Difendiamo l`Inghilterra dalla destra xenofoba

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Difendiamo l`Inghilterra dalla destra xenofoba
LE IDEE
Difendiamo
l'Inghilterra
dalla destra
xenofoba
Se gli inglesi scelgono
Brexit, il Regno Unito
rischia di perdere l'anima
TIMOTHY GARTON ASH
E
IN tempi remoti quei piedi calcarono i verdi monti
d'Inghilterra? No. E sui
pascoli ameni apparve l'agnello di Dio? No. E il volto divino
splendette sulle nostre colline
ammantate di nubi? No. Eppure sono certo che noi inglesi do-
vremmo adottare "Jerusalem"
di William Blake come inno nazionale e intonarlo in ogni possibile occasione.
Per due motivi, uno serio e
l'altro molto serio. Il motivo serio è che non possiamo lasciare
agli scozzesi ai gallesi e ai francesi le melodie migliori. Alle
partite di rugby i francesi cantano il più bell'inno nazionale che
esista al mondo e gli scozzesi e i
gallesi a loro volta intonano motivi fantastici: l'esaltante "Fiore di Scozia", che celebra la vittoria scozzese sugli inglesi nel
lontano 1314 e il magnifico
"Terra dei Padri", in ricordo della resistenza del Galles contro
la nemica Inghilterra. Poi cantiamo God Save The Queen,
che dovrebbe unirci tutti, inglesi, scozzesi e gallesi. Chi altro
c'è che ama il tè tiepido e il cricket?
Particolare superfluo ma divertente: God Save The Queen
ha le stesse note non solo
dell'inno patriottico americano
"My country 'tis of thee" ma anche dell'inno nazionale del Liechtenstein, il grande paradiso
fiscale.
SEGUE A PAGINA 25
SE LA DESTRAXENOFOBA
PREVALE IN INGHILTERRA
<SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
TIMOTHY GARTON ASH
L motivo molto serio è che oggi nella politica britannica c'è un buco a forma di Inghilterra. Attualmente tutto il valore affettivo dell'Inghilterra e dell'identità inglese è assorbito dal polo conservatore, euroscettico e xenofobo, a partire dal movimento estremista English Defence League fino al moderato brexitismo del cosiddetto Middle England, il ceto medio tradizionalista. È molto probabile che dove il
23 aprile, festa di San Giorgio, sventola la bandiera con la croce rossa su fondo bianco,
il 23 giugno, al referendum, si voti per l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue. E il valore
affettivo dell'identità inglese è molto potente, a livello poetico e emotivo non lascia
spazio alla Gran Bretagna e all'identità britannica. Spiace dirlo, ma i versi de "Il soldato" di Rupert Brooke — «C'è un angolo di un campo straniero /che sarà per sempre Inghilterra» —non ammettono modifica.
Non è stato un problema finché l'identità inglese e quella britannica erano fuse, come in gran parte della retorica e delle canzoni della seconda guerra mondiale. Ma oggi
I
che la Scozia, e in misura minore il Galles,
si sono così distanziati, non si può ignorarlo. Il 5 maggio si vota in Scozia e in Galles.
Sono un drogato di quotidiani e programmi di attualità eppure non ho capito bene
quali sono i temi al centro delle elezioni.
O nessuno l'ha detto sui giornali e in tv, o
semplicemente mi è sfuggito. Scozia e
Galles non sono ancora due Paesi distinti
ma sempre più due stati distinti.
In uno splendido saggio pubblicato sul
New Statesman, David Marquand ci informa che il termine gallese riferito
all'Inghilterra significa «terra perduta»
— perduta dai Celti cioè, quando gli anglosassoni li cacciarono. La cosa strana è
che l'Inghilterra è anche un po' una terra
perduta per gli inglesi. Si cita spesso la
poesia di Gilbert Keith Chesterton che
parla del «popolo segreto» d'Inghilterra
che «non ha mai parlato». Nel discorso tenuto la sera della festa di San Giorgio,
ATTUALITÀ
nel 1933, Winston Churchill si riferì
all'Inghilterra come a «un mondo dimenticato, quasi proibito». Tra le numerose
identità nazionali presenti su queste isole quella inglese fu forse la prima e certo
la più pronta a entrare nell' ampio concetto di identità britannica di emanazione
imperiale ed è l'ultima e la più lenta a
uscirne.
C'è chi apprezza questa lentezza perché—si dice—quando l'identità inglese
riemergerà lo farà inevitabilmente sotto
forma di nazionalismo etnico e xenofobo: Nigel Farage all'ennesima potenza. È
vero che la tendenza è questa. Contestato in Scozia, Farage si è scagliato contro i
comportamenti "anti-inglesi". Cercando
online una fonte per la citazione di Churchill sono arrivato a un discorso di Enoch
Powell (politico conservatore contrario
all'immigrazione, Ndt.) L'identità britannica può anche coincidere storicamente con l'identità imperiale, ma essendo un cappotto montgomery che contiene quattro nazioni, le cosiddette Home Nations, e molte colonie, la sua incarnazione post-imperiale è a sua volta piuttosto comoda e di poche pretese: per essere britannici basta rispettare la legge
(nella maggioranza dei casi ) e saper si lamentare del tempo. L'identità inglese
può sembrare più esclusiva sotto il profilo etnico. Il fascino dei fautori della Brexit deriva in parte dalla loro schiettezza
alla Jonh Bull. «Non c'è nessuno che parli
come si parla in strada?», chiede il popolo segreto di Chesterton, e i brexitisti rispondono «Noi!». Quando sostengono di
parlare per la Gran Bretagna, è evidente
che parlano per l'Inghilterra.
Non c'è nulla di inevitabile però in questa appropriazione unilaterale. La bandiera di San Giorgio sventolerà a destra
solo se gli inglesi liberali, di mentalità
aperta e tolleranti, lo consentiranno.
Dobbiamo quindi difendere l'Inghilterra
dalla English Defence League. Sappiamo
tutti che le identità nazionali si immaginano e si reinventano sulla base di un tessuto di storia e mito. Come dice George
Orwell nel suo saggio sugli inglesi «la
convinzione di somigliare ai nostri antenati — credere cioè che Shakespeare, ad
esempio, somigli a un inglese di oggi più
che a un francese o a un tedesco — è forse insensata, ma per il solo fatto di esistere influenza il comportamento».
Sarebbe assurdo negare che nella storia e nel mito inglesi il nazionalismo conservatore trovi materiale in abbondanza. Ma c'è n'è tanto anche a disposizione
del patriottismo liberale, progressista,
aperto, dalla Rivoluzione Inglese del Seicento a John Stuart Mill, fino alla promessa del leader laburista del dopoguerra
Clement Attlee di costruire «una nuova
Gerusalemme» (come nell'inno) per arrivare a Orwell, il San Giorgio della sinistra liberale inglese.
Di Orwell mi torna in mente il saggio
"Il leone e l'unicorno". L'Inghilterra, scrive, deve essere fedele a se stessa e «non è
fedele a se stessa nel momento in cui i
profughi che hanno cercato le nostre
sponde sono rinchiusi in campi di concentramento e i dirigenti d'azienda escogitano raffinati sistemi per evadere l'imposta sui profitti straordinari». (Plus ga
change..., penserete) E conclude: «Dobbiamo rafforzare la nostra tradizione o
perderla, dobbiamo espanderci o ridimensionarci, dobbiamo avanzare o arretrare. Io credo nell'Inghilterra e credo
che bisogna andare avanti». Pensate a
Orwell e mettete fuori quante più bandiere potete per la festa di San Giorgio.
L'Inghilterra ritorna, in un modo o
nell'altro, sta a noi che sia il migliore.
L'autore è uno storico britannico
eprofessore all'Università di Oxford
(Traduzione di Emilia Benghi)
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