LE ISCRIZIONI IN ALFABETO LEPONZIO DALLA NECROPOLI DI

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LE ISCRIZIONI IN ALFABETO LEPONZIO DALLA NECROPOLI DI
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Patrizia Solinas
LE ISCRIZIONI IN ALFABETO LEPONZIO DALLA
NECROPOLI DI CASALANDRI (ISOLA RIZZA -VR-)
Patrizia Solinas
Su alcuni oggetti provenienti dalla necropoli di
Casalandri di Isola Rizza (VR) sono presenti iscrizioni redatte nella varietà alfabetica nord-etrusca
comunemente detta ‘leponzia’ che, nell’Italia settentrionale, nota le iscrizioni celtiche d’Italia1.
La cronologia della necropoli di Casalandri è
posta tra il II e il I sec. a. Cr.; le tombe dalle quali
provengono gli oggetti iscritti sono databili alla
prima metà del I sec. a. Cr.: siamo in una fase di
avanzata romanizzazione, come è da attendersi in
quest’area e con questa cronologia, e come è
mostrato, in questo stesso volume, dall’analisi
della tipologia dei corredi e delle monete ritrovate
nelle sepolture.
Sono dunque tre le entità culturali in riferimento alle quali doveva articolarsi il contesto
socio-culturale in cui le nostre iscrizioni sono state
prodotte: l’ascendenza culturale non romana, precisamente celtica, la romanizzazione ormai ad uno
stadio decisamente avanzato e, a est, il polo venetico. Infatti la pianura veronese come area cenomane è un dato sempre più confermato dalle
acquisizioni archeologiche degli ultimi anni 2, ma
Isola Rizza - così come S. Maria di Zevio: v. oltre si trova lungo il corso dell’Adige, confine ma anche
via di penetrazione in territorio paleoveneto.
L’area geografica in questione è molto a est,
non tanto rispetto alle altre testimonianze di celticità linguistica e culturale che si trovano in ambi-
Fig. 2. Iscrizioni
1 È in fase di completamento da parte della sottoscritta un’edizione dei documenti epigrafici di celticità in Italia (la prima rassegna dei materiali epigrafici è in P. Solinas, Il celtico in Italia, in
REI in St. Etr. LX, 1994, pp. 312-408). Il progetto editoriale non
distingue, come tradizionalmente si fa fra gallico d’Italia e leponzio (si veda ad esempio l’ultima edizione delle iscrizioni galliche
d’Italia di M. Lejeune, Recueil des inscriptions gauloises, Textes
gallo-latins sur pierre, Parigi 1988), e tratta semplicemente del
‘celtico d’Italia’. Questa scelta va motivata non tanto rispetto alla
realtà documentale - che mostra testi in alfabeto leponzio databili dal VI sec. a. C. alla tarda età augustea, redatti in una
varietà celtica senza evidenti soluzioni di continuità -, quanto
perché è in contrapposizione con una dicotomia (gallico d’Italia
vs. leponzio) che ha radici profonde e antiche. Una nuova prospettiva di analisi ha maturato la convinzione che le motivazioni
linguistiche fin qui addotte per questa separazione siano insufficienti o, in alcuni casi, inesistenti, legate a particolari concettualizzazioni e, soprattutto, ad una certa ideologia della penetrazio-
ne celtica in Italia connessa ai Galli di Brenno del IV sec. a. C.
Attualmente anche la prospettiva di storici e archeologi è cambiata e, rivalutando quanto portato da Livio V, 34-35, è quasi
unanimemente accettata una celticità in Italia anteriore al IV
sec. a. C.: il tema è stato al centro del seminario di studi Insubri e
Cenomani tra Sesia e Adige (Milano, febbraio 1998). Per molti
resta invece aperta la questione se vada accettata o meno l’omogeneità di questa celticità ante IV sec. con quella portata dai
Galli del sacco di Roma. Su questo e in genere sulla questione storiografica della celticità in Italia P. Solinas, Sulla celticità lingui stica nell’Italia antica. Il leponzio da Biondelli e Mommsen ai
nostri giorni, Atti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti
CLI, 1992-3, pp. 1237-1335 e CLII, 1993-4, pp. 873-935.
2 Cfr. ad esempio L. Salzani, La necropoli di Valeggio nel qua dro delle documentazioni celtiche nel territorio tra Mincio e
Adige, in AA. VV., La necropoli gallica di Valeggio sul Mincio ,
(a cura di L. Salzani), Documenti di Archeologia 5, Mantova
1995, pp. 45-48.
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LA NECROPOLI GALLICA DI CASALANDRI A ISOLA RIZZA (VERONA)
to venetico fin dal VI sec. a. C.3, quanto rispetto a
quelle dell’alfabeto in questione che, fino ad una
decina di anni fa, aveva le sue attestazioni più
orientali nel bresciano. Per l’area del veronese si
presumeva eventualmente una pertinenza
all’ambito scrittorio venetico e, a questa cronologia, ci si attendeva comunque alfabeto latino.
‘Alfabeto leponzio’ è dizione invalsa - anche se
non ideale - per identificare la varietà alfabetica,
adattamento di modelli etruschi, che, nell’Italia settentrionale, nota le iscrizioni celtiche d’Italia. La
prima identificazione di detta varietà risale a Pauli
(Die Inschriften nordetruskischen Alphabets, Lipsia
1885) che utilizzò la denominazione di ‘alfabeto di
Lugano’ in riferimento alla zona di rinvenimento
della maggior parte delle iscrizioni allora note. La
vulgata sull’ ‘alfabeto leponzio’ è stata fino a pochi
anni fa - e per alcuni è ancora oggi - quanto sintetizzato da M. Lejeune in Lepontica (Parigi 1971 4).
Lejeune parlava di una serie alfabetica di quattordici segni ai quali si aggiungevano alcune cosiddette ‘lettere morte’ resuscitate in occasione di almeno
due riforme alfabetiche o per fare fronte a necessità
grafiche particolari. L’ ‘alfabeto leponzio’ avrebbe,
secondo Lejeune, un ante quem al IV sec. a. C. e
potrebbe avere i suoi inizi intorno al 600 a. C.. Oggi,
alla luce di rivisitazioni di documenti già noti (es. la
retrodatazione dell’iscrizione di Prestino dal II al VI
sec. a. C. e la revisione delle cronologie di molti
materiali epigrafici dalla zona lombarda e piemontese) e di importanti nuove acquisizioni (es. l’iscrizione sul bicchiere da Castelletto Ticino e i cippi di
Rubiera), tale vulgata è stata rivista: nella serie
alfabetica si riconoscono oggi diciotto segni, con
diverse tipologie ma tutti in uso. Inoltre una riconsiderazione del modello di trasmissione e adattamento dell’alfabeto etrusco nella Padania ha condotto a immaginare una creazione dell’alfabeto
leponzio che attinga a modelli etruschi di VII sec.
non ancora riformati5. Il ricorso al concetto di ‘corpus dottrinale’6 sostituito a quello di alfabeto princeps permette poi di spiegare le presenze di segni
‘inconsueti’ o la coesistenza di segni che, dal punto
di vista funzionale, paiono equivalenti:si tratta di
utilizzi ‘speciali’ di segni, comunque presenti nel
corpus, ma di solito non in uso o in uso con funzionalità diversa. Le precisazioni presentate avanti
riguardo la notazione delle occlusive e l’impiego del
segno a farfalla confermano una certa ‘fluidità’ in
alcuni punti della notazione nell’alfabeto ‘leponzio’,
e insieme sottolineano il fatto che, talvolta, alcuni
particolari non chiari sono dovuti al riferimento forzato e acritico alla vulgata di Lepontica.7
Come ho altrove già osservato riguardo le iscrizioni dalle necropoli di Valeggio sul Mincio e Santa
Maria di Zevio 8 , ritengo possibile che l’utilizzo
dell’alfabeto leponzio in un contesto quale quello
dell’area veronese nel I sec. a. Cr. abbia una valenza ideologica e cioè sia indice di una volonta di connotazione in senso non latino e non venetico, precisamente in direzione celtica.
La prima idea di una ideologizzazione dell’alfabeto ‘leponzio’ come alfabeto nazionale celtico è
venuta dalla considerazione delle legende monetali in alfabeto ‘leponzio’9 su monete da aree celtiche
come il Noricum o le foci del Rodano che, teoricamente, ci si attenderebbe gravitanti su altri poli di
attrazione culturale (scrittoria): nel caso delle
monete i due referenti culturali ‘naturali’- e con
affermate tradizioni alfabetiche proprie - sarebbero dovuti essere quello venetico per il Noricum e
quello greco per la zona delle foci del Rodano.
È probabile che, nel caso delle legende monetali
dal Noricum e dalle foci del Rodano così come in quello delle nostre iscrizioni dall’area cenomane del veronese, ci si trovi di fronte a quello che, in termini sociolinguistici, si definirebbe un fenomeno di Abstand e
cioè l’espressione della volonta di prendere le distan-
3 Sulla celticità anteriore al IV sec. a. C. in ambito venetico si
sione orale, di ciò che non è (più) in uso o in quanto usi equivalenti di tradizioni vicine. Il concetto di ‘corpus dottrinale’ così formulato risolve i problemi importati da un modello di trasmissione lineare che esclude moduli coesistenti, equivalenti o alternativi. Sul ‘corpus dottrinale’ nella formulazione più recente A. L.
Prosdocimi, Alfabetari e insegnamento...cit.
7 Un altro esempio sia della fluidità della notazione, sia di come
questa non sia rilevata a causa del riferimento alla vulgata di
Lepontica è su un fittile da Solduno (Svizzera Italiana): si legge
antes’ilu con notazione, da Lejeune non ammessa, della nasale
fra vocale precedente e occlusiva.
8 Vedi P. Solinas, Le iscrizioni in alfabeto leponzio da Valeggio
sul Mincio, in AA. VV., La necropoli gallica di Valeggio sul Min cio, (a cura di L. Salzani), Documenti di Archeologia 5, Mantova
1995, pp. 85-88 e P. Solinas, I materiali iscritti della necropoli
gallica di S. Maria di Zevio in AA. VV., La necropoli gallica e
romana di S. Maria di Zevio (Verona), (a cura di L. Salzani),
Documenti di Archeologia 9, Mantova 1995, pp. 221-228.
9 A. Marinetti-A. L. Prosdocimi, Le legende monetali in alfabe to leponzio, in Atti del Convegno Numismatica e archeologia
del celtismo padano (Saint Vincent, settembre 1989), Aosta
1994, pp. 23-48, spec. §§ 2.1 e 3.2.7.
veda A. Marinetti-A. L. Prosdocimi, Venetico e dintorni, relazione al congresso Rapporti linguistici e rapporti culturali
nell’Italia antica (Pisa, ottobre 1989), Atti dell’Istituto Veneto
di Scienze, Lettere ed Arti CXLIX (1990-91), pp. 401-450 (con i
riferimenti alla bibliografia precedente).
4 = Documents gaulois et paragaulois de Cisalpine, Et. Celt.
XII (fasc. 2), 1970, pp. 337-500.
5 Su tutto ciò F. M. Gambari-G. Colonna, Il bicchiere con l’iscri zione arcaica da Castelletto Ticino e l’adozione della scrittura
nell’Italia nord-occidentale, St. Etr. LIV, 1988, pp. 119-164; A.
L. Prosdocimi, Insegnamento e apprendimento della scrittura
nell’Italia antica in [M. Pandolfini-]A. L. Prosdocimi, Alfabeta ri e insegnamento della scrittura nell’Italia antica , Firenze
1990, pp. 157-301.
6 Il concetto di ‘corpus dottrinale’, elaborato a partire dagli anni
‘80, vuole identificare il complesso della dottrina necessaria alla
messa in atto della scrittura quale è testimoniata. Tale dottrina
è, per definizione, più ampia di quanto non ci mostrino le attestazioni scritte perché può comprendere anche segni, varianti
degli stessi e regole d’uso che normalmente non compaiono nella
documentazione scritta in quanto conservazioni, nella trasmis-
Patrizia Solinas
ze da un ‘altro’ verso il quale esistano motivi politici
e culturali di opposizione: tale distanza è segnata
dall’adozione di una varietà alfabetica, quella leponzia, diversa da quelle dominanti e segno di autoidentificazione in senso celtico.
Ritengo dunque che l’impiego dell’alfabeto
leponzio in un’area così orientale della pianura
Padana e a una cronologia così avanzata possa
essere interpretato come affermazione di una
identità ‘celtica’ sia rispetto a Roma, politicamente ormai dominante, sia rispetto alla realtà venetica molto vicina e culturalmente assai connotata10.
A conferma dell’ipotesi di ideologizzazione
dell’alfabeto leponzio come alfabeto nazionale celtico o almeno come segno di celticità dell’elemento
locale, ritengo possano essere chiamate le caratteristiche ‘locali’ dell’alfabeto latino in cui sono redatte alcune iscrizioni venute alla luce dalla vicina
necropoli di S. Maria di Zevio11. In tali iscrizioni
infatti, in un contesto di segni e attribuzioni di
valore tipicamente latini, si inseriscono segni di
tradizione non latina che connotano i testi in senso
locale. Vi è ad esempio l’iscrizione a testo Ateporix
(n° 2 dalla tomba 12) che, oltre al chiaro rimando
alla base onomastica celtica, mostra, dal punto di
vista grafico, l’accostamento di segni che potrebbero essere indifferentemente attribuiti sia a grafia
latina sia a grafia leponzia (E, O, I), di segni che
rimandano indiscutibilmente a un contesto latino
(r in forma R e t in forma T - con la conseguente possibilità di attribuire a X valore x -) e, infine, di segni
‘leponzi’ quali a in forma
e di versus sinistrorso
(in un’iscrizione destrorsa!) e p in forma . Celtica
è la sepoltura, celtico il nome e celtica l’ ‘atmosfera’
della grafia in cui l’iscrizione è redatta!
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Se nel loro complesso le iscrizioni dalla necropoli di Casalandri rappresentano una testimonianza importante per la definizione del contesto
socio-culturale che le ha prodotte, singolarmente
esse non portano dati grafici nuovi, eventualmente confermano problemi già aperti. La soluzione
alfabetica adottata non presenta caratteristiche
particolari; è da segnalare il fatto che anche il versus sinistrorso, inatteso a questa cronologia, vuole
probabilmente ulteriormente caratterizzare in
senso locale, in senso non-latino se non anti-latino
(v. sopra e nota n° 10).
Alcuni degli oggetti iscritti presentano segni
singoli ai quali è difficile attribuire una qualche
significatività. Altri mostrano due o tre segni che
possono essere interpretati come sigle relative a
un marchio di fabbrica o di proprietà. Mi pare interessante osservare che, a parte le croci sotto il
piede degli oggetti, i segni isolati che compaiono
con maggior frequenza a Casalandri come altrove12 sono il segno ‘leponzio’ F (a) spesso sinistrorso, il segno a farfalla e il segno a forcone. Potrebbe
essere significativo il fatto che si tratti dei tre
segni maggiormente differenziati rispetto all’alfabeto latino e quindi caratterizzanti in senso epicorico, così come potrebbe esserlo il fatto che il segno
a farfalla e quello a forcone hanno un’impiego particolare e disuguale all’interno dell’alfabeto leponzio stesso13.
Le iscrizioni di una certa lunghezza sono solo
due: quella a testo keles’u che è probabilmente una
forma di ipocoristico e che rimanda alla radice
*kel-/kel “ragen, hoch(heben)” (“sollevare, levare
in alto”), e quella a testo kos’io che, per la base lessicale che vi si identifica e per le caratteristiche
della notazione, solleva questioni importanti per il
contesto scrittorio in cui direttamente si inserisce
ma anche - allargando, come è possibile, la prospettiva - per l’intera linguistica del celtico continentale nonché del celtico tout court. In questa
sede principalmente dedicata alla presentazione
epigrafica dei testi, pongo solo i termini dei problemi che mi riservo di trattare altrove.
kos’io è *ghostio- < *ghosti-jo cioè una forma
derivata da * g h o s t i s, attestato in numerose
varietà del dominio indeuropeo, con corrispondenza in lat. hostis, got. gasts, a. nord. gestr etc. tuttavia, fino agli anni ‘70, la manualistica lo voleva
assente nel celtico.
k per notare la sonora è la norma in leponzio14
e un esito *gh- > g- è, per il celtico, quello atteso; il
terzo segno a farfalla è notazione accettabile per
un nesso di area sibilante, esito tipico celtico quale
*-st- > -ts- 15.
La notazione k per /g/ è consueta in alfabeto
leponzio. Lejeune (Lepontica 1971), in una prospettiva, come detto, ormai superata da revisioni e
nuove acquisizioni, parlava per le occlusive di una
originaria notazione unificata con successivi tentativi di differenziazione tramite due principali
riforme: la prima databile al III sec. a. Cr. caratterizzata da θ in forma
per /d/ e χ per /g/; la
seconda, datata al II sec. a. Cr., caratterizzata da
θ in forma
con valore /t/. Il materiale di dette
riforme sarebbe costituito, secondo Lejeune, da
lettere ‘morte’ ‘resuscitate’, fino ad allora, conser-
10 Solo un accenno alla situazione politica dell’inizio del I sec. a.
12 Di queste statistiche si è occupata G. Bagnasco da ultimo al
Cr. le cui forti tensioni è possibile si facciano sentire anche nel
contesto individuato per le nostre iscrizioni: la guerra sociale
(90-89 a. Cr.), la lex Pompeia (89 a. Cr.) che estende fino alle
Alpi la cittadinanza latina, fino al 49 a. Cr. quando Cesare
estenderà fino alle Alpi la cittadinanza romana.
11 P. Solinas, I materiali iscritti della necropoli gallica di S.
Maria di Zevio cit., in particolare p. 222.
seminario di studi Insubri e Cenomani ...cit..
13 Cfr. A. L. Prosdocimi, Insegnamento e apprendimento della
s c r i t t u r a...cit., pp. 293 sgg. e P. Solinas, Il leponzio . . .I I
Parte...cit., pp. 909 sgg..
14 Questo a prescindere dai problemi sollevati da certe notazioni
di occlusive sonore con segni particolar quali ad esempio si trovano a Castellletto Ticino o a Prestino: v. oltre.
15 Sulle oscillazioni di notazione di questo nesso v. oltre.
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LA NECROPOLI GALLICA DI CASALANDRI A ISOLA RIZZA (VERONA)
vate nella recitazione che garantiva la conservazione del valore fonetico. G. Colonna, analizzando
la notazione dell’iscrizione di Castelletto Ticino
che la cronologia di VI sec. a. Cr. pone fra i più
antichi documenti della zona padana 16, ritiene
che, parallellamente all’opposizione t in valore /d/
vs. θ in valore /t/ presente a Prestino, vi dovesse
essere, in fase arcaica, una opposizione grafica k
vs. χ corrispondente a una opposizione fonetica /g/
vs. /k/. Secondo Colonna ‘in fase recente’ la notazione si sarebbe unificata e, nei casi in cui la differenziazione permanga, i valori sono rovesciati
(se e u - che rimanda alla nota base celtica Sego-:
Schmidt 1957, pp. 265-6 -, eripo ios - il cui secondo elemento è -bogios: Schmidt 1957, p. 152 -). Non
mi è chiara la ratio di tale rovesciamento: ritengo
sia più convincente la proposta di Prosdocimi che
assegna al segno χ di Castelletto Ticino valore /g/:
la conferma di base *ghostio- portata dall’iscrizione della necropoli di Casalandri accredita per
Castelletto Ticino sia l’interpretazione della base
onomastica, sia l’assegnazione di valore fonetico
al segno χ.
Mi sembra che oggi la questione generale della
notazione delle occlusive in alfabeto leponzio
debba essere affrontata in termini che tengano
conto del ‘corpus dottrinale’ e che considerino χ
come θ (in qualunque forma) grafi comunque presenti nel corpus17) che, in fase antica come in fase
recente, vengono utilizzati per realizzare una
notazione differenziata in occasioni scrittorie con
caratteristiche grafiche, fonetiche o anche solo di
valenza ideologica particolari18.
Di norma nell’alfabeto ‘leponzio’ il segno a farfalla (con la variante M19) - che, nel nostro testo,
deve notare il nesso -st- (> -ts-) - è usato per foni di
area sibilante ove, per base fone(ma)tica, necessitino di una notazione distinta da quella della sibilante ‘normale’ rappresentata da s (a tre o più tratti). Non ritengo che lo stato attuale delle nostre
conoscenze ci permetta di stabilire con certezza di
quale genere di opposizione si tratti: potrebbe
essere data dalla semplice sonorità ma anche,
come mi pare più probabile, da casi di geminate
(es. forse antes’ilu da Solduno), da contesti fonetici
particolari (es as’koneti di PID 274 o as’mina di
PID 321) o, più in generale, da nessi che contengano una sibilante (es. gli accusativi plurali sites’ di
Prestino e artuas’ di Todi) e che, come appunto -st> -ts- , abbiano in celtico un esito particolare.
La notazione con segno a farfalla del nesso -st- >
-ts- non solleva problemi in sè ma suggerisce il confronto con la notazione di Prestino e quella di
Castelletto Ticino ove, per lo stesso nesso, troviamo
rispettivamente z (≠) e s (con seriazione dei tratti).
Non ritengo si tratti di un confronto che metta in
discussione l’interpretazione proposta in quanto
una certa ‘fluidità’ nella notazione di certe aree foniche nonché, correlatamente, nell’uso di alcuni grafi
particolari (fra i quali è anche il segno a farfalla in
questione) è tipica dell’epigrafia leponzia.
Già alla fine degli anni ‘60 l’identificazione in
-Kozis, secondo elemento del composto uvamokozis
dell’iscrizione di Prestino, di una grafia per la
forma *ghostis20 avrebbe dovuto portare alla revisione della vulgata per la quale essa non appartiene al celtico. Ciò non è avvenuto, o almeno non
immediatamente21, prima perché non era riconosciuta la celticità della lingua di Prestino, poi, una
volta accettata l’appartenenza celtica dell’iscrizione - e in genere del cosiddetto leponzio -, in quanto
l’assenza di continuatori di *ghosti- nel celtico noto
era addotta quale argomento per escludere questa
etimologia. Si tratta di un modus operandi solidale con quello adottato ad esempio per il nome
indeuropeo della ‘figlia’ che si riteneva non appartenere al celtico - che cioè non era prevedibile dal
celtico noto e manualizzato, quello insulare - e che
invece, ultimamente, è stato riconosciuto nella
forma du tir del piombo del Larzac22.
16 Al VI sec. a. Cr. è oggi riportata anche l’iscrizione di Prestino che però è datata su basi paleografiche in quanto priva di
contesto archeologico; la datazione archeologica dell’iscrizione
di Castelletto Ticino ne aumenta la significatività.
17 Si confronti quanto accade nell’affine tradizione venetica: v. con
i rimandi alla bibliografia precedente (G. Fogolari-)A. L. Prosdocimi, I Veneti antichi. Lingua e cultura, Padova 1987, pp. 221 sgg...
18 Ritengo vada a questo proposito segnalato un caso che mi
sembra centrale ma poco considerato e cioè quello della notazione della forma teuo tonion dell’iscrizione bilingue di Vercelli
(RIG, *E-2): nel testo di Vercelli il segno χ si trova in compresenza con k grafici che notano sia /k/ sia /g/ e questo fatto dovrebbe
escludere per χ il valore /g/. L’ipotesi da avanzare è in questo caso
quella suggerita da Lejeune che, sulla base dell’etimologia
*devoghdonion (RIG I, 1988, p. 36) pensa che il segno noti in questo caso qualcosa di ‘area /g/’ esito di *-ghd- > *-gd-. Non dunque
un’opposizione di sonorità, bensì la notazione di qualche cosa di
foneticamente analogo ma particolare e, traendo le dovute conseguenze, un’utilizzo del segno non fissato a marcare una certa
opposizione bensì, come si è già detto, caratterizzato dalla ‘fluidità’ e dall’adattamento al caso particolare.
19 Lascio da parte le questioni importate dalla coesistenza delle
due varianti nonché il caso particolare della legenda monetale
as’es’ che troviamo sia con M e sia con il segno a farfalla (cfr. A.
Marinetti-A. L. Prosdocimi, Le legende monetali in alfabeto
leponnzio...cit. e A. L. Prosdocimi, Insegnamento e apprendi mento della scrittura...cit.) perché non sono una eventuale trafila o la coesistenza grafica che interessano qui quanto l’area
fonetica ricoperta dal segno.
20 M. G. Tibiletti Bruno, L’iscrizione di Prestino, RIL 100, 1966,
pp. 279-319; l’ipotesi era accettata (ampliata e circostanziata) da
A. L. Prosdocimi, L’iscrizione di Prestino, St. Etr. XXXV, 1967,
pp. 199-222. Ma vedi il commento di E. Campanile, Su due inter pretazioni dell’iscrizione di Prestino, SSL 8, 1968, pp. 207-213.
21 Si vedano ad esempio alcune delle argomentazioni di F.
Motta, Su alcuni elementi dell’iscrizione di Prestino, in Problemi
di lingua e di cultura in campo indeuropeo (E. Campanile ed.),
Pisa 1983, pp. 61-75 e il commento di A. L. Prosdocimi, L’iscri zione di Prestino vent’anni dopo, ZCPh 41, 1986, pp. 225-250.
22 AA. VV., Le plomb magique du Larzac et les sorcières gauloi ses, Et. Celt. XXII, 1985, pp. 95-177.
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Patrizia Solinas
Recentemente A. L. Prosdocimi ha proposto di
trovare una conferma per *ghosti- di Prestino in
osio- dell’iscrizione di Castelletto Ticino23. Il dato
di Casalandri porta conferma sia per le ipotesi
riguardo -kozis dell’iscrizione di Prestino sia per
quelle riguardo osio- dell’iscrizione di Castelletto
Ticino in quanto mostra la forma in questione in
un testo emerso da area celtica, redatto in grafia
‘leponzia’ e con una notazione che non solleva problemi di sorta.
* g h o s t i s così come d u t i r e altre novità dal
dominio continentale non solo invitano a ripensare la posizione del celtico continentale nella ricostruzione di un’ipotetica nozione di celtico comune, ma mostrano anche più opportuna una concezione di un celtico come farsi con fenomeni comuni
e non di conservazione o evoluzione.
In prospettiva più ampia saranno da indagare i
termini della relazione di *ghosti- del celtico d’Italia con ostio- < *hostio- e hostihavos del venetico,
Hostiducis dell’illirico, Velagosti/Velacosta/Vila gostis del cosiddetto ‘ligure’ e, infine, con le forme in
Gassi del bresciano. Non secondaria sarà la semantica in primis di lat. hostis, quindi di tutte queste
forme più o meno chiare. Recentemente infatti è
stato sottolineato 24 che latino hostis ha avuto primariamente il valore di ‘straniero’ e che quello di
‘nemico’ è innovazione, relativamente tarda, del
latino stesso; pare evidente che *ghostis come elemento di composti onomastici ha qualche difficoltà
a essere ricondotto al valore di ‘nemico’. Con questa
chiave, anche al di fuori del latino, il venetico
hostihavos, già interpretato, con il ricorso alla radice *gho-, come ‘chi evoca il nemico’25, sarà da rileggere come ‘colui che dice = garantisce lo straniero’.
Così, nell’ambito del celtico d’Italia, l’*upomo-gho stis di Prestino sarà ‘colui che sta sopra lo straniero
= che ne è garante’. Anche forme onomastiche semplici (cioè non in composto) come quella di Castelletto Ticino e la nostra di Casalandri, risponderebbero bene al valore ‘straniero’: ritengo comunque
che la trattazione di questi ed altri aspetti semantici e di quanto vi è correlato sia, per ampiezza e complessità, da rimandare ad altra sede.
I TESTI
Propongo l’analisi delle iscrizioni separando
quelle che constano di un unico segno da quelle che
mostrano almeno due o più segni interpretabili.
Pongo a parte quelle che constano di un solo segno
perché ritengo che lo status di questi segni singoli
non sia assimilabile a quello di iscrizioni più lunghe. Infatti mentre anche per iscrizioni di soli due
segni si può pensare a una sigla che si riferisca a
un nome proprio e quindi ad un marchio di proprietà o di fabbricazione, per segni unici e, soprattutto, quasi spesso ripetuti identici su oggetti
diversi, questa ipotesi è difficile.
Come già anticipato la cronologia delle tombe
dalle quali gli oggetti provengono è da porsi alla
prima metà del I sec. a. Cr.
Le schede non conterrranno la descrizione
dell’oggetto supporto dell’iscrizione in quanto questa è reperibile in questo stesso volume.
Ogni scheda contiene dunque:
1) il riferimento al supporto per mezzo del
numero della tomba, del progressivo dei ritrovamenti della tomba stessa e del numero di I.G.;
2) dimensioni, versus, descrizione e lettura
dell’iscrizione;
3) ove possibile un’interpretazione della stessa.
23 Sull’iscrizione di Castelletto Ticino F. M. Gambari-G. Colon-
na, Il bicchiere con iscrizione arcaica...cit.: lì gli editori confrontano osio- con lat. Co(s)sius/Cus(s)sius; per la proposta *gho stio- per la base nominale, A. L. Prosdocimi, Note sul celtico in
Italia, St. Etr. LVII, 1991, pp. 139-177.
2 4 A. L. Prosdocimi, Curia, Quirites e il sistema di
Iscrizioni di segni singoli
1) Su una ciotola (n° 6; I.G. 168740) dalla
tomba 19 (fig. 2), vi è un segno graffito abbastanza
profondo sulla parete esterna appena sopra il
piede; il segno misura cm 2.6 in altezza e cm 1.3 in
larghezza.
Se si tiene la ciotola capovolta, si dovrebbe leggere come e destrorso e con i tratti obliqui, secondo
consuetudine, tirati verso il basso; se l’oggetto è
mantenuto in posizione normale, si legge invece un
e sinistrorso e con i tratti obliqui tirati verso l’alto.
2) Su un vasetto (n° 1; I.G. 98303) dalla tomba
75 (fig. 2), sulla parete esterna è graffito con tratto
superficiale un segno a farfalla; il segno misura cm
1.4 in altezza e cm 1 in larghezza.
3) Su una ciotola (n° 2; I. G. 89319) dalla tomba
96 (fig. 2), sulla parete esterna, appoggiati ad un
solco profondo (qualche impurità trascinata dal
tornio?), sono visibili alcuni tratti che, in quanto
assai superficiali, potrebbero anche essere graffi
casuali; il complesso di tali tratti misura cm 1,2 in
altezza e cm. 1 in larghezza.
Non ritengo plausibile alcuna interpretazione.
Quirino(Populus Quiritium Quirites II) , Ostraka V, n° 2
(dicembre 1996), pp. 243-319, in particolare pp. 286 sgg.. Si
veda anche quanto è in E. Benveniste, Le vocabulaire des insti tutions indo-européennes, Paris 1969.
25 Cfr. G. B. Pellegrini-A. L. Prosdocimi, La lingua venetica,2 voll.,
Padova-Firenze 1967 in particolare vol. I ad Pa 7 e vol. II s. v..
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LA NECROPOLI GALLICA DI CASALANDRI A ISOLA RIZZA (VERONA)
4) Su un vasetto (n° 1; I) dalla tomba 104 (fig. 2),
sulla parete esterna sono presenti alcuni segni che
non hanno carattere casuale ma per i quali non
ritengo plausibile alcuna interpretazione.
Iscrizioni di più segni
5) Su un vasetto (c; I. G. 168745) dalla tomba 19
(fig. 2), sulla parete esterna poco sopra il piede,
sono visibili due segni graffiti abbastanza superficialmente; le dimensioni complessive sono cm 1.6
in altezza e cm 2 in larghezza.
Il primo segno da sinistra ha forma a croce; il
secondo è un segno chiuso formato da tre tratti,
uno dei quali leggermente curvo: O? R? Non ritengo plausibile alcuna interpretazione.
6) Su una ciotola frammentaria (n° 10; I. G.
819149) dalla tomba 28 (fig. 2), sulla parete esterna si trova un’iscrizione composta di sei segni;
l’iscrizione misura complessivamente cm 8 e ha
un’altezza media di cm 3. L’iscrizione è sinistrorsa
e deve essere letta tenendo la ciotola capovolta (la
circostanza non è inusuale: cfr. qui n° 7 e n° 8).
La lettura non crea problemi: keles’u.
I segni non presentano alcuna particolarità a
parte un trascinamento verso il basso sia dei tratti
obliqui, sia, in particolare, di quelli verticali: si
vedano le aste dei segni secondo e quarto (E) nonché i tratti verticali del quinto segno a farfalla. Il
trascinamento verso il basso conferma la posizione
dell’oggetto durante la realizzazione del testo e, di
conseguenza, la posizione capovolta per la lettura e
il versus dell’iscrizione. Come anticipato la forma
keles’u dovrebbe essere un ipocoristico in *-o-n che
rimanda alla radice * k e l - / k e l - “ragen”. Come
minimo per assonanza (solo?) è da richiamare
anche la forma venetica dal Cadore keleka (Ca 1).
7) Su una ciotola (n° 3; I. G. 89272) dalla tomba
58 (fig. 2), sulla parete esterna, appena sopra il
piede si trova un’iscrizione composta di cinque
segni; l’iscrizione misura complessivamente cm 8 e
i vari segni raggiungono un’altezza massima di cm
3.5. L’iscrizione è sinistrorsa e anch’essa, come
quella presentata al n° 6, deve essere letta tenendo la ciotola capovolta.
Si legge kos’io.
Sono presenti numerosi graffi casuali e alcune
linee di frattura; tutti i tratti sono trascinati verso
il basso (a proposito di questa circostanza valgono
le medesime considerazioni esplicitate per il n° 6),
la lettura tuttavia non presenta problemi. Al
momento della mia autopsia (dicembre 1997)
erano visibili solo cinque segni ma ritengo che, una
volta ricomposto il supporto, sarà opportuno verificare se dopo il quinto segno O vi siano le tracce di
un sesto segno, magari S.
La forma kos’io rimanda verisimilmente alla
base *ghosti- già identificata in -kozis dell’iscrizione di Prestino e in osio- di quella di Castelletto
Ticino: v. sopra pp. 145-146.
8) Su una ciotola (n° 1; I. G. 89665) dalla
tomba 94 (fig. 2), sulla parete esterna è presente
un’iscrizione composta di tre segni; l’iscrizione
misura complessivamente cm 3 in lunghezza e ha
un’altezza media di cm 1.6. Il testo è sinistrorso e,
come quelli presentati ai numeri 6 e 7, deve essere letto mantenendo il supporto il posizione capovolta.
Si legge ula.
Il trattino obliquo del secondo segno L è assai
superficiale, quasi invisibile ma esistente.
9) Su una olletta (n° 2; I. G. 89666) dalla tomba
94 (fig. 2), sulla parete esterna, appena sotto il labbro, sono graffiti due segni. L’iscrizione è lunga
complessivamente cm 2 e l’altezza dei segni è di
cm 1.7. L’iscrizione è sinistrorsa e si legge as’.
La sezione finale del secondo segno a farfalla è
graffita in modo superficiale ma è visibile.
10) Su una vasetto (n° 2; I.G. 8968) dalla tomba
106 (fig. 2), sulla parete esterna sono graffiti due
segni.
L’iscrizione è di difficile interpretazione: partendo da sinistra il primo segno potrebbe essere o,
il secondo a o forse e.