Gli emigranti italiani nell`organizzazione sindacale tedesca

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Gli emigranti italiani nell`organizzazione sindacale tedesca
Gian Luigi Bettoli
Gli emigranti italiani
nell'organizzazione sindacale
tedesca attraverso le pagine de
“L'Operaio italiano”.
Pubblicato su “Storia Contemporanea in Friuli, Udine, n.
36, 2005.
Il presente lavoro (che fa parte di un progetto di ricerca
più ampio in fase di svolgimento) è dedicato alle prime fasi
dell’organizzazione degli operai italiani emigrati in Germania da
parte del sindacato edile tedesco. L’obiettivo è quello di
confrontare la storia dell’esodo della maggioranza della
popolazione attiva regionale con quella delle strutture
organizzative che, soprattutto all’estero, hanno favorito la
crescita sociale e la maturazione culturale degli italiani,
contribuendo a trasformare una massa inerte alla ricerca di
fortuna in una forza cosciente e compatta.
E’ nota l’acculturazione che ha portato soprattutto gli
emigranti della montagna friulana a riportare in patria - oltre ad
una crescita professionale di tutto rispetto, e ad un
miglioramento di status che spesso trasformò, anche nell’arco di
una sola generazione, giovani garzoni in grandi imprenditori una formazione politica di stampo socialista mutuata dalla
socialdemocrazia
europea,
soprattutto
germanica
ed
austroungarica. In gran parte tutte da studiare sono però le
modalità di questa acculturazione, cui tanto devono la
formazione del Partito Socialista e dell’organizzazione sindacale e
cooperativistica di classe in Friuli (e parallelamente in altri
territori, come hanno dimostrato gli studi di Anna Rosada sul
Feltrino e l’emigrazione in Svizzera1).
Durante questo lavoro di ricerca sulle origini del
socialismo e del movimento operaio nel Friuli Occidentale, mi
sono più volte imbattuto in riferimenti continui a persone,
organizzazioni, organi di stampa, che seguono con continuità lo
sviluppo di una capillare rete di sezioni territoriali, anche in
1
ROSADA, Anna, Emigranti e socialisti feltrini nel primo decennio del
Novecento, in: Studi Storici, anno V, n. 4, Roma, Istituto Gramsci, 1964,
pp. 691-729.
paesi sperduti della nostra realtà regionale. E’ così che è
nato l’interesse per i percorsi umani di un gruppo di
sindacalisti multinazionali come lo svizzero Giovanni
Valär, i triestini-asburgici Antonio Gerin 2 e Giuseppe
Podgornik 3 e gli italiani, a volte quasi sconosciuti, che con loro
hanno lavorato: i friulani Augusto Vuattolo ed Antonio Bellina,
ma anche Luigi Bossi, Giuseppe Bianchi, Vittorio Buttis,
Giuseppe Borghesio ed altri, oltre ovviamente (ma si tratta di
persone note e studiate, almeno in ambiente locale) ai due veri e
propri apostoli dell’organizzazione degli emigranti friulani,
Giovanni Cosattini ed Ernesto Piemonte 4.
I loro sentieri personali mi hanno condotto fino ad alcune
intersezioni, prodotte dalle scelte dei partiti dell’Internazionale
Socialista in materia di organizzazione degli emigranti italiani, e
dal successivo lavoro dei sindacati, soprattutto tedeschi.
L’esistenza di un quindicinale del sindacato edile tedesco
dedicato agli immigrati dalla penisola, come L’Operaio Italiano, si
è rivelato uno stimolo insostituibile per addentrarsi nei meandri
di una delle due organizzazioni portanti (insieme alle Trade
Unions inglesi) del sindacalismo europeo dell’epoca. Che
2
Cfr. la scheda biografica redatta da Enzo Collotti in: ANDREUCCI,
Franco e DETTI, Tommaso, Il movimento operaio italiano. Dizionario
biografico. 1853/1943, Roma, Editori Riuniti, 1975-1979, secondo volume,
pp.
466-468;
CATTARUZZA,
Marina,
Socialismo
adriatico.
La
socialdemocrazia di lingua italiana nei territori costieri della Monarchia
asburgica: 1888-1915, Manduria, Lacaita, 1998, pp. 36-38; PIEMONTESE,
Giuseppe, Il movimento operaio a Trieste, Roma, Editori Riuniti, 1974, in
particolare pp. 140-142; RENZULLI, Aldo Gabriele, Economia e società in
Carnia fra 800 e 900. Dibattito politico e origini del socialismo, Udine,
Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1978, pp. 225
e 259; RAGIONIERI, Ernesto, Italiani all’estero ed emigrazione di lavoratori
italiani: un tema di storia del movimento operaio, in: Belfagor, anni XVII,
1962, pp. 652-653.
3
Podgornik, per altro di madrelingua italiana per via di adozione, vedrà
il suo cognome trasformato dal fascismo in Piemontese, durante la politica
di italianizzazione forzata della toponomastica e dei cognomi sloveni, croati
e tedeschi dei territori occupati nel 1918. Su Podgornik/Piemontese, cfr.
PIEMONTESE, cit., in particolare la Nota autobiografica alle pp. 13-21,
nonché la scheda biografica redatta da Enzo Collotti in: ANDREUCCI-DETTI,
cit., volume quarto, pp. 193-195. Ad aumentare la confusione, i fascicoli
conservati all’Archivio Centrale dello Stato, sia quello del Casellario
Politico Centrale (b. 3953, f. 23011) che quello della Polizia Politica (pacco
1018, f. 8), sono intestati a Giuseppe Piemontesi.
4
Su Giovanni Cosattini, cfr. la biografia di: ALATRI, Paolo, Giovanni
Cosattini (1878-1954). Una vita per il Socialismo e la Libertà, Tricesimo,
Aviani, 1994; su Giuseppe Ernesto Napoleone Piemonte, cfr. : ANDREUCCIDETTI, cit., volume quarto, pp. 136-139; MALATESTA, Alberto, Ministri,
deputati, senatori dal 1848 al 1922, 3 volumi, Milano, Enciclopedia
Biografica Bibliografia Italiana, Istituto Editoriale Italiano Bernardo Carlo
Tosi, 1940-1941 (volume primo, p. 290 per Cosattini; volume secondo, p.
319 per Piemonte); RINALDI, Carlo, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a
Montecitorio dal 1919 alla Costituente, 2 volumi, Trieste, Regione
Autonoma Friuli-Venezia Giulia, 1983 (volume primo, pp. 255-265 per
Cosattini; volume secondo, pp. 535-544 per Piemonte); GROSSUTTI, Javier e
MICELLI, Francesco (a cura di), L’altra Tavagnacco. L’emigrazione friulana
in Francia tra le due guerre, Tavagnacco, Amministrazione Comunale,
2003, in particolare pp. 62-88 e 233-238.
l’organizzazione degli immigrati fosse tutt’altro che secondaria
per il sindacato tedesco, è provato anche dal fatto di trovare alla
testa del quindicinale addirittura Carl Legien, il principale
dirigente della confederazione, anche se la gestione effettiva del
giornale passerà a sindacalisti italiani o bilingui come Valär,
Podgornik, Vuattolo, Bianchi e Bossi 5.
Ancora nel lontano 1962 Ernesto Ragionieri, in uno studio
pionieristico sul ruolo degli emigranti italiani nei movimenti
operai dei paesi di emigrazione, indicava l’utilità dello studio
sistematico in primo luogo proprio de L’Operaio Italiano. Lui
stesso lavorò poi su quello che può essere considerato un fratello
minore del periodico tedesco, cioè l’austriaco L’Operaio edile. Ma
ancora nel 1990 la stessa indicazione doveva venir ripresa da
Antonio Casali, secondo il quale da esaminare con una certa
attenzione sarebbero anche i rapporti fra le organizzazioni
sindacali germaniche e quelle italiane, in particolare le iniziative
comuni contro il crumiraggio, per l’informazione attorno alla
legislazione sociale vigente, nonché sui diritti e doveri
dell’emigrante 6.
Nel frattempo, solo due studi sono stati prodotti, e resi
disponibili per il pubblico italiano, sugli immigrati dal nostro
paese nel movimento operaio tedesco in epoca guglielmina:
quello di Hermann Schäfer, presentato ad un convegno nel 1982,
e quello di Martin Forberg, pure presentato ad un convegno,
esattamente dieci anni dopo 7. Globalmente, i pur numerosi e
significativi studi sul movimento operaio italiano nei paesi di
emigrazione - con riferimento al periodo precedente la Prima
guerra mondiale - trascurano quella che è la principale realtà del
socialismo internazionale con la quale vengono a confrontarsi i
nostri connazionali. Per altro, questi studi tendono a risentire di
un’eccessiva settorializzazione, per cui possiamo trovare studi
sul partito o sul sindacato, oppure sull’Umanitaria oppure
5
Su Carl Legien, cfr. la nota biografica alle pp. 184-185 di AGOSTI, Aldo
(a cura di), Enciclopedia della sinistra europea nel XX secolo, Roma, Editori
Riuniti, 2000.
6
RAGIONIERI, Ernesto, Italiani all’estero, cit., pp. 640-669 (l’indicazione
riferita è a p. 666); RAGIONIERI, Ernesto, Il movimento dei lavoratori italiani
emigrati nell’impero asburgico in un giornale sindacale di lingua italiana
“L’Operaio Edile” (1910-1914), in: Movimento Operaio e Socialista, Genova,
anno X, n. 3-4, luglio-dicembre 1964, pp. 197-218; CASALI, Antonio,
Emigrazione politica ed economica in Italia nell’età della Seconda
Internazionale, in: DEGL’INNOCENTI, Maurizio (a cura di), L’esilio nella storia
del movimento operaio e l’emigrazione economica, Manduria-Bari-Roma,
Lacaita, 1992, pp. 151-169 (il passo citato è ripreso da p. 157).
7
SCHÄFER, Hermann, L’immigrazione italiana nell’Impero tedesco (18901914), in: FONDAZIONE BRODOLINI (a cura di Bruno Bezza), Gli italiani fuori
d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione
(1880-1940), Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 737-762; FORBERG, Martin,
Manodopera italiana e sindacati tedeschi nell'impero (1890-1916). Note su
un rapporto precario, in: PETERSEN, Jens (a cura di), L'emigrazione tra Italia
e Germania, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1993, pp. 45-62. E' degno di
nota che ambedue questi resoconti siano stati presentati nel corso di
iniziative organizzate dalle istituzioni di ricerca del socialismo italiano e
tedesco (Fondazione Brodolini nel primo caso, Fondazioni Turati ed Ebert
nel secondo).
ancora sui cattolici, con un riferimento prevalente alla realtà
italiana e solo in secondo luogo a quella delle organizzazioni
straniere con le quali gli italiani vengono in contatto. Predomina
l’attenzione per la dimensione teorica ed il dibattito negli
organismi dirigenti, con scarso riferimento alle condizioni sociali
dei lavoratori ed alla concretezza dell’azione politica sindacale
locale 8.
Più in generale sembra, come ha affermato Luciano
Trincia, che il quadro di riferimento generale offerto dalla
storiografia italiana sul tema della tutela e dell'assistenza
all'emigrazione continentale abbia finora privilegiato gli aspetti per
così dire “italocentrici” della questione, esaurendo la propria
curiosità interpretativa all'ambito nazionale. E' pur vero che a un
ambito nazionale si sono limitati gran parte dei contributi degli
studiosi tedeschi della storia dell'immigrazione in Germania. Ciò
non toglie tuttavia che il muoversi in un'ottica comparata,
abbandonando una visuale puramente e unicamente nazionale,
permetterebbe di introdurre categorie più ampie e di superare un
certo campanilismo interpretativo. Il caso della tutela e delle
iniziative di sostegno a favore dell'emigrazione continentale è
emblematico. Il punto di partenza e di arrivo di gran parte delle
analisi apparse nella storiografia in lingua italiana è la struttura
associativa del paese di origine e non il contesto sociale, politico,
giuridico o religioso del luogo di destinazione dove gli interventi
venivano canalizzati. Un'analisi multidimensionale che colleghi le
strutture e le realtà sociali, religiose e politiche del paese di
provenienza e di destinazione permetterebbe invece di cogliere il
più ampio orizzonte nel quale l'emigrante si muoveva e di
interpretare le strategie di sostegno in un contesto più vasto 9.
E' necessaria una lettura organica del fenomeno
migratorio, sotto l’aspetto della storia sociale e di una vita
quotidiana nella quale le persone hanno costruito la loro identità
politica e sindacale. Identità plurale, che ha prodotto
progressivamente la formazione di “altre Italie” in patria ed
all’estero, in rapporto alle diverse stratificazioni sociali,
produttive, culturali, di potere della diaspora migratoria.
Recependo l’impostazione comparativistica di Donna Gabaccia,
appaiono importanti i lavori dedicati a specifiche comunità
italiane, come quelli di Peter Manz su Basilea e di Elia Morandi
su Amburgo, senza scordare lo studio di Marina Cattaruzza sulla
Trieste asburgica, che era allora uno dei principali luoghi di
8
Alcuni esempi di studi: ROSADA, Anna, Serrati nell’emigrazione 18991911, Roma, Editori Riuniti, 1972 (sulla Svizzera, letta attraverso la lente
della biografia del principale esponente del socialismo massimalista);
PARIS, Robert, L’Italia fuori d’Italia, in: ROMANO, Ruggiero e VIVANTI,
Corrado (a cura di), Storia d’Italia, volume quarto, Dall’Unità ad oggi, tomo
primo, pp. 509-552 e PARIS, Robert, Le mouvement ouvrier français et
l’immigration italienne (1893-1914), in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pp. 635678 (sulla Francia, con attenzione particolare all’immagine sociale
dell’immigrato); il già citato studio di Ragionieri del 1964 (sull’Austria).
9
TRINCIA, Luciano, L'immigrazione italiana nell'Impero tedesco fino alla
prima guerra mondiale, in: Studi emigrazione, Roma, anno XXXIII, n. 123,
1996, pp. 370-390; la citazione è ripresa dalle pp. 387-388.
arrivo dell’emigrazione “regnicola” 10.
Questo lavoro vuole essere un
contributo alla
ricostruzione della storia dei lavoratori migranti. Il limite
costituito dall’essere la fonte principale di tipo giornalistico, non
annulla la grande messe di dati, relativi sia alle strutture
sindacali italiane, tedesche e di altri paesi, sia alle condizioni di
lavoro, di vita, associative, di mentalità, di genere, degli italiani
in Germania (e secondariamente in altri paesi). Che si sono
confrontati con i diversi approcci assistenziali, relazionali ed
organizzativi delle varie correnti ideali, aggregandosi con
modalità ancora in gran parte da studiare.
L’Operaio Italiano.
La lungimiranza dell’Istituto friulano per la Storia del
Movimento di Liberazione, che fin dalle origini ebbe l’accortezza
di acquisire le copie fotostatiche del periodico, conservate presso
l’archivio della Società Umanitaria di Milano insieme ad altro
materiale prodotto dal Segretariato dell’Emigrazione di Udine 11,
mi ha permesso di conoscere di prima mano questa pagina di
storia quasi dimenticata, ma così attuale: non è ancora giunto il
momento in cui questa esperienza sarà emulata dal sindacato
italiano odierno, nel suo difficile lavoro di organizzazione dei
lavoratori migranti che popolano le nostre contrade.
Il periodico, Giornale quindicinale degli operai muratori,
carpentieri, scalpellini ed altri in genere, esce sabato, ogni quindici
giorni. La redazione è ad Amburgo. Il giornale è sorto verso la
metà del 1898 (...) per opera della “Commissione generale dei
sindacati professionali della Germania” e viene diretto fino
10
GABACCIA, Donna R., Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo
a oggi, Torino, Einaudi, 2003 (originale inglese Italy’s Many Diasporas,
2000); CATTARUZZA, Marina, La formazione del proletariato urbano.
Immigrati, operai di mestiere, donne a Trieste dalla metà del secolo XIX alla
prima guerra mondiale, Torino, Musolini, 1979; MANZ, Peter, Emigrazione
italiana a Basilea e nei suoi sobborghi 1890-1913. Momenti di contatto tra
operai immigrati e società locale, Comano, Alice, 1988; MORANDI, Elia,
Italiener in Hamburg. Migration, Arbeit und Alltagsleben vom Kaiserreich bis
zur Gegenwart, Frankfurt, Peter Lang, 2004.
11
Presso l’Ifsml è conservata copia del materiale dell’Umanitaria
riguardante l'organizzazione dei lavoratori friulani emigranti nei primi anni
del Novecento. Su questo fondo archivistico, cfr.: DOMENICALI, Ines, Sezione
“Emigrazione” dell’Archivio della Società Umanitaria di Milano, in: Storia
contemporanea in Friuli, anno XII, n. 13, Udine, Istituto friulano per la
Storia del Movimento di Liberazione, 1982, pp. 159-160. Recentemente
l'Ifsml ha acquisito dall'Umanitaria una copia microfilmata del periodico;
altre sono conservate presso la Società Umanitaria e la Biblioteca
comunale centrale di Palazzo Sormani a Milano.
Purtroppo la collezione del giornale, probabilmente portata a
Milano da Valär ai tempi della sua assunzione come responsabile
dell’Ufficio emigrazione dell’Umanitaria, manca delle annate 1898-1899 e
1908-1914 e non è stato possibile finora individuare il fondo archivistico o
la biblioteca presso la quale possono essere conservate: quanto a nostra
disposizione costituisce comunque un materiale di studio significativo,
finora utilizzato in modo non sistematico. Questa prima relazione è stata
compilata sulla base dell’esame delle annate 1900 e 1901.
all'inizio del nuovo secolo da Oscar Wolff. Esplicito lo scopo del
giornale: Gl'imprenditori attirano annualmente diecimila operai
italiani in Germania (...) unicamente per servirsene come
strumenti nella lotta che sostengono contro la classe operaia
tedesca, e le sue tendenze emancipatrici. Nostro compito è dunque
di rendere consapevoli i fratelli italiani a quali ignobili fini essi
debbono servire, e trasformarli da poveri strumenti incoscienti
nelle mani dei capitalisti, in valorosi soldati militanti nel grande
esercito del proletariato, combattente per la sua libertà. (...) Per
ora soltanto pochi degli italiani che vengono a lavorare in
Germania corrispondono entrando nelle organizzazioni tedesche al
sentimento di solidarietà espresso dagli operai tedeschi
organizzati, colla pubblicazione di un giornale scritto nella loro
madre-lingua 12.
L’Operaio Italiano continuerà la sua attività fino allo
scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914, trasferendo la
sua sede a Berlino nel 1906, a causa dell’espulsione da Amburgo
del redattore Giovanni Valär ed avendo successivamente come
direttori il triestino Giuseppe Podgornik (dal 1907 al 1912), il
friulano Augusto Vuattolo nel 1912-13, e Luigi Bossi dal luglio
1913 al marzo 1914. Podgornik sarà nuovamente direttore per
breve tempo nel 1914, prima della chiusura bellica. Non è chiaro
in quali anni abbia svolto l'attività di redattore del giornale il
milanese Giuseppe Bianchi 13.
Assolutamente particolare è il rilievo dato alle iniziative
promosse in terra friulana: praticamente è L’Operaio Italiano il
periodico nel quale apprendiamo per la prima volta - in
mancanza ancora di organi di stampa autonomi del partito o del
sindacato in provincia di Udine - della costituzione di organismi
o dell’attività di persone che faranno la storia dei decenni
successivi, soprattutto in Carnia: come il circolo socialista della
Val Pesarina od il Segretariato dell’Emigrazione, ma anche i
comizi di Giovanni Battista Burba di Ampezzo. Ci sono pure le
semplici corrispondenze e richieste di informazioni, come quelle
che riguardano il muratore Giuseppe Zilli di Mediis di Socchieve
oppure lo sloveno-asburgico Valentino Zaharia di Nabresina (per
gli italiani Aurisina) nel Triestino. E pure da quelle pagine
arriveranno in Friuli i primi appelli all’iscrizione nelle liste
elettorali, per poter votare i propri candidati alle prossime
elezioni. Se, leggendo la storia del socialismo friulano in patria,
questi episodi si perdono nelle nebbie dei primordi, visti invece
da Amburgo essi sembrano il naturale precipitato di lunghi anni
12
L’Operaio Italiano, n. 1 del 13 gennaio 1899 (corretto a mano in
1900), p. 1, Compagni, editoriale di Oscar Wolff, 2 del 24 gennaio 1900, p.
1, Ai nostri lettori!, editoriale di C. Legien, ed 1 del 5 gennaio 1901, pp. 1-2,
Sulla soglia del quarto anno, articolo siglato Vugi.
13
Su Valär, oltre alle citazioni in tutte le opere che accennano a
L’Operaio Italiano, cfr. il fascicolo in: Archivio Centrale dello Stato,
Direzione Polizia Politica, Fascicoli Personali, pacco 1397, f. 34, relazione
dattiloscritta dell’informatore n. 210, Berlino, 1° marzo 1932; sulla
direzione Piemontese, cfr. PIEMONTESE, cit., pp. 16-17; su Augusto Vuattolo
e Luigi Bossi, cfr. FORBERG, cit., p. 55; su Giuseppe Bianchi cfr. la scheda
biografica, a cura di Tommaso Detti, in: ANDREUCCI-DETTI, cit., volume
primo, pp. 283-285.
di lavoro educativo ed organizzativo dei compagni tedeschi 14.
L’Operaio Italiano viene anche diffuso fra gli operai
dell’Impero asburgico, come testimoniano i primi due
abbonamenti sottoscritti dal Sindacato degli scalpellini di
Salisburgo nell’assemblea del gennaio 1900 15.
Altra
testimonianza del rapporto fra questa iniziativa tedesca ed il
socialismo asburgico è l’annuncio, con grande rilievo, dell’avvio
delle pubblicazioni del quotidiano del partito socialista trentino Il
Popolo a partire dal 7 aprile 1900, pubblicizzato in quanto è
l’unico giornale democratico di lingua italiana che possa arrivare
freschissimo in tutta la Germania, dalla quale ha frequenti
corrispondenze. Secondo Forberg, il giornale nasce proprio da
una collaborazione fra i sindacati dei due imperi centrali, per
rispondere all'esigenza non solo di organizzare gli emigranti
italiani, ma anche i cechi che emigrano dal territorio asburgico
in Germania 16.
L’Operaio Italiano è anche momento di contatto con la
Svizzera, grazie ai legami storici fra le due organizzazioni
sindacali edili. L’organizzazione dei socialisti italiani in quel
paese è ben ramificata, come dimostra l’elenco di 57 recapiti
pubblicato nel maggio 1901. Solo a Ginevra si indica che la
sezione socialista ha un locale proprio, mentre in tutti gli altri
casi organizzazioni politiche e sindacali hanno sede presso
abitazioni private, caffè, mense, birrerie, ristoranti. A sottolineare
una comune appartenenza, a sua volta nazionale ed
internazionalista, il circolo di Interlaken è intitolato ad Anna
Kuliscioff, la socialista russa che (come la connazionale Angelica
Balabanoff in una fase successiva) aveva soggiornato a lungo in
Svizzera, prima di stabilirsi in Italia e diventare una delle più
autorevoli dirigenti del Psi 17.
Alcuni dati sul giornale, che nel 1906 diventa settimanale:
nel 1898-1899 si stampano fra le 1.200 e 3.000 copie; nel 1900
viene tirato in 5.000 copie, ed ha un pubblico presunto del
doppio. Si ipotizza che sui 10.000 lettori teorici non più dell’1%
leggano anche altri giornali, e per questo è giustificata la
riproduzione di articoli importanti da altri organi di stampa, che
14
L’Operaio Italiano, n. 11 del 2 giugno 1900, p. 6, Il Primo Maggio a
Prato Carnico, articolo siglato G.G., 16 dell’11 agosto 1900, p. 8, Avviso e
14 del 6 luglio 1901, p. 8, Avviso, 25 del 22 dicembre 1900, pp. 6-7, Come
si diventa elettori, 4 del 16 febbraio 1901, pp. 6-7, Echi d’Italia. Articolo
siglato P.M. La richiesta di effettuazione delle elezioni nei mesi invernali,
per permettere la partecipazione degli emigranti stagionali, sarà una forte
e continua rivendicazione socialista, con agitazioni che culmineranno una volta conquistato il suffragio universale maschile - negli anni
precedenti la guerra.
15
: L’Operaio Italiano, n. 2 del 24 gennaio 1900, p. 7, Austria. Movimento
fra gli operai addetti all’arte edilizia nel 1899: Salisburgo. Fra i nuovi
amministratori del sindacato ce ne sono alcuni di sicura origine italiana (è
poi da vedere se regnicoli o del Friuli austriaco), come il bibliotecario
Giuseppe Nanut ed il revisore Sebastiano Bosa.
16
L’Operaio Italiano, n. 7 del 7 aprile 1900, p. 8 e 16 dell’11 agosto
1900, p. 8, Il popolo. Giornale socialista quotidiano; FORBERG, cit, pp. 5354.
17
L’Operaio Italiano, n. 10 dell’11 maggio 1901, pp. 7-8, Indirizzi delle
Sezioni socialiste e dei Sindacati Operai nella Svizzera.
altrimenti rimarrebbero ignoti a chi ha come sola lettura
L’Operaio Italiano. La diffusione negli anni successivi tende a
salire, pur con stime
contraddittorie, che risentono
probabilmente delle variazioni degli stessi flussi migratori: se nel
1904 si stampano fra le 2.100 e 4.900 copie, nel 1908 si
arriverebbe a 15.800 copie secondo Schäfer (che cita una fonte
ufficiale del sindacato, così come Forberg, che però anticipa
questa valutazione all'estate del 1907), mentre per Renzulli, in
quello stesso anno, ne sarebbero state stampate 10.444, e per
Forberg solo 7.783. Nel 1911 le copie del settimanale
ascenderebbero a 9.332 e nel 1913 a 10.202. 18.
L’ingordigia della classe operaia:
l’emigrazione temporanea.
L’emigrazione italiana in Europa (a differenza di quella
diretta nelle Americhe) è composto essenzialmente da operai
stagionali, che partono in primavera per rientrare a fine anno.
Nettamente prevalente fra i friulani ed i veneti - in particolare
nelle aree montane dove si è strutturata una avanzata
professionalità nei diversi mestieri dell’edilizia - è proprio
l’emigrazione temporanea in Europa, che arriva ad un tasso
regionale dell’81% di tutti gli emigranti del quarantennio 18761914 19.
In Germania il numero degli italiani immigrati sfiora
ufficialmente i 70.000 nel 1900: ma secondo Schäfer le modalità
di rilevazione sono discutibili e le stime reali possono arrivare
quasi al doppio. Cosattini, nell’elaborare la sua tesi, si trova pure
a dover correggere notevolmente le cifre ufficiali, arrivando alla
valutazione di circa 80.000 emigranti dalla provincia, pari al
13% della popolazione. Di essi approssimativamente fra i 19.000
ed i 33.000 si dirigono certamente nel territorio dell’Impero
Asburgico, mentre sono fra gli 11.000 ed i 18.000 circa quelli
che raggiungono la Germania (stime per il 1900-1902). E’
evidente il ruolo importante dell’emigrazione friulana nel mondo
germanico 20.
Un episodio narrato dal redattore de L’Operaio Italiano
Giovanni Valär, ricordo del periodo giovanile passato sulla costa
livornese, introduce meglio di qualunque altro al conflitto sociale
e di mentalità che porta decine di migliaia di italiani, a varcare
ogni primavera le Alpi per recarsi in cerca di miglior fortuna nelle
contrade d’Europa soggette a più avanzati tassi di sviluppo
18
L’Operaio Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, p. 2, Senza titolo.
Dialogo fra Tonio Brontoloni e Beppe Ragionevoli; SCHÄFER, cit., p. 755;
RENZULLI, cit., p. 257; FORBERG, cit, p. 53.
19
GABACCIA, cit., tabella a p. 88;
20
SCHÄFER, cit. pp. 741-747; COSATTINI, Giovanni, L’emigrazione
temporanea del Friuli, Trieste-Udine, Direzione Regionale del Lavoro,
Assistenza Sociale ed Emigrazione della Regione Autonoma Friuli-Venezia
Giulia, 1983, pp. 13 e 42-43. Per un rassegna dei dati complessivi
sull'emigrazione italiana in Germania, cfr.: DEL FABBRO, René, Emigrazione
proletaria italiana in Germania all'inizio del XX secolo, in: PETERSEN, cit.,
pp. 27-44 e TRINCIA, cit.
economico: Ricordo che alcuni anni fa, in una delle più amene
città balnearie della Toscana, parlando con un giovine proprietario
del Polesine di alcuni moti sorti proprio allora fra i contadini di
quella regione per avere qualche centesimo di più al giorno, glie ne
chiedevo la ragione, ed egli mi rispondeva: “Creda pure, la colpa
di tutto è l’incontentabilità de’ nostri contadini! Si può fare quel
che si vuole per loro, ma tutto è inutile. Una volta erano più
modesti; oggi vogliono avere tutti l’orologio per le feste, il vestito di
panno, il giornale, e un’infinità di altre cose che i vecchi neppure si
sognavano. Le paghe non sono spropositate (mi pare che fossero
75 o 80 cent. al giorno), ma, dati i tempi, neppure cattive, e senza
questi lussi (!!) sarebbero sufficenti per vivere. Ma con tutte queste
nuove esigenze come è possibile di andare avanti?” e giù un
sospirone, e qualche frase monca contro i mestatori e i pescatori
nel torbido. Questi argomenti del giovine proprietario, che, fra
parentesi, co’ denari che i suoi contadini a furia di fatica e di
sudore di sangue strappavano per lui dalla terra, si godeva
allegramente la stagione de’ bagni, si sentono ripetere tutti i giorni
dagl’imprenditori e dai padroni industriali contro l’intera classe
lavoratrice (...).
Sarebbe ridicolo per parte nostra se volessimo sostenere
contro di loro che negli ultimi anni le esigenze delle classi
lavoratrici non siano cresciute rapidamente. Tutt’altro! Il
lavoratore moderno, operaio o contadino che sia, non se ne sta
più umilmente in disparte ad aspettare ciò che la buona grazie del
padrone si compiace di concedergli. Un gran numero di questi
paria, per merito specialmente dell’influenza educatrice delle
organizzazioni, si sono svegliati, hanno acquistata coscienza di
sé, capiscono il valore de’ tesori che le loro mani industriose
producono, o scavano dalle viscere della terra, e vogliono, esigono
e reclamano la parte che è loro dovuta dei beni della vita. Chi può
dar loro torto? (...). I borghesi incapaci di sollevarsi per un
momento solo al di sopra del loro tornaconto individuale, e abituati
a giudicare tutti i fatti che succedono loro d’intorno unicamente
alla stregua del maggiore o minore profitto che possono ricavarne,
non sanno comprendere che il desiderio dell’orologio pel
contadino, del cappellino elegante per l’operaia di fabbrica, del
vestirsi meglio e più pulitamente nelle ore libere è magari quello di
circondarsi possibilmente di tutte le comodità che l’industria
moderna ha saputo creare, non è già bassa ingordigia, ma
espressione pura e semplice di quella tendenza verso il meglio che
è innata nell’uomo, e che si sviluppa appena che la sua mente e il
cuore cominciano a liberarsi dai pregiudizi del passato e dai bassi
istinti della miseria, e che è stata, ed è, e sarà sempre pel genere
umano la vera ed unica fonte di progresso. Così è, checché se ne
dica; e tutti coloro che veramente hanno un po’ d’intuizione atta a
comprendere questi fatti non può fare a meno di riconoscere che
ogni nuova esigenza della classe lavoratrice è un nuovo passo in
avanti sulla via della civiltà. La rinunzia a quanto vi ha di buono e
di bello nella vita che il capitalismo esige dagli operai, non
sarebbe che un punto fermo al progresso, un ritorno alla barbarie
primitiva. La formola “esigere e godere”, che si può considerare
come la divisa del movimento operaio moderno, indica all’umanità
la via verso un perfezionamento intellettuale e morale sempre
maggiore, ed apre nuove vie alle industrie, e si potrebbe anche
dire la quintessenza dell’economica politica 21.
L’emigrazione temporanea soppianta con l’inizio del nuovo
secolo quella transoceanica: secondo un corrispondente dalla
provincia di Padova di un giornale borghese di Milano, essa
assume di giorno in giorno proporzioni vastissime, estendendosi
perfino alle donne, che trovano lavoro negli stabilimenti di filatura
del Baden, ove “le operaie percepiscono paghe superiori a quelle
che loro vengono date nei nostri paesi”. Secondo L’Operaio
Italiano la causa di questo fenomeno è da ricercarsi nella
differenza dei salari pagati all’estero, e nelle migliori condizioni di
lavoro, rispetto all’Italia: L’operaio che emigra in Austria o in
Germania riesce a mandare a casa risparmi di qualche entità e
quando ritorna in patria, se vuole ritornare, viene sempre bene
provveduto. Da questo lato, quindi, principalmente la questione
dev’essere studiata, e non va trascurato che i giovani, le braccia
robuste, i migliori lavoratori, dànno il maggiore contingente alla
emigrazione temporanea” 22.
Da nomadi sottosviluppati ad operai coscienti:
il lavoro dell’Internazionale Socialista.
Gli emigranti italiani all’estero sono percepiti dagli altri
movimenti operai innanzitutto per la loro arretratezza materiale
e politica. Quando si parla degli italiani dell'epoca della Grande
Emigrazione, fra i decenni successivi all'unità del nuovo stato
sabaudo e la Prima guerra mondiale, è opportuno sfatare una
serie di miti che si sono formati in anni recenti nel nostro paese.
Il convergere dell'individualismo egoistico - prodotto della società
dei consumi - e della svalutazione della dimensione sociale
collettiva da parte dell'ideologia neoliberista, hanno dato
giustificazione alle pulsioni razziste nei confronti dei nuovi
immigrati in Italia. Ciò anche grazie ad un'operazione di amnesia
di massa, costruendo il mito degli italiani emigrati all'estero, da
sempre, in condizioni di regolarità e professionalità,
contrapposte alla situazione di precarietà vissuta dagli
immigrati.
Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera
autore di alcuni significativi libri di divulgazione dedicati al tema
dell'emigrazione italiana, sfata facilmente questa leggenda
reazionaria, che tende a nobilitare i duri sacrifici dei nostri
ascendenti solo per meglio sfruttare i nostri nuovi concittadini.
Quella dell'emigrazione del secolo che abbiamo alle nostre
spalle, e che ha portato 26 milioni di italiani a spostarsi
all'estero fra gli anni '70 dell'Ottocento e lo stesso decennio del
Novecento, è stata purtroppo (anche) una storia di miseria, di
arretratezza, di condizioni di vita, istruzione e salute inadeguate,
di violenza e di delinquenza diffuse. Clandestinità, viaggi su vere
e proprie “carrette dei mari”, sfruttamento dei minori e delle
21
L’Operaio Italiano, n. 5 del 2 marzo 1901, L’ingordigia della classe
operaia, articolo siglato Vugi e datato Amburgo 22 febbraio 1901.
22
L’Operaio Italiano, n. 6 del 16 marzo 1901, pp. 4-5, Perché s’emigra
d’Italia?
donne, mafie, crumiraggio ed altre forme di parassitismo nei
confronti dei propri connazionali e dei nuovi compagni di vita
sono stati aspetti diffusi e significativi dell'emigrazione italiana.
Una condizione di vita che diventa oggetto di razzismo, di
disprezzo, di violenze diffuse, di campagne organizzate di ostilità
e di provvedimenti di chiusura degli sbocchi migratori da parte
dei paesi di emigrazione 23.
Ne L’Operaio Italiano troviamo drammatiche descrizioni di
come le risorse nazionali vengano distorte dal benessere sociale,
per mantenere una struttura statale arretrata ed oppressiva,
nella quale vengono privilegiate le spese militari, quelle per le
avventure coloniali e quelle per la corona. Quanto ad
alfabetizzazione, mentre la Germania conta il 2,45% di
analfabetismo, l'Italia arriva al 52,93% 24. Chi emigra, si porta
dietro una situazione igienica scadente, con vere e proprie
malattie endemiche derivanti dalla mancanza di igiene nelle
abitazioni e dalle brutali condizioni di lavoro nelle fabbriche e nei
campi: come la tubercolosi, la malaria, la pellagra, cui si
aggiungono le nuove tare prodotte dall’industrialismo e
dall’emigrazione, come l’alcolismo e - eccezionale per incidenza
in Friuli - la sifilide 25.
Gli italiani che emigrano hanno alle spalle una condizione
di sottomissione e sottoalimentazione: situazione che li induce a
lavorare per orari interminabili, retribuzioni basse e pasti
frugalissimi, suscitando la riprovazione dei compagni di lavoro
stranieri, che si vedono così sottoposti ad una dura pressione
salariale. I consumi alimentari degli italiani sono bassissimi
rispetto alle popolazioni dei paesi di emigrazione: gli italiani
mangiano poco frumento e troppo mais (l’alimentazione a base di
sola polenta causa la pellagra), poca carne e uova, pochissimo
zucchero e sale. A ridurre i loro consumi sono le tassazioni
imposte dalla monarchia sabauda, che gravano pesantemente
sul grano, lo zucchero ed il sale, beni pur prodotti
23
STELLA, Gian Antonio, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi,
Milano, Rcs, 2004 (quarta edizione aggiornata: la prima è del 2002); ID,
Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore, Milano, Corriere della
Sera, 2004. Un limite dei pregevoli lavori di Stella è la sottovalutazione del
ruolo del movimento sindacale e del socialismo italiano ed internazionale
nell'organizzazione e promozione delle condizioni di vita degli emigranti.
24
L’Operaio Italiano, n. 3 del 10 febbraio 1900, p. 5, Un de’ nostri
primati. Dove vanno i quattrini? e 22 del 3 novembre 1900, p. 4, Per istruire
e per uccidere gli uomini.
25
L’Operaio Italiano, n. 10 del 19 maggio 1900, pp. 3-4, Chi muore di
tubercolosi? - Perché? (articolo del socialista prof. prof. Rossi-Doria ripreso
dall'Avanti!); 24 dell’8 dicembre 1900, pp. 5-6, Come si potrebbe spendere
bene il danaro pubblico (si tratta di un articolo, ripreso dalla Parola dei
poveri, che riprende le tesi dell’igienista e parlamentare radicale prof.
Angelo Celli, docente dell’Università di Roma); 15 del 28 luglio 1900, p. 4,
Come sono trattati gli italiani. Ai compagni d’Italia, corrispondenza da
Wiesbaden siglata B.V.; ANTONINI, Giuseppe, FRATINI, Fortunato e PITOTTI,
Giuseppe, L’alcoolismo in Friuli. Lavoro della commissione d’inchiesta,
Udine, Cantoni, 1907, riprodotto in: ASSOCIAZIONI DEI CLUB DEGLI ALCOLISTI
IN TRATTAMENTO e SERVIZIO DI ALCOLOGIA DEL PORDENONESE (a cura di), La
provincia nel bicchiere, Pordenone, L’Ippogrifo, 2001; COSATTINI, cit. , p. 97.
abbondantemente nel paese 26.
In cambio, gli emigranti italiani sono lasciati senza alcuna
tutela dal loro governo, come denuncia anche il senatore ed ex
ministro Pasquale Villari: Sono circa 200 mila (italiani) quelli che
traversano ogni anno l’Atlantico, per andare nelle varie regioni
dell’America, in balia degli agenti di emigrazione, che in mille modi
li ingannano, senza che l’emigrato trovi mai efficace protezione.
Spesso, nel doloroso viaggio, soffrono la fame, si ammalano; e
quando muoiono, vengono gettati in mare, né se ne sa altro.
Arrivati in America, vengono non di rado trattati poco meglio che
schiavi, e gli scrittori americani più volte hanno messo in chiaro
queste vergogne. I nostri consoli, salvo le rare e però tanto più
lodevoli eccezioni, se ne occupano meno che possono, perché il
governo se ne interessa poco o punto. I consoli stranieri, invece,
soprattutto i tedeschi, hanno una cura assidua dei connazionali.
C’è da arrossirne al paragone. Se seguono risse fra i nostri
connazionali, se commettono delitti, se sono perseguitati, linciati,
difficilmente si riesce a sapere con precisione quale è stata la loro
colpa, se colpa veramente vi fu 27.
Se questa è la massa che si affanna nei paesi di
emigrazione, spesso votata a condizioni di sfruttamento inaudito
e di semischiavitù, è comprensibile che la prima reazione sia
quella di espulsione o, come riaffermeranno più volte soprattutto
gli esponenti dei paesi anglofoni e dell’Argentina - ad esempio al
congresso dell’Internazionale Socialista di Stoccarda del 1907 di richiesta di chiusura degli accessi 28. Anni fa un giovane
26
L’Operaio Italiano, n. 6 del 24 marzo 1900, p. 3, Il paese che digiuna e
che paga e p. 5, Tasse e ricchezza, 8 del 21 aprile 1900, pp. 5-6, Come
qualmente si può dimostrare che lo zucchero è una sostanza amara, articolo
tratto da Il Corriere Biellese, 11 del 2 giugno 1900, p. 5, Qui si dimostra
l’importanza del sale e quanto poco ce ne sia nella zucca dei governanti, da
Il Corriere Biellese, 15 del 28 luglio 1900, p. 4, Il popolo più minchione, 22
del 3 novembre 1900, p. 4, Dimmi quello che mangi e ti dirò quanto vali! e 2
del 19 gennaio 1901, pp. 5-6, Il dazio sul grano.
27
L’Operaio Italiano, n. 15 del 28 luglio 1900, p. 3, Come il governo
italiano prende cura degli emigranti. Parole di un senatore, firmato P. Villari,
senatore.
L’egoismo delle classi dirigenti è dimostrato da un altro odioso balzello
sui lavoratori italiani: la tassa da pagare annualmente sul passaporto
necessario per lavorare all’estero. Le due modeste lire pagate nei consolati
italiani non sono tanto pesanti sul piano materiale, ma sono devastanti
sul piano morale, in quanto pagate a pro di quelle istituzioni che non li
tutelano minimamente nei loro esodi e che - in compenso - li maltrattano
in ogni occasione. Per l’abolizione di questo balzello sono state fatte delle
grandi agitazioni dovunque gli emigranti italiani si trovavano in numero
discreto, mediante conferenze, articoli, sui giornali, opuscoli, comizi e
ricordiamo specialmente quelle che ebbero luogo in Isvizzera nei due anni
scorsi. L’agitazione giunge ad ottenere l’emanazione del regio decreto del
31 gennaio 1901, che accorda la gratuità del rilascio del passaporto dal 1°
marzo successivo, e la durata triennale del documento. Cfr.: L’Operaio
Italiano, n. 6 del 16 marzo 1901, p. 3, Finalmente! e 10 dell’11 maggio
1901, p. 2, Le nuove disposizioni per i passaporti.
28
CASTELNOVO FRIGESSI, Delia (a cura di), Le migrazioni operaie in un
dibattito della Seconda Internazionale, in: Emigrazione cento anni 26
milioni, fascicolo speciale de Il Ponte, Firenze, La Nuova Italia, anno XXX,
n. 11-12, novembre-dicembre 1974, pp. 1308-1321.
storico nero di San Paolo raccontava in una conferenza di come
gli italiani venissero importati dagli industriali del suo paese a
cavallo fra ‘800 e ‘900 per rompere la forza organizzata del
sindacato nero formato dagli ex schiavi: dato storico che
sconvolge più di qualche stereotipo. L’altra forma di reazione è la
violenza: come dimostrano una serie di avvenimenti sanguinosi,
sia oltreoceano che in Europa, spesso gli italiani - che sono pur
vissuti come selvaggi sanguinari - sono vittime di veri e propri
linciaggi di massa: più volte nella Francia meridionale, fino al
grande massacro di Aigues-Mortes del 1893, altre volte in
Svizzera, in particolare a Berna nel 1893 e nel 1896 a Zurigo 29,
destinata a diventare la più grande città italiana della
Confederazione.
Zurigo ed Aigues-Mortes si incontrano idealmente nel
1893, quando - al congresso socialista internazionale che si tiene
nella città elvetica subito prima del massacro avvenuto in
Francia - i socialisti italiani, per bocca del filosofo Antonio
Labriola, pongono il problema dell’organizzazione internazionale
dei lavoratori emigranti. Ne nasce una forma di azione che
raccoglie i molti ed ancora incoerenti fili del socialismo
internazionale in un’impresa effettivamente transnazionale,
basata sulla collaborazione fra gli organismi del paese di origine
e quelli dei paesi di arrivo 30.
La relazione fra sindacati ed istituzioni socialiste dei vari
paesi non è stata ancora adeguatamente studiata nelle sue
modalità operative. Da questo punto di vista si avverte la
carenza di studi di ampio respiro sul sistema costituito dal
sindacato italiano, dalla rete dei Segretariati dell’Emigrazione e
dall’Umanitaria, dalle strutture del Psi e da quelle analoghe nei
paesi di emigrazione, ivi comprese le rappresentanze
parlamentari nella loro attività legislativa e le amministrazioni
locali 31.
Necessario completamento dell’opera del sindacalismo
29
VUILLEUMIER, Marc, Les exilés en Suisse et le mouvement ouvrier
socialiste (1871-1914), in: DEGL’INNOCENTI, Maurizio (a cura di), L’esilio
nella storia del movimento operaio, cit., pp. 61-80.
30
Cfr.: DEGL’INNOCENTI, Maurizio, Emigrazione e politica dei socialisti
dalla fine del secolo all’età giolittiana, in: Emigrazione cento anni 26 milioni,
cit., pp. 1293-1307, nonché i citati saggi di Ragionieri del 1962 e di Paris.
31
Sul movimento sindacale italiano, cfr.: CIUFFOLETTI, Zeffiro, Il
movimento sindacale italiano e l’emigrazione dalle origini al fascismo, in:
FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pp. 203-219; PEPE, Adolfo e DEL BIONDO, Ilaria,
Le politiche sindacali dell’emigrazione, in: BEVILACQUA, Piero, DE CLEMENTI,
Andreina, FRANZINA, Emilio (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana.
Partenze, Roma, Donzelli, 2001, pp. 175-292; in particolare della categoria
dell’edilizia si sono interessati: ANDREASI, Annamaria, La Federazione
edilizia e il movimento sindacale italiano (1900-1915), in: Annali della
Fondazione Luigi Einaudi, Torino, Volume II, 1968, pp. 213-255 e
OLEZZANTE, Silvano e MOSER, Giaime, Costruzione di un sindacato. Le
organizzazioni dei lavoratori delle costruzioni dalle Società di Mutuo
Soccorso alla Fillea Cgil, Roma, Ediesse, 1998; sul sindacato tedesco, cfr.
l’antologia di BENVENUTI, Nicola, Partito e sindacati in Germania (18901914), Milano, La Pietra, 1981, per altro soprattutto attenta al dibattito
politico sul rapporto fra partito e sindacato.
internazionale, sul versante italiano, sono la Federazione delle
Arti Edili e la Società Umanitaria di Milano, con la sua opera di
assistenza degli emigranti e la promozione dei Segretariati
dell’Emigrazione, vere e proprie Camere del Lavoro per i
lavoratori italiani all’estero. Il primo ed il più affermato sarà
proprio quello di Udine, che si costituisce il 20 gennaio 1901 in
un’assemblea di 1500 operai emigranti. Si tratta di un’impresa
dovuta soprattutto a Giovanni Cosattini, che all’emigrazione
temporanea dedica la sua tesi di laurea, uno studio che farà
epoca anche nell’ambiente scientifico. In quella sede Cosattini
anticipa in realtà la costituzione effettiva del Segretariato di altri
due anni, fissandola al 1899, e conferendo quindi alla riunione
del 1901 il carattere di ufficializzazione di un’iniziativa già
avviata. Il suo ruolo personale sarà riconosciuto dal Psi
nazionale con la sua entrata nella direzione nazionale nel 1906,
come rappresentante del Segretariato stesso 32.
Non si tratta di organismi che funzionino slegati, come
potremmo essere indotti a pensare: la Federazione Edilizia atta
al lavoro sul piano interno, e l’Umanitaria ed i Segretariati rivolti
al lavoro fra gli emigranti. Al contrario, la preoccupazione
dell’organizzazione degli emigranti è presente fin dalle prime
riflessioni di una categoria ancora troppo vicina, nella struttura
produttiva ancora prevalentemente artigianale, negli stili e nelle
preoccupazioni di vita, all’itinerare senza fine del proletariato
medioevale, più che alla costrizione immobile della moderna
classe operaia manifatturiera. Che non si tratti solo di una
preoccupazione teorica, ma di una dura condizione di vita, è
dimostrato dalla lettura dello Statuto e del Regolamento per gli
scioperi della Federazione Edilizia, dove sussidi di viaggio e di
insediamento, passaggi di contribuzione da una federazione
nazionale all’altra, e perfino la dura necessità di abbandonare i
territori in sciopero, testimoniano di una pratica ove la mutualità
di una classe sul filo della sopravvivenza sconfina
impercettibilmente
nella
pratica
dell’internazionalismo
proletario. A questi principi di collaborazione si ispirano le
convenzioni internazionali, sottoscritte con le organizzazioni
analoghe dei paesi di emigrazione, per garantire parità di diritti
ai lavoratori e regolarne i versamenti delle quote alle rispettive
organizzazioni 33.
Il sindacato edile italiano.
Secondo la testimonianza dell’Almanacco socialista 1918,
32
L’Operaio Italiano, n. 3 del 2 febbraio 1901, p. 8, Italia; sulla nomina
di Cosattini nella direzione del Psi, cfr. ALATRI, cit., e RIDOLFI, Maurizio, Il
PSI e la nascita del partito di massa. 1892-1922, Roma-Bari, Laterza,
1992, pp. 172-173; la tesi di laurea di Cosattini è pubblicata come:
COSATTINI, cit. (la datazione è alle pp. 105-106).
33
Almanacco socialista italiano 1918, Milano, Società editrice “Avanti!”,
1917. Lo statuto è riprodotto alle pp. 279-290, il regolamento per gli
scioperi alle 290-296; alle pp. 297-298 sono riprodotte le convenzioni con
il Segretariato Internazionale dei Selciatori di Berlino e l’Organizzazione dei
minatori della Germania.
dovuta probabilmente al segretario Felice Quaglino (la figura di
gran lunga maggiore del sindacalismo edile, e più in generale
una delle massime del sindacalismo socialista italiano fino al
fascismo), la prima iniziativa volta a costituire un sindacato degli
edili a livello italiano è del 1885. Secondo Barbadoro, la
Federazione Edilizia nasce fin dalle sue origini con un carattere
esplicitamente socialista. Sempre secondo lo storico ed
esponente della Cgil, la federazione aveva l’obiettivo di unificare
le due componenti sociali distinte della classe: operai
specializzati con una forte identità professionale ed una
tradizione corporativa di lontanissima origine, da un lato, e
manovalanza
generica
proveniente
dall’agricoltura
e
recentemente inurbata. Obiettivo della politica di unificazione
categoriale e del superamento della vertenzialità locale era una
piattaforma basata sull’aumento salariale, la riduzione
dell’orario di lavoro, la trasformazione della retribuzione da
giornaliera in oraria, l’adozione di norme antinfortunistiche e la
promozione di cooperative di lavoro.
Ma uno degli aspetti centrali nella costruzione della
categoria, anzi forse il più caratteristico secondo Barbadoro, è la
tutela dell’emigrazione: intendeva allacciare una rete di rapporti
con le consimili organizzazioni estere, indispensabili per
combattere
lo
sfruttamento
esercitato
dal
padronato
internazionale ai danni di una categoria che forniva massicci
contingenti all’emigrazione; per tutelare gli emigranti e per evitare
i casi di crumiraggio e i correlativi e ricorrenti attriti con lavoratori
locali. Anzi, proprio in questo difficile campo, moltiplicava le
attività, non di rado ponendosi obiettivi di largo respiro. Così, nel
1893, nella fase più acuta della crisi italiana, che spingeva ingenti
masse di edili alla disperata ricerca di qualche occupazione oltre
frontiera - costringendoli troppo spesso a prestarsi alle manovre
per rinvilire il mercato delle braccia -, lanciava una grande
campagna per una federazione internazionale, che tuttavia non
raggiungeva lo scopo anche per la debole efficienza delle istanze
sindacali di settore dei paesi interessati 34.
La realizzazione di questo obiettivo procede però con
difficoltà, e solo quattro anni dopo, nel gennaio 1897, si arriva
ad un congresso della categoria. Si decide di sollecitare accordi
colle organizzazioni estere per un umano soggiorno degli emigranti
all’estero e perché non abbiano a ripetersi certi atti di barbarie
commessi a danno degli italiani (ad es.: Zurigo 1896 35)... Dopo lo
scioglimento nel maggio 1898 (in aprile il sindacato italiano
aveva partecipato al Congresso murario svizzero a Berna), la
Federazione edile risorge nell’arco di pochi mesi, promossa dai
34
Almanacco socialista italiano 1918, cit., p. 275, Federazione
Nazionale Edilizia. Un po’ di storia; BARBADORO, Idomeneo, Il sindacato in
Italia. Dalle origini al 1908, Milano, Teti, 1979, pp. 145-146 e 222, nota 71.
35
Gli incidenti di Zurigo vengono provocati dal rifiuto dei muratori
italiani di aderire al sindacato svizzero. Dopo tale episodio, la Federazione
Edilizia promuove un convegno con la consorella elvetica, avviando un
lavoro comune di organizzazione degli italiani emigrati in Svizzera che
produce risultati abbastanza incoraggianti. Cfr.: BARBADORO, cit., pp. 146 e
222-223, nota 75.
compagni torinesi 36.
Il 18 e 19 febbraio 1900 si tiene a Milano il congresso della
Federazione Edilizia. Al precedente, tenutosi nel 1898 prima
dello scioglimento forzato, la federazione contava 40 società e
6000 membri ed era in rapida crescita. Argomento fondamentale
è il nuovo statuto della federazione, alla quale possono aderire le
associazioni degli operai muratori, fumisti, cementatori,
pavimentatori, decoratori, pittori, indoratori, verniciatori,
marmisti, scalpellini, stuccatori, pontatori, carpentieri, suolini,
sabbionai, fornaciai, lavoranti in asfalto-lava, copritetti, badilanti
e garzoni, e quelle categorie affini all’edilizia che non hanno
organizzazione federale propria: appare evidente come la risorta
Federazione si dia una dimensione esplicitamente di tipo
industriale, organizzando tutta la categoria, oltre ai manovali ed
agli apprendisti, superando la dimensione corporativa tipica
dell’organizzazione dei soli operai professionali dell’arte edilizia.
L’articolo 21 dello statuto riguarda gli emigranti: “Sarà
dovere d’ogni socio, quando si reca altrove, e specialmente
all’estero a lavorare, ottemperare ai suoi doveri di solidarietà e
presentarsi alle associazioni locali, se ne esistono, col proprio
libretto sociale onde essere riconosciuto. In caso l’emigrante si
rendesse colpevole di atti contrari al programma della
federazione, il comitato potrà deliberare la pubblicazione del suo
nome sul giornale ufficiale.”
Questa disposizione trova la sua corrispondente in quella
che ormai è stata adottata in Germania, in Isvizzera e in Austria
da tutte le grandi federazioni di mestiere, mediante la quale i
membri di società locali e straniere se fanno constatare di avere
adempito ai doveri verso la loro società, e se entro quattro
settimane dal loro arrivo, rispettivamente dopo la loro uscita, si
annunciano, vengono ammessi a godere immediatamente tutti i
diritti di soci, senza pagamento di tassa d’entrata. Si prevede che
questa norma statutaria dovrebbe favorire l’adesione e la
regolarizzazione dei rapporti fra gli edili italiani all’estero ed i
sindacati dei paesi di emigrazione 37.
La Federazione Edilizia conta nel 1902, secondo una
rilevazione di Angelo Cabrini, 29.000 iscritti. Secondo Cabrini, il
numero cala due anni dopo a 24.000, ma scorporando i 3.660
aderenti alla neocostituita Federazione dei Minatori. 38 Diverse e
più favorevoli le stime per il 1904 dell’Ufficio del Lavoro del
Ministero Agricoltura Industria e Commercio: 26.505 per
l’Edilizia, e 3.740 per i Minatori. Una consistenza che, come per
le altre categorie sindacali italiane, non è paragonabile con i
confratelli tedeschi, che contano nel 1904 82.223 iscritti (i
36
Almanacco socialista italiano 1918, cit., pp. 275-278, Federazione
Nazionale Edilizia. Un po’ di storia; L’Operaio Italiano, n. 4 del 16 febbraio
1901, pp. 4-5, La Federazione generale italiana fra gli addetti alle arti
Edilizie.
37
L’Operaio Italiano, n. 6 del 24 marzo 1900, p. 5, Congresso della
federazione edilizia italiana.
38
Sorta nel 1903, con un’organizzazione limitata a solo due regioni:
Toscana e Sardegna, ma senza una presenza nella concentrazione più
ampia di lavoratori minerari, quella degli zolfatari siciliani. Cfr.:
BARBADORO, cit., pp. 151-152.
minatori sono 41.894). Un altro paragone, quello con i sindacati
inglesi, questa volta in percentuale sul numero di occupati nella
categoria, dà i seguenti risultati: sui 552.500 edili italiani rilevati
nel 1901, solo il 5% è organizzato dalla Federazione Edilizia
(senza differenze rilevabili fra i dati del 1902 e del 1904), mentre
nel 1901 dei 1.336.000 edili britannici sono iscritti alle Trade
Unions 250.000 lavoratori, pari al 19% 39. Il numero degli iscritti,
anche questo con un andamento oscillante comune alle altre
categorie, sale a 51.605 nel 1907, per poi scendere a 30.850 nel
1913, probabilmente dovuti in gran parte alla scissione
sindacalista rivoluzionaria dell’Usi 40.
Nonostante la scelta di sindacato industriale, la
Federazione rimane comunque, fino alla Guerra Mondiale,
soprattutto un’organizzazione degli operai edili tradizionali,
concentrata nelle regioni settentrionali e centrali. Nel 1901 i
muratori sono il 61%, cui vanno aggiunti scalpellini e marmisti
per il 24%; quattro anni dopo, quando cominciano ad esserci in
maniera sensibile fornaciai e mattonai (una delle categorie che
sono fondamentali per l’emigrazione friulana), essi sono solo
l’11% degli iscritti. Parimenti è minoritario, nel primo triennio del
Novecento, il ruolo della Federazione come organizzatrice degli
scioperi, che per l’85% sono spontanei od organizzati dalle
società edili locali o talvolta dalle Camere del Lavoro.
Difficile è l’estendersi dell’organizzazione sindacale nei
grandi appalti di opere pubbliche, come le costruzioni stradali e
ferroviarie, quelle idroelettriche e le bonifiche agrarie: si tratta
dei lavori dove prevalgono i dipendenti non qualificati. In
quest’area gli scioperi sono quasi totalmente disorganizzati e
spontanei, caratterizzati da ribellismo. Secondo Barbadoro, la
Federazione non riusciva a inquadrare e disciplinare una
manovalanza sospinta, dalle stesse intollerabili condizioni, alle
esplosioni improvvise e rabbiose, piuttosto che all’azione metodica
e programmata. E i casi simili allo sciopero incontrollato, scoppiato
nel 1901 fra gli addetti al traforo del Sempione - sconfessato da
tutta la stampa associativa e socialista - erano purtroppo destinati
a ripetersi durante tutta la fase antecedente la prima guerra
mondiale 41.
Si tratta di una valutazione indubitabile: gli esempi
friulani studiati confermano sia la durata della fase, sia la
difficoltà di radicamento dell’organizzazione sindacale, anche se
mi permetto di inserire una considerazione ulteriore, basata
proprio sul legame fra occupazione nell’edilizia e fattore
emigrazione. E’ ben vero che nel caso degli scioperi sulla
costruenda linea ferroviaria Spilimbergo-Gemona troviamo nel
1911 un riscontro dei fenomeni di spontaneità e violento
ribellismo della manodopera. Ma l’elemento caratterizzante è
anche un altro: gli scioperanti non entrano in una pratica
39
Ancora più stridente è il confronto fra i minatori italiani e britannici:
su 85.900 minatori italiani nel 1901, gli iscritti del 1904 costituiscono solo
il 4% della categoria; al contrario sui 941.000 minatori inglesi gli iscritti
sono ben 531.000, cioè il 56%.
40
BARBADORO, cit., pp. 132 (tabella 8), 135, 137, 139 (tabella 11); i dati
relativi al sindacato edile aderente all’Usi in: OLEZZANTE-MOSER, cit.
41
BARBADORO, cit., pp. 148-149.
vertenziale nei confronti delle aziende appaltatrici, poiché
preferiscono scegliere la possibilità alternativa dell’emigrazione.
Una scelta che, pur imponendo evidenti disagi, permette di
accumulare in alcune stagioni un reddito di gran lunga
superiore a quello realizzabile rimanendo a lavorare in zona.
Si tratta con tutta probabilità di un assumere come
elemento di forza un dato acquisito della realtà sociale friulana
(ma forse anche di altre regioni d’Italia): i lavoratori non si
trovano limitati dalla dura necessità di organizzarsi
sindacalmente per iniziare un lungo percorso di conquiste,
poiché è loro offerta un’alternativa molto più immediata e
realistica. E’ qualcosa di simile a quello che si verifica nella
vertenza del 1909 degli operai meccanici della industria Albert
Marx di Maniago (questa però organizzata dalla Camera del
Lavoro di Udine attraverso la mediazione del Circolo Psi di
Spilimbergo). Al lungo sciopero corrisponde la ripresa
sistematica della produzione artigianale dei coltelli nelle
abitazioni operaie, e la costituzione di una cooperativa per la
commercializzazione dei prodotti segna l’ora della resa per la
proprietà industriale, costretta a prendere atto del rischio di
essere messa in mora da una vincente scelta produttiva
autogestita da parte operaia.
I sindacati tedeschi.
Sono anni di sviluppo tumultuoso del movimento operaio
internazionale. La crescita dei sindacati corrisponde ad una
mutazione genetica della loro realtà, ad uno spostamento dalle
rivendicazioni più elementari ed immediate alla complessità di
un organico progetto riformista di governo del mercato del lavoro
e di formazione di quadri dirigenti operai attraverso l’esercizio
della cooperazione. La necessità dell’organizzazione sindacale
appare ancora più importante per gli effetti della moderna
produzione industriale - che riduce la forza contrattuale del
singolo operaio professionale, sempre più sostituibile da
manodopera dequalificata - e dell’emergere di gigantesche
organizzazioni padronali, che possono disporre di mezzi
vistosissimi. La prospettiva di grandi confederazioni sindacali,
certo colta con anticipo dall’osservatorio privilegiato del
sindacato tedesco (la Confederazione Generale del Lavoro
nascerà in Italia solo nel 1906) appare come lo sviluppo
necessario per garantire non solo capacità di confronto vittorioso
con l’antagonista di classe, ma anche per guardare con fiducia
l’avvenire e preparare quelle trasformazioni sociali che sono nella
mente e nel cuore di tutti 42.
In realtà in Germania i sindacati sono ancora nella fase
delle federazioni di mestiere, e saranno proprio i sindacalisti
italiani a porre (a partire dalle loro esigenze) la questione del
superamento della frammentazione del settore dell’edilizia in
varie federazioni. Che sono più d’una: i muratori, gli stuccatori e
42
L’Operaio Italiano, n. 3 del 10 febbraio 1900, pp. 3-4, Sullo sviluppo e
l’azione dei sindacati professionali e 20 del 6 ottobre 1900, pp. 2-3, Uno
sguardo al passato.
gessatori, i carpentieri ed i manovali, categoria quest’ultima che
riunisce i lavoratori appartenenti a questo settore con quelli delle
industrie manifatturiere 43; ma vanno poi considerati i sindacati
degli scalpellini ed i minatori.
La pubblicazione dei resoconti gestionali dei due sindacati
tedeschi degli edili e degli scalpellini per il 1899-1900 fornisce i
dati dell’organizzazione in un anno di propaganda attivissima e
di lotte continue. Il numero delle sezioni della Lega dei Muratori,
che nel 1898 erano 768, è salito al 31 dicembre 1899 a 881, con
un aumento di 113. La più numerosa è quella di Berlino con
5.519 iscritti (praticamente da sola conta tanti iscritti quanto
l’intera Federazione Edilizia italiana), seguita da Lipsia con
2.765, Amburgo con 2.715, Dresda con 1.800, Breslavia con
1.103, Gommern con 1.005. Il numero degli iscritti è in
aumento, come quello delle sezioni, passando dai 60.175 soci del
1898 ai 74.543 del 1899, con un incremento di 14.000 44.
Secondo una statistica, definita accuratissima, fatta dal
Comitato centrale dell’Unione muraria nel 1899 ci sono stati 202
scioperi in Germania, così classificati: 105 sono stati difensivi
(ed hanno coinvolto 11.711 persone) e 97 offensivi (17.680
partecipanti). La morale di un anno di grande conflittualità viene
tratta con lucidità: si è trattato soprattutto di un attacco politico
al sindacato, più che di una pressione congiunturale degli
imprenditori alla ricerca di margini di profitto in un’epoca di
recessione 45.
Una considerazione viene dedicata alla presenza degli
operai italiani, tallone d’Achille del sindacato: Se confrontiamo fra
di loro le varie sezioni vediamo che quelle della Germania
meridionale, particolarmente là dove predomina l’elemento
italiano, sono le più sottili, e quelle che meno hanno progredito, e
costituiscono in un certo qual modo il punto debole della lega (...).
Quanto agli scalpellini, la categoria è stata soggetta ad un
duro attacco padronale, che ne ha posto in gioco la stessa
esistenza, ma il risultato è stato positivo: le sezioni, che nel 1898
erano 184, sono salite nel 1899 a 228, e gli iscritti da 7.732 a
10.400. Fra i vari scioperi vogliamo ricordare quello della ditta
Giebel in Osterwald, non per la sua importanza, che anzi fu
brevissimo, ma perché torna ad onore dei nostri connazionali; e lo
facciamo con tanto più piacere quanto spesso siamo stati costretti
a gridare e ad usare delle parole severe contro quei disgraziati, le
più volte ingannati, che vanno a tradire i loro fratelli lottanti per
migliorare le loro condizioni. Questa ditta aveva scritturato
mediante dei negrieri 30 operai italiani; ma quando questi furono
sul posto, e seppero le cose come stavano si dichiararono subito
solidali cogli scioperanti, onde la ditta dovè piegare e far ragione a
43
L’Operaio Italiano, n. 2 del 19 gennaio 1901, pp. 1-2, Pel congresso
dell’Unione muraria, siglato Vugi e 3 del 2 febbraio 1901, p. 4, In altre
organizzazioni.
44
L’Operaio Italiano, n. 9 di martedì 1° maggio 1900, pp. 3-4, Due
resoconti importanti.
45
L’Operaio Italiano, n. 22 del 3 novembre 1900, pp. 2-3, Gli scioperi
nell’arte muraria nel 1899.
tutte le loro domande 46.
Il rafforzamento delle federazioni di categoria del settore
edile va inserito nel torrenziale sviluppo della confederazione dei
sindacati tedeschi. Questa si differenzia dalle due organizzazioni
concorrenti, quella liberale e quella cristiana, che non si trovano
propriamente sul terreno della lotta di classe, ma piuttosto
perseguono l’idea di cercare e di promuovere l’accordo fra il
capitale ed il lavoro. Il grande sviluppo del sindacato di classe,
definito anche movimento operaio moderno, è dimostrato da una
statistica elaborata dalla Commissione stessa: in sette anni il
sindacato è quasi triplicato, arrivando a oltre 580 mila iscritti
(sugli 864 mila totali di tutte e tre le confederazioni nazionali
complessivamente: i socialisti hanno quindi il 67% della massa
operaia organizzata) e la presenza delle donne, pur ancora
minoritaria, ha avuto un incremento ancora maggiore (da 5.384
a 19.280 iscritte).
Diversa e meno ottimistica è invece la valutazione del
numero degli iscritti sul totale dei lavoratori organizzabili,
calcolato a circa 5.297.851: la forza organizzata assomma quindi
appena al 16,31%. Le federazioni di categoria più forti sono
quella dei metallurgici, con 85.013 iscritti, seguita da quella dei
muratori con 74.534, da quella dei lavoratori del legno con
62.570 e da quella dei tessili con 37.617. Nell’ambito delle arti
edilizie, fra i muratori sono organizzati il 24,38%, fra gli
stuccatori il 28,96%, fra i lavoratori della pietra il 20,80%, fra i
manovali solo il 3,4% 47.
Fra il 25 ed il 27 febbraio 1901 si riunisce a Francoforte
sul Meno il congresso della Lega degli stuccatori e gessatori della
Germania, alla presenza di 22 delegati. Secondo la relazione del
presidente Odenthal la lega ha fatto progressi giganteschi negli
ultimi due anni. Se nel 1898 era costituita da 17 sezioni con 673
membri, ora il numero è salito a 54, con 2250 iscritti. Sul piano
delle condizioni di lavoro, in una serie lunghissima di città grandi
e piccole ha saputo obbligare i padroni e gl’imprenditori a
concessioni non indifferenti in fatto di salari e di orario; anzi in
moltissimi luoghi questo è stato ridotto ad ore 8,5 48.
La Società Umanitaria, i Segretariati laici
dell’emigrazione (ed i cattolici).
La Società Umanitaria nasce nel 1893 a Milano per il
convergere di due volontà eccezionali: il mecenate israelita
mantovano Prospero Moisè Loria, che lascia al Comune di
Milano una consistente donazione vincolata ad iniziative sociali
avanzate, ed il suo amico Osvaldo Gnocchi-Viani, pioniere del
socialismo, che in gioventù fu il segretario di Giuseppe Mazzini.
L’istituzione nasce con l’ambizioso obiettivo di realizzare una
46
L’Operaio Italiano, n. 9 di martedì 1° maggio 1900, pp. 3-4, Due
resoconti importanti.
47
L’Operaio Italiano, n. 20 del 6 ottobre 1900, pp. 2-3, Uno sguardo al
passato.
48
L’Operaio Italiano, n. 8 del 13 aprile 1901, p. 6, Congresso degli
stuccatori.
complessa serie di attività sociali, tutte legate dall’obiettivo
dell’emancipazione delle classi lavoratrici non per mezzo della
carità, ma attraverso l’autorganizzazione da parte dei diretti
interessati. L’Umanitaria, pur non essendo una mera
articolazione del movimento socialista, ne diventa un elemento di
eccellenza, un luogo di alleanze con i riformisti borghesi e di
sperimentazione delle più diverse forme di iniziativa sociale.
Dalla formazione professionale al collocamento, dalla promozione
cooperativa alla formazione di quadri sindacali, dalla tutela
dell’emigrazione ai più diversi aspetti dell’attività culturale, di
ricerca ed educativa (è qui che apre il suo primo asilo
sperimentale Maria Montessori), non c’è praticamente terreno
innovativo in cui la Società Umanitaria non diventi un punto di
riferimento nazionale. E’ dalle sue file che emergono i grandi
tecnici che il Psi gioca sul piano della collaborazione di governo:
da Giovanni Montemartini, che dalla direzione dell’Ufficio del
Lavoro dall’Umanitaria spicca il salto verso la direzione del primo
Ufficio del Lavoro governativo (nell’ambito del Ministero
dell’Agricoltura, Industria e Commercio) nel 1903, ad Augusto
Osimo, il direttore dell’istituzione, che nell’autunno del 1920
viene proposto a Commissario del nuovo Ministero del Lavoro
(ma non accetterà perché non vedrà accolto il suo programma di
riforme strutturali) 49.
Appare quindi naturale che l’Umanitaria assuma, al suo
riorganizzarsi nel 1901, dopo il commissariamento da parte del
generale Bava Beccaris, il ruolo di assistenza laica
all'emigrazione italiana in Europa. Nel 1903 l'Umanitaria
costituisce insieme ad alcune Amministrazioni Provinciali il
Consorzio per la tutela dell'emigrazione temporanea, che ha
l'obiettivo di promuovere segretariati locali in Italia e
corrispondenti ed ispettori itineranti all’estero, di pubblicare
materiale informativo per gli emigranti (in campo giuridico ed
occupazionale) ed istituire scuole popolari per la formazione
professionale e linguistica e biblioteche itineranti. E’ da questa
attività che nasce nel dopoguerra la Scuola del Mosaico a
Spilimbergo, in un distretto di tradizionale produzione dell’arte
musiva e del terrazzo. L’attività dell’Umanitaria in questo settore
non è autonoma, ma realizzata in collaborazione con le
federazioni sindacali di categoria (in particolare l’Edilizia),
interessate soprattutto all’esercizio delle funzioni di studio ed
orientamento dei flussi occupazionali, sui quali agire attraverso
la capillare serie di strutture realizzate. Nel 1906 viene fondata a
Milano, in collaborazione con il Comune, la Casa degli
Emigranti, in modo da accogliere quelli che transitano per la
città e dare loro le opportune indicazioni ed assistenza. Nel 1907
l’Umanitaria decide di gestire direttamente l’attività: viene sciolto
il Consorzio e fondato l'Ufficio dell'emigrazione, diretto
49
Sull’opera dell’Umanitaria, cfr.: BAUER, Riccardo, La Società
Umanitaria, s.l. e s.d. (ma classificata dalla Biblioteca Comunale Classense
di Ravenna come: Milano, Bertolotti, 1958?); SOCIETÀ UMANITARIA (a cura di
Massimo Della Campa), Il Modello Umanitaria. Storia, immagini,
prospettive, Milano, Società Umanitaria e Coop. Raccolto, 2003. Cfr. inoltre
il materiale riprodotto sul sito internet www.umanitaria.it.
inizialmente da Angiolo Cabrini (e tre anni dopo da Valär).
L'Umanitaria assume un carattere nazionale, e non solo locale,
grazie alla rete dei segretariati dell'emigrazione presenti in molte
città dell'Italia settentrionale ed agli uffici di corrispondenza ai
posti di confine. Tramite Cabrini viene inoltre costituito a Roma
un ufficio di corrispondenza per seguire il lavoro parlamentare.
Dopo aver riconvertito l'attività a favore di profughi e rimpatriati
nel periodo bellico, l'Umanitaria riprenderà la sua attività a
favore degli emigranti nel dopoguerra, fino alla sospensione di
tutte le attività politicamente rilevanti da parte della dittatura
(per poi riprendere dopo la caduta del fascismo). Il rapporto fra
Milano ed Udine è piuttosto stretto: Cosattini sarà nel comitato
di emigrazione del Consorzio e sarà proprio l’Umanitaria ad
inviare in Friuli, come direttore del Segretariato di Udine,
Ernesto Piemonte 50.
La concorrenza fra l’Umanitaria e la cattolica Opera
Bonomelli appare evidente, svolgendosi sul medesimo terreno
ma con obiettivi opposti: lo sviluppo della lotta di classe nel
primo caso, la soddisfazione dei bisogni religiosi ed un approccio
interclassista nel caso dei cattolici, il che porta al frequente
accordo con gli imprenditori, soprattutto se della stessa
confessione, ed all'organizzazione di iniziative antisindacali. In
realtà, gli studiosi degli atteggiamenti ed iniziative cattoliche nei
confronti dell’emigrazione sottolineano come questo fenomeno
sia visto soprattutto come un fattore di disgregazione della
società e della cultura tradizionali, un elemento di
scristianizzazione cui corrisponde - oltre alla diminuita
frequenza ai culti e, nei paesi protestanti, alla conversione - una
generalizzata acculturazione socialista ed anarchica 51.
Appare tuttavia discutibile la tesi di alcuni studiosi (in
particolare Salvetti e Rosoli) secondo cui le istituzioni socialiste
in materia di emigrazione sarebbero una risposta a quelle,
analoghe ed antecedenti, promosse dai vescovi Giovanni Battista
Scalabrini 52 e Geremia Bonomelli. Al di là delle ragioni opposte
50
PUNZO, Maurizio, La Società Umanitaria e l’emigrazione. Dagli inizi del
secolo alla prima guerra mondiale, in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pp. 119161; SALVETTI, Patrizia, La tutela degli emigranti: gli Scalabriniani, l'Opera
Bonomelli e la Società Umanitaria, in: Il Parlamento italiano. Storia
parlamentare politica dell’Italia 1861-1988, Volume settimo, 1902-1908.
L'età di Giolitti, Milano, Nuova CEI, 1990, pp. 148-150.
51
ROSSI, Beniamino, La Chiesa cattolica e l’emigrazione, in: Emigrazione
cento anni 26 milioni, cit., pp. 1578-1595; MICCOLI, Giovanni, Clero friulano
ed emigrazione. Note preliminari, in: Qualestoria, anno X, n. 3, Trieste,
Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione, Dicembre
1982, pp. 71-82.; ROSOLI, Gianfausto, L’emigrazione italiana in Europa e
l’Opera Bonomelli (1900-1914), in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pp. 198-201;
SALVETTI, La tutela degli emigranti, cit.; ERMACORA, Matteo, Parroci ed
emigranti nelle visite pastorali della Diocesi di Udine (1898-1914), in: Metodi
e ricerche. Rivista di studi regionali, Udine anno XVIII, n. 1, gennaio-giugno
1999, pp. 51-71; SANFILIPPO, Matteo, Chiesa, ordini religiosi ed emigrazione,
in: BEVILACQUA-DE CLEMENTI-FRANZINA, cit., pp. 127-142.
52
Sulle iniziative, rivolte all’emigrazione transoceanica, degli
Scalabriniani, cfr.: TOMASI, Silvano M., Scalabriniani e mondo cattolico di
fronte all’emigrazione italiana (1880-1940), in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit.,
pp. 145-161.
per le quali i due movimenti operavano, pur realizzando
iniziative sostanzialmente concorrenziali sul piano assistenziale,
va rilevato che - come testimoniano appunto le reazioni dei
parroci - gli effetti della conversione al socialismo di masse di
emigranti è antecedente all’organizzazione, nell’era giolittiana,
delle istituzioni che ruotano attorno all’Umanitaria. E quindi
bisogna riandare, oltre che a precedenti ondate di esuli politici,
internazionalisti ed anarchici prima ancora che socialisti,
all’azione esercitata direttamente dai movimenti operai dei paesi
di emigrazione. Va inoltre ricordato che, come abbiamo già avuto
occasione di argomentare a proposito del Friuli, è testimoniato
un atteggiamento semmai di risposta della gerarchia
ecclesiastica alla formazione dei primi gruppi socialisti. Una
scelta che non fa esitare ad esempio il Vescovo di Concordia di
fronte all’utilizzo di un gruppo di irrequieti sacerdoti modernisti gli stessi che faranno eleggere nel 1913 l’unico deputato della
Democrazia Cristiana murriana a Spilimbergo - per presidiare le
parrocchie “a rischio” 53.
Tuttavia la polemicità fra le due organizzazioni tenderà a
diminuire, ed a volgere anche in collaborazione, alla fine del
primo decennio del secolo (e non è un caso che sia l'epoca in cui
contro l'Opera viene usata dalla gerarchia ecclesiastica l'accusa
di modernismo) 54. Percorso di confronto che in realtà ha avuto
dei precedenti antichi, come quel don Luraghi che a Zurigo e
Lucerna fondava un sindacato cattolico, benediceva una
bandiera socialista ed organizzava insieme con i socialisti
scioperi nel 1895-1896 55.
E’ interessante, a tal proposito, un episodio del luglio
1900. La presenza di organizzatori socialisti fra gli emigranti
friulani concentratisi nel Baden non passa inosservata ed il 22
luglio 1900 viene inviato a Neckarau un sacerdote come oratore
sulla condizione operaia, neanche due settimane dopo il giro di
propaganda svolto da Giacinto Menotti Serrati, direttore de
L’Avvenire del Lavoratore di Lugano. Il sacerdote parla presso la
sede della Lega di resistenza, sferzando i giocatori d’azzardo che
rovinano le loro famiglie, ma anche negando la possibilità di
realizzare l’uguaglianza cui tendono i socialisti. Ammise però la
necessità che gli operai si organizzino in leghe di resistenza,
anche in omaggio al detto di S. Paolo: “Chi non lavora non mangi”,
e di tutti i padri della chiesa, i quali nelle scritture loro ripetono
ogni momento che la ricchezza è un prodotto del furto, ecc. ecc.
Inneggiò poi all’evoluzione che ci porterà a quell’uguaglianza
economica che porrà la pace fra gli uomini tutti.
53
Cfr.: BETTOLI, Gian Luigi, Una terra amara. Il Friuli Occidentale dalla
fine dell’Ottocento alla dittatura fascista, Udine, Istituto Friulano per la
Storia del Movimento di Liberazione, 2003, vol. primo, pp. 281-287. En
passant, va ricordato l’attivo ruolo di don Giuseppe Lozer
nell’organizzazione del Segretariato cattolico dell’emigrazione di CasarsaPordenone, come sempre con grande energia ma - a volte - con poca
prudenza nell’organizzare gli invii di emigranti all’estero.
54
SALVETTI, La tutela degli emigranti, cit.; ROSOLI, cit.
55
ROSSI, Beniamino, La Chiesa cattolica e l’emigrazione, in: Emigrazione
cento anni 26 milioni, cit., p. 1582;
Il discorso concede più di qualcosa alle ragioni degli
organizzatori sindacali, che per altro hanno messo a disposizione
la loro sede per l’orazione dimostrando una certa apertura.
Sembra quasi che le due parti cerchino di concedere il massimo
all’avversario, senza voler portare il confronto alle estreme
conseguenze polemiche. I socialisti sono presenti e replicano: e si
tratta di semplici operai, che si sono dovuti formare da
autodidatti. Ad un certo punto i due oratori socialisti azzardano
un inedito utilizzo dell’analisi classista all’interno della struttura
ecclesiale: Dimostrarono poi che la lotta di classe è inevitabile e
coinvolge anche i preti, perché nella loro classe pure si riscontrano
le medesime disparità che nelle altre: vale a dire da una parte i
cardinali i vescovi ecc. con ricchissime prebende dette “piatti
cardinalizi, “mense vescovili”, e dall’altra i poveri scagnozzi che
ricevono appena tanto che basti a non morir di fame.
Che non ci sia solo una cortesia strumentale, ma il
ragionamento con i cattolici vada oltre, è dimostrato dal
commento su come si concluda la giornata. Dopo il simpatico
convegno, nel quale nessuno era venuto meno ai doveri della
tolleranza e della cortesia, si sciolse. Noi ammiriamo questi preti
che lasciando da parte vieti pregiudizi si fanno animo e vengono
in mezzo ai lavoratori a discutere delle questioni operaie, e
vorremmo che venissero più spesso perché finirebbero col
comprendere che fino ad oggi sono stati strumenti in mano dei
ricchi e potenti per addormentare il popolo predicando la
rassegnazione, la quale col miraggio delle gioie del paradiso
permette ai primi di conservarsi e di godersi quello terrestre 56.
Diversa e più critica la reazione alla predicazione del
vescovo Bonomelli tenutasi il 16 agosto 1900 probabilmente
nella stessa zona. Il prelato si rivolge agli emigranti lamentando
il loro destino di esuli economici, ma invitandoli - a dispetto delle
giustificate critiche rivolte all’estero all’Italia - a non mai
dimenticare l’amore al paese, alla religione e ai buoni
insegnamenti ricevuti in casa, contrapponendo così il legame con
i valori tradizionali al distacco dalle istituzioni della patria
matrigna. Loda le caratteristiche di laboriosità degli emigranti,
suggerendo un apprezzamento per come essi siano capaci di
sostituirsi ai lavoratori tedeschi che si vanno invece
organizzando nel sindacato. Giunge quindi l’invito a tenersi
lontano da sindacato e socialisti: Ha poi finito col raccomandare
caldamente a tutti di non lasciarsi trascinare in certe sette, ove si
perde ogni rispetto alle autorità, che l’uomo non vive di pan solo,
ma anche della verità eterna, e che questa si trova nel catechismo.
Dura la replica, che rinfaccia al prelato la polemica contro
gli operai del suo Cremonese che si sono riuniti in solide
organizzazioni di resistenza, ed il fatto di non aver voluto parlare
delle cause sociali dell’emigrazione dall’Italia: come pure invano
abbiamo aspettato una parola, che incitasse gli uditori a compiere
quei doveri che la solidarietà impone a tutti gli operai, vale a dire
di organizzarsi e di non tradire i loro fratelli tedeschi durante gli
scioperi. Sì, eminenza, voi avete parlato coi capitalisti i quali vi
56
L’Operaio Italiano, n. 17 del 25 agosto 1900, pp. 4-5, Un prete in
missione.
hanno fatto un monte di elogi degli operai italiani; ma andate un
poco a parlare cogli operai tedeschi e la campana suonerà
diversamente, perché i capitalisti preferiscono gli operai italiani
soltanto perché si prestano più facilmente degli indigeni ad essere
sfruttati e troppe volte fanno loro una concorrenza sleale e vanno
a tradire i loro compagni durante gli scioperi. (...) perciò dovevate
dire a quegli operai di essere sempre uniti e solidali con gli operai
tedeschi, perché essi sono i loro veri fratelli e di lottare con loro per
mantenere alti i salari, e gli orari del lavoro nella misura fissata, e
tutte quelle conquiste che la classe lavoratrice germanica ha
saputo fare a prezzo di tanti sacrifici 57.
Va per altro tenuto conto che la polemica fra socialisti e
cattolici, in Germania come in Italia, ha un risvolto piuttosto
duro nella pratica sindacale, con l’azione di rottura e di
organizzazione del crumiraggio delle organizzazioni di ispirazione
cristiana. Ad esempio, quando ad Essen nel settembre 1900 lo
sciopero si conclude negativamente, la sconfitta è dovuta in
prima linea all’organizzazione cristiana, i cui capi non si
contentavano di mettere in cattiva vista con sospetti ed
affermazioni non vere presso il pubblico la commissione centrale,
ma facevano perfino venire degli operai dal di fuori. Nella stessa
epoca, a Braunschweig in Bassa Sassonia, la ditta Frölig &
Baumkauf ha licenziato tutti gli operai organizzati perché si
agitavano per ottenere il salario di 40 Pf. all’ora. I membri della
lega cristiana non si sono voluti dichiarare solidali coi licenziati;
anzi si sono affrettati ad occupare i posti rimasti vuoti 58.
Contro il crumiraggio.
Il 1900 inizia in modo drammatico. Il pericolo per il
movimento sindacale è imminente: l’obiettivo del padronato è
quello di inaridire le casse di resistenza (costituite per finanziare
gli operai in sciopero), per poter imporre le proprie condizioni
contrattuali ai lavoratori. Lo scontro viene deciso dal padronato
edile berlinese dopo il fallimento della via legislativa per
irreggimentare i lavoratori: e questo nonostante nella vicina
Danimarca un tentativo analogo sia stato sconfitto dopo una
dura lotta 59.
Il padronato intende ricacciare indietro
l’organizzazione operaia, attraverso la coalizione forzosa di tutti
57
L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, pp. 5-6, Il vescovo
Bonomelli in giro. Non viene indicata precisamente la località dove si svolge
l’orazione del vescovo, se non ch’essa è rivolta agli emigranti italiani
nell’antica chiesa dei gesuiti. Si fa però riferimento alla precedente tappa
effettuata a Friburgo, sempre in Baden Württemberg.
58
L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, p. 7, Movimenti di
salario. Muratori.
59
L’agitazione di 40.000 operai danesi, causata dal rifiuto padronale di
riconoscere le organizzazioni di resistenza, era stata sostenuta da 262.844
franchi raccolti in Danimarca e da ben 679.739 franchi raccolti all’estero,
soprattutto in Germania (270.023 fr.), Inghilterra (100.536), America del
nord (95.033), Svezia, Norvegia ed Olanda. L’Italia è in coda a questa
classifica della solidarietà internazionale, con solo 36 franchi, meno dei
1397 della Groenlandia. Cfr.: L’Operaio Italiano, n. 21 del 20 ottobre 1900,
p. 4, Esame internazionale di solidarietà operaia. Le contribuzioni dei
diversi paesi al grande sciopero di Danimarca.
gli imprenditori del settore e la serrata generalizzata. Il centro
dell’attacco padronale viene visto nella pretesa di esercitare un
boicottaggio generalizzato contro i lavoratori sindacalizzati nel
settore dell’edilizia, dove le stesse sentenze della magistratura
iniziano a dar ragione alle rivendicazioni operaie. A loro
vantaggio, i padroni fanno affidamento sulla massa degli
immigrati italiani: il sindacato deve quindi avere un occhio di
riguardo verso di loro, per la loro debolezza, estraneità
all’organizzazione e ricattabilità 60.
L’urgenza di costruire al più presto una forte struttura
organizzativa dei lavoratori provenienti dalle regioni del nord
Italia è imposta dalla preoccupante congiuntura del settore edile,
sottoposto all’offensiva padronale in tutti i paesi centroeuropei.
Quest’anno la stagione dei lavori si presenta quasi da per tutto in
condizioni eccezionalmente gravi! In molti cantoni della Svizzera
grazie alla disunione e al poco spirito di solidarietà il prezzo della
mano d’opera è calato al di sotto d’ogni limite possibile, e i
compagni hanno deciso di fare argine a questa corrente, e di fare
almeno un tentativo per ottenere delle condizioni un po’ più eque.
In Austria, particolarmente alla capitale, imperversa una crisi
quale da anni non si era più vista l’uguale, e di cui i nostri
compagni operai sopporteranno tutti i danni se non sapranno
stare bene uniti.
Nel marzo del 1900 troviamo il primo duro intervento sul
problema del crumiraggio praticato da operai italiani. Un
fenomeno cui sarà dedicato lo sforzo organizzativo principale del
sindacato tedesco e del socialismo italiano, con l’obiettivo di
fronteggiarlo e di ridurne la negativa influenza sulle lotte del
movimento operaio dei paesi di emigrazione. La propaganda
contro i crumiri scatta all’inizio della primavera, quando gli
italiani partono dai loro paesi per l’inizio della stagione dei lavori
edili. Merita sottolineare un aspetto importante del fenomeno: il
crumiraggio italiano non è connotato dal reclutamento di
disoccupati, ricattati a causa della loro condizione di privazione.
Al contrario, i gruppi più pericolosi di crumiri sono costituiti da
lavoratori già occupati, reclutati con la promessa di un
miglioramento della retribuzione a spese dei compagni di lavoro
in sciopero.
Questo fenomeno produce uno spostamento della
percezione popolare nei confronti degli emigranti italiani. Allo
stereotipo del quasi selvaggio proveniente da un ambiente
arretrato si viene sostituendo quello del mercenario prezzolato
disponibile per il suo tornaconto a venire incontro
all’oppressione padronale contro i lavoratori in lotta.
Un’immagine che provoca la reazione dei nativi danneggiati, che
tendono a difendersi aggredendo con violenza gli italiani.
Comprensibile d’altronde la reazione popolare agli immigrati
usati come arma di ricatto, visto che questa viene pubblicamente
brandita contro i lavoratori: Pochi giorni fa in Friedland e in
60
L’Operaio Italiano, n. 2 del 24 gennaio 1900, pp. 1-2, Ciò che bolle in
pentola, 3 del 10 febbraio 1900, p. 6, Movimento di salario. Ancora della
congiura e 4 del 24 febbraio 1900, pp. 1-2, La condizioni (sic) degli operai e
la lega degli imprenditori nell’industria edilizia tedesca.
Ratzeburg avendo gli operai del paese domandato per la nuova
stagione un lieve miglioramento nei salari, si sono sentiti
rispondere per la stampa: Ordineremo degli italiani 61.
I crumiri vengono organizzati direttamente nei paesi
d’origine da spregiudicati arruolatori che mandano allo sbaraglio
chi si affida loro, come ci mostra ad esempio uno dei dialoghi
didattici usati dalla pubblicistica popolare per facilitare la
comprensione dei lettori. I protagonisti indiscussi sono Beppe e
Tonio, lo stereotipo dell’operaio cosciente ed evoluto e del
sempliciotto credulone. Probabile creatura della penna di
Giacinto Menotti Serrati sulle pagine de L’Avvenire del
Lavoratore di Lugano, come nelle migliori opere di letteratura
popolare i due personaggi rivivono nei giornali fratelli
dell’emigrazione italiana, superando lo stadio della pura
imitazione per assumere di volta in volta connotati originali 62.
Difficile però mantenere la quieta sicurezza di Beppe di
fronte alla rabbia suscitata dall’arroganza della bande di crumiri.
I risultati della propaganda fra gli operai italiani sono alterni,
come dimostrano gli effetti dell’appello de L’Operaio Italiano di
metà maggio che, parlando dello sciopero di Wiesbaden pregava
tutti gli operai italiani di non farsi complici degli imprenditori
tradendo i loro fratelli e andando a lavorare in luogo degli
scioperanti. Il 21 Maggio arrivò alla stazione di Francoforte una
compagnia di 42 muratori italiani, provenienti da Karlsruhe e
diretti per Wiesbaden. Avvertiti dello sciopero promisero che non vi
si sarebbero fermati. E infatti giunti a Wiesbaden e vedute come
stavano le cose si dichiararono solidali cogli scioperanti, e senza
tante cerimonie ripresi i loro fagotti se ne ripartirono. Ecco un
61
Come nel caso dello sciopero di Colmar in Alsazia, terminato con una
sconfitta completa, dovuta in gran parte all’intervento di krumiri,
specialmente italiani. L’Operaio Italiano, n. 5 del 10 marzo 1900, pp. 1-2,
Di un odioso intervento negli scioperi ed 11 del 2 giugno 1900, p. 7,
Scioperi. Friedland è in Meclemburgo, Ratzeburg in Schleswig-Holstein.
62
L’Operaio Italiano, n. 2 del 24 gennaio 1900, p. 2, Organizziamoci.
(Dialoghetto tra operai italiani e 5 del 10 marzo 1900, pp. 2-3, Gl’incettatori
di carne umana. I dialoghi di Beppe e Tonio riempiono a puntate le pagine
de L’Operaio Italiano, ma non solo: quello alle pp. 1-3 del n. 10 del 19
maggio 1900 (Se piovessero i marenghi!...) risulta tratto dalla Giustizia,
quotidiano socialista di Reggio Emilia (un collegamento che non dev’essere
casuale: di Reggio Emilia è Antonio Vergnanini, esule e predecessore di
Serrati alla testa dei socialisti italiani in Svizzera; nel 1901 Vergnanini
ritornerà a Reggio alla testa della Camera del Lavoro e poi della Lega
Nazionale delle Cooperative: cfr. la scheda di Anna Rosada alle p. 204-208
del volume quinto di ANDREUCCI-DETTI). I due personaggi, e qualche
comprimario, sembrano costituire la coppia base fissa della stampa
socialista, come dimostrano i dialoghi fra Tonio Bariotti e Beppe Grandi
pubblicati in Svizzera nel 1905 su L’Avvenire del Lavoratore da Giacinto
Menotti Serrati sotto lo pseudonimo di G.M. Parrasio. Cfr.: ROSADA, Anna,
Serrati nell’emigrazione 1899-1911, cit., pp. 185-192. Per altro i cognomi
sono assai variabili, anche sullo stesso organo di stampa: cfr. L’Operaio
Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, p. 2, Senza titolo. Dialogo fra Tonio
Brontoloni e Beppe Ragionevoli, oppure Beppe Disoccupati e Tonio Stenti,
sul n. 19 del 22 settembre 1900, p. 2, Perché i ricchi sono ricchi?
Dialoghetto. Altri protagonisti di dialoghi sono Gervasio e Pietro: cfr.
L’Operaio Italiano, n. 6 del 16 marzo 1901, pp. 3-4, In crisi. Dialoghetto fra
due operai.
esempio che tutti i nostri connazionali dovrebbero imitare! Ma pur
troppo non tutti sono così! Lo stesso giorno arrivò un’altra
carovana di 15, i quali, avvertiti pur essi dello sciopero risposero:
Le solite chiacchiere dei socialisti! Noi abbiamo sempre lavorato
dove vi erano degli scioperi, e non abbiamo mai persa una
giornata. E che andrebbe fatto a questa gente che ha perso ogni
pudore e che perfino si vantano delle loro azioni riprovevoli! Oh
sante legnate, come stareste bene su certe spalle!... Lo sciopero
dovrà essere revocato il 6 luglio, essendo pervenuti in città ben
518 crumiri, fra cui 200 italiani provenienti per la maggioranza
dall’Alsazia 63.
Gli italiani sono così miseri da prestarsi, insieme ai
polacchi, a sostituire perfino i contadini della Germania
orientale, che si inurbano per sfuggire a condizioni di vita
miserrime, e sotto certi aspetti forse peggiori di quelle de’ nostri
contadini del Veneto, a causa del dominio feudale degli junkers,
gli agrari 64. Ed i friulani insieme coi polacchi si fanno notare,
come in occasione dello sciopero di Wiesbaden. I crumiri sono
stati reclutati in teoria per 45 pfennige l’ora, cioè la retribuzione
rivendicata dagli scioperanti e negata dai padroni. La credulità e
l’ottusità dei friulani è dimostrata dalla storia di venti di loro,
arruolati a Strasburgo dal gestore di un’impresa: essi rifiutano di
arrestarsi di fronte alle richieste dei rappresentanti sindacali
(presenti in ogni stazione), vengono portati clandestinamente in
città, dormono in una stalla fra le bestie e - alla fine - firmano un
contratto che li vincola per un mese, non dà loro garanzie a
proposito dell’alloggio e promette loro la retribuzione solo alla
conclusione dell’ingaggio 65.
La propensione a vendersi degli italiani, in occasione di
alcuni scioperi dell’estate 1900 - oltre a Wiesbaden, quello di
Spandau e quello di Danzica 66 - subisce un’accelerazione
spettacolare, che provoca una durissima reazione del sindacato.
L’imprenditore Reinecke, uno dei più retrogradi di Spandau
(centro in sciopero dal 6 giugno), prevedendo la burrasca aveva
da qualche tempo impiegato 17 italiani, alloggiandoli in una casa
di sua proprietà. Ma grande è stato il suo disappunto quando
questi gli hanno dichiarato a muso duro che volevano a tutti i costi
essere solidali co’ loro fratelli tedeschi. Naturalmente hanno
dovuto tutti abbandonare gli alloggi.
Il crumiraggio evolve nel deliberato parassitismo:
L’Operaio Italiano esordisce quasi incredulo di fronte al
63
L’Operaio Italiano, n. 12 del 16 giugno 1900, p. 5, Piccola cronaca del
movimento italiano, corrispondenza da Francoforte s.M. di Un compagno di
Francoforte e 15 del 28 luglio 1900, p. 7, Movimenti di salario. Muratori.
64
L’Operaio Italiano, n. 13 del 30 giugno 1900, p. 5, Un quadretto
d’attualità.
65
L’Operaio Italiano, n. 14 del 14 luglio 1900, pp. 5-6, Movimenti di
salario. Muratori.
66
Antico porto anseatico, poi annesso alla Prussia. Ora in Polonia. Dopo
sette settimane lo sciopero si conclude con la vittoria operaia, con il
passaggio da 42 a 45 pf. orarie per gli operai finiti, l’aumento di 10 pf. per
gli operai e la riduzione di un’ora lavorativa al giorno (dal lunedì al venerdì
dalle 11 alle 10 ore). Cfr. L’Operaio Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, p.
7, Movimenti di salario. Muratori.
tradimento di chi sta utilizzando i mezzi messi insieme con
grande sacrificio per sfruttare l’organizzazione: Vi ha della gente
appetto alla quale questi poveri krumiri, come li chiamiamo,
diventano dei candidi angioletti; e sono quelli che girano da un
luogo all’altro dove vi sono degli operai in isciopero non tanto
coll’intenzione di lavorare in loro vece, ma di ricattarli. Quello che
si vuole denunciare è l’utilizzo scientifico delle casse di sciopero
del sindacato, che stanno rischiando l’esaurimento nella
gestione di alcuni scioperi, messi in difficoltà proprio dal grande
sforzo economico: qui non si tratta dei soliti incoscienti che
peccano per ignoranza! Pei semplici krumiri si possono trovare, se
non delle scusanti, della attenuanti fortissime: nella maggior parte
dei casi sono vittime delle arti subdole degli agenti de’ padroni, i
quali, profittando della loro ignoranza, li attirano ne’ luoghi in cui
vi sono degli scioperi senza avvertirli, e quando sono giunti non
possono più tornar via per mancanza di mezzi. Molte volte cadono
nelle reti di questi agenti dopo lunghi periodi di disoccupazione e
di fame, e l’acuto dolore delle miserie sofferte ottenebra loro il
cervello e fa dimenticare i doveri della solidarietà. Ma diversa è la
caratura morale di questi ricattatori privi di scrupoli, che
scelgono di vivere sulle spalle dei compagni di lavoro 67.
L’organizzazione sindacale deve dar fondo alle proprie
casse per sostenere la resistenza negli scioperi, come nel caso di
Essen in Renania Settentrionale-Westfalia nell’agosto 1900. Altre
volte le casse non bastano, come ad Husum in SchleswigHolstein: lo sciopero segue il suo corso regolare, e, meno una
ventina di italiani, le cui pretese per partire erano troppo forti, non
lavora nessuno. Per fortuna anche i padroni - come ad Essen,
dove per altro lo sciopero si concluderà negativamente per il
boicottaggio del sindacato di ispirazione cristiana - commettono
qualche errore, compilando le liste di proscrizione in modo così
pressappochistico da scambiare alcuni scioperanti per crumiri e
viceversa 68.
Un altro aspetto ancora, questa volta interno alla
compagine dell’emigrazione italiana, è quello del taglieggiamento
degli operai da parte dei capi della loro stessa nazionalità, come
nel caso della denuncia giunta nei confronti di Giovanni Battista
Dell’Agnese e di Giovanni Battista Cescutti. Tipi di sfruttatori,
prepotenti, sfacciati e senza coscienza come questo bel tomo del
Dell’Agnese, vecchia conoscenza dell’ Operaio Italiano, che già
l’anno scorso ebbe ad illustrarne le gesta, oppure come questo
nuovo Cescutti (...). Quest’ultimo, originario di Pradis di Sopra in
comune di Clauzetto, è destinato ad una lunga carriera di
sfruttatore, viste le denunce che appariranno sulla stampa
socialista friulana ancora undici anni dopo; significativo è il fatto
che lo stesso Cescutti si presenti come esponente socialista e
replichi alle accuse scrivendo allo stesso Il Lavoratore Friulano, a
67
L’Operaio Italiano, n. 12 del 16 giugno 1900, p. 6, 13 del 30 giugno
1900, p. 6, Movimenti di salario. Muratori e 15 del 28 luglio 1900, pp. 1-2,
Gli sciacalli.
68
L’Operaio Italiano, n. 17 del 25 agosto 1900, p. 7, e 19 del 22
settembre 1900, p. 7, Movimenti di salario. Muratori.
testimonianza di una sorta di doppiezza etica 69.
La rete degli intermediari appare diffusa e duratura: nel
gennaio 1901 viene denunciato un subappaltatore che ha
ricevuto dalla ditta Holzmann & Co. i lavori di costruzione di un
edificio e di un albergo a Francoforte sul Meno. Questo è certo
Toniati Martino di Zattis presso Clauzetto, che potrebbe essere lo
stesso titolare dell’impresa Toneatti di Frantingen presso cui
lavorerà dieci anni dopo come capomastro G.B. Cescutti, ai
tempi della denuncia del settimanale socialista friulano. A sua
volta Martino Toniati subappalta i lavori ad un paletta chiamato
Blarasini Giacomo di Piè-Lungo presso Vito d’Assio 70. Il peggiore
di quel gruppo di sfruttatori è Filippo Tubini detto Schiena di
Cermenato presso Milano, attivo a Düsseldorf, dove paga i
muratori 10 centesimi l’ora meno della tariffa. La rabbia degli
operai tedeschi si trasmette anche ai loro compagni italiani, ed il
29 dicembre 1900, giorno di paga, i paletta debbono farsi
scortare da tre poliziotti fino a casa. Purtroppo la tangente
imposta dai capi sui salari operai è di difficile contestazione:
bisognerebbe ricorrere alla magistratura, ma con il rischio di
farsi dare torto. L’unica soluzione è rovesciare i rapporti di forza,
grazie all’adesione in massa dei lavoratori al sindacato 71.
Va detto che gli italiani non sono i soli a prestarsi ad
operazioni di crumiraggio: altre volte i mercenari sono boemi
come a Zeitz in Sassonia-Anhalt, ungheresi come a Francoforte
sull’Oder in Prussia oppure slovacchi come a Solingen. A
Stettino in Pomerania sono operai polacchi ad essere adibiti ai
lavori di demolizione di un edificio, che provocano l’uccisione di
cinque passanti ed il ferimento di altri cinque: ma in questo caso
va rilevato come lo sconcerto per come questi operai accettino di
operare (lavoro, che era eseguito senza metodo né regola da
alcuni operai polacchi!) non deve far dimenticare come il porto
baltico insiste in una regione mista, abitata sia da tedeschi che
da polacchi 72.
69
In tutti i dibattiti sindacali internazionali dell’epoca è centrale la
questione del pagamento delle quote. Se per i sindacati dei paesi che
accolgono gli immigrati il versamento di alti contributi serve a garantire
solide organizzazioni e casse di resistenza, sembra di notare un rifiuto
diffuso dei lavoratori italiani a pagare questa doppia adesione.
Atteggiamento comprensibile sul piano economico ed anche su quello delle
scelte di vita: il mantenimento dell’adesione nel paese d’origine, e lo stesso
atteggiamento incoerente nell’emigrazione, sono espressione di una
mentalità per cui il lavoro all’estero è visto come assolutamente
temporaneo, finalizzando ogni sforzo al rientro, sia attraverso l’acquisto di
terreni coltivabili che nella prospettiva di trovare lavoro in patria.
70
Toniati dovrebbe essere una storpiatura di Toneatti, cognome che
ancor oggi si trova a Clauzetto e comuni vicini. Frazione Pielungo del
comune di Vito d’Asio.
71
L’Operaio Italiano, n. 15 del 28 luglio 1900, p. 2, Le solite gesta de’
negrieri! e 3 del 2 febbraio 1901, p. 4, Operai italiani sfruttati dai loro
connazionali; Il Lavoratore Friulano, n. 366 del 7 ottobre 1911, p. 2, In terra
d'esilio, articolo firmato Uno dei tanti, 376 del 17 dicembre 1911, p. 4,
Clauzetto. Le cose chiare e 382 del 28 gennaio 1912, p. 4, Sottoscrizione
permanente.
72
L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, pp. 6-7, Movimenti di
salario. Muratori, 24 dell’8 dicembre 1900, p. 8, Incerti di chi lavora e 13
Gli stessi problemi emergono nei paesi vicini, con esiti
opposti a seconda della sindacalizzazione realizzata fra gli
italiani. In Svizzera siamo di fronte ad un caso positivo: scoppia
nell’estate 1900 un grande sciopero fra i 1500 operai edili di
Losanna, in maggioranza italiani, per ottenere l’abolizione del
cottimo ed il ripristino delle retribuzioni concordate nel 1890. La
solida
disciplina
tenuta
dagli
scioperanti
nelle
loro
manifestazioni provoca la solidarietà della cittadinanza, che
contribuisce al sostentamento della mensa organizzata per
fornire un pasto agli operai senza salario. Il sostegno aumenta
ulteriormente quando, a fronte del comportamento rigido degli
impresari (che pensano di organizzarsi sul modello dei loro
colleghi tedeschi) corrisponde la decisione degli scioperanti di
accettare senza condizioni la mediazione deliberata dal consiglio
municipale. Alla fine anche gli impresari debbono accettare di
sottomettersi alla mediazione. Il risultato è un concordato,
sancito da una sentenza del tribunale, valido fino al 1° novembre
1903 e prorogabile, che contiene le seguenti conquista: la
giornata di 10 ore, aumenti salariali, il pagamento immediato
degli operai licenziati o dimessisi, il pagamento dell’assicurazione
a carico dei padroni - senza più trattenute a carico degli operai a partire dal 1° luglio 1901, l’assunzione di assistenti edili
svizzeri ed il divieto per imprenditori ed assistenti di tenere a
pensione gli operai: disposizioni queste ultime aventi l’evidente
obiettivo di evitare forme di intermediazione e di sfruttamento da
parte degli arruolatori italiani. Il concordato è giudicato dal
sindacato una mediazione solo parzialmente soddisfacente, ma è
positivo che si siano riportate in vigore le disposizioni del
contratto del 1890,
andate in disuso per l’indebolimento
dell’organizzazione operaia 73.
In Francia siamo invece di fronte ad episodi contraddittori.
Sono italiani gran parte degli operai in sciopero nel porto di
Marsiglia nel settembre 1900: arrivano in loro sostegno i
socialisti Oddino Morgari e Luigi Campolonghi, redattore de
L’emigrato, ma ambedue vengono subito espulsi dal territorio
francese dalle autorità 74. Ciò nonostante, gli italiani sono vittime
di tentativi di discriminazione da parte dei colleghi francesi, che
fanno riemergere gravi violenze come ai tempi di Aigues-Mortes.
E’ il caso del distretto carbonifero di La Motte d’Aveillans in
Delfinato, dove il 9 giugno 1901 avvengono gravissimi disordini
contro gli operai italiani, occupati in centinaia nelle miniere di
antracite. Se la causa occasionale è stata la coltellata sferrata
dall’italiano Sebastiano Enomale ad un giovane francese, la
causa vera va ricercata nelle solite ragioni di concorrenza fra
del 22 giugno 1901, p. 7, Movimenti di salario. Muratori. Dopo il 1945
Stettino (sulla riva destra dell’Oder) passerà alla Polonia, mentre
Francoforte sull’Oder, sulla riva sinistra, rimarrà in Germania, assegnato
al land del Brandenburgo.
73
L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, p. 7, 20 del 6 ottobre
1900, p. 8, e 21 del 20 ottobre 1900, p. 8, Svizzera
74
L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, p. 7, Francia. Su
Morgari e Campolonghi, cfr. ANDREUCCI-DETTI, cit., volumi primo, pp. 477482 (scheda a cura di A. Landuyt) e terzo, pp. 582-586 (scheda a cura di
Giulio Sapelli).
italiani e francesi. Gli operai francesi esigevano dalla direzione
della miniera il licenziamento immediato di tutti gl’italiani occupati
da meno di sei mesi; e non avendo la direzione annuito cominciò
una vera caccia all’italiano e furono saccheggiate e quasi rase al
suolo otto case da loro abitate 75.
Friulani, tirolesi, trentini.
Talvolta si trovano anche dei capi operai con coscienza di
classe: come nel caso di Weinsberg nel Württemberg, dove uno
di loro - pur essendo già in città ed avendo firmato un contratto
con degli imprenditori per lavori di scalpellino - scopre di essere
stato chiamato a sostituire sette operai licenziati perché a capo
del sindacato, e rinuncia all’incarico, invitando i suoi operai a
non raggiungerlo 76. Ovviamente si ripetono anche i casi di
coerenza da parte degli operai, rivelatori di una rete di
collegamenti sindacali ormai costituita e di una disciplina che
sta diventando senso comune. Come nel caso dello sciopero di
Duisburg in Renania Settentrionale-Westfalia, dove i padroni
cercano senza successo operai, che regolarmente ripartono
appena giunti in città 77.
I muratori friulani hanno il loro momento di gloria nel
Tirolo meridionale austriaco, quando contribuiscono alla lotta di
quelli che - di lì pochi anni, a causa di un atto di arroganza del
militarismo italiano - sarebbero diventati controvoglia loro
concittadini, oltre che compagni di lavoro. A Bolzano si svolge un
lungo sciopero di mille muratori per ottenere l’abolizione del
lavoro a cottimo e la riduzione di un’ora lavorativa il sabato. Il
sindacato tedesco organizza la sottoscrizione fra gli emigranti
italiani in Germania, chiedendo di versare i fondi a Romano
Schmidt, presso il Segretariato del lavoro di Trento. Tanto sforzo
di solidarietà internazionale nasconde una dura realtà, la solita:
Gl’imprenditori austriaci, non meno navigati di quelli tedeschi,
portarono sulla piazza di Bolzano dei lavoratori friulani,
guardandosi bene dall’avvertirli che essi venivano a lavorare in
una città in cui vi era uno sciopero. Giunti sul posto, e avuta
notizia delle vere ragioni per le quali erano stati portati a Bolzano
si rifiutarono di lavorare, e trovarono un giudice galantuomo e di
buon senso che non solo ha dichiarato legittimo il loro rifiuto a
lavorare, ma ha pure condannato gl’imprenditori ad indennizzarli.
Dunque già agli albori del secolo l’emigrazione friulana
non è fatta solo di crumiri professionali e di un ignorante gregge
votato allo sfruttamento. Il caso di Bolzano dimostra forme di
collegamento fra la manodopera migrante e le organizzazioni
sindacali
transalpine,
capaci
anche
di
garantire
la
comunicazione - durante lo sciopero - fra l’uno e l’altro territorio
statale, e l’attivazione di reti di conoscenze che portano i friulani
a resistere anche nel contesto giudiziario. In Friuli, in questo
momento, l’organizzazione socialista è praticamente inesistente,
75
L’Operaio Italiano, n. 13 del 22 giugno 1901, p. 8, Francia.
L’Operaio Italiano, n. 15 del 28 luglio 1900, p. 8, Scalpellini.
77
L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, pp. 6-7, Movimenti di
salario. Muratori.
76
si stanno appena riannodando i primi deboli fili dopo la
tempesta della repressione monarchica che ha scompaginato i
primi gruppi attivi nei centri maggiori; il Segretariato
dell’Emigrazione di Udine è appena stato concepito: ma il
comportamento dei muratori giunti nel principale centro
sudtirolese dimostra una maturità ed una disciplina esemplare,
che fanno capire su quali risorse si basi lo sviluppo tumultuoso
degli anni successivi.
Ecco come il giornale il “Popolo” di Trento narra la cosa:
“Evviva i friulani!” Con questo grido si salutava ieri a Bolzano una
comitiva d’operai friulani che, condotti su quella piazza per
rompere lo sciopero dei muratori indigeni si rifiutarono di lavorare,
non appena si accorsero dell’inganno che era stato loro teso. Non
erano stati avvisati dagli imprenditori che a Bolzano c’era lo
sciopero; colla scusa della sovrabbondanza di lavoro erano stati
ricercati di portarsi dalla Pusteria dove avevano occupazione a
Bolzano colla promessa di una mercede altissima, superiore alla
normale. Giunti alla stazione, scortati da gendarmi colla baionetta
in asta e da poliziotti, furono condotti dall’imprenditore sul posto
del lavoro; ma quella vigilanza speciale fece subito capir loro che
sulla piazza c’era lo sciopero. E avuta di ciò la conferma si
rifiutarono di tradire i loro fratelli.
Ma fecero di più. Si recarono al giudizio, raccontarono al
giudice che ad essi gl’imprenditori avevano sottaciuto lo stato di
sciopero in cui era la piazza e chiesero in via legale un indennizzo
pel viaggio di ritorno e per le giornate di lavoro perdute. Dire degli
epiteti e degli insulti, degli scherni che valse loro questo atto da
parte degli imprenditori e, diciamolo pure, da certi agenti
dell’autorità, non ci è possibile. Furono chiamati lazzaroni,
mascalzoni, briganti, “porca italiana”, pitocchi, faulenzer78,
pidocchiosi. Fieri della loro coscienza, fidenti nel loro diritto, non
curarono gl’insulti, non s’allontanarono dall’ufficio giudiziale
finché non fu loro resa giustizia. Il giudice obbligò l’imprenditore a
indennizzare ogni lavoratore con corone 3,50. Di questa sentenza
i friulani si dichiarono soddisfatti non per l’entità dell’importo, che
era inferiore alle perdite ad essi causate, ma per la vittoria morale
che in tal modo avevano ottenuto 79.
Non ci sono solo operai italiani in terra tedesca od
austriaca: sono gli stessi sudditi di lingua italiana della corona
asburgica a dover emigrare in Germania. I flussi migratori,
determinati dalla dura legge della necessità economica, non
rispettano certo i confini della geopolitica, ma semmai vecchie e
nuove consuetudini legate ai commerci, alla professionalità, alle
reti familiari e vicinali costruite nel tempo. Per il loro tramite,
anche nelle valli trentine inizia a penetrare la propaganda
socialista: il riferimento cui sono invitati a rivolgersi per
organizzarla è il Dr. Cesare Battisti in Trento 80.
L’organizzazione degli italiani al congresso
78
Fannulloni.
L’Operaio Italiano, n. 17 del 25 agosto 1900, p. 8, Austria e 18 dell’8
settembre 1900, p. 4, Bravi compagni!
80
L’Operaio Italiano, n. 23 del 17 novembre 1900, p. 8, Austria.
79
dell’Unione muraria del 1901.
Nel dicembre 1900, il bilancio del lavoro organizzativo fra
gli emigranti italiani appare ancora insufficiente. I risultati non
sono corrispondenti all’enorme dispendio di energia ed anche di
danaro che negli ultimi anni è stato fatto per la propaganda,
specialmente in Isvizzera ed in Germania. Nonostante la
propaganda (che usufruisce anche della stampa socialista
spedita agli emigranti dall’Italia) le sezioni sindacali italiane
trascinano una vita stentata. Varie le possibili cause: l’ignoranza
e l’indifferenza fatalistica dei lavoratori italiani, la paura e
l’influenza del prete in patria. Queste cause però sono
insufficienti, se si tiene conto che gli emigranti provengono in
gran parte dall’Italia settentrionale, dove le percentuali
dell’analfabetismo scendono a tassi quasi irrisori. Quanto
all’indifferenza, le conferenze sono generalmente frequentate da
centinaia di persone anche quando l’oratore non è un deputato ma
si tratti di uno sconosciuto. E in quanto all’influenza del prete
crediamo pure che si sia sempre esagerato molto.
Con spirito autocritico si afferma come sia necessario
guardare all’interno delle file socialiste, ed in primo luogo al
personalismo ed allo spirito polemico che assorbono gran parte
delle
discussioni
del
movimento,
allontanando
molti
simpatizzanti. In realtà, dietro questa valutazione si nasconde,
come in altri casi, la violenza dello scontro fra rivoluzionari e
riformisti nel socialismo italiano, come ben fa capire il
riferimento alla divisione di una sezione fra “prampoliniani” e
loro avversari 81.
Diverso è il tono dell’editoriale con il quale, poche
settimane dopo, Valär inaugura la sua gestione de L’Operaio
Italiano, dopo l’espulsione dalla Germania del precedente
redattore, che non abbiamo potuto identificare. Il nuovo
redattore è proteso a dimostrare i grandi successi del lavoro degli
anni appena trascorsi, a partire dalla crescente diffusione del
giornale e le centinaia di lettere e cartoline piene
d’incoraggiamenti, di notizie preziose e di consigli che
settimanalmente ci giungono da ogni parte della Germania, non
che il desiderio manifestato da una gran parte de’ nostri lettori che
il giornaletto li segua anche nell’inverno nelle loro case, tra le loro
famiglie. Sono migliaia e migliaia di forti lavoratori che prima
vivevano come isolati senza comprendere nulla di tutto il
movimento che vedevano svolgersi sotto i loro occhi, e che troppo
spesso erano semplicemente degli strumenti di oppressione nelle
mani degli imprenditori (...) Solo tre anni fa l’idea di organizzare
gli operai italiani pareva un mito, un sogno da matti; ed oggi
vediamo che non vi ha quasi sezione che non conti un forte
manipolo di operai italiani che coopera co’ loro fratelli (...) e nei
centri maggiori, quelli in cui l’emigrazione italiana è più forte, sono
sorte delle organizzazioni parallele, che vivono di fianco alle
tedesche di vita propria, e procedono mano in mano con esse,
unite strettamente in tutte le questioni e in tutte le lotte. E
81
L’Operaio Italiano, n. 25 del 22 dicembre 1900, pp. 4-5, La smania
dello scandalo; BETTOLI, cit., vol. primo, pp. 192-207.
diminuendo il crumiraggio, l’operaio italiano inizia a non essere
più visto come il principale spauracchio dell’operaio tedesco
organizzato 82.
Il problema viene ripreso in occasione della convocazione
del sesto congresso dell’Unione muraria tedesca, che si tiene a
Magonza a partire dall’8 aprile 1901: Valär coglie l’occasione per
stimolare il dibattito fra i compagni. Quali sono le questioni
centrali, secondo lui? Certo, bisogna superare il volontarismo,
per rendere sistematica la propaganda. Ma, su un piano più
propriamente sindacale va superata la divisione in tante
organizzazioni di mestiere, con il raggiungimento dell’unità
attraverso un sindacato industriale che raggruppi tutta la
categoria. La divisione in più federazioni di mestiere, che
produce prevalentemente risultati negativi, può essere superata
con una proposta originale, per cui gli italiani realizzerebbero
pragmaticamente l’unificazione industriale prima dei tedeschi,
aderendo tutti all’Unione muraria, la più forte delle tre leghe
(Valär non mette in discussione la separatezza dei sindacati degli
scalpellini e dei minatori).
Altra questione che viene posta da Valär è quella
dell’autonomia degli italiani nel sindacato tedesco. La crescita
del loro ruolo non può che passare per una certa pratica
autonoma, da realizzarsi però nelle sezioni tedesche, senza
perseguire la via di una autonoma struttura nazionale degli
italiani ritenuta poco realistica: se questo è stato possibile in
Svizzera, è perché là la mano d’opera dell’industria edile è quasi
un monopolio degli italiani; mentre qui ci troviamo di fronte a quasi
un milione di operai edili tedeschi, co’ quali dobbiamo procedere di
conserva 83.
A tal proposito va sottolineata l’esperienza particolare della
sezione edile italiana di Mannheim e Neckarau, nel Baden, dove
gli italiani sono stati i promotori e rimangono la maggior parte
degli aderenti al sindacato. Una realtà che, approfittando della
presenza di un nucleo ormai stabilizzato di emigranti definitivi e
della stessa presenza come amministratore del gestore del
ristorante italiano, si pone il problema di togliere gli italiani dallo
sfruttamento di negozianti e locandieri, iniziando a pensare ad
un locale cooperativo che diventi il centro, anche politico e
sindacale, della comunità, sull’esempio di quanto fatto a Ginevra
e ad Innsbruck, ma anche ad una scuola 84.
82
L’Operaio Italiano, n. 1 del 5 gennaio 1901, pp. 1-2, Sulla soglia del
quarto anno, articolo siglato Vugi.
83
L’Operaio Italiano, n. 1 del 5 gennaio 1901, p. 2, Congresso
dell’Unione muraria, 2 del 19 gennaio 1901, pp. 1-2, Pel congresso
dell’Unione muraria, articolo datato Amburgo, 9 gennaio e siglato Vugi e 3
del 2 febbraio 1901, p. 4, In altre organizzazioni.
84
L’Operaio Italiano, n. 9 di martedì 1° maggio 1900, pp. 2-3, Per una
cooperativa di consumo; 5 del 2 marzo 1901, p. 2, Pel prossimo congresso.
Dell’autonomia, lettera firmata Due muratori di Neckarau.
Una iniziativa di questa natura, coronata da successo ormai secolare, è
la Cooperativa Italiana di Zurigo, con il suo Ristorante (il cui presidente,
Andrea Ermano, è anche il direttore del periodico socialista italiano
L’Avvenire dei lavoratori, di cui è disponibile da qualche tempo anche una
edizione
on-line:
cfr.
i
siti
internet
www.cooperativo.ch
e
La sezione di Mannheim (oltre a conferenze, feste da ballo
e scampagnate, nelle quali si riuniscono la comunità, ma anche i
compagni tedeschi) organizza l’attività di propaganda domenicale
nei centri vicini, come a Friedrichsfeld ed a Kirchheim. Il 21
ottobre un gruppo di attivisti della Lega tiene un comizio allo
jutificio di Sandhofen, con il risultato di effettuare molte
iscrizioni; risultato ottenuto - lo stesso giorno - da un altro
gruppo recatosi a Mundenheim. Ma va considerato come la
concentrazione di italiani nel Baden e nel Palatinato bavarese,
stimata da un giornale tedesco a circa 30.000, sia la maggiore in
Germania, e quindi si comprende sia l’attivismo del sindacato in
questa realtà, sia il fatto che qui si vendono gran parte delle
copie de L’Operaio Italiano 85. Nonostante l’attività, la forza della
lega degli edili, con la sua sezione tedesca e quella italiana, non
riesce a mobilitare i 2.000 operai edili di Mannheim, arretrando
di fronte alla reazione padronale che nei primi mesi del 1901
provoca consistenti riduzioni di salario. Il motivo viene
individuato nelle polemiche interne che dividono l’organizzazione
86.
La presa di posizione di Valär
apre un dibattito
sull’impermeabilità della Germania settentrionale (in primis
Amburgo Berlino) nei confronti degli operai italiani, a causa
dell’ostracismo dei colleghi tedeschi. Egli ricorda come
l’inaccettabile atteggiamento dei tedeschi trovi ragioni oggettive
nel fatto che là - dove le conquiste sindacali sono state maggiori
- i pochi italiani si sono presentati come crumiri per boicottare
gli scioperi. Non solo: gli italiani che giungono nelle città del
Nord hanno il difetto di iscriversi solo strumentalmente al
sindacato, senza alcuno spirito di solidarietà, e sono pronti a
ricattare la cassa di resistenza in caso di sciopero, com’è
successo a Spandau. Ciò nonostante, va dato atto ai tedeschi
che il risentimento non ha mai prese quelle forme brutali e
selvagge che cagionarono i fatti di Berna, di Zurigo, di Marsiglia e
di Aigues-Mortes, per non passare l’oceano 87.
Orario, salario, sicurezza.
I miglioramenti ottenuti finora possono sembrare poca
cosa rispetto alla povertà generale dei lavoratori: ma gli aumenti
di 2-5 pfennige l’ora e la diminuzione di 1-2 ore lavorative al
www.avvenirelavoratori.ch.
85
L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, p. 1-2, Di uno dei
caneri (cancri?) delle nostre organizzazioni, 21 del 20 ottobre 1900, p. 6,
Echi dalle sezioni, siglato V.B. e poscritto redazionale, 22 del 3 novembre
1900, p. 7, Corrispondenze, siglato V.B., 23 del 17 novembre 1900, p. 2,
Condizioni di salario e di lavoro dei muratori nel Baden ed 1 del 5 gennaio
1901, p. 7, Corrispondenze e Avviso (firmato Victor).
86
L’Operaio Italiano, n. 2 del 19 gennaio 1901, p. 7, Corrispondenze; 4
del 16 febbraio 1901, p. 4, Una lezione di cose (Ai compagni organizzati di
Mannheim), articolo firmato Fra Ginepro e 6 del 16 marzo 1901, pp. 5-6,
Per “Una lezione di cose”, lettera firmata Un operaio organizzato e replica di
Fra Ginepro.
87
L’Operaio Italiano, n. 4 del 16 febbraio 1901, pp. 2-3, Pel prossimo
congresso.
giorno sono il risultato realistico ottenibile in una situazione in
cui ancora non tutta la classe operaia si è organizzata. I contratti
esaminati sono stati ottenuti a livello comunale o
sovracomunale, in mancanza di un livello di contrattazione
regionale o nazionale, e risentono quindi delle differenziazioni
derivanti dalla forza organizzata dei lavoratori su base locale e
della resistenza del padronato. Di durata annuale o biennale,
presentano in effetti generalmente aumenti salariali nella scala
richiamata (rispetto ad una paga oraria di partenza molto
differenziata, che va dagli 30/35 ai 40/45 pf. l’ora, per crescere
nelle principali città settentrionali: 52 a Kiel e Brema, 60 ad
Amburgo, dove c’è l’aumento più consistente, che arriva a 75
pf.), retribuzioni aggiuntive per lavori disagiati e pagamento del
tempo di spostamento per i lavori esterni ai centri abitati, forti
limitazioni dell’utilizzo dello straordinario (gravato da indennità
aggiuntiva) e del lavoro notturno, abolizione o in subordine
limitazione del cottimo. L’orario estivo subisce una riduzione da
11 a 9,5 o 10 ore lavorative giornaliere con diminuzione d’orario
il sabato (solitamente mezz’ora, ma anche due ore nel caso di
Velten i.d.M.), mentre quello invernale - nel nordico Schleswig - è
di 7 ore. Nel caso di Brema si è arrivati ad ottenere le 9 ore a
partire dal 1901. In alcune località si è ottenuta la festività del
Primo Maggio e l’esclusione di atti di rappresaglia sugli
scioperanti. In alcuni accordi si fa riferimento al problema degli
alloggi per i lavoratori che non possono rientrare tutte le sere
all’abitazione: l’attenzione è posta sull’igiene di baracche e
latrine, sul riscaldamento dei locali e sulla fornitura di stoviglie:
in un caso (Wolfenbüttel) è prescritto il diritto al controllo
settimanale da parte della commissione dei salari 88.
Le riduzioni d’orario sono inserite nella rivendicazione
generale del sindacato internazionale, quella delle otto ore al
giorno. Su questa rivendicazione si soffermano gli articoli de
L’Operaio Italiano, insistendo sui benefici per la salute delle
masse lavoratrici che sarebbe apportata dalla riduzione d’orario
e rifiutando il ragionamento razzista del padronato, secondo il
quale il maggior tempo libero farebbe precipitare i lavoratori nel
vizio. Viceversa, un punto forte della rivendicazione delle otto ore
è quella del recupero di produttività che avverrebbe da parte
operaia, eliminando quel surplus d’orario che non fa che
esaurire le forze fisiche e mentali dei lavoratori. Una disastrosa
conseguenza del protrarsi dell’orario del lavoro fino allo stremo
della capacità di resistenza umana è l’aumento progressivo degli
infortuni sul lavoro. Particolare attenzione viene prestata alla
situazione australiana, dove l’agitazione per le 8 ore - iniziata il
21 aprile 1857 a Melbourne con un corteo alla cui testa una
bandiera proclamava Otto ore di lavoro, otto di svago, otto di
sonno - ha avuto successo in oltre sessanta categorie,
88
L’Operaio Italiano, n. 10 del 19 maggio 1900, pp. 4-5, 11 del 2 giugno
1900, pp. 3-4 e 18 dell’8 settembre 1900, p. 5, tutti con il titolo: Le
conquiste di quest’anno. In occasione del congresso dell’Unione Muraria
dell’aprile 1901, viene presentata una relazione sui risultati complessivi
ottenuti nel corso del 1900, sintetizzata in una tabella del n. 9 del 1°
maggio 1901 de L’Operaio Italiano, p. 3, Cifre che dovrebbero far pensare.
rappresentanti il 75% della classe operaia (ed il restante quarto
lavora al massimo 9 ore al giorno) 89.
Ma le conquiste sindacali non possono nascondere il
permanere di vaste sacche di condizioni al limite della
sopravvivenza: come la Lorena, dove secondo la Metzer Zeitung
gli italiani residenti sono 42.000, ma - secondo il sindacato
tedesco - altre migliaia stanno arrivando ad ondate nei centri
industriali della regione. Fra loro pesa l’ipoteca clericale, che li fa
allontanare da un attivista che cerca di avvicinarli al sindacato
con l’esclamazione: E’ un framassone! D’altronde anche gli operai
tedeschi organizzati in sindacati di orientamento cristiano
fungono da elemento di rottura della solidarietà di classe, come
avviene durante lo sciopero dei lavoratori del granito di
Blauberg.
Siamo nella Lorena siderurgica, tramontata negli ultimi
decenni del Novecento, rievocata con emozione da Aurélie
Filippetti nel romanzo dedicato - insieme al padre ed al nonno
emigranti umbri comunisti - ad un’intera classe operaia
migrante. Come nelle pagine della scrittrice francese (la Lorena e
l’Alsazia dopo il 1918 ritornano alla Francia), la durezza dello
sfruttamento e delle lotte per affermare i diritti dei lavoratori si
saldano letteralmente al minerale vivo che costituisce il sangue
ed i nervi della regione contesa fra Germania e Francia. Che dire
poi della leggerezza con cui sono dirette quelle officine che
occupano migliaia di italiani in lavori pericolosissimi! Le disgrazie
sono all’ordine del giorno! Ora è un giovine, esaurito dal lungo e
penoso lavoro, che si lascia stritolare e bruciare da un masso
d’acciaio rovente, ora è un altro che cade nel minerale liquido, e di
lui non si trova più traccia; ora è uno che occupato alle vaste
costruzioni metalliche cade dall’altezza di dieci metri e muore;
oppure è una catena difettosa che si spezza e ferisce gravemente
sette operai 90.
Il problema della salute e della sicurezza è pure al centro
del memoriale sulle condizioni di vita e di lavoro degli scalpellini,
deliberato dal congresso della categoria a Gotha e presentato l’8
gennaio 1901 dal comitato centrale della lega dei lavoratori in
pietra. Le condizioni degli scalpellini, cavatori e lisciatori
(levigatori) sono tristissime: non vi ha altro mestiere nel quale le
malattie professionali facciano tante vittime. (...) Di tutti i cavatori
impiegati nelle cave il 37,79 per cento sono malati; se si pigliano
in considerazione anche gli scalpellini propriamente detti occupati
nelle cave, questa percentuale già fortissima sale al 44,9 per
cento. Più alta ancora è la percentuale dei malati fra gli scalpellini,
89
L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, p. 4, Gli infortuni nelle
diverse ore del giorno, 17 del 25 agosto 1900, p. 2, La giornata di lavoro, 18
dell’8 settembre 1900, pp. 3-4, che cosa c’insegna la storia
dell’abbreviazione della giornata di lavoro?, 19 del 22 settembre 1900, p. 5,
I medici e la giornata di otto ore, 20 del 6 ottobre 1900, p. 3, La giornata
delle otto ore in Australia.
90
L’Operaio Italiano, n. 7 del 7 aprile 1900, p. 2, Organizziamoci (Dalla
Lorena), corrispondenza firmata Un solitario, 10 del 19 maggio 1900, p. 7,
Scioperi e boicotti. Scalpellini e 11 del 2 giugno 1900, p. 4, Cose che
succedono! (Dalla Lorena.). FILIPPETTI, Aurélie, Gli ultimi giorni della classe
operaia, Milano, Il Saggiatore, 2004.
poiché sopra ogni cento, 65 sono malati. La malattia prevalente è
la tubercolosi: sopra 10 mila scalpellini se ne trovano sempre 838
in cui questa malattia è in pieno sviluppo, e 1077 incipiente. Vale
dunque a dire che quasi 1/5 di tutti gli scalpellini hanno questo
male nelle ossa e sono sacri alla morte dopo un’agonia lunga e
tormentosa.
(...) Il secondo gran pericolo al quale sono sottoposti i
lavoratori della pietra è la morte prematura. Sopra ogni 10 mila
scalpellini ne muoiono all’anno 505, e sopra ogni 10 mila cavatori
ne muoiono annualmente 363, e dove scalpellini e cavatori
lavorano uniti la mortalità è data da 445 sopra 10 mila. In altre
professioni la mortalità arriva appena ad 1/4 di quella dei
lavoratori della pietra. E come la morte li colpisce tutti giovani, nel
vigore degli anni e della vita! La media della vita degli scalpellini è
di 36 anni e mezzo, e fra quelli che lavorano la pietra arenaria
scende perfino a 33 anni. Il terzo punto trattato dal memoriale è
quello degli infortuni sul lavoro, che fra i lavoratori della pietra
sono comunissimi. Sopra 1000 scalpellini 54,32 vengono colpiti da
infortuni più o meno gravi, dei quali 13,58 vengono risarciti dalla
cassa di assicurazione. Negli altri mestieri, in generale, le medie
degli infortuni risarciti dalla casa non supera gli 8,2. Causa di
questa situazione sono le condizioni di lavoro della categoria:
mancano da per tutto i più elementari mezzi protettivi escogitati
fino ad oggi contro l’influenza malefica della polvere, contro
gl’infortuni e contro la spossatezza causata dalle giornate troppo
lunghe e facilitata dal sistema del cottimo, che nell’industria della
pietra è applicato su vasta scala. A questi fenomeni sarebbe
possibile, senza nessun calo di produttività del settore, rimediare
attraverso interventi legislativi sul terreno delle condizioni di
lavoro, e la riduzione della giornata lavorativa 91.
Non si tratta certo solo di questioni limitate agli scalpellini
ed affini, od ai siderurgici: dai dati forniti dalle cooperative di
assicurazione (Berufsgenossenschaften) nel 1899 gli infortuni sul
lavoro denunciati è stato di 443.313, pari al 2,48% dei
17.847.642 assicurati. E le spese per la maggior parte di questi
infortuni sono cadute sulle casse-malattie, quindi sono state
pagate dagli operai medesimi (...). Nei 14 anni dal 1886 al 1899
sono stati risarciti ben 809.518 infortuni, dei quali 81.884
hanno prodotto la morte, 29.200 la totale inabilità e 426.336
quella parziale dei lavoratori colpiti. D’anno in anno il numero
degli infortuni è sempre andato crescendo non soltanto nel suo
91
L’Operaio Italiano, n. 3 del 2 febbraio 1901, pp. 5-6, Il memoriale degli
scalpellini. A proposito del memoriale, il deputato socialdemocratico Wurm
presenterà al parlamento tedesco un’interpellanza al ministro Posadowski
in merito alla promessa inchiesta sulle condizioni professionali della
categoria. L’intervento di Wurm viene pubblicato - per esplicita richiesta
del comitato centrale della Lega dei lavoratori della pietra - con grande
rilievo da L’Operaio Italiano alle pp. 1-4 del n. 8 del 13 aprile 1901: Il
memoriale dei lavoratori della pietra davanti al parlamento germanico.
Questa iniziativa straordinaria, che occupa metà di un numero del
giornale, è specificamente rivolta agli operai italiani del settore: Sparsi per
le cave e le piazze di lavoro della Sassonia, della Baviera, del Baden ecc. vi
sono centinaia e migliaia di scalpellini, tagliapietre, marmorini e cavatori
italiani. Nella pagina successiva, un dialogo fra Tonio e Beppe è dedicato
invece a: I terrazzieri (pp. 4-5, articolo firmato Carluccio).
valore assoluto, ma anche in quello relativo in confronto al numero
degli assicurati. Nel 1886 sopra 1000 assicurati si avevano 2,8
infortuni, mentre nel 1899 questo numero è salito a 7,39; vale a
dire che è quasi triplicato. Fenomeno questo che contribuisce a
falcidiare, oltre alle vite, le stesse rendite fornite agli operai, la
cui quota per assistito si è dimezzata in 14 anni 92.
Contro il cottimo.
Oltre alle battaglie per l’incremento dei salari e per la
giornata lavorativa di 8 ore, altro obiettivo centrale che
progressivamente
si
afferma
(sintomo
dell’innovazione
organizzativa che sta avvenendo) è quello per la difesa della
retribuzione a tempo, contro l’utilizzo del cottimo o retribuzione
a fattura.
Con la diffusione del cottimo si sta facendo rientrare dalla
finestra quello sfruttamento della manodopera che si sta
cercando di cacciare dalla porta. Il cottimo permette di aggirare
le conquiste sull’orario (costringendo i lavoratori a lavorare più
velocemente) ed in tal modo impedisce quella positiva ricaduta
sul collocamento dei disoccupati che era obiettivo fondamentale
della battaglia per le 8 ore: col cottimo si può arrivare a
risparmiare da uno fino a due terzi della manodopera. Aumenta
così la massa di disperati disponibili a vendersi sotto tariffa, con
effetti depressivi sulla dinamica salariale: in conseguenza
dell’aumento della disoccupazione, mentre i salari a tempo
aumentano - almeno nominalmente - la retribuzione dei cottimi
diminuisce sensibilmente, con un’accentuazione progressiva dei
ritmi di lavoro. Un correttivo è l’inserimento in alcuni contratti di
mestiere della clausola (che però poi non viene sempre
rispettata) che la retribuzione a cottimo non possa essere
inferiore a quella a giornata: ma la duplicazione degli obiettivi
salariali rende più difficile la gestione delle rivendicazioni, ed
aumenta le tensioni e la concorrenza interne alla classe operaia
93.
La contraddizione fra retribuzione a tempo ed a cottimo fa
capire come la scelta, soprattutto da parte degli emigranti
friulani, si possa inserire in una linea d’ombra nella quale
l’interesse personale, oltre alla cultura individualistica di
provenienza, collide oggettivamente con il bisogno collettivo di
realizzare il massimo di solidarietà e coesione sociale. L’Operaio
Italiano deve prendere atto che la retribuzione a cottimo in molte
realtà prevale su quella oraria. Il cottimo produce un’epidemia di
infortuni sul lavoro. La statistica degli infortuni sul lavoro,
presentata al parlamento tedesco, denuncia un incremento degli
episodi dai 382.117 del 1897 ai 407.522 del 1898 (su
17.505.905 assicurati). Ben 7.984 infortuni hanno avuto un
esito mortale, e 1.139 hanno comportato la totale invalidità al
lavoro; le vedove e gli orfani indennizzabili sono rispettivamente
92
L’Operaio Italiano, n. 3 del 2 febbraio 1901, p. 7, Il sacrificio
all’industria.
93
L’Operaio Italiano, n. 8 del 21 aprile 1900, pp. 3-4, Il lavoro a cottimo.
Dialogo fra due operai.
5.096 e 16.601 94.
Il fenomeno del lavoro a cottimo, con le sue distorsioni,
non nasce in Germania, ma vi è importato dall’Italia. Secondo
Quaglino, c’è una differenza fra il cottimo tradizionale e quello
realizzato dagli intermediari: Se i veri hanno lo scopo di sfruttare
gli altri per conto proprio, i finti cottimisti li sfruttano per conto
altrui, cioè per i padroni. Se i primi sfruttano la manodopera con
l’attrattiva di 20-25 centesimi in più al giorno, i secondi
approfittano della disoccupazione, diffusa in particolare nei
grandi centri urbani, per reclutare operai a qualsiasi prezzo. Gli
imprenditori, per non dividere il loro guadagno con i cottimisti
classici, che si fanno pagare a metro quadrato o metro lineare di
produzione, scelgono alcuni lavoratori, cui delegano il
reclutamento della manodopera, la gestione delle squadre e la
stessa retribuzione, dopo aver fissato gli obiettivi di produzione.
Così il finto cottimista non lucra solo una paga leggermente più
alta degli altri operai (ad esempio 4 lire al giorno invece che 3,5),
ma può anche taglieggiare questi ultimi: così ne deriva che quegli
operai, dopo un lavoro opprimente, insopportabile, prendono una
tariffa inferiore a quella di coloro che lavorano normalmente. Tale
fenomeno è molto diffuso, soprattutto a Torino, e produce il
ribasso delle retribuzioni oltre alla disoccupazione: molti
lavoratori disorganizzati soggiacciono a questa forma estrema di
sfruttamento sotto il ricatto della disoccupazione (nella quale
comunque ricadranno per l’effetto perverso innescato dal
meccanismo concorrenziale) e della conseguente emigrazione 95.
Altra figura descritta da Quaglino sono i poussa, come
vengono chiamati in Piemonte quegli operai che provocano il
lavoro accelerato, sfruttando per conto degli imprenditori,
l’ignoranza e l’orgoglio fuori di luogo che ancora regnano nella
grande maggioranza degli operai edili, e specialmente, nei
muratori. La paternità di questa nuova creazione spetta agli
assistenti ed ai capo-squadra, i quali già la tolsero ad imitazione
dai cottimisti; ed ecco come si effettua la formazione dei poussa.
Quando un dato lavoro assunto a cottimo da cinque o sei operai,
richiede, sia per la entità di esso, sia per il tempo determinato
all’esecuzione, un maggior numero di lavoratori, questi cottimisti,
per avere una maggior produzione di lavoro e quindi ricavarne
maggior guadagno, si distribuiscono i posti, mettendosi uno di essi
per quadriglia; così coll’esempio, coll’incitamento e, se non basta,
colle minacce, costringono gli altri tre ad un passo, come si dice
comunemente, forzato.
Quando un impresario assume un lavoro, per contenere le
spese (e le percentuali di ribasso con le quali le imprese
ottengono l’assegnazione dei lavori sono enormi: ad esempio, nel
caso dei lavori presso la caserma dei pompieri di GrossLichterfelde a Berlino, un’impresa si aggiudica l’asta con un
ribasso di quasi il 60% 96) dà mandato agli assistenti di cantiere
94
L’Operaio Italiano, n. 14 del 14 luglio 1900, pp. 1-2, Salario a tempo e
salario a fattura e Dai campi di battaglia del lavoro.
95
L’Operaio Italiano, n. 21 del 20 ottobre 1900, p. 2, I finti cottimisti.
96
L’Operaio Italiano, n. 1 del 5 gennaio 1901, pp. 3-4, Delizie del
sistema di appalto per asta.
di contenere i costi, in modo da recuperare il ribasso d’asta con
il quale si è vinto l’appalto. Per una o due settimane, l’assistente
osserva la produzione degli operai assunti, per poi individuare
quelli più efficienti e promettere loro una retribuzione aggiuntiva,
se aumentano il ritmo della lavorazione: ovviamente i prescelti
vengono assegnati ognuno ad una squadra diversa, in modo da
influenzarne il rendimento. Assistente e poussa divengono così
strumenti del padrone il quale, con un aumento di retribuzione
relativo, ottiene una ben maggiore produttività 97.
Gli assistenti edili.
Il sindacato, almeno a Berlino, inizia a penetrare anche fra
gli assistenti edili, con la costituzione di una loro lega di
categoria. Le loro stesse condizioni sono definite tristissime, in
quanto la responsabilità di tutto quanto succede sulle costruzioni
pesa unicamente sulle loro spalle. Essi stanno continuamente con
un piede in carcere. Su di loro grava, quindi, il risparmio sulla
sicurezza degli impresari, che porta ad una vera e propria
epidemia di crolli durante le lavorazioni edili, con decine e decine
di operai sacrificati ogni mese. E con tutto ciò i salari sono
assolutamente insufficienti. La lega dei padroni rifiuta la richiesta
di una retribuzione minima settimanale di 45 marchi: la paga
oraria di un assistente arriva anche ad essere inferiore a quella
operaia di 65 pf. Per sostenere la rivendicazione, l’assemblea
della lega decide di aderire alla lega degli assistenti carpentieri e
scalpellini.
Questo movimento fra gli assistenti viene visto con favore
dal sindacato, che nota come finalmente questo settore di
lavoratori ritorni a quell’unità di classe che in passato, prima del
capitalismo, vedeva i capi operai interpretare le esigenze di tutta
la categoria, e spesso essere eletti dai loro compagni di lavoro. Il
rifiuto da parte degli assistenti edili di coprire le responsabilità
padronale nell’ecatombe di infortuni corrisponde ad un
contemporaneo appello del sindacato ad una maggiore
autotutela da parte dei lavoratori, di cui si denuncia la tendenza
a non rifuggire da modalità di lavoro poco sicure. Il fenomeno è
indubbiamente in crescita, ed i padroni, in sede processuale, si
giustificano scaricando la colpa sulla temerarietà degli operai,
anche se è evidente come questo sia un tentativo di nascondere
l’obbligo - ricadente su questi ultimi a pena del licenziamento di lavorare nelle condizioni date.
Come gli armatori che fanno navigare vere e proprie naviferetro votate al naufragio, per permetter loro - a costo delle vite
di molti marinai - di lucrare sui premi assicurativi, tanti padroni
credono che l’aver pagato il premio per l’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro li renda arbitri assoluti della vita dei loro
operai. C’è però un fondo di verità, purtroppo: perché,
specialmente fra i giovani, se ne trovano di quelli ai quali piace di
mostrarsi coraggiosi, di disprezzare il pericolo, e che, per
sorprendere i compagni di lavoro, o per piacere e farsi ammirare
97
L’Operaio Italiano, n. 25 del 22 dicembre 1900, pp. 2-3, I “poussa”.
dal padrone, mettono mille volte a repentaglio la vita, e compiono
atti di una temerità senza pari 98.
La lega dei padroni.
Di fronte all’organizzazione sindacale si ergono le forze del
potere economico e politico, unite nel contendere palmo a palmo
l’estendersi delle conquiste dei lavoratori. Quasi ad ogni sciopero
troviamo le cronache di interventi polizieschi, volti a reprimere
con l’arresto non solo l’organizzazione di picchetti, ma la stessa
presenza di osservatori posti nella vicinanza dei cantieri. La
magistratura raramente interviene a difesa dei diritti dei
lavoratori. Ma il padronato non si limita a delegare il
contenimento del sindacato ai poteri pubblici: si organizza
direttamente, realizzando pratiche discriminatorie contro i
militanti sindacali e scegliendo i tempi dello scontro, quando
ritiene gli siano favorevoli.
Scopo dell’organizzazione padronale, secondo il sindacato,
è la distruzione della stessa esistenza dell’organizzazione
operaia. Se finora questi tentativi non sono riusciti, ciò è stato
dovuto non tanto ad incertezze nell’azione padronale, ma alla
forza della resistenza dei lavoratori. Sulla base di queste
premesse, viene analizzata la discussione nella specie di
congresso tenutosi a Dresda nella prima metà del settembre
1900. Il primo presidente della lega padronale, Felisch di
Berlino, ha esordito con una vera dichiarazione di guerra alla
classe lavoratrice: i padroni devono organizzarsi approfittando
dei momenti di pace sociale, preparandosi a rifiutare
l’assunzione non solo ai sindacalisti inseriti nelle liste nere ritenute insufficienti - ma a qualsiasi operaio privo di un regolare
certificato di licenziamento da parte del datore di lavoro
precedente. In particolare, va cessata la concorrenza intestina
fra gli impresari, usi ad assumere il personale che sfugge dai
centri in cui sia in corso uno sciopero 99.
Parimenti viene approvata dal congresso padronale la
richiesta di inserire nei contratti di appalto la clausola dello
sciopero, considerandolo una causa di forza maggiore che libera
l’imprenditore dal rischio di essere penalizzato con multe per i
ritardi nella consegna dei lavori: clausola che secondo il
sindacato vige già di fatto nei contratti con privati, e che si vuole
estendere agli appalti pubblici. Esistono già casi nei quali gli
impresari, non riuscendo a consegnare ad appaltanti privati i
lavori nei tempi previsti, provocano artificiosamente degli
scioperi, per essere esonerati dalle penali (trasferendo sui
lavoratori che non vengono retribuiti le inefficienze dell’impresa).
Il sindacato è contrario al fatto che le pubbliche amministrazioni
riconoscano questa clausola, in quanto ciò depotenzierebbe
l’arma dello sciopero in mano ai lavoratori, cosa che ha già
portato in passato alla sconfitta di parecchie agitazioni. Governo,
98
L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, pp. 4-5, Assistenti e
imprenditori e 20 del 6 ottobre 1900, pp. 1-2, Curiamo di più la nostra vita.
99
L’Operaio Italiano, n. 20 del 6 ottobre 1900, p. 8, Germania. La fine di
uno sciopero. Terrorismo padronale.
comuni ed enti morali debbono mantenere una posizione di
neutralità o di conciliazione nelle cause di lavoro: per questo
motivo il sindacato decide di inviare al Parlamento ed alle
amministrazioni comunali proprie delegazioni per chiedere che
venga respinta la richiesta padronale.
Nonostante qualche presa di posizione controcorrente,
come quella del vicepresidente Simon, di Breslavia, in Slesia che pronuncia il suo discorso fra il silenzio glaciale dei suoi
colleghi, proponendo la via del dialogo con l’organizzazione
sindacale - il congresso è segnato dalla richiesta generalizzata di
diminuzione dei salari operai. Ma la controffensiva padronale ha
un ulteriore preoccupante significato per gli emigranti italiani:
oltre alla certezza di essere i primi a vedersi applicare i ribassi se
avesse successo, si profila il rischio della possibile chiusura delle
frontiere all’immigrazione 100.
Alla fine del 1900 la lega degli imprenditori tedeschi si
compone di 15 sezioni e di 1959 membri; con l’adesione
prossima di altre due leghe, il numero degli operai dipendenti da
questo settore del padronato salirà a 75.000. E’ prevista la
pubblicazione delle ditte aderenti e l’istituzione di un
segretariato. A dispetto delle campagne della stampa borghese
contro il diritto di coalizione sindacale, definito terrorismo degli
operai, il padronato punta a forme di coartazione molto dure nei
confronti degli imprenditori non associati 101.
La crisi e lo sciopero di Halle.
I padroni fanno la loro prima mossa a fine anno,
approfittando della fase calante delle attività lavorative e
dell’assenza degli emigranti. La crisi si manifesta nella
sovrapproduzione, dopo un quinquennio di speculazioni
incontrollate e di ricerca di alti tassi di profitto per i capitalisti.
Manifestatasi innanzitutto nei settori manifatturieri e
dell’energia (tessile, metallurgico, estrazione del carbone), la crisi
è arrivata infine nell’edilizia, dopo un biennio 1899-1900 di
ulteriore sviluppo del settore. Si tratta, per il settore delle
costruzioni, più di un riflesso della crisi generale che di una crisi
produttiva: anzi il bisogno di abitazioni dignitose per i ceti
popolari sarebbe quanto mai ampio da poter sostenere il settore.
La crisi economica colpisce duramente la classe operaia,
mettendola in difficoltà di fronte alle manovre padronali, volte a
ripristinare il tasso di profitto a spese dei miglioramenti salariali
recentemente ottenuti. Interi contingenti di braccianti, il
personale privo di qualifica, vengono espulsi frequentemente dal
territorio tedesco, particolarmente dall’Alsazia e dalla Lorena, le
regioni dove sono più numerosi. Nel maggio 1901 oltre 200, in
maggioranza abruzzesi provenienti dalla provincia dell’Aquila,
sono rispediti in Italia attraverso la Svizzera, in vagoni chiusi
ermeticamente per impedire loro di fermarsi nel paese di
transito. Sono sempre abruzzesi, da San Demetrio in provincia
100
L’Operaio Italiano, n. 20 del 6 ottobre 1900, p. 7, La lega dei padroni.
L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, p. 4, Impariamo dagli
avversari!
101
dell’Aquila, gli operai costretti a fuggire da Remshagen, un
paesino a 30 chilometri da Colonia, dove avevano trovato lavoro
in un centinaio a partire dal 1899 nelle cave locali. Dopo l’arrivo
di altri compaesani gli italiani, che inizialmente si erano fatti
pagare a tariffa sindacale, accettano di abbassare le loro
retribuzioni pur di trovare occupazione, fino a provocare il
ribasso generale del 10% delle retribuzioni di tutti gli operai
impegnati sul luogo. Gli abruzzesi diventano allora invisi agli
altri lavoratori, italiani e tedeschi, e sono collettivamente vittime
di una grande rissa, nella quale vengono esplosi anche colpi di
pistola. Altri 114 operai italiani sono respinti dalla Germania e
ricondotti in Italia a spese della Svizzera e della Germania.
Provenivano quasi tutti dal Lussemburgo, ove la crisi industriale
ha raggiunto lo stadio acuto e la disoccupazione è quasi generale.
Effetto della crisi è la necessità, per il sindacato, di
difendere con lotte durissime le conquiste degli anni precedenti,
ed in particolare la sua esistenza. Gli impresari infatti in
moltissimi luoghi offrono l’impegno a non peggiorare le
condizioni economiche in cambio della rinuncia, da parte degli
operai, ad appartenere al sindacato. Parte da Halle la
controffensiva padronale, con la denuncia da parte della
corporazione degli impresari edili del contratto firmato nel luglio
1899, di durata prevista fino al 31 marzo 1901. Alla presa di
posizione padronale (seguita anche dagli impresari di
Schwiebus102) corrisponde la proclamazione di uno sciopero
operaio, inizialmente rivolto ai 13 impresari (su 22) aderenti alla
lega padronale che hanno iniziato a ridurre unilateralmente i
salari. Progressivamente tutte le associazioni locali del padronato
si stringono alla linea estremista di quella di Berlino. L’offensiva
padronale, se non capitalizza una risposta completamente
positiva da parte del governo in merito alla clausola dello
sciopero, ottiene comunque un risultato parziale, con una
circolare del ministero dei lavori pubblici che accorda la
possibilità di esaminare caso per caso se gli scioperi possano
essere considerati causa di forza maggiore per concedere la
proroga della consegna dei lavori appaltati 103.
Nel caso in cui un comune come Berlino - incurante degli
interessi dell’organizzazione operaia ma non dei propri - rifiuti la
clausola di sciopero per non vedersi accollare i ritardi degli
imprenditori, questi ultimi provvedono prima a rifiutare la
trattativa privata per la costruzione di un nuovo ospedale e poi si
appellano ai colleghi perché mandino deserta l’asta indetta
dall’amministrazione 104.
Cosa si pretenda e come vengano considerati gli operai
102
L’odierna Swiebodzin in Posnania, appartenente dal 1945 alla
Polonia.
103
L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, pp. 1-2, Il caso di
Halle e 7, Movimenti di salario. Muratori, 2 del 19 gennaio 1901, pp. 1-2,
Pel congresso dell’Unione muraria e 4-5, La propaganda degli avversari, 4
del 16 febbraio 1901, pp. 1-2, La crisi industriale e la classe lavoratrice, 10
dell’11 maggio 1901, pp. 1-2, Lottiamo!..., 11 del 25 maggio 1901, p. 7,
Emigrazione e miseria e 13 del 22 giugno 1901, p. 3, Dolenti note.
104
L’Operaio Italiano, n. 9 di mercoledì 1° maggio 1901, pp. 4-5,
Capitalisti sovversivi.
italiani, d’altronde, i padroni non lo celano assolutamente, come
dimostra una circolare in cui la presidenza della lega degli
imprenditori edili tedeschi (ivi compreso il “progressista” Simon)
dà indicazione alle associazioni locali di quali siano gli
arruolatori di manodopera, guarda caso quasi tutti friulani, anzi
più particolarmente della Carnia e dello Spilimberghese, e di
come gli operai di quella regione siano da considerarsi forti,
laboriosi e poco rivendicativi, sempre che si abbia l’accortezza di
non metterli a lavorare insieme ad altri connazionali che li
illuminino 105.
Si tratta della prima lista di mediatori di manodopera ed
arruolatori di crumiri pubblicata da L’Operaio Italiano, cui ne
seguiranno altre nei mesi ed anni successivi, puntualmente
riprodotte da Elpidio Ellero nel suo saggio su Il crumiraggio
friulano all’estero fra ‘800 e ‘900. Liste sempre centrate sul
territorio friulano volta per volta elaborate dal sindacato oppure
intercettate alle associazioni padronali delle varie città, quando
non sono queste ultime a pubblicarle sulla loro stampa. Se nel
giugno 1901 i ripetuti riferimenti ad Halle, teatro di un
durissimo ed esemplare sciopero, sono sicuramente polemici, nel
luglio dell’anno successivo viene pubblicato un documento del
comitato direttivo della lega degl’imprenditori edili di Königsberg
nella Prussia orientale. La successiva lista è ripresa dall’organo
centrale del Consorzio dei padroni ed imprenditori edili tedeschi, il
Zentralblatt für das Deutsche Baugewerbe. Berlin S.W. 11,
Hallesche Strasse 18. Nel suo numero del 28 febbraio 1903 (no.
17). Infine, nel luglio 1904, L’Operaio Italiano pubblica una lista
completa di 162 capi crumiri e dei loro seguaci più attivi,
concentrati in particolare nei comuni carnici di Rigolato (35) ed
Arta (17) e ad Ospedaletto di Gemona (19). Per altro la
composizione di queste liste differisce nettamente, costituendo
quattro gruppi distinti, che hanno limitate variazioni al loro
interno: quello dei crumiri impegnati durante lo sciopero di Halle
del 1901; quello degli impresari/intermediari ufficialmente
indicati dagli organismi degli industriali edili tedeschi probabilmente i più efficienti ed affidabili, non a caso indicati
insieme ad alcuni riferimenti tedeschi e svizzeri - rispettivamente
nel dicembre 1900, luglio 1902 e febbraio 1903; quello dei 12
crumiri di Ragogna impegnati nella serrata di Rathenow in
Brandenburgo nel marzo 1904 ed infine il grande elenco del
luglio 1904, costituito da crumiri legati ad intermediari di
Königsberg ed Halle 106.
105
Solo un comune citato ed identificato fra quelli del Friuli occidentale
è esterno amministrativamente allo Spilimberghese: si tratta di Valvasone,
nel mandamento di San Vito al Tagliamento, comune su cui per altro si
esercita l’attrazione della città di Spilimbergo e che, guarda caso, come
altri comuni di pianura fornisce non muratori, ma manovali.
106
ELLERO, Elpidio, Il crumiraggio friulano all’estero fra Ottocento e
Novecento, in: Storia contemporanea in Friuli, anno XII, n. 13, Udine,
Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1982, pp.
137-155. Ellero indica come prima lista quella apparsa sul n. 12 dell’8
giugno 1901: si tratta invece della terza lista pubblicata dal gennaio 1900.
Grazie alle liste riprodotte nel saggio di Elpidio Ellero, emergono - oltre alle
due zone principali sopra indicate - altre località di provenienza degli
Mentre ci si appresta a gettare sul mercato del lavoro
l’eccezionale risorsa, rappresentata da queste frugali bestie da
lavoro che sono gli italiani, i padroni cercano di spingere i
governi dei länder tedeschi, a partire da Lubecca, a dichiarare
illegale il diritto di sciopero, garantito da una legge imperiale:
tentativo che poi rientrerà, dopo che il tribunale supremo assolvendo in appello il socialista Molkenbuhr, redattore della
Hamburger Echo di Amburgo, che aveva incitato gli operai alla
disobbedienza - dichiarerà la delibera contraria alla legge
federale. La ricerca di manodopera friulana si affianca a quella di
cechi ed ungheresi, sudditi dell’impero asburgico e di galiziani e
polacchi sudditi dello zar, insomma di tutti que’ paesi le cui tristi
condizioni economiche costringono i lavoratori a cercare all’estero
quel pane che la patria non è capace di dar loro, o dà in misura
troppo scarsa 107.
Ancora quattro mesi dopo l’inizio dello sciopero, in aprile,
continua la resistenza operaia a Halle. All’inizio del mese gli
impresari fanno arrivare in città 35 crumiri, dei quali 23
provengono dalla provincia di Udine. Proprio in quelle settimane
cominciano ad arrivare in Germania treni interi di emigranti, per
cui la situazione diventa delicata per le posizioni sindacali. La
polizia funge non solo da strumento di repressione, ma da vero e
proprio ufficio di collocamento per gli operai, intervenendo
tempestivamente ogni qual volta gli scioperanti entrino in
contatto con i nuovi arrivati per informarli 108. Nel frattempo il
sindacato cerca di far diminuire il flusso di emigranti italiani che
arrivano in Germania, destinati ad una difficile condizione di
precarietà ed al rischio dell’arruolamento nelle file del
crumiraggio 109.
Purtroppo il contributo degli italiani al crumiraggio è
decisivo. Se da parte padronale non si lesina sui salari ai crumiri
(dimostrando, secondo il sindacato, che l’attacco contro
l’organizzazione dei lavoratori è essenzialmente politico), d’altra
parte dolorosissimo per noi specialmente, è che quasi da per tutto
chi si presta a dar man forte ai padroni in questa lotta è
specialmente l’operaio italiano. Il 25 aprile ad Halle 280 manovali
abbandonano il lavoro, prendendo le distanze dai crumiri e
costringendo gli operai specializzati a svolgere anche le loro
mansioni di fatica: ma disgraziatamente il loro posto è stato
subito occupato da altri, specialmente italiani, i quali, attratti dalle
intermediari, come Cordenons (si tratta di Luigi Endrigo) e Maniago (Silvio
Furlan) nel Friuli occidentale, Buja, Artegna, Gemona, Majano, Ragogna e
San Daniele nella zona collinare del Friuli, Resia nelle vallate slavofone
delle Alpi Giulie, Udine e Lestizza nella pianura friulana (oltre ad un San
Martino non identificato). Infine sono indicati anche centri fuori dalla
provincia di Udine, come Padova, Piove di Sacco (Pd), Colognola ai Colli
(Vr), Brescia.
107
L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, p. 2, Mercanti di carne
umana, 25 del 22 dicembre 1900, pp. 5-6, Nel campo avversario, 1 del 5
gennaio 1901, pp. 3-4, La propaganda de’ nostri avversari e 7 del 30 marzo
1901, p. 3, Una vittoria operaia.
108
L’Operaio Italiano, n. 8 del 13 aprile 1901, p. 7, Movimenti di salario.
Muratori.
109
L’Operaio Italiano, n. 9 di mercoledì 1° maggio 1901, p. 8, Mercato del
lavoro.
promesse bugiarde dei padroni e degl’imprenditori accorrono in
gran numero. I crumiri italiani sono in gran parte friulani e
soprattutto carnici (circa duecento) ed a loro si affiancano dei
boemi. Intanto le autorità chiudono benevolmente un occhio
sulle condizioni alloggiative dei nuovi arrivati, costretti in ricoveri
indecenti, oltre a concentrarsi sulla repressione delle attività
sindacali, arrestando implacabilmente chi effettui ronde o
picchetti. Ad ormai 29 settimane dall’inizio dello sciopero quello
di Halle senza dubbio è il più lungo e il più tenacemente
combattuto che conti la storia dell’Unione muraria germanica.
Entrano in sciopero anche i carpentieri, che sospendono i lavori
presso tutti gli imprenditori aderenti alla lega padronale 110.
Inizia la caccia al crumiro.
In mezzo a tanta vergogna, c’è però uno spiraglio di
speranza, grazie alla costituzione di un circolo socialista nella
montagna friulana: l’opera educatrice del circolo socialista di
Prato Carnico comincia a portare i suoi frutti, poiché parecchi
membri di esso, arrivati senza saper nulla dello sciopero, se ne
sono andati via quasi senza neppure farsi vedere alla cassa.
Sono sempre carnici i lavoratori che inviano dalla non lontana
Riesa (in Sassonia) una lettera di sostegno agli scioperanti di
Halle, in cui si denuncia il clima di sospetto e rancore che monta
fra la popolazione tedesca verso i traditori italiani. E che il clima
stia diventando pesante per gli italiani, a causa dei crumiri, è
dimostrato da una testimonianza raccolta in treno dai
sindacalisti di ritorno dalla cittadina industriale di Strassfurt
(presso Magdeburgo, in Sassonia-Anhalt) dove hanno cercato
inutilmente di convincere una quarantina di crumiri friulani ad
abbandonare la località in sciopero. Un figurinista da
Castelnuovo di Barga (in Garfagnana, provincia di Lucca)
racconta come a Strassfurt, dove in passato le sue statuette
erano sempre state acquistate volentieri, il giorno prima era
stato scacciato dalle abitazioni dalle donne adirate (Italiener?
Fort! Hinaus!) 111, dovendo ritornare senza aver venduto nulla,
vittima anche lui come i muratori tedeschi, di quella quarantina
d’innocenti. I quaranta-cinquanta crumiri sono stati arruolati da
uno degli intermediari operanti ad Halle e denunciati su
L’Operaio Italiano, e provengono quasi tutti da Pinzano al
Tagliamento e dalla frazione di Valeriano: lavorano e vivono, si
può dire, sotto la costante sorveglianza della polizia, la quale
amorosamente la mattina li conduce al lavoro, la sera li va a
riprendere, e di notte piantona la baracca nella quale dormono su
poca paglia.
In questa occasione viene pubblicata la seconda lista di
crumiri organizzati. Questa lista ha una funzione indubitabile,
110
L’Operaio Italiano, n. 10 dell’11 maggio 1901, pp. 6 e 8, Movimenti di
salario. Muratori e Mercato del lavoro. Muratori, 11 del 25 maggio 1901, pp.
2-3, Le ragioni di un krumiro e 4-5, La ragione per cui..., articolo firmato
Carluccio e pp. 7-8, Movimenti di salario. Muratori e 14 del 6 luglio 1901,
pp. 1-2, Di alcuni pregiudizi contro le organizzazioni, articolo firmato Vugi.
111
Italiano? Fuori! Via!
preliminare all’azione diretta nei loro confronti, la quale arriverà
a colpirli anche nei paesi d’origine. Essi sono: Della Martina
Pietro di Givigliana (Rigolato) 112, Soravito Daniele di Liariis 113,
Buliani Pietro di Ampezzo 114, Ferrarini. Di quest’ultimo non
abbiamo ancora potuto stabilire con esattezza la patria (...) Una
menzione d’onore speciale se la merita poi il paletta Berton Luigi
di Enemonzo, che l’anno scorso lavorava a Dirschau vicino a
Danzica. La biografia di Berton ricorda com’egli abbia cercato di
sfruttare la cassa di sciopero di quella località, cercando di farsi
finanziare il viaggio di una squadra di operai da utilizzare
altrove. Fra i pesci piccoli si segnala inoltre il muratore Danelon
Leonardo di Feltrone 115, che pure ha avuta la malinconica idea di
darsi alla telegrafia. Ma guardi che una volta o l’altra qualcuno
più Burba...ro degli altri potrebbe fargliela paga(re) cara.
A proposito di quest’ultimo accenno, appare evidente come
il collegamento con l’organizzazione del Psi in Friuli sia ormai
dichiarato, trattandosi con tutta probabilità dell’organizzatore di
Ampezzo
Giovanni Battista Burba, autore di articoli sulla
stampa socialista con lo pseudonimo Gavroche. Ad Ampezzo
(comune confinante con Socchieve) il Circolo Operaio
Democratico, di orientamento socialista, si era costituito nel
1896. Burba, artigiano stabile in paese, è attivo come
organizzatore degli operai emigranti e promotore dello spaccio
della Cooperativa Carnica ad Ampezzo, e sarà uno dei fondatori
della federazione socialista provinciale. La promessa di una resa
dei conti in inverno, appena rientrati in paese, è quanto mai
chiara. Burba, richiesto di un commento sull’opera dei crumiri,
scrive una lettera che viene pubblicata un mese dopo su
L’Operaio Italiano, a conferma che gli avvertimenti del quotidiano
sindacale non sono parole al vento, ma che le notizie sono già
giunte al paese. Secondo Valär, i crumiri sono 500-600, in gran
parte lavoratori scadenti o fiacconi che gettano discredito sui
connazionali presso gli impresari: nella Germania settentrionale,
dove gli italiani non erano mai arrivati finora e quindi sono
conosciuti solo per le capacità dimostrate dai crumiri, quando
finiscono gli scioperi nessun italiano viene più assunto 116.
Nei due mesi successivi l’elenco dei crumiri, segnalato nel
suo studio da Ellero, viene ripubblicato con grande rilievo sulla
prima pagina di quattro numeri consecutivi de L’Operaio Italiano.
Appaiono quindi anche Leonardo Sticotti di Amaro in Carnia,
112
Ho corretto l’originale località di Viana, confrontandolo con i testi
successivi.
113
Ho corretto l’originale Sorovito, confrontandolo con i testi successivi.
114
Ho corretto l’originale Giuliani, confrontandolo con i testi successivi.
115
Ho corretto l’originale Denelon, confrontandolo con i testi successivi.
116
L’Operaio Italiano, n. 11 del 25 maggio 1901, pp. 3-4, Eroi
degl’interessi... padronali, articolo firmato Vugi, 13 del 22 giugno 1901, pp.
4, I denigratori e 7, Movimenti di salario. Muratori e 14 del 6 luglio 1901,
pp. 2-3, A proposito; ELLERO, cit., pp. 138-141. Liariis è una frazione del
comune di Ovaro, Feltrone è frazione di Socchieve. Su G.B. Burba, cfr.:
PUPPINI, Marco, Movimento operaio ed emigrazione in Carnia e Canal del
Ferro dai primi del ‘900 alla Resistenza, in: Qualestoria, anno X, n. 3,
Trieste, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione,
Dicembre 1982, pp. 85 e 89; RENZULLI, cit., p. 290 e BETTOLI, voll. primo,
pp.355-356.
Lorenzo Molinari di Forgaria, Eugenio Cossetti detto Giorin ed
Ilario Cossetti di Caneva di Tolmezzo e Giovanni Zanier di
Clauzetto. I nomi vengono riprodotti con continue modifiche,
confermando ma anche aggiornando l’elenco delle persone
segnalate, attraverso una puntuale verifica e correzione dei dati
pervenuti, dalla quale apprendiamo anche quale peso abbia
avuto una comunicazione verbale fortemente influenzata dall’uso
del friulano. I nuovi nomi sono raccolti allargando le segnalazioni
delle azioni di crumiraggio oltre Halle, considerando anche
Wismar, Wilhelmshaven in Bassa Sassonia, Solingen e Prenzlau
in Brandenburgo 117.
La serie di articoli ci fornisce alcune biografie di questi
capi crumiri. Ci si sofferma sulle gesta di Pietro Della Martina già attivo contro lo sciopero di Blankenburg in Sassonia-Anhalt
nel 1899, e capace di fare la spia alla polizia contro gli operai
sindacalizzati - e, nuovamente, di Luigi Berton. Di ambedue si
sottolinea la capacità, solita per quel genere di figuri, di truffare
senza pietà quegli operai che si affidino nelle loro mani. Daniele
Soravito - attivo ad Halle - invece è stato responsabile, con la
sua compagnia di 50 crumiri, del fallimento dello sciopero di
Dresda del 1899 dopo dieci settimane di lotta. Anche lui si
distingue per l’attività di spione della polizia, cui ha denunciato
un giovane milanese impegnato presso la stazione ferroviaria a
dissuadere gli operai che giungevano in città. Eugenio Cacitti
(alias Cossetti) si è invece distinto per l’attività contro lo sciopero
di Naumburg nel 1898.
Le gesta di Giovanni Zanier da Clauzetto sono descritte da
lettere e cartoline inviate da operai di Burg (nel bacino di
Solingen). Zanier, che era il primo dell’elenco di intermediari
diffuso dall’organizzazione nazionale degli impresari edili, truffa
da due a cinque pfennige all’ora ad un’ottantina di operai,
guadagnando quindi un minimo di 24 marchi al giorno. Questi
taglieggiamenti sono ormai sconosciuti fra gli assistenti tedeschi,
perché questi si trovano di fronte ad operai organizzati: la spesa
di 40 pfennige la settimana per la lega risparmia a questi ultimi i
2-3 di tangenti pagate al capo. Di Pietro Buliani da Ampezzo si
afferma - certo dimostrando poca comprensione delle serie
ragioni del capo brigante lucano - che codesto bel tipo di
delinquente, (...) ne abbia fatte più di Ninco-Nanco.
La pubblicazione degli elenchi corrisponde anche ad un
117
I testi dei n. 12 dell’8 giugno e 13 del 22 giugno 1901 sono riportati
integralmente in: ELLERO, cit., pp. 138-141. Successivamente la
pubblicazione avviene anche nei n. 14 del 6 luglio, Raccomandiamo e 15
del 20 luglio 1901, Krumireide. Molinari viene indicato letteralmente come
proveniente da Fogliaria, facilmente identificabile con una traslitterazione
della pronuncia friulana Folgjària (ad ogni buon conto il paese viene
esplicitamente collocato in provincia di Udine: cfr. L’Operaio Italiano, n. 12
dell’8 giugno 1901, pp. 7-8, Movimento di salario. Muratori). Cossetti Giorin
viene anche indicato con il cognome Cacitti, pure diffuso nella zona (forse
è un soprannome). Solo Giovanni Zanier fa parte dell’elenco diffuso da
Berlino nell’inverno precedente, mentre saranno presenti in un’analoga
iniziativa successiva dell’organizzazione centrale del padronato tedesco
(nel febbraio 1903) Leonardo Sticotti, Eugenio Cacitti ed Antonio Cossetti
(storpiato in Cassetti): cfr. ELLERO, cit., pp. 143-145.
tentativo, oltre che di denuncia, di descrizione della struttura
organizzativa del crumiraggio. Si approfondiscono i diversi ruoli
esistenti nelle compagnie di crumiri, sottolineando il ruolo
nefasto dei reclutatori. Diverso è il ruolo degli operai arruolati,
soddisfatti delle retribuzioni garantite di 45 pf. orari, quando
prima erano abituati a sopravvivere con la metà. Le retribuzioni
corrisposte ai crumiri, superiori alla media di quelle garantite
agli operai, fanno pensare ad una tariffa fissa concordata
nazionalmente con i padroni per queste squadre 118.
Approfittando delle casse di sciopero, le compagnie di
crumiri continuano a muoversi: come i sessanta boemi ed
italiani che si spostano a fine maggio da Halle a Wilhelmshaven.
Il loro arrivo è accompagnato da violenze e pressioni della polizia,
che per esempio minaccia un oste, uso a dare accoglienza agli
scioperanti, di accorciargli l’orario di apertura per rappresaglia.
A Wismar invece è attivo l’assistente Leonardo Sticotti da Amaro,
famoso mercante di carne umana, delle cui gesta potrebbero
raccontare qualche cosa i lavoratori e le lavoratrici della
Voigtländische Baumwollspinnerei (un cotonificio): testimonianza
di come non solo le tensioni sindacali, ma anche l’azione dei
crumiri non si limiti all’edilizia ma comprenda pure l’industria
tessile 119.
La rabbia per l’azione dei crumiri, le privazioni degli
scioperanti e l’ostilità crescente della popolazione tedesca
provoca la scelta di indicare la violenza nei confronti degli
arruolatori come obiettivo politico. Come abbiamo visto nel caso
renano di cui sono stati vittime gli operai aquilani, non si tratta
di parole destinate a rimanere sulla carta: tutto questo spetta a
noi medesimi, e specialmente a quelli della Carnia. A noi incombe
il dovere di purificare l’emigrazione nostra da tutti gli elementi
impuri che l’insozzano e la disonorano 120.
Per ironia della sorte, i crumiri non salgono certo nella
stima delle autorità ma, appena ne sorga l’occasione, tornano
essere la teppaglia violenta ed impresentabile cui le autorità
riservano provvedimenti di polizia preventiva. Ecco così che - in
vista di una visita dell’imperatore Guglielmo ad Halle per
un’inaugurazione, tutti gli operai italiani occupati in questa città
verranno allontanati per tutto il tempo che l’augusto personaggio
vi si tratterrà. Il pericolo del regicidio per mano di un anarchico
italiano è quanto mai vivo 121.
118
L’Operaio Italiano, n. 12 dell’8 giugno 1901, pp. 2-4, I truffaldini della
banda nera e Fra i krumiri (Dal vero), firmato Carluccio, 13 del 22 giugno
1901, pp. 3-4, I truffaldini della banda nera. II e 14 del 6 luglio 1901, pp.
3-4, Chi pecora si fa, il lupo lo mangia, articolo firmato Fra Ginepro.
119
L’Operaio Italiano, n. 12 dell’8 giugno 1901, pp. 7-8, Movimento di
salario. Muratori.
120
L’Operaio Italiano, n. 13 del 22 giugno 1901, p. 4, I denigratori.
121
L’Operaio Italiano, n. 13 del 22 giugno 1901, p. 4, Il desiderio,
articolo firmato Vugi. Nel 1894 Sante Caserio uccide il presidente francese
Sadi Carnot, per vendicare un altro attentatore ghigliottinato, Vaillant.
Prima dell’uccisione del re Umberto di Savoia nel 1900 da parte di
Gaetano Bresci, un altro anarchico partito dal centro tessile americano di
Paterson, Michele Angiolillo, aveva ucciso nel 1897 il primo ministro
spagnolo Antonio Canovas del Castillo. Nel 1898 era stato Luigi Luccheni
ad uccidere l’imperatrice d’Austria-Ungheria Elisabetta. Sempre da
Giunti alla trantaquattresima, eroica settimana di
sciopero, fallisce anche l’iniziativa di un assistente edile
impegnato nella costruzione di una fabbrica ad Otterwisch,
Daniele Buschiasis, che cerca inutilmente di convincere una
parte di crumiri a trasferirsi alla sue dipendenze. Alcuni della
compagnia di Soravito cominciano invece a spostarsi a
Wilhelmshaven, per danneggiare quello sciopero, affermando
cinicamente che cogli scioperi essi si assicurano la stagione 122.
Lo sciopero di Halle andrà spegnendosi verso la fine
dell’estate, ai primi di settembre viene segnalato per l’ultima
volta il boicottaggio delle imprese di quella località. Il fatto di non
aver trovato alcun commento sul risultato dello sciopero lascia
un’ombra d’incertezza nel giudizio conclusivo, che sembra
comunque positivo: in luglio infatti si scrive: il numero degli
scioperanti è sceso a 125 e a giorni partiranno parecchi altri
ancora. Alcuni imprenditori hanno dichiarato di essere disposti a
pagare 50 Pf. all’ora, e all’imprenditore Heise, uno de’ più ostinati,
è stato tolto un lavoro perché non poteva finirlo nel termine fissato
nel contratto 123.
Donne, bambini, anziani: le categorie più sfruttate.
Sindacato edile e sindacato tessile.
Laddove l’organizzazione italiana è presente nel territorio,
tende ad estendersi alle conterranee ed a trasformare il
sindacato edile (ed il suo giornale) nella voce delle operaie tessili.
Il 21 ottobre 1900 la lega di Mannheim e Neckarau organizza un
comizio allo jutificio di Sandhofen. Il comizio produce l’effetto di
iscrivere molte e molti dei partecipanti al sindacato, nonostante
l’intervento della polizia e dei rappresentanti della proprietà 124.
Non si tratta di un’iniziativa presa a caso, ma è il tentativo
di dare uno sbocco organizzativo ad una situazione ormai
insostenibile. La vita di fabbrica si traduce in una condizione di
duplice sfruttamento delle ragazze emigrate: ad esempio il
famigerato stabilimento Wolff di Neckarau fa nuovamente parlare
Paterson, nel settembre 1901, partirà l’anarchico polacco Leon Czolgosz,
che ucciderà il presidente statunitense William McKinley. Decisamente il
ruolo dell’anarchismo italiano nel portare la vendetta proletaria nelle file
dell’odiata classe dominante è prevalente, ed aggrava il pregiudizio nei
confronti di una popolazione, quella italiana, già ritenuta barbara nei
paesi di immigrazione. Cfr.: STELLA, L’orda, cit., pp. 125-140, anche se il
giornalista del Corriere della Sera, preso dal suo obiettivo polemico di
distruggere l’ideologia leghista dell’italiano emigrante “regolare” per
antonomasia, indulge in un eccesso di sopravvalutazione del ruolo degli
anarchici attentatori, settore marginale rispetto ai movimenti di massa
anarchici e socialisti che - pure secondo Stella - hanno dato un
consistente contributo allo sviluppo dei movimenti operai nei paesi di
arrivo degli operai italiani.
122
L’Operaio Italiano, n. 13 del 22 giugno 1901, p. 7, Movimenti di
salario. Muratori.
123
L’Operaio Italiano, n. 15 del 20 luglio 1901, p. 7, Movimenti di salario,
18 del 7 settembre 1901, p. 8, Scioperi e boicotti e 19 del 21 settembre
1901, p. 8, stessa rubrica.
124
L’Operaio Italiano, n. 22 del 3 novembre 1900, p. 7, Corrispondenze,
siglato V.B.
di sè, per le violenze e gli abusi d’ogni sorta che vi si commettono
impunemente contro le povere ragazze italiane che da una sorte
disgraziata vi sono state condotte in cerca di lavoro e pane.
Lunedì 17 corrente una ragazzina fu battuta dal riparatore delle
macchine, il quale, fra parentesi, come al solito, era briaco
fradicio, perché le si era guastata la macchina alla quale era
addetta. Alle grida della povera disgraziata accorsero diverse
operaje e il capo, il quale, sentite le cose come stavano, fece una
paternale... alla ragazza.
Gli operai italiani non tollerano queste ingiustizie, ma
pagano per la loro scelta di dignità: A questa nuova ingiustizia un
operaio che era stato testimone oculare del fatto, Giuseppe
Bolzan, protestò per l’atto incivile compiuto a danno di un’italiana.
Non l’avesse mai fatto! Fu licenziato su due piedi, poi venne anche
licenziata la ragazza, la quale oltre l’avvilimento delle percosse i
trova così dall’oggi all’indomani sul lastrico, e un suo fratello colla
scusa che si era recato un po’ tardi sul lavoro. Il mostruoso fatto
indignò tutti, e tre altre ragazze si licenziarono immediatamente in
segno di protesta contro l’inumano ed iniquo procedere della
direzione. La direzione giustifica il suo comportamento (basato,
oltre che sui maltrattamenti, sul far venire dall’Italia quelle
infelici ragazze con promesse che poi non mantiene, patti bugiardi
e parole menzognere) con un giudizio razzistico sugli immigrati.
Al socialista Bolzan, che si reca da lui prima di andarsene dallo
stabilimento, l’industriale Wolff - richiesto del perché chiami a
testimoni quattro operaie tedesche, e non quelle italiane risponde: “Faccio quello che mi pare! Gli italiani sono tutti
bugiardi!” 125.
La propaganda socialista cade quindi in un terreno fertile:
nel gennaio successivo scoppia nello stabilimento un’agitazione
spontanea, provocata in primo luogo dalla protesta per gli orari
di lavoro dello stabilimento. Proprio pochi giorni prima, nei
festeggiamenti di capodanno, l’assemblea della sezione italiana
della Lega degli edili aveva approvato un ordine del giorno a
favore della proposta di legge Kuliscioff sull’orario di lavoro delle
donne e dei fanciulli, problema fondamentale proprio per la
categoria dei tessili, costituita in gran parte da queste categorie
di lavoratori.
Sandhofen è un villaggio industriale situato a pochi passi
da Mannheim. La fabbrica più importante del paese è lo
stabilimento di filatura e di tessitura della juta che da sola occupa
parecchie centinaja fra uomini e donne. Da qualche anno a questa
parte la direzione della fabbrica non trovando in paese, grazie i
salari di fame che offre (Mk. 1,00 per donne e Mk. 2 per uomini,
senza pregiudizio delle multe frequentissime ed applicate a
capriccio, senza il minimo criterio di equità) braccia sufficienti,
recluta il suo personale all’estero e specialmente in Italia. (...)
Attualmente vi lavorano, se le nostre informazioni non sono errate,
da quattro a cinquecento italiani fra maschi e femmine; le
rimanenti poi sono polacche della Galizia, boeme, russe, vale a
dire tutte di paesi in cui le popolazioni sono state rese più
125
L’Operaio Italiano, n. 20 del 6 ottobre 1900, p. 6, Come sono trattati
gli italiani.
malleabili dalla miseria cronica, che pur di lavorare si contentano
di poco, e quanto ai trattamenti non la guardano troppo per la
sottile.
Come resoconto dello sciopero si pubblica una lunga
lettera di una operaia della juteria, che ovviamente firma con
uno pseudonimo: già nella premessa l’autrice pone il problema
di una solidarietà intercategoriale fra il giornale e
l’organizzazione degli edili, richiedendo non solo la pubblicazione
di questo scritto, ma anche di quelli che si impegna ad inviare
successivamente, per illustrare le pesanti condizioni di
sfruttamento in quello stabilimento. Quello non è stato uno
sciopero nel vero senso della parola, ma piuttosto l’espressione
incosciente del malcontento generale causato dalle nostre tristi
condizioni e dalle sofferenze e privazioni alle quali dobbiamo
sottoporci per tirare avanti alla meglio. La ditta per altro non viola
il contratto, ma la conflittualità nasce dal problema del carovita:
il guaio è che quando là a casa nostra ci promisero 2 franchi al
giorno in oro ci pareva di toccare il cielo con un dito; non
sapevamo che la vita in questi paesi è così diversa dai nostri, e
per noi almeno, più cara 126.
Insieme a quella delle donne, emerge la questione della
condizione dei minori, coinvolti senza scrupoli in un commercio
internazionale che li utilizza per mansioni pesanti e nocive e li
vota a morte precoce fra gli stenti, dalle vetrerie francesi alle
fornaci per laterizi 127, oltre alle tradizionali attività girovaghe. Il
primo intervento a questo proposito riproduce un’intervista fatta
ad un giovane vetraio in Francia (sulle gravose condizioni di
lavoro dei fanciulli nelle vetrerie francesi viene realizzata nel
1901 un’inchiesta dell’Opera Bonomelli, che contribuirà negli
anni successivi ad interrompere il traffico di bambini italiani
verso quell'industria 128), per poi considerare: Anche qui in
Germania capita ad ogni piè sospinto d’incontrare dei poveri
ragazzi lucchesi, pallidi, macilenti, carichi di pesantissime ceste
superiori alle loro forze con figure di gesso, costretti, qualunque sia
il cielo o il clima ad andare in giro pe’ caffè, le birrerie e le case ad
offrire la loro mercanzia. E guai se la sera non riportano
abbastanza! Sono busse! Sono cinghiate! E molte volte vengono
brutalmente ricacciati di casa senza che abbiano neppure potuto
quietare gli stimoli della fame: Guai a te se torni prima d’aver
venduto tutto il paniere! -Quando suonerà anche per questi poveri
martiri l’ora della redenzione? 129.
L'Italia è il paese più arretrato d’Europa quanto a
126
L’Operaio Italiano, n. 2 del 19 gennaio 1901, p. 7, Corrispondenze e 3
del 2 febbraio 1901, p. 5, Lo sciopero delle operaie italiane nel jutificio di
Sandhofen. Articolo e lettera firmata Tapina Tapinetti.
127
Sulle condizioni di lavoro nelle fornaci, cfr. gli studi di uno dei
principali collaboratori del Segretariato dell’emigrazione e dell’Umanitaria:
ZANINI, Lodovico, Emigrazione temporanea friulana, Udine, Tipografia
Sociale, 1909; ID., Sulle vie dell’emigrazione (I fornaciai friulani - Scene dal
vero), Udine, Tipografia Sociale, 1911.
128
SALVETTI, La tutela degli emigranti, cit.; ROSOLI, cit., pp. 175-176.
129
L’Operaio Italiano, n. 13 del 30 giugno 1900, p. 2, articolo di F.
Bonavita tratto dall’Avanti!, esclusi i quattro ultimi paragrafi.
condizioni di lavoro di donne e fanciulli, al pari della Turchia e
già superato da Spagna e Russia: se in Svizzera il limite minimo
di età per lavorare è di 14 anni, in Germania di 13 o 14, ed in
Francia di 13 o 18, in Italia è di 9 anni o di 12 (in questo
secondo caso per il settore delle cave e miniere) 130. Per
intervenire sulle condizioni arretratissime di lavoro delle donne e
dei fanciulli, viene presentata dai socialisti italiani una proposta
di legge, elaborata per la prima volta da Anna Kuliscioff nel 1897
ed attorno alla quale si organizza una grande campagna di lotta
nei primi anni del nuovo secolo 131.
Lo sfruttamento e le diseguaglianze della condizione
operaia femminile si aggravano nell’emigrazione. Un resoconto
drammatico ci illustra in poche frasi il dramma dello
sradicamento e di un destino quasi inesorabilmente segnato.
Povere ragazze, se le aveste viste! facevano pietà! Chi baciava la
madre, chi il padre, chi le sorelle o le amiche, e tutti avevano gli
occhi gonfi per le lacrime; sembrava quasi che temessero di non
rivedersi più, come quando i soldati partono per la guerra. Molte
madri benedicevano le figliuole raccomandando loro di essere
ubbidienti ai capi squadra e al padrone, di essere buone, oneste e
laboriose, e di non cedere alle tentazioni. Vi era anche il curato,
uomo ben pasciuto e dall’aspetto serio, al quale pure si leggeva in
fronte il dispiacere di veder andare pel mondo tanta gioventù,
tutte ragazze dai quattordici ai sedici anni, costrette dalla miseria
a vendere la loro forza-lavoro a un manigoldo che pochi giorni
prima era arrivato in paese ed aveva promessi mari e monti, salari
altissimi, trattamento da signorine e protezione paterna. Egli, il
curato, uomo vecchio e d’esperienza, sapeva bene che in questi
casi le promesse di 100 non valgono neppure per 10.
Ciononostante taceva, sperando che almeno quelle povere figliuole
all’estero avrebbero serbato il loro patrimonio d’onestà e che poi i
caldi baci dei genitori avrebbero fatto dimenticare le ingiustizie e i
maltrattamenti sofferti in quell’anno d’esilio.
All’ora della partenza tutto il paese era alla stazione, e
commoventissimo fu il momento in cui il treno si mosse: tutti
cercavano inutilmente di soffocare le lacrime che volevano
sgorgare dagli occhi, furono fatte le ultime raccomandazioni, poi
uno sventolio di cappello e di fazzoletti, e infine il treno sparì fra
gli alti monti che circondavano il simpatico villaggio, e le madri
tornarono a casa a recitar rosari e paternostri perché le loro
130
Sul lavoro minorile nell’emigrazione, cfr.: BIANCHI, Bruna e LOTTO,
Adriana, Lavoro ed emigrazione minorile dall’Unità alla Grande guerra,
Venezia, Ateneo Veneto, 2000, ed in particolare i saggi di ERMACORA,
Matteo, Il lavoro dei ragazzi friulani dall’età giolittiana alla Grande Guerra
(1900-1917) alle pp. 103-145 e di MATTANZA, Alessandra, L’immigrazione
minorile italiana nell’Impero Guglielmino (1890-1914) alle pp. 178-186.
131
L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, pp. 3-4, La donna
lavoratrice in Italia, articolo di Angiolo Cabrini e 21 del 20 ottobre 1900, p.
5, Un progetto di legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli in Italia; Lavoro
delle donne; Lavoro dei fanciulli (si tratta di una sintesi del progetto di
legge Kuliscioff). Sull’agitazione a favore della proposta di legge TuratiKuliscioff per la tutela del lavoro dei fanciulli, che vede nel centro
cotoniero di Pordenone (con un altissimo tasso di manodopera femminile e
minorile) il principale punto di sviluppo in Friuli, cfr.: BETTOLI, cit., volume
primo, pp. 180-185.
figliuole si mantenessero brave e oneste.
Due mesi dopo quelle medesime ragazze giravano per le
strade di Waldhof, abbandonate da tutti e seguite soltanto da
un’orda di giovanastri italiani ed emigrati pur essi, corrotti
nell’anima, quasi sempre ubriachi e spesso accoltellatori. Ed essi
ne facevano scempio di quelle povere innocenti, che in loro
solamente potevano trovar un po’ d’appoggio. Il salario era
appena sufficente pel vitto e per l’alloggio, cosicché se uno di quei
vessilliferi della corruzione faceva ad esse un regalo qualunque,
anche insignificante, gli si abbandonavano nelle braccia. E intanto
i genitori pregavano la madonna perché si mantenessero oneste e
buone! Una domenica vennero a Mannheim una quarantina tutte
insieme, vestite dei loro costumi pittoreschi. La gente del paese le
guardava di sbieco, i monelli di strada le chiamavano e poi le
fischiavano, e uno che mi stava vicino disse: “Ecco la ricchezza
della nostra alleata; pare di assistere al passaggio di una
carovana di zingari!” (...) 132.
Il binomio operaia-prostituta, che secondo Bruna Bianchi
è tipico soprattutto della stampa cattolica, in realtà permea
anche l’analisi dei socialisti attivi nell’emigrazione. Non è un
caso che proprio le operaie dello jutificio di Sandhofen siano
considerate un caso notevole di passaggio dalla condizione
operaia al mondo della delinquenza, finendo per essere poi
imbarcate per gli Stati Uniti: e proprio per questo appare
veramente interessante il lavoro di sindacalizzazione svolto dalla
lega italiana di Mannheim e Neckarau nei loro confronti 133.
Il lavoro di organizzazione partito dalla lega di Mannheim e
Neckarau porta ad una scelta di carattere nazionale, con
l’appello agli operai tessili di lingua italiana occupati nelle
fabbriche di seta del Baden, e specialmente ai tessitori di
Hüningen, St. Ludwig, Rheinfelden, Säckingen, Laufenburg,
Waldshut, rivolto per il tramite de L’Operaio Italiano, ad aderire
all’Unione centrale tedesca degli operai e delle operaie addette
all’industria tessile. A dimostrazione del ruolo assunto dal
periodico di lingua italiana, l’Unione tessile avverte che gli iscritti
riceveranno non solo l’organo della categoria, Der Textilarbeiter,
ma anche L’Operaio Italiano, che si trova così a diventare la voce
di questa seconda categoria. Ad ulteriore sottolineatura del
carattere internazionale del movimento, tutti gli interessati sono
invitati all’assemblea che si terrà il 2 gennaio 1902 a
Rheinfelden, nell’omonima città gemella posta oltre Reno in
territorio svizzero 134.
132
L’Operaio Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, pp. 6-7, Poverine!,
articolo di C. Rizzotti da Mannheim.
133
Cfr. BIANCHI, Bruna, Lavoro ed emigrazione femminile (1880-1915), in:
BEVILACQUA-DE CLEMENTI-FRANZINA, cit., p. 265; sulle operaie di Sandhofen,
cfr. STELLA, L’orda, cit., p. 98, che riprende PAULUCCI DE CALBOLI, Raniero,
La tratta delle ragazze italiane, in: Nuova antologia di lettere, scienze e arti,
vol. 98, marzo-aprile 1902, p. 430: testo che a sua volta sembra in effetti
riprendere la citata corrispondenza di Rizzotti. Paulucci de Calboli
continuerà la sua inchiesta con una seconda puntata, sul n. 101 del
settembre-ottobre 1902.
134
L’Operaio Italiano, n. 25 di sabato 14 dicemebre 1901, p. 1, Appello.
Se la condizione delle operaie è sospesa sul baratro
dell’esclusione sociale, peggiore è quella delle donne utilizzate
nei mestieri girovaghi: da qualche tempo si notano per le vie ed i
caffé delle principali città tedesche come Mannheim, Magonza,
Francoforte ecc. delle ragazze giovanissime, quasi sempre sotto i
venti anni, generalmente della provincia di Caserta e qualche
toscana, vestite ne’ loro pittoreschi costumi tradizionali vendere
cioccolata, bomboni e un po’ di chincaglieria. Interrogate vi
rispondono che hanno un padrone, ma poi non vogliono dirvi altro;
diffidano troppo. Certamente col prodotto della vendita di que’
gingilli non possono guadagnare tanto da far vivere
sontuosamente il padrone e miseramente esse. Sotto ci dev’essere
qualche cos’altro (...) E non meno turpi di costoro che guidano alla
prostituzione e all’infamia tanta gioventù sono quelli che
importano dall’Italia de’ vecchi, zoppi, ciechi, sciancati e per dieci
o quindici lire al mese, il vitto e un canile, li obbligano a girare per
le fiere, i luoghi di passeggio ecc. a strappare alla compassione de’
passanti quei Pfennig e quei marchi che devono assicurare una
vita di lusso a quella gente senza coscienza che specula sulla loro
miseria, e che, pur troppo sono italiani anch’essi. Lo sfruttamento
bestiale non riguarda solo donne e fanciulli, ma è un
generalizzato
fenomeno
derivante
dalla
spregiudicata
speculazione di chi opera nell’intermediazione della manodopera
dall’Italia, come dimostra ad esempio questo caso occorso a
Francoforte sul Meno nella primavera del 1901: Una ventina di
operai italiani macilenti, laceri, colle scarpe rotte tanto che ne
sfuggivano fuori le dita de’ piedi, imploravano dal capo stazione la
grazia di poter dormire per quella notte nella sala d’aspetto, la
quale li avrebbe almeno riparati un poco dai rigori della stagione,
che era rigidissima. Si trattava di metà di un contingente di
vittime di un ex carabiniere di Bergantino nel Polesine, Giuseppe
Callegaro, che li aveva attirati in Germania senza avere la
certezza di collocarli, e poi li aveva ovviamente abbandonati. Solo
soccorso nella loro disgrazia, il capostazione (per non più di tre
notti) e qualche sussidio consolare. E intendiamoci bene di questi
miserabili speculatori sulla fame e sulla miseria alla Callegaro ve
ne devono essere parecchi, perché altrimenti non si spiegherebbe
l’enorme affluenza di emigranti da tutte le regioni d’Italia
verificatisi quest’anno in certi centri specialmente assai prima che
la stagione permettesse una ripresa di lavoro. Naturalmente
ognuno pensava: Bisogna che faccia venire la mia merce un po’
prima, per averla sempre a mano e poterla smerciare più
sicuramente al momento buono. Ovviamente è fra questa massa
che si trova chi è disponibile ad ogni espediente, e vengono
reclutati i crumiri 135.
Lotta contro la barbarie.
L’arretratezza culturale e le condizioni di privazione
materiale incidono gravemente sul comportamento degli operai
italiani all’estero. Alle arretrate condizioni del paese di partenza
135
L’Operaio Italiano, n. 9 di mercoledì 1° maggio 1901, pp. 3-4,
Speculazioni turpi.
si sovrappongono i due mezzi di sfogo dall’abbrutimento:
l’alcoolismo che si diffonde nelle comunità di operai e viene
introdotto in modo massiccio nei paesi di provenienza, e la
prostituzione con il conseguente diffondersi di percentuali
abnormi di malattie veneree 136.
Ignoranza
e
pratica
della
violenza
producono
abbruttimento, sfruttamento ed attività delittuose che non
possono
che
ricadere
negativamente
sull’immagine
e
l’accoglienza dei paesi di emigrazione nei confronti degli italiani.
Gli italiani organizzati nel sindacato debbono affrontare questo
fenomeno,
prendendone
pubblicamente
le
distanze
e
denunciandone le origini.
Il 15 gennaio 1900 un ventenne viene ucciso, sempre a
Neckarau, nei pressi di Mannheim, nel Baden. La causa? Il
maledetto giuoco delle carte per interesse 137. Quanto il gioco
d’azzardo incida sulle condizioni di vita degli operai, come una
vera e propria dipendenza patologica (pari e parallela a quella
dall’alcool) è messo in rilievo non solo dalla continua polemica
contro la tassa sui gonzi, come viene definito il prelievo fiscale
italiano attraverso il gioco del lotto, e dalla campagna
giornalistica contro i giochi d’azzardo, come l’infame giuoco del
21, del sette e mezzo e del mazzetto, giuochi che rovinano
gl’individui e le famiglie (...) maledetti giuochi d’azzardo, che
corrompono e rovinano tanta parte della gioventù operaia, e la
sottraggono alle feconde lotte per l’emancipazione del lavoro (...).
Come nel caso della lotta all’alcolismo, la scelta socialista è di
denunciare pubblicamente e senza concessioni la condizione di
abbrutimento degli emigranti dediti al gioco. I bari di professione
esercitano una funzione parassitaria simile a quella degli osti in
patria: prosciugano le tasche degli operai emigranti, riducendoli
sul lastrico e portandoli all’abbrutimento sul piano morale.
Come nel caso del diffondersi delle osterie, anche verso il gioco
d’azzardo la proposta socialista ha al centro non la repressione
dei consumatori, ma una ferrea politica proibizionistica nei
confronti degli sfruttatori. Quanto alle vittime, le si pone di
fronte alla necessità di superare la loro condizione subumana e
di reagire allo sfruttamento non attraverso l’alienazione, ma
organizzandosi nelle strutture del movimento operaio, dedicando
al loro funzionamento le risorse ora spese nelle attività
voluttuarie.
La lettera di un giovane operaio vicentino rivela un aspetto
ancora peggiore della vicenda: ovvero il fatto che spesso - ad
organizzare il prelievo della retribuzione attraverso il gioco
d’azzardo - sono gli stessi assistenti che hanno provveduto a
reclutare in patria gli operai e ne coordinano lo sfruttamento sul
lavoro in Germania. Il giovane vicentino narra come, ad ogni
quindicina, il capo - coadiuvato dagli altri operai che lo invitano
al gioco - gli sottragga diabolicamente col giuoco del ventuno
tutto il guadagno, non solo impedendogli di inviarlo alla famiglia
attraverso la posta, ma sottraendogli anche i pochi beni
136
Cfr.: COSATTINI, cit.
L’Operaio Italiano, n. 3 del 10 febbraio 1900, p. 7, Germania.
L’assassinio di Neckarau, corrispondenza del 29 gennaio da Mannheim.
137
personali e lasciandolo indebitato per il vitto e l’alloggio con il
capo stesso (che affitta un suo locale come pensionato). La
redenzione da questa situazione insostenibile avviene attraverso
l’apostolato di una figura quasi mitica, l’ascetico agitatore
solitario, figura angelica che ritroviamo talvolta in pagine di
letteratura: chi potrebbe dimenticare il disciplinato soldato dai
capelli rossi, ebreo ed ateo, che mette in crisi il capitano zarista
Tarabas, sottraendogli praticamente tutto il reggimento
conquistato,
silenziosamente
ma
inesorabilmente,
alla
rivoluzione bolscevica?
In questo caso la profezia dell’operaio socialista è meno
tacita, ma ugualmente decisiva: in realtà il percorso di
redenzione è codificato, secondo i canoni che portano
dall’individualismo cieco all’adesione all’organizzazione. Fra i
compagni di lavoro ve ne era uno che ci ammoniva continuamente,
consigliandoci di organizzarci e di diventare uomini civili. Ma
nessuno gli badava perché il capo diceva, e facilmente si capisce il
perché, che erano tutte fanfaronate e che quella gente, gli
organizzatori, non erano che dei mangioni, dei fiacconi, ecc. ecc.
Una domenica che, come al solito avevo giuocato fino all’ultimo
quattrino, quel bravo giovane mi condusse ad una conferenza, e
quello fu il giorno della mia salvezza! Compresi il baratro nel quale
incoscientemente mi precipitavo, ruppi col passato andando a
lavorare altrove, ed ora mando regolarmente i miei risparmi alla
famiglia, sono iscritto alla lega di resistenza, leggo i giornali che
mi ammaestrano e mi sento uomo. Sì, mi sento uomo, perché
comprendo che ero un bruto. Bruto perché abbandonato alla
depravazione, perché ignorante di ogni vivere civile, perché avevo
perso l’amore alla famiglia, perché ignoravo che cosa fosse
sentimento di solidarietà, e deridevo coloro che ora sono i miei più
cari amici, quelli che mi hanno portato dalle tenebre alla luce, e
fatto partecipare al movimento ascendente del proletariato verso
un migliore avvenire, verso una società più umana basata sul vero
amor fraterno.
La strada dell’organizzazione sindacale internazionalista è
descritta secondo una parafrasi religiosa, forse assorbita dal
giovane adepto socialista fin dai tempi delle infantili lezioni di
dottrina in parrocchia: dal percorso di elaborazione personale si
arriva alla conquista del pentimento, reso noto attraverso una
pubblica confessione e l’esercizio della carità e solidarietà.
Veramente, nell’esperienza di questo semplice testimone,
abbiamo la dimensione di come la pratica del movimento operaio
ci faccia confrontare con un’esperienza terrena di trascendenza e
di religione laica, dando corpo e dignità a dei veri e propri
Arcangeli, come Taibo ha voluto chiamare dodici personaggi
anonimi, eroi di seconda fila (...) affratellati dalla testardaggine,
dalla fedeltà all’idea di rivoltare il mondo, dalla meravigliosa
caparbietà dei sognatori 138.
138
L’Operaio Italiano, n. 11 del 2 giugno 1900, p. 2, Il giuoco del 21 e le
sue conseguenze e 12 del 30 giugno 1900, p. 2, Ancora del giuoco del 21;
ROTH, Joseph, Tarabas. Un ospite su questa terra, Milano, Adelphi, 1979
(ed. originale Amsterdam 1934), pp. 38-43; TAIBO, Paco Ignacio II,
Arcangeli. Dodici storie non molto ortodosse di rivoluzionari del XX secolo,
Milano, Il Saggiatore, 1998 (ed. originale dello stesso anno).
La propaganda invernale in Italia.
Al momento del ritorno in patria a fine anno, scatta la fase
invernale del lavoro di organizzazione. Vengono organizzati cicli
di conferenze, che battono le province di provenienza degli
emigranti, con l’utilizzo dei funzionari di lingua italiana del
sindacato tedesco, di quelli della Federazione Edilizia italiana, di
quelli dei Segretariati dell’emigrazione e dei parlamentari
socialisti. Il lavoro invernale - proposto per la prima volta da
Giovanni Lerda nel 1898-1898 139 - viene preparato già in
Germania, con incontri con i gruppi di emigranti che si
apprestano a partire, come nel caso di Neckarau, dove il 3
dicembre 1900 ci recammo nel vicino paesetto di Stengelhof,
sapendo che diversi italiani dovevano rimpatriare. Un compagno
parlò loro del valore che le organizzazioni professionali hanno per
la classe operaia, e dell’interessamento che i deputati popolari
hanno per gli emigranti, e fece loro formale promessa che prima
che giunga il tempo del ritorno un deputato avrebbe fatto un giro
di propaganda per la loro provincia. Furono poi invitati a fare fra i
loro amici e parenti un’attiva propaganda diffondendo giornali ed
opuscoli perché è dovere d’ogni lavoratore cosciente di portare il
suo umile contributo, sia morale che materiale, alla grande causa
dell’emancipazione operaia. I partenti dissero essere lieti dei
consigli ricevuti e di farne tesoro (...). L’incontro, svolto fra
lavoratori già organizzati dalla lega di resistenza di Neckarau, si
conclude al canto dell’Inno dei lavoratori 140.
Particolarmente intenso il lavoro organizzato in Friuli dal
Segretariato di Udine. Durante l’anno, la stampa socialista
friulana riprende le notizie de L’Operaio Italiano, segnalando
puntualmente gli impresari e gli intermediari responsabili di
angheria ai danni degli operai, e denunciando i crumiri. Queste
segnalazioni funzionano da tam-tam per i compagni rimasti al
paese, e negli incontri invernali gli accusati vengono sottoposti a
veri e propri processi sommari durante le assemblee popolari.
Pur tenendo conto della scarsità di mezzi, le comunicazioni
all’epoca sembrano marciare piuttosto velocemente, grazie alla
rete internazionale dell’organizzazione socialista, che a volte
riesce a segnalare lo spostamento di certi loschi personaggi da
un continente all’altro.
E’ ovviamente al Friuli che si rivolgono le prime attenzioni
del sindacato tedesco per i suoi viaggi di propaganda invernale, il
primo dei quali è segnalato nell’inverno del 1901. Il Comitato
centrale dell’Unione muraria tedesca ha incaricato il compagno
Vittorio Buttis di fare un giro di propaganda per l’organizzazione
economica dei lavoratori nella provincia di Udine, la quale
notoriamente dà il maggior contingente all’emigrazione Italiana in
Germania, ed era pel passato il gran vivaio dal quale la Lega degli
imprenditori edili di Berlino traeva mano d’opera a buon mercato
139
RAGIONIERI, Il movimento dei lavoratori italiani emigrati nell’impero
asburgico, cit., p. 210.
140
L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, pp. 6-7,
Corrispondenze. Quella da Neckarau è siglata T.
quanta glie ne occorreva. Contemporaneamente il partito socialista
italiano corrispondendo ad un antico desiderio dell’Operaio
Italiano e a una vecchia promessa ha inviato nella medesima
provincia il compagno Rondani, deputato al parlamento, perché
egli pure facesse un viaggio di propaganda. I giornali liberali e
democratici di Udine, come il Paese, il Friuli e la Patria del Friuli
sono pieni di descrizioni delle accoglienze veramente entusiastiche
che quei bravi lavoratori hanno fatte ai nostri compagni (...). In
particolare il lavoro di Buttis, un operaio che in passato ha già
dovuto subire persecuzioni per la sua attività politica, viene
realizzato in forme pionieristiche, in tante località della Carnia e
del Friuli centrale dove l’organizzazione operaia è inesistente, ed
il propagandista deve farsi carico di tutto, dalla ricerca della sala
alla diffusione del materiale informativo. La chiesa cattolica
ovunque, ed alcune amministrazioni comunali, sono impegnati
nell’ostacolare l’opera di sindacalizzazione; a sostegno della
propaganda di Buttis si muovono invece i deputati radicali di
Udine e di Gemona-Tarcento, gli avv. Girardini e Caratti 141.
Gli organizzatori italiani degli emigranti.
Mentre in Friuli ed in altre contrade il socialismo muove i
primi passi, in Germania ed in altri paesi operano ormai attivi
molti attivisti italiani, che spesso ci risultano sconosciuti e non
hanno alcuna menzione nelle ricerche storiche. Nel maggio 1900
viene data - con grande rilievo sulla prima pagina de L’Operaio
Italiano - l’indicazione che gli operai italiani a Berlino che
intendono prendere contatto con il sindacato possono rivolgersi
al compagno Vincenzo Camurri, Grosser Judenhof 9, Berlino C. Si
tratta della prima notizia di un organizzatore di nazionalità
italiana incaricato dal sindacato edile. Camurri, di ritorno dalla
campagna elettorale in Italia tiene due conferenze a Mannheim
ed a Neckarau nel Baden (dove gli operai socialisti residenti non
hanno potuto permettersi il viaggio per ragioni economiche,
sostenendo invece lo sforzo del partito con sottoscrizioni). La
presenza di Camurri in Baden non è casuale, visto che è lui a
rappresentare la neocostituita sezione italiana della Lega di
resistenza fra i muratori ed affini di Mannheim al congresso della
categoria svoltosi a Monaco in quell’anno.
Sempre nel Baden, a Pforzheim troviamo, nello stesso
periodo, un organizzatore di origine italiana proveniente dalla
vicina Alsazia: il 29 aprile fu fra di noi il compagno Speroni di
Strassburgo, il quale parlò lungamente sulla necessità
dell’organizzazione. Erano presenti circa 150 italiani, dei quali 67
aderirono all’unione muraria. Speroni ritornerà per una
successiva assemblea il 27 maggio, anche se con minor successo
di pubblico 142.
141
L’Operaio Italiano, n. 5 del 2 marzo 1901, p. 7, Echi d’Italia. La
propaganda nel Friuli.
142
L’Operaio Italiano, n. 9 di martedì 1° maggio 1900, p. 1; 10 del 19
maggio 1900, p. 6, Piccola cronaca del movimento italiano; 12 del 16 giugno
1900, p. 5, idem; 13 del 30 giugno 1900, p. 5, idem; 5 del 2 marzo 1901,
p. 2, Pel prossimo congresso. Dell’autonomia, lettera firmata Due muratori
A Wiesbaden in Assia Carlo Malighetti, che nel maggio
1900 funge da traduttore della lega muraria, è vittima della
denuncia persecutoria di due imprenditori edili, che trovano
autorità compiacenti che lo tengono in carcere per un mese con
l’accusa di violenza e minacce. In realtà Malighetti (che verrà
assolto dalle accuse) aveva avvicinato in un’osteria un gruppo di
potenziali crumiri, cercando di convincerli a non boicottare
l’agitazione in corso in città per ottenere miglioramenti salariali
143.
Nel Württemberg ed in Baden l’Unione Centrale dei
Muratori di Germania utilizza per un giro di propaganda Giacinto
Menotti Serrati, segretario del Partito Socialista Italiano in
Svizzera residente a Losanna, nei giorni fra l’8 ed il 13 luglio.
Serrati ha trovato un elemento operaio, intelligente, quasi
totalmente vergine alla propaganda nostra. Gli italiani che
emigrano in queste regioni sono in massima parte provenienti dal
Settentrione del Veneto, specialmente dal Friuli; hanno sempre
vissuta una vita dolorosa di privazioni e di miserie e mai hanno
intese suonare al loro orecchio le parole: solidarietà ed
organizzazione. La condizione di arretratezza degli emigranti
friulani non è però di ostacolo alla propaganda socialista, che
anzi deve essere accentuata: Nessuna scusa potrebbe invece
addurre il nostro partito quando continuasse a lasciare tanta
gente senza la necessaria propaganda che valga ad aprirle gli
occhi ed a farla compresa della necessità della propria
organizzazione. L’elemento è buono, il terreno fertilissimo più di
quello che si crede. Serrati ha potuto constatare la solidarietà
degli operai tedeschi verso i compagni italiani, nonostante i
frequenti e gravi episodi di crumiraggio compiuti da
connazionali. Solo a Göppingen, Serrati provoca l’iscrizione al
sindacato di 43 italiani, che incaricano il compagno Angeli di
provvedere a riscuotere le quote ed a diffondere il giornale 144.
I collegamenti fra Germania e Svizzera non si limitano alla
propaganda, ma implicano anche l’organizzazione della
solidarietà negli scioperi, come quando nel cantone di Uri durante uno sciopero degli scalpellini - i padroni cercano di far
affluire scalpellini dalla Germania: il referente per i sussidi a
sostegno degli scioperanti è Giovanni Frangi, residente a
Gurtnellen nella Confederazione Elvetica e segretario della Lega
degli scalpellini dei cantoni di Uri e del Ticino 145.
Intanto a Vienna l’assemblea della Società operaia italiana
della capitale austriaca elegge la nuova commissione esecutiva: il
presidente è l’operaio socialista triestino Antonio Gerin,
vicepresidenti sono Lorenzo Gondoni e Umberto Scaini, segretari
di Neckarau.
143
L’Operaio Italiano, n. 13 del 30 giugno 1900, p. 4, Lavoratori e
padroni davanti alla giustizia.
144
L’Operaio Italiano, n. 15 del 28 luglio 1900, pp. 1-2, Gli sciacalli e 6,
La pro(pa)ganda fra gli emigranti italiani nel Württemberg, articolo firmato
Parrasio (lo pseudonimo di Serrati) e corrispondenza da Göppingen. I
centri visitati sono rispettivamente Stuttgart, Heilbronn, Pforzheim,
Göppingen, Gmünd, Ulm e Costanza.
145
L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, p. 7, Scioperi e boicotti.
Scalpellini e 9 di mercoledì 1° maggio 1901, p. 6, Scalpellini.
Luigi Pulla e Angelo Aggio, cassieri Francesco Poluzzi e
Francesco Zanibetti, bibliotecario Giovanni Casta, consiglieri
Giovanni Comacchio, Carlo Ferlatti, Oreste Sbicego e Francesco
Selva 146.
Ma la presenza, italofona se non certamente italiana, più
importante è quella del redattore centrale de L’Operaio Italiano,
non resa pubblica nella testata per proteggerlo dalla possibile
repressione poliziesca e coperta dietro la formale direzione di
Carl Legien. Lo apprendiamo dall’annuncio dell’espulsione, ai
primi di settembre 1900, dell’anonimo redattore straniero, che
secondo Forberg sarebbe lo stesso Giovanni Valär, in realtà
trasferitosi solamente in un altro Land e che poi riprende
l'attività coprendola con l'anonimato. Valutazione su cui ci
permettiamo di avanzare qualche riserva, visto che l'anonimato
degli articoli è in atto fin dal gennaio 1900, e semmai è proprio
con l'inizio dell'anno successivo che troveremo una sigla,
connotante con le iniziali il redattore italo-svizzero 147.
L’espulsione del redattore de L’Operaio Italiano fa parte di
un atteggiamento generalizzato verso i propagandisti italiani. Da
qualche tempo a questa parte la polizia germanica si dà un gran
da fare per dar la caccia ed espellere tutti coloro che nella misura
delle loro forze cercano di istruire ed organizzare nelle leghe di
resistenza i loro compagni italiani. Prima abbiamo avuta nella
libera repubblica di Amburgo l’espulsione del nostro redattore da
tutto il suo territorio. (...) Poi dall’Assia quella di due o tre
compagni che negli scioperi di Wiesbaden e di Francoforte
avevano funzionato da interpreti e da sentinelle. Oggi riceviamo
una lettera di uno de’ nostri migliori compagni, Francesco Speroni,
che da anni si affatica per predicare il verbo dell’organizzazione ai
suoi connazionali, il quale ci racconta il modo barbaro con cui fu
espulso dal territorio del Reichsland, l’Alsazia e la Lorena. Da
qualche tempo si trovava a lavorare in Saaralben per conto del
suo principale di Strassburgo. Una sera verso le 10 i poliziotti
invasero la sua stanza, lo fecero levare dal letto, intimandogli di
seguirli all’ufficio, dove gli sottoposero senz’altro il decreto di
sfratto. Domandata la ragione di tale misura risposero: Per ordine
superiore. E alle 5 di mattina dovè partire. Domandò che gli fosse
almeno concesso di recarsi prima a Strassburgo a prendere i suoi
effetti, e sistemare i suoi affari; ma anche questo gli fu negato, e
per la via Zaar, Colmar, Basel fu condotto come un malfattore
della peggior specie e consegnato alla polizia italiana, la quale,
non avendo nulla contro di lui, lo lasciò subito libero 148.
146
L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, p. 8, Austria.
L’Operaio Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, p. 2, Senza titolo.
Dialogo fra Tonio Brontoloni e Beppe Ragionevoli; FORBERG, cit., pag. 55. La
diversità di scelte politiche a proposito degli immigrati, dovuta soprattutto
alla discriminazione antipolacca ma estesa anche alle altre nazionalità,
porta alla convivenza di diverse legislazioni nei vari Länder: più dura
quella della Prussia, più liberali quelle degli stati del sud. Cfr.: DEL
FABBRO, cit., pp. 31-32 e TRINCIA, cit., pp. 379-381.
148
L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, p. 8, Germania.
Prodezze poliziesche. La persecuzione contro gli esponenti sindacali di
origine straniera è generalizzata, e causa non secondaria della debolezza
dell'organizzazione fra gli immigrati stranieri, senza – a tal proposito –
distinguere i socialisti dai cattolici, come dimostra l'espulsione nel 1906
147
La sorveglianza poliziesca raggiunge anche chi non appare
attivo in Germania, come nel caso del senese Amedeo Fava e dei
veneti Pietro Zordan e Giuseppe Scalarini, espulsi dalla polizia
berlinese. I primi due vivevano dando lezioni di italiano, mentre
Scalarini era impiegato in una casa di brevetti come disegnatore.
Nessuno dei tre facevano dell’agitazione socialista o prendevano
parte alla vita politica. Probabilmente anche questi sono vittime
delle calunniose informazioni della polizia italiana, la quale non
paga di perseguitare in patria tutti coloro che hanno un po’ di
carattere e di spirito d’indipendenza prosegue anche all’estero la
sua opera delittuosa, spezzando senza un riguardo al mondo vite
e carriere 149.
Con il primo numero de L’Operaio Italiano del 1901
troviamo il primo di una serie di editoriali siglati Vugi, che ci
segnala così l’assunzione della direzione del periodico da parte
dello svizzero Giovanni Valär (1864-1942), che la terrà fino al
1907 150. I tanti toscanismi introdotti nei testi da questo
momento ne rafforzano l’attribuzione a Valär, che da giovane con
la famiglia (di cittadinanza svizzera, nonostante si tratti di
antichi emigranti friulani, con tutta probabilità della Val
Tramontina) ha risieduto a Livorno, dove è diventato amico del
futuro deputato socialista Emanuele Modigliani. Giovanni Valär
– insegnante di matematica - è costretto a scappare dall’Italia nel
1899, a causa della repressione del governo del generale Pelloux,
e si ritrova così a condividere i percorsi di tanti compagni
italiani: diventerà per questa via il principale (anche se per nulla
studiato) protagonista del lavoro di organizzazione degli
emigranti italiani in Europa.
Nel 1907 sarà chiamato al Segretariato del lavoro svizzero
a Zurigo 151. Richiesto nel 1909 dalla Società Umanitaria, dal
1910 al 1918 sarà a Milano come Capo dei Servizi di emigrazione
della Società Umanitaria in tempi di ardue prove, nelle Scuole di
Applicazione per la Cooperazione e la Legislazione sociale
dell’Istituzione con efficacia ed alto senso di umanità una vasta
esperienza tradusse, in fruttuoso insegnamento. Tale datazione,
che appare sul sito internet della Società Umanitaria appare
però limitativa rispetto alla documentazione conservata presso la
stessa istituzione, che ne rileva la presenza in servizio ancora nel
1919 152.
dalla Prussia del dott. Valente, segretario italiano dei sindacati cristiani:
cfr. FORBERG, cit., pp. 60-61.
149
L’Operaio Italiano, n. 5 del 2 marzo 1901, p. 8, Germania. Italiani
vittime della polizia.
150
Valär nel marzo 1901 daterà però al 1900 il suo incarico: l’anno
scorso nell’assumere la redazione del giornale: L’Operaio Italiano, n. 5 del 2
marzo 1901, pp. 2-3, Pel prossimo congresso. Per un ufficio d’informazioni,
firmato Tuo X, muratore organizzato.
151
PIEMONTESE, cit., p. 16; per la collocazione a Zurigo, almeno nel 1909
quando verrà rivolta a quell’istituzione la richiesta di permettere la sua
assunzione come responsabile dell’Ufficio emigrazione dell’Umanitaria, cfr.
Archivio Società Umanitaria, b. 36, f. 2, Amministrazione, Personale in
servizio, 1903/1911, cartella prof. Giovanni Valär 1909/1911.
152
Figure e protagonisti dell’Umanitaria, sito www.umanitaria.it/112.php della Società Umanitaria di Milano, scaricato il 7 marzo 2005; cfr.
Archivio Società Umanitaria, inventario per il periodo 1912-1926.
Valär continuerà - dal suo incarico milanese - a tenere i
contatti con il Segretariato dell’Emigrazione di Udine, come
dimostrano le corrispondenze fra lui e Piemonte conservate nella
documentazione presso l’Ifsml. Già relatore al convegno dei
Segretariati laici dell’Emigrazione che si tiene nel novembre 1909
(in quell’occasione rappresenta il Segretariato operaio svizzero),
interverrà all’XI Congresso degli Emigranti friulani ad Artegna
nel 1911, dove potrà constatare i successi realizzati nella lotta al
crumiraggio friulano all’estero, lodando il contegno dei friulani
durante la grande serrata tedesca. Valär sarà anche l’autore
dell’Almanacco dell’Emigrante Friulano, pubblicazione di oltre
trecento pagine, in cui oltre all’Almanacco dell’Umanitaria si
fornisce un’aggiunta di cinquanta pagine in cui sono descritte le
istituzioni proletarie del Friuli 153.
E’ ancora il prof. Valär, solidale con i vecchi compagni di
lotte, ad intervenire al 2° congresso provinciale socialista
friulano, il 17 aprile 1921, alla Casa del Popolo di Udine, quando
si riannodano le file del partito appena segnato dalla scissione
comunista di Livorno 154. Forse è sempre lui il Valler che in quei
mesi è attivo a Firenze come componente del comitato direttivo
della federazione del Psi, con la responsabilità di tenere
l’amministrazione del settimanale La Difesa 155. Secondo un
confidente della polizia fascista a Berlino, Valär dalla fine del
1918 avrebbe operato prima a Palermo e poi in altre città
meridionali, dedicandosi soprattutto all’organizzazione di
cooperative, cui avrebbe portato migliaia di adesioni. Di nuovo in
esilio dopo l’avvento della dittatura, Valär è ancora attivo in
Germania (fino all’avvento del nazismo) e poi in Svizzera
nell’organizzazione dell’emigrazione antifascista, fino alla morte
che giungerà prima della caduta del regime 156.
Altri sindacalisti bilingui, ma non cittadini italiani,
verranno utilizzati dal sindacato tedesco come esponenti di
punta del lavoro verso gli immigrati dalla penisola, prima che si
sia formata fra gli emigranti friulani una nuova generazione di
sindacalisti che assumeranno direttamente la rappresentanza
dei loro connazionali. Dopo la pionieristica esperienza di Gerin
fra gli operai emigrati a Vienna, un altro triestino succederà a
Valär alla direzione de L’Operaio Italiano: si tratta di Giuseppe
Podgornik che lavorerà a più riprese in Germania fino allo
153
Cfr.: L’Emigrante, anno IV, n. 11, novembre 1909, Il Terzo Convegno
dei Segretariati laici dell’Emigrazione, anno V, n. 12, dicembre 1910,
L’almanacco dell’Emigrante Friulano, anno VI, n. 2, febbraio 1911, L’XI
Congresso degli Emigranti Friulani. La chiusura e Perché?
154
Il Lavoratore Friulano, n. 17 del 24 aprile 1921, p. 2, I concordi
propositi dei socialisti friulani al Congresso Prov. del Partito.
155
La Difesa, Periodico della Federazione Provinciale Socialista
Fiorentina, n. 31 del 2 luglio 1921, pp. 2-3, Il congresso pro.le socialista e
33 del 16 luglio 1921, p. 3, Atti del partito.
156
Archivio Centrale dello Stato, Direzione Polizia Politica, Fascicoli
Personali, pacco 1397, f. 34, lettera da Zurigo del 28 settembre 1938 del
fiduciario n. 87 (sulle origini friulane) e relazione dattiloscritta
dell’informatore n. 210, Berlino, 1° marzo 1932, dalla quale ho tratto
anche le notizie sulla giovinezza. L'attività di insegnante di matematica in
Italia è indicata da: FORBERG, cit., p. 55.
scoppio della guerra mondiale. Partecipavo inoltre alla
propaganda fra gli emigrati, come pure alle conferenze
internazionali dei sindacati edili, fungendo da interprete: in
questa veste è presente ai congressi socialisti internazionali di
Stoccarda nel 1907 e di Copenaghen nel 1910.
Sul suolo italiano, Podgornik promuoverà cicli di
conferenze invernali (attribuendosi il merito di aver ideato questo
strumento ormai consolidato), percorrendo la Carnia, il Cadore,
il Comasco, il Varesotto, la montagna piemontese, ecc.: I risultati
furono ottimi: con tutto questo lavoro combinato, con l’ausilio di
taluni compagni tedeschi che conoscevano a sufficienza l’italiano,
il triste fenomeno del crumiraggio italiano in cinque anni fu quasi
completamente debellato. Non solo, ma numerosissimi furono gli
operai italiani che si iscrissero ai sindacati tedeschi e divennero a
loro volta ottimi propagandisti sui cantieri di lavoro 157.
E’ invece milanese Giuseppe Bianchi, che è emigrante
dall’inizio del secolo allo scoppio della guerra mondiale,
dapprima in Germania e poi (in conseguenza della sua
espulsione dall’Impero guglielmino) la Svizzera e la Francia.
Bianchi, che è un tipografo, collabora con L’Operaio Italiano e ne
sarebbe per un periodo il direttore 158.
Fra i friulani impegnati nel lavoro di organizzazione
all’estero, vanno citati Antonio Bellina, presidente della Lega dei
segantini in Carinzia 159, e soprattutto il cividalese Augusto
Vuattolo, dirigente dei fornaciai in Baviera e, dal 1913 - dopo
l’espulsione dalla Germania, dove dirige l'Operaio Italiano, e lo
spostamento a Zurigo - dirigente sindacale, dapprima della
Federazione Muraria italiana e poi della Federazione dei
Lavoratori Edili e del Legno svizzera, di cui divenne il primo
segretario nazionale di origine italiana, dopo la naturalizzazione.
Durante la dittatura, Vuattolo fu animatore del Centro estero
socialista, testimoniando, insieme a Valär e ad Ernesto Piemonte
in Francia, la continuità del gruppo dirigente del Segretariato
dell’emigrazione di Udine nell’organizzazione della resistenza
antifascista fra gli emigranti italiani160. Nel dopoguerra, Vuattolo
concluderà l’impegno sindacale di una vita ricostruendo la storia
del sindacato di categoria nel suo paese di adozione 161.
Opera soprattutto nella Germania meridionale il
propagandista Luigi Bossi, residente a Mannheim, chiamato a
tenere cicli di conferenze - insieme con Giuseppe Podgornik - dal
Segretariato dell’Emigrazione di Belluno, in accordo con la
157
PIEMONTESE, cit., p. 16.
ANDREUCCI-DETTI, cit., volume primo , pp. 283-286, scheda a cura di
Tommaso Detti.
159
Su Antonio Bellina, cfr. BETTOLI, cit., vol. secondo, pp. 30-31 e 34.
160
Su Augusto Vuattolo, cfr.: PUPPINI, cit., p. 92; CERUTTI, Mauro, Fra
Roma e Berna. La Svizzera italiana nel ventennio fascista, Milano, Angeli,
1986, p. 159; SINICCO, Giuseppe, Le memorie di un calzolaio da Borgnano a
Londra, Udine, Tipografia A. Pellegrini, 1950; FORBERG, cit., p. 55.
Ringrazio inoltre per le informazioni fornitemi Bruno Canellotto ed Andrea
Ermano di Zurigo.
161
VUATTOLO, Augusto, Storia della Federazione svizzera dei lavoratori
edili e del legno, 1873-1953, 3 volumi, Zurigo, Federazione svizzera dei
Lavoratori Edili e del Legno, 1953-1956.
158
Federazione Edilizia Italiana e le Federazioni Murarie di
Germania e Svizzera. Luigi Bossi – direttore de L’Operaio Italiano
dopo l'espulsione di Vuattolo e contemporaneamente segretario
per la propaganda del sindacato edile tedesco – è presente
all’incontro che si tiene nel 1913 a Jena fra i sindacati edili
tedesco, austriaco, francese, svizzero ed italiano, ed è
protagonista di un duro scontro con i compagni attivi in Austria
(il che è abbastanza evidente, vista la prevalenza rivoluzionaria
in tali ambienti, mentre i redattori del giornale tedesco sembrano
tutti
gravitare
nell’orbita
riformista)
sia
sull’efficacia
dell’organizzazione che sui rapporti con i cattolici, visti da Bossi
come alleati con i quali realizzare rapporti costruttivi. Particolare
di non poco conto, Luigi Bossi è cittadino tedesco, godendo così
di un'agibilità politica maggiore rispetto ai compagni stranieri
162.
Anche fra gli organizzatori italiani si manifestano fenomeni
di opportunismo e di infiltrazione, che - quando scoperti vengono denunciati dando loro un risalto internazionale, in
modo da avvertire le varie comunità di emigranti. Ad esempio la
sezione svizzera del Psi di Losanna denuncia Pietro Collobiano,
da Recetto (Novara) che, dopo essere stato condannato in patria
per falso e peculato, espatria in Svizzera. Presentatosi come
socialista, Collobiano conquista la fiducia dei compagni di
Winterthur e Losanna, che lo eleggono a varie delicate cariche,
da ultimo quella di bibliotecario a Losanna. In un trimestre,
grazie a questo incarico, egli vende centinaia di copie di giornali
e poi, quando i revisori gliene chiedono i conti, sparisce
sottraendo circa 400 franchi. Drastica la conclusione: i compagni
tutti e le Sezioni del Partito ritengano intanto il Collobiano come un
ladro, e qualora questo messere capiti loro fra (i) piedi lo concino
come merita il suo atto infame 163.
Merita infine considerare alcuni esponenti sindacali che
hanno avuto un ruolo centrale nell’organizzazione del settore. In
primo luogo uno dei massimi dirigenti della Federazione Edilizia,
il torinese Giuseppe Borghesio, del tutto negletto nella
storiografia del sindacato italiano (e già questo basterebbe per
testimoniare di quanto scavo ci sia ancora bisogno in materia!) e
162
Cfr.: L’Emigrante, anno IV, n. 12, dicembre 1909, Segretariato
dell’Emigrazione di Belluno. Propaganda invernale; anno V, n. 1, gennaio
1910, Segretariato dell’Emigrazione di Belluno. Propaganda invernale e n.
2, febbraio 1910, Per gli edili organizzati; RAGIONIERI, Il movimento dei
lavoratori italiani emigrati nell’impero asburgico, cit., pp. 211 e segg.;
FORBERG, cit., pp. 55-56.
Al Casellario Politico Centrale, nella busta intestata a Bossi, figurano
mischiate le carte riguardanti due socialisti quasi omonimi: il pastore
evangelico Luigi Bossi fu Alberico, nato ad Intra nel 1877, sorvegliato dal
1906 al 1929, e l’agronomo Luigi Bosi, nato a Sansepolcro (Ar) il 16 aprile
1874 e sindaco della sua città, oltre che deputato eletto nel 1919 e 1921.
Ma un terzo caso di omonimia è il medico e docente universitario Luigi
Maria Bossi, nato il 31 dicembre 1859 a Malnate (Varese) e deputato
socialista nel 1900: tutte coincidenze che non sembrano aiutarci nella
ricostruzione del percorso del sindacalista italo-tedesco. Cfr.: Archivio
Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, b. 787, f. 106481;
MALATESTA, Ministri, cit., vol. primo, pp. 144-145.
163
L’Operaio Italiano, n. 4 del 16 febbraio 1901, p. 5, Un ladro.
che risulta invece uno dei protagonisti del lavoro rivolto verso la
classe operaia migrante 164. Borghesio, assunto dalla
Federazione Edilizia come propagandista nel 1902, affianca il
segretario Quaglino e disimpegna molteplici incarichi, che lo
portano a seguire la propaganda invernale, quella nei cantieri
edili nel sud della Francia ed i convegni internazionali in materia
di emigrazione 165. E’ a lui che spetta la palma dell’impegno
della Federazione Edilizia in terra friulana, come testimonierà il
segretario del Psi Oddino Morgari. Anche Borghesio sarà attivo
nell’organizzazione antifascista, e sarà per questo incarcerato e
confinato, pur in età avanzata, insieme al ricostruito Centro
interno socialista di Torino nel 1927 166.
Vittorio Buttis, che realizza il primo giro di propaganda
invernale in Friuli, è pure un sindacalista della Federazione
Edilizia, del cui congresso del 1902 risulta fra i relatori 167. Nel
1906 sarà protagonista, come segretario della Camera del Lavoro
di Intra di uno sciopero che vedrà contrapposta la direzione
rivoluzionaria del sindacato locale a quella riformista della
Confederazione Italiana Arti Tessili, creando una polemica che
appassionerà il sindacato nazionale di categoria. Esule ed
organizzatore degli emigranti in Svizzera ed in Germania, viene
espulso da questa nel 1900 (si tratta forse dell’anonimo redattore
de L’Operaio Italiano cui succederà Valär?): tornerà ad emigrare
per sfuggire all’arresto nel 1908. Dopo aver lavorato alla Camera
del Lavoro di Lugano, le sue peregrinazioni lo porteranno in
Germania e poi in Brasile e negli Stati Uniti. Qui, come direttore
del giornale dei socialisti italiani, rimarrà dal 1915 fino alla
naturalizzazione 168.
Infine Ercole Brovelli, che giunge da Pallanza a dirigere la
Camera del Lavoro di Udine dopo la Grande Guerra, ha alle
spalle un lungo periodo di emigrazione in Svizzera dal 1900 al
1912, quando viene espulso dalla Confederazione per aver
organizzato a Berna una manifestazione di solidarietà con i
dirigenti italo-americani dell’Industrial Workers of the World
Joseph Ettor ed Arturo Giovannitti, sottoposti a processo
durante lo sciopero tessile di Lawrence nel Massachusetts.
Brovelli si presenterà in Friuli, terra di emigranti, con una serie
164
Acs, Cpc, b. 753, f. 30558, Borghesio Giuseppe fu Sebastiano e fu
Capirone Benigna, nato a Montanaro (Torino) il 6 novembre 1863, operaio,
muratore, piazzista, residente a Torino, istruzione elementare, coniugato
senza prole, anarchico, poi socialista, confinato politico, detenuto politico,
schedato, radiato 29.4.40.
165
Cfr.: ANDREASI, cit., pp. 235 e 254-255.
166
Il Lavoratore Friulano, n. 217 del 12 dicembre 1908, pp. 1 e 2, e 218
del l9 dicembre 1908, p. 1, L’organizzazione degli emigranti nel Friuli. Il
testo dell’articolo è pubblicato in: BETTOLI, cit., terzo volume, pp. 16-19.
167
Cfr.: ANDREASI, cit., p. 254.
168
Cfr.: OSTI GUERRAZZI, Amedeo, La Federazione Nazionale Arti Tessili
dalla nascita allo scoppio della prima guerra mondiale, in: MISIANI, Simone,
NEGLIE, Pietro, OSTI GUERRAZZI, Amedeo, VASCELLARO, Dario, Il filo
d’Arianna. Una Federazione sindacale nella storia d’Italia: il tessileabbigliamento nel Novecento, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 1996, pp.
56-59; ANDREUCCI-DETTI, cit., volume primo, pp. 428-430, scheda a cura di
Tommaso Detti.
di bozzetti su Il Lavoratore Friulano, dedicati alla descrizione
delle tipiche figure che all’estero rovinano l’immagine
dell’emigrante italiano 169.
169
Acs, Cpc, b. 852, f. 45841, Brovelli Ercole Pompeo fu Antonio e
Racchelli Maria, coniugato con Petronilla Gramola, nato a Pallanza (No) il
18 aprile 1872, disegnatore, residente ad Udine, socialista, schedato,
radiato, morto il 6 agosto 1940, documenti registrati dal 7 ottobre 1912 al
27 novembre 1942.