Le tensioni in Europa: l`ascesa della Germania e la

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Le tensioni in Europa: l`ascesa della Germania e la
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Le tensioni in Europa: l’ascesa della Germania e la sfida con l’Inghilterra
Da: A. Ribard, La prodigiosa storia dell’umanità, IV, Einaudi, Torino, 1955
L’egemonia economica dell’Inghilterra cominciò ad essere intaccata, negli ultimi decenni del secolo, dal forte
espansionismo tedesco. Come sottolinea lo storico francese André Ribard, «questo imperialismo rassomiglia
straordinariamente a quello britannico, ma la sua giovinezza è più impetuosa». Potendo contare su
eccezionali fonti di materie prime, su una crescente applicazione della scienza all’industria e su una politica
protezionista, la Germania conobbe una grande espansione produttiva e di conseguenza, stante la crisi di
sovrapproduzione che martoriava l’Europa, cominciò a cercare nelle colonie e in altri paesi gli sbocchi
necessari alla propria industria. Ma dovunque essa si rivolgesse, trovava sempre gli onnipresenti inglesi a
sbarrarle la strada. La rivalità economica anglo-tedesca si affermò quindi, nell’età dell’imperialismo, come
una delle principali cause di attrito internazionale, che avrebbero preparato lo scoppio della prima guerra
mondiale.
L’Impero britannico è la più grande potenza mondiale. Londra e Liverpool dominano i mercati del carbone e
del ferro, della lana e del cotone, del caucciù e della seta. Ora che la scoperta della terra è quasi terminata e
che il progresso della tecnica vi ha esteso il dominio dell’uomo, l’Inghilterra, rivelatasi nazione conquistatrice
in quest’ultimo periodo della storia, regna veramente sul mondo. [...]
L’Impero britannico non ha rivali: al riparo della sua supremazia navale, può permettersi, nei periodi di crisi,
di aspettare con tutta tranquillità. [...]
Se l’Inghilterra vuol conservare la sua egemonia, deve quindi vigilare dovunque sui movimenti dell’economia.
D’altra parte essa è in grado di mantenerli sotto il suo controllo perché ha avuto cura di scaglionare le sue
basi lungo le vie marittime: semplici depositi di carbone sono nello stesso tempo fortezze e agenzie che
reggono saldamente la complicata rete delle strade dell’Impero. Grazie ai suoi vasti mezzi, la City è divenuta
maestra nell’arte del dominio capitalistico ed è abbastanza agile per abbandonare un mercato divenuto
inutile e per impossessarsi a tempo di un nuovo centro di produzione, per scoraggiare un concorrente e per
passare senza forti scosse da uno sfruttamento all’altro. Il suo tatto – lo stesso che le ha consentito di
differire, all’interno, la questione sociale [concedendo cioè agli operai caute, ma continue e numerose
riforme] – si dimostrerà infallibile. [...]
In conclusione, quest’autorità si rivela così solida e definita quanto poteva permetterlo l’instabilità delle cose
umane. Se tutti i paesi europei mantenevano il loro ritmo produttivo, l’Inghilterra avrebbe conservato nei
loro confronti il vantaggio che le assicurava la potenza delle sue banche: così la Terza Repubblica in Francia
pareva rassegnata a vegetare, e le economie arretrate della Spagna, dell’Italia e dei Balcani erano facili
prede.
Soltanto la Germania si affermava come una massa di resistenza la cui popolazione cresceva continuamente.
Ricordandosi di essere stati i più esperti metallurgici d’Europa, i Tedeschi facevano assegnamento
sull’industria per riconquistare il primato al loro paese, che stava via via ricuperando il tempo perduto.
L’unità tedesca non si affermava soltanto nelle ardite architetture della cattedrale di Colonia, che era stata
appena condotta a termine ed inaugurata, ma l’industria coadiuvata dalla ricerca scientifica si accingeva a
partecipare a quella che sarebbe stata ben presto la concorrenza internazionale: la sua enorme ricchezza di
carbone e il suo potenziale di lavoro ne avrebbero fatto una temibile rivale dell’Inghilterra.
Il periodo è tanto più vicino in quanto davanti all’allargarsi dei mercati e alla caduta dei prezzi, le economie
nazionali, l’una dopo l’altra, dimostrano una netta tendenza a isolarsi. Bismarck, che ha previsto la necessità
di questo isolamento per rafforzare il progresso dell’industria tedesca, è già tornato al protezionismo. Se gli
altri stati europei seguiranno il suo esempio, all’esportazione britannica verranno a mancare gli sbocchi
essenziali. Certamente, essa conserva il suo mercato coloniale e il mercato dei capitali, ma in Europa è sorto
un problema del quale la politica tedesca mette in risalto la gravità: la sua evoluzione protezionistica non
tende solamente ad innalzare una barriera davanti all’Inghilterra, ma a creare sul continente una specie di
Zollverein (unione doganale) europeo, chiaramente antibritannico. [...]
Due influenze tendono dunque a dividersi l’Europa: una viene da Londra, l’altra da Berlino. È difficile
delimitare le due zone d’influenza, perché Londra possiede il genio dell’azione per interposta persona
[convincendo gli altri stati ad agire in vece e a vantaggio suo]. [...]
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Dal canto suo l’attività di Berlino è per lo piú segreta, come l’adesione della Romania alla Triplice Alleanza o il
riavvicinamento con la Spagna. Ma è chiaro che, guardando a Berlino, l’Europa intende sfuggire alle manovre
britanniche. Del resto le posizioni stanno per precisarsi, perché l’espansione tedesca è ormai tale che non si
accontenta più di restare europea.
Bismarck si è a lungo astenuto da ogni ambizione coloniale. Ve lo trascinano i progressi del commercio
tedesco, mentre si formano società per tentare l’avventura africana. Ma poco resta da prendere: la Germania
arriva tardi e la spartizione è già fatta. Se è facile ai capitali tedeschi disputare gli affari alla concorrenza
straniera, come in Turchia, dove la finanza francese si è infiltrata nei prestiti statali, e in Serbia, il cui nuovo
re Michele Obrenovich si riaccosta alla Germania, non è facile la conquista di territori coloniali. Non c’è
angolo del mondo in cui essa non urti contro gli interessi britannici, fin nel Pacifico, dove il Cile è uscito
vincitore da una lunga guerra col Perù e la Bolivia. L’Australia proclama una specie di dottrina di Monroe
[volta cioè ad impedire ingerenze straniere in quell’area, sulla falsariga di quella del presidente americano
James Monroe, enunciata nel 1823] ad uso del Pacifico meridionale. In quanto all’Africa, è stato appena
scoperto l’oro del Transvaal [che innescò la guerra fra inglesi e boeri]. Non appena la Germania sbarca
truppe sulle coste sud-occidentali e orientali dell’Africa, nel Camerun, nel Togo e su alcune isolette del
Pacifico, l’Inghilterra si oppone alle sue improvvise pretese coloniali. Così l’Atto di Berlino del 1885 [che servì
a delimitare le zone coloniali di influenza e a raffreddare gli attriti fra le potenze] non fa che mettere in
evidenza questa rivalità nascente. I diritti riconosciuti all’espansione tedesca in Africa non possono soddisfare
il germanesimo, che ha gli occhi fissi all’onnipotenza britannica. Ne consegue un urto di cui l’Inghilterra
misura ormai la portata; tanto piú che ha ormai decisamente sostituito la politica del libero scambio, che ha
fatto la sua fortuna, con una politica imperialista destinata a conservare questa fortuna.
L’impulso coloniale della Germania è una fase della corsa alle materie prime a cui ogni sviluppo industriale
necessariamente dà inizio, e sebbene Gladstone [William Gladstone, politico liberale, varie volte primo
ministro inglese] l’abbia sul principio velato di belle parole, esso appare quanto mai pericoloso agli uomini
della City, già preoccupati del protezionismo tedesco. I commercianti londinesi ne discutono seriamente; il
bacino della Ruhr non ha uguali in Europa e la produzione tedesca di carbon fossile fa già una forte
concorrenza ai carboni inglesi. La scienza utilizza i sottoprodotti del carbon fossile e alcune industrie
incominciano ad impiegare l’elettricità o il motore a scoppio d’invenzione tedesca. Ricchezze colossali sono al
servizio di una grande attività; la finanza berlinese non rifiuta nulla all’industria e accetta tutte le sue
audacie. Sta sorgendo veramente un’altra Germania, una Germania in cui l’attività culturale sembra ormai
cosí esausta che, fatte poche eccezioni (ad esempio per il drammaturgo Hauptmann [Gerhart Hauptmann,
vincitore del premio Nobel nel 1913]), 1’ispirazione letteraria le proviene solo dall’estero, dalla Russia, dalla
Francia o dai paesi scandinavi.
Questo imperialismo rassomiglia straordinariamente a quello britannico, ma la sua giovinezza è piú
impetuosa. Malgrado i vincoli d’ogni genere, finanziari o dinastici, che si moltiplicano tra i due paesi, gli
intrighi inglesi non basteranno a diminuire la costante pressione della nazione tedesca, che si sta intanto
avviando ai cinquanta milioni di abitanti. Ben diverse sono le avventure che, senza uomini e senza capitali,
portano a poco a poco la Francia a organizzare nel Tonchino, nel Madagascar, sulla Costa d’Avorio e nel
Sudan, un’apparenza di impero: che vale un impero coloniale senza una marina mercantile e da guerra
proporzionata alla sua grandezza? Così la politica coloniale della Francia non sarà mai diversa da quella che
la Gran Bretagna vorrà consentirle. I propositi tedeschi si fondano su un’altra realtà, su di un potenziale
economico del quale Londra conosce l’entità. Nel 1887 si constata con stupore la prima flessione del
commercio britannico. Ecco il segno tangibile del pericolo tedesco e il risultato del nazionalismo economico
che ha conquistato l’Europa.