Gli emigranti italiani nell`organizzazione sindacale tedesca
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Gli emigranti italiani nell`organizzazione sindacale tedesca
Gian Luigi Bettoli Gli emigranti italiani nell'organizzazione sindacale tedesca attraverso le pagine de “L'Operaio italiano”. Pubblicato su “Storia Contemporanea in Friuli, Udine, n. 36, 2005. Il presente lavoro (che fa parte di un progetto di ricerca più ampio in fase di svolgimento) è dedicato alle prime fasi dell’organizzazione degli operai italiani emigrati in Germania da parte del sindacato edile tedesco. L’obiettivo è quello di confrontare la storia dell’esodo della maggioranza della popolazione attiva regionale con quella delle strutture organizzative che, soprattutto all’estero, hanno favorito la crescita sociale e la maturazione culturale degli italiani, contribuendo a trasformare una massa inerte alla ricerca di fortuna in una forza cosciente e compatta. E’ nota l’acculturazione che ha portato soprattutto gli emigranti della montagna friulana a riportare in patria - oltre ad una crescita professionale di tutto rispetto, e ad un miglioramento di status che spesso trasformò, anche nell’arco di una sola generazione, giovani garzoni in grandi imprenditori una formazione politica di stampo socialista mutuata dalla socialdemocrazia europea, soprattutto germanica ed austroungarica. In gran parte tutte da studiare sono però le modalità di questa acculturazione, cui tanto devono la formazione del Partito Socialista e dell’organizzazione sindacale e cooperativistica di classe in Friuli (e parallelamente in altri territori, come hanno dimostrato gli studi di Anna Rosada sul Feltrino e l’emigrazione in Svizzera1). Durante questo lavoro di ricerca sulle origini del socialismo e del movimento operaio nel Friuli Occidentale, mi sono più volte imbattuto in riferimenti continui a persone, organizzazioni, organi di stampa, che seguono con continuità lo sviluppo di una capillare rete di sezioni territoriali, anche in 1 ROSADA, Anna, Emigranti e socialisti feltrini nel primo decennio del Novecento, in: Studi Storici, anno V, n. 4, Roma, Istituto Gramsci, 1964, pp. 691-729. paesi sperduti della nostra realtà regionale. E’ così che è nato l’interesse per i percorsi umani di un gruppo di sindacalisti multinazionali come lo svizzero Giovanni Valär, i triestini-asburgici Antonio Gerin 2 e Giuseppe Podgornik 3 e gli italiani, a volte quasi sconosciuti, che con loro hanno lavorato: i friulani Augusto Vuattolo ed Antonio Bellina, ma anche Luigi Bossi, Giuseppe Bianchi, Vittorio Buttis, Giuseppe Borghesio ed altri, oltre ovviamente (ma si tratta di persone note e studiate, almeno in ambiente locale) ai due veri e propri apostoli dell’organizzazione degli emigranti friulani, Giovanni Cosattini ed Ernesto Piemonte 4. I loro sentieri personali mi hanno condotto fino ad alcune intersezioni, prodotte dalle scelte dei partiti dell’Internazionale Socialista in materia di organizzazione degli emigranti italiani, e dal successivo lavoro dei sindacati, soprattutto tedeschi. L’esistenza di un quindicinale del sindacato edile tedesco dedicato agli immigrati dalla penisola, come L’Operaio Italiano, si è rivelato uno stimolo insostituibile per addentrarsi nei meandri di una delle due organizzazioni portanti (insieme alle Trade Unions inglesi) del sindacalismo europeo dell’epoca. Che 2 Cfr. la scheda biografica redatta da Enzo Collotti in: ANDREUCCI, Franco e DETTI, Tommaso, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853/1943, Roma, Editori Riuniti, 1975-1979, secondo volume, pp. 466-468; CATTARUZZA, Marina, Socialismo adriatico. La socialdemocrazia di lingua italiana nei territori costieri della Monarchia asburgica: 1888-1915, Manduria, Lacaita, 1998, pp. 36-38; PIEMONTESE, Giuseppe, Il movimento operaio a Trieste, Roma, Editori Riuniti, 1974, in particolare pp. 140-142; RENZULLI, Aldo Gabriele, Economia e società in Carnia fra 800 e 900. Dibattito politico e origini del socialismo, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1978, pp. 225 e 259; RAGIONIERI, Ernesto, Italiani all’estero ed emigrazione di lavoratori italiani: un tema di storia del movimento operaio, in: Belfagor, anni XVII, 1962, pp. 652-653. 3 Podgornik, per altro di madrelingua italiana per via di adozione, vedrà il suo cognome trasformato dal fascismo in Piemontese, durante la politica di italianizzazione forzata della toponomastica e dei cognomi sloveni, croati e tedeschi dei territori occupati nel 1918. Su Podgornik/Piemontese, cfr. PIEMONTESE, cit., in particolare la Nota autobiografica alle pp. 13-21, nonché la scheda biografica redatta da Enzo Collotti in: ANDREUCCI-DETTI, cit., volume quarto, pp. 193-195. Ad aumentare la confusione, i fascicoli conservati all’Archivio Centrale dello Stato, sia quello del Casellario Politico Centrale (b. 3953, f. 23011) che quello della Polizia Politica (pacco 1018, f. 8), sono intestati a Giuseppe Piemontesi. 4 Su Giovanni Cosattini, cfr. la biografia di: ALATRI, Paolo, Giovanni Cosattini (1878-1954). Una vita per il Socialismo e la Libertà, Tricesimo, Aviani, 1994; su Giuseppe Ernesto Napoleone Piemonte, cfr. : ANDREUCCIDETTI, cit., volume quarto, pp. 136-139; MALATESTA, Alberto, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, 3 volumi, Milano, Enciclopedia Biografica Bibliografia Italiana, Istituto Editoriale Italiano Bernardo Carlo Tosi, 1940-1941 (volume primo, p. 290 per Cosattini; volume secondo, p. 319 per Piemonte); RINALDI, Carlo, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a Montecitorio dal 1919 alla Costituente, 2 volumi, Trieste, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, 1983 (volume primo, pp. 255-265 per Cosattini; volume secondo, pp. 535-544 per Piemonte); GROSSUTTI, Javier e MICELLI, Francesco (a cura di), L’altra Tavagnacco. L’emigrazione friulana in Francia tra le due guerre, Tavagnacco, Amministrazione Comunale, 2003, in particolare pp. 62-88 e 233-238. l’organizzazione degli immigrati fosse tutt’altro che secondaria per il sindacato tedesco, è provato anche dal fatto di trovare alla testa del quindicinale addirittura Carl Legien, il principale dirigente della confederazione, anche se la gestione effettiva del giornale passerà a sindacalisti italiani o bilingui come Valär, Podgornik, Vuattolo, Bianchi e Bossi 5. Ancora nel lontano 1962 Ernesto Ragionieri, in uno studio pionieristico sul ruolo degli emigranti italiani nei movimenti operai dei paesi di emigrazione, indicava l’utilità dello studio sistematico in primo luogo proprio de L’Operaio Italiano. Lui stesso lavorò poi su quello che può essere considerato un fratello minore del periodico tedesco, cioè l’austriaco L’Operaio edile. Ma ancora nel 1990 la stessa indicazione doveva venir ripresa da Antonio Casali, secondo il quale da esaminare con una certa attenzione sarebbero anche i rapporti fra le organizzazioni sindacali germaniche e quelle italiane, in particolare le iniziative comuni contro il crumiraggio, per l’informazione attorno alla legislazione sociale vigente, nonché sui diritti e doveri dell’emigrante 6. Nel frattempo, solo due studi sono stati prodotti, e resi disponibili per il pubblico italiano, sugli immigrati dal nostro paese nel movimento operaio tedesco in epoca guglielmina: quello di Hermann Schäfer, presentato ad un convegno nel 1982, e quello di Martin Forberg, pure presentato ad un convegno, esattamente dieci anni dopo 7. Globalmente, i pur numerosi e significativi studi sul movimento operaio italiano nei paesi di emigrazione - con riferimento al periodo precedente la Prima guerra mondiale - trascurano quella che è la principale realtà del socialismo internazionale con la quale vengono a confrontarsi i nostri connazionali. Per altro, questi studi tendono a risentire di un’eccessiva settorializzazione, per cui possiamo trovare studi sul partito o sul sindacato, oppure sull’Umanitaria oppure 5 Su Carl Legien, cfr. la nota biografica alle pp. 184-185 di AGOSTI, Aldo (a cura di), Enciclopedia della sinistra europea nel XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 2000. 6 RAGIONIERI, Ernesto, Italiani all’estero, cit., pp. 640-669 (l’indicazione riferita è a p. 666); RAGIONIERI, Ernesto, Il movimento dei lavoratori italiani emigrati nell’impero asburgico in un giornale sindacale di lingua italiana “L’Operaio Edile” (1910-1914), in: Movimento Operaio e Socialista, Genova, anno X, n. 3-4, luglio-dicembre 1964, pp. 197-218; CASALI, Antonio, Emigrazione politica ed economica in Italia nell’età della Seconda Internazionale, in: DEGL’INNOCENTI, Maurizio (a cura di), L’esilio nella storia del movimento operaio e l’emigrazione economica, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1992, pp. 151-169 (il passo citato è ripreso da p. 157). 7 SCHÄFER, Hermann, L’immigrazione italiana nell’Impero tedesco (18901914), in: FONDAZIONE BRODOLINI (a cura di Bruno Bezza), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione (1880-1940), Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 737-762; FORBERG, Martin, Manodopera italiana e sindacati tedeschi nell'impero (1890-1916). Note su un rapporto precario, in: PETERSEN, Jens (a cura di), L'emigrazione tra Italia e Germania, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1993, pp. 45-62. E' degno di nota che ambedue questi resoconti siano stati presentati nel corso di iniziative organizzate dalle istituzioni di ricerca del socialismo italiano e tedesco (Fondazione Brodolini nel primo caso, Fondazioni Turati ed Ebert nel secondo). ancora sui cattolici, con un riferimento prevalente alla realtà italiana e solo in secondo luogo a quella delle organizzazioni straniere con le quali gli italiani vengono in contatto. Predomina l’attenzione per la dimensione teorica ed il dibattito negli organismi dirigenti, con scarso riferimento alle condizioni sociali dei lavoratori ed alla concretezza dell’azione politica sindacale locale 8. Più in generale sembra, come ha affermato Luciano Trincia, che il quadro di riferimento generale offerto dalla storiografia italiana sul tema della tutela e dell'assistenza all'emigrazione continentale abbia finora privilegiato gli aspetti per così dire “italocentrici” della questione, esaurendo la propria curiosità interpretativa all'ambito nazionale. E' pur vero che a un ambito nazionale si sono limitati gran parte dei contributi degli studiosi tedeschi della storia dell'immigrazione in Germania. Ciò non toglie tuttavia che il muoversi in un'ottica comparata, abbandonando una visuale puramente e unicamente nazionale, permetterebbe di introdurre categorie più ampie e di superare un certo campanilismo interpretativo. Il caso della tutela e delle iniziative di sostegno a favore dell'emigrazione continentale è emblematico. Il punto di partenza e di arrivo di gran parte delle analisi apparse nella storiografia in lingua italiana è la struttura associativa del paese di origine e non il contesto sociale, politico, giuridico o religioso del luogo di destinazione dove gli interventi venivano canalizzati. Un'analisi multidimensionale che colleghi le strutture e le realtà sociali, religiose e politiche del paese di provenienza e di destinazione permetterebbe invece di cogliere il più ampio orizzonte nel quale l'emigrante si muoveva e di interpretare le strategie di sostegno in un contesto più vasto 9. E' necessaria una lettura organica del fenomeno migratorio, sotto l’aspetto della storia sociale e di una vita quotidiana nella quale le persone hanno costruito la loro identità politica e sindacale. Identità plurale, che ha prodotto progressivamente la formazione di “altre Italie” in patria ed all’estero, in rapporto alle diverse stratificazioni sociali, produttive, culturali, di potere della diaspora migratoria. Recependo l’impostazione comparativistica di Donna Gabaccia, appaiono importanti i lavori dedicati a specifiche comunità italiane, come quelli di Peter Manz su Basilea e di Elia Morandi su Amburgo, senza scordare lo studio di Marina Cattaruzza sulla Trieste asburgica, che era allora uno dei principali luoghi di 8 Alcuni esempi di studi: ROSADA, Anna, Serrati nell’emigrazione 18991911, Roma, Editori Riuniti, 1972 (sulla Svizzera, letta attraverso la lente della biografia del principale esponente del socialismo massimalista); PARIS, Robert, L’Italia fuori d’Italia, in: ROMANO, Ruggiero e VIVANTI, Corrado (a cura di), Storia d’Italia, volume quarto, Dall’Unità ad oggi, tomo primo, pp. 509-552 e PARIS, Robert, Le mouvement ouvrier français et l’immigration italienne (1893-1914), in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pp. 635678 (sulla Francia, con attenzione particolare all’immagine sociale dell’immigrato); il già citato studio di Ragionieri del 1964 (sull’Austria). 9 TRINCIA, Luciano, L'immigrazione italiana nell'Impero tedesco fino alla prima guerra mondiale, in: Studi emigrazione, Roma, anno XXXIII, n. 123, 1996, pp. 370-390; la citazione è ripresa dalle pp. 387-388. arrivo dell’emigrazione “regnicola” 10. Questo lavoro vuole essere un contributo alla ricostruzione della storia dei lavoratori migranti. Il limite costituito dall’essere la fonte principale di tipo giornalistico, non annulla la grande messe di dati, relativi sia alle strutture sindacali italiane, tedesche e di altri paesi, sia alle condizioni di lavoro, di vita, associative, di mentalità, di genere, degli italiani in Germania (e secondariamente in altri paesi). Che si sono confrontati con i diversi approcci assistenziali, relazionali ed organizzativi delle varie correnti ideali, aggregandosi con modalità ancora in gran parte da studiare. L’Operaio Italiano. La lungimiranza dell’Istituto friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, che fin dalle origini ebbe l’accortezza di acquisire le copie fotostatiche del periodico, conservate presso l’archivio della Società Umanitaria di Milano insieme ad altro materiale prodotto dal Segretariato dell’Emigrazione di Udine 11, mi ha permesso di conoscere di prima mano questa pagina di storia quasi dimenticata, ma così attuale: non è ancora giunto il momento in cui questa esperienza sarà emulata dal sindacato italiano odierno, nel suo difficile lavoro di organizzazione dei lavoratori migranti che popolano le nostre contrade. Il periodico, Giornale quindicinale degli operai muratori, carpentieri, scalpellini ed altri in genere, esce sabato, ogni quindici giorni. La redazione è ad Amburgo. Il giornale è sorto verso la metà del 1898 (...) per opera della “Commissione generale dei sindacati professionali della Germania” e viene diretto fino 10 GABACCIA, Donna R., Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Torino, Einaudi, 2003 (originale inglese Italy’s Many Diasporas, 2000); CATTARUZZA, Marina, La formazione del proletariato urbano. Immigrati, operai di mestiere, donne a Trieste dalla metà del secolo XIX alla prima guerra mondiale, Torino, Musolini, 1979; MANZ, Peter, Emigrazione italiana a Basilea e nei suoi sobborghi 1890-1913. Momenti di contatto tra operai immigrati e società locale, Comano, Alice, 1988; MORANDI, Elia, Italiener in Hamburg. Migration, Arbeit und Alltagsleben vom Kaiserreich bis zur Gegenwart, Frankfurt, Peter Lang, 2004. 11 Presso l’Ifsml è conservata copia del materiale dell’Umanitaria riguardante l'organizzazione dei lavoratori friulani emigranti nei primi anni del Novecento. Su questo fondo archivistico, cfr.: DOMENICALI, Ines, Sezione “Emigrazione” dell’Archivio della Società Umanitaria di Milano, in: Storia contemporanea in Friuli, anno XII, n. 13, Udine, Istituto friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1982, pp. 159-160. Recentemente l'Ifsml ha acquisito dall'Umanitaria una copia microfilmata del periodico; altre sono conservate presso la Società Umanitaria e la Biblioteca comunale centrale di Palazzo Sormani a Milano. Purtroppo la collezione del giornale, probabilmente portata a Milano da Valär ai tempi della sua assunzione come responsabile dell’Ufficio emigrazione dell’Umanitaria, manca delle annate 1898-1899 e 1908-1914 e non è stato possibile finora individuare il fondo archivistico o la biblioteca presso la quale possono essere conservate: quanto a nostra disposizione costituisce comunque un materiale di studio significativo, finora utilizzato in modo non sistematico. Questa prima relazione è stata compilata sulla base dell’esame delle annate 1900 e 1901. all'inizio del nuovo secolo da Oscar Wolff. Esplicito lo scopo del giornale: Gl'imprenditori attirano annualmente diecimila operai italiani in Germania (...) unicamente per servirsene come strumenti nella lotta che sostengono contro la classe operaia tedesca, e le sue tendenze emancipatrici. Nostro compito è dunque di rendere consapevoli i fratelli italiani a quali ignobili fini essi debbono servire, e trasformarli da poveri strumenti incoscienti nelle mani dei capitalisti, in valorosi soldati militanti nel grande esercito del proletariato, combattente per la sua libertà. (...) Per ora soltanto pochi degli italiani che vengono a lavorare in Germania corrispondono entrando nelle organizzazioni tedesche al sentimento di solidarietà espresso dagli operai tedeschi organizzati, colla pubblicazione di un giornale scritto nella loro madre-lingua 12. L’Operaio Italiano continuerà la sua attività fino allo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914, trasferendo la sua sede a Berlino nel 1906, a causa dell’espulsione da Amburgo del redattore Giovanni Valär ed avendo successivamente come direttori il triestino Giuseppe Podgornik (dal 1907 al 1912), il friulano Augusto Vuattolo nel 1912-13, e Luigi Bossi dal luglio 1913 al marzo 1914. Podgornik sarà nuovamente direttore per breve tempo nel 1914, prima della chiusura bellica. Non è chiaro in quali anni abbia svolto l'attività di redattore del giornale il milanese Giuseppe Bianchi 13. Assolutamente particolare è il rilievo dato alle iniziative promosse in terra friulana: praticamente è L’Operaio Italiano il periodico nel quale apprendiamo per la prima volta - in mancanza ancora di organi di stampa autonomi del partito o del sindacato in provincia di Udine - della costituzione di organismi o dell’attività di persone che faranno la storia dei decenni successivi, soprattutto in Carnia: come il circolo socialista della Val Pesarina od il Segretariato dell’Emigrazione, ma anche i comizi di Giovanni Battista Burba di Ampezzo. Ci sono pure le semplici corrispondenze e richieste di informazioni, come quelle che riguardano il muratore Giuseppe Zilli di Mediis di Socchieve oppure lo sloveno-asburgico Valentino Zaharia di Nabresina (per gli italiani Aurisina) nel Triestino. E pure da quelle pagine arriveranno in Friuli i primi appelli all’iscrizione nelle liste elettorali, per poter votare i propri candidati alle prossime elezioni. Se, leggendo la storia del socialismo friulano in patria, questi episodi si perdono nelle nebbie dei primordi, visti invece da Amburgo essi sembrano il naturale precipitato di lunghi anni 12 L’Operaio Italiano, n. 1 del 13 gennaio 1899 (corretto a mano in 1900), p. 1, Compagni, editoriale di Oscar Wolff, 2 del 24 gennaio 1900, p. 1, Ai nostri lettori!, editoriale di C. Legien, ed 1 del 5 gennaio 1901, pp. 1-2, Sulla soglia del quarto anno, articolo siglato Vugi. 13 Su Valär, oltre alle citazioni in tutte le opere che accennano a L’Operaio Italiano, cfr. il fascicolo in: Archivio Centrale dello Stato, Direzione Polizia Politica, Fascicoli Personali, pacco 1397, f. 34, relazione dattiloscritta dell’informatore n. 210, Berlino, 1° marzo 1932; sulla direzione Piemontese, cfr. PIEMONTESE, cit., pp. 16-17; su Augusto Vuattolo e Luigi Bossi, cfr. FORBERG, cit., p. 55; su Giuseppe Bianchi cfr. la scheda biografica, a cura di Tommaso Detti, in: ANDREUCCI-DETTI, cit., volume primo, pp. 283-285. di lavoro educativo ed organizzativo dei compagni tedeschi 14. L’Operaio Italiano viene anche diffuso fra gli operai dell’Impero asburgico, come testimoniano i primi due abbonamenti sottoscritti dal Sindacato degli scalpellini di Salisburgo nell’assemblea del gennaio 1900 15. Altra testimonianza del rapporto fra questa iniziativa tedesca ed il socialismo asburgico è l’annuncio, con grande rilievo, dell’avvio delle pubblicazioni del quotidiano del partito socialista trentino Il Popolo a partire dal 7 aprile 1900, pubblicizzato in quanto è l’unico giornale democratico di lingua italiana che possa arrivare freschissimo in tutta la Germania, dalla quale ha frequenti corrispondenze. Secondo Forberg, il giornale nasce proprio da una collaborazione fra i sindacati dei due imperi centrali, per rispondere all'esigenza non solo di organizzare gli emigranti italiani, ma anche i cechi che emigrano dal territorio asburgico in Germania 16. L’Operaio Italiano è anche momento di contatto con la Svizzera, grazie ai legami storici fra le due organizzazioni sindacali edili. L’organizzazione dei socialisti italiani in quel paese è ben ramificata, come dimostra l’elenco di 57 recapiti pubblicato nel maggio 1901. Solo a Ginevra si indica che la sezione socialista ha un locale proprio, mentre in tutti gli altri casi organizzazioni politiche e sindacali hanno sede presso abitazioni private, caffè, mense, birrerie, ristoranti. A sottolineare una comune appartenenza, a sua volta nazionale ed internazionalista, il circolo di Interlaken è intitolato ad Anna Kuliscioff, la socialista russa che (come la connazionale Angelica Balabanoff in una fase successiva) aveva soggiornato a lungo in Svizzera, prima di stabilirsi in Italia e diventare una delle più autorevoli dirigenti del Psi 17. Alcuni dati sul giornale, che nel 1906 diventa settimanale: nel 1898-1899 si stampano fra le 1.200 e 3.000 copie; nel 1900 viene tirato in 5.000 copie, ed ha un pubblico presunto del doppio. Si ipotizza che sui 10.000 lettori teorici non più dell’1% leggano anche altri giornali, e per questo è giustificata la riproduzione di articoli importanti da altri organi di stampa, che 14 L’Operaio Italiano, n. 11 del 2 giugno 1900, p. 6, Il Primo Maggio a Prato Carnico, articolo siglato G.G., 16 dell’11 agosto 1900, p. 8, Avviso e 14 del 6 luglio 1901, p. 8, Avviso, 25 del 22 dicembre 1900, pp. 6-7, Come si diventa elettori, 4 del 16 febbraio 1901, pp. 6-7, Echi d’Italia. Articolo siglato P.M. La richiesta di effettuazione delle elezioni nei mesi invernali, per permettere la partecipazione degli emigranti stagionali, sarà una forte e continua rivendicazione socialista, con agitazioni che culmineranno una volta conquistato il suffragio universale maschile - negli anni precedenti la guerra. 15 : L’Operaio Italiano, n. 2 del 24 gennaio 1900, p. 7, Austria. Movimento fra gli operai addetti all’arte edilizia nel 1899: Salisburgo. Fra i nuovi amministratori del sindacato ce ne sono alcuni di sicura origine italiana (è poi da vedere se regnicoli o del Friuli austriaco), come il bibliotecario Giuseppe Nanut ed il revisore Sebastiano Bosa. 16 L’Operaio Italiano, n. 7 del 7 aprile 1900, p. 8 e 16 dell’11 agosto 1900, p. 8, Il popolo. Giornale socialista quotidiano; FORBERG, cit, pp. 5354. 17 L’Operaio Italiano, n. 10 dell’11 maggio 1901, pp. 7-8, Indirizzi delle Sezioni socialiste e dei Sindacati Operai nella Svizzera. altrimenti rimarrebbero ignoti a chi ha come sola lettura L’Operaio Italiano. La diffusione negli anni successivi tende a salire, pur con stime contraddittorie, che risentono probabilmente delle variazioni degli stessi flussi migratori: se nel 1904 si stampano fra le 2.100 e 4.900 copie, nel 1908 si arriverebbe a 15.800 copie secondo Schäfer (che cita una fonte ufficiale del sindacato, così come Forberg, che però anticipa questa valutazione all'estate del 1907), mentre per Renzulli, in quello stesso anno, ne sarebbero state stampate 10.444, e per Forberg solo 7.783. Nel 1911 le copie del settimanale ascenderebbero a 9.332 e nel 1913 a 10.202. 18. L’ingordigia della classe operaia: l’emigrazione temporanea. L’emigrazione italiana in Europa (a differenza di quella diretta nelle Americhe) è composto essenzialmente da operai stagionali, che partono in primavera per rientrare a fine anno. Nettamente prevalente fra i friulani ed i veneti - in particolare nelle aree montane dove si è strutturata una avanzata professionalità nei diversi mestieri dell’edilizia - è proprio l’emigrazione temporanea in Europa, che arriva ad un tasso regionale dell’81% di tutti gli emigranti del quarantennio 18761914 19. In Germania il numero degli italiani immigrati sfiora ufficialmente i 70.000 nel 1900: ma secondo Schäfer le modalità di rilevazione sono discutibili e le stime reali possono arrivare quasi al doppio. Cosattini, nell’elaborare la sua tesi, si trova pure a dover correggere notevolmente le cifre ufficiali, arrivando alla valutazione di circa 80.000 emigranti dalla provincia, pari al 13% della popolazione. Di essi approssimativamente fra i 19.000 ed i 33.000 si dirigono certamente nel territorio dell’Impero Asburgico, mentre sono fra gli 11.000 ed i 18.000 circa quelli che raggiungono la Germania (stime per il 1900-1902). E’ evidente il ruolo importante dell’emigrazione friulana nel mondo germanico 20. Un episodio narrato dal redattore de L’Operaio Italiano Giovanni Valär, ricordo del periodo giovanile passato sulla costa livornese, introduce meglio di qualunque altro al conflitto sociale e di mentalità che porta decine di migliaia di italiani, a varcare ogni primavera le Alpi per recarsi in cerca di miglior fortuna nelle contrade d’Europa soggette a più avanzati tassi di sviluppo 18 L’Operaio Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, p. 2, Senza titolo. Dialogo fra Tonio Brontoloni e Beppe Ragionevoli; SCHÄFER, cit., p. 755; RENZULLI, cit., p. 257; FORBERG, cit, p. 53. 19 GABACCIA, cit., tabella a p. 88; 20 SCHÄFER, cit. pp. 741-747; COSATTINI, Giovanni, L’emigrazione temporanea del Friuli, Trieste-Udine, Direzione Regionale del Lavoro, Assistenza Sociale ed Emigrazione della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, 1983, pp. 13 e 42-43. Per un rassegna dei dati complessivi sull'emigrazione italiana in Germania, cfr.: DEL FABBRO, René, Emigrazione proletaria italiana in Germania all'inizio del XX secolo, in: PETERSEN, cit., pp. 27-44 e TRINCIA, cit. economico: Ricordo che alcuni anni fa, in una delle più amene città balnearie della Toscana, parlando con un giovine proprietario del Polesine di alcuni moti sorti proprio allora fra i contadini di quella regione per avere qualche centesimo di più al giorno, glie ne chiedevo la ragione, ed egli mi rispondeva: “Creda pure, la colpa di tutto è l’incontentabilità de’ nostri contadini! Si può fare quel che si vuole per loro, ma tutto è inutile. Una volta erano più modesti; oggi vogliono avere tutti l’orologio per le feste, il vestito di panno, il giornale, e un’infinità di altre cose che i vecchi neppure si sognavano. Le paghe non sono spropositate (mi pare che fossero 75 o 80 cent. al giorno), ma, dati i tempi, neppure cattive, e senza questi lussi (!!) sarebbero sufficenti per vivere. Ma con tutte queste nuove esigenze come è possibile di andare avanti?” e giù un sospirone, e qualche frase monca contro i mestatori e i pescatori nel torbido. Questi argomenti del giovine proprietario, che, fra parentesi, co’ denari che i suoi contadini a furia di fatica e di sudore di sangue strappavano per lui dalla terra, si godeva allegramente la stagione de’ bagni, si sentono ripetere tutti i giorni dagl’imprenditori e dai padroni industriali contro l’intera classe lavoratrice (...). Sarebbe ridicolo per parte nostra se volessimo sostenere contro di loro che negli ultimi anni le esigenze delle classi lavoratrici non siano cresciute rapidamente. Tutt’altro! Il lavoratore moderno, operaio o contadino che sia, non se ne sta più umilmente in disparte ad aspettare ciò che la buona grazie del padrone si compiace di concedergli. Un gran numero di questi paria, per merito specialmente dell’influenza educatrice delle organizzazioni, si sono svegliati, hanno acquistata coscienza di sé, capiscono il valore de’ tesori che le loro mani industriose producono, o scavano dalle viscere della terra, e vogliono, esigono e reclamano la parte che è loro dovuta dei beni della vita. Chi può dar loro torto? (...). I borghesi incapaci di sollevarsi per un momento solo al di sopra del loro tornaconto individuale, e abituati a giudicare tutti i fatti che succedono loro d’intorno unicamente alla stregua del maggiore o minore profitto che possono ricavarne, non sanno comprendere che il desiderio dell’orologio pel contadino, del cappellino elegante per l’operaia di fabbrica, del vestirsi meglio e più pulitamente nelle ore libere è magari quello di circondarsi possibilmente di tutte le comodità che l’industria moderna ha saputo creare, non è già bassa ingordigia, ma espressione pura e semplice di quella tendenza verso il meglio che è innata nell’uomo, e che si sviluppa appena che la sua mente e il cuore cominciano a liberarsi dai pregiudizi del passato e dai bassi istinti della miseria, e che è stata, ed è, e sarà sempre pel genere umano la vera ed unica fonte di progresso. Così è, checché se ne dica; e tutti coloro che veramente hanno un po’ d’intuizione atta a comprendere questi fatti non può fare a meno di riconoscere che ogni nuova esigenza della classe lavoratrice è un nuovo passo in avanti sulla via della civiltà. La rinunzia a quanto vi ha di buono e di bello nella vita che il capitalismo esige dagli operai, non sarebbe che un punto fermo al progresso, un ritorno alla barbarie primitiva. La formola “esigere e godere”, che si può considerare come la divisa del movimento operaio moderno, indica all’umanità la via verso un perfezionamento intellettuale e morale sempre maggiore, ed apre nuove vie alle industrie, e si potrebbe anche dire la quintessenza dell’economica politica 21. L’emigrazione temporanea soppianta con l’inizio del nuovo secolo quella transoceanica: secondo un corrispondente dalla provincia di Padova di un giornale borghese di Milano, essa assume di giorno in giorno proporzioni vastissime, estendendosi perfino alle donne, che trovano lavoro negli stabilimenti di filatura del Baden, ove “le operaie percepiscono paghe superiori a quelle che loro vengono date nei nostri paesi”. Secondo L’Operaio Italiano la causa di questo fenomeno è da ricercarsi nella differenza dei salari pagati all’estero, e nelle migliori condizioni di lavoro, rispetto all’Italia: L’operaio che emigra in Austria o in Germania riesce a mandare a casa risparmi di qualche entità e quando ritorna in patria, se vuole ritornare, viene sempre bene provveduto. Da questo lato, quindi, principalmente la questione dev’essere studiata, e non va trascurato che i giovani, le braccia robuste, i migliori lavoratori, dànno il maggiore contingente alla emigrazione temporanea” 22. Da nomadi sottosviluppati ad operai coscienti: il lavoro dell’Internazionale Socialista. Gli emigranti italiani all’estero sono percepiti dagli altri movimenti operai innanzitutto per la loro arretratezza materiale e politica. Quando si parla degli italiani dell'epoca della Grande Emigrazione, fra i decenni successivi all'unità del nuovo stato sabaudo e la Prima guerra mondiale, è opportuno sfatare una serie di miti che si sono formati in anni recenti nel nostro paese. Il convergere dell'individualismo egoistico - prodotto della società dei consumi - e della svalutazione della dimensione sociale collettiva da parte dell'ideologia neoliberista, hanno dato giustificazione alle pulsioni razziste nei confronti dei nuovi immigrati in Italia. Ciò anche grazie ad un'operazione di amnesia di massa, costruendo il mito degli italiani emigrati all'estero, da sempre, in condizioni di regolarità e professionalità, contrapposte alla situazione di precarietà vissuta dagli immigrati. Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera autore di alcuni significativi libri di divulgazione dedicati al tema dell'emigrazione italiana, sfata facilmente questa leggenda reazionaria, che tende a nobilitare i duri sacrifici dei nostri ascendenti solo per meglio sfruttare i nostri nuovi concittadini. Quella dell'emigrazione del secolo che abbiamo alle nostre spalle, e che ha portato 26 milioni di italiani a spostarsi all'estero fra gli anni '70 dell'Ottocento e lo stesso decennio del Novecento, è stata purtroppo (anche) una storia di miseria, di arretratezza, di condizioni di vita, istruzione e salute inadeguate, di violenza e di delinquenza diffuse. Clandestinità, viaggi su vere e proprie “carrette dei mari”, sfruttamento dei minori e delle 21 L’Operaio Italiano, n. 5 del 2 marzo 1901, L’ingordigia della classe operaia, articolo siglato Vugi e datato Amburgo 22 febbraio 1901. 22 L’Operaio Italiano, n. 6 del 16 marzo 1901, pp. 4-5, Perché s’emigra d’Italia? donne, mafie, crumiraggio ed altre forme di parassitismo nei confronti dei propri connazionali e dei nuovi compagni di vita sono stati aspetti diffusi e significativi dell'emigrazione italiana. Una condizione di vita che diventa oggetto di razzismo, di disprezzo, di violenze diffuse, di campagne organizzate di ostilità e di provvedimenti di chiusura degli sbocchi migratori da parte dei paesi di emigrazione 23. Ne L’Operaio Italiano troviamo drammatiche descrizioni di come le risorse nazionali vengano distorte dal benessere sociale, per mantenere una struttura statale arretrata ed oppressiva, nella quale vengono privilegiate le spese militari, quelle per le avventure coloniali e quelle per la corona. Quanto ad alfabetizzazione, mentre la Germania conta il 2,45% di analfabetismo, l'Italia arriva al 52,93% 24. Chi emigra, si porta dietro una situazione igienica scadente, con vere e proprie malattie endemiche derivanti dalla mancanza di igiene nelle abitazioni e dalle brutali condizioni di lavoro nelle fabbriche e nei campi: come la tubercolosi, la malaria, la pellagra, cui si aggiungono le nuove tare prodotte dall’industrialismo e dall’emigrazione, come l’alcolismo e - eccezionale per incidenza in Friuli - la sifilide 25. Gli italiani che emigrano hanno alle spalle una condizione di sottomissione e sottoalimentazione: situazione che li induce a lavorare per orari interminabili, retribuzioni basse e pasti frugalissimi, suscitando la riprovazione dei compagni di lavoro stranieri, che si vedono così sottoposti ad una dura pressione salariale. I consumi alimentari degli italiani sono bassissimi rispetto alle popolazioni dei paesi di emigrazione: gli italiani mangiano poco frumento e troppo mais (l’alimentazione a base di sola polenta causa la pellagra), poca carne e uova, pochissimo zucchero e sale. A ridurre i loro consumi sono le tassazioni imposte dalla monarchia sabauda, che gravano pesantemente sul grano, lo zucchero ed il sale, beni pur prodotti 23 STELLA, Gian Antonio, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rcs, 2004 (quarta edizione aggiornata: la prima è del 2002); ID, Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore, Milano, Corriere della Sera, 2004. Un limite dei pregevoli lavori di Stella è la sottovalutazione del ruolo del movimento sindacale e del socialismo italiano ed internazionale nell'organizzazione e promozione delle condizioni di vita degli emigranti. 24 L’Operaio Italiano, n. 3 del 10 febbraio 1900, p. 5, Un de’ nostri primati. Dove vanno i quattrini? e 22 del 3 novembre 1900, p. 4, Per istruire e per uccidere gli uomini. 25 L’Operaio Italiano, n. 10 del 19 maggio 1900, pp. 3-4, Chi muore di tubercolosi? - Perché? (articolo del socialista prof. prof. Rossi-Doria ripreso dall'Avanti!); 24 dell’8 dicembre 1900, pp. 5-6, Come si potrebbe spendere bene il danaro pubblico (si tratta di un articolo, ripreso dalla Parola dei poveri, che riprende le tesi dell’igienista e parlamentare radicale prof. Angelo Celli, docente dell’Università di Roma); 15 del 28 luglio 1900, p. 4, Come sono trattati gli italiani. Ai compagni d’Italia, corrispondenza da Wiesbaden siglata B.V.; ANTONINI, Giuseppe, FRATINI, Fortunato e PITOTTI, Giuseppe, L’alcoolismo in Friuli. Lavoro della commissione d’inchiesta, Udine, Cantoni, 1907, riprodotto in: ASSOCIAZIONI DEI CLUB DEGLI ALCOLISTI IN TRATTAMENTO e SERVIZIO DI ALCOLOGIA DEL PORDENONESE (a cura di), La provincia nel bicchiere, Pordenone, L’Ippogrifo, 2001; COSATTINI, cit. , p. 97. abbondantemente nel paese 26. In cambio, gli emigranti italiani sono lasciati senza alcuna tutela dal loro governo, come denuncia anche il senatore ed ex ministro Pasquale Villari: Sono circa 200 mila (italiani) quelli che traversano ogni anno l’Atlantico, per andare nelle varie regioni dell’America, in balia degli agenti di emigrazione, che in mille modi li ingannano, senza che l’emigrato trovi mai efficace protezione. Spesso, nel doloroso viaggio, soffrono la fame, si ammalano; e quando muoiono, vengono gettati in mare, né se ne sa altro. Arrivati in America, vengono non di rado trattati poco meglio che schiavi, e gli scrittori americani più volte hanno messo in chiaro queste vergogne. I nostri consoli, salvo le rare e però tanto più lodevoli eccezioni, se ne occupano meno che possono, perché il governo se ne interessa poco o punto. I consoli stranieri, invece, soprattutto i tedeschi, hanno una cura assidua dei connazionali. C’è da arrossirne al paragone. Se seguono risse fra i nostri connazionali, se commettono delitti, se sono perseguitati, linciati, difficilmente si riesce a sapere con precisione quale è stata la loro colpa, se colpa veramente vi fu 27. Se questa è la massa che si affanna nei paesi di emigrazione, spesso votata a condizioni di sfruttamento inaudito e di semischiavitù, è comprensibile che la prima reazione sia quella di espulsione o, come riaffermeranno più volte soprattutto gli esponenti dei paesi anglofoni e dell’Argentina - ad esempio al congresso dell’Internazionale Socialista di Stoccarda del 1907 di richiesta di chiusura degli accessi 28. Anni fa un giovane 26 L’Operaio Italiano, n. 6 del 24 marzo 1900, p. 3, Il paese che digiuna e che paga e p. 5, Tasse e ricchezza, 8 del 21 aprile 1900, pp. 5-6, Come qualmente si può dimostrare che lo zucchero è una sostanza amara, articolo tratto da Il Corriere Biellese, 11 del 2 giugno 1900, p. 5, Qui si dimostra l’importanza del sale e quanto poco ce ne sia nella zucca dei governanti, da Il Corriere Biellese, 15 del 28 luglio 1900, p. 4, Il popolo più minchione, 22 del 3 novembre 1900, p. 4, Dimmi quello che mangi e ti dirò quanto vali! e 2 del 19 gennaio 1901, pp. 5-6, Il dazio sul grano. 27 L’Operaio Italiano, n. 15 del 28 luglio 1900, p. 3, Come il governo italiano prende cura degli emigranti. Parole di un senatore, firmato P. Villari, senatore. L’egoismo delle classi dirigenti è dimostrato da un altro odioso balzello sui lavoratori italiani: la tassa da pagare annualmente sul passaporto necessario per lavorare all’estero. Le due modeste lire pagate nei consolati italiani non sono tanto pesanti sul piano materiale, ma sono devastanti sul piano morale, in quanto pagate a pro di quelle istituzioni che non li tutelano minimamente nei loro esodi e che - in compenso - li maltrattano in ogni occasione. Per l’abolizione di questo balzello sono state fatte delle grandi agitazioni dovunque gli emigranti italiani si trovavano in numero discreto, mediante conferenze, articoli, sui giornali, opuscoli, comizi e ricordiamo specialmente quelle che ebbero luogo in Isvizzera nei due anni scorsi. L’agitazione giunge ad ottenere l’emanazione del regio decreto del 31 gennaio 1901, che accorda la gratuità del rilascio del passaporto dal 1° marzo successivo, e la durata triennale del documento. Cfr.: L’Operaio Italiano, n. 6 del 16 marzo 1901, p. 3, Finalmente! e 10 dell’11 maggio 1901, p. 2, Le nuove disposizioni per i passaporti. 28 CASTELNOVO FRIGESSI, Delia (a cura di), Le migrazioni operaie in un dibattito della Seconda Internazionale, in: Emigrazione cento anni 26 milioni, fascicolo speciale de Il Ponte, Firenze, La Nuova Italia, anno XXX, n. 11-12, novembre-dicembre 1974, pp. 1308-1321. storico nero di San Paolo raccontava in una conferenza di come gli italiani venissero importati dagli industriali del suo paese a cavallo fra ‘800 e ‘900 per rompere la forza organizzata del sindacato nero formato dagli ex schiavi: dato storico che sconvolge più di qualche stereotipo. L’altra forma di reazione è la violenza: come dimostrano una serie di avvenimenti sanguinosi, sia oltreoceano che in Europa, spesso gli italiani - che sono pur vissuti come selvaggi sanguinari - sono vittime di veri e propri linciaggi di massa: più volte nella Francia meridionale, fino al grande massacro di Aigues-Mortes del 1893, altre volte in Svizzera, in particolare a Berna nel 1893 e nel 1896 a Zurigo 29, destinata a diventare la più grande città italiana della Confederazione. Zurigo ed Aigues-Mortes si incontrano idealmente nel 1893, quando - al congresso socialista internazionale che si tiene nella città elvetica subito prima del massacro avvenuto in Francia - i socialisti italiani, per bocca del filosofo Antonio Labriola, pongono il problema dell’organizzazione internazionale dei lavoratori emigranti. Ne nasce una forma di azione che raccoglie i molti ed ancora incoerenti fili del socialismo internazionale in un’impresa effettivamente transnazionale, basata sulla collaborazione fra gli organismi del paese di origine e quelli dei paesi di arrivo 30. La relazione fra sindacati ed istituzioni socialiste dei vari paesi non è stata ancora adeguatamente studiata nelle sue modalità operative. Da questo punto di vista si avverte la carenza di studi di ampio respiro sul sistema costituito dal sindacato italiano, dalla rete dei Segretariati dell’Emigrazione e dall’Umanitaria, dalle strutture del Psi e da quelle analoghe nei paesi di emigrazione, ivi comprese le rappresentanze parlamentari nella loro attività legislativa e le amministrazioni locali 31. Necessario completamento dell’opera del sindacalismo 29 VUILLEUMIER, Marc, Les exilés en Suisse et le mouvement ouvrier socialiste (1871-1914), in: DEGL’INNOCENTI, Maurizio (a cura di), L’esilio nella storia del movimento operaio, cit., pp. 61-80. 30 Cfr.: DEGL’INNOCENTI, Maurizio, Emigrazione e politica dei socialisti dalla fine del secolo all’età giolittiana, in: Emigrazione cento anni 26 milioni, cit., pp. 1293-1307, nonché i citati saggi di Ragionieri del 1962 e di Paris. 31 Sul movimento sindacale italiano, cfr.: CIUFFOLETTI, Zeffiro, Il movimento sindacale italiano e l’emigrazione dalle origini al fascismo, in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pp. 203-219; PEPE, Adolfo e DEL BIONDO, Ilaria, Le politiche sindacali dell’emigrazione, in: BEVILACQUA, Piero, DE CLEMENTI, Andreina, FRANZINA, Emilio (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. Partenze, Roma, Donzelli, 2001, pp. 175-292; in particolare della categoria dell’edilizia si sono interessati: ANDREASI, Annamaria, La Federazione edilizia e il movimento sindacale italiano (1900-1915), in: Annali della Fondazione Luigi Einaudi, Torino, Volume II, 1968, pp. 213-255 e OLEZZANTE, Silvano e MOSER, Giaime, Costruzione di un sindacato. Le organizzazioni dei lavoratori delle costruzioni dalle Società di Mutuo Soccorso alla Fillea Cgil, Roma, Ediesse, 1998; sul sindacato tedesco, cfr. l’antologia di BENVENUTI, Nicola, Partito e sindacati in Germania (18901914), Milano, La Pietra, 1981, per altro soprattutto attenta al dibattito politico sul rapporto fra partito e sindacato. internazionale, sul versante italiano, sono la Federazione delle Arti Edili e la Società Umanitaria di Milano, con la sua opera di assistenza degli emigranti e la promozione dei Segretariati dell’Emigrazione, vere e proprie Camere del Lavoro per i lavoratori italiani all’estero. Il primo ed il più affermato sarà proprio quello di Udine, che si costituisce il 20 gennaio 1901 in un’assemblea di 1500 operai emigranti. Si tratta di un’impresa dovuta soprattutto a Giovanni Cosattini, che all’emigrazione temporanea dedica la sua tesi di laurea, uno studio che farà epoca anche nell’ambiente scientifico. In quella sede Cosattini anticipa in realtà la costituzione effettiva del Segretariato di altri due anni, fissandola al 1899, e conferendo quindi alla riunione del 1901 il carattere di ufficializzazione di un’iniziativa già avviata. Il suo ruolo personale sarà riconosciuto dal Psi nazionale con la sua entrata nella direzione nazionale nel 1906, come rappresentante del Segretariato stesso 32. Non si tratta di organismi che funzionino slegati, come potremmo essere indotti a pensare: la Federazione Edilizia atta al lavoro sul piano interno, e l’Umanitaria ed i Segretariati rivolti al lavoro fra gli emigranti. Al contrario, la preoccupazione dell’organizzazione degli emigranti è presente fin dalle prime riflessioni di una categoria ancora troppo vicina, nella struttura produttiva ancora prevalentemente artigianale, negli stili e nelle preoccupazioni di vita, all’itinerare senza fine del proletariato medioevale, più che alla costrizione immobile della moderna classe operaia manifatturiera. Che non si tratti solo di una preoccupazione teorica, ma di una dura condizione di vita, è dimostrato dalla lettura dello Statuto e del Regolamento per gli scioperi della Federazione Edilizia, dove sussidi di viaggio e di insediamento, passaggi di contribuzione da una federazione nazionale all’altra, e perfino la dura necessità di abbandonare i territori in sciopero, testimoniano di una pratica ove la mutualità di una classe sul filo della sopravvivenza sconfina impercettibilmente nella pratica dell’internazionalismo proletario. A questi principi di collaborazione si ispirano le convenzioni internazionali, sottoscritte con le organizzazioni analoghe dei paesi di emigrazione, per garantire parità di diritti ai lavoratori e regolarne i versamenti delle quote alle rispettive organizzazioni 33. Il sindacato edile italiano. Secondo la testimonianza dell’Almanacco socialista 1918, 32 L’Operaio Italiano, n. 3 del 2 febbraio 1901, p. 8, Italia; sulla nomina di Cosattini nella direzione del Psi, cfr. ALATRI, cit., e RIDOLFI, Maurizio, Il PSI e la nascita del partito di massa. 1892-1922, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 172-173; la tesi di laurea di Cosattini è pubblicata come: COSATTINI, cit. (la datazione è alle pp. 105-106). 33 Almanacco socialista italiano 1918, Milano, Società editrice “Avanti!”, 1917. Lo statuto è riprodotto alle pp. 279-290, il regolamento per gli scioperi alle 290-296; alle pp. 297-298 sono riprodotte le convenzioni con il Segretariato Internazionale dei Selciatori di Berlino e l’Organizzazione dei minatori della Germania. dovuta probabilmente al segretario Felice Quaglino (la figura di gran lunga maggiore del sindacalismo edile, e più in generale una delle massime del sindacalismo socialista italiano fino al fascismo), la prima iniziativa volta a costituire un sindacato degli edili a livello italiano è del 1885. Secondo Barbadoro, la Federazione Edilizia nasce fin dalle sue origini con un carattere esplicitamente socialista. Sempre secondo lo storico ed esponente della Cgil, la federazione aveva l’obiettivo di unificare le due componenti sociali distinte della classe: operai specializzati con una forte identità professionale ed una tradizione corporativa di lontanissima origine, da un lato, e manovalanza generica proveniente dall’agricoltura e recentemente inurbata. Obiettivo della politica di unificazione categoriale e del superamento della vertenzialità locale era una piattaforma basata sull’aumento salariale, la riduzione dell’orario di lavoro, la trasformazione della retribuzione da giornaliera in oraria, l’adozione di norme antinfortunistiche e la promozione di cooperative di lavoro. Ma uno degli aspetti centrali nella costruzione della categoria, anzi forse il più caratteristico secondo Barbadoro, è la tutela dell’emigrazione: intendeva allacciare una rete di rapporti con le consimili organizzazioni estere, indispensabili per combattere lo sfruttamento esercitato dal padronato internazionale ai danni di una categoria che forniva massicci contingenti all’emigrazione; per tutelare gli emigranti e per evitare i casi di crumiraggio e i correlativi e ricorrenti attriti con lavoratori locali. Anzi, proprio in questo difficile campo, moltiplicava le attività, non di rado ponendosi obiettivi di largo respiro. Così, nel 1893, nella fase più acuta della crisi italiana, che spingeva ingenti masse di edili alla disperata ricerca di qualche occupazione oltre frontiera - costringendoli troppo spesso a prestarsi alle manovre per rinvilire il mercato delle braccia -, lanciava una grande campagna per una federazione internazionale, che tuttavia non raggiungeva lo scopo anche per la debole efficienza delle istanze sindacali di settore dei paesi interessati 34. La realizzazione di questo obiettivo procede però con difficoltà, e solo quattro anni dopo, nel gennaio 1897, si arriva ad un congresso della categoria. Si decide di sollecitare accordi colle organizzazioni estere per un umano soggiorno degli emigranti all’estero e perché non abbiano a ripetersi certi atti di barbarie commessi a danno degli italiani (ad es.: Zurigo 1896 35)... Dopo lo scioglimento nel maggio 1898 (in aprile il sindacato italiano aveva partecipato al Congresso murario svizzero a Berna), la Federazione edile risorge nell’arco di pochi mesi, promossa dai 34 Almanacco socialista italiano 1918, cit., p. 275, Federazione Nazionale Edilizia. Un po’ di storia; BARBADORO, Idomeneo, Il sindacato in Italia. Dalle origini al 1908, Milano, Teti, 1979, pp. 145-146 e 222, nota 71. 35 Gli incidenti di Zurigo vengono provocati dal rifiuto dei muratori italiani di aderire al sindacato svizzero. Dopo tale episodio, la Federazione Edilizia promuove un convegno con la consorella elvetica, avviando un lavoro comune di organizzazione degli italiani emigrati in Svizzera che produce risultati abbastanza incoraggianti. Cfr.: BARBADORO, cit., pp. 146 e 222-223, nota 75. compagni torinesi 36. Il 18 e 19 febbraio 1900 si tiene a Milano il congresso della Federazione Edilizia. Al precedente, tenutosi nel 1898 prima dello scioglimento forzato, la federazione contava 40 società e 6000 membri ed era in rapida crescita. Argomento fondamentale è il nuovo statuto della federazione, alla quale possono aderire le associazioni degli operai muratori, fumisti, cementatori, pavimentatori, decoratori, pittori, indoratori, verniciatori, marmisti, scalpellini, stuccatori, pontatori, carpentieri, suolini, sabbionai, fornaciai, lavoranti in asfalto-lava, copritetti, badilanti e garzoni, e quelle categorie affini all’edilizia che non hanno organizzazione federale propria: appare evidente come la risorta Federazione si dia una dimensione esplicitamente di tipo industriale, organizzando tutta la categoria, oltre ai manovali ed agli apprendisti, superando la dimensione corporativa tipica dell’organizzazione dei soli operai professionali dell’arte edilizia. L’articolo 21 dello statuto riguarda gli emigranti: “Sarà dovere d’ogni socio, quando si reca altrove, e specialmente all’estero a lavorare, ottemperare ai suoi doveri di solidarietà e presentarsi alle associazioni locali, se ne esistono, col proprio libretto sociale onde essere riconosciuto. In caso l’emigrante si rendesse colpevole di atti contrari al programma della federazione, il comitato potrà deliberare la pubblicazione del suo nome sul giornale ufficiale.” Questa disposizione trova la sua corrispondente in quella che ormai è stata adottata in Germania, in Isvizzera e in Austria da tutte le grandi federazioni di mestiere, mediante la quale i membri di società locali e straniere se fanno constatare di avere adempito ai doveri verso la loro società, e se entro quattro settimane dal loro arrivo, rispettivamente dopo la loro uscita, si annunciano, vengono ammessi a godere immediatamente tutti i diritti di soci, senza pagamento di tassa d’entrata. Si prevede che questa norma statutaria dovrebbe favorire l’adesione e la regolarizzazione dei rapporti fra gli edili italiani all’estero ed i sindacati dei paesi di emigrazione 37. La Federazione Edilizia conta nel 1902, secondo una rilevazione di Angelo Cabrini, 29.000 iscritti. Secondo Cabrini, il numero cala due anni dopo a 24.000, ma scorporando i 3.660 aderenti alla neocostituita Federazione dei Minatori. 38 Diverse e più favorevoli le stime per il 1904 dell’Ufficio del Lavoro del Ministero Agricoltura Industria e Commercio: 26.505 per l’Edilizia, e 3.740 per i Minatori. Una consistenza che, come per le altre categorie sindacali italiane, non è paragonabile con i confratelli tedeschi, che contano nel 1904 82.223 iscritti (i 36 Almanacco socialista italiano 1918, cit., pp. 275-278, Federazione Nazionale Edilizia. Un po’ di storia; L’Operaio Italiano, n. 4 del 16 febbraio 1901, pp. 4-5, La Federazione generale italiana fra gli addetti alle arti Edilizie. 37 L’Operaio Italiano, n. 6 del 24 marzo 1900, p. 5, Congresso della federazione edilizia italiana. 38 Sorta nel 1903, con un’organizzazione limitata a solo due regioni: Toscana e Sardegna, ma senza una presenza nella concentrazione più ampia di lavoratori minerari, quella degli zolfatari siciliani. Cfr.: BARBADORO, cit., pp. 151-152. minatori sono 41.894). Un altro paragone, quello con i sindacati inglesi, questa volta in percentuale sul numero di occupati nella categoria, dà i seguenti risultati: sui 552.500 edili italiani rilevati nel 1901, solo il 5% è organizzato dalla Federazione Edilizia (senza differenze rilevabili fra i dati del 1902 e del 1904), mentre nel 1901 dei 1.336.000 edili britannici sono iscritti alle Trade Unions 250.000 lavoratori, pari al 19% 39. Il numero degli iscritti, anche questo con un andamento oscillante comune alle altre categorie, sale a 51.605 nel 1907, per poi scendere a 30.850 nel 1913, probabilmente dovuti in gran parte alla scissione sindacalista rivoluzionaria dell’Usi 40. Nonostante la scelta di sindacato industriale, la Federazione rimane comunque, fino alla Guerra Mondiale, soprattutto un’organizzazione degli operai edili tradizionali, concentrata nelle regioni settentrionali e centrali. Nel 1901 i muratori sono il 61%, cui vanno aggiunti scalpellini e marmisti per il 24%; quattro anni dopo, quando cominciano ad esserci in maniera sensibile fornaciai e mattonai (una delle categorie che sono fondamentali per l’emigrazione friulana), essi sono solo l’11% degli iscritti. Parimenti è minoritario, nel primo triennio del Novecento, il ruolo della Federazione come organizzatrice degli scioperi, che per l’85% sono spontanei od organizzati dalle società edili locali o talvolta dalle Camere del Lavoro. Difficile è l’estendersi dell’organizzazione sindacale nei grandi appalti di opere pubbliche, come le costruzioni stradali e ferroviarie, quelle idroelettriche e le bonifiche agrarie: si tratta dei lavori dove prevalgono i dipendenti non qualificati. In quest’area gli scioperi sono quasi totalmente disorganizzati e spontanei, caratterizzati da ribellismo. Secondo Barbadoro, la Federazione non riusciva a inquadrare e disciplinare una manovalanza sospinta, dalle stesse intollerabili condizioni, alle esplosioni improvvise e rabbiose, piuttosto che all’azione metodica e programmata. E i casi simili allo sciopero incontrollato, scoppiato nel 1901 fra gli addetti al traforo del Sempione - sconfessato da tutta la stampa associativa e socialista - erano purtroppo destinati a ripetersi durante tutta la fase antecedente la prima guerra mondiale 41. Si tratta di una valutazione indubitabile: gli esempi friulani studiati confermano sia la durata della fase, sia la difficoltà di radicamento dell’organizzazione sindacale, anche se mi permetto di inserire una considerazione ulteriore, basata proprio sul legame fra occupazione nell’edilizia e fattore emigrazione. E’ ben vero che nel caso degli scioperi sulla costruenda linea ferroviaria Spilimbergo-Gemona troviamo nel 1911 un riscontro dei fenomeni di spontaneità e violento ribellismo della manodopera. Ma l’elemento caratterizzante è anche un altro: gli scioperanti non entrano in una pratica 39 Ancora più stridente è il confronto fra i minatori italiani e britannici: su 85.900 minatori italiani nel 1901, gli iscritti del 1904 costituiscono solo il 4% della categoria; al contrario sui 941.000 minatori inglesi gli iscritti sono ben 531.000, cioè il 56%. 40 BARBADORO, cit., pp. 132 (tabella 8), 135, 137, 139 (tabella 11); i dati relativi al sindacato edile aderente all’Usi in: OLEZZANTE-MOSER, cit. 41 BARBADORO, cit., pp. 148-149. vertenziale nei confronti delle aziende appaltatrici, poiché preferiscono scegliere la possibilità alternativa dell’emigrazione. Una scelta che, pur imponendo evidenti disagi, permette di accumulare in alcune stagioni un reddito di gran lunga superiore a quello realizzabile rimanendo a lavorare in zona. Si tratta con tutta probabilità di un assumere come elemento di forza un dato acquisito della realtà sociale friulana (ma forse anche di altre regioni d’Italia): i lavoratori non si trovano limitati dalla dura necessità di organizzarsi sindacalmente per iniziare un lungo percorso di conquiste, poiché è loro offerta un’alternativa molto più immediata e realistica. E’ qualcosa di simile a quello che si verifica nella vertenza del 1909 degli operai meccanici della industria Albert Marx di Maniago (questa però organizzata dalla Camera del Lavoro di Udine attraverso la mediazione del Circolo Psi di Spilimbergo). Al lungo sciopero corrisponde la ripresa sistematica della produzione artigianale dei coltelli nelle abitazioni operaie, e la costituzione di una cooperativa per la commercializzazione dei prodotti segna l’ora della resa per la proprietà industriale, costretta a prendere atto del rischio di essere messa in mora da una vincente scelta produttiva autogestita da parte operaia. I sindacati tedeschi. Sono anni di sviluppo tumultuoso del movimento operaio internazionale. La crescita dei sindacati corrisponde ad una mutazione genetica della loro realtà, ad uno spostamento dalle rivendicazioni più elementari ed immediate alla complessità di un organico progetto riformista di governo del mercato del lavoro e di formazione di quadri dirigenti operai attraverso l’esercizio della cooperazione. La necessità dell’organizzazione sindacale appare ancora più importante per gli effetti della moderna produzione industriale - che riduce la forza contrattuale del singolo operaio professionale, sempre più sostituibile da manodopera dequalificata - e dell’emergere di gigantesche organizzazioni padronali, che possono disporre di mezzi vistosissimi. La prospettiva di grandi confederazioni sindacali, certo colta con anticipo dall’osservatorio privilegiato del sindacato tedesco (la Confederazione Generale del Lavoro nascerà in Italia solo nel 1906) appare come lo sviluppo necessario per garantire non solo capacità di confronto vittorioso con l’antagonista di classe, ma anche per guardare con fiducia l’avvenire e preparare quelle trasformazioni sociali che sono nella mente e nel cuore di tutti 42. In realtà in Germania i sindacati sono ancora nella fase delle federazioni di mestiere, e saranno proprio i sindacalisti italiani a porre (a partire dalle loro esigenze) la questione del superamento della frammentazione del settore dell’edilizia in varie federazioni. Che sono più d’una: i muratori, gli stuccatori e 42 L’Operaio Italiano, n. 3 del 10 febbraio 1900, pp. 3-4, Sullo sviluppo e l’azione dei sindacati professionali e 20 del 6 ottobre 1900, pp. 2-3, Uno sguardo al passato. gessatori, i carpentieri ed i manovali, categoria quest’ultima che riunisce i lavoratori appartenenti a questo settore con quelli delle industrie manifatturiere 43; ma vanno poi considerati i sindacati degli scalpellini ed i minatori. La pubblicazione dei resoconti gestionali dei due sindacati tedeschi degli edili e degli scalpellini per il 1899-1900 fornisce i dati dell’organizzazione in un anno di propaganda attivissima e di lotte continue. Il numero delle sezioni della Lega dei Muratori, che nel 1898 erano 768, è salito al 31 dicembre 1899 a 881, con un aumento di 113. La più numerosa è quella di Berlino con 5.519 iscritti (praticamente da sola conta tanti iscritti quanto l’intera Federazione Edilizia italiana), seguita da Lipsia con 2.765, Amburgo con 2.715, Dresda con 1.800, Breslavia con 1.103, Gommern con 1.005. Il numero degli iscritti è in aumento, come quello delle sezioni, passando dai 60.175 soci del 1898 ai 74.543 del 1899, con un incremento di 14.000 44. Secondo una statistica, definita accuratissima, fatta dal Comitato centrale dell’Unione muraria nel 1899 ci sono stati 202 scioperi in Germania, così classificati: 105 sono stati difensivi (ed hanno coinvolto 11.711 persone) e 97 offensivi (17.680 partecipanti). La morale di un anno di grande conflittualità viene tratta con lucidità: si è trattato soprattutto di un attacco politico al sindacato, più che di una pressione congiunturale degli imprenditori alla ricerca di margini di profitto in un’epoca di recessione 45. Una considerazione viene dedicata alla presenza degli operai italiani, tallone d’Achille del sindacato: Se confrontiamo fra di loro le varie sezioni vediamo che quelle della Germania meridionale, particolarmente là dove predomina l’elemento italiano, sono le più sottili, e quelle che meno hanno progredito, e costituiscono in un certo qual modo il punto debole della lega (...). Quanto agli scalpellini, la categoria è stata soggetta ad un duro attacco padronale, che ne ha posto in gioco la stessa esistenza, ma il risultato è stato positivo: le sezioni, che nel 1898 erano 184, sono salite nel 1899 a 228, e gli iscritti da 7.732 a 10.400. Fra i vari scioperi vogliamo ricordare quello della ditta Giebel in Osterwald, non per la sua importanza, che anzi fu brevissimo, ma perché torna ad onore dei nostri connazionali; e lo facciamo con tanto più piacere quanto spesso siamo stati costretti a gridare e ad usare delle parole severe contro quei disgraziati, le più volte ingannati, che vanno a tradire i loro fratelli lottanti per migliorare le loro condizioni. Questa ditta aveva scritturato mediante dei negrieri 30 operai italiani; ma quando questi furono sul posto, e seppero le cose come stavano si dichiararono subito solidali cogli scioperanti, onde la ditta dovè piegare e far ragione a 43 L’Operaio Italiano, n. 2 del 19 gennaio 1901, pp. 1-2, Pel congresso dell’Unione muraria, siglato Vugi e 3 del 2 febbraio 1901, p. 4, In altre organizzazioni. 44 L’Operaio Italiano, n. 9 di martedì 1° maggio 1900, pp. 3-4, Due resoconti importanti. 45 L’Operaio Italiano, n. 22 del 3 novembre 1900, pp. 2-3, Gli scioperi nell’arte muraria nel 1899. tutte le loro domande 46. Il rafforzamento delle federazioni di categoria del settore edile va inserito nel torrenziale sviluppo della confederazione dei sindacati tedeschi. Questa si differenzia dalle due organizzazioni concorrenti, quella liberale e quella cristiana, che non si trovano propriamente sul terreno della lotta di classe, ma piuttosto perseguono l’idea di cercare e di promuovere l’accordo fra il capitale ed il lavoro. Il grande sviluppo del sindacato di classe, definito anche movimento operaio moderno, è dimostrato da una statistica elaborata dalla Commissione stessa: in sette anni il sindacato è quasi triplicato, arrivando a oltre 580 mila iscritti (sugli 864 mila totali di tutte e tre le confederazioni nazionali complessivamente: i socialisti hanno quindi il 67% della massa operaia organizzata) e la presenza delle donne, pur ancora minoritaria, ha avuto un incremento ancora maggiore (da 5.384 a 19.280 iscritte). Diversa e meno ottimistica è invece la valutazione del numero degli iscritti sul totale dei lavoratori organizzabili, calcolato a circa 5.297.851: la forza organizzata assomma quindi appena al 16,31%. Le federazioni di categoria più forti sono quella dei metallurgici, con 85.013 iscritti, seguita da quella dei muratori con 74.534, da quella dei lavoratori del legno con 62.570 e da quella dei tessili con 37.617. Nell’ambito delle arti edilizie, fra i muratori sono organizzati il 24,38%, fra gli stuccatori il 28,96%, fra i lavoratori della pietra il 20,80%, fra i manovali solo il 3,4% 47. Fra il 25 ed il 27 febbraio 1901 si riunisce a Francoforte sul Meno il congresso della Lega degli stuccatori e gessatori della Germania, alla presenza di 22 delegati. Secondo la relazione del presidente Odenthal la lega ha fatto progressi giganteschi negli ultimi due anni. Se nel 1898 era costituita da 17 sezioni con 673 membri, ora il numero è salito a 54, con 2250 iscritti. Sul piano delle condizioni di lavoro, in una serie lunghissima di città grandi e piccole ha saputo obbligare i padroni e gl’imprenditori a concessioni non indifferenti in fatto di salari e di orario; anzi in moltissimi luoghi questo è stato ridotto ad ore 8,5 48. La Società Umanitaria, i Segretariati laici dell’emigrazione (ed i cattolici). La Società Umanitaria nasce nel 1893 a Milano per il convergere di due volontà eccezionali: il mecenate israelita mantovano Prospero Moisè Loria, che lascia al Comune di Milano una consistente donazione vincolata ad iniziative sociali avanzate, ed il suo amico Osvaldo Gnocchi-Viani, pioniere del socialismo, che in gioventù fu il segretario di Giuseppe Mazzini. L’istituzione nasce con l’ambizioso obiettivo di realizzare una 46 L’Operaio Italiano, n. 9 di martedì 1° maggio 1900, pp. 3-4, Due resoconti importanti. 47 L’Operaio Italiano, n. 20 del 6 ottobre 1900, pp. 2-3, Uno sguardo al passato. 48 L’Operaio Italiano, n. 8 del 13 aprile 1901, p. 6, Congresso degli stuccatori. complessa serie di attività sociali, tutte legate dall’obiettivo dell’emancipazione delle classi lavoratrici non per mezzo della carità, ma attraverso l’autorganizzazione da parte dei diretti interessati. L’Umanitaria, pur non essendo una mera articolazione del movimento socialista, ne diventa un elemento di eccellenza, un luogo di alleanze con i riformisti borghesi e di sperimentazione delle più diverse forme di iniziativa sociale. Dalla formazione professionale al collocamento, dalla promozione cooperativa alla formazione di quadri sindacali, dalla tutela dell’emigrazione ai più diversi aspetti dell’attività culturale, di ricerca ed educativa (è qui che apre il suo primo asilo sperimentale Maria Montessori), non c’è praticamente terreno innovativo in cui la Società Umanitaria non diventi un punto di riferimento nazionale. E’ dalle sue file che emergono i grandi tecnici che il Psi gioca sul piano della collaborazione di governo: da Giovanni Montemartini, che dalla direzione dell’Ufficio del Lavoro dall’Umanitaria spicca il salto verso la direzione del primo Ufficio del Lavoro governativo (nell’ambito del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio) nel 1903, ad Augusto Osimo, il direttore dell’istituzione, che nell’autunno del 1920 viene proposto a Commissario del nuovo Ministero del Lavoro (ma non accetterà perché non vedrà accolto il suo programma di riforme strutturali) 49. Appare quindi naturale che l’Umanitaria assuma, al suo riorganizzarsi nel 1901, dopo il commissariamento da parte del generale Bava Beccaris, il ruolo di assistenza laica all'emigrazione italiana in Europa. Nel 1903 l'Umanitaria costituisce insieme ad alcune Amministrazioni Provinciali il Consorzio per la tutela dell'emigrazione temporanea, che ha l'obiettivo di promuovere segretariati locali in Italia e corrispondenti ed ispettori itineranti all’estero, di pubblicare materiale informativo per gli emigranti (in campo giuridico ed occupazionale) ed istituire scuole popolari per la formazione professionale e linguistica e biblioteche itineranti. E’ da questa attività che nasce nel dopoguerra la Scuola del Mosaico a Spilimbergo, in un distretto di tradizionale produzione dell’arte musiva e del terrazzo. L’attività dell’Umanitaria in questo settore non è autonoma, ma realizzata in collaborazione con le federazioni sindacali di categoria (in particolare l’Edilizia), interessate soprattutto all’esercizio delle funzioni di studio ed orientamento dei flussi occupazionali, sui quali agire attraverso la capillare serie di strutture realizzate. Nel 1906 viene fondata a Milano, in collaborazione con il Comune, la Casa degli Emigranti, in modo da accogliere quelli che transitano per la città e dare loro le opportune indicazioni ed assistenza. Nel 1907 l’Umanitaria decide di gestire direttamente l’attività: viene sciolto il Consorzio e fondato l'Ufficio dell'emigrazione, diretto 49 Sull’opera dell’Umanitaria, cfr.: BAUER, Riccardo, La Società Umanitaria, s.l. e s.d. (ma classificata dalla Biblioteca Comunale Classense di Ravenna come: Milano, Bertolotti, 1958?); SOCIETÀ UMANITARIA (a cura di Massimo Della Campa), Il Modello Umanitaria. Storia, immagini, prospettive, Milano, Società Umanitaria e Coop. Raccolto, 2003. Cfr. inoltre il materiale riprodotto sul sito internet www.umanitaria.it. inizialmente da Angiolo Cabrini (e tre anni dopo da Valär). L'Umanitaria assume un carattere nazionale, e non solo locale, grazie alla rete dei segretariati dell'emigrazione presenti in molte città dell'Italia settentrionale ed agli uffici di corrispondenza ai posti di confine. Tramite Cabrini viene inoltre costituito a Roma un ufficio di corrispondenza per seguire il lavoro parlamentare. Dopo aver riconvertito l'attività a favore di profughi e rimpatriati nel periodo bellico, l'Umanitaria riprenderà la sua attività a favore degli emigranti nel dopoguerra, fino alla sospensione di tutte le attività politicamente rilevanti da parte della dittatura (per poi riprendere dopo la caduta del fascismo). Il rapporto fra Milano ed Udine è piuttosto stretto: Cosattini sarà nel comitato di emigrazione del Consorzio e sarà proprio l’Umanitaria ad inviare in Friuli, come direttore del Segretariato di Udine, Ernesto Piemonte 50. La concorrenza fra l’Umanitaria e la cattolica Opera Bonomelli appare evidente, svolgendosi sul medesimo terreno ma con obiettivi opposti: lo sviluppo della lotta di classe nel primo caso, la soddisfazione dei bisogni religiosi ed un approccio interclassista nel caso dei cattolici, il che porta al frequente accordo con gli imprenditori, soprattutto se della stessa confessione, ed all'organizzazione di iniziative antisindacali. In realtà, gli studiosi degli atteggiamenti ed iniziative cattoliche nei confronti dell’emigrazione sottolineano come questo fenomeno sia visto soprattutto come un fattore di disgregazione della società e della cultura tradizionali, un elemento di scristianizzazione cui corrisponde - oltre alla diminuita frequenza ai culti e, nei paesi protestanti, alla conversione - una generalizzata acculturazione socialista ed anarchica 51. Appare tuttavia discutibile la tesi di alcuni studiosi (in particolare Salvetti e Rosoli) secondo cui le istituzioni socialiste in materia di emigrazione sarebbero una risposta a quelle, analoghe ed antecedenti, promosse dai vescovi Giovanni Battista Scalabrini 52 e Geremia Bonomelli. Al di là delle ragioni opposte 50 PUNZO, Maurizio, La Società Umanitaria e l’emigrazione. Dagli inizi del secolo alla prima guerra mondiale, in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pp. 119161; SALVETTI, Patrizia, La tutela degli emigranti: gli Scalabriniani, l'Opera Bonomelli e la Società Umanitaria, in: Il Parlamento italiano. Storia parlamentare politica dell’Italia 1861-1988, Volume settimo, 1902-1908. L'età di Giolitti, Milano, Nuova CEI, 1990, pp. 148-150. 51 ROSSI, Beniamino, La Chiesa cattolica e l’emigrazione, in: Emigrazione cento anni 26 milioni, cit., pp. 1578-1595; MICCOLI, Giovanni, Clero friulano ed emigrazione. Note preliminari, in: Qualestoria, anno X, n. 3, Trieste, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione, Dicembre 1982, pp. 71-82.; ROSOLI, Gianfausto, L’emigrazione italiana in Europa e l’Opera Bonomelli (1900-1914), in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pp. 198-201; SALVETTI, La tutela degli emigranti, cit.; ERMACORA, Matteo, Parroci ed emigranti nelle visite pastorali della Diocesi di Udine (1898-1914), in: Metodi e ricerche. Rivista di studi regionali, Udine anno XVIII, n. 1, gennaio-giugno 1999, pp. 51-71; SANFILIPPO, Matteo, Chiesa, ordini religiosi ed emigrazione, in: BEVILACQUA-DE CLEMENTI-FRANZINA, cit., pp. 127-142. 52 Sulle iniziative, rivolte all’emigrazione transoceanica, degli Scalabriniani, cfr.: TOMASI, Silvano M., Scalabriniani e mondo cattolico di fronte all’emigrazione italiana (1880-1940), in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pp. 145-161. per le quali i due movimenti operavano, pur realizzando iniziative sostanzialmente concorrenziali sul piano assistenziale, va rilevato che - come testimoniano appunto le reazioni dei parroci - gli effetti della conversione al socialismo di masse di emigranti è antecedente all’organizzazione, nell’era giolittiana, delle istituzioni che ruotano attorno all’Umanitaria. E quindi bisogna riandare, oltre che a precedenti ondate di esuli politici, internazionalisti ed anarchici prima ancora che socialisti, all’azione esercitata direttamente dai movimenti operai dei paesi di emigrazione. Va inoltre ricordato che, come abbiamo già avuto occasione di argomentare a proposito del Friuli, è testimoniato un atteggiamento semmai di risposta della gerarchia ecclesiastica alla formazione dei primi gruppi socialisti. Una scelta che non fa esitare ad esempio il Vescovo di Concordia di fronte all’utilizzo di un gruppo di irrequieti sacerdoti modernisti gli stessi che faranno eleggere nel 1913 l’unico deputato della Democrazia Cristiana murriana a Spilimbergo - per presidiare le parrocchie “a rischio” 53. Tuttavia la polemicità fra le due organizzazioni tenderà a diminuire, ed a volgere anche in collaborazione, alla fine del primo decennio del secolo (e non è un caso che sia l'epoca in cui contro l'Opera viene usata dalla gerarchia ecclesiastica l'accusa di modernismo) 54. Percorso di confronto che in realtà ha avuto dei precedenti antichi, come quel don Luraghi che a Zurigo e Lucerna fondava un sindacato cattolico, benediceva una bandiera socialista ed organizzava insieme con i socialisti scioperi nel 1895-1896 55. E’ interessante, a tal proposito, un episodio del luglio 1900. La presenza di organizzatori socialisti fra gli emigranti friulani concentratisi nel Baden non passa inosservata ed il 22 luglio 1900 viene inviato a Neckarau un sacerdote come oratore sulla condizione operaia, neanche due settimane dopo il giro di propaganda svolto da Giacinto Menotti Serrati, direttore de L’Avvenire del Lavoratore di Lugano. Il sacerdote parla presso la sede della Lega di resistenza, sferzando i giocatori d’azzardo che rovinano le loro famiglie, ma anche negando la possibilità di realizzare l’uguaglianza cui tendono i socialisti. Ammise però la necessità che gli operai si organizzino in leghe di resistenza, anche in omaggio al detto di S. Paolo: “Chi non lavora non mangi”, e di tutti i padri della chiesa, i quali nelle scritture loro ripetono ogni momento che la ricchezza è un prodotto del furto, ecc. ecc. Inneggiò poi all’evoluzione che ci porterà a quell’uguaglianza economica che porrà la pace fra gli uomini tutti. 53 Cfr.: BETTOLI, Gian Luigi, Una terra amara. Il Friuli Occidentale dalla fine dell’Ottocento alla dittatura fascista, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 2003, vol. primo, pp. 281-287. En passant, va ricordato l’attivo ruolo di don Giuseppe Lozer nell’organizzazione del Segretariato cattolico dell’emigrazione di CasarsaPordenone, come sempre con grande energia ma - a volte - con poca prudenza nell’organizzare gli invii di emigranti all’estero. 54 SALVETTI, La tutela degli emigranti, cit.; ROSOLI, cit. 55 ROSSI, Beniamino, La Chiesa cattolica e l’emigrazione, in: Emigrazione cento anni 26 milioni, cit., p. 1582; Il discorso concede più di qualcosa alle ragioni degli organizzatori sindacali, che per altro hanno messo a disposizione la loro sede per l’orazione dimostrando una certa apertura. Sembra quasi che le due parti cerchino di concedere il massimo all’avversario, senza voler portare il confronto alle estreme conseguenze polemiche. I socialisti sono presenti e replicano: e si tratta di semplici operai, che si sono dovuti formare da autodidatti. Ad un certo punto i due oratori socialisti azzardano un inedito utilizzo dell’analisi classista all’interno della struttura ecclesiale: Dimostrarono poi che la lotta di classe è inevitabile e coinvolge anche i preti, perché nella loro classe pure si riscontrano le medesime disparità che nelle altre: vale a dire da una parte i cardinali i vescovi ecc. con ricchissime prebende dette “piatti cardinalizi, “mense vescovili”, e dall’altra i poveri scagnozzi che ricevono appena tanto che basti a non morir di fame. Che non ci sia solo una cortesia strumentale, ma il ragionamento con i cattolici vada oltre, è dimostrato dal commento su come si concluda la giornata. Dopo il simpatico convegno, nel quale nessuno era venuto meno ai doveri della tolleranza e della cortesia, si sciolse. Noi ammiriamo questi preti che lasciando da parte vieti pregiudizi si fanno animo e vengono in mezzo ai lavoratori a discutere delle questioni operaie, e vorremmo che venissero più spesso perché finirebbero col comprendere che fino ad oggi sono stati strumenti in mano dei ricchi e potenti per addormentare il popolo predicando la rassegnazione, la quale col miraggio delle gioie del paradiso permette ai primi di conservarsi e di godersi quello terrestre 56. Diversa e più critica la reazione alla predicazione del vescovo Bonomelli tenutasi il 16 agosto 1900 probabilmente nella stessa zona. Il prelato si rivolge agli emigranti lamentando il loro destino di esuli economici, ma invitandoli - a dispetto delle giustificate critiche rivolte all’estero all’Italia - a non mai dimenticare l’amore al paese, alla religione e ai buoni insegnamenti ricevuti in casa, contrapponendo così il legame con i valori tradizionali al distacco dalle istituzioni della patria matrigna. Loda le caratteristiche di laboriosità degli emigranti, suggerendo un apprezzamento per come essi siano capaci di sostituirsi ai lavoratori tedeschi che si vanno invece organizzando nel sindacato. Giunge quindi l’invito a tenersi lontano da sindacato e socialisti: Ha poi finito col raccomandare caldamente a tutti di non lasciarsi trascinare in certe sette, ove si perde ogni rispetto alle autorità, che l’uomo non vive di pan solo, ma anche della verità eterna, e che questa si trova nel catechismo. Dura la replica, che rinfaccia al prelato la polemica contro gli operai del suo Cremonese che si sono riuniti in solide organizzazioni di resistenza, ed il fatto di non aver voluto parlare delle cause sociali dell’emigrazione dall’Italia: come pure invano abbiamo aspettato una parola, che incitasse gli uditori a compiere quei doveri che la solidarietà impone a tutti gli operai, vale a dire di organizzarsi e di non tradire i loro fratelli tedeschi durante gli scioperi. Sì, eminenza, voi avete parlato coi capitalisti i quali vi 56 L’Operaio Italiano, n. 17 del 25 agosto 1900, pp. 4-5, Un prete in missione. hanno fatto un monte di elogi degli operai italiani; ma andate un poco a parlare cogli operai tedeschi e la campana suonerà diversamente, perché i capitalisti preferiscono gli operai italiani soltanto perché si prestano più facilmente degli indigeni ad essere sfruttati e troppe volte fanno loro una concorrenza sleale e vanno a tradire i loro compagni durante gli scioperi. (...) perciò dovevate dire a quegli operai di essere sempre uniti e solidali con gli operai tedeschi, perché essi sono i loro veri fratelli e di lottare con loro per mantenere alti i salari, e gli orari del lavoro nella misura fissata, e tutte quelle conquiste che la classe lavoratrice germanica ha saputo fare a prezzo di tanti sacrifici 57. Va per altro tenuto conto che la polemica fra socialisti e cattolici, in Germania come in Italia, ha un risvolto piuttosto duro nella pratica sindacale, con l’azione di rottura e di organizzazione del crumiraggio delle organizzazioni di ispirazione cristiana. Ad esempio, quando ad Essen nel settembre 1900 lo sciopero si conclude negativamente, la sconfitta è dovuta in prima linea all’organizzazione cristiana, i cui capi non si contentavano di mettere in cattiva vista con sospetti ed affermazioni non vere presso il pubblico la commissione centrale, ma facevano perfino venire degli operai dal di fuori. Nella stessa epoca, a Braunschweig in Bassa Sassonia, la ditta Frölig & Baumkauf ha licenziato tutti gli operai organizzati perché si agitavano per ottenere il salario di 40 Pf. all’ora. I membri della lega cristiana non si sono voluti dichiarare solidali coi licenziati; anzi si sono affrettati ad occupare i posti rimasti vuoti 58. Contro il crumiraggio. Il 1900 inizia in modo drammatico. Il pericolo per il movimento sindacale è imminente: l’obiettivo del padronato è quello di inaridire le casse di resistenza (costituite per finanziare gli operai in sciopero), per poter imporre le proprie condizioni contrattuali ai lavoratori. Lo scontro viene deciso dal padronato edile berlinese dopo il fallimento della via legislativa per irreggimentare i lavoratori: e questo nonostante nella vicina Danimarca un tentativo analogo sia stato sconfitto dopo una dura lotta 59. Il padronato intende ricacciare indietro l’organizzazione operaia, attraverso la coalizione forzosa di tutti 57 L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, pp. 5-6, Il vescovo Bonomelli in giro. Non viene indicata precisamente la località dove si svolge l’orazione del vescovo, se non ch’essa è rivolta agli emigranti italiani nell’antica chiesa dei gesuiti. Si fa però riferimento alla precedente tappa effettuata a Friburgo, sempre in Baden Württemberg. 58 L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, p. 7, Movimenti di salario. Muratori. 59 L’agitazione di 40.000 operai danesi, causata dal rifiuto padronale di riconoscere le organizzazioni di resistenza, era stata sostenuta da 262.844 franchi raccolti in Danimarca e da ben 679.739 franchi raccolti all’estero, soprattutto in Germania (270.023 fr.), Inghilterra (100.536), America del nord (95.033), Svezia, Norvegia ed Olanda. L’Italia è in coda a questa classifica della solidarietà internazionale, con solo 36 franchi, meno dei 1397 della Groenlandia. Cfr.: L’Operaio Italiano, n. 21 del 20 ottobre 1900, p. 4, Esame internazionale di solidarietà operaia. Le contribuzioni dei diversi paesi al grande sciopero di Danimarca. gli imprenditori del settore e la serrata generalizzata. Il centro dell’attacco padronale viene visto nella pretesa di esercitare un boicottaggio generalizzato contro i lavoratori sindacalizzati nel settore dell’edilizia, dove le stesse sentenze della magistratura iniziano a dar ragione alle rivendicazioni operaie. A loro vantaggio, i padroni fanno affidamento sulla massa degli immigrati italiani: il sindacato deve quindi avere un occhio di riguardo verso di loro, per la loro debolezza, estraneità all’organizzazione e ricattabilità 60. L’urgenza di costruire al più presto una forte struttura organizzativa dei lavoratori provenienti dalle regioni del nord Italia è imposta dalla preoccupante congiuntura del settore edile, sottoposto all’offensiva padronale in tutti i paesi centroeuropei. Quest’anno la stagione dei lavori si presenta quasi da per tutto in condizioni eccezionalmente gravi! In molti cantoni della Svizzera grazie alla disunione e al poco spirito di solidarietà il prezzo della mano d’opera è calato al di sotto d’ogni limite possibile, e i compagni hanno deciso di fare argine a questa corrente, e di fare almeno un tentativo per ottenere delle condizioni un po’ più eque. In Austria, particolarmente alla capitale, imperversa una crisi quale da anni non si era più vista l’uguale, e di cui i nostri compagni operai sopporteranno tutti i danni se non sapranno stare bene uniti. Nel marzo del 1900 troviamo il primo duro intervento sul problema del crumiraggio praticato da operai italiani. Un fenomeno cui sarà dedicato lo sforzo organizzativo principale del sindacato tedesco e del socialismo italiano, con l’obiettivo di fronteggiarlo e di ridurne la negativa influenza sulle lotte del movimento operaio dei paesi di emigrazione. La propaganda contro i crumiri scatta all’inizio della primavera, quando gli italiani partono dai loro paesi per l’inizio della stagione dei lavori edili. Merita sottolineare un aspetto importante del fenomeno: il crumiraggio italiano non è connotato dal reclutamento di disoccupati, ricattati a causa della loro condizione di privazione. Al contrario, i gruppi più pericolosi di crumiri sono costituiti da lavoratori già occupati, reclutati con la promessa di un miglioramento della retribuzione a spese dei compagni di lavoro in sciopero. Questo fenomeno produce uno spostamento della percezione popolare nei confronti degli emigranti italiani. Allo stereotipo del quasi selvaggio proveniente da un ambiente arretrato si viene sostituendo quello del mercenario prezzolato disponibile per il suo tornaconto a venire incontro all’oppressione padronale contro i lavoratori in lotta. Un’immagine che provoca la reazione dei nativi danneggiati, che tendono a difendersi aggredendo con violenza gli italiani. Comprensibile d’altronde la reazione popolare agli immigrati usati come arma di ricatto, visto che questa viene pubblicamente brandita contro i lavoratori: Pochi giorni fa in Friedland e in 60 L’Operaio Italiano, n. 2 del 24 gennaio 1900, pp. 1-2, Ciò che bolle in pentola, 3 del 10 febbraio 1900, p. 6, Movimento di salario. Ancora della congiura e 4 del 24 febbraio 1900, pp. 1-2, La condizioni (sic) degli operai e la lega degli imprenditori nell’industria edilizia tedesca. Ratzeburg avendo gli operai del paese domandato per la nuova stagione un lieve miglioramento nei salari, si sono sentiti rispondere per la stampa: Ordineremo degli italiani 61. I crumiri vengono organizzati direttamente nei paesi d’origine da spregiudicati arruolatori che mandano allo sbaraglio chi si affida loro, come ci mostra ad esempio uno dei dialoghi didattici usati dalla pubblicistica popolare per facilitare la comprensione dei lettori. I protagonisti indiscussi sono Beppe e Tonio, lo stereotipo dell’operaio cosciente ed evoluto e del sempliciotto credulone. Probabile creatura della penna di Giacinto Menotti Serrati sulle pagine de L’Avvenire del Lavoratore di Lugano, come nelle migliori opere di letteratura popolare i due personaggi rivivono nei giornali fratelli dell’emigrazione italiana, superando lo stadio della pura imitazione per assumere di volta in volta connotati originali 62. Difficile però mantenere la quieta sicurezza di Beppe di fronte alla rabbia suscitata dall’arroganza della bande di crumiri. I risultati della propaganda fra gli operai italiani sono alterni, come dimostrano gli effetti dell’appello de L’Operaio Italiano di metà maggio che, parlando dello sciopero di Wiesbaden pregava tutti gli operai italiani di non farsi complici degli imprenditori tradendo i loro fratelli e andando a lavorare in luogo degli scioperanti. Il 21 Maggio arrivò alla stazione di Francoforte una compagnia di 42 muratori italiani, provenienti da Karlsruhe e diretti per Wiesbaden. Avvertiti dello sciopero promisero che non vi si sarebbero fermati. E infatti giunti a Wiesbaden e vedute come stavano le cose si dichiararono solidali cogli scioperanti, e senza tante cerimonie ripresi i loro fagotti se ne ripartirono. Ecco un 61 Come nel caso dello sciopero di Colmar in Alsazia, terminato con una sconfitta completa, dovuta in gran parte all’intervento di krumiri, specialmente italiani. L’Operaio Italiano, n. 5 del 10 marzo 1900, pp. 1-2, Di un odioso intervento negli scioperi ed 11 del 2 giugno 1900, p. 7, Scioperi. Friedland è in Meclemburgo, Ratzeburg in Schleswig-Holstein. 62 L’Operaio Italiano, n. 2 del 24 gennaio 1900, p. 2, Organizziamoci. (Dialoghetto tra operai italiani e 5 del 10 marzo 1900, pp. 2-3, Gl’incettatori di carne umana. I dialoghi di Beppe e Tonio riempiono a puntate le pagine de L’Operaio Italiano, ma non solo: quello alle pp. 1-3 del n. 10 del 19 maggio 1900 (Se piovessero i marenghi!...) risulta tratto dalla Giustizia, quotidiano socialista di Reggio Emilia (un collegamento che non dev’essere casuale: di Reggio Emilia è Antonio Vergnanini, esule e predecessore di Serrati alla testa dei socialisti italiani in Svizzera; nel 1901 Vergnanini ritornerà a Reggio alla testa della Camera del Lavoro e poi della Lega Nazionale delle Cooperative: cfr. la scheda di Anna Rosada alle p. 204-208 del volume quinto di ANDREUCCI-DETTI). I due personaggi, e qualche comprimario, sembrano costituire la coppia base fissa della stampa socialista, come dimostrano i dialoghi fra Tonio Bariotti e Beppe Grandi pubblicati in Svizzera nel 1905 su L’Avvenire del Lavoratore da Giacinto Menotti Serrati sotto lo pseudonimo di G.M. Parrasio. Cfr.: ROSADA, Anna, Serrati nell’emigrazione 1899-1911, cit., pp. 185-192. Per altro i cognomi sono assai variabili, anche sullo stesso organo di stampa: cfr. L’Operaio Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, p. 2, Senza titolo. Dialogo fra Tonio Brontoloni e Beppe Ragionevoli, oppure Beppe Disoccupati e Tonio Stenti, sul n. 19 del 22 settembre 1900, p. 2, Perché i ricchi sono ricchi? Dialoghetto. Altri protagonisti di dialoghi sono Gervasio e Pietro: cfr. L’Operaio Italiano, n. 6 del 16 marzo 1901, pp. 3-4, In crisi. Dialoghetto fra due operai. esempio che tutti i nostri connazionali dovrebbero imitare! Ma pur troppo non tutti sono così! Lo stesso giorno arrivò un’altra carovana di 15, i quali, avvertiti pur essi dello sciopero risposero: Le solite chiacchiere dei socialisti! Noi abbiamo sempre lavorato dove vi erano degli scioperi, e non abbiamo mai persa una giornata. E che andrebbe fatto a questa gente che ha perso ogni pudore e che perfino si vantano delle loro azioni riprovevoli! Oh sante legnate, come stareste bene su certe spalle!... Lo sciopero dovrà essere revocato il 6 luglio, essendo pervenuti in città ben 518 crumiri, fra cui 200 italiani provenienti per la maggioranza dall’Alsazia 63. Gli italiani sono così miseri da prestarsi, insieme ai polacchi, a sostituire perfino i contadini della Germania orientale, che si inurbano per sfuggire a condizioni di vita miserrime, e sotto certi aspetti forse peggiori di quelle de’ nostri contadini del Veneto, a causa del dominio feudale degli junkers, gli agrari 64. Ed i friulani insieme coi polacchi si fanno notare, come in occasione dello sciopero di Wiesbaden. I crumiri sono stati reclutati in teoria per 45 pfennige l’ora, cioè la retribuzione rivendicata dagli scioperanti e negata dai padroni. La credulità e l’ottusità dei friulani è dimostrata dalla storia di venti di loro, arruolati a Strasburgo dal gestore di un’impresa: essi rifiutano di arrestarsi di fronte alle richieste dei rappresentanti sindacali (presenti in ogni stazione), vengono portati clandestinamente in città, dormono in una stalla fra le bestie e - alla fine - firmano un contratto che li vincola per un mese, non dà loro garanzie a proposito dell’alloggio e promette loro la retribuzione solo alla conclusione dell’ingaggio 65. La propensione a vendersi degli italiani, in occasione di alcuni scioperi dell’estate 1900 - oltre a Wiesbaden, quello di Spandau e quello di Danzica 66 - subisce un’accelerazione spettacolare, che provoca una durissima reazione del sindacato. L’imprenditore Reinecke, uno dei più retrogradi di Spandau (centro in sciopero dal 6 giugno), prevedendo la burrasca aveva da qualche tempo impiegato 17 italiani, alloggiandoli in una casa di sua proprietà. Ma grande è stato il suo disappunto quando questi gli hanno dichiarato a muso duro che volevano a tutti i costi essere solidali co’ loro fratelli tedeschi. Naturalmente hanno dovuto tutti abbandonare gli alloggi. Il crumiraggio evolve nel deliberato parassitismo: L’Operaio Italiano esordisce quasi incredulo di fronte al 63 L’Operaio Italiano, n. 12 del 16 giugno 1900, p. 5, Piccola cronaca del movimento italiano, corrispondenza da Francoforte s.M. di Un compagno di Francoforte e 15 del 28 luglio 1900, p. 7, Movimenti di salario. Muratori. 64 L’Operaio Italiano, n. 13 del 30 giugno 1900, p. 5, Un quadretto d’attualità. 65 L’Operaio Italiano, n. 14 del 14 luglio 1900, pp. 5-6, Movimenti di salario. Muratori. 66 Antico porto anseatico, poi annesso alla Prussia. Ora in Polonia. Dopo sette settimane lo sciopero si conclude con la vittoria operaia, con il passaggio da 42 a 45 pf. orarie per gli operai finiti, l’aumento di 10 pf. per gli operai e la riduzione di un’ora lavorativa al giorno (dal lunedì al venerdì dalle 11 alle 10 ore). Cfr. L’Operaio Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, p. 7, Movimenti di salario. Muratori. tradimento di chi sta utilizzando i mezzi messi insieme con grande sacrificio per sfruttare l’organizzazione: Vi ha della gente appetto alla quale questi poveri krumiri, come li chiamiamo, diventano dei candidi angioletti; e sono quelli che girano da un luogo all’altro dove vi sono degli operai in isciopero non tanto coll’intenzione di lavorare in loro vece, ma di ricattarli. Quello che si vuole denunciare è l’utilizzo scientifico delle casse di sciopero del sindacato, che stanno rischiando l’esaurimento nella gestione di alcuni scioperi, messi in difficoltà proprio dal grande sforzo economico: qui non si tratta dei soliti incoscienti che peccano per ignoranza! Pei semplici krumiri si possono trovare, se non delle scusanti, della attenuanti fortissime: nella maggior parte dei casi sono vittime delle arti subdole degli agenti de’ padroni, i quali, profittando della loro ignoranza, li attirano ne’ luoghi in cui vi sono degli scioperi senza avvertirli, e quando sono giunti non possono più tornar via per mancanza di mezzi. Molte volte cadono nelle reti di questi agenti dopo lunghi periodi di disoccupazione e di fame, e l’acuto dolore delle miserie sofferte ottenebra loro il cervello e fa dimenticare i doveri della solidarietà. Ma diversa è la caratura morale di questi ricattatori privi di scrupoli, che scelgono di vivere sulle spalle dei compagni di lavoro 67. L’organizzazione sindacale deve dar fondo alle proprie casse per sostenere la resistenza negli scioperi, come nel caso di Essen in Renania Settentrionale-Westfalia nell’agosto 1900. Altre volte le casse non bastano, come ad Husum in SchleswigHolstein: lo sciopero segue il suo corso regolare, e, meno una ventina di italiani, le cui pretese per partire erano troppo forti, non lavora nessuno. Per fortuna anche i padroni - come ad Essen, dove per altro lo sciopero si concluderà negativamente per il boicottaggio del sindacato di ispirazione cristiana - commettono qualche errore, compilando le liste di proscrizione in modo così pressappochistico da scambiare alcuni scioperanti per crumiri e viceversa 68. Un altro aspetto ancora, questa volta interno alla compagine dell’emigrazione italiana, è quello del taglieggiamento degli operai da parte dei capi della loro stessa nazionalità, come nel caso della denuncia giunta nei confronti di Giovanni Battista Dell’Agnese e di Giovanni Battista Cescutti. Tipi di sfruttatori, prepotenti, sfacciati e senza coscienza come questo bel tomo del Dell’Agnese, vecchia conoscenza dell’ Operaio Italiano, che già l’anno scorso ebbe ad illustrarne le gesta, oppure come questo nuovo Cescutti (...). Quest’ultimo, originario di Pradis di Sopra in comune di Clauzetto, è destinato ad una lunga carriera di sfruttatore, viste le denunce che appariranno sulla stampa socialista friulana ancora undici anni dopo; significativo è il fatto che lo stesso Cescutti si presenti come esponente socialista e replichi alle accuse scrivendo allo stesso Il Lavoratore Friulano, a 67 L’Operaio Italiano, n. 12 del 16 giugno 1900, p. 6, 13 del 30 giugno 1900, p. 6, Movimenti di salario. Muratori e 15 del 28 luglio 1900, pp. 1-2, Gli sciacalli. 68 L’Operaio Italiano, n. 17 del 25 agosto 1900, p. 7, e 19 del 22 settembre 1900, p. 7, Movimenti di salario. Muratori. testimonianza di una sorta di doppiezza etica 69. La rete degli intermediari appare diffusa e duratura: nel gennaio 1901 viene denunciato un subappaltatore che ha ricevuto dalla ditta Holzmann & Co. i lavori di costruzione di un edificio e di un albergo a Francoforte sul Meno. Questo è certo Toniati Martino di Zattis presso Clauzetto, che potrebbe essere lo stesso titolare dell’impresa Toneatti di Frantingen presso cui lavorerà dieci anni dopo come capomastro G.B. Cescutti, ai tempi della denuncia del settimanale socialista friulano. A sua volta Martino Toniati subappalta i lavori ad un paletta chiamato Blarasini Giacomo di Piè-Lungo presso Vito d’Assio 70. Il peggiore di quel gruppo di sfruttatori è Filippo Tubini detto Schiena di Cermenato presso Milano, attivo a Düsseldorf, dove paga i muratori 10 centesimi l’ora meno della tariffa. La rabbia degli operai tedeschi si trasmette anche ai loro compagni italiani, ed il 29 dicembre 1900, giorno di paga, i paletta debbono farsi scortare da tre poliziotti fino a casa. Purtroppo la tangente imposta dai capi sui salari operai è di difficile contestazione: bisognerebbe ricorrere alla magistratura, ma con il rischio di farsi dare torto. L’unica soluzione è rovesciare i rapporti di forza, grazie all’adesione in massa dei lavoratori al sindacato 71. Va detto che gli italiani non sono i soli a prestarsi ad operazioni di crumiraggio: altre volte i mercenari sono boemi come a Zeitz in Sassonia-Anhalt, ungheresi come a Francoforte sull’Oder in Prussia oppure slovacchi come a Solingen. A Stettino in Pomerania sono operai polacchi ad essere adibiti ai lavori di demolizione di un edificio, che provocano l’uccisione di cinque passanti ed il ferimento di altri cinque: ma in questo caso va rilevato come lo sconcerto per come questi operai accettino di operare (lavoro, che era eseguito senza metodo né regola da alcuni operai polacchi!) non deve far dimenticare come il porto baltico insiste in una regione mista, abitata sia da tedeschi che da polacchi 72. 69 In tutti i dibattiti sindacali internazionali dell’epoca è centrale la questione del pagamento delle quote. Se per i sindacati dei paesi che accolgono gli immigrati il versamento di alti contributi serve a garantire solide organizzazioni e casse di resistenza, sembra di notare un rifiuto diffuso dei lavoratori italiani a pagare questa doppia adesione. Atteggiamento comprensibile sul piano economico ed anche su quello delle scelte di vita: il mantenimento dell’adesione nel paese d’origine, e lo stesso atteggiamento incoerente nell’emigrazione, sono espressione di una mentalità per cui il lavoro all’estero è visto come assolutamente temporaneo, finalizzando ogni sforzo al rientro, sia attraverso l’acquisto di terreni coltivabili che nella prospettiva di trovare lavoro in patria. 70 Toniati dovrebbe essere una storpiatura di Toneatti, cognome che ancor oggi si trova a Clauzetto e comuni vicini. Frazione Pielungo del comune di Vito d’Asio. 71 L’Operaio Italiano, n. 15 del 28 luglio 1900, p. 2, Le solite gesta de’ negrieri! e 3 del 2 febbraio 1901, p. 4, Operai italiani sfruttati dai loro connazionali; Il Lavoratore Friulano, n. 366 del 7 ottobre 1911, p. 2, In terra d'esilio, articolo firmato Uno dei tanti, 376 del 17 dicembre 1911, p. 4, Clauzetto. Le cose chiare e 382 del 28 gennaio 1912, p. 4, Sottoscrizione permanente. 72 L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, pp. 6-7, Movimenti di salario. Muratori, 24 dell’8 dicembre 1900, p. 8, Incerti di chi lavora e 13 Gli stessi problemi emergono nei paesi vicini, con esiti opposti a seconda della sindacalizzazione realizzata fra gli italiani. In Svizzera siamo di fronte ad un caso positivo: scoppia nell’estate 1900 un grande sciopero fra i 1500 operai edili di Losanna, in maggioranza italiani, per ottenere l’abolizione del cottimo ed il ripristino delle retribuzioni concordate nel 1890. La solida disciplina tenuta dagli scioperanti nelle loro manifestazioni provoca la solidarietà della cittadinanza, che contribuisce al sostentamento della mensa organizzata per fornire un pasto agli operai senza salario. Il sostegno aumenta ulteriormente quando, a fronte del comportamento rigido degli impresari (che pensano di organizzarsi sul modello dei loro colleghi tedeschi) corrisponde la decisione degli scioperanti di accettare senza condizioni la mediazione deliberata dal consiglio municipale. Alla fine anche gli impresari debbono accettare di sottomettersi alla mediazione. Il risultato è un concordato, sancito da una sentenza del tribunale, valido fino al 1° novembre 1903 e prorogabile, che contiene le seguenti conquista: la giornata di 10 ore, aumenti salariali, il pagamento immediato degli operai licenziati o dimessisi, il pagamento dell’assicurazione a carico dei padroni - senza più trattenute a carico degli operai a partire dal 1° luglio 1901, l’assunzione di assistenti edili svizzeri ed il divieto per imprenditori ed assistenti di tenere a pensione gli operai: disposizioni queste ultime aventi l’evidente obiettivo di evitare forme di intermediazione e di sfruttamento da parte degli arruolatori italiani. Il concordato è giudicato dal sindacato una mediazione solo parzialmente soddisfacente, ma è positivo che si siano riportate in vigore le disposizioni del contratto del 1890, andate in disuso per l’indebolimento dell’organizzazione operaia 73. In Francia siamo invece di fronte ad episodi contraddittori. Sono italiani gran parte degli operai in sciopero nel porto di Marsiglia nel settembre 1900: arrivano in loro sostegno i socialisti Oddino Morgari e Luigi Campolonghi, redattore de L’emigrato, ma ambedue vengono subito espulsi dal territorio francese dalle autorità 74. Ciò nonostante, gli italiani sono vittime di tentativi di discriminazione da parte dei colleghi francesi, che fanno riemergere gravi violenze come ai tempi di Aigues-Mortes. E’ il caso del distretto carbonifero di La Motte d’Aveillans in Delfinato, dove il 9 giugno 1901 avvengono gravissimi disordini contro gli operai italiani, occupati in centinaia nelle miniere di antracite. Se la causa occasionale è stata la coltellata sferrata dall’italiano Sebastiano Enomale ad un giovane francese, la causa vera va ricercata nelle solite ragioni di concorrenza fra del 22 giugno 1901, p. 7, Movimenti di salario. Muratori. Dopo il 1945 Stettino (sulla riva destra dell’Oder) passerà alla Polonia, mentre Francoforte sull’Oder, sulla riva sinistra, rimarrà in Germania, assegnato al land del Brandenburgo. 73 L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, p. 7, 20 del 6 ottobre 1900, p. 8, e 21 del 20 ottobre 1900, p. 8, Svizzera 74 L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, p. 7, Francia. Su Morgari e Campolonghi, cfr. ANDREUCCI-DETTI, cit., volumi primo, pp. 477482 (scheda a cura di A. Landuyt) e terzo, pp. 582-586 (scheda a cura di Giulio Sapelli). italiani e francesi. Gli operai francesi esigevano dalla direzione della miniera il licenziamento immediato di tutti gl’italiani occupati da meno di sei mesi; e non avendo la direzione annuito cominciò una vera caccia all’italiano e furono saccheggiate e quasi rase al suolo otto case da loro abitate 75. Friulani, tirolesi, trentini. Talvolta si trovano anche dei capi operai con coscienza di classe: come nel caso di Weinsberg nel Württemberg, dove uno di loro - pur essendo già in città ed avendo firmato un contratto con degli imprenditori per lavori di scalpellino - scopre di essere stato chiamato a sostituire sette operai licenziati perché a capo del sindacato, e rinuncia all’incarico, invitando i suoi operai a non raggiungerlo 76. Ovviamente si ripetono anche i casi di coerenza da parte degli operai, rivelatori di una rete di collegamenti sindacali ormai costituita e di una disciplina che sta diventando senso comune. Come nel caso dello sciopero di Duisburg in Renania Settentrionale-Westfalia, dove i padroni cercano senza successo operai, che regolarmente ripartono appena giunti in città 77. I muratori friulani hanno il loro momento di gloria nel Tirolo meridionale austriaco, quando contribuiscono alla lotta di quelli che - di lì pochi anni, a causa di un atto di arroganza del militarismo italiano - sarebbero diventati controvoglia loro concittadini, oltre che compagni di lavoro. A Bolzano si svolge un lungo sciopero di mille muratori per ottenere l’abolizione del lavoro a cottimo e la riduzione di un’ora lavorativa il sabato. Il sindacato tedesco organizza la sottoscrizione fra gli emigranti italiani in Germania, chiedendo di versare i fondi a Romano Schmidt, presso il Segretariato del lavoro di Trento. Tanto sforzo di solidarietà internazionale nasconde una dura realtà, la solita: Gl’imprenditori austriaci, non meno navigati di quelli tedeschi, portarono sulla piazza di Bolzano dei lavoratori friulani, guardandosi bene dall’avvertirli che essi venivano a lavorare in una città in cui vi era uno sciopero. Giunti sul posto, e avuta notizia delle vere ragioni per le quali erano stati portati a Bolzano si rifiutarono di lavorare, e trovarono un giudice galantuomo e di buon senso che non solo ha dichiarato legittimo il loro rifiuto a lavorare, ma ha pure condannato gl’imprenditori ad indennizzarli. Dunque già agli albori del secolo l’emigrazione friulana non è fatta solo di crumiri professionali e di un ignorante gregge votato allo sfruttamento. Il caso di Bolzano dimostra forme di collegamento fra la manodopera migrante e le organizzazioni sindacali transalpine, capaci anche di garantire la comunicazione - durante lo sciopero - fra l’uno e l’altro territorio statale, e l’attivazione di reti di conoscenze che portano i friulani a resistere anche nel contesto giudiziario. In Friuli, in questo momento, l’organizzazione socialista è praticamente inesistente, 75 L’Operaio Italiano, n. 13 del 22 giugno 1901, p. 8, Francia. L’Operaio Italiano, n. 15 del 28 luglio 1900, p. 8, Scalpellini. 77 L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, pp. 6-7, Movimenti di salario. Muratori. 76 si stanno appena riannodando i primi deboli fili dopo la tempesta della repressione monarchica che ha scompaginato i primi gruppi attivi nei centri maggiori; il Segretariato dell’Emigrazione di Udine è appena stato concepito: ma il comportamento dei muratori giunti nel principale centro sudtirolese dimostra una maturità ed una disciplina esemplare, che fanno capire su quali risorse si basi lo sviluppo tumultuoso degli anni successivi. Ecco come il giornale il “Popolo” di Trento narra la cosa: “Evviva i friulani!” Con questo grido si salutava ieri a Bolzano una comitiva d’operai friulani che, condotti su quella piazza per rompere lo sciopero dei muratori indigeni si rifiutarono di lavorare, non appena si accorsero dell’inganno che era stato loro teso. Non erano stati avvisati dagli imprenditori che a Bolzano c’era lo sciopero; colla scusa della sovrabbondanza di lavoro erano stati ricercati di portarsi dalla Pusteria dove avevano occupazione a Bolzano colla promessa di una mercede altissima, superiore alla normale. Giunti alla stazione, scortati da gendarmi colla baionetta in asta e da poliziotti, furono condotti dall’imprenditore sul posto del lavoro; ma quella vigilanza speciale fece subito capir loro che sulla piazza c’era lo sciopero. E avuta di ciò la conferma si rifiutarono di tradire i loro fratelli. Ma fecero di più. Si recarono al giudizio, raccontarono al giudice che ad essi gl’imprenditori avevano sottaciuto lo stato di sciopero in cui era la piazza e chiesero in via legale un indennizzo pel viaggio di ritorno e per le giornate di lavoro perdute. Dire degli epiteti e degli insulti, degli scherni che valse loro questo atto da parte degli imprenditori e, diciamolo pure, da certi agenti dell’autorità, non ci è possibile. Furono chiamati lazzaroni, mascalzoni, briganti, “porca italiana”, pitocchi, faulenzer78, pidocchiosi. Fieri della loro coscienza, fidenti nel loro diritto, non curarono gl’insulti, non s’allontanarono dall’ufficio giudiziale finché non fu loro resa giustizia. Il giudice obbligò l’imprenditore a indennizzare ogni lavoratore con corone 3,50. Di questa sentenza i friulani si dichiarono soddisfatti non per l’entità dell’importo, che era inferiore alle perdite ad essi causate, ma per la vittoria morale che in tal modo avevano ottenuto 79. Non ci sono solo operai italiani in terra tedesca od austriaca: sono gli stessi sudditi di lingua italiana della corona asburgica a dover emigrare in Germania. I flussi migratori, determinati dalla dura legge della necessità economica, non rispettano certo i confini della geopolitica, ma semmai vecchie e nuove consuetudini legate ai commerci, alla professionalità, alle reti familiari e vicinali costruite nel tempo. Per il loro tramite, anche nelle valli trentine inizia a penetrare la propaganda socialista: il riferimento cui sono invitati a rivolgersi per organizzarla è il Dr. Cesare Battisti in Trento 80. L’organizzazione degli italiani al congresso 78 Fannulloni. L’Operaio Italiano, n. 17 del 25 agosto 1900, p. 8, Austria e 18 dell’8 settembre 1900, p. 4, Bravi compagni! 80 L’Operaio Italiano, n. 23 del 17 novembre 1900, p. 8, Austria. 79 dell’Unione muraria del 1901. Nel dicembre 1900, il bilancio del lavoro organizzativo fra gli emigranti italiani appare ancora insufficiente. I risultati non sono corrispondenti all’enorme dispendio di energia ed anche di danaro che negli ultimi anni è stato fatto per la propaganda, specialmente in Isvizzera ed in Germania. Nonostante la propaganda (che usufruisce anche della stampa socialista spedita agli emigranti dall’Italia) le sezioni sindacali italiane trascinano una vita stentata. Varie le possibili cause: l’ignoranza e l’indifferenza fatalistica dei lavoratori italiani, la paura e l’influenza del prete in patria. Queste cause però sono insufficienti, se si tiene conto che gli emigranti provengono in gran parte dall’Italia settentrionale, dove le percentuali dell’analfabetismo scendono a tassi quasi irrisori. Quanto all’indifferenza, le conferenze sono generalmente frequentate da centinaia di persone anche quando l’oratore non è un deputato ma si tratti di uno sconosciuto. E in quanto all’influenza del prete crediamo pure che si sia sempre esagerato molto. Con spirito autocritico si afferma come sia necessario guardare all’interno delle file socialiste, ed in primo luogo al personalismo ed allo spirito polemico che assorbono gran parte delle discussioni del movimento, allontanando molti simpatizzanti. In realtà, dietro questa valutazione si nasconde, come in altri casi, la violenza dello scontro fra rivoluzionari e riformisti nel socialismo italiano, come ben fa capire il riferimento alla divisione di una sezione fra “prampoliniani” e loro avversari 81. Diverso è il tono dell’editoriale con il quale, poche settimane dopo, Valär inaugura la sua gestione de L’Operaio Italiano, dopo l’espulsione dalla Germania del precedente redattore, che non abbiamo potuto identificare. Il nuovo redattore è proteso a dimostrare i grandi successi del lavoro degli anni appena trascorsi, a partire dalla crescente diffusione del giornale e le centinaia di lettere e cartoline piene d’incoraggiamenti, di notizie preziose e di consigli che settimanalmente ci giungono da ogni parte della Germania, non che il desiderio manifestato da una gran parte de’ nostri lettori che il giornaletto li segua anche nell’inverno nelle loro case, tra le loro famiglie. Sono migliaia e migliaia di forti lavoratori che prima vivevano come isolati senza comprendere nulla di tutto il movimento che vedevano svolgersi sotto i loro occhi, e che troppo spesso erano semplicemente degli strumenti di oppressione nelle mani degli imprenditori (...) Solo tre anni fa l’idea di organizzare gli operai italiani pareva un mito, un sogno da matti; ed oggi vediamo che non vi ha quasi sezione che non conti un forte manipolo di operai italiani che coopera co’ loro fratelli (...) e nei centri maggiori, quelli in cui l’emigrazione italiana è più forte, sono sorte delle organizzazioni parallele, che vivono di fianco alle tedesche di vita propria, e procedono mano in mano con esse, unite strettamente in tutte le questioni e in tutte le lotte. E 81 L’Operaio Italiano, n. 25 del 22 dicembre 1900, pp. 4-5, La smania dello scandalo; BETTOLI, cit., vol. primo, pp. 192-207. diminuendo il crumiraggio, l’operaio italiano inizia a non essere più visto come il principale spauracchio dell’operaio tedesco organizzato 82. Il problema viene ripreso in occasione della convocazione del sesto congresso dell’Unione muraria tedesca, che si tiene a Magonza a partire dall’8 aprile 1901: Valär coglie l’occasione per stimolare il dibattito fra i compagni. Quali sono le questioni centrali, secondo lui? Certo, bisogna superare il volontarismo, per rendere sistematica la propaganda. Ma, su un piano più propriamente sindacale va superata la divisione in tante organizzazioni di mestiere, con il raggiungimento dell’unità attraverso un sindacato industriale che raggruppi tutta la categoria. La divisione in più federazioni di mestiere, che produce prevalentemente risultati negativi, può essere superata con una proposta originale, per cui gli italiani realizzerebbero pragmaticamente l’unificazione industriale prima dei tedeschi, aderendo tutti all’Unione muraria, la più forte delle tre leghe (Valär non mette in discussione la separatezza dei sindacati degli scalpellini e dei minatori). Altra questione che viene posta da Valär è quella dell’autonomia degli italiani nel sindacato tedesco. La crescita del loro ruolo non può che passare per una certa pratica autonoma, da realizzarsi però nelle sezioni tedesche, senza perseguire la via di una autonoma struttura nazionale degli italiani ritenuta poco realistica: se questo è stato possibile in Svizzera, è perché là la mano d’opera dell’industria edile è quasi un monopolio degli italiani; mentre qui ci troviamo di fronte a quasi un milione di operai edili tedeschi, co’ quali dobbiamo procedere di conserva 83. A tal proposito va sottolineata l’esperienza particolare della sezione edile italiana di Mannheim e Neckarau, nel Baden, dove gli italiani sono stati i promotori e rimangono la maggior parte degli aderenti al sindacato. Una realtà che, approfittando della presenza di un nucleo ormai stabilizzato di emigranti definitivi e della stessa presenza come amministratore del gestore del ristorante italiano, si pone il problema di togliere gli italiani dallo sfruttamento di negozianti e locandieri, iniziando a pensare ad un locale cooperativo che diventi il centro, anche politico e sindacale, della comunità, sull’esempio di quanto fatto a Ginevra e ad Innsbruck, ma anche ad una scuola 84. 82 L’Operaio Italiano, n. 1 del 5 gennaio 1901, pp. 1-2, Sulla soglia del quarto anno, articolo siglato Vugi. 83 L’Operaio Italiano, n. 1 del 5 gennaio 1901, p. 2, Congresso dell’Unione muraria, 2 del 19 gennaio 1901, pp. 1-2, Pel congresso dell’Unione muraria, articolo datato Amburgo, 9 gennaio e siglato Vugi e 3 del 2 febbraio 1901, p. 4, In altre organizzazioni. 84 L’Operaio Italiano, n. 9 di martedì 1° maggio 1900, pp. 2-3, Per una cooperativa di consumo; 5 del 2 marzo 1901, p. 2, Pel prossimo congresso. Dell’autonomia, lettera firmata Due muratori di Neckarau. Una iniziativa di questa natura, coronata da successo ormai secolare, è la Cooperativa Italiana di Zurigo, con il suo Ristorante (il cui presidente, Andrea Ermano, è anche il direttore del periodico socialista italiano L’Avvenire dei lavoratori, di cui è disponibile da qualche tempo anche una edizione on-line: cfr. i siti internet www.cooperativo.ch e La sezione di Mannheim (oltre a conferenze, feste da ballo e scampagnate, nelle quali si riuniscono la comunità, ma anche i compagni tedeschi) organizza l’attività di propaganda domenicale nei centri vicini, come a Friedrichsfeld ed a Kirchheim. Il 21 ottobre un gruppo di attivisti della Lega tiene un comizio allo jutificio di Sandhofen, con il risultato di effettuare molte iscrizioni; risultato ottenuto - lo stesso giorno - da un altro gruppo recatosi a Mundenheim. Ma va considerato come la concentrazione di italiani nel Baden e nel Palatinato bavarese, stimata da un giornale tedesco a circa 30.000, sia la maggiore in Germania, e quindi si comprende sia l’attivismo del sindacato in questa realtà, sia il fatto che qui si vendono gran parte delle copie de L’Operaio Italiano 85. Nonostante l’attività, la forza della lega degli edili, con la sua sezione tedesca e quella italiana, non riesce a mobilitare i 2.000 operai edili di Mannheim, arretrando di fronte alla reazione padronale che nei primi mesi del 1901 provoca consistenti riduzioni di salario. Il motivo viene individuato nelle polemiche interne che dividono l’organizzazione 86. La presa di posizione di Valär apre un dibattito sull’impermeabilità della Germania settentrionale (in primis Amburgo Berlino) nei confronti degli operai italiani, a causa dell’ostracismo dei colleghi tedeschi. Egli ricorda come l’inaccettabile atteggiamento dei tedeschi trovi ragioni oggettive nel fatto che là - dove le conquiste sindacali sono state maggiori - i pochi italiani si sono presentati come crumiri per boicottare gli scioperi. Non solo: gli italiani che giungono nelle città del Nord hanno il difetto di iscriversi solo strumentalmente al sindacato, senza alcuno spirito di solidarietà, e sono pronti a ricattare la cassa di resistenza in caso di sciopero, com’è successo a Spandau. Ciò nonostante, va dato atto ai tedeschi che il risentimento non ha mai prese quelle forme brutali e selvagge che cagionarono i fatti di Berna, di Zurigo, di Marsiglia e di Aigues-Mortes, per non passare l’oceano 87. Orario, salario, sicurezza. I miglioramenti ottenuti finora possono sembrare poca cosa rispetto alla povertà generale dei lavoratori: ma gli aumenti di 2-5 pfennige l’ora e la diminuzione di 1-2 ore lavorative al www.avvenirelavoratori.ch. 85 L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, p. 1-2, Di uno dei caneri (cancri?) delle nostre organizzazioni, 21 del 20 ottobre 1900, p. 6, Echi dalle sezioni, siglato V.B. e poscritto redazionale, 22 del 3 novembre 1900, p. 7, Corrispondenze, siglato V.B., 23 del 17 novembre 1900, p. 2, Condizioni di salario e di lavoro dei muratori nel Baden ed 1 del 5 gennaio 1901, p. 7, Corrispondenze e Avviso (firmato Victor). 86 L’Operaio Italiano, n. 2 del 19 gennaio 1901, p. 7, Corrispondenze; 4 del 16 febbraio 1901, p. 4, Una lezione di cose (Ai compagni organizzati di Mannheim), articolo firmato Fra Ginepro e 6 del 16 marzo 1901, pp. 5-6, Per “Una lezione di cose”, lettera firmata Un operaio organizzato e replica di Fra Ginepro. 87 L’Operaio Italiano, n. 4 del 16 febbraio 1901, pp. 2-3, Pel prossimo congresso. giorno sono il risultato realistico ottenibile in una situazione in cui ancora non tutta la classe operaia si è organizzata. I contratti esaminati sono stati ottenuti a livello comunale o sovracomunale, in mancanza di un livello di contrattazione regionale o nazionale, e risentono quindi delle differenziazioni derivanti dalla forza organizzata dei lavoratori su base locale e della resistenza del padronato. Di durata annuale o biennale, presentano in effetti generalmente aumenti salariali nella scala richiamata (rispetto ad una paga oraria di partenza molto differenziata, che va dagli 30/35 ai 40/45 pf. l’ora, per crescere nelle principali città settentrionali: 52 a Kiel e Brema, 60 ad Amburgo, dove c’è l’aumento più consistente, che arriva a 75 pf.), retribuzioni aggiuntive per lavori disagiati e pagamento del tempo di spostamento per i lavori esterni ai centri abitati, forti limitazioni dell’utilizzo dello straordinario (gravato da indennità aggiuntiva) e del lavoro notturno, abolizione o in subordine limitazione del cottimo. L’orario estivo subisce una riduzione da 11 a 9,5 o 10 ore lavorative giornaliere con diminuzione d’orario il sabato (solitamente mezz’ora, ma anche due ore nel caso di Velten i.d.M.), mentre quello invernale - nel nordico Schleswig - è di 7 ore. Nel caso di Brema si è arrivati ad ottenere le 9 ore a partire dal 1901. In alcune località si è ottenuta la festività del Primo Maggio e l’esclusione di atti di rappresaglia sugli scioperanti. In alcuni accordi si fa riferimento al problema degli alloggi per i lavoratori che non possono rientrare tutte le sere all’abitazione: l’attenzione è posta sull’igiene di baracche e latrine, sul riscaldamento dei locali e sulla fornitura di stoviglie: in un caso (Wolfenbüttel) è prescritto il diritto al controllo settimanale da parte della commissione dei salari 88. Le riduzioni d’orario sono inserite nella rivendicazione generale del sindacato internazionale, quella delle otto ore al giorno. Su questa rivendicazione si soffermano gli articoli de L’Operaio Italiano, insistendo sui benefici per la salute delle masse lavoratrici che sarebbe apportata dalla riduzione d’orario e rifiutando il ragionamento razzista del padronato, secondo il quale il maggior tempo libero farebbe precipitare i lavoratori nel vizio. Viceversa, un punto forte della rivendicazione delle otto ore è quella del recupero di produttività che avverrebbe da parte operaia, eliminando quel surplus d’orario che non fa che esaurire le forze fisiche e mentali dei lavoratori. Una disastrosa conseguenza del protrarsi dell’orario del lavoro fino allo stremo della capacità di resistenza umana è l’aumento progressivo degli infortuni sul lavoro. Particolare attenzione viene prestata alla situazione australiana, dove l’agitazione per le 8 ore - iniziata il 21 aprile 1857 a Melbourne con un corteo alla cui testa una bandiera proclamava Otto ore di lavoro, otto di svago, otto di sonno - ha avuto successo in oltre sessanta categorie, 88 L’Operaio Italiano, n. 10 del 19 maggio 1900, pp. 4-5, 11 del 2 giugno 1900, pp. 3-4 e 18 dell’8 settembre 1900, p. 5, tutti con il titolo: Le conquiste di quest’anno. In occasione del congresso dell’Unione Muraria dell’aprile 1901, viene presentata una relazione sui risultati complessivi ottenuti nel corso del 1900, sintetizzata in una tabella del n. 9 del 1° maggio 1901 de L’Operaio Italiano, p. 3, Cifre che dovrebbero far pensare. rappresentanti il 75% della classe operaia (ed il restante quarto lavora al massimo 9 ore al giorno) 89. Ma le conquiste sindacali non possono nascondere il permanere di vaste sacche di condizioni al limite della sopravvivenza: come la Lorena, dove secondo la Metzer Zeitung gli italiani residenti sono 42.000, ma - secondo il sindacato tedesco - altre migliaia stanno arrivando ad ondate nei centri industriali della regione. Fra loro pesa l’ipoteca clericale, che li fa allontanare da un attivista che cerca di avvicinarli al sindacato con l’esclamazione: E’ un framassone! D’altronde anche gli operai tedeschi organizzati in sindacati di orientamento cristiano fungono da elemento di rottura della solidarietà di classe, come avviene durante lo sciopero dei lavoratori del granito di Blauberg. Siamo nella Lorena siderurgica, tramontata negli ultimi decenni del Novecento, rievocata con emozione da Aurélie Filippetti nel romanzo dedicato - insieme al padre ed al nonno emigranti umbri comunisti - ad un’intera classe operaia migrante. Come nelle pagine della scrittrice francese (la Lorena e l’Alsazia dopo il 1918 ritornano alla Francia), la durezza dello sfruttamento e delle lotte per affermare i diritti dei lavoratori si saldano letteralmente al minerale vivo che costituisce il sangue ed i nervi della regione contesa fra Germania e Francia. Che dire poi della leggerezza con cui sono dirette quelle officine che occupano migliaia di italiani in lavori pericolosissimi! Le disgrazie sono all’ordine del giorno! Ora è un giovine, esaurito dal lungo e penoso lavoro, che si lascia stritolare e bruciare da un masso d’acciaio rovente, ora è un altro che cade nel minerale liquido, e di lui non si trova più traccia; ora è uno che occupato alle vaste costruzioni metalliche cade dall’altezza di dieci metri e muore; oppure è una catena difettosa che si spezza e ferisce gravemente sette operai 90. Il problema della salute e della sicurezza è pure al centro del memoriale sulle condizioni di vita e di lavoro degli scalpellini, deliberato dal congresso della categoria a Gotha e presentato l’8 gennaio 1901 dal comitato centrale della lega dei lavoratori in pietra. Le condizioni degli scalpellini, cavatori e lisciatori (levigatori) sono tristissime: non vi ha altro mestiere nel quale le malattie professionali facciano tante vittime. (...) Di tutti i cavatori impiegati nelle cave il 37,79 per cento sono malati; se si pigliano in considerazione anche gli scalpellini propriamente detti occupati nelle cave, questa percentuale già fortissima sale al 44,9 per cento. Più alta ancora è la percentuale dei malati fra gli scalpellini, 89 L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, p. 4, Gli infortuni nelle diverse ore del giorno, 17 del 25 agosto 1900, p. 2, La giornata di lavoro, 18 dell’8 settembre 1900, pp. 3-4, che cosa c’insegna la storia dell’abbreviazione della giornata di lavoro?, 19 del 22 settembre 1900, p. 5, I medici e la giornata di otto ore, 20 del 6 ottobre 1900, p. 3, La giornata delle otto ore in Australia. 90 L’Operaio Italiano, n. 7 del 7 aprile 1900, p. 2, Organizziamoci (Dalla Lorena), corrispondenza firmata Un solitario, 10 del 19 maggio 1900, p. 7, Scioperi e boicotti. Scalpellini e 11 del 2 giugno 1900, p. 4, Cose che succedono! (Dalla Lorena.). FILIPPETTI, Aurélie, Gli ultimi giorni della classe operaia, Milano, Il Saggiatore, 2004. poiché sopra ogni cento, 65 sono malati. La malattia prevalente è la tubercolosi: sopra 10 mila scalpellini se ne trovano sempre 838 in cui questa malattia è in pieno sviluppo, e 1077 incipiente. Vale dunque a dire che quasi 1/5 di tutti gli scalpellini hanno questo male nelle ossa e sono sacri alla morte dopo un’agonia lunga e tormentosa. (...) Il secondo gran pericolo al quale sono sottoposti i lavoratori della pietra è la morte prematura. Sopra ogni 10 mila scalpellini ne muoiono all’anno 505, e sopra ogni 10 mila cavatori ne muoiono annualmente 363, e dove scalpellini e cavatori lavorano uniti la mortalità è data da 445 sopra 10 mila. In altre professioni la mortalità arriva appena ad 1/4 di quella dei lavoratori della pietra. E come la morte li colpisce tutti giovani, nel vigore degli anni e della vita! La media della vita degli scalpellini è di 36 anni e mezzo, e fra quelli che lavorano la pietra arenaria scende perfino a 33 anni. Il terzo punto trattato dal memoriale è quello degli infortuni sul lavoro, che fra i lavoratori della pietra sono comunissimi. Sopra 1000 scalpellini 54,32 vengono colpiti da infortuni più o meno gravi, dei quali 13,58 vengono risarciti dalla cassa di assicurazione. Negli altri mestieri, in generale, le medie degli infortuni risarciti dalla casa non supera gli 8,2. Causa di questa situazione sono le condizioni di lavoro della categoria: mancano da per tutto i più elementari mezzi protettivi escogitati fino ad oggi contro l’influenza malefica della polvere, contro gl’infortuni e contro la spossatezza causata dalle giornate troppo lunghe e facilitata dal sistema del cottimo, che nell’industria della pietra è applicato su vasta scala. A questi fenomeni sarebbe possibile, senza nessun calo di produttività del settore, rimediare attraverso interventi legislativi sul terreno delle condizioni di lavoro, e la riduzione della giornata lavorativa 91. Non si tratta certo solo di questioni limitate agli scalpellini ed affini, od ai siderurgici: dai dati forniti dalle cooperative di assicurazione (Berufsgenossenschaften) nel 1899 gli infortuni sul lavoro denunciati è stato di 443.313, pari al 2,48% dei 17.847.642 assicurati. E le spese per la maggior parte di questi infortuni sono cadute sulle casse-malattie, quindi sono state pagate dagli operai medesimi (...). Nei 14 anni dal 1886 al 1899 sono stati risarciti ben 809.518 infortuni, dei quali 81.884 hanno prodotto la morte, 29.200 la totale inabilità e 426.336 quella parziale dei lavoratori colpiti. D’anno in anno il numero degli infortuni è sempre andato crescendo non soltanto nel suo 91 L’Operaio Italiano, n. 3 del 2 febbraio 1901, pp. 5-6, Il memoriale degli scalpellini. A proposito del memoriale, il deputato socialdemocratico Wurm presenterà al parlamento tedesco un’interpellanza al ministro Posadowski in merito alla promessa inchiesta sulle condizioni professionali della categoria. L’intervento di Wurm viene pubblicato - per esplicita richiesta del comitato centrale della Lega dei lavoratori della pietra - con grande rilievo da L’Operaio Italiano alle pp. 1-4 del n. 8 del 13 aprile 1901: Il memoriale dei lavoratori della pietra davanti al parlamento germanico. Questa iniziativa straordinaria, che occupa metà di un numero del giornale, è specificamente rivolta agli operai italiani del settore: Sparsi per le cave e le piazze di lavoro della Sassonia, della Baviera, del Baden ecc. vi sono centinaia e migliaia di scalpellini, tagliapietre, marmorini e cavatori italiani. Nella pagina successiva, un dialogo fra Tonio e Beppe è dedicato invece a: I terrazzieri (pp. 4-5, articolo firmato Carluccio). valore assoluto, ma anche in quello relativo in confronto al numero degli assicurati. Nel 1886 sopra 1000 assicurati si avevano 2,8 infortuni, mentre nel 1899 questo numero è salito a 7,39; vale a dire che è quasi triplicato. Fenomeno questo che contribuisce a falcidiare, oltre alle vite, le stesse rendite fornite agli operai, la cui quota per assistito si è dimezzata in 14 anni 92. Contro il cottimo. Oltre alle battaglie per l’incremento dei salari e per la giornata lavorativa di 8 ore, altro obiettivo centrale che progressivamente si afferma (sintomo dell’innovazione organizzativa che sta avvenendo) è quello per la difesa della retribuzione a tempo, contro l’utilizzo del cottimo o retribuzione a fattura. Con la diffusione del cottimo si sta facendo rientrare dalla finestra quello sfruttamento della manodopera che si sta cercando di cacciare dalla porta. Il cottimo permette di aggirare le conquiste sull’orario (costringendo i lavoratori a lavorare più velocemente) ed in tal modo impedisce quella positiva ricaduta sul collocamento dei disoccupati che era obiettivo fondamentale della battaglia per le 8 ore: col cottimo si può arrivare a risparmiare da uno fino a due terzi della manodopera. Aumenta così la massa di disperati disponibili a vendersi sotto tariffa, con effetti depressivi sulla dinamica salariale: in conseguenza dell’aumento della disoccupazione, mentre i salari a tempo aumentano - almeno nominalmente - la retribuzione dei cottimi diminuisce sensibilmente, con un’accentuazione progressiva dei ritmi di lavoro. Un correttivo è l’inserimento in alcuni contratti di mestiere della clausola (che però poi non viene sempre rispettata) che la retribuzione a cottimo non possa essere inferiore a quella a giornata: ma la duplicazione degli obiettivi salariali rende più difficile la gestione delle rivendicazioni, ed aumenta le tensioni e la concorrenza interne alla classe operaia 93. La contraddizione fra retribuzione a tempo ed a cottimo fa capire come la scelta, soprattutto da parte degli emigranti friulani, si possa inserire in una linea d’ombra nella quale l’interesse personale, oltre alla cultura individualistica di provenienza, collide oggettivamente con il bisogno collettivo di realizzare il massimo di solidarietà e coesione sociale. L’Operaio Italiano deve prendere atto che la retribuzione a cottimo in molte realtà prevale su quella oraria. Il cottimo produce un’epidemia di infortuni sul lavoro. La statistica degli infortuni sul lavoro, presentata al parlamento tedesco, denuncia un incremento degli episodi dai 382.117 del 1897 ai 407.522 del 1898 (su 17.505.905 assicurati). Ben 7.984 infortuni hanno avuto un esito mortale, e 1.139 hanno comportato la totale invalidità al lavoro; le vedove e gli orfani indennizzabili sono rispettivamente 92 L’Operaio Italiano, n. 3 del 2 febbraio 1901, p. 7, Il sacrificio all’industria. 93 L’Operaio Italiano, n. 8 del 21 aprile 1900, pp. 3-4, Il lavoro a cottimo. Dialogo fra due operai. 5.096 e 16.601 94. Il fenomeno del lavoro a cottimo, con le sue distorsioni, non nasce in Germania, ma vi è importato dall’Italia. Secondo Quaglino, c’è una differenza fra il cottimo tradizionale e quello realizzato dagli intermediari: Se i veri hanno lo scopo di sfruttare gli altri per conto proprio, i finti cottimisti li sfruttano per conto altrui, cioè per i padroni. Se i primi sfruttano la manodopera con l’attrattiva di 20-25 centesimi in più al giorno, i secondi approfittano della disoccupazione, diffusa in particolare nei grandi centri urbani, per reclutare operai a qualsiasi prezzo. Gli imprenditori, per non dividere il loro guadagno con i cottimisti classici, che si fanno pagare a metro quadrato o metro lineare di produzione, scelgono alcuni lavoratori, cui delegano il reclutamento della manodopera, la gestione delle squadre e la stessa retribuzione, dopo aver fissato gli obiettivi di produzione. Così il finto cottimista non lucra solo una paga leggermente più alta degli altri operai (ad esempio 4 lire al giorno invece che 3,5), ma può anche taglieggiare questi ultimi: così ne deriva che quegli operai, dopo un lavoro opprimente, insopportabile, prendono una tariffa inferiore a quella di coloro che lavorano normalmente. Tale fenomeno è molto diffuso, soprattutto a Torino, e produce il ribasso delle retribuzioni oltre alla disoccupazione: molti lavoratori disorganizzati soggiacciono a questa forma estrema di sfruttamento sotto il ricatto della disoccupazione (nella quale comunque ricadranno per l’effetto perverso innescato dal meccanismo concorrenziale) e della conseguente emigrazione 95. Altra figura descritta da Quaglino sono i poussa, come vengono chiamati in Piemonte quegli operai che provocano il lavoro accelerato, sfruttando per conto degli imprenditori, l’ignoranza e l’orgoglio fuori di luogo che ancora regnano nella grande maggioranza degli operai edili, e specialmente, nei muratori. La paternità di questa nuova creazione spetta agli assistenti ed ai capo-squadra, i quali già la tolsero ad imitazione dai cottimisti; ed ecco come si effettua la formazione dei poussa. Quando un dato lavoro assunto a cottimo da cinque o sei operai, richiede, sia per la entità di esso, sia per il tempo determinato all’esecuzione, un maggior numero di lavoratori, questi cottimisti, per avere una maggior produzione di lavoro e quindi ricavarne maggior guadagno, si distribuiscono i posti, mettendosi uno di essi per quadriglia; così coll’esempio, coll’incitamento e, se non basta, colle minacce, costringono gli altri tre ad un passo, come si dice comunemente, forzato. Quando un impresario assume un lavoro, per contenere le spese (e le percentuali di ribasso con le quali le imprese ottengono l’assegnazione dei lavori sono enormi: ad esempio, nel caso dei lavori presso la caserma dei pompieri di GrossLichterfelde a Berlino, un’impresa si aggiudica l’asta con un ribasso di quasi il 60% 96) dà mandato agli assistenti di cantiere 94 L’Operaio Italiano, n. 14 del 14 luglio 1900, pp. 1-2, Salario a tempo e salario a fattura e Dai campi di battaglia del lavoro. 95 L’Operaio Italiano, n. 21 del 20 ottobre 1900, p. 2, I finti cottimisti. 96 L’Operaio Italiano, n. 1 del 5 gennaio 1901, pp. 3-4, Delizie del sistema di appalto per asta. di contenere i costi, in modo da recuperare il ribasso d’asta con il quale si è vinto l’appalto. Per una o due settimane, l’assistente osserva la produzione degli operai assunti, per poi individuare quelli più efficienti e promettere loro una retribuzione aggiuntiva, se aumentano il ritmo della lavorazione: ovviamente i prescelti vengono assegnati ognuno ad una squadra diversa, in modo da influenzarne il rendimento. Assistente e poussa divengono così strumenti del padrone il quale, con un aumento di retribuzione relativo, ottiene una ben maggiore produttività 97. Gli assistenti edili. Il sindacato, almeno a Berlino, inizia a penetrare anche fra gli assistenti edili, con la costituzione di una loro lega di categoria. Le loro stesse condizioni sono definite tristissime, in quanto la responsabilità di tutto quanto succede sulle costruzioni pesa unicamente sulle loro spalle. Essi stanno continuamente con un piede in carcere. Su di loro grava, quindi, il risparmio sulla sicurezza degli impresari, che porta ad una vera e propria epidemia di crolli durante le lavorazioni edili, con decine e decine di operai sacrificati ogni mese. E con tutto ciò i salari sono assolutamente insufficienti. La lega dei padroni rifiuta la richiesta di una retribuzione minima settimanale di 45 marchi: la paga oraria di un assistente arriva anche ad essere inferiore a quella operaia di 65 pf. Per sostenere la rivendicazione, l’assemblea della lega decide di aderire alla lega degli assistenti carpentieri e scalpellini. Questo movimento fra gli assistenti viene visto con favore dal sindacato, che nota come finalmente questo settore di lavoratori ritorni a quell’unità di classe che in passato, prima del capitalismo, vedeva i capi operai interpretare le esigenze di tutta la categoria, e spesso essere eletti dai loro compagni di lavoro. Il rifiuto da parte degli assistenti edili di coprire le responsabilità padronale nell’ecatombe di infortuni corrisponde ad un contemporaneo appello del sindacato ad una maggiore autotutela da parte dei lavoratori, di cui si denuncia la tendenza a non rifuggire da modalità di lavoro poco sicure. Il fenomeno è indubbiamente in crescita, ed i padroni, in sede processuale, si giustificano scaricando la colpa sulla temerarietà degli operai, anche se è evidente come questo sia un tentativo di nascondere l’obbligo - ricadente su questi ultimi a pena del licenziamento di lavorare nelle condizioni date. Come gli armatori che fanno navigare vere e proprie naviferetro votate al naufragio, per permetter loro - a costo delle vite di molti marinai - di lucrare sui premi assicurativi, tanti padroni credono che l’aver pagato il premio per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro li renda arbitri assoluti della vita dei loro operai. C’è però un fondo di verità, purtroppo: perché, specialmente fra i giovani, se ne trovano di quelli ai quali piace di mostrarsi coraggiosi, di disprezzare il pericolo, e che, per sorprendere i compagni di lavoro, o per piacere e farsi ammirare 97 L’Operaio Italiano, n. 25 del 22 dicembre 1900, pp. 2-3, I “poussa”. dal padrone, mettono mille volte a repentaglio la vita, e compiono atti di una temerità senza pari 98. La lega dei padroni. Di fronte all’organizzazione sindacale si ergono le forze del potere economico e politico, unite nel contendere palmo a palmo l’estendersi delle conquiste dei lavoratori. Quasi ad ogni sciopero troviamo le cronache di interventi polizieschi, volti a reprimere con l’arresto non solo l’organizzazione di picchetti, ma la stessa presenza di osservatori posti nella vicinanza dei cantieri. La magistratura raramente interviene a difesa dei diritti dei lavoratori. Ma il padronato non si limita a delegare il contenimento del sindacato ai poteri pubblici: si organizza direttamente, realizzando pratiche discriminatorie contro i militanti sindacali e scegliendo i tempi dello scontro, quando ritiene gli siano favorevoli. Scopo dell’organizzazione padronale, secondo il sindacato, è la distruzione della stessa esistenza dell’organizzazione operaia. Se finora questi tentativi non sono riusciti, ciò è stato dovuto non tanto ad incertezze nell’azione padronale, ma alla forza della resistenza dei lavoratori. Sulla base di queste premesse, viene analizzata la discussione nella specie di congresso tenutosi a Dresda nella prima metà del settembre 1900. Il primo presidente della lega padronale, Felisch di Berlino, ha esordito con una vera dichiarazione di guerra alla classe lavoratrice: i padroni devono organizzarsi approfittando dei momenti di pace sociale, preparandosi a rifiutare l’assunzione non solo ai sindacalisti inseriti nelle liste nere ritenute insufficienti - ma a qualsiasi operaio privo di un regolare certificato di licenziamento da parte del datore di lavoro precedente. In particolare, va cessata la concorrenza intestina fra gli impresari, usi ad assumere il personale che sfugge dai centri in cui sia in corso uno sciopero 99. Parimenti viene approvata dal congresso padronale la richiesta di inserire nei contratti di appalto la clausola dello sciopero, considerandolo una causa di forza maggiore che libera l’imprenditore dal rischio di essere penalizzato con multe per i ritardi nella consegna dei lavori: clausola che secondo il sindacato vige già di fatto nei contratti con privati, e che si vuole estendere agli appalti pubblici. Esistono già casi nei quali gli impresari, non riuscendo a consegnare ad appaltanti privati i lavori nei tempi previsti, provocano artificiosamente degli scioperi, per essere esonerati dalle penali (trasferendo sui lavoratori che non vengono retribuiti le inefficienze dell’impresa). Il sindacato è contrario al fatto che le pubbliche amministrazioni riconoscano questa clausola, in quanto ciò depotenzierebbe l’arma dello sciopero in mano ai lavoratori, cosa che ha già portato in passato alla sconfitta di parecchie agitazioni. Governo, 98 L’Operaio Italiano, n. 19 del 22 settembre 1900, pp. 4-5, Assistenti e imprenditori e 20 del 6 ottobre 1900, pp. 1-2, Curiamo di più la nostra vita. 99 L’Operaio Italiano, n. 20 del 6 ottobre 1900, p. 8, Germania. La fine di uno sciopero. Terrorismo padronale. comuni ed enti morali debbono mantenere una posizione di neutralità o di conciliazione nelle cause di lavoro: per questo motivo il sindacato decide di inviare al Parlamento ed alle amministrazioni comunali proprie delegazioni per chiedere che venga respinta la richiesta padronale. Nonostante qualche presa di posizione controcorrente, come quella del vicepresidente Simon, di Breslavia, in Slesia che pronuncia il suo discorso fra il silenzio glaciale dei suoi colleghi, proponendo la via del dialogo con l’organizzazione sindacale - il congresso è segnato dalla richiesta generalizzata di diminuzione dei salari operai. Ma la controffensiva padronale ha un ulteriore preoccupante significato per gli emigranti italiani: oltre alla certezza di essere i primi a vedersi applicare i ribassi se avesse successo, si profila il rischio della possibile chiusura delle frontiere all’immigrazione 100. Alla fine del 1900 la lega degli imprenditori tedeschi si compone di 15 sezioni e di 1959 membri; con l’adesione prossima di altre due leghe, il numero degli operai dipendenti da questo settore del padronato salirà a 75.000. E’ prevista la pubblicazione delle ditte aderenti e l’istituzione di un segretariato. A dispetto delle campagne della stampa borghese contro il diritto di coalizione sindacale, definito terrorismo degli operai, il padronato punta a forme di coartazione molto dure nei confronti degli imprenditori non associati 101. La crisi e lo sciopero di Halle. I padroni fanno la loro prima mossa a fine anno, approfittando della fase calante delle attività lavorative e dell’assenza degli emigranti. La crisi si manifesta nella sovrapproduzione, dopo un quinquennio di speculazioni incontrollate e di ricerca di alti tassi di profitto per i capitalisti. Manifestatasi innanzitutto nei settori manifatturieri e dell’energia (tessile, metallurgico, estrazione del carbone), la crisi è arrivata infine nell’edilizia, dopo un biennio 1899-1900 di ulteriore sviluppo del settore. Si tratta, per il settore delle costruzioni, più di un riflesso della crisi generale che di una crisi produttiva: anzi il bisogno di abitazioni dignitose per i ceti popolari sarebbe quanto mai ampio da poter sostenere il settore. La crisi economica colpisce duramente la classe operaia, mettendola in difficoltà di fronte alle manovre padronali, volte a ripristinare il tasso di profitto a spese dei miglioramenti salariali recentemente ottenuti. Interi contingenti di braccianti, il personale privo di qualifica, vengono espulsi frequentemente dal territorio tedesco, particolarmente dall’Alsazia e dalla Lorena, le regioni dove sono più numerosi. Nel maggio 1901 oltre 200, in maggioranza abruzzesi provenienti dalla provincia dell’Aquila, sono rispediti in Italia attraverso la Svizzera, in vagoni chiusi ermeticamente per impedire loro di fermarsi nel paese di transito. Sono sempre abruzzesi, da San Demetrio in provincia 100 L’Operaio Italiano, n. 20 del 6 ottobre 1900, p. 7, La lega dei padroni. L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, p. 4, Impariamo dagli avversari! 101 dell’Aquila, gli operai costretti a fuggire da Remshagen, un paesino a 30 chilometri da Colonia, dove avevano trovato lavoro in un centinaio a partire dal 1899 nelle cave locali. Dopo l’arrivo di altri compaesani gli italiani, che inizialmente si erano fatti pagare a tariffa sindacale, accettano di abbassare le loro retribuzioni pur di trovare occupazione, fino a provocare il ribasso generale del 10% delle retribuzioni di tutti gli operai impegnati sul luogo. Gli abruzzesi diventano allora invisi agli altri lavoratori, italiani e tedeschi, e sono collettivamente vittime di una grande rissa, nella quale vengono esplosi anche colpi di pistola. Altri 114 operai italiani sono respinti dalla Germania e ricondotti in Italia a spese della Svizzera e della Germania. Provenivano quasi tutti dal Lussemburgo, ove la crisi industriale ha raggiunto lo stadio acuto e la disoccupazione è quasi generale. Effetto della crisi è la necessità, per il sindacato, di difendere con lotte durissime le conquiste degli anni precedenti, ed in particolare la sua esistenza. Gli impresari infatti in moltissimi luoghi offrono l’impegno a non peggiorare le condizioni economiche in cambio della rinuncia, da parte degli operai, ad appartenere al sindacato. Parte da Halle la controffensiva padronale, con la denuncia da parte della corporazione degli impresari edili del contratto firmato nel luglio 1899, di durata prevista fino al 31 marzo 1901. Alla presa di posizione padronale (seguita anche dagli impresari di Schwiebus102) corrisponde la proclamazione di uno sciopero operaio, inizialmente rivolto ai 13 impresari (su 22) aderenti alla lega padronale che hanno iniziato a ridurre unilateralmente i salari. Progressivamente tutte le associazioni locali del padronato si stringono alla linea estremista di quella di Berlino. L’offensiva padronale, se non capitalizza una risposta completamente positiva da parte del governo in merito alla clausola dello sciopero, ottiene comunque un risultato parziale, con una circolare del ministero dei lavori pubblici che accorda la possibilità di esaminare caso per caso se gli scioperi possano essere considerati causa di forza maggiore per concedere la proroga della consegna dei lavori appaltati 103. Nel caso in cui un comune come Berlino - incurante degli interessi dell’organizzazione operaia ma non dei propri - rifiuti la clausola di sciopero per non vedersi accollare i ritardi degli imprenditori, questi ultimi provvedono prima a rifiutare la trattativa privata per la costruzione di un nuovo ospedale e poi si appellano ai colleghi perché mandino deserta l’asta indetta dall’amministrazione 104. Cosa si pretenda e come vengano considerati gli operai 102 L’odierna Swiebodzin in Posnania, appartenente dal 1945 alla Polonia. 103 L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, pp. 1-2, Il caso di Halle e 7, Movimenti di salario. Muratori, 2 del 19 gennaio 1901, pp. 1-2, Pel congresso dell’Unione muraria e 4-5, La propaganda degli avversari, 4 del 16 febbraio 1901, pp. 1-2, La crisi industriale e la classe lavoratrice, 10 dell’11 maggio 1901, pp. 1-2, Lottiamo!..., 11 del 25 maggio 1901, p. 7, Emigrazione e miseria e 13 del 22 giugno 1901, p. 3, Dolenti note. 104 L’Operaio Italiano, n. 9 di mercoledì 1° maggio 1901, pp. 4-5, Capitalisti sovversivi. italiani, d’altronde, i padroni non lo celano assolutamente, come dimostra una circolare in cui la presidenza della lega degli imprenditori edili tedeschi (ivi compreso il “progressista” Simon) dà indicazione alle associazioni locali di quali siano gli arruolatori di manodopera, guarda caso quasi tutti friulani, anzi più particolarmente della Carnia e dello Spilimberghese, e di come gli operai di quella regione siano da considerarsi forti, laboriosi e poco rivendicativi, sempre che si abbia l’accortezza di non metterli a lavorare insieme ad altri connazionali che li illuminino 105. Si tratta della prima lista di mediatori di manodopera ed arruolatori di crumiri pubblicata da L’Operaio Italiano, cui ne seguiranno altre nei mesi ed anni successivi, puntualmente riprodotte da Elpidio Ellero nel suo saggio su Il crumiraggio friulano all’estero fra ‘800 e ‘900. Liste sempre centrate sul territorio friulano volta per volta elaborate dal sindacato oppure intercettate alle associazioni padronali delle varie città, quando non sono queste ultime a pubblicarle sulla loro stampa. Se nel giugno 1901 i ripetuti riferimenti ad Halle, teatro di un durissimo ed esemplare sciopero, sono sicuramente polemici, nel luglio dell’anno successivo viene pubblicato un documento del comitato direttivo della lega degl’imprenditori edili di Königsberg nella Prussia orientale. La successiva lista è ripresa dall’organo centrale del Consorzio dei padroni ed imprenditori edili tedeschi, il Zentralblatt für das Deutsche Baugewerbe. Berlin S.W. 11, Hallesche Strasse 18. Nel suo numero del 28 febbraio 1903 (no. 17). Infine, nel luglio 1904, L’Operaio Italiano pubblica una lista completa di 162 capi crumiri e dei loro seguaci più attivi, concentrati in particolare nei comuni carnici di Rigolato (35) ed Arta (17) e ad Ospedaletto di Gemona (19). Per altro la composizione di queste liste differisce nettamente, costituendo quattro gruppi distinti, che hanno limitate variazioni al loro interno: quello dei crumiri impegnati durante lo sciopero di Halle del 1901; quello degli impresari/intermediari ufficialmente indicati dagli organismi degli industriali edili tedeschi probabilmente i più efficienti ed affidabili, non a caso indicati insieme ad alcuni riferimenti tedeschi e svizzeri - rispettivamente nel dicembre 1900, luglio 1902 e febbraio 1903; quello dei 12 crumiri di Ragogna impegnati nella serrata di Rathenow in Brandenburgo nel marzo 1904 ed infine il grande elenco del luglio 1904, costituito da crumiri legati ad intermediari di Königsberg ed Halle 106. 105 Solo un comune citato ed identificato fra quelli del Friuli occidentale è esterno amministrativamente allo Spilimberghese: si tratta di Valvasone, nel mandamento di San Vito al Tagliamento, comune su cui per altro si esercita l’attrazione della città di Spilimbergo e che, guarda caso, come altri comuni di pianura fornisce non muratori, ma manovali. 106 ELLERO, Elpidio, Il crumiraggio friulano all’estero fra Ottocento e Novecento, in: Storia contemporanea in Friuli, anno XII, n. 13, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1982, pp. 137-155. Ellero indica come prima lista quella apparsa sul n. 12 dell’8 giugno 1901: si tratta invece della terza lista pubblicata dal gennaio 1900. Grazie alle liste riprodotte nel saggio di Elpidio Ellero, emergono - oltre alle due zone principali sopra indicate - altre località di provenienza degli Mentre ci si appresta a gettare sul mercato del lavoro l’eccezionale risorsa, rappresentata da queste frugali bestie da lavoro che sono gli italiani, i padroni cercano di spingere i governi dei länder tedeschi, a partire da Lubecca, a dichiarare illegale il diritto di sciopero, garantito da una legge imperiale: tentativo che poi rientrerà, dopo che il tribunale supremo assolvendo in appello il socialista Molkenbuhr, redattore della Hamburger Echo di Amburgo, che aveva incitato gli operai alla disobbedienza - dichiarerà la delibera contraria alla legge federale. La ricerca di manodopera friulana si affianca a quella di cechi ed ungheresi, sudditi dell’impero asburgico e di galiziani e polacchi sudditi dello zar, insomma di tutti que’ paesi le cui tristi condizioni economiche costringono i lavoratori a cercare all’estero quel pane che la patria non è capace di dar loro, o dà in misura troppo scarsa 107. Ancora quattro mesi dopo l’inizio dello sciopero, in aprile, continua la resistenza operaia a Halle. All’inizio del mese gli impresari fanno arrivare in città 35 crumiri, dei quali 23 provengono dalla provincia di Udine. Proprio in quelle settimane cominciano ad arrivare in Germania treni interi di emigranti, per cui la situazione diventa delicata per le posizioni sindacali. La polizia funge non solo da strumento di repressione, ma da vero e proprio ufficio di collocamento per gli operai, intervenendo tempestivamente ogni qual volta gli scioperanti entrino in contatto con i nuovi arrivati per informarli 108. Nel frattempo il sindacato cerca di far diminuire il flusso di emigranti italiani che arrivano in Germania, destinati ad una difficile condizione di precarietà ed al rischio dell’arruolamento nelle file del crumiraggio 109. Purtroppo il contributo degli italiani al crumiraggio è decisivo. Se da parte padronale non si lesina sui salari ai crumiri (dimostrando, secondo il sindacato, che l’attacco contro l’organizzazione dei lavoratori è essenzialmente politico), d’altra parte dolorosissimo per noi specialmente, è che quasi da per tutto chi si presta a dar man forte ai padroni in questa lotta è specialmente l’operaio italiano. Il 25 aprile ad Halle 280 manovali abbandonano il lavoro, prendendo le distanze dai crumiri e costringendo gli operai specializzati a svolgere anche le loro mansioni di fatica: ma disgraziatamente il loro posto è stato subito occupato da altri, specialmente italiani, i quali, attratti dalle intermediari, come Cordenons (si tratta di Luigi Endrigo) e Maniago (Silvio Furlan) nel Friuli occidentale, Buja, Artegna, Gemona, Majano, Ragogna e San Daniele nella zona collinare del Friuli, Resia nelle vallate slavofone delle Alpi Giulie, Udine e Lestizza nella pianura friulana (oltre ad un San Martino non identificato). Infine sono indicati anche centri fuori dalla provincia di Udine, come Padova, Piove di Sacco (Pd), Colognola ai Colli (Vr), Brescia. 107 L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, p. 2, Mercanti di carne umana, 25 del 22 dicembre 1900, pp. 5-6, Nel campo avversario, 1 del 5 gennaio 1901, pp. 3-4, La propaganda de’ nostri avversari e 7 del 30 marzo 1901, p. 3, Una vittoria operaia. 108 L’Operaio Italiano, n. 8 del 13 aprile 1901, p. 7, Movimenti di salario. Muratori. 109 L’Operaio Italiano, n. 9 di mercoledì 1° maggio 1901, p. 8, Mercato del lavoro. promesse bugiarde dei padroni e degl’imprenditori accorrono in gran numero. I crumiri italiani sono in gran parte friulani e soprattutto carnici (circa duecento) ed a loro si affiancano dei boemi. Intanto le autorità chiudono benevolmente un occhio sulle condizioni alloggiative dei nuovi arrivati, costretti in ricoveri indecenti, oltre a concentrarsi sulla repressione delle attività sindacali, arrestando implacabilmente chi effettui ronde o picchetti. Ad ormai 29 settimane dall’inizio dello sciopero quello di Halle senza dubbio è il più lungo e il più tenacemente combattuto che conti la storia dell’Unione muraria germanica. Entrano in sciopero anche i carpentieri, che sospendono i lavori presso tutti gli imprenditori aderenti alla lega padronale 110. Inizia la caccia al crumiro. In mezzo a tanta vergogna, c’è però uno spiraglio di speranza, grazie alla costituzione di un circolo socialista nella montagna friulana: l’opera educatrice del circolo socialista di Prato Carnico comincia a portare i suoi frutti, poiché parecchi membri di esso, arrivati senza saper nulla dello sciopero, se ne sono andati via quasi senza neppure farsi vedere alla cassa. Sono sempre carnici i lavoratori che inviano dalla non lontana Riesa (in Sassonia) una lettera di sostegno agli scioperanti di Halle, in cui si denuncia il clima di sospetto e rancore che monta fra la popolazione tedesca verso i traditori italiani. E che il clima stia diventando pesante per gli italiani, a causa dei crumiri, è dimostrato da una testimonianza raccolta in treno dai sindacalisti di ritorno dalla cittadina industriale di Strassfurt (presso Magdeburgo, in Sassonia-Anhalt) dove hanno cercato inutilmente di convincere una quarantina di crumiri friulani ad abbandonare la località in sciopero. Un figurinista da Castelnuovo di Barga (in Garfagnana, provincia di Lucca) racconta come a Strassfurt, dove in passato le sue statuette erano sempre state acquistate volentieri, il giorno prima era stato scacciato dalle abitazioni dalle donne adirate (Italiener? Fort! Hinaus!) 111, dovendo ritornare senza aver venduto nulla, vittima anche lui come i muratori tedeschi, di quella quarantina d’innocenti. I quaranta-cinquanta crumiri sono stati arruolati da uno degli intermediari operanti ad Halle e denunciati su L’Operaio Italiano, e provengono quasi tutti da Pinzano al Tagliamento e dalla frazione di Valeriano: lavorano e vivono, si può dire, sotto la costante sorveglianza della polizia, la quale amorosamente la mattina li conduce al lavoro, la sera li va a riprendere, e di notte piantona la baracca nella quale dormono su poca paglia. In questa occasione viene pubblicata la seconda lista di crumiri organizzati. Questa lista ha una funzione indubitabile, 110 L’Operaio Italiano, n. 10 dell’11 maggio 1901, pp. 6 e 8, Movimenti di salario. Muratori e Mercato del lavoro. Muratori, 11 del 25 maggio 1901, pp. 2-3, Le ragioni di un krumiro e 4-5, La ragione per cui..., articolo firmato Carluccio e pp. 7-8, Movimenti di salario. Muratori e 14 del 6 luglio 1901, pp. 1-2, Di alcuni pregiudizi contro le organizzazioni, articolo firmato Vugi. 111 Italiano? Fuori! Via! preliminare all’azione diretta nei loro confronti, la quale arriverà a colpirli anche nei paesi d’origine. Essi sono: Della Martina Pietro di Givigliana (Rigolato) 112, Soravito Daniele di Liariis 113, Buliani Pietro di Ampezzo 114, Ferrarini. Di quest’ultimo non abbiamo ancora potuto stabilire con esattezza la patria (...) Una menzione d’onore speciale se la merita poi il paletta Berton Luigi di Enemonzo, che l’anno scorso lavorava a Dirschau vicino a Danzica. La biografia di Berton ricorda com’egli abbia cercato di sfruttare la cassa di sciopero di quella località, cercando di farsi finanziare il viaggio di una squadra di operai da utilizzare altrove. Fra i pesci piccoli si segnala inoltre il muratore Danelon Leonardo di Feltrone 115, che pure ha avuta la malinconica idea di darsi alla telegrafia. Ma guardi che una volta o l’altra qualcuno più Burba...ro degli altri potrebbe fargliela paga(re) cara. A proposito di quest’ultimo accenno, appare evidente come il collegamento con l’organizzazione del Psi in Friuli sia ormai dichiarato, trattandosi con tutta probabilità dell’organizzatore di Ampezzo Giovanni Battista Burba, autore di articoli sulla stampa socialista con lo pseudonimo Gavroche. Ad Ampezzo (comune confinante con Socchieve) il Circolo Operaio Democratico, di orientamento socialista, si era costituito nel 1896. Burba, artigiano stabile in paese, è attivo come organizzatore degli operai emigranti e promotore dello spaccio della Cooperativa Carnica ad Ampezzo, e sarà uno dei fondatori della federazione socialista provinciale. La promessa di una resa dei conti in inverno, appena rientrati in paese, è quanto mai chiara. Burba, richiesto di un commento sull’opera dei crumiri, scrive una lettera che viene pubblicata un mese dopo su L’Operaio Italiano, a conferma che gli avvertimenti del quotidiano sindacale non sono parole al vento, ma che le notizie sono già giunte al paese. Secondo Valär, i crumiri sono 500-600, in gran parte lavoratori scadenti o fiacconi che gettano discredito sui connazionali presso gli impresari: nella Germania settentrionale, dove gli italiani non erano mai arrivati finora e quindi sono conosciuti solo per le capacità dimostrate dai crumiri, quando finiscono gli scioperi nessun italiano viene più assunto 116. Nei due mesi successivi l’elenco dei crumiri, segnalato nel suo studio da Ellero, viene ripubblicato con grande rilievo sulla prima pagina di quattro numeri consecutivi de L’Operaio Italiano. Appaiono quindi anche Leonardo Sticotti di Amaro in Carnia, 112 Ho corretto l’originale località di Viana, confrontandolo con i testi successivi. 113 Ho corretto l’originale Sorovito, confrontandolo con i testi successivi. 114 Ho corretto l’originale Giuliani, confrontandolo con i testi successivi. 115 Ho corretto l’originale Denelon, confrontandolo con i testi successivi. 116 L’Operaio Italiano, n. 11 del 25 maggio 1901, pp. 3-4, Eroi degl’interessi... padronali, articolo firmato Vugi, 13 del 22 giugno 1901, pp. 4, I denigratori e 7, Movimenti di salario. Muratori e 14 del 6 luglio 1901, pp. 2-3, A proposito; ELLERO, cit., pp. 138-141. Liariis è una frazione del comune di Ovaro, Feltrone è frazione di Socchieve. Su G.B. Burba, cfr.: PUPPINI, Marco, Movimento operaio ed emigrazione in Carnia e Canal del Ferro dai primi del ‘900 alla Resistenza, in: Qualestoria, anno X, n. 3, Trieste, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione, Dicembre 1982, pp. 85 e 89; RENZULLI, cit., p. 290 e BETTOLI, voll. primo, pp.355-356. Lorenzo Molinari di Forgaria, Eugenio Cossetti detto Giorin ed Ilario Cossetti di Caneva di Tolmezzo e Giovanni Zanier di Clauzetto. I nomi vengono riprodotti con continue modifiche, confermando ma anche aggiornando l’elenco delle persone segnalate, attraverso una puntuale verifica e correzione dei dati pervenuti, dalla quale apprendiamo anche quale peso abbia avuto una comunicazione verbale fortemente influenzata dall’uso del friulano. I nuovi nomi sono raccolti allargando le segnalazioni delle azioni di crumiraggio oltre Halle, considerando anche Wismar, Wilhelmshaven in Bassa Sassonia, Solingen e Prenzlau in Brandenburgo 117. La serie di articoli ci fornisce alcune biografie di questi capi crumiri. Ci si sofferma sulle gesta di Pietro Della Martina già attivo contro lo sciopero di Blankenburg in Sassonia-Anhalt nel 1899, e capace di fare la spia alla polizia contro gli operai sindacalizzati - e, nuovamente, di Luigi Berton. Di ambedue si sottolinea la capacità, solita per quel genere di figuri, di truffare senza pietà quegli operai che si affidino nelle loro mani. Daniele Soravito - attivo ad Halle - invece è stato responsabile, con la sua compagnia di 50 crumiri, del fallimento dello sciopero di Dresda del 1899 dopo dieci settimane di lotta. Anche lui si distingue per l’attività di spione della polizia, cui ha denunciato un giovane milanese impegnato presso la stazione ferroviaria a dissuadere gli operai che giungevano in città. Eugenio Cacitti (alias Cossetti) si è invece distinto per l’attività contro lo sciopero di Naumburg nel 1898. Le gesta di Giovanni Zanier da Clauzetto sono descritte da lettere e cartoline inviate da operai di Burg (nel bacino di Solingen). Zanier, che era il primo dell’elenco di intermediari diffuso dall’organizzazione nazionale degli impresari edili, truffa da due a cinque pfennige all’ora ad un’ottantina di operai, guadagnando quindi un minimo di 24 marchi al giorno. Questi taglieggiamenti sono ormai sconosciuti fra gli assistenti tedeschi, perché questi si trovano di fronte ad operai organizzati: la spesa di 40 pfennige la settimana per la lega risparmia a questi ultimi i 2-3 di tangenti pagate al capo. Di Pietro Buliani da Ampezzo si afferma - certo dimostrando poca comprensione delle serie ragioni del capo brigante lucano - che codesto bel tipo di delinquente, (...) ne abbia fatte più di Ninco-Nanco. La pubblicazione degli elenchi corrisponde anche ad un 117 I testi dei n. 12 dell’8 giugno e 13 del 22 giugno 1901 sono riportati integralmente in: ELLERO, cit., pp. 138-141. Successivamente la pubblicazione avviene anche nei n. 14 del 6 luglio, Raccomandiamo e 15 del 20 luglio 1901, Krumireide. Molinari viene indicato letteralmente come proveniente da Fogliaria, facilmente identificabile con una traslitterazione della pronuncia friulana Folgjària (ad ogni buon conto il paese viene esplicitamente collocato in provincia di Udine: cfr. L’Operaio Italiano, n. 12 dell’8 giugno 1901, pp. 7-8, Movimento di salario. Muratori). Cossetti Giorin viene anche indicato con il cognome Cacitti, pure diffuso nella zona (forse è un soprannome). Solo Giovanni Zanier fa parte dell’elenco diffuso da Berlino nell’inverno precedente, mentre saranno presenti in un’analoga iniziativa successiva dell’organizzazione centrale del padronato tedesco (nel febbraio 1903) Leonardo Sticotti, Eugenio Cacitti ed Antonio Cossetti (storpiato in Cassetti): cfr. ELLERO, cit., pp. 143-145. tentativo, oltre che di denuncia, di descrizione della struttura organizzativa del crumiraggio. Si approfondiscono i diversi ruoli esistenti nelle compagnie di crumiri, sottolineando il ruolo nefasto dei reclutatori. Diverso è il ruolo degli operai arruolati, soddisfatti delle retribuzioni garantite di 45 pf. orari, quando prima erano abituati a sopravvivere con la metà. Le retribuzioni corrisposte ai crumiri, superiori alla media di quelle garantite agli operai, fanno pensare ad una tariffa fissa concordata nazionalmente con i padroni per queste squadre 118. Approfittando delle casse di sciopero, le compagnie di crumiri continuano a muoversi: come i sessanta boemi ed italiani che si spostano a fine maggio da Halle a Wilhelmshaven. Il loro arrivo è accompagnato da violenze e pressioni della polizia, che per esempio minaccia un oste, uso a dare accoglienza agli scioperanti, di accorciargli l’orario di apertura per rappresaglia. A Wismar invece è attivo l’assistente Leonardo Sticotti da Amaro, famoso mercante di carne umana, delle cui gesta potrebbero raccontare qualche cosa i lavoratori e le lavoratrici della Voigtländische Baumwollspinnerei (un cotonificio): testimonianza di come non solo le tensioni sindacali, ma anche l’azione dei crumiri non si limiti all’edilizia ma comprenda pure l’industria tessile 119. La rabbia per l’azione dei crumiri, le privazioni degli scioperanti e l’ostilità crescente della popolazione tedesca provoca la scelta di indicare la violenza nei confronti degli arruolatori come obiettivo politico. Come abbiamo visto nel caso renano di cui sono stati vittime gli operai aquilani, non si tratta di parole destinate a rimanere sulla carta: tutto questo spetta a noi medesimi, e specialmente a quelli della Carnia. A noi incombe il dovere di purificare l’emigrazione nostra da tutti gli elementi impuri che l’insozzano e la disonorano 120. Per ironia della sorte, i crumiri non salgono certo nella stima delle autorità ma, appena ne sorga l’occasione, tornano essere la teppaglia violenta ed impresentabile cui le autorità riservano provvedimenti di polizia preventiva. Ecco così che - in vista di una visita dell’imperatore Guglielmo ad Halle per un’inaugurazione, tutti gli operai italiani occupati in questa città verranno allontanati per tutto il tempo che l’augusto personaggio vi si tratterrà. Il pericolo del regicidio per mano di un anarchico italiano è quanto mai vivo 121. 118 L’Operaio Italiano, n. 12 dell’8 giugno 1901, pp. 2-4, I truffaldini della banda nera e Fra i krumiri (Dal vero), firmato Carluccio, 13 del 22 giugno 1901, pp. 3-4, I truffaldini della banda nera. II e 14 del 6 luglio 1901, pp. 3-4, Chi pecora si fa, il lupo lo mangia, articolo firmato Fra Ginepro. 119 L’Operaio Italiano, n. 12 dell’8 giugno 1901, pp. 7-8, Movimento di salario. Muratori. 120 L’Operaio Italiano, n. 13 del 22 giugno 1901, p. 4, I denigratori. 121 L’Operaio Italiano, n. 13 del 22 giugno 1901, p. 4, Il desiderio, articolo firmato Vugi. Nel 1894 Sante Caserio uccide il presidente francese Sadi Carnot, per vendicare un altro attentatore ghigliottinato, Vaillant. Prima dell’uccisione del re Umberto di Savoia nel 1900 da parte di Gaetano Bresci, un altro anarchico partito dal centro tessile americano di Paterson, Michele Angiolillo, aveva ucciso nel 1897 il primo ministro spagnolo Antonio Canovas del Castillo. Nel 1898 era stato Luigi Luccheni ad uccidere l’imperatrice d’Austria-Ungheria Elisabetta. Sempre da Giunti alla trantaquattresima, eroica settimana di sciopero, fallisce anche l’iniziativa di un assistente edile impegnato nella costruzione di una fabbrica ad Otterwisch, Daniele Buschiasis, che cerca inutilmente di convincere una parte di crumiri a trasferirsi alla sue dipendenze. Alcuni della compagnia di Soravito cominciano invece a spostarsi a Wilhelmshaven, per danneggiare quello sciopero, affermando cinicamente che cogli scioperi essi si assicurano la stagione 122. Lo sciopero di Halle andrà spegnendosi verso la fine dell’estate, ai primi di settembre viene segnalato per l’ultima volta il boicottaggio delle imprese di quella località. Il fatto di non aver trovato alcun commento sul risultato dello sciopero lascia un’ombra d’incertezza nel giudizio conclusivo, che sembra comunque positivo: in luglio infatti si scrive: il numero degli scioperanti è sceso a 125 e a giorni partiranno parecchi altri ancora. Alcuni imprenditori hanno dichiarato di essere disposti a pagare 50 Pf. all’ora, e all’imprenditore Heise, uno de’ più ostinati, è stato tolto un lavoro perché non poteva finirlo nel termine fissato nel contratto 123. Donne, bambini, anziani: le categorie più sfruttate. Sindacato edile e sindacato tessile. Laddove l’organizzazione italiana è presente nel territorio, tende ad estendersi alle conterranee ed a trasformare il sindacato edile (ed il suo giornale) nella voce delle operaie tessili. Il 21 ottobre 1900 la lega di Mannheim e Neckarau organizza un comizio allo jutificio di Sandhofen. Il comizio produce l’effetto di iscrivere molte e molti dei partecipanti al sindacato, nonostante l’intervento della polizia e dei rappresentanti della proprietà 124. Non si tratta di un’iniziativa presa a caso, ma è il tentativo di dare uno sbocco organizzativo ad una situazione ormai insostenibile. La vita di fabbrica si traduce in una condizione di duplice sfruttamento delle ragazze emigrate: ad esempio il famigerato stabilimento Wolff di Neckarau fa nuovamente parlare Paterson, nel settembre 1901, partirà l’anarchico polacco Leon Czolgosz, che ucciderà il presidente statunitense William McKinley. Decisamente il ruolo dell’anarchismo italiano nel portare la vendetta proletaria nelle file dell’odiata classe dominante è prevalente, ed aggrava il pregiudizio nei confronti di una popolazione, quella italiana, già ritenuta barbara nei paesi di immigrazione. Cfr.: STELLA, L’orda, cit., pp. 125-140, anche se il giornalista del Corriere della Sera, preso dal suo obiettivo polemico di distruggere l’ideologia leghista dell’italiano emigrante “regolare” per antonomasia, indulge in un eccesso di sopravvalutazione del ruolo degli anarchici attentatori, settore marginale rispetto ai movimenti di massa anarchici e socialisti che - pure secondo Stella - hanno dato un consistente contributo allo sviluppo dei movimenti operai nei paesi di arrivo degli operai italiani. 122 L’Operaio Italiano, n. 13 del 22 giugno 1901, p. 7, Movimenti di salario. Muratori. 123 L’Operaio Italiano, n. 15 del 20 luglio 1901, p. 7, Movimenti di salario, 18 del 7 settembre 1901, p. 8, Scioperi e boicotti e 19 del 21 settembre 1901, p. 8, stessa rubrica. 124 L’Operaio Italiano, n. 22 del 3 novembre 1900, p. 7, Corrispondenze, siglato V.B. di sè, per le violenze e gli abusi d’ogni sorta che vi si commettono impunemente contro le povere ragazze italiane che da una sorte disgraziata vi sono state condotte in cerca di lavoro e pane. Lunedì 17 corrente una ragazzina fu battuta dal riparatore delle macchine, il quale, fra parentesi, come al solito, era briaco fradicio, perché le si era guastata la macchina alla quale era addetta. Alle grida della povera disgraziata accorsero diverse operaje e il capo, il quale, sentite le cose come stavano, fece una paternale... alla ragazza. Gli operai italiani non tollerano queste ingiustizie, ma pagano per la loro scelta di dignità: A questa nuova ingiustizia un operaio che era stato testimone oculare del fatto, Giuseppe Bolzan, protestò per l’atto incivile compiuto a danno di un’italiana. Non l’avesse mai fatto! Fu licenziato su due piedi, poi venne anche licenziata la ragazza, la quale oltre l’avvilimento delle percosse i trova così dall’oggi all’indomani sul lastrico, e un suo fratello colla scusa che si era recato un po’ tardi sul lavoro. Il mostruoso fatto indignò tutti, e tre altre ragazze si licenziarono immediatamente in segno di protesta contro l’inumano ed iniquo procedere della direzione. La direzione giustifica il suo comportamento (basato, oltre che sui maltrattamenti, sul far venire dall’Italia quelle infelici ragazze con promesse che poi non mantiene, patti bugiardi e parole menzognere) con un giudizio razzistico sugli immigrati. Al socialista Bolzan, che si reca da lui prima di andarsene dallo stabilimento, l’industriale Wolff - richiesto del perché chiami a testimoni quattro operaie tedesche, e non quelle italiane risponde: “Faccio quello che mi pare! Gli italiani sono tutti bugiardi!” 125. La propaganda socialista cade quindi in un terreno fertile: nel gennaio successivo scoppia nello stabilimento un’agitazione spontanea, provocata in primo luogo dalla protesta per gli orari di lavoro dello stabilimento. Proprio pochi giorni prima, nei festeggiamenti di capodanno, l’assemblea della sezione italiana della Lega degli edili aveva approvato un ordine del giorno a favore della proposta di legge Kuliscioff sull’orario di lavoro delle donne e dei fanciulli, problema fondamentale proprio per la categoria dei tessili, costituita in gran parte da queste categorie di lavoratori. Sandhofen è un villaggio industriale situato a pochi passi da Mannheim. La fabbrica più importante del paese è lo stabilimento di filatura e di tessitura della juta che da sola occupa parecchie centinaja fra uomini e donne. Da qualche anno a questa parte la direzione della fabbrica non trovando in paese, grazie i salari di fame che offre (Mk. 1,00 per donne e Mk. 2 per uomini, senza pregiudizio delle multe frequentissime ed applicate a capriccio, senza il minimo criterio di equità) braccia sufficienti, recluta il suo personale all’estero e specialmente in Italia. (...) Attualmente vi lavorano, se le nostre informazioni non sono errate, da quattro a cinquecento italiani fra maschi e femmine; le rimanenti poi sono polacche della Galizia, boeme, russe, vale a dire tutte di paesi in cui le popolazioni sono state rese più 125 L’Operaio Italiano, n. 20 del 6 ottobre 1900, p. 6, Come sono trattati gli italiani. malleabili dalla miseria cronica, che pur di lavorare si contentano di poco, e quanto ai trattamenti non la guardano troppo per la sottile. Come resoconto dello sciopero si pubblica una lunga lettera di una operaia della juteria, che ovviamente firma con uno pseudonimo: già nella premessa l’autrice pone il problema di una solidarietà intercategoriale fra il giornale e l’organizzazione degli edili, richiedendo non solo la pubblicazione di questo scritto, ma anche di quelli che si impegna ad inviare successivamente, per illustrare le pesanti condizioni di sfruttamento in quello stabilimento. Quello non è stato uno sciopero nel vero senso della parola, ma piuttosto l’espressione incosciente del malcontento generale causato dalle nostre tristi condizioni e dalle sofferenze e privazioni alle quali dobbiamo sottoporci per tirare avanti alla meglio. La ditta per altro non viola il contratto, ma la conflittualità nasce dal problema del carovita: il guaio è che quando là a casa nostra ci promisero 2 franchi al giorno in oro ci pareva di toccare il cielo con un dito; non sapevamo che la vita in questi paesi è così diversa dai nostri, e per noi almeno, più cara 126. Insieme a quella delle donne, emerge la questione della condizione dei minori, coinvolti senza scrupoli in un commercio internazionale che li utilizza per mansioni pesanti e nocive e li vota a morte precoce fra gli stenti, dalle vetrerie francesi alle fornaci per laterizi 127, oltre alle tradizionali attività girovaghe. Il primo intervento a questo proposito riproduce un’intervista fatta ad un giovane vetraio in Francia (sulle gravose condizioni di lavoro dei fanciulli nelle vetrerie francesi viene realizzata nel 1901 un’inchiesta dell’Opera Bonomelli, che contribuirà negli anni successivi ad interrompere il traffico di bambini italiani verso quell'industria 128), per poi considerare: Anche qui in Germania capita ad ogni piè sospinto d’incontrare dei poveri ragazzi lucchesi, pallidi, macilenti, carichi di pesantissime ceste superiori alle loro forze con figure di gesso, costretti, qualunque sia il cielo o il clima ad andare in giro pe’ caffè, le birrerie e le case ad offrire la loro mercanzia. E guai se la sera non riportano abbastanza! Sono busse! Sono cinghiate! E molte volte vengono brutalmente ricacciati di casa senza che abbiano neppure potuto quietare gli stimoli della fame: Guai a te se torni prima d’aver venduto tutto il paniere! -Quando suonerà anche per questi poveri martiri l’ora della redenzione? 129. L'Italia è il paese più arretrato d’Europa quanto a 126 L’Operaio Italiano, n. 2 del 19 gennaio 1901, p. 7, Corrispondenze e 3 del 2 febbraio 1901, p. 5, Lo sciopero delle operaie italiane nel jutificio di Sandhofen. Articolo e lettera firmata Tapina Tapinetti. 127 Sulle condizioni di lavoro nelle fornaci, cfr. gli studi di uno dei principali collaboratori del Segretariato dell’emigrazione e dell’Umanitaria: ZANINI, Lodovico, Emigrazione temporanea friulana, Udine, Tipografia Sociale, 1909; ID., Sulle vie dell’emigrazione (I fornaciai friulani - Scene dal vero), Udine, Tipografia Sociale, 1911. 128 SALVETTI, La tutela degli emigranti, cit.; ROSOLI, cit., pp. 175-176. 129 L’Operaio Italiano, n. 13 del 30 giugno 1900, p. 2, articolo di F. Bonavita tratto dall’Avanti!, esclusi i quattro ultimi paragrafi. condizioni di lavoro di donne e fanciulli, al pari della Turchia e già superato da Spagna e Russia: se in Svizzera il limite minimo di età per lavorare è di 14 anni, in Germania di 13 o 14, ed in Francia di 13 o 18, in Italia è di 9 anni o di 12 (in questo secondo caso per il settore delle cave e miniere) 130. Per intervenire sulle condizioni arretratissime di lavoro delle donne e dei fanciulli, viene presentata dai socialisti italiani una proposta di legge, elaborata per la prima volta da Anna Kuliscioff nel 1897 ed attorno alla quale si organizza una grande campagna di lotta nei primi anni del nuovo secolo 131. Lo sfruttamento e le diseguaglianze della condizione operaia femminile si aggravano nell’emigrazione. Un resoconto drammatico ci illustra in poche frasi il dramma dello sradicamento e di un destino quasi inesorabilmente segnato. Povere ragazze, se le aveste viste! facevano pietà! Chi baciava la madre, chi il padre, chi le sorelle o le amiche, e tutti avevano gli occhi gonfi per le lacrime; sembrava quasi che temessero di non rivedersi più, come quando i soldati partono per la guerra. Molte madri benedicevano le figliuole raccomandando loro di essere ubbidienti ai capi squadra e al padrone, di essere buone, oneste e laboriose, e di non cedere alle tentazioni. Vi era anche il curato, uomo ben pasciuto e dall’aspetto serio, al quale pure si leggeva in fronte il dispiacere di veder andare pel mondo tanta gioventù, tutte ragazze dai quattordici ai sedici anni, costrette dalla miseria a vendere la loro forza-lavoro a un manigoldo che pochi giorni prima era arrivato in paese ed aveva promessi mari e monti, salari altissimi, trattamento da signorine e protezione paterna. Egli, il curato, uomo vecchio e d’esperienza, sapeva bene che in questi casi le promesse di 100 non valgono neppure per 10. Ciononostante taceva, sperando che almeno quelle povere figliuole all’estero avrebbero serbato il loro patrimonio d’onestà e che poi i caldi baci dei genitori avrebbero fatto dimenticare le ingiustizie e i maltrattamenti sofferti in quell’anno d’esilio. All’ora della partenza tutto il paese era alla stazione, e commoventissimo fu il momento in cui il treno si mosse: tutti cercavano inutilmente di soffocare le lacrime che volevano sgorgare dagli occhi, furono fatte le ultime raccomandazioni, poi uno sventolio di cappello e di fazzoletti, e infine il treno sparì fra gli alti monti che circondavano il simpatico villaggio, e le madri tornarono a casa a recitar rosari e paternostri perché le loro 130 Sul lavoro minorile nell’emigrazione, cfr.: BIANCHI, Bruna e LOTTO, Adriana, Lavoro ed emigrazione minorile dall’Unità alla Grande guerra, Venezia, Ateneo Veneto, 2000, ed in particolare i saggi di ERMACORA, Matteo, Il lavoro dei ragazzi friulani dall’età giolittiana alla Grande Guerra (1900-1917) alle pp. 103-145 e di MATTANZA, Alessandra, L’immigrazione minorile italiana nell’Impero Guglielmino (1890-1914) alle pp. 178-186. 131 L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, pp. 3-4, La donna lavoratrice in Italia, articolo di Angiolo Cabrini e 21 del 20 ottobre 1900, p. 5, Un progetto di legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli in Italia; Lavoro delle donne; Lavoro dei fanciulli (si tratta di una sintesi del progetto di legge Kuliscioff). Sull’agitazione a favore della proposta di legge TuratiKuliscioff per la tutela del lavoro dei fanciulli, che vede nel centro cotoniero di Pordenone (con un altissimo tasso di manodopera femminile e minorile) il principale punto di sviluppo in Friuli, cfr.: BETTOLI, cit., volume primo, pp. 180-185. figliuole si mantenessero brave e oneste. Due mesi dopo quelle medesime ragazze giravano per le strade di Waldhof, abbandonate da tutti e seguite soltanto da un’orda di giovanastri italiani ed emigrati pur essi, corrotti nell’anima, quasi sempre ubriachi e spesso accoltellatori. Ed essi ne facevano scempio di quelle povere innocenti, che in loro solamente potevano trovar un po’ d’appoggio. Il salario era appena sufficente pel vitto e per l’alloggio, cosicché se uno di quei vessilliferi della corruzione faceva ad esse un regalo qualunque, anche insignificante, gli si abbandonavano nelle braccia. E intanto i genitori pregavano la madonna perché si mantenessero oneste e buone! Una domenica vennero a Mannheim una quarantina tutte insieme, vestite dei loro costumi pittoreschi. La gente del paese le guardava di sbieco, i monelli di strada le chiamavano e poi le fischiavano, e uno che mi stava vicino disse: “Ecco la ricchezza della nostra alleata; pare di assistere al passaggio di una carovana di zingari!” (...) 132. Il binomio operaia-prostituta, che secondo Bruna Bianchi è tipico soprattutto della stampa cattolica, in realtà permea anche l’analisi dei socialisti attivi nell’emigrazione. Non è un caso che proprio le operaie dello jutificio di Sandhofen siano considerate un caso notevole di passaggio dalla condizione operaia al mondo della delinquenza, finendo per essere poi imbarcate per gli Stati Uniti: e proprio per questo appare veramente interessante il lavoro di sindacalizzazione svolto dalla lega italiana di Mannheim e Neckarau nei loro confronti 133. Il lavoro di organizzazione partito dalla lega di Mannheim e Neckarau porta ad una scelta di carattere nazionale, con l’appello agli operai tessili di lingua italiana occupati nelle fabbriche di seta del Baden, e specialmente ai tessitori di Hüningen, St. Ludwig, Rheinfelden, Säckingen, Laufenburg, Waldshut, rivolto per il tramite de L’Operaio Italiano, ad aderire all’Unione centrale tedesca degli operai e delle operaie addette all’industria tessile. A dimostrazione del ruolo assunto dal periodico di lingua italiana, l’Unione tessile avverte che gli iscritti riceveranno non solo l’organo della categoria, Der Textilarbeiter, ma anche L’Operaio Italiano, che si trova così a diventare la voce di questa seconda categoria. Ad ulteriore sottolineatura del carattere internazionale del movimento, tutti gli interessati sono invitati all’assemblea che si terrà il 2 gennaio 1902 a Rheinfelden, nell’omonima città gemella posta oltre Reno in territorio svizzero 134. 132 L’Operaio Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, pp. 6-7, Poverine!, articolo di C. Rizzotti da Mannheim. 133 Cfr. BIANCHI, Bruna, Lavoro ed emigrazione femminile (1880-1915), in: BEVILACQUA-DE CLEMENTI-FRANZINA, cit., p. 265; sulle operaie di Sandhofen, cfr. STELLA, L’orda, cit., p. 98, che riprende PAULUCCI DE CALBOLI, Raniero, La tratta delle ragazze italiane, in: Nuova antologia di lettere, scienze e arti, vol. 98, marzo-aprile 1902, p. 430: testo che a sua volta sembra in effetti riprendere la citata corrispondenza di Rizzotti. Paulucci de Calboli continuerà la sua inchiesta con una seconda puntata, sul n. 101 del settembre-ottobre 1902. 134 L’Operaio Italiano, n. 25 di sabato 14 dicemebre 1901, p. 1, Appello. Se la condizione delle operaie è sospesa sul baratro dell’esclusione sociale, peggiore è quella delle donne utilizzate nei mestieri girovaghi: da qualche tempo si notano per le vie ed i caffé delle principali città tedesche come Mannheim, Magonza, Francoforte ecc. delle ragazze giovanissime, quasi sempre sotto i venti anni, generalmente della provincia di Caserta e qualche toscana, vestite ne’ loro pittoreschi costumi tradizionali vendere cioccolata, bomboni e un po’ di chincaglieria. Interrogate vi rispondono che hanno un padrone, ma poi non vogliono dirvi altro; diffidano troppo. Certamente col prodotto della vendita di que’ gingilli non possono guadagnare tanto da far vivere sontuosamente il padrone e miseramente esse. Sotto ci dev’essere qualche cos’altro (...) E non meno turpi di costoro che guidano alla prostituzione e all’infamia tanta gioventù sono quelli che importano dall’Italia de’ vecchi, zoppi, ciechi, sciancati e per dieci o quindici lire al mese, il vitto e un canile, li obbligano a girare per le fiere, i luoghi di passeggio ecc. a strappare alla compassione de’ passanti quei Pfennig e quei marchi che devono assicurare una vita di lusso a quella gente senza coscienza che specula sulla loro miseria, e che, pur troppo sono italiani anch’essi. Lo sfruttamento bestiale non riguarda solo donne e fanciulli, ma è un generalizzato fenomeno derivante dalla spregiudicata speculazione di chi opera nell’intermediazione della manodopera dall’Italia, come dimostra ad esempio questo caso occorso a Francoforte sul Meno nella primavera del 1901: Una ventina di operai italiani macilenti, laceri, colle scarpe rotte tanto che ne sfuggivano fuori le dita de’ piedi, imploravano dal capo stazione la grazia di poter dormire per quella notte nella sala d’aspetto, la quale li avrebbe almeno riparati un poco dai rigori della stagione, che era rigidissima. Si trattava di metà di un contingente di vittime di un ex carabiniere di Bergantino nel Polesine, Giuseppe Callegaro, che li aveva attirati in Germania senza avere la certezza di collocarli, e poi li aveva ovviamente abbandonati. Solo soccorso nella loro disgrazia, il capostazione (per non più di tre notti) e qualche sussidio consolare. E intendiamoci bene di questi miserabili speculatori sulla fame e sulla miseria alla Callegaro ve ne devono essere parecchi, perché altrimenti non si spiegherebbe l’enorme affluenza di emigranti da tutte le regioni d’Italia verificatisi quest’anno in certi centri specialmente assai prima che la stagione permettesse una ripresa di lavoro. Naturalmente ognuno pensava: Bisogna che faccia venire la mia merce un po’ prima, per averla sempre a mano e poterla smerciare più sicuramente al momento buono. Ovviamente è fra questa massa che si trova chi è disponibile ad ogni espediente, e vengono reclutati i crumiri 135. Lotta contro la barbarie. L’arretratezza culturale e le condizioni di privazione materiale incidono gravemente sul comportamento degli operai italiani all’estero. Alle arretrate condizioni del paese di partenza 135 L’Operaio Italiano, n. 9 di mercoledì 1° maggio 1901, pp. 3-4, Speculazioni turpi. si sovrappongono i due mezzi di sfogo dall’abbrutimento: l’alcoolismo che si diffonde nelle comunità di operai e viene introdotto in modo massiccio nei paesi di provenienza, e la prostituzione con il conseguente diffondersi di percentuali abnormi di malattie veneree 136. Ignoranza e pratica della violenza producono abbruttimento, sfruttamento ed attività delittuose che non possono che ricadere negativamente sull’immagine e l’accoglienza dei paesi di emigrazione nei confronti degli italiani. Gli italiani organizzati nel sindacato debbono affrontare questo fenomeno, prendendone pubblicamente le distanze e denunciandone le origini. Il 15 gennaio 1900 un ventenne viene ucciso, sempre a Neckarau, nei pressi di Mannheim, nel Baden. La causa? Il maledetto giuoco delle carte per interesse 137. Quanto il gioco d’azzardo incida sulle condizioni di vita degli operai, come una vera e propria dipendenza patologica (pari e parallela a quella dall’alcool) è messo in rilievo non solo dalla continua polemica contro la tassa sui gonzi, come viene definito il prelievo fiscale italiano attraverso il gioco del lotto, e dalla campagna giornalistica contro i giochi d’azzardo, come l’infame giuoco del 21, del sette e mezzo e del mazzetto, giuochi che rovinano gl’individui e le famiglie (...) maledetti giuochi d’azzardo, che corrompono e rovinano tanta parte della gioventù operaia, e la sottraggono alle feconde lotte per l’emancipazione del lavoro (...). Come nel caso della lotta all’alcolismo, la scelta socialista è di denunciare pubblicamente e senza concessioni la condizione di abbrutimento degli emigranti dediti al gioco. I bari di professione esercitano una funzione parassitaria simile a quella degli osti in patria: prosciugano le tasche degli operai emigranti, riducendoli sul lastrico e portandoli all’abbrutimento sul piano morale. Come nel caso del diffondersi delle osterie, anche verso il gioco d’azzardo la proposta socialista ha al centro non la repressione dei consumatori, ma una ferrea politica proibizionistica nei confronti degli sfruttatori. Quanto alle vittime, le si pone di fronte alla necessità di superare la loro condizione subumana e di reagire allo sfruttamento non attraverso l’alienazione, ma organizzandosi nelle strutture del movimento operaio, dedicando al loro funzionamento le risorse ora spese nelle attività voluttuarie. La lettera di un giovane operaio vicentino rivela un aspetto ancora peggiore della vicenda: ovvero il fatto che spesso - ad organizzare il prelievo della retribuzione attraverso il gioco d’azzardo - sono gli stessi assistenti che hanno provveduto a reclutare in patria gli operai e ne coordinano lo sfruttamento sul lavoro in Germania. Il giovane vicentino narra come, ad ogni quindicina, il capo - coadiuvato dagli altri operai che lo invitano al gioco - gli sottragga diabolicamente col giuoco del ventuno tutto il guadagno, non solo impedendogli di inviarlo alla famiglia attraverso la posta, ma sottraendogli anche i pochi beni 136 Cfr.: COSATTINI, cit. L’Operaio Italiano, n. 3 del 10 febbraio 1900, p. 7, Germania. L’assassinio di Neckarau, corrispondenza del 29 gennaio da Mannheim. 137 personali e lasciandolo indebitato per il vitto e l’alloggio con il capo stesso (che affitta un suo locale come pensionato). La redenzione da questa situazione insostenibile avviene attraverso l’apostolato di una figura quasi mitica, l’ascetico agitatore solitario, figura angelica che ritroviamo talvolta in pagine di letteratura: chi potrebbe dimenticare il disciplinato soldato dai capelli rossi, ebreo ed ateo, che mette in crisi il capitano zarista Tarabas, sottraendogli praticamente tutto il reggimento conquistato, silenziosamente ma inesorabilmente, alla rivoluzione bolscevica? In questo caso la profezia dell’operaio socialista è meno tacita, ma ugualmente decisiva: in realtà il percorso di redenzione è codificato, secondo i canoni che portano dall’individualismo cieco all’adesione all’organizzazione. Fra i compagni di lavoro ve ne era uno che ci ammoniva continuamente, consigliandoci di organizzarci e di diventare uomini civili. Ma nessuno gli badava perché il capo diceva, e facilmente si capisce il perché, che erano tutte fanfaronate e che quella gente, gli organizzatori, non erano che dei mangioni, dei fiacconi, ecc. ecc. Una domenica che, come al solito avevo giuocato fino all’ultimo quattrino, quel bravo giovane mi condusse ad una conferenza, e quello fu il giorno della mia salvezza! Compresi il baratro nel quale incoscientemente mi precipitavo, ruppi col passato andando a lavorare altrove, ed ora mando regolarmente i miei risparmi alla famiglia, sono iscritto alla lega di resistenza, leggo i giornali che mi ammaestrano e mi sento uomo. Sì, mi sento uomo, perché comprendo che ero un bruto. Bruto perché abbandonato alla depravazione, perché ignorante di ogni vivere civile, perché avevo perso l’amore alla famiglia, perché ignoravo che cosa fosse sentimento di solidarietà, e deridevo coloro che ora sono i miei più cari amici, quelli che mi hanno portato dalle tenebre alla luce, e fatto partecipare al movimento ascendente del proletariato verso un migliore avvenire, verso una società più umana basata sul vero amor fraterno. La strada dell’organizzazione sindacale internazionalista è descritta secondo una parafrasi religiosa, forse assorbita dal giovane adepto socialista fin dai tempi delle infantili lezioni di dottrina in parrocchia: dal percorso di elaborazione personale si arriva alla conquista del pentimento, reso noto attraverso una pubblica confessione e l’esercizio della carità e solidarietà. Veramente, nell’esperienza di questo semplice testimone, abbiamo la dimensione di come la pratica del movimento operaio ci faccia confrontare con un’esperienza terrena di trascendenza e di religione laica, dando corpo e dignità a dei veri e propri Arcangeli, come Taibo ha voluto chiamare dodici personaggi anonimi, eroi di seconda fila (...) affratellati dalla testardaggine, dalla fedeltà all’idea di rivoltare il mondo, dalla meravigliosa caparbietà dei sognatori 138. 138 L’Operaio Italiano, n. 11 del 2 giugno 1900, p. 2, Il giuoco del 21 e le sue conseguenze e 12 del 30 giugno 1900, p. 2, Ancora del giuoco del 21; ROTH, Joseph, Tarabas. Un ospite su questa terra, Milano, Adelphi, 1979 (ed. originale Amsterdam 1934), pp. 38-43; TAIBO, Paco Ignacio II, Arcangeli. Dodici storie non molto ortodosse di rivoluzionari del XX secolo, Milano, Il Saggiatore, 1998 (ed. originale dello stesso anno). La propaganda invernale in Italia. Al momento del ritorno in patria a fine anno, scatta la fase invernale del lavoro di organizzazione. Vengono organizzati cicli di conferenze, che battono le province di provenienza degli emigranti, con l’utilizzo dei funzionari di lingua italiana del sindacato tedesco, di quelli della Federazione Edilizia italiana, di quelli dei Segretariati dell’emigrazione e dei parlamentari socialisti. Il lavoro invernale - proposto per la prima volta da Giovanni Lerda nel 1898-1898 139 - viene preparato già in Germania, con incontri con i gruppi di emigranti che si apprestano a partire, come nel caso di Neckarau, dove il 3 dicembre 1900 ci recammo nel vicino paesetto di Stengelhof, sapendo che diversi italiani dovevano rimpatriare. Un compagno parlò loro del valore che le organizzazioni professionali hanno per la classe operaia, e dell’interessamento che i deputati popolari hanno per gli emigranti, e fece loro formale promessa che prima che giunga il tempo del ritorno un deputato avrebbe fatto un giro di propaganda per la loro provincia. Furono poi invitati a fare fra i loro amici e parenti un’attiva propaganda diffondendo giornali ed opuscoli perché è dovere d’ogni lavoratore cosciente di portare il suo umile contributo, sia morale che materiale, alla grande causa dell’emancipazione operaia. I partenti dissero essere lieti dei consigli ricevuti e di farne tesoro (...). L’incontro, svolto fra lavoratori già organizzati dalla lega di resistenza di Neckarau, si conclude al canto dell’Inno dei lavoratori 140. Particolarmente intenso il lavoro organizzato in Friuli dal Segretariato di Udine. Durante l’anno, la stampa socialista friulana riprende le notizie de L’Operaio Italiano, segnalando puntualmente gli impresari e gli intermediari responsabili di angheria ai danni degli operai, e denunciando i crumiri. Queste segnalazioni funzionano da tam-tam per i compagni rimasti al paese, e negli incontri invernali gli accusati vengono sottoposti a veri e propri processi sommari durante le assemblee popolari. Pur tenendo conto della scarsità di mezzi, le comunicazioni all’epoca sembrano marciare piuttosto velocemente, grazie alla rete internazionale dell’organizzazione socialista, che a volte riesce a segnalare lo spostamento di certi loschi personaggi da un continente all’altro. E’ ovviamente al Friuli che si rivolgono le prime attenzioni del sindacato tedesco per i suoi viaggi di propaganda invernale, il primo dei quali è segnalato nell’inverno del 1901. Il Comitato centrale dell’Unione muraria tedesca ha incaricato il compagno Vittorio Buttis di fare un giro di propaganda per l’organizzazione economica dei lavoratori nella provincia di Udine, la quale notoriamente dà il maggior contingente all’emigrazione Italiana in Germania, ed era pel passato il gran vivaio dal quale la Lega degli imprenditori edili di Berlino traeva mano d’opera a buon mercato 139 RAGIONIERI, Il movimento dei lavoratori italiani emigrati nell’impero asburgico, cit., p. 210. 140 L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, pp. 6-7, Corrispondenze. Quella da Neckarau è siglata T. quanta glie ne occorreva. Contemporaneamente il partito socialista italiano corrispondendo ad un antico desiderio dell’Operaio Italiano e a una vecchia promessa ha inviato nella medesima provincia il compagno Rondani, deputato al parlamento, perché egli pure facesse un viaggio di propaganda. I giornali liberali e democratici di Udine, come il Paese, il Friuli e la Patria del Friuli sono pieni di descrizioni delle accoglienze veramente entusiastiche che quei bravi lavoratori hanno fatte ai nostri compagni (...). In particolare il lavoro di Buttis, un operaio che in passato ha già dovuto subire persecuzioni per la sua attività politica, viene realizzato in forme pionieristiche, in tante località della Carnia e del Friuli centrale dove l’organizzazione operaia è inesistente, ed il propagandista deve farsi carico di tutto, dalla ricerca della sala alla diffusione del materiale informativo. La chiesa cattolica ovunque, ed alcune amministrazioni comunali, sono impegnati nell’ostacolare l’opera di sindacalizzazione; a sostegno della propaganda di Buttis si muovono invece i deputati radicali di Udine e di Gemona-Tarcento, gli avv. Girardini e Caratti 141. Gli organizzatori italiani degli emigranti. Mentre in Friuli ed in altre contrade il socialismo muove i primi passi, in Germania ed in altri paesi operano ormai attivi molti attivisti italiani, che spesso ci risultano sconosciuti e non hanno alcuna menzione nelle ricerche storiche. Nel maggio 1900 viene data - con grande rilievo sulla prima pagina de L’Operaio Italiano - l’indicazione che gli operai italiani a Berlino che intendono prendere contatto con il sindacato possono rivolgersi al compagno Vincenzo Camurri, Grosser Judenhof 9, Berlino C. Si tratta della prima notizia di un organizzatore di nazionalità italiana incaricato dal sindacato edile. Camurri, di ritorno dalla campagna elettorale in Italia tiene due conferenze a Mannheim ed a Neckarau nel Baden (dove gli operai socialisti residenti non hanno potuto permettersi il viaggio per ragioni economiche, sostenendo invece lo sforzo del partito con sottoscrizioni). La presenza di Camurri in Baden non è casuale, visto che è lui a rappresentare la neocostituita sezione italiana della Lega di resistenza fra i muratori ed affini di Mannheim al congresso della categoria svoltosi a Monaco in quell’anno. Sempre nel Baden, a Pforzheim troviamo, nello stesso periodo, un organizzatore di origine italiana proveniente dalla vicina Alsazia: il 29 aprile fu fra di noi il compagno Speroni di Strassburgo, il quale parlò lungamente sulla necessità dell’organizzazione. Erano presenti circa 150 italiani, dei quali 67 aderirono all’unione muraria. Speroni ritornerà per una successiva assemblea il 27 maggio, anche se con minor successo di pubblico 142. 141 L’Operaio Italiano, n. 5 del 2 marzo 1901, p. 7, Echi d’Italia. La propaganda nel Friuli. 142 L’Operaio Italiano, n. 9 di martedì 1° maggio 1900, p. 1; 10 del 19 maggio 1900, p. 6, Piccola cronaca del movimento italiano; 12 del 16 giugno 1900, p. 5, idem; 13 del 30 giugno 1900, p. 5, idem; 5 del 2 marzo 1901, p. 2, Pel prossimo congresso. Dell’autonomia, lettera firmata Due muratori A Wiesbaden in Assia Carlo Malighetti, che nel maggio 1900 funge da traduttore della lega muraria, è vittima della denuncia persecutoria di due imprenditori edili, che trovano autorità compiacenti che lo tengono in carcere per un mese con l’accusa di violenza e minacce. In realtà Malighetti (che verrà assolto dalle accuse) aveva avvicinato in un’osteria un gruppo di potenziali crumiri, cercando di convincerli a non boicottare l’agitazione in corso in città per ottenere miglioramenti salariali 143. Nel Württemberg ed in Baden l’Unione Centrale dei Muratori di Germania utilizza per un giro di propaganda Giacinto Menotti Serrati, segretario del Partito Socialista Italiano in Svizzera residente a Losanna, nei giorni fra l’8 ed il 13 luglio. Serrati ha trovato un elemento operaio, intelligente, quasi totalmente vergine alla propaganda nostra. Gli italiani che emigrano in queste regioni sono in massima parte provenienti dal Settentrione del Veneto, specialmente dal Friuli; hanno sempre vissuta una vita dolorosa di privazioni e di miserie e mai hanno intese suonare al loro orecchio le parole: solidarietà ed organizzazione. La condizione di arretratezza degli emigranti friulani non è però di ostacolo alla propaganda socialista, che anzi deve essere accentuata: Nessuna scusa potrebbe invece addurre il nostro partito quando continuasse a lasciare tanta gente senza la necessaria propaganda che valga ad aprirle gli occhi ed a farla compresa della necessità della propria organizzazione. L’elemento è buono, il terreno fertilissimo più di quello che si crede. Serrati ha potuto constatare la solidarietà degli operai tedeschi verso i compagni italiani, nonostante i frequenti e gravi episodi di crumiraggio compiuti da connazionali. Solo a Göppingen, Serrati provoca l’iscrizione al sindacato di 43 italiani, che incaricano il compagno Angeli di provvedere a riscuotere le quote ed a diffondere il giornale 144. I collegamenti fra Germania e Svizzera non si limitano alla propaganda, ma implicano anche l’organizzazione della solidarietà negli scioperi, come quando nel cantone di Uri durante uno sciopero degli scalpellini - i padroni cercano di far affluire scalpellini dalla Germania: il referente per i sussidi a sostegno degli scioperanti è Giovanni Frangi, residente a Gurtnellen nella Confederazione Elvetica e segretario della Lega degli scalpellini dei cantoni di Uri e del Ticino 145. Intanto a Vienna l’assemblea della Società operaia italiana della capitale austriaca elegge la nuova commissione esecutiva: il presidente è l’operaio socialista triestino Antonio Gerin, vicepresidenti sono Lorenzo Gondoni e Umberto Scaini, segretari di Neckarau. 143 L’Operaio Italiano, n. 13 del 30 giugno 1900, p. 4, Lavoratori e padroni davanti alla giustizia. 144 L’Operaio Italiano, n. 15 del 28 luglio 1900, pp. 1-2, Gli sciacalli e 6, La pro(pa)ganda fra gli emigranti italiani nel Württemberg, articolo firmato Parrasio (lo pseudonimo di Serrati) e corrispondenza da Göppingen. I centri visitati sono rispettivamente Stuttgart, Heilbronn, Pforzheim, Göppingen, Gmünd, Ulm e Costanza. 145 L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, p. 7, Scioperi e boicotti. Scalpellini e 9 di mercoledì 1° maggio 1901, p. 6, Scalpellini. Luigi Pulla e Angelo Aggio, cassieri Francesco Poluzzi e Francesco Zanibetti, bibliotecario Giovanni Casta, consiglieri Giovanni Comacchio, Carlo Ferlatti, Oreste Sbicego e Francesco Selva 146. Ma la presenza, italofona se non certamente italiana, più importante è quella del redattore centrale de L’Operaio Italiano, non resa pubblica nella testata per proteggerlo dalla possibile repressione poliziesca e coperta dietro la formale direzione di Carl Legien. Lo apprendiamo dall’annuncio dell’espulsione, ai primi di settembre 1900, dell’anonimo redattore straniero, che secondo Forberg sarebbe lo stesso Giovanni Valär, in realtà trasferitosi solamente in un altro Land e che poi riprende l'attività coprendola con l'anonimato. Valutazione su cui ci permettiamo di avanzare qualche riserva, visto che l'anonimato degli articoli è in atto fin dal gennaio 1900, e semmai è proprio con l'inizio dell'anno successivo che troveremo una sigla, connotante con le iniziali il redattore italo-svizzero 147. L’espulsione del redattore de L’Operaio Italiano fa parte di un atteggiamento generalizzato verso i propagandisti italiani. Da qualche tempo a questa parte la polizia germanica si dà un gran da fare per dar la caccia ed espellere tutti coloro che nella misura delle loro forze cercano di istruire ed organizzare nelle leghe di resistenza i loro compagni italiani. Prima abbiamo avuta nella libera repubblica di Amburgo l’espulsione del nostro redattore da tutto il suo territorio. (...) Poi dall’Assia quella di due o tre compagni che negli scioperi di Wiesbaden e di Francoforte avevano funzionato da interpreti e da sentinelle. Oggi riceviamo una lettera di uno de’ nostri migliori compagni, Francesco Speroni, che da anni si affatica per predicare il verbo dell’organizzazione ai suoi connazionali, il quale ci racconta il modo barbaro con cui fu espulso dal territorio del Reichsland, l’Alsazia e la Lorena. Da qualche tempo si trovava a lavorare in Saaralben per conto del suo principale di Strassburgo. Una sera verso le 10 i poliziotti invasero la sua stanza, lo fecero levare dal letto, intimandogli di seguirli all’ufficio, dove gli sottoposero senz’altro il decreto di sfratto. Domandata la ragione di tale misura risposero: Per ordine superiore. E alle 5 di mattina dovè partire. Domandò che gli fosse almeno concesso di recarsi prima a Strassburgo a prendere i suoi effetti, e sistemare i suoi affari; ma anche questo gli fu negato, e per la via Zaar, Colmar, Basel fu condotto come un malfattore della peggior specie e consegnato alla polizia italiana, la quale, non avendo nulla contro di lui, lo lasciò subito libero 148. 146 L’Operaio Italiano, n. 16 dell’11 agosto 1900, p. 8, Austria. L’Operaio Italiano, n. 18 dell’8 settembre 1900, p. 2, Senza titolo. Dialogo fra Tonio Brontoloni e Beppe Ragionevoli; FORBERG, cit., pag. 55. La diversità di scelte politiche a proposito degli immigrati, dovuta soprattutto alla discriminazione antipolacca ma estesa anche alle altre nazionalità, porta alla convivenza di diverse legislazioni nei vari Länder: più dura quella della Prussia, più liberali quelle degli stati del sud. Cfr.: DEL FABBRO, cit., pp. 31-32 e TRINCIA, cit., pp. 379-381. 148 L’Operaio Italiano, n. 24 dell’8 dicembre 1900, p. 8, Germania. Prodezze poliziesche. La persecuzione contro gli esponenti sindacali di origine straniera è generalizzata, e causa non secondaria della debolezza dell'organizzazione fra gli immigrati stranieri, senza – a tal proposito – distinguere i socialisti dai cattolici, come dimostra l'espulsione nel 1906 147 La sorveglianza poliziesca raggiunge anche chi non appare attivo in Germania, come nel caso del senese Amedeo Fava e dei veneti Pietro Zordan e Giuseppe Scalarini, espulsi dalla polizia berlinese. I primi due vivevano dando lezioni di italiano, mentre Scalarini era impiegato in una casa di brevetti come disegnatore. Nessuno dei tre facevano dell’agitazione socialista o prendevano parte alla vita politica. Probabilmente anche questi sono vittime delle calunniose informazioni della polizia italiana, la quale non paga di perseguitare in patria tutti coloro che hanno un po’ di carattere e di spirito d’indipendenza prosegue anche all’estero la sua opera delittuosa, spezzando senza un riguardo al mondo vite e carriere 149. Con il primo numero de L’Operaio Italiano del 1901 troviamo il primo di una serie di editoriali siglati Vugi, che ci segnala così l’assunzione della direzione del periodico da parte dello svizzero Giovanni Valär (1864-1942), che la terrà fino al 1907 150. I tanti toscanismi introdotti nei testi da questo momento ne rafforzano l’attribuzione a Valär, che da giovane con la famiglia (di cittadinanza svizzera, nonostante si tratti di antichi emigranti friulani, con tutta probabilità della Val Tramontina) ha risieduto a Livorno, dove è diventato amico del futuro deputato socialista Emanuele Modigliani. Giovanni Valär – insegnante di matematica - è costretto a scappare dall’Italia nel 1899, a causa della repressione del governo del generale Pelloux, e si ritrova così a condividere i percorsi di tanti compagni italiani: diventerà per questa via il principale (anche se per nulla studiato) protagonista del lavoro di organizzazione degli emigranti italiani in Europa. Nel 1907 sarà chiamato al Segretariato del lavoro svizzero a Zurigo 151. Richiesto nel 1909 dalla Società Umanitaria, dal 1910 al 1918 sarà a Milano come Capo dei Servizi di emigrazione della Società Umanitaria in tempi di ardue prove, nelle Scuole di Applicazione per la Cooperazione e la Legislazione sociale dell’Istituzione con efficacia ed alto senso di umanità una vasta esperienza tradusse, in fruttuoso insegnamento. Tale datazione, che appare sul sito internet della Società Umanitaria appare però limitativa rispetto alla documentazione conservata presso la stessa istituzione, che ne rileva la presenza in servizio ancora nel 1919 152. dalla Prussia del dott. Valente, segretario italiano dei sindacati cristiani: cfr. FORBERG, cit., pp. 60-61. 149 L’Operaio Italiano, n. 5 del 2 marzo 1901, p. 8, Germania. Italiani vittime della polizia. 150 Valär nel marzo 1901 daterà però al 1900 il suo incarico: l’anno scorso nell’assumere la redazione del giornale: L’Operaio Italiano, n. 5 del 2 marzo 1901, pp. 2-3, Pel prossimo congresso. Per un ufficio d’informazioni, firmato Tuo X, muratore organizzato. 151 PIEMONTESE, cit., p. 16; per la collocazione a Zurigo, almeno nel 1909 quando verrà rivolta a quell’istituzione la richiesta di permettere la sua assunzione come responsabile dell’Ufficio emigrazione dell’Umanitaria, cfr. Archivio Società Umanitaria, b. 36, f. 2, Amministrazione, Personale in servizio, 1903/1911, cartella prof. Giovanni Valär 1909/1911. 152 Figure e protagonisti dell’Umanitaria, sito www.umanitaria.it/112.php della Società Umanitaria di Milano, scaricato il 7 marzo 2005; cfr. Archivio Società Umanitaria, inventario per il periodo 1912-1926. Valär continuerà - dal suo incarico milanese - a tenere i contatti con il Segretariato dell’Emigrazione di Udine, come dimostrano le corrispondenze fra lui e Piemonte conservate nella documentazione presso l’Ifsml. Già relatore al convegno dei Segretariati laici dell’Emigrazione che si tiene nel novembre 1909 (in quell’occasione rappresenta il Segretariato operaio svizzero), interverrà all’XI Congresso degli Emigranti friulani ad Artegna nel 1911, dove potrà constatare i successi realizzati nella lotta al crumiraggio friulano all’estero, lodando il contegno dei friulani durante la grande serrata tedesca. Valär sarà anche l’autore dell’Almanacco dell’Emigrante Friulano, pubblicazione di oltre trecento pagine, in cui oltre all’Almanacco dell’Umanitaria si fornisce un’aggiunta di cinquanta pagine in cui sono descritte le istituzioni proletarie del Friuli 153. E’ ancora il prof. Valär, solidale con i vecchi compagni di lotte, ad intervenire al 2° congresso provinciale socialista friulano, il 17 aprile 1921, alla Casa del Popolo di Udine, quando si riannodano le file del partito appena segnato dalla scissione comunista di Livorno 154. Forse è sempre lui il Valler che in quei mesi è attivo a Firenze come componente del comitato direttivo della federazione del Psi, con la responsabilità di tenere l’amministrazione del settimanale La Difesa 155. Secondo un confidente della polizia fascista a Berlino, Valär dalla fine del 1918 avrebbe operato prima a Palermo e poi in altre città meridionali, dedicandosi soprattutto all’organizzazione di cooperative, cui avrebbe portato migliaia di adesioni. Di nuovo in esilio dopo l’avvento della dittatura, Valär è ancora attivo in Germania (fino all’avvento del nazismo) e poi in Svizzera nell’organizzazione dell’emigrazione antifascista, fino alla morte che giungerà prima della caduta del regime 156. Altri sindacalisti bilingui, ma non cittadini italiani, verranno utilizzati dal sindacato tedesco come esponenti di punta del lavoro verso gli immigrati dalla penisola, prima che si sia formata fra gli emigranti friulani una nuova generazione di sindacalisti che assumeranno direttamente la rappresentanza dei loro connazionali. Dopo la pionieristica esperienza di Gerin fra gli operai emigrati a Vienna, un altro triestino succederà a Valär alla direzione de L’Operaio Italiano: si tratta di Giuseppe Podgornik che lavorerà a più riprese in Germania fino allo 153 Cfr.: L’Emigrante, anno IV, n. 11, novembre 1909, Il Terzo Convegno dei Segretariati laici dell’Emigrazione, anno V, n. 12, dicembre 1910, L’almanacco dell’Emigrante Friulano, anno VI, n. 2, febbraio 1911, L’XI Congresso degli Emigranti Friulani. La chiusura e Perché? 154 Il Lavoratore Friulano, n. 17 del 24 aprile 1921, p. 2, I concordi propositi dei socialisti friulani al Congresso Prov. del Partito. 155 La Difesa, Periodico della Federazione Provinciale Socialista Fiorentina, n. 31 del 2 luglio 1921, pp. 2-3, Il congresso pro.le socialista e 33 del 16 luglio 1921, p. 3, Atti del partito. 156 Archivio Centrale dello Stato, Direzione Polizia Politica, Fascicoli Personali, pacco 1397, f. 34, lettera da Zurigo del 28 settembre 1938 del fiduciario n. 87 (sulle origini friulane) e relazione dattiloscritta dell’informatore n. 210, Berlino, 1° marzo 1932, dalla quale ho tratto anche le notizie sulla giovinezza. L'attività di insegnante di matematica in Italia è indicata da: FORBERG, cit., p. 55. scoppio della guerra mondiale. Partecipavo inoltre alla propaganda fra gli emigrati, come pure alle conferenze internazionali dei sindacati edili, fungendo da interprete: in questa veste è presente ai congressi socialisti internazionali di Stoccarda nel 1907 e di Copenaghen nel 1910. Sul suolo italiano, Podgornik promuoverà cicli di conferenze invernali (attribuendosi il merito di aver ideato questo strumento ormai consolidato), percorrendo la Carnia, il Cadore, il Comasco, il Varesotto, la montagna piemontese, ecc.: I risultati furono ottimi: con tutto questo lavoro combinato, con l’ausilio di taluni compagni tedeschi che conoscevano a sufficienza l’italiano, il triste fenomeno del crumiraggio italiano in cinque anni fu quasi completamente debellato. Non solo, ma numerosissimi furono gli operai italiani che si iscrissero ai sindacati tedeschi e divennero a loro volta ottimi propagandisti sui cantieri di lavoro 157. E’ invece milanese Giuseppe Bianchi, che è emigrante dall’inizio del secolo allo scoppio della guerra mondiale, dapprima in Germania e poi (in conseguenza della sua espulsione dall’Impero guglielmino) la Svizzera e la Francia. Bianchi, che è un tipografo, collabora con L’Operaio Italiano e ne sarebbe per un periodo il direttore 158. Fra i friulani impegnati nel lavoro di organizzazione all’estero, vanno citati Antonio Bellina, presidente della Lega dei segantini in Carinzia 159, e soprattutto il cividalese Augusto Vuattolo, dirigente dei fornaciai in Baviera e, dal 1913 - dopo l’espulsione dalla Germania, dove dirige l'Operaio Italiano, e lo spostamento a Zurigo - dirigente sindacale, dapprima della Federazione Muraria italiana e poi della Federazione dei Lavoratori Edili e del Legno svizzera, di cui divenne il primo segretario nazionale di origine italiana, dopo la naturalizzazione. Durante la dittatura, Vuattolo fu animatore del Centro estero socialista, testimoniando, insieme a Valär e ad Ernesto Piemonte in Francia, la continuità del gruppo dirigente del Segretariato dell’emigrazione di Udine nell’organizzazione della resistenza antifascista fra gli emigranti italiani160. Nel dopoguerra, Vuattolo concluderà l’impegno sindacale di una vita ricostruendo la storia del sindacato di categoria nel suo paese di adozione 161. Opera soprattutto nella Germania meridionale il propagandista Luigi Bossi, residente a Mannheim, chiamato a tenere cicli di conferenze - insieme con Giuseppe Podgornik - dal Segretariato dell’Emigrazione di Belluno, in accordo con la 157 PIEMONTESE, cit., p. 16. ANDREUCCI-DETTI, cit., volume primo , pp. 283-286, scheda a cura di Tommaso Detti. 159 Su Antonio Bellina, cfr. BETTOLI, cit., vol. secondo, pp. 30-31 e 34. 160 Su Augusto Vuattolo, cfr.: PUPPINI, cit., p. 92; CERUTTI, Mauro, Fra Roma e Berna. La Svizzera italiana nel ventennio fascista, Milano, Angeli, 1986, p. 159; SINICCO, Giuseppe, Le memorie di un calzolaio da Borgnano a Londra, Udine, Tipografia A. Pellegrini, 1950; FORBERG, cit., p. 55. Ringrazio inoltre per le informazioni fornitemi Bruno Canellotto ed Andrea Ermano di Zurigo. 161 VUATTOLO, Augusto, Storia della Federazione svizzera dei lavoratori edili e del legno, 1873-1953, 3 volumi, Zurigo, Federazione svizzera dei Lavoratori Edili e del Legno, 1953-1956. 158 Federazione Edilizia Italiana e le Federazioni Murarie di Germania e Svizzera. Luigi Bossi – direttore de L’Operaio Italiano dopo l'espulsione di Vuattolo e contemporaneamente segretario per la propaganda del sindacato edile tedesco – è presente all’incontro che si tiene nel 1913 a Jena fra i sindacati edili tedesco, austriaco, francese, svizzero ed italiano, ed è protagonista di un duro scontro con i compagni attivi in Austria (il che è abbastanza evidente, vista la prevalenza rivoluzionaria in tali ambienti, mentre i redattori del giornale tedesco sembrano tutti gravitare nell’orbita riformista) sia sull’efficacia dell’organizzazione che sui rapporti con i cattolici, visti da Bossi come alleati con i quali realizzare rapporti costruttivi. Particolare di non poco conto, Luigi Bossi è cittadino tedesco, godendo così di un'agibilità politica maggiore rispetto ai compagni stranieri 162. Anche fra gli organizzatori italiani si manifestano fenomeni di opportunismo e di infiltrazione, che - quando scoperti vengono denunciati dando loro un risalto internazionale, in modo da avvertire le varie comunità di emigranti. Ad esempio la sezione svizzera del Psi di Losanna denuncia Pietro Collobiano, da Recetto (Novara) che, dopo essere stato condannato in patria per falso e peculato, espatria in Svizzera. Presentatosi come socialista, Collobiano conquista la fiducia dei compagni di Winterthur e Losanna, che lo eleggono a varie delicate cariche, da ultimo quella di bibliotecario a Losanna. In un trimestre, grazie a questo incarico, egli vende centinaia di copie di giornali e poi, quando i revisori gliene chiedono i conti, sparisce sottraendo circa 400 franchi. Drastica la conclusione: i compagni tutti e le Sezioni del Partito ritengano intanto il Collobiano come un ladro, e qualora questo messere capiti loro fra (i) piedi lo concino come merita il suo atto infame 163. Merita infine considerare alcuni esponenti sindacali che hanno avuto un ruolo centrale nell’organizzazione del settore. In primo luogo uno dei massimi dirigenti della Federazione Edilizia, il torinese Giuseppe Borghesio, del tutto negletto nella storiografia del sindacato italiano (e già questo basterebbe per testimoniare di quanto scavo ci sia ancora bisogno in materia!) e 162 Cfr.: L’Emigrante, anno IV, n. 12, dicembre 1909, Segretariato dell’Emigrazione di Belluno. Propaganda invernale; anno V, n. 1, gennaio 1910, Segretariato dell’Emigrazione di Belluno. Propaganda invernale e n. 2, febbraio 1910, Per gli edili organizzati; RAGIONIERI, Il movimento dei lavoratori italiani emigrati nell’impero asburgico, cit., pp. 211 e segg.; FORBERG, cit., pp. 55-56. Al Casellario Politico Centrale, nella busta intestata a Bossi, figurano mischiate le carte riguardanti due socialisti quasi omonimi: il pastore evangelico Luigi Bossi fu Alberico, nato ad Intra nel 1877, sorvegliato dal 1906 al 1929, e l’agronomo Luigi Bosi, nato a Sansepolcro (Ar) il 16 aprile 1874 e sindaco della sua città, oltre che deputato eletto nel 1919 e 1921. Ma un terzo caso di omonimia è il medico e docente universitario Luigi Maria Bossi, nato il 31 dicembre 1859 a Malnate (Varese) e deputato socialista nel 1900: tutte coincidenze che non sembrano aiutarci nella ricostruzione del percorso del sindacalista italo-tedesco. Cfr.: Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, b. 787, f. 106481; MALATESTA, Ministri, cit., vol. primo, pp. 144-145. 163 L’Operaio Italiano, n. 4 del 16 febbraio 1901, p. 5, Un ladro. che risulta invece uno dei protagonisti del lavoro rivolto verso la classe operaia migrante 164. Borghesio, assunto dalla Federazione Edilizia come propagandista nel 1902, affianca il segretario Quaglino e disimpegna molteplici incarichi, che lo portano a seguire la propaganda invernale, quella nei cantieri edili nel sud della Francia ed i convegni internazionali in materia di emigrazione 165. E’ a lui che spetta la palma dell’impegno della Federazione Edilizia in terra friulana, come testimonierà il segretario del Psi Oddino Morgari. Anche Borghesio sarà attivo nell’organizzazione antifascista, e sarà per questo incarcerato e confinato, pur in età avanzata, insieme al ricostruito Centro interno socialista di Torino nel 1927 166. Vittorio Buttis, che realizza il primo giro di propaganda invernale in Friuli, è pure un sindacalista della Federazione Edilizia, del cui congresso del 1902 risulta fra i relatori 167. Nel 1906 sarà protagonista, come segretario della Camera del Lavoro di Intra di uno sciopero che vedrà contrapposta la direzione rivoluzionaria del sindacato locale a quella riformista della Confederazione Italiana Arti Tessili, creando una polemica che appassionerà il sindacato nazionale di categoria. Esule ed organizzatore degli emigranti in Svizzera ed in Germania, viene espulso da questa nel 1900 (si tratta forse dell’anonimo redattore de L’Operaio Italiano cui succederà Valär?): tornerà ad emigrare per sfuggire all’arresto nel 1908. Dopo aver lavorato alla Camera del Lavoro di Lugano, le sue peregrinazioni lo porteranno in Germania e poi in Brasile e negli Stati Uniti. Qui, come direttore del giornale dei socialisti italiani, rimarrà dal 1915 fino alla naturalizzazione 168. Infine Ercole Brovelli, che giunge da Pallanza a dirigere la Camera del Lavoro di Udine dopo la Grande Guerra, ha alle spalle un lungo periodo di emigrazione in Svizzera dal 1900 al 1912, quando viene espulso dalla Confederazione per aver organizzato a Berna una manifestazione di solidarietà con i dirigenti italo-americani dell’Industrial Workers of the World Joseph Ettor ed Arturo Giovannitti, sottoposti a processo durante lo sciopero tessile di Lawrence nel Massachusetts. Brovelli si presenterà in Friuli, terra di emigranti, con una serie 164 Acs, Cpc, b. 753, f. 30558, Borghesio Giuseppe fu Sebastiano e fu Capirone Benigna, nato a Montanaro (Torino) il 6 novembre 1863, operaio, muratore, piazzista, residente a Torino, istruzione elementare, coniugato senza prole, anarchico, poi socialista, confinato politico, detenuto politico, schedato, radiato 29.4.40. 165 Cfr.: ANDREASI, cit., pp. 235 e 254-255. 166 Il Lavoratore Friulano, n. 217 del 12 dicembre 1908, pp. 1 e 2, e 218 del l9 dicembre 1908, p. 1, L’organizzazione degli emigranti nel Friuli. Il testo dell’articolo è pubblicato in: BETTOLI, cit., terzo volume, pp. 16-19. 167 Cfr.: ANDREASI, cit., p. 254. 168 Cfr.: OSTI GUERRAZZI, Amedeo, La Federazione Nazionale Arti Tessili dalla nascita allo scoppio della prima guerra mondiale, in: MISIANI, Simone, NEGLIE, Pietro, OSTI GUERRAZZI, Amedeo, VASCELLARO, Dario, Il filo d’Arianna. Una Federazione sindacale nella storia d’Italia: il tessileabbigliamento nel Novecento, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 1996, pp. 56-59; ANDREUCCI-DETTI, cit., volume primo, pp. 428-430, scheda a cura di Tommaso Detti. di bozzetti su Il Lavoratore Friulano, dedicati alla descrizione delle tipiche figure che all’estero rovinano l’immagine dell’emigrante italiano 169. 169 Acs, Cpc, b. 852, f. 45841, Brovelli Ercole Pompeo fu Antonio e Racchelli Maria, coniugato con Petronilla Gramola, nato a Pallanza (No) il 18 aprile 1872, disegnatore, residente ad Udine, socialista, schedato, radiato, morto il 6 agosto 1940, documenti registrati dal 7 ottobre 1912 al 27 novembre 1942.