tre segni maggiormente differenziati rispetto all’alfabeto latino e quindi caratterizzanti in senso epicorico, così come potrebbe esserlo il fatto che il segno a farfalla e quello a forcone hanno un’impiego particolare e disuguale all’interno dell’alfabeto leponzio stesso13. Le iscrizioni di una certa lunghezza sono solo due: quella a testo keles’u che è probabilmente una forma di ipocoristico e che rimanda alla radice *kel-/kel “ragen, hoch(heben)” (“sollevare, levare in alto”), e quella a testo kos’io che, per la base lessicale che vi si identifica e per le caratteristiche della notazione, solleva questioni importanti per il contesto scrittorio in cui direttamente si inserisce ma anche - allargando, come è possibile, la prospettiva - per l’intera linguistica del celtico continentale nonché del celtico tout court. In questa sede principalmente dedicata alla presentazione epigrafica dei testi, pongo solo i termini dei problemi che mi riservo di trattare altrove. kos’io è *ghostio- < *ghosti-jo cioè una forma derivata da * g h o s t i s, attestato in numerose varietà del dominio indeuropeo, con corrispondenza in lat. hostis, got. gasts, a. nord. gestr etc. tuttavia, fino agli anni ‘70, la manualistica lo voleva assente nel celtico. k per notare la sonora è la norma in leponzio14 e un esito *gh- > g- è, per il celtico, quello atteso; il terzo segno a farfalla è notazione accettabile per un nesso di area sibilante, esito tipico celtico quale *-st- > -ts- 15. La notazione k per /g/ è consueta in alfabeto leponzio. Lejeune (Lepontica 1971), in una prospettiva, come detto, ormai superata da revisioni e nuove acquisizioni, parlava per le occlusive di una originaria notazione unificata con successivi tentativi di differenziazione tramite due principali riforme: la prima databile al III sec. a. Cr. caratterizzata da θ in forma per /d/ e χ per /g/; la seconda, datata al II sec. a. Cr., caratterizzata da θ in forma con valore /t/. Il materiale di dette riforme sarebbe costituito, secondo Lejeune, da lettere ‘morte’ ‘resuscitate’, fino ad allora, conser- 10 Solo un accenno alla situazione politica dell’inizio del I sec. a. 12 Di queste statistiche si è occupata G. Bagnasco da ultimo al Cr. le cui forti tensioni è possibile si facciano sentire anche nel contesto individuato per le nostre iscrizioni: la guerra sociale (90-89 a. Cr.), la lex Pompeia (89 a. Cr.) che estende fino alle Alpi la cittadinanza latina, fino al 49 a. Cr. quando Cesare estenderà fino alle Alpi la cittadinanza romana. 11 P. Solinas, I materiali iscritti della necropoli gallica di S. Maria di Zevio cit., in particolare p. 222. seminario di studi Insubri e Cenomani ...cit.. 13 Cfr. A. L. Prosdocimi, Insegnamento e apprendimento della s c r i t t u r a...cit., pp. 293 sgg. e P. Solinas, Il leponzio . . .I I Parte...cit., pp. 909 sgg.. 14 Questo a prescindere dai problemi sollevati da certe notazioni di occlusive sonore con segni particolar quali ad esempio si trovano a Castellletto Ticino o a Prestino: v. oltre. 15 Sulle oscillazioni di notazione di questo nesso v. oltre. 146 LA NECROPOLI GALLICA DI CASALANDRI A ISOLA RIZZA (VERONA) vate nella recitazione che garantiva la conservazione del valore fonetico. G. Colonna, analizzando la notazione dell’iscrizione di Castelletto Ticino che la cronologia di VI sec. a. Cr. pone fra i più antichi documenti della zona padana 16, ritiene che, parallellamente all’opposizione t in valore /d/ vs. θ in valore /t/ presente a Prestino, vi dovesse essere, in fase arcaica, una opposizione grafica k vs. χ corrispondente a una opposizione fonetica /g/ vs. /k/. Secondo Colonna ‘in fase recente’ la notazione si sarebbe unificata e, nei casi in cui la differenziazione permanga, i valori sono rovesciati (se e u - che rimanda alla nota base celtica Sego-: Schmidt 1957, pp. 265-6 -, eripo ios - il cui secondo elemento è -bogios: Schmidt 1957, p. 152 -). Non mi è chiara la ratio di tale rovesciamento: ritengo sia più convincente la proposta di Prosdocimi che assegna al segno χ di Castelletto Ticino valore /g/: la conferma di base *ghostio- portata dall’iscrizione della necropoli di Casalandri accredita per Castelletto Ticino sia l’interpretazione della base onomastica, sia l’assegnazione di valore fonetico al segno χ. Mi sembra che oggi la questione generale della notazione delle occlusive in alfabeto leponzio debba essere affrontata in termini che tengano conto del ‘corpus dottrinale’ e che considerino χ come θ (in qualunque forma) grafi comunque presenti nel corpus17) che, in fase antica come in fase recente, vengono utilizzati per realizzare una notazione differenziata in occasioni scrittorie con caratteristiche grafiche, fonetiche o anche solo di valenza ideologica particolari18. Di norma nell’alfabeto ‘leponzio’ il segno a farfalla (con la variante M19) - che, nel nostro testo, deve notare il nesso -st- (> -ts-) - è usato per foni di area sibilante ove, per base fone(ma)tica, necessitino di una notazione distinta da quella della sibilante ‘normale’ rappresentata da s (a tre o più tratti). Non ritengo che lo stato attuale delle nostre conoscenze ci permetta di stabilire con certezza di quale genere di opposizione si tratti: potrebbe essere data dalla semplice sonorità ma anche, come mi pare più probabile, da casi di geminate (es. forse antes’ilu da Solduno), da contesti fonetici particolari (es as’koneti di PID 274 o as’mina di PID 321) o, più in generale, da nessi che contengano una sibilante (es. gli accusativi plurali sites’ di Prestino e artuas’ di Todi) e che, come appunto -st> -ts- , abbiano in celtico un esito particolare. La notazione con segno a farfalla del nesso -st- > -ts- non solleva problemi in sè ma suggerisce il confronto con la notazione di Prestino e quella di Castelletto Ticino ove, per lo stesso nesso, troviamo rispettivamente z (≠) e s (con seriazione dei tratti). Non ritengo si tratti di un confronto che metta in discussione l’interpretazione proposta in quanto una certa ‘fluidità’ nella notazione di certe aree foniche nonché, correlatamente, nell’uso di alcuni grafi particolari (fra i quali è anche il segno a farfalla in questione) è tipica dell’epigrafia leponzia. Già alla fine degli anni ‘60 l’identificazione in -Kozis, secondo elemento del composto uvamokozis dell’iscrizione di Prestino, di una grafia per la forma *ghostis20 avrebbe dovuto portare alla revisione della vulgata per la quale essa non appartiene al celtico. Ciò non è avvenuto, o almeno non immediatamente21, prima perché non era riconosciuta la celticità della lingua di Prestino, poi, una volta accettata l’appartenenza celtica dell’iscrizione - e in genere del cosiddetto leponzio -, in quanto l’assenza di continuatori di *ghosti- nel celtico noto era addotta quale argomento per escludere questa etimologia. Si tratta di un modus operandi solidale con quello adottato ad esempio per il nome indeuropeo della ‘figlia’ che si riteneva non appartenere al celtico - che cioè non era prevedibile dal celtico noto e manualizzato, quello insulare - e che invece, ultimamente, è stato riconosciuto nella forma du tir del piombo del Larzac22. 16 Al VI sec. a. Cr. è oggi riportata anche l’iscrizione di Prestino che però è datata su basi paleografiche in quanto priva di contesto archeologico; la datazione archeologica dell’iscrizione di Castelletto Ticino ne aumenta la significatività. 17 Si confronti quanto accade nell’affine tradizione venetica: v. con i rimandi alla bibliografia precedente (G. Fogolari-)A. L. Prosdocimi, I Veneti antichi. Lingua e cultura, Padova 1987, pp. 221 sgg... 18 Ritengo vada a questo proposito segnalato un caso che mi sembra centrale ma poco considerato e cioè quello della notazione della forma teuo tonion dell’iscrizione bilingue di Vercelli (RIG, *E-2): nel testo di Vercelli il segno χ si trova in compresenza con k grafici che notano sia /k/ sia /g/ e questo fatto dovrebbe escludere per χ il valore /g/. L’ipotesi da avanzare è in questo caso quella suggerita da Lejeune che, sulla base dell’etimologia *devoghdonion (RIG I, 1988, p. 36) pensa che il segno noti in questo caso qualcosa di ‘area /g/’ esito di *-ghd- > *-gd-. Non dunque un’opposizione di sonorità, bensì la notazione di qualche cosa di foneticamente analogo ma particolare e, traendo le dovute conseguenze, un’utilizzo del segno non fissato a marcare una certa opposizione bensì, come si è già detto, caratterizzato dalla ‘fluidità’ e dall’adattamento al caso particolare. 19 Lascio da parte le questioni importate dalla coesistenza delle due varianti nonché il caso particolare della legenda monetale as’es’ che troviamo sia con M e sia con il segno a farfalla (cfr. A. Marinetti-A. L. Prosdocimi, Le legende monetali in alfabeto leponnzio...cit. e A. L. Prosdocimi, Insegnamento e apprendi mento della scrittura...cit.) perché non sono una eventuale trafila o la coesistenza grafica che interessano qui quanto l’area fonetica ricoperta dal segno. 20 M. G. Tibiletti Bruno, L’iscrizione di Prestino, RIL 100, 1966, pp. 279-319; l’ipotesi era accettata (ampliata e circostanziata) da A. L. Prosdocimi, L’iscrizione di Prestino, St. Etr. XXXV, 1967, pp. 199-222. Ma vedi il commento di E. Campanile, Su due inter pretazioni dell’iscrizione di Prestino, SSL 8, 1968, pp. 207-213. 21 Si vedano ad esempio alcune delle argomentazioni di F. Motta, Su alcuni elementi dell’iscrizione di Prestino, in Problemi di lingua e di cultura in campo indeuropeo (E. Campanile ed.), Pisa 1983, pp. 61-75 e il commento di A. L. Prosdocimi, L’iscri zione di Prestino vent’anni dopo, ZCPh 41, 1986, pp. 225-250. 22 AA. VV., Le plomb magique du Larzac et les sorcières gauloi ses, Et. Celt. XXII, 1985, pp. 95-177. 147 Patrizia Solinas Recentemente A. L. Prosdocimi ha proposto di trovare una conferma per *ghosti- di Prestino in osio- dell’iscrizione di Castelletto Ticino23. Il dato di Casalandri porta conferma sia per le ipotesi riguardo -kozis dell’iscrizione di Prestino sia per quelle riguardo osio- dell’iscrizione di Castelletto Ticino in quanto mostra la forma in questione in un testo emerso da area celtica, redatto in grafia ‘leponzia’ e con una notazione che non solleva problemi di sorta. * g h o s t i s così come d u t i r e altre novità dal dominio continentale non solo invitano a ripensare la posizione del celtico continentale nella ricostruzione di un’ipotetica nozione di celtico comune, ma mostrano anche più opportuna una concezione di un celtico come farsi con fenomeni comuni e non di conservazione o evoluzione. In prospettiva più ampia saranno da indagare i termini della relazione di *ghosti- del celtico d’Italia con ostio- < *hostio- e hostihavos del venetico, Hostiducis dell’illirico, Velagosti/Velacosta/Vila gostis del cosiddetto ‘ligure’ e, infine, con le forme in Gassi del bresciano. Non secondaria sarà la semantica in primis di lat. hostis, quindi di tutte queste forme più o meno chiare. Recentemente infatti è stato sottolineato 24 che latino hostis ha avuto primariamente il valore di ‘straniero’ e che quello di ‘nemico’ è innovazione, relativamente tarda, del latino stesso; pare evidente che *ghostis come elemento di composti onomastici ha qualche difficoltà a essere ricondotto al valore di ‘nemico’. Con questa chiave, anche al di fuori del latino, il venetico hostihavos, già interpretato, con il ricorso alla radice *gho-, come ‘chi evoca il nemico’25, sarà da rileggere come ‘colui che dice = garantisce lo straniero’. Così, nell’ambito del celtico d’Italia, l’*upomo-gho stis di Prestino sarà ‘colui che sta sopra lo straniero = che ne è garante’. Anche forme onomastiche semplici (cioè non in composto) come quella di Castelletto Ticino e la nostra di Casalandri, risponderebbero bene al valore ‘straniero’: ritengo comunque che la trattazione di questi ed altri aspetti semantici e di quanto vi è correlato sia, per ampiezza e complessità, da rimandare ad altra sede. I TESTI Propongo l’analisi delle iscrizioni separando quelle che constano di un unico segno da quelle che mostrano almeno due o più segni interpretabili. Pongo a parte quelle che constano di un solo segno perché ritengo che lo status di questi segni singoli non sia assimilabile a quello di iscrizioni più lunghe. Infatti mentre anche per iscrizioni di soli due segni si può pensare a una sigla che si riferisca a un nome proprio e quindi ad un marchio di proprietà o di fabbricazione, per segni unici e, soprattutto, quasi spesso ripetuti identici su oggetti diversi, questa ipotesi è difficile. Come già anticipato la cronologia delle tombe dalle quali gli oggetti provengono è da porsi alla prima metà del I sec. a. Cr. Le schede non conterrranno la descrizione dell’oggetto supporto dell’iscrizione in quanto questa è reperibile in questo stesso volume. Ogni scheda contiene dunque: 1) il riferimento al supporto per mezzo del numero della tomba, del progressivo dei ritrovamenti della tomba stessa e del numero di I.G.; 2) dimensioni, versus, descrizione e lettura dell’iscrizione; 3) ove possibile un’interpretazione della stessa. 23 Sull’iscrizione di Castelletto Ticino F. M. Gambari-G. Colon- na, Il bicchiere con iscrizione arcaica...cit.: lì gli editori confrontano osio- con lat. Co(s)sius/Cus(s)sius; per la proposta *gho stio- per la base nominale, A. L. Prosdocimi, Note sul celtico in Italia, St. Etr. LVII, 1991, pp. 139-177. 2 4 A. L. Prosdocimi, Curia, Quirites e il sistema di Iscrizioni di segni singoli 1) Su una ciotola (n° 6; I.G. 168740) dalla tomba 19 (fig. 2), vi è un segno graffito abbastanza profondo sulla parete esterna appena sopra il piede; il segno misura cm 2.6 in altezza e cm 1.3 in larghezza. Se si tiene la ciotola capovolta, si dovrebbe leggere come e destrorso e con i tratti obliqui, secondo consuetudine, tirati verso il basso; se l’oggetto è mantenuto in posizione normale, si legge invece un e sinistrorso e con i tratti obliqui tirati verso l’alto. 2) Su un vasetto (n° 1; I.G. 98303) dalla tomba 75 (fig. 2), sulla parete esterna è graffito con tratto superficiale un segno a farfalla; il segno misura cm 1.4 in altezza e cm 1 in larghezza. 3) Su una ciotola (n° 2; I. G. 89319) dalla tomba 96 (fig. 2), sulla parete esterna, appoggiati ad un solco profondo (qualche impurità trascinata dal tornio?), sono visibili alcuni tratti che, in quanto assai superficiali, potrebbero anche essere graffi casuali; il complesso di tali tratti misura cm 1,2 in altezza e cm. 1 in larghezza. Non ritengo plausibile alcuna interpretazione. Quirino(Populus Quiritium Quirites II) , Ostraka V, n° 2 (dicembre 1996), pp. 243-319, in particolare pp. 286 sgg.. Si veda anche quanto è in E. Benveniste, Le vocabulaire des insti tutions indo-européennes, Paris 1969. 25 Cfr. G. B. Pellegrini-A. L. Prosdocimi, La lingua venetica,2 voll., Padova-Firenze 1967 in particolare vol. I ad Pa 7 e vol. II s. v.. 148 LA NECROPOLI GALLICA DI CASALANDRI A ISOLA RIZZA (VERONA) 4) Su un vasetto (n° 1; I) dalla tomba 104 (fig. 2), sulla parete esterna sono presenti alcuni segni che non hanno carattere casuale ma per i quali non ritengo plausibile alcuna interpretazione. Iscrizioni di più segni 5) Su un vasetto (c; I. G. 168745) dalla tomba 19 (fig. 2), sulla parete esterna poco sopra il piede, sono visibili due segni graffiti abbastanza superficialmente; le dimensioni complessive sono cm 1.6 in altezza e cm 2 in larghezza. Il primo segno da sinistra ha forma a croce; il secondo è un segno chiuso formato da tre tratti, uno dei quali leggermente curvo: O? R? Non ritengo plausibile alcuna interpretazione. 6) Su una ciotola frammentaria (n° 10; I. G. 819149) dalla tomba 28 (fig. 2), sulla parete esterna si trova un’iscrizione composta di sei segni; l’iscrizione misura complessivamente cm 8 e ha un’altezza media di cm 3. L’iscrizione è sinistrorsa e deve essere letta tenendo la ciotola capovolta (la circostanza non è inusuale: cfr. qui n° 7 e n° 8). La lettura non crea problemi: keles’u. I segni non presentano alcuna particolarità a parte un trascinamento verso il basso sia dei tratti obliqui, sia, in particolare, di quelli verticali: si vedano le aste dei segni secondo e quarto (E) nonché i tratti verticali del quinto segno a farfalla. Il trascinamento verso il basso conferma la posizione dell’oggetto durante la realizzazione del testo e, di conseguenza, la posizione capovolta per la lettura e il versus dell’iscrizione. Come anticipato la forma keles’u dovrebbe essere un ipocoristico in *-o-n che rimanda alla radice * k e l - / k e l - “ragen”. Come minimo per assonanza (solo?) è da richiamare anche la forma venetica dal Cadore keleka (Ca 1). 7) Su una ciotola (n° 3; I. G. 89272) dalla tomba 58 (fig. 2), sulla parete esterna, appena sopra il piede si trova un’iscrizione composta di cinque segni; l’iscrizione misura complessivamente cm 8 e i vari segni raggiungono un’altezza massima di cm 3.5. L’iscrizione è sinistrorsa e anch’essa, come quella presentata al n° 6, deve essere letta tenendo la ciotola capovolta. Si legge kos’io. Sono presenti numerosi graffi casuali e alcune linee di frattura; tutti i tratti sono trascinati verso il basso (a proposito di questa circostanza valgono le medesime considerazioni esplicitate per il n° 6), la lettura tuttavia non presenta problemi. Al momento della mia autopsia (dicembre 1997) erano visibili solo cinque segni ma ritengo che, una volta ricomposto il supporto, sarà opportuno verificare se dopo il quinto segno O vi siano le tracce di un sesto segno, magari S. La forma kos’io rimanda verisimilmente alla base *ghosti- già identificata in -kozis dell’iscrizione di Prestino e in osio- di quella di Castelletto Ticino: v. sopra pp. 145-146. 8) Su una ciotola (n° 1; I. G. 89665) dalla tomba 94 (fig. 2), sulla parete esterna è presente un’iscrizione composta di tre segni; l’iscrizione misura complessivamente cm 3 in lunghezza e ha un’altezza media di cm 1.6. Il testo è sinistrorso e, come quelli presentati ai numeri 6 e 7, deve essere letto mantenendo il supporto il posizione capovolta. Si legge ula. Il trattino obliquo del secondo segno L è assai superficiale, quasi invisibile ma esistente. 9) Su una olletta (n° 2; I. G. 89666) dalla tomba 94 (fig. 2), sulla parete esterna, appena sotto il labbro, sono graffiti due segni. L’iscrizione è lunga complessivamente cm 2 e l’altezza dei segni è di cm 1.7. L’iscrizione è sinistrorsa e si legge as’. La sezione finale del secondo segno a farfalla è graffita in modo superficiale ma è visibile. 10) Su una vasetto (n° 2; I.G. 8968) dalla tomba 106 (fig. 2), sulla parete esterna sono graffiti due segni. L’iscrizione è di difficile interpretazione: partendo da sinistra il primo segno potrebbe essere o, il secondo a o forse e.