Testo della canzone Last Night

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Testo della canzone Last Night
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Naturalmente il disordine nella camera era quello abituale. Caotico. Il letto sfatto non
era coperto di libri, giornali e altre cianfrusaglie solo perché si era alzato
all’improvviso. Sul tavolino, di tutto. Sull’unica sedia, una pila di fogli.
Come niente fosse, Irina si sedette sull’unico spazio che glielo permetteva: il letto.
Battendo la mano sul lenzuolo stropicciato gli fece segno di sederlesi accanto,
porgendogli la chitarra.
Provò un lieve sentimento d’imbarazzo nel sedersi quasi a contatto della ragazza
sorridente, gli occhi brillanti che si fissarono sulle mani di lui mentre provava
l’accordatura dello strumento. Poi si fermò pensando a cosa cantare guardandole le
labbra, notando ora che non avevano il minimo cenno di rossetto. E che erano delle
belle labbra. Ancora lieve senso d’imbarazzo. «Una canzone italiana?». «Sì, sì. Ne ho
sentita qualcuna in passato. È bella, musicale la tua lingua, con tutte quelle parole che
terminano con le vocali chiare più del russo. Dev’essere facile da imparare. Me la
insegnerai?», chiese ridendo. «Sì, ti darò delle lezioni private. Ma guarda che sono un
professore che si fa pagar caro». «Pagherò tutto quello che vuoi, Prof», e rideva.
“Caro amore, nei tramonti d’aprile, caro amore…”. Gli venne la canzone di De André,
con la musica del Concierto para Aranjuez di Joaquín Rodrigo, che proprio giorni prima
aveva sentito in versione araba di Feyrùz dedicata a Beirùt. Nel captare la parola
‘amore’ lei aveva sussurrato ‘amore’, il viso rilassato con ancora solo una vaga ombra di
sorriso, lo sguardo fisso sulla bocca di lui, immobile, attento, quasi capisse il senso di
quei versi. Certo ne recepiva la mestizia. Alla seconda strofa lui proseguì con l’inizio
della canzone araba: “Li-Beirùt, min qalbi salàmun li-Beirùt… (a Beirùt, dal mio cuore un
saluto a Beirùt)”. Lei corrugò un po’ la fronte e gli guardò gli occhi interrogativa, quasi
avesse inteso lo scarto linguistico con la parola ‘Beirùt’, ma non fiatò e tornò a fissar
le labbra. Riprese il testo italiano continuando fino al finale: “e dove un giorno con un
triste sorriso, ci diremo tra le labbra ormai stanche: eri il mio caro amore”,
terminando con un arpeggio e restando poi in silenzio a guardarla. Lei si allungò appena
un po’ verso di lui in un leggero bacio a fior di labbra. «Again» sussurrò, staccandosi.
Imbarazzo. Anche perché sentiva che le sue difese razionali sarebbero potute cedere
a un certo desiderio che sentiva lievitare, ma che non sapeva, o non voleva, ancora
definire. Superò il disagio attaccando con “Last night I said theese words to my girl…”
in buon strepito di chitarra. L’improvviso rock di Please please me dei Beatles la stupì
per un attimo, aspettandosi un’altra canzone melodica italiana consona all’atmosfera
che s’era creata. Ma la delusione, se pur ci fosse stata, svanì subito e lei prese ad
agitarsi ridendo al serrato ritmo accompagnandolo con battito di mani. Poi s’alzò e
l’agitazione aumentò fino a diventare un susseguirsi di scatti esagitati che – alla fine –
la fecero cadere distesa sul letto. Ansando: «Another Italian song of ‘amore’».
Guardava la ragazza distesa cogli occhi chiusi accanto a lui pensando a quale canzone
cantare, quando sentì bussare alla porta della stanza. «Vieni Nabìl». L’amico entrò
sorridendo in short e maglietta e, apostrofandolo in italiano: «Ho sentito che cantavi i
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Beatles in tono sostenuto. Vuoi eccitare l’amichetta?», tono faceto. E guardò Irina
che era rimasta distesa sul letto accanto a lui, la maglietta un po’ alzata e il ventre
scoperto. «Scusa Nabìl. Ci eravamo chiusi in camera per non disturbarti. Poi sono
stato preso dalla canzone». Allora l’amico, in inglese: «Vi siete chiusi in camera per non
disturbarmi o per altri motivi?», e si volse sorridendo a Irina. Lei sorrise a sua volta,
senza parlare. Continuò: «Nadia si sta facendo la doccia. Dice che ha fretta di perché
deve passare in un negozio a provarsi un vestito prima di prepararsi per il lavoro. Ma
abbiamo il tempo per bere ancora qualcosa assieme».
Non capiva se quell’interruzione l’aveva tolto da una situazione che gli faceva provare
almeno un certo imbarazzo. Oppure l’aveva disturbato, avendogli interrotto una
situazione interiore in cui si trovava a proprio agio e che avrebbe desiderato
prolungare.
Si rese conto d’esserne più dispiaciuto. Senza filare sui possibili, o impossibili, risvolti
che ne sarebbero potuti seguire, cominciava a sentire che star con Irina,
chiacchierare con lei, cantare per lei gli aveva dato piacere. Gli venne da chiedersi se
anche Irina potesse essersi spiaciuta per l’interruzione. Ma no! Cosa può importare a
una giovine ragazza starsene con l’anziano cliente del night? Però…
Finirono la bottiglia di vino rosso.
«Ti piace Arletta?», gli chiedeva Nabìl dopo che le giovani russe se ne erano andate.
«Mi sembravi a tuo agio con lei. Più che stanotte nel night», nicchiò. In quel momento
non gli andava di esporsi troppo neanche con l’amico con cui in genere il rapporto di
confidenza era ben aperto. «Sììì. È simpatica, specie fuori del contesto del night».
«Anch’io ho avuto la stessa impressione. Come pure per Nadia. Tutt’e due non sono le
svampite che appaiono quando le si incontra al night. E poi… Nadia... a letto...»,
concluse ridendo malandrino.
La sera, gli venne da pensar spesso a Irina. La immaginava quand’era stata a casa, quel
pomeriggio, in jeans e maglietta, piuttosto che con la mise da entraîneuse, quel
minivestitino della notte al night. Lì era presa dal suo ruolo professionale, anche se –
data la contingenza della sua compagnia – questo ruolo era solo nella sua apparenza
esterna, perché un po’ del suo animo vero aveva avuto modo di manifestarsi. Qui, a
casa, lei aveva mostrato il suo lato giudizioso, serio. E simpaticamente sbarazzino al di
là delle convenzioni. Il suo aspetto genuino, pensava lui. Con una certa nostalgia, si
sorprese.
(continua alla prossima)
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