Io prima di te (Me Before You),Ritual
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Io prima di te (Me Before You),Ritual
I magnifici sette (The Magnificent Seven) di Antoine Fuqua. Con Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke, Vincent D’Onofrio, Lee ByungHun USA 2016 Gli abitanti di Rose Creek, un piccolo centro contadino, sono riuniti in chiesa per decidere il da farsi perché il ricchissimo padrone dell’adiacente miniera Bartholomew Bogue (Peter Sarsgaard), li minaccia con i suoi killer perché se ne vadano e gli cedano le loro terre per 20 dollari a testa, quand’ecco che lui arriva con i suoi scherani, che ammazzano alcuni di loro, dà fuoco alla chiesa e, quando il colono Matthiew Cullen (Matt Bomer) si ribella, lo uccide a sangue freddo. In un saloon di un centro vicino, dove il baro e pistolero Josh Farday (Pratt) sta giocando a poker, arriva Sam Chisolm (Washington), guardia giurata e ufficiale di pace di una decina di stati (una sorta di bountykiller con licenza), che affronta ed uccide il barista (David Kallaway), omicida ricercato che si era data una nuova identità; Josh, istintivamente, estrae la pistola e lo protegge dagli amici del barista. La vedova di Cullen, Emma (Haley Bennett) che era partita con il compaesano Teddy Q (Luke Grimes) per cercare qualcuno che li proteggesse, gli offre una magra – ma per loro, ridotti alla miseria da Bogue, enorme – ricompensa. Il pistolero accetta e, di lì a poco, ricompra il cavallo di Josh (che lo aveva perso al gioco) e lo recluta. I quattro partono per cercare altri mercenari: Sam convince il fuorilegge messicano Vasquez (Manuel Gracia-Ruffo), ricercato per omicidio, a essere della partita (in cambio lui lo cancellerà dei suoi elenchi) e, dopo poco si unirà a loro il bestione Jack Horne (D’Onofrio), mentre Josh, dopo aver visto l’orientale Billy Rocks (Byung-Hun) uccidere per scommessa un cow-boy (Ritchie Montgomery) armato di pistola con un coltello e il leggendario exufficiale sudista Goodnight Robicheaux (Hawke), suo amico e protettore, raccogliere le vincite, li invita a nome di Sam, vecchio amico di Goodnight – Goodie per gli amici – a venire con loro. I due accettano, anche perché Goodie è convinto che in ballo ci siano molti più soldi della misera paga promessa. Mentre sono in cammino, incontrano l’indiano Red Harvest (Martin Sensmeier) e Sam, che parla un po’ di comanche, recluta anche lui. Ora sono 7 e quando arrivano al villaggio, lo sceriffo Harp (Dane Rhodes) – al soldo di Bogue – li aspetta con una torma di armati; nella scontro, ne uccidono 22 (tutti tranne Goodnight, che è come paralizzato dall’angoscia) e, scovato, Harp, che si era nascosto all’inizio della sparatoria, lo mandano dal suo padrone, sfidandolo a venire ad affrontarli; lo sceriffo, terrorizzato, esegue e Bogue, dopo averlo ucciso, si prepara a mettere insieme un piccolo esercito. I 7 addestrano al combattimento agli impreparatissimi contadini (solo Emma ha una qualche dimestichezza con le armi), congegnano trappole per rendere più arduo il compito agli assalitori e rubano armi e dinamite dal deposito della miniera. Red Harvest, che era partito in ricognizione, dopo due giorni torna per avvertirli che Bogue e i suoi arriveranno all’alba del giorno dopo. La sera Goodnight va via, confessando a Sam la proprie paure: se ne vergogna ma è convinto che se sparerà ancora lo attenderà una morte orribile. Bogue arriva la mattina dopo con decine di pistoleri ma, grazie anche alle ingegnose trappole, i primi scontri ne vedono la decimazione – non è estraneo al successo il ritorno di Goodie che uccide decine di avversari prima di morire assieme a Bill – ma lui ha in serbo un arma segreta: una potente mitragliatrice che sembra avere la meglio sui nostri eroi, quando Josh si lancia contro il mitragliere (Jackson Beals) e, pur crivellato di colpi, riesce a far saltare l’arma con un candelotto di esplosivo. La battaglia è vinta e Sam affronta Bogue che lo supplica di lasciarlo vivo: il pistolero ha con lui, però, un conto aperto: i suoi uomini avevano ucciso e violentato sua moglie e le sue figlie e lo invita a pregare prima di morire ma sarà Emma a dargli il colpo di grazia. Anche Horne è morto dopo aver massacrato parecchi mercenari con la pistola, l’ascia e le mani nude e Sam, Vasquez e Red Harvest ripartono, salutati da eroi. Fuqua ha dichiarato di aver avuto presente, nel preparare il film, più I 7 samurai (1957) di Kurosawa de I magnifici 7 (1960) di Sturges (che ne era il dichiarato remake). Questo spiega alcune delle differenze tra i due western: quello del ’60 era solare e i 7 – ma anche i loro nemici – erano fracassoni e simpatici, mentre questo è crepuscolare e gli eroi – tranne qualche battutina tra Vasquez e Josh – sono seriosi e portatori di ideali (il cattivo, poi, è una summa di tutte le figure negative del perfido capitalismo: addirittura esordisce con la frase: “Il capitalismo è Dio!” prima di massacrare i bravi contadini). C’è poi un versante d’impegno: Sam è nero -non è la prima volta che il cinema racconta di pistoleri di colore, da Invito ad una sparatoria (1964) di Richard Wilson in poi – e alla fine si salva solo lui, l’indiano e il messicano; la donna è, post-femministicamente, coraggiosa e, in qualche modo surroga i caratteri – il combattente-contadino – che negli altri due film erano affidati a Toshiro Mifune e a Horst Bucholz; per far spazio alla multietnicità dei protagonisti i due caratteri, presenti nel film di Sturges, il paranoico Lee/Robert Vaughn e l’avido Harry Luck/Brad Dexter, sono assommati nel pensoso Goodnight di Ethan Hawke. Detto questo, il film ha dei momenti piacevoli, solo che non si capisce perché si sia sentita la necessità di fare un pallido remake di uno dei capisaldi del cinema western, al quale, ad esempio, Leone e Peckinpah si sono fortemente ispirati e che ha lanciato i tre divi più significativi degli anni successivi: Steve McQueen, Charles Bronson e James Coburn, affidandolo ad un regista più a suo agio nell’action con risvolti sociali (Training day, The equalizer, Attacco al potere). Esempi di remake falliti di western storici non ne mancavano – vedi l’insopportabile Quel treno per Yuma di Mangold del 2007 – e, di più, con la splendida eccezione del grandissimo Peckinpah, il western è morto da tempo e la deriva impegnata – iniziata con Soldato blu di Ralph Nelson del 1970 (che era stato visto come un parallelo tra la conquista del west e la guerra in Viet-Nam) – non ha fatto che accelerarne la decomposizione. The Beatles - Eight Days a Week di Ron Howard. Con Paul McCartney, Ringo Starr, John Lennon, George Harrison USA 2016 Ai tempi di Happy Days, i Beatles, in tour in America, erano andati sul set ma – ricorda Ron Howard protagonista della serie nel ruolo di Richie – non per lui: volevano conoscere Fonzie (Henry Winkler). L’incontro l’ha però segnato se 50 anni dopo decide di girare su di loro il suo primo documentario. Altre volte la televisione ha commissionato documenti su i Fab Four (What’s happening! The Beatles in the USA di fratelli Maysles è un precedente del quale Howard ha certamente tenuto conto) ma, per la prima volta, ci viene raccontata l’evoluzione del gruppo pop più importante della storia dall’interno ed i Beatles ci arrivano con la loro genialità ma anche con le loro fragilità; anche fisicamente, li vediamo ragazzi nei primi due anni dei loro successi e precocemente adulti negli anni immediatamente successivi, logorati da un circo (sono loro stessi a definirli così) che tendeva a mostrificarli (“freaks” è il termina con il quali George definisce se stesso e i suoi compagni). Ci sono interviste a Paul e Ringo, che – dopo anni di presa di distanza – rivendicano la forza del loro team, dichiarazioni di John e George che riportano alla musica il valore di fondo del gruppo e varie testimonianze di personaggi che avevano, come testimoni o semplici fan, partecipato a quel fenomeno e inserti nei quali appare il geniale Richard Lester, con sequenze di A hard day’s night e Help!, i due deliziosi film nei quali li ha diretti. Seguiamo i Beatles dalle prime esibizioni nelle cantine di Liverpool, alla dura gavetta di Amburgo, ai primi successi, ai massacranti – e alienanti (nel frastuono non sentivano le proprie voci e Ringo racconta di aver suonato basandosi sui movimenti del sedere degli altri tre e sul battito del piede di Paul) – tour americani, alla decisione di non esibirsi più in pubblico e di concentrarsi sulle registrazioni- da qui nacquero lp-capolavoro, quali Revolver, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (il miglior album pop di sempre per moltissimi critici) e The Beatles/White Album – fino al concerto di addio sul terrazzo della Apple il 30 gennaio del ’69, ripreso dal film Let it be. La storia è puntellata da testimonianze di addetti ai lavori, quali il giornalista Larry Kane che, ventenne, li seguì nel loro primo tour americano, il critico Jon Savage, che non poté andare da ragazzino a sentirli perché i genitori glielo proibirono, Lou Costello, loro fan da bambino, frastornato dalla rivoluzione del loro album Rubber Soul. Ci sono poi fan speciali: Whoopi Goldberg che, bambina, capisce che la loro musica è unificante; la storica Kitty Oliver che, partecipò al loro concerto di Jacksonville – allora attraversata da manifestazione contro la segregazione – insieme a tanti ragazzini bianchi, perché loro avevano imposto – minacciando di far saltare la data – che non ci fosse apartheid durante la loro esibizione; la produttrice tv Debbie Supnik, che tredicenne – col suo nome Debbie Gendler – fu intervistata durante la loro apparizione all’Ed Sullivan Show; Sigourney Weaver, adolescente innamorata di John che si schiarì i capelli con la birra, sicura di essere notata dal suo amato in mezzo ad altre 15.000 ragazzine urlanti e il compositore Howard Goodall, che afferma che, nella storia della musica, solo Mozart può – per quantità di brani riusciti – essere paragonato a loro. Quest’ultima testimonianza è la chiave del film: Ron Howard ha gli strumenti giusti per raccontare il successo e l’amicizia (Cocoon, Apollo 13, Rush) e qui viene fuori la profondità del rapporto tra i quattro ma anche con il manager Brian Epstein e con i produttori George Martin e Neil Aspinall ma, soprattutto, riesce – senza forzare il racconto – a far capire quale rivoluzione musicale (per primi inserirono stilemi d’avanguardia nella musica pop), industriale (il LP, fino a quel momento pura raccolta di 45 giri di successo, con loro diventò la vera hit) e sociale (i giovani in quegli anni divennero una forza commerciale e di costume, come mai erano stati in passato) siano stati i Beatles. Il ‘900 è stato teatro di rivoluzioni orrende e cruentissime: il fascismo, il nazismo e il comunismo, ben venga chi ci ricorda l’unica rivoluzione, che ha coinvolto enormi masse migliorandole: la beatlesmania (come ci dice John in Revolution :”Tu parli di rivoluzione, bene, tutti vogliamo cambiare il mondo ma quando mi parli di distruzione.. non contare su di me”) Io prima di te (Me Before You) di Thea Sharrock. Con Emilia Clarke, Sam Claflin, Charles Dance, Jenna Coleman, Matthew Lewis USA 2016 Will Traynor (Claflin) è un giovane finanziere e sportsman di grande successo. Una mattina si attarda a letto con la fidanzata Alicia (Vanessa Kirby) e quando corre per andare al lavoro viene investito da una moto. In un paesino del Galles, dove la famiglia Traynor possiede un castello, vive Lou Clarke (Clarke), che ha appena perso il lavoro di cameriera in un pub e deve aiutare la sua famiglia: il padre disoccupato Bernard (Brendan Coyle), la madre Josie (Samantha Spiro), la sorella Katrina (Coleman), madre nubile del piccolo Thomas (Henri Charles) e il nonno (Alan Breck). L’ufficio di collocamento la indirizza dai Traynor che cercano una persona che tenga compagnia a Will, costretto su di una carrozzella dalla quadriplegia in conseguenza dell’incidente. La madre, Camilla (Janet McTeer) la assume subito – nonostante la sua palese inesperienza – e la accompagna dal figlio, che è in compagnia del fisioterapista Nathan (Stephen Peacoke) e fa dei versi scomposti (si diverte a impressionare gli sconosciuti, imitando il protagonista de Il mio piede sinistro). Nathan le spiega che il suo compito sarà solo di tenere compagnia a Will ma questi la invita ad uscire dalla stanza e a lasciarlo solo. Andrà così per molti giorni, finché i caparbi tentativi di Lou – che stava per lasciare il lavoro ma la sorella la aveva pregata di non farlo, per consentirle di riprendere gli studi – non convinceranno il ragazzo a farla entrare e a vedere con lei il dvd di Uomini di Dio (che li commuove entrambi). Will comincia a lasciare che Lou lo distragga e lo porti in giro ed è divertito da quella ragazza spontanea e diretta e dal suo buffo e variopinto abbigliamento (lei coltiva il sogno di studiare moda per diventare stilista). Una sera si fa addirittura invitare alla festa di compleanno della ragazza e lì conosce la sua famiglia eil fidanzato Patrick (Lewis), un piccolo imprenditore, maniacalmente sportivo, che si ingelosisce subito (di lì a poco la loro storia finirà). Will – che ha dato un lavoro come sovrintendente ai lavori del castello al padre di Lou – riesce anche a superare lo shock della visita di Alicia e del suo migliore amico Rupert (Ben Lloyd-Hughes), che gli annunciano il loro fidanzamento. Lou lo convince addirittura ad andare al loro matrimonio e lì lo porta in pista e balla, flirtando con lui, seduta sulle sue ginocchia per far indispettire Alicia. Al ritorno dalla festa, Will le chiede di stare in macchina qualche minuto: da tempo non stava così bene e vuole prolungare un po’ quella sensazione. Gli strapazzi di quei giorni, però influiscono sulla sua fragile struttura e Nathan deve spesso intervenire per rimetterlo in sesto; una crisi polmonare è più grave di altre e Lou non si muove, giorno e notte, dalla sua stanza. Lui si riprende ma da una lettera proveniente dalla Svizzera, che provoca una dolorosa discussione tra la madre e il padre (Dance) di Will, lei viene a sapere che lui ha concesso ai genitori di rimanere a casa per sei mesi prima di sottoporsi all’eutanasia in una clinica specializzata. La prima reazione della ragazza è di andarsene ma poi, decide di farsi dare un budget che spenderà per fare con lui tutto quello che può farlo il più possibile felice. Vanno alle corse, a un concerto, si avventurano rischiosamente tra i merli del castello, dove Will ha trascorso i momenti sereni della sua infanzia e, infine, partono con Nathan per una vacanza da sogno alle Mauritius. Qui tutti e tre si divertono come adolescenti e, una sera che Nathan accompagna in albergo una biondina (Lilly Travers) che ha rimorchiato, Will chiede a Lou di dormire con lui e a letto la bacia e lei gli si stringe contro. L’ultima sera di vacanza lei gli chiede se ha ancora intenzione di andare in clinica – sperando di essere riuscita a fargli cambiare idea – e lui, raggelandola, le spiega che nulla è cambiato: meglio morire con un bel ricordo che patire le sue quotidiane sofferenze con il timore che l’amore di lei si tramuti in compatimento. Lei, piangendo, lo accusa di egoismo e quando rientrano se ne va, dicendo a Lady Camilla che non vuole il salario perché ha fallito. A casa, suo padre la invita a ripensarci e ad accettare, per amore, la decisione dolorosa di lui. Lei corre in Svizzera e fa in tempo ad abbracciarlo per l’ultima volta. Alla fine la vediamo a Parigi – nel bar del quale lui le aveva tanto parlato – dove studia moda grazie ad un lascito di Will. Amore e malattia, amore e morte sono temi ricorrenti nella letteratura e nel cinema melò, basti pensare a Love story (leucemia), Autumn in New York (neuroblastoma cardiaco), Amore e altri rimedi (Parkinson precoce); la scrittrice Jojo Moyes, forte di questa tradizione ha sfornato nel 2012 il bestseller da cui è tratto il film – avendo anche presente il blockbuster Quasi amici, uscito un anno prima – e lo ha anche sceneggiato. Ora, va detto che una legge non scritta del cinema impone di non affidare all’autore di un romanzo l’adattamento per lo schermo di un suo romanzo; il motivo è semplice: spesso quello che sulla pagina funziona ed ha un senso, sullo schermo non ha affatto la stessa efficacia ma chi ha scritto un romanzo (specialmente se di successo) rischia di essere troppo affezionato alla propria opera per adattarla alle nuove esigenze. Questo è forse il difetto più vistoso di Io prima di voi: i blocchi di racconto sono un po’ sfasati e alcuni personaggi – il fidanzato di lei, gli amici di lui e la simpatica pettegola (Joanna Lumley) alla festa di nozze – che, nello scritto, danno colore, sullo schermo – che esige maggiore linearità – sono incongrui con il racconto. La regista, per la sua parte, ha una bella storia di teatro alle spalle ma è alla sua opera prima per il cinema e non ha, probabilmente il mestiere sufficiente per correggere questi errori. Per il resto, però, la sua direzione è scorrevole e gli attori sono ben scelti e ben diretti. Emilia Clarke, tra gli altri, reduce dal ruolo della Madre dei Draghi ne Il trono di spade, trova spesso le smorfiette giuste per accattivare il pubblico al suo personaggio. Una menzione per Jill Taylor, costumista di molti film dell’esigentissimo Woody Allen, che con i suoi variopinti vestiti, scarpe e collant degni dell’Ape Maya, sottolinea perfettamente l’estroversione di Lou. Ritual - Una storia psicomagica di Giulia Brazzale, Luca Immesi. Con Desirèe Giorgetti, Ivan Franek, Anna Bonasso, Alejandro Jodorowsky, Cosimo Cinieri Italia 2013. Lia (Giorgetti) è una creatrice di moda e vive con Victor (Franek), uomo d’affari narciso e possessivo, un rapporto d’intensa e sofferta dipendenza. E’ in cura psicanalitica dal dott. Guerrieri (Cinieri), al quale racconta di quando, bambina (Giulia Carissimi) andava in un paesino del veneto dalla zia Agata (Zanin Mariaciara), guaritrice e cartomante: qui aveva avuto precocemente le prime mestruazioni e le aveva vissute con angoscia come una sorta di punizione per aver “violato” la cappella nella quale era seppellito un uomo il cui corpo – si diceva in paese – era stato sottratto dal demonio. Un giorno, rientrata tardi da un appuntamento con lo stilista Flavio (Giuseppe Ferlito) trova ad attenderla l’inferocito Victor che la aggredisce e la possiede brutalmente. Poco dopo aspetta un bambino ma il compagno la induce, contro la sua volontà, ad abortire. Il suo fragile equilibrio diventa ancora più precario e, dopo un tentativo di suicidio, decide – anche su suggerimento del terapeuta – di andare dalla zia (Bonasso). Agata la accudisce, mentre aiuta, con i tarocchi e piccoli riti magici, i compaesani a superare i loro problemi. Lei, intanto, si intrattiene con i salbanei (folletti in veneto), due bimbi immaginari (Nicola Arabi e Gaia Ziche) che, con la brutale ma poetica sincerità dei piccoli, la mettono di fronte al suo dolore. Quando, però, le si palesa l’Anquana (Patrizia Laquidara) – ninfa dei boschi – che canta la ninna nanna al suo bambino morto e lei stessa comincia a ninnare un bambolotto, Agata capisce che deve fare qualcosa. La situazione precipita quando arriva Victor – deciso a portarla via – e lei viene nuovamente risucchiata dalla dipendenza psicologico-sessuale che la lega a lui. La zia consulta lo spirito del marito defunto Fernando (Jodorowsky) che l’aveva iniziata alla psicomagia e decide di dover intervenire rapidamente per salvare la nipote; caccia di casa Victor e comincia un rito di purificazione sulla nipote. Victor va in paese e nel locale di Beppe (Fabio Gemo), beve troppo e rimorchia Gloria (Roberta Sparta) ma, poco dopo, torna nella villa e, scavalcato il muretto, entra, interrompe il rito e si addormenta ubriaco. All’alba Agata la sveglia e completa il rito: prende un mango che le aveva legato sulla pancia, lo mette in una scatola di legno e lo seppellisce, dicendo che quella sarà la tomba del bambino mai nato. Improvvisamente sollevata, Lia torna a casa ma sul letto trova la scatola disseppellita: Victor le aveva seguite e – gridando che la farà rinchiudere – scaglia in terra il frutto, rompendolo. Lia perde il lume della ragione, lo accoltella con un paio di forbici e, mentre lui muore, culla il bambolotto-neonato in compagnia dei salbanei. Abbiamo trovato questo film in una bella rassegna di opere di autori italiani da ripescare ed è stata una bella sorpresa. I due registi-produttori hanno fatto (e non è certo così comune tra i nostri operatori) appieno il loro mestiere di indipendenti, mettendo insieme, con il solo aiuto di sponsor locali, un racconto intenso e personalissimo. Tanto per cominciare, hanno saputo illustrare un percorso psicologico con grande intensità (per merito anche dell’efficacissima protagonista: un bell’esempio – raro da noi, comune in altri paesi – di attrice nota ai frequentatori di teatro che approda al cinema e riesce a rimodularsi secondo gli stilemi dello schermo) ma, pur partendo da La danza della realtà di Jodorowsky, non sono entrati nel mondo magicamente surreale dell’autore (non a caso, stretto collaboratore nella sua giovinezza di Arrabal e Topor, con i quali aveva creato il movimento teatrale Panico). Il regista de La montagna sacra e di Santa Sangre, ha approvato la sceneggiatura ed ha accettato di apparire in un cameo ma gli autori – forti anche della supervisione di Jeff Gross, sceneggiatore di Polanski – sono andati nella direzione di un racconto realistico, forti della conoscenza dei lavori di Ernesto De Martino (etnologo, autore de Il mondo magico e di Sud e magia), ricavando suggestioni e magie dalle filastrocche e canzoni della tradizione popolare veneta e attingendo gli atti psicomagici dalle ritualità del quotidiano contadino. Lo so che può apparire blasfemo ma Jodorowsky senza la sua (vogliamo dirlo? pesante!) sovrastruttura ieratico-surreale è meglio. Della protagonista abbiamo detto ma il cast è tutto ben amalgamato. Belle le musiche della Laquidara e di Moby. Il film sta ancora girando in rassegne (ma è anche in uscita il dvd): se vi capita, non perdetelo! Suicide Squad di David Ayer. Con Jared Leto, Ben Affleck, Will Smith, Margot Robbie, Joel Kinnaman USA 2016 Dopo la morte di Superman (vedi Batman v Superman: Dawn of Justice) l’ agente governativo Amanda Waller (Viola Davis) convince lo Stato Maggiore degli Stati Uniti ad appoggiare il suo progetto di formare un team di supercriminali che possa essere usato contro eventuali nemici dotati di superpoteri. Il compito di mettere insieme la squadra viene affidato al colonnello Rick Flag (Kinnaman), sia per la sua capacità militare che perché è innamorato della archeologa June Moone (Carla Delevingne), la quale in una spedizione era stata posseduta dalla potentissima Incantatrice, che sarà nella squadra sotto il doppio controllo del colonnello e della Waller che ne conserva il cuore in una valigetta. Flag si reca al carcere-manicomio Arkham Asylum, che ospita in regime di massima sicurezza tutti i supercriminali e qui recluta Harley Quinn (Robbie) – ex-psichiatra dell’Arkham, che aveva avuto in cura il Joker (Leto) e se ne era innamorata, diventando a sua volta una formidabile assassina -,il killer Deadshot (Smith) – il più infallibile tiratore del mondo, che era stato catturato da Batman (Affleck), una sera nella quale era a passeggio con l’amata figlia Zoe (Shailyn Pierre-Dixon) e non gli aveva sparato per non spaventarla -,El Diablo (Jay Hernandez )– un bandito che ha il potere di scatenare il fuoco ma non è in grado di governarlo e (dopo un evento spaventoso, ha deciso di non usarlo più -, Capitan Boomerang (Jai Cortney) – un rapinatore solitario australiano, armato di sofisticatissimi e mortali boomerang, che era stato arrestato da Flash (Ezra Miller), dopo un colpo ad una gioielleria, nel quale aveva ucciso il suo complice per non dividere il ricchissimo bottino – e Killer Croc (Adewale Akinnuoye-Agbaje) – gigante cannibale anfibio dalla pelle squamata. Una sera Incantatrice si impadronisce di June e riesce a fuggire alla sorveglianza di Rick e dopo aver ucciso un passeggero (Alain Chanoine) della metropolitana, tramette nel suo corpo lo spirito del del proprio fratello Incubus. Flag va dalla Waller, che, dopo aver ferito il cuore della maga e ucciso i militari presenti al loro colloquio, per evitare che potessero rivelare il segreto, gli ordina di partire in missione con la Suicide Squad, senza rivelare il vero scopo della missione. Al gruppo si unisce il mercenario Slipknot (Adam Beach) – uno strangolatore letale e agilissimo nell’arrampicarsi; ad ognuno dei supercriminali viene impiantata nel collo una carica esplosiva per scoraggiare qualsiasi tentativo di fuga o ribellione e insieme partono per la misteriosa missione, raggiunti dalla guardia del corpo Katana (Kaaren Fukuhara) – che, dopo aver ucciso gli assassini del marito, ha fatta sua la loro spada che imprigiona l’anima di coloro che cadono sotto i suoi colpi. Incantatrice, mentre il fratello uccide varie persone, trasformandole in mostri-killer di pietra dura, comincia costruire un’enorme arma, che moltiplichi i suoi poteri, parzialmente indeboliti dalle ferite al cuore inferte dalla Waller. Slipknot si fa convincere da Boomerang (che vuol capire se davvero è stata loro impiantata una mini-bomba) a tentare la fuga e l’esplosivo lo mette fuori gioco Nel frattempo, Joker, cattura Griggs (Ike Barinholtz), il sadico capo delle guardie carcerarie dell’Arhham Asylum, lo fa parlare e riesce a disattivare a distanza la carica esplosiva nel collo di Hayley. La Squadra combatte contro i mostri e raggiunge il primo obiettivo: il quartier generale di Amanda Waller, che si fa scortare sul tetto del palazzo ma l’elicottero in arrivo è stato dirottato da Joker, che lancia una corda alla fidanzata e, quando la Waller ordina a Deadshot di spararle, lui sbaglia appositamente mira ma il velivolo viene abbattuto dalle truppe di Incantatrice, uccidendo tutti, compreso (apparentemente) Joker, tranne Harley; la stessa Waller viene catturata e tenuta in ostaggio con un sistema di cavi che le traggono tutti i segreti militari dalla mente. Rick Flag decide di continuare da solo la missione, ormai disperata, nella speranza di liberare June dalla possessione di Incantesimo ma i componenti della Squadra, dopo una bevuta in un bar – durante la quale El Diablo confessa di aver inavvertitamente ucciso l’amata moglie(Corina Calderon) e i loro due figli (Daniela e Nicolas Uruena) – decidono di andare fino in fondo e di seguirlo. Arrivano alla stazione dismessa della metropolitana nella quale Incantatrice tiene prigioniera Waller e comincia a usare l’arma contro obiettivi militari sensisibili e – mentre un gruppo di Navy Seals guidati dal Tenente Edwards (Scott Eastwood) e da Killer Croc si immerge nella fognatura sottostante per mettere una bomba sotto Incubus, gli altri affrontano i due super-maghi, El Diablo, diventa un gigante di fuoco e riesce tenere bloccato Incubus, fino all’esplosione che li uccide entrambi. Incantatrice sembra, però, invincibile e, quando offre ai membri della squadra di esaudire i loro desideri se si schierano con lei, Harley Quinn accetta ma, quando le è vicina, le strappa il cuore (che la maga aveva recuperato dalla Waller) dal petto; Killer Croc e Deadshot riescono assieme a distruggere la misteriosa arma e Flag, sbriciolandole il cuore, uccide Incantatrice, liberando June dalla possessione. La Waller, ora libera, concede ai membri della squadra alcuni privilegi e dieci anni di sconto sulla pena (li vuole poter ancora usare per altre missioni disperate). Poco dopo Joker, sopravvissuto allo schianto dell’elicottero, irrompe nella prigione e fa evadere Harley Quinn. La differenza tra i supereroi Marvel (Spiderman, Iron Man, Thor, Hulk) e quelli D.C. (Superman, Batman) – che è la creatrice della Suicide Squad – è, come abbiamo già visto, nella costante ironia che caratterizza, anche nei momenti più drammatici, le creature di Stan Lee. Gli eroi D.C. – soprattutto degli anni ’90 in poi – sono invece sempre un po’ pietrificati nelle loro elucubrazioni sul Bene e il Male; naturalmente le trasposizioni cinematografiche vanno nella stessa scia dei comics (il recente Batman v Superman: Dawn of Justice ne è un monumentale esempio). Negli anni precedenti anche Batman e Superman erano, se non ironici, almeno un po’ più easy (i Supeman del geniale Richard Lester e il Batman: the movie del televisivo Leslie Martinson erano pieni di allegre scazzottate). Anche la Suicide Squad - o Tax Force x come sarà ribattezzata negli anni ’80 – è nelle sue elaborazioni fumettistiche e di animazione piuttosto seriosa. La scelta di Ayer per dirigere la trasposizione cinematografica è sicuramente azzeccata: lui è l’autore di Fury, dove aveva raccontato benissimo lo spirito di gruppo nell’equipaggio di un carrarmato e l’adrenalina della battaglia. Certo, la sceneggiatura è un po’ asmatica, lo stesso Ayer è solidissimo nella regia ma non così vivace nel montaggio (lo scontro finale di Avengers, per dire era un balletto). Due cose però sono superlative: il cast e le musiche. Per il primo – dopo aver lamentato l’assenza di due membri della squadra originale: Poison Ivy (Batman e Robin) e Bane (Il cavaliere oscuro – Il ritorno), forse per l’indisponibilità di Uma Thurman e di Tom Hardy che li avevano interpretati – composto tutto da ottimi attori, non si può non sottolineare, oltre alla conferma del talento di Will Smith, la prodigiosa Margot Robbie, alla quale il film deve gran parte del successo: la sua Harley Quinn è un carattere destinato a permanere nella memoria collettiva. Le musiche per la loro parte sono scelte e usate con un tratto di genio (The house of rising son degli Animals per Deadshot, Sympathy for the Devil dei Rolling Stones per Joker-Harley, Spirit in the sky di Norman Breenbaum per le riprese in volo e poi i Quen, Eminem, Etta James, Kanye West, quasi a coprire egregiamante qualche vuoto narrativo. Una sequenza del film, poi, illustra benissimo lo spirito un po’ retorico della D.C. Comics: quella in cui l’Incantatrice materializza i sogni dei nostri supercriminali: eccoli immersi in ideali da borgesucci pantofolai: I fiori d’arancio, la casetta, la famigliola! It Follows di David Robert Mitchell. Con Maika Monroe, Keir Gilchrist, Jake Weary, Olivia Luccardi, Daniel Zovatto USA 2014 Nella periferia di Detroit, una ragazza, Annie (Bailey Spry), entra ed esce terrorizzata da casa, poi fugge con la macchina e, dopo che ha telefonato al padre (Loren Bass), la troviamo morta con la gamba spezzata in modo innaturale sulla spiaggia. Jay Height (Monroe) va al cinema con il suo ragazzo Hugh (Weary) ma lui dopo poco la riporta a casa, spaventato da una donna che solo lui ha visto. Pochi giorni dopo, loro due in macchina fanno l’amore per la prima volta e, alla fine, lui prima la cloroformizza e poi la porta legata su di una sedia a rotelle in un palazzo diroccato, dicendole che così facendo le ha passato la propria maledizione ed ecco apparire dal nulla un’ inquietante donna nuda che lentamente va verso di lei. Hugh la slega e la scarica, svenuta,davanti a casa. Qui i suoi genitori (Ele Barda e Debbie Williams) e l’agente venuto a raccogliere la denuncia stentano a credere a quella strana storia, mentre la sorella minore Kelly (Lilly Sepe) e gli amici Yara (Luccardi) e Paul (Gilchrist) le promettono di starle vicino ed aiutarla. L’indomani a scuola, Jay deve scappare da una vecchia (Ingrid Mortimer) in camicia da notte che le si fa incontro. La notte i ragazzi dormono da lei e, all’improvviso, in cucina le appare una ragazza (Alexyss Spradlin) seminuda che fa la pipì sul pavimento e, quando scappa in camera sua, la porta viene sfondata da un gigante magrissimo (Mike Lanier). Lei scappa nel parco e viene raggiunta dagli amici e da Greg Hannigan (Zovatto), il giovane vicino di casa. Insieme decidono di andare nella casa di Hugh per chiedere spiegazioni ma trovano una catapecchia diroccata, dove, però, apprendono che il vero nome del ragazzo è Jeff Redmond. Lo rintracciano e lui spiega a Jay che la sua maledizione è cominciata con un rapporto occasionale con una ragazza e che non si sente sicuro perché, anche se lo ha passato a lei, non è completamente immune e che se lei fosse uccisa da uno dei persecutori, il maleficio tornerebbe a lui; la mette, inoltre, in guardia: gli inseguitori possono prendere anche la forma di qualcuno che le vuole bene. I ragazzi scappano in una villetta al mare della famiglia di Greg ma anche qui nuove terrorizzanti presenze si materializzano. Jay perde la testa e scappa con la macchina ma sbanda e finisce in ospedale con qualche contusione. Qui Greg, che non ha paura ed è un gran dongiovanni, fa l’amore con lei. Ora la maledizione dovrebbe essere arrivata a lui e, infatti, una notte lei distingue un’ombra che entra dalla finestra della casa dei vicini e si precipita ad avvertirlo del pericolo ma, quando sta per arrivare nella sua stanza, vede la signora Hannigan (Leisa Pulido) che bussa alla porta del figlio e che, quando lui apre, fa un balzo e lo uccide. La maledizione è tornata da lei e i ragazzi hanno un piano: vanno nottetempo nella piscina comunale, armati di svariati congegni elettrici, lei si tuffa nella vasca e gli altri sono pronti a inserire le spine e a gettarli in acqua non appena un persecutore la seguisse nell’acqua. Eccolo, nella forma del padre di Jay che comincia a bersagliarla con i ferri da stiro, i televisori e tutti gli altri attrezzi, per poi buttarsi in piscina ma con una pistola che si erano portati appresso lo uccidono e la piscina diventa tutta rosso sangue. Tornata a casa Jay accetta l’offerta di Paul, che – da sempre innamorato – le continua a proporre di far l’amore per prendere su di se il maleficio. L’indomani mattina escono tenendosi per mano e qualcuno, forse meno minaccioso, li segue. L’horror è uno dei generi più vecchi della storia del cinema e, non a caso, tra i primi divi dello schermo troviamo il re del genere Lon Chaney (Il fantasma dell’Opera, Lo sconosciuto, La serpe di Zanzibar), padre del primo, ineguagliato Uomo lupo, Lon Cheney jr, D’altronde, il primo Novecento aveva visto il trionfo del Teatro del Grand Guignol, regno di drammi sanguinolenti, che aveva avuto rapidamente epigoni in tutta Europa – in Italia la compagnia Sainati (“Sai i morti!”, diceva Petrolini). In tempi più recenti studiosi di psicologia del profondo hanno individuato nella natura onirica della fruizione dei film la radice della sua forza espressiva e cosa è più simile ad un incubo di un film horror? Negli anni settanta/ottanta, in non casuale coincidenza con la conquistata libertà sessuale dei giovani, si sono affermati alcuni grandi autori, Tobe Hopper, John Carpenter, Wes Craven e Sean Cunningham che hanno dato vita a splendidi filoni adolescenziali del genere: rispettivamente Non aprite quella porta!, Halloween, Nightmare e Venerdì 13 , tutti – soprattutto l’ultimo – incentrati su mostri che, prevalentemente, colpiscono ragazzi che si appartano a fare sesso. Mitchell, che è un giovane cinefilo – lo dimostrano le citazioni di due b/movies-chicche: Guerra tra i pianeti di William Lee Wilder (fratello del grande Billy) e Voyage to the Planet of Prehistoric Women, ingenua opera prima di Peter Bogdanovich – fa del sesso tra ragazzi la causa scatenante dell’orrore e, con pochissimi effetti, riesce, riprendendo splendidamente la periferia di Detroit, a creare angoscia quasi dal nulla. D’altronde, (il tirchissimo e geniale Roger Corman e il miracoloso Mario Bava insegnano) il grande horror è fatto di atmosfere e di sospensioni che si ottengono meglio con pochi mezzi che con gigantesche baracconate che spezzano la suspense. Aiutano – e non poco – le stranianti musiche di Disasterpeace. Il piano di Maggie - A cosa servono gli uomini (Maggie's Plan) di Rebecca Miller. Con Greta Gerwig, Julianne Moore, Ethan Hawke, Bill Hader, Maya Rudolph USA 2015 Maggie (Gerwig) single giovane docente di Arte Applicata dice al suo amico Tony (Hader), di aver deciso di farsi inseminare artificialmente e di aver scelto per questo il loro ex compagno di scuola Guy (Travis Fimmel), produttore di sottaceti con la passione per la matematica. Quest’ultimo accetta e lei gli consegna una provetta che lui dovrà riempire e portarle dopo un paio di settimane. A scuola incontra John (Hawke), docente di Antropologia perché entrambi sono dalla Segretaria Beverly (Fredi Walker-Browne): lei ha ricevuto un doppio assegno dello stipendio e lui nessuno; da questo contrattempo nasce una amicizia e lui – il cui matrimonio con l’egocentrica e brillante Georgette (Moore), saggista di successo, è in crisi – le si lega molto e le fa leggere un romanzo che sta scrivendo. La sera dell’appuntamento con Guy, lui ha dimenticato la provetta e ne riempie un’altra nel bagno di Maggie ma, mentre lei si sta infilando il seme, suona John, che, sconvolto, le dice di amarla e di voler lasciare la moglie e i due fanno l’amore. Due anni dopo, sono insieme ed hanno una bimba di nome Lily (Ida Rohatyn); lui lavora al romanzo e a lei è affidata tutta la gestione della famiglia, compresi i figli di lui – Justine (Mina Sundwall) e Paul (Jackson Frazer) – quando tocca a lui tenerli. Un giorno, lei va con l’amica Felicia (Rudolph), moglie di Tony, alla presentazione dell’ultimo libro di Georgette – un saggio femminista sulle geishe, che in realtà è un esplicito atto d’accusa all’ex marito e a lei – e, conoscendola, intuisce che è la donna giusta per John (lui si sta troppo lasciando andare e, inoltre, passa ore ed ore a parlare al telefono con la ex). Il rapporto tra le due donne comincia a sciogliersi ma quando Maggie propone a Georgette di riprendersi John, lei la scaccia arrabbiata, salvo poco dopo rincontrarla e concertare con lei un piano: lei sarà relatrice ad una conferenza di antropologia ad Ottawa, farà in modo che sia invitato anche John e lì proverà e riconquistarlo. Il piano – complice anche una tempesta di neve che fa annullare tutti voli e li tiene in albergo per vari giorni – funziona e John, tornato a casa, confessa, pieno di sensi di colpa, a Maggie di esser riandato a letto con l’ex moglie. Lei si mostra comprensiva e lo invita a riflettere sulla possibilità che ami ancora Georgette. Lui riprende a frequentare la propria ex casa – stando attento a non creare un nuovo scombussolamento ai figli con un repentino ritorno – ma una sera litiga con Georgette e va da Felicia e Tony; questi, che ha bevuto troppo, si lascia sfuggire una frase sul piano di Maggie e lui, furibondo con entrambe le sue due mogli, fa una scenata, prende le sue cose e si allontana da tutti. Ora è Georgette ad affidarsi completamente a Maggie, che di nuovo fa in modo che i due ex si rivedano e si mettano definitivamente insieme. Qualche tempo dopo, sono tutti insieme a pattinare, quando Felicia fa notare a Maggie quanto la piccola Lily sia portata per i numeri ed ecco arrivare, armato di pattini, il matematico mancato Guy: vuoi vedere che la inseminazione, nonostante i pasticci…? (lei per aprire a John lo aveva perso sul pavimento). Rebecca Miller, scrittrice, attrice sceneggiatrice, è la figlia di Arthur Miller ed è al suo quinto film come regista. La sua vena è, inevitabilmente, intellettualistica ed è una habituè del Sundance Film Festival (dove ha vinto premi con i suoi primi due film, Angela e Personal velocity), da vari anni la più importante rassegna del cinema indipendente americano. Questa è, forse, la sua operazione più compiuta – il film è stato invitato anche all’ultima Berlinale – forse anche per merito della scelta di prendere le mosse dal bestseller di Karen Rinaldi A che servono gli uomini. Certamente il cast aiuta: non solo i tre protagonisti sono prefetti nei ruoli ma è sempre un piacere vedere la multiforme Maya Rudolph (imitatrice al mitico Saturday Night Live, brillante co-protagonista de Le amiche della sposa e intensa protagonista di American Life); in un piccolo ruolo c’è anche il grande Wallace Shawn (presente in molti film di Woody Allen e indimenticabile zio Vanja in Vanja nella 42sima strada di Louis Malle). Kiki & i segreti del sesso (Kiki, el amor se hace) di Paco León. Con Natalia de Molina, Álex García, Paco León, Ana Katz, Belén Cuesta Spagna 2016 Natalia (de Molina) e Alex (Garcìa) hanno appena fatto l’amore ma lei ha un segreto da confessare: In un emporio è stata aggredita da un rapinatore (Jacobo Sanchez) e si è eccitata moltissimo, scoprendo così di essere soggetta alla perversione sessuale chiamata arpaxofilia. Poco dopo vanno a fare un picnic nel bosco con la sorella di lei, Asun (Yael Belicha) e il suo compagno Rubèn (David Mora) e Alex prova ad aggredire Natalia, fingendosi un bandito ma lei non ci casca e, poco distante, Asun si masturba appoggiata ad una pianta: è dendrofila e si eccita con i vegetali (anche la sorella ne è blandamente affetta: è una caratteristica della loro famiglia un po’ speciale: il loro nonno materno, ad esempio era storpio perché la nonna era affetta da abasiofilia: attrazione verso le difficoltà motorie).Una sera, dopo una cena fuori, al parcheggio vengono aggrediti da due malviventi (Mario Sanchez e Alvaro Rodriguez), che in realtà sono due attori ingaggiati da Alex ma quando lui prende il posto di uno dei due e la afferra da dietro, Natalia lo butta a terra; all’ospedale tutto si chiarisce e lui, come lei sognava da tempo, le chiede di sposarlo. Paco (Leòn) e Ana (Katz) sono da un terapeuta sessuale (Eduardo Recabarren) perché qualcosa non va nel loro rapporto: lui è un po’ frettoloso e lei non è brava a fare i pompini. A casa provano a sbloccarsi ma arriva la loro amica Belèn (Cuesta), bisex e disinvoltissima, che li invita ad una festa nel locale per scambisti nel quale lavora. Qui bevono un po’, lui va fare pipì e s’ imbatte in Eduardo (Sergio Torrico), uno sportivo che gli chiede di fargli pipì addosso (urofilia), lui si ritrae ma alla fine cede e Belèn, per consolare Anna che è un po’ brilla e confusa dall’ambiente le dà un bacio in bocca; Ana ne rimane sconvolta e confessa al compagno che è attratta dall’amica. Lui, sulle prime, se ne va sconvolto ma poi la convince a fare l’amore con lei e, quando le due sono a letto, si spoglia e le raggiunge. Formeranno una felice famiglia apertissima, basata sul poliamore. Maria Candelaria (Candela Pena) e Antonio (Luis Callejo), una coppia di giostrai, non riesce ad avere figli e la ginecologa (Blanca Apilànez), le consiglia di trovare una chiave per avere un orgasmo – che lei evidentemente non ha pur in una intensa attività sessuale con il marito – che aiuterebbe la gravidanza. La notizia della morte improvvisa di un amico fa piangere Antonio e lei si accorge di essere dacrifiliaca, di eccitarsi, cioè con le lacrime, al punto di masturbarsi in chiesa al funerale dell’amico. Lei cerca continuamente di far piangere il marito: gli nasconde l’adorato cane, fingendo che sia scomparso e gli dice di essere malata di cancro. Un giorno lei gli dice che va a ritirare le analisi e lui, che comincia a sospettare, la segue e la vede fermarsi a giocare a flipper. Quando la affronta per chiedere una spiegazione, la donna sviene. All’ospedale, vengono a sapere che lei è finalmente incinta. Il chirurgo estetico Josè Luis (Luis Bermejo), confida alla collega Maite (Maite Sandoval), di essere sempre stanco, a causa della moglie Paloma (Mari Paz Sayago), che, da quando è costretta su di una sedia a rotelle, è divenuta aggressiva e scostante e lei – che ha i suoi problemi con una figlia adolescente (Diana Tobar) che vende le proprie mutandine usate ai feticisti – gli dà una boccetta di potente sonnifero. Lui è sonnofllo e ogni sera gliene versa un’abbondante dose e, quando lei è addormentata, la possiede in tutte le posizioni. La loro cameriera filippina Loreley (Rea Gutièrrez) ha capito tutto e, in cambio del suo silenzio, chiede dei seni nuovi. Una mattina, Paloma si sveglie all’una e chiede spiegazione al marito; quando lui confessa, sulle prime, s’infuria ma, poi, capendo che lui le ha dato una prova d’amore, lo abbraccia con passione. La giovane Sandra (Alexandra Jimènez), sta ricevendo Rey (Xavièr Rey), un ragazzo conosciuto in una chat e gli confessa la propria perversione, la efefilia – la eccitano alcuni tessuti – ma, quando tira fuori un fazzoletto di seta e gode toccandolo, lui ride e lei lo caccia, mostrandogli l’apparecchio acustico che ha dietro l’orecchio e gli grida: “sono nevrotica, sorda e mi puzzano i piedi!”. Conoscendo il linguaggio dei gesti, lei fa, di lavoro, l’interprete per i sordi totali. Un giorno deve fare da collegamento tra lo studente Ruben (David Mora), che vuole superare lo stress di un imminente esame e Aixa (Aixa Villagràn), operatrice di una chat erotica; la situazione potrebbe essere imbarazzante ma il ragazzo è così disarmante che Sandra ne è un po’ presa. Lo rincontra ad una festa di piazza – dove troviamo tutti i protagonisti delle varie storie – e, dopo essersi eccitata per la stoffa della sua maglietta, lo bacia appassionatamente. Il film è un quasi remake dell’australiano The little death di Josh Lawson ma Leòn, attore al suo secondo film da regista, ci mette tutta la verve della recente, trasgressiva commedia spagnola (da Almodovar in poi), costruendo una specie di La ronde, senza la malinconia mitteleuropea di Schnitzel ma, anzi, con un’ allegra sfrontatezza tutta neolatina. Non è certo tutto perfetto in questo film: non tutte le trovate sono originalissime (la casalinga in ciabatte della chat erotica era in America oggi di Altman, l’idea che le puzzette di lei siano una prova di amorosa intimità viene da Ted e la donna che si mette a gambe in aria dopo il rapporto per far scendere il seme la abbiamo vista in Maybe baby) ma Kiki e i segreti del sesso è piacevolissimo, anche per merito di un ottimo cast, tutto – a parte Candela Pena che in patria è una star – di attori, almeno da noi, poco noti ma bravissimi. Tremo al pensiero di cosa avrebbe fatto una delle nostre dive se – al posto della perfetta, divertentissima e mai volgare Alexandra Jimènez – avesse dovuto mimare espliciti dialoghi sessuali nella scena della chat. Aiutano – e non poco: illustrano al meglio i personaggi – le scenografie di Vincent Diaz e Montse Sanz e i costumi di Javier Bernal e Pepe Patatìn.