La sessualità nella cultura africana: un`analisi

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La sessualità nella cultura africana: un`analisi
Martin Nkafu Nkemnkia
La sessualità nella cultura africana: un’analisi
antropologico-culturale e religiosa
In the African context and culture it is not easy to speak openly about sex and sexuality for
the fact that it is that which distinguishes a male from a female, a man from a woman and
therefore somehow obvious to everyone. Sexuality is a reality of human existence, intimately
linked to life. As such, it is the way of celebrating life and conserving it through generations.
Being a profound way of relating oneself with the others as men and women, sexuality
belongs to the sphere of the ‘sacred’; it is a divine way of expressing ones’ love towards the
other people. It is through sexuality, responsibly lived as an act of love, that life is transmitted through generations. So life is a way of rendering services to life through love. We have
to recognise, not only the individual dimension but also the social dimension of sexuality:
individuals belong to the community and society and no sexual experience is self-centred.
Sexuality is always open to life, to ‘new’ life, as procreation, and as such it is an instrument
of desire, of attraction. One can also say that sexuality is a way of celebrating life, a hymn
to life that everyone sings with dignity as a contribution to the creative activity of God,
He who gives life in abundance. But to be able to live responsibly sexual experience with
benef it, it is necessary to be educated. This is possible through initiation, a period through
which the young people undergo to become matured as men and women and capable of
getting married and celebrating life, generating it through procreation. This is also the step
of life in which sexuality reaches its fullness of happiness through love.
1. Il discorso sul sesso e sulla sessualità nella cultura africana
A nessun f iglio o f iglia è consentito di parlare di ciò che è sacro in luoghi non adatti ed
ovunque, né con i propri amici in privato o pubblicamente, poiché si corre il rischio di
banalizzare e profanare la fonte della vita. Ciascuno preservi la dignità della vita ed impari a
conoscere e rispettare il proprio corpo così come quello degli altri, proprio perché la vita è
sacra e viene da Dio che è il Creatore e Vita stessa che si comunica a tutto e a tutti, da sempre.
Il corpo umano è uno strumento di comunicazione, del movimento, della personalità, della
bellezza delle forme e della creazione stessa. Il corpo umano è espressione della cultura,
della religione e del pensiero, è l’espressione di ciò in cui si crede, della bellezza eterna.
Esso è, inf ine, la rappresentazione dell’immagine del divino nella creazione. Attraverso il
corpo si comunica agli altri il proprio carattere ed atteggiamento di fronte alla vita.
Con questa massima che ho voluto porre come base della mia rif lessione, si intravede la profondità dell’argomentazione che stiamo per intraprendere. In essa vi è
tracciato il programma della vita nel suo vissuto individuale e collettivo, racchiudendo
le norme di comportamento del vivere sociale e i principi etici di ciascun membro
della comunità. Il tema del sesso e della sessualità è intimamente legato al discorso
sulla vita, al servizio che il vissuto della sessualità deve rendere alla vita attraverso
l’amore. Questo aspetto degli esseri viventi e in modo particolare dell’essere umano
è tanto delicato quanto importante nella cultura africana, che ama la vita, desidera la
vita e partecipa attivamente alla procreazione e alla protezione della vita.
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Religioni e Società, 59, 2007, pp. 10-21, ISSN 1722-4705
© 2007 F irenze University Press
Pur non offrendosi all’argomentazione e alla discussione, il sesso e la sessualità,
onnipresenti attraverso il loro vissuto, offrono a tutti la possibilità di intonare l’inno alla
vita, che viene cantato da tutti con nobiltà e onore; perché è attraverso l’attività sessuale
che gli uomini hanno offerto e offrono il loro contributo all’attività creatrice di Dio.
Ecco perché in Africa il discorso sul sesso e sulla sessualità appartiene all’ordine del
sacro, ed è in certo qual modo considerato un tabù sia tra i giovani (dello stesso sesso
o di sesso diverso) sia tra gli adulti e i genitori. Chiarito questo assunto, la rif lessione
si incentrerà sull’educazione sessuale dei giovani, che parte f in dalla nascita per arrivare
all’iniziazione e successivamente al matrimonio, attraverso diverse tappe fondamentali
che caratterizzeranno tutta la vita dell’individuo f ino alla sua morte.
Con queste premesse diventerà ovvio presentare diverse dimensioni della sessualità nella cultura africana: quella individuale, quella comunitaria e quella sociale, per
arrivare alla sessualità responsabile e matura del cittadino. A questo proposito è di
fondamentale importanza il contributo di alcuni autori africani che fanno di questo
argomento un inno alla vita, un’apertura alla vita per sempre. Il sesso nel suo vissuto
è quindi, nella cultura africana, il modo fondamentale per servire la vita che viene
da Dio e garantire così attraverso le generazioni l’immortalità del genere umano. Da
qui il suo carattere sacro. Poiché è attraverso l’atto sessuale responsabile che siamo
stati generati e consegnati al mondo, diventa importante discorrere della realtà del
matrimonio come luogo in cui la sessualità viene vissuta nel pieno rispetto dell’altro, nell’amore coniugale e nell’impegno di fedeltà reciproca tra l’uomo e la donna.
È proprio nel matrimonio che la sessualità responsabile raggiunge la pienezza del
piacere, della felicità e dell’amore.
La massima riportata all’inizio di questa rif lessione ci indica tra l’altro che è diff icile
intraprendere una discussione su questo tema in luoghi non adatti e pubblicamente,
essendo questo un aspetto della vita che riguarda essenzialmente gli esseri umani
nel loro porsi cosciente nel mondo. Attraverso il vissuto e l’attività sessuale, l’essere
umano trasmette la forza vitale alle generazioni ed è per questo che una tradizione
profonda vuole che si onori e si rispetti ogni differenza di genere, perché in f in dei
conti tale differenza è anche occasione per glorif icare il creatore, partecipando così
all’opera della sua creazione. Nel contesto africano, non potendo discorrere apertamente e liberamente sul sesso e sulla sessualità, questo rimane perciò un argomento
riservato e dato per scontato, e solo per motivi seri e rari, in occasione della crescita
culturale e valoriale, si può arrivare a parlarne. Uno di questi momenti è quello dell’iniziazione dei giovani alla vita adulta.
Il mondo è caratterizzato dalla presenza di specie e all’interno di esse dei generi, che
hanno come tratto distintivo il sesso: maschio e femmina, uomo e donna. È proprio
da qui che ha inizio la differenza e dunque la possibilità di un discorso sul sesso e la
sessualità. La natura ha aff idato alla sessualità il compito della procreazione, dunque
una partecipazione all’opera creatrice di Dio, per conservare la specie nell’universo.
Una diff icoltà che lo studioso di queste realtà incontra, come abbiamo già accennato, è quella del pubblico a cui viene indirizzato il discorso. Se in quanto africano
mi trovo di fronte a un pubblico africano, le modalità di presentazione sono diverse
rispetto a quando si tratta di uno studioso e di un pubblico della cultura occidentale.
Questo perché il sesso e la sessualità vengono vissuti in modo diverso all’interno
di ciascuna tradizione culturale. Fortunatamente mi sto riferendo a un pubblico
diverso da quello africano (almeno in questo convegno) e sono l’unico africano qui
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presente! Mi sento perciò libero di presentare a tutti voi la mia rif lessione e il mio
tema. Ma devo riconoscere che il mio non può essere l’unico modo di trattare questi
argomenti a partire dalla cultura africana. Inoltre tengo a far notare che il fatto di
leggere la sessualità a partire da una determinata cultura –e per di più dal suo contesto
religioso– non autorizza l’autore africano a svelare i segreti che sono nascosti in una
tradizione profonda e complessa come quella africana, poiché questi sono più da
scoprire nel vissuto che da rivelare con le parole, più da sperimentare direttamente
che da comunicare ad altre persone.
In Africa a un giovane curioso di conoscere certe realtà prima del tempo e che fa
delle domande si risponde sempre con un detto, con un proverbio o con un racconto,
rimandando a tempi indeterminati la vera risposta, che dovrà scoprire lui/lei stesso/a.
Il senso è questo: «quando sperimenterai, saprai, quando farai l’iniziazione, conoscerai
tutte le cose e nulla ti rimarrà nascosto». Una simile risposta a qualsiasi domanda sui
misteri della vita appartiene all’ordine della saggezza, essendo questo il linguaggio dei
saggi. Ora, è stato affermato che la sessualità viene vissuta in modo diverso da cultura a cultura; tuttavia è della stessa realtà che si tratta, come emerge anche dagli altri
contributi su questo tema. Molti sono i popoli e le culture, una sola è la condizione
umana. Si evince quindi che ciò che fa la differenza nella sua comprensione è il tipo di
educazione sessuale ricevuto dall’infanzia che consente all’individuo, nella sua maturità,
di comportarsi in un modo o nell’altro, dando alla sessualità il peso e il valore che si
ritiene giusto e che è condiviso socialmente. Per questo non si può comprendere il
valore della sessualità prescindendo dall’approccio antropologico-culturale e religioso
di un popolo. Nel corso dell’argomentazione spiegherò meglio questo assunto.
Come già ribadito precedentemente, il sesso in quanto tale è ciò che distingue il
maschio dalla femmina ed è anche ciò che caratterizza la diversità e la complementarietà della persona umana nella sua azione creatrice, avendo come garante l’amore.
Senza l’amore tra due persone di sesso diverso non si può comprendere la sessualità
nella sua profondità, perché si tratta di un vissuto e non di uno studio astratto sul
sesso nella sua differenza di genere. Non si genera nuova vita senza amore, non si
diventa padri e madri senza amore. Sessualità e amore vanno di pari passo. Perciò
educazione alla sessualità ed educazione all’amore coincidono.
Riteniamo che, per ovvi motivi, la sessualità nel suo vissuto sia il primo degli strumenti d’amore tra due persone diverse, poiché è proprio dall’amore che nasce e si diffonde l’amore, è proprio dalla vita che proviene e si genera la vita. Per questo chiamare
il proprio figlio o la propria figlia per nome o chiamarli «amore di mamma o di papà» è
la stessa cosa per i genitori. Intravediamo così che il luogo privilegiato per sperimentare
l’amore in maniera piena è il matrimonio tra due persone di sesso diverso.
Abbiamo già detto molto con la risposta che dobbiamo dare alle domande dei
giovani, cioè che capiranno tutto al momento opportuno. Infatti, aff inché la sessualità,
come valore estremo dell’amore umano, possa raggiungere il suo apice e realizzare la
propria vocazione, occorre che f in da bambini si percorrano delle tappe dell’iniziazione, indispensabile per la crescita in questo campo. Tali tappe fanno sì che alla f ine
ciascun individuo possa vivere in modo responsabile, pieno e soddisfacente questa
dimensione della vita; dimensione che, vissuta in modo cosciente, rimane sempre
aperta alla trascendenza. Questo pensiero di fondo, «rimanere sempre aperta alla vita
e alla trascendenza», non può essere superato da nessuna teoria o ideologia, poiché
si tratta di una verità ontologica, anzi di una verità ‘vitalogica’.
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2. «Se» e «seli»: principio e veicolo di vita
Per spendere qualche altra parola sul termine nell’ambito della biologia animale,
va detto che il sesso e la sessualità vengono generalmente considerati come un insieme di caratteri f isiologici e comportamentali che, negli organismi viventi, rendono
possibili la riproduzione biparentale, ovvero la riproduzione della specie. Nel corso
della rif lessione emerge un’espressione della lingua fon (la lingua di una delle tribù
del Benin): «seli», tratta dal libro Se et Gbe, dinamique de l’existence chez les fon
du Benin1, che si riferisce alla dinamica del corpo umano e del sesso quale principio
animatore della vita umana. Certamente in molte lingue africane troviamo diversi
termini per indicare il sesso in generale o quello maschile e femminile in particolare, e
ancora molti altri termini che si riferiscono in modo generale alla sessualità; ma trovo
più rappresentativo e adatto, ai f ini di questa esposizione, il termine del popolo fon
del Benin. Oltre a questo trovo molto adatti anche alcuni brani di Jomo Kenyatta
tratti dalla sua opera maggiore, La Montagna dello splendore (Facing Mount Kenya),
edita in Italia da Jaca Book nel 1977, perché ci introducono al mistero dell’iniziazione
nella vita sessuale della cultura africana, facendo riferimento all’iniziazione dei giovani
kikuyu del Kenya, che consente loro di approdare alla maturità e alla vita adulta.
Nella lingua fon di Benin il pref isso «Se» sta a indicare il principio di vita che risale
da Dio, poiché Egli è la vera causa e il vero autore della vita. La desinenza «li» o «al»,
invece, indica la via per mezzo della quale il principio «Se» (che oltre ad essere la ‘via’
si traduce anche come ‘anima’) si realizza o si attualizza, moltiplicandosi allo stesso
modo e con la stessa modalità senza mai alterarsi. In questa costanza inspiegabile
e nella sua logica è racchiusa la comprensione della sessualità e il mistero della vita
umana2. Ecco perché il sesso nella cultura africana non è mai oggetto di discussione. In
essa, infatti, è nascosto il mistero della vita. Per questo non è sempre facile parlare del
sesso e della sessualità senza correre il rischio di profanare il luogo e il mezzo da cui
si è stati concepiti, formati e consegnati alla vita attraverso la nascita nel mondo.
A questo punto, diventa necessario riconoscere che il sesso e la sessualità, pur essendo strumenti di comunicazione nel loro aspetto corporeo e spirituale, strumenti di
piacere tra gli uomini e le donne, si manifestano come via e principio vitale al servizio
della vita. Da qui il loro carattere, appunto, sacro. Proprio come organo vitale, il sesso
appartiene al corpo umano nello stesso modo in cui tutti gli altri organi costitutivi e
indispensabili appartengono al corpo. Non vi sono esseri nati nel mondo senza un
sesso caratterizzante, almeno che non vi sia un’anomalia nella formazione del feto
durante il concepimento della nuova vita. Vi è quindi una dimensione individuale
nel suo vissuto soggettivo e una dimensione sociale nel suo vissuto collettivo. Nel
primo caso la sessualità viene vissuta dall’individuo come il modo di caratterizzare la
propria identità rispetto a quella degli altri ovvero, dei ‘non sé’. Ma dato che in Africa
il soggetto sociale non è l’individuo ma la comunità, e dato che l’individuo appartiene
alla famiglia e alla comunità e non a se stesso, ne consegue una dimensione sociale
della sessualità, da cui non si può prescindere. In questo caso, nessuno può vivere a
1
Cfr. BASILE TOUSSAINT KOSSOU, Se et Gbe: dynamique de l’existence chez les fon du Benin.
Avant-propos du professeur Louis-Vincent Thomas, La Pensée Universelle, Paris 1983.
2
Cfr. ivi, pp. 28-31.
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proprio piacimento e in modo del tutto isolato la sessualità, senza tenere conto del
suo effetto nella comunità e nella società stessa.
Quando la sessualità viene vissuta fuori di sé esprime il rapporto con l’alterità nella
collettività, e nessuno può quindi disporre del proprio corpo, giacché questo è lo strumento di relazione per eccellenza e, in quanto tale, condiziona il porsi degli atri come
altri da sé. È vero che un rapporto sessuale procura piaceri e forse momenti di felicità
per l’individuo, ma è altrettanto vero che, nel suo vissuto pieno, può avere e spesso
ha delle conseguenze sociali. Il concepimento, la gravidanza e la messa al mondo di
un nuovo essere, di un nuovo individuo non può essere vissuto come un fatto privato
ma è sempre un fatto pubblico, comunitario e sociale. Infatti in Africa, un figlio o una
figlia non appartengono solo ai propri genitori bensì soprattutto alla comunità, poiché
tutti i membri della stessa sono figli e figlie di qualche genitore. Il tutto finalizzato alla
sopravvivenza del gruppo, non soltanto alla propria identità ricevuta con la generazione,
ma soprattutto all’identità della famiglia, del clan, della tribù d’origine.
3. La corporeità: il corpo come strumento di comunicazione
Data la corporeità in cui si distinguono i generi, il maschile dal femminile, l’uomo
dalla donna, la virilità dalla femminilità, dobbiamo dire che lo stesso corpo umano è da
considerare come un luogo e come un tempio dell’amore. È un tempio sacro in cui si
realizza e si perpetua il gioco dell’amore, in cui si sperimenta l’armonia nel comunicarsi
sentimenti nobili, ma anche un luogo in cui ci si spoglia da ogni segreto personale a favore
dell’amato/a, un luogo dove si sperimenta per attimi la felicità e la gioia di vivere.
Il corpo umano è un luogo dove si incontrano forze ed energie psichiche e spirituali, uguali e contrarie, dove si dissipa l’energia vitale propria dell’essere animato, la
cui forza vitale si comunica a tutti e a tutto. L’equazione può essere così formulata:
dato un corpo, si qualif ica con un sesso, distinguendo il maschio dalla femmina. Da
un lato vi è il principio di piacere; il corpo di un sesso attira quello dell’altro sesso in
una complicità incalcolabile e indef inibile, da cui nasce l’attrazione reciproca sempre
più profonda, che dà origine all’inizio dell’amore, all’innamoramento tra due persone
di sesso diverso. Tutto il corpo dell’uno e dell’altra, gli sguardi, gli intenti, i silenzi, la
comunicazione dei sentimenti, ebbene, tutto parla di amore, di amore vero, che non
necessita l’ulteriore ricerca di qualcos’altro, perché basta la corrispondenza dell’uno
e dell’altra. È per questo che senza il sesso e senza il vissuto sessuale non è possibile
pervenire all’esperienza dell’innamoramento tra due giovani, cioè tra una ragazza e un
ragazzo. È proprio in questi attimi che, necessariamente, ci si apre alla vita. L’egoismo
cede il proprio posto alla generosità e il desiderio si trasforma in volontà di maternità
e di paternità. Chiunque concepisca una nuova vita in questa condizione sarà capace
di amare per tutta la vita il frutto di questo amore e di questa generosità, che sono i
f igli: padre e madre non si nasce ma si diventa per amore.
È vero che non tutti i rapporti sessuali, ovvero non tutti i vissuti sessuali tra persone
di sesso diverso generano necessariamente come effetto dei f igli, anche se procurano
piaceri e felicità a coloro che li vivono; tuttavia tale vissuto, se è maturo, è sempre
fecondo e aperto alla vita, perché attraverso di esso si sperimenta la possibilità di un
amore sconf inato, di un amore spirituale e divino. E anche questo amore è sempre
aperto alla vita; da qui la fecondità spirituale. Il seme d’amore che il Creatore ha
impresso nella vita dell’uomo e della donna non può non germogliare, perché amare
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qualcuno non sempre dipende dalla volontà esclusiva dell’individuo, ma soprattutto
dalla vocazione stessa dell’essere umano: creato per l’amore, per l’amore vivrà. Chiunque abbia provato profondamente l’amore vero, attraverso un atto di donazione di
sé (vissuto sessuale) oppure attraverso l’amore dei fratelli, in senso spirituale, non
può non essere aperto alla vita, giacché questo si impone a tutti come legge naturale.
Ne consegue che la sessualità è l’elemento fondamentale del corpo umano, il criterio
dell’identità personale al servizio della vita, mentre l’amore assessuato si rivolge verso
tutti gli uomini e donne: da qui la fratellanza universale.
Quindi c’è una differenza sostanziale tra sesso e amore. Mentre la sessualità può
essere vissuta come un fatto naturale istintivo, l’amore che vi è collegato è un desiderio, non solo psicologico, ma anche razionale, d’incontro e di relazione sentimentale
tra due persone diverse, tra una persona e tutte le persone nel mondo. Quando la
sessualità viene vissuta tra due persone di sesso opposto, ci sono forti possibilità che
quella relazione si evolva nell’innamoramento e in un amore determinato: l’amore
coniugale. Quando questa viene vissuta indifferentemente, tra una persona e tutte
le altre persone del mondo, siamo nell’ambito dell’amicizia, della fratellanza. Infatti
«L’amico/a è un altro/a sé medesimo/a in quanto è colui/colei che dà la propria vita
all’altro/a anche quando non gli viene chiesto. L’amicizia è così un valore insostituibile,
perché è l’equilibro d’intenti, la sincerità assoluta, la f iducia realizzata, la somma della
delicatezza e della disponibilità incondizionata, la garanzia che si è sempre amati da
qualcuno/a di insostituibile. Per questo l’amicizia non ha prezzo»3.
Quando l’amicizia, all’interno di una comunità, si realizza tra due giovani di
sesso diverso, la relazione può sbocciare anche in amore, tendendo all’esclusione di
tutti gli altri individui compresi i membri della propria famiglia e la stessa comunità.
È tuttavia possibile che il rapporto tra individui di sesso diverso, se disinteressato,
si concretizzi in amicizia, ove l’attrazione f isica assume un carattere di stima e di
f iducia, di conf idenza che non è complicità. Per questo può esistere un amore senza
amicizia ma mai è possibile un’amicizia senza amore.
Le caratteristiche dell’amore tra due persone di sesso diverso sono il desiderio
dell’altro/a, la vocazione al possesso, all’esclusività, alla gelosia, al tradimento a f in
d’amore, al controllo e all’autorità dell’uno/a sull’altro/a. Le dichiarazioni d’amore
sanno di esclusività, di potere e di possesso: tu sei mia, tu sei mio, apparteniamo
l’uno all’altra, siamo una sola cosa… gli altri non hanno niente a che fare con noi…
Quando invece un rapporto viene vissuto tra individui dello stesso sesso, le probabilità
che tale rapporto sbocci in amicizia sono alte. Comunque anche tale amicizia tende
all’esclusione dagli altri individui nelle proprie faccende. L’amicizia in questo caso si
raff ina sempre di più, generando delle preferenze (non già di tipo assoluto) che tuttavia danno luogo al sentimento profondo d’intenti e d’amore spirituale, soprattutto
tra coloro che vivono negli stessi ambienti, che trascorrono la maggior parte della
loro vita insieme e condividono i propri pensieri senza particolari f ini cui tendere,
a differenza dell’amore tra persone di sesso diverso che tendono anche ad unirsi, ad
esempio in matrimonio, e generare anche dei f igli come frutto dell’amore.
L’amico, l’amica cerca il bene dell’altro anzi, il successo dell’amico è il mio sucesso, i fallimenti dell’amico o dell’amica sono i miei fallimenti, la gloria dell’amico
3
Detto africano del popolo Bangwa del Camerun.
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e dell’amica è anche la mia gloria. Infatti, tutti gli amanti e gli amati perpetuano il
loro legame d’amore, soprattutto se diventano anche amici. È spesso più facile perdonare un amico, un’amica che un fratello o un amante. Ma l’amore è divino e chi
ama divinamente entra necessariamente in amicizia col divino, chi coltiva l’amicizia
col divino f inisce per diventare sempre simile a Dio che è non solo Padre, non solo
Madre, ma anche Amore e l’Amico delle Sue creature e della Sua creazione.
4. Le tappe dell’educazione sessuale nella cultura africana
4.1. Iniziazione, circoncisione, escissione: simboli d’appartenenza al gruppo
Passiamo alla presentazione delle tappe dell’educazione sessuale e all’amore nella
cultura africana. In Africa ancora oggi tutti i f igli nascono dall’unione tra un uomo e
una donna. Ma per vivere bene la propria sessualità e amare qualcuno/a occorre essere
educati, proprio come si riceve l’educazione ai valori e si apprende come vivere nella
comunità. L’esperienza sessuale dei giovani avviene soprattutto durante un lungo
periodo d’iniziazione. L’iniziazione alla vita adulta è un periodo prima del quale, non
è consentito o, meglio, il giovane non è ancora in grado e non può essere cosciente di
un atto sessuale responsabile. L’iniziazione garantisce che in tenera età non si corra
il rischio di essere mossi soltanto dall’istinto e dal principio di piacere senza responsabilità e senza ragione; che non si corra il rischio di non poter capire la sessualità
responsabile nel suo profondo signif icato. Occorre perciò rispettare tempi, modalità
e luoghi dell’incontro d’amore tra due giovani, tra un maschio e una femmina.
Alcuni fatti determinano l’appartenenza al gruppo, alla tribù e al credo religioso.
Tali sono l’iniziazione, la circoncisione e, per alcuni, l’escissione. La circoncisione
maschile viene praticata entro un periodo che può variare, a seconda della tribù, dagli
otto giorni dopo la nascita del bambino (viene praticata, ancor oggi, alcuni giorni
dopo il parto in ospedale per ragioni mediche e d’igiene) ai 10-15 anni, nelle tribù
dove questo evento precede l’iniziazione. Quanto all’escissione femminile (praticata
oggi in pochi Paesi africani), l’età in cui viene praticata varia molto. In alcune tribù,
come quella kikuyu, viene fatta coincidere con il periodo dell’iniziazione. L’iniziazione viene effettuata per fasce d’età: in genere a 15 anni tutti devono passare per
l’iniziazione. Questo rito non solo denota l’appartenenza religiosa, ma costituisce
l’unico modo per appartenere alla tribù stessa.
L’iniziazione, la circoncisione e l’escissione come simbolo di appartenenza alla
tribù e alla religione rappresentano altrettante modalità di purif icazione della razza,
poiché il matrimonio misto tra membri di diverse tribù può contaminare la genuinità
dell’identità tribale e culturale nonché la purezza della razza. Tali pratiche e usanze
svolgono una funzione di selezione dei membri della razza. Quando questo fenomeno
del matrimonio misto si estende oltre i conf ini tribali, razziali, culturali, nazionali
e continentali, il solo modo per garantire l’identità della razza e del popolo, anche
nella sua dimensione religiosa è rappresentato dalla pratica dell’iniziazione, della
circoncisione e dell’escissione.
Un padre o una madre non africani che hanno uno/a sposo/a africano/a, volendo
conferire l’identità africana ai propri f igli dovranno adottare questi simboli in toto.
In caso contrario, i loro f igli non potranno acquisire la cittadinanza razziale-tribale
dell’altro genitore. Questi f igli, una volta compiuti questi riti e integrati questi simboli
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di appartenenza, saranno liberi di scegliere di praticare una qualsiasi religione diversa
da quella tradizionale del loro popolo. Questo avviene perché la religione dei genitori
non africani ha lo stesso valore di quella tradizionale africana, essendo anch’essa un
modo per costruire il rapporto tra le creature e Dio, con una sola differenza: alla prima
si aderisce per nascita, alla seconda per scelta personale o tramite conversione.
Anche i cittadini di culture diverse, per essere accettati come cittadini a pieno
titolo nella tribù del coniuge africano, necessitano di questi atti di riconoscimento.
Essendo già avanti con l’età e non avendo compiuto i riti di iniziazione nel villaggio
con i loro coetanei, essi devono affrontare un periodo di iniziazione sotto la guida
degli anziani, custodi della tradizione e della cultura. Se per qualche motivo personale
un membro della comunità o della tribù non può partecipare alle cerimonie religiose
o ad altri riti sacri che garantiscono sia l’unità della tribù che il loro rapporto con Dio,
la persona assente dovrà comunque essere rappresentata da un altro membro della
famiglia. In ogni caso, tale persona dovrà essere presente almeno una volta all’anno,
in occasione di almeno una di queste cerimonie. In caso contrario verrebbe messa
in dubbio la sua stessa appartenenza alla tribù; si penserebbe che altri interessi sono
ritenuti soggettivamente più importanti di quelli della comunità, del villaggio, del
dan o della tribù.
4.2. Jomo Kenyatta a proposito dell’iniziazione e della vita sessuale
Per i kikuyu l’iniziazione dei giovani di ambo i sessi è il costume più importante. Viene
considerato il fattore decisivo grazie al quale un ragazzo o una ragazza accedono allo stato
di uomo o di donna adulti nella comunità… È un costume rispettato dalla vasta maggioranza
dei popoli africani e lo si ritrova quasi in ogni angolo del continente. È quindi necessario
esaminare i fatti che si riferiscono a un costume così diffuso per farsi un idea del perché gli
africani rimangono fedeli ad un costume che, agli occhi di un gran numero degli europei,
non è altro che una pratica orribile e dolorosa, buona soltanto per dei barbari4.
Come il brano che precede, anche il brano che segue è di Jomo Kenyatta e tratta
della vita sessuale dei giovani che si sviluppa nel periodo dell’iniziazione, culminando
nel matrimonio. Viene presentata innanzitutto la circoncisione e l’escissione come
primo momento dell’incontro cosciente dei giovani con il loro organo sessuale:
L’operazione f isica sull’apparato genitale di entrambi i sessi viene considerata il punto di
partenza di svariate attività in seno all’organizzazione tribale. Ciò signif ica che l’individuo
a cui essa viene praticata ha ricevuto nel corso della danza e dei canti cerimoniali che precedono l’iniziazione tutte le informazioni essenziali in merito alle leggi e ai costumi della
tribù… Tra le cose che vengono insegnate in questo periodo ci sono le questioni relative
alle norme e ai regolamenti che governano il piacere sessuale5.
Nel capitolo 7 del suo libro antropologico-culturale Kenyatta racconta con precisione ciò che difficilmente viene raccontato. Desidero presentare per intero questo
racconto, per completare queste riflessioni.
4
5
J. KENYATTA, La montagna dello splendore, Jaca Book. Milano 1977, pp. 135-136.
Ivi, p. 153.
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Tra le cose insegnate ai giovani vi sono questioni relative alle norme e ai regolamenti che
governano i piacere sessuale. Allo scopo di non reprimere completamente l’istinto sessuale
normale, ai ragazzi e alle ragazze kikuyu viene detto che per restare in buona salute devono
impadronirsi della tecnica relativa a una forma particolare di rapporto sessuale limitato,
chiamato ombani na ngweko, (amore platonico e carezze). Questa forma di contatto intimo tra giovani è considerato giusto e appropriato e si vede in esso la pietra angolare su
cui costruire una razza solida sul piano morale, f isico e mentale: essa protegge i giovani
da qualsiasi scompenso nervoso e psichico.
La vita sociale dei giovani gikuyu abbraccia un vasto campo di attività. Essi organizzano
numerose danze notturne e diurne per il loro piacere e divertimento. In occasione di questi
eventi mondani i giovanotti e le ragazze si riuniscono in tutta libertà. L’amicizia nasce di
solito nel corso di queste riunioni. Un giovanotto può attrarre l’attenzione di una o più
ragazze per il suo aspetto, per la sua bravura nella danza o l’eleganza della sua acconciatura,
oppure per il suo comportamento affascinante e aggraziato. Una ragazza, da parte sua, può
attirare l’attenzione di uno o più giovanotti. Colui che ha svariate amichette passa per un
rubacuori, getharia o keornbani. Un casanova può attirare f ino a quaranta ragazze.
Può succedere che una ragazza conquisti l’ammirazione di numerosi pretendenti che si
trovano allora a competere per lei. La parola ngweko, ‘carezze’, viene usata nel suo vero
signif icato gikuyu e non nel senso lato dell’espressione ngweko ya gecomba, usata dai
missionari e dai gikuyu detribalizzati, che designa il rapporto sessuale completo.
In una danza un getharia si vede subito poiché balla con intorno a sé numerose ragazze,
tuttavia per evitare che le monopolizzi, si ripete molto spesso una specie di «ballo della
scopa» gikuyu, gothornbacana, per dare ai giovani meno attraenti l’opportunità di ballare
con delle belle ragazze. Le ragazze rendono spesso visita ai loro innamorati, specialmente
durante le stagioni delle danze. Anche i ragazzi vanno a trovare le ragazze a casa loro, le
portano alle danze e in seguito le riaccompagnano a casa.
Le carezze, ngweko, sono considerate un atto sacro che deve essere eseguito in modo
sistematico e ben organizzato. I gikuyu non baciano le ragazze sulla bocca come fanno gli
europei; il ngweko, quindi, corrisponde ai baci ma, a differenza degli europei a cui piace
baciarsi in luoghi pubblici, i gikuyu considerano volgare una simile manifestazione pubblica
di affetto. Tutte le questioni riguardanti il sesso obbediscono a un codice convenzionale
ben regolamentato.
L’organizzazione del «ngweko»
Le ragazze fanno visita ai loro innamorati in una capanna speciale, thingira, usata come
luogo di incontro dalle giovani coppie. Come segno d’affetto, esse portano con sé i cibi e
le bevande preferite dall’innamorato, che vengono poi spartiti tra i coetanei che si trovano
nella thingira, e tutti assieme mangiano e bevono. Nessuno può mangiare o bere da solo
quello che gli ha portato la sua ragazza: un atto del genere verrebbe punito severamente. In
questo modo i giovani che non hanno una ragazza vengono inclusi in tutti i divertimenti,
dal momento che il giovane di bell’aspetto di un gruppo di età non agisce per sé: il suo
successo è considerato il successo dell’intero gruppo e le sue amiche sono anche considerate
le amiche dei membri del gruppo. Afferma un detto gikuyu: «Quando lodi l’uomo bello,
loda prima un uomo brutto e forte del gruppo di età. Nel gruppo di età nessuno è inferiore
e disprezzato» (Mogekumia thaka, kurnagiai ndoti ya riika eehinya. Riika retire gacii).
Le ragazze possono render visita alla thingira in qualsiasi momento, di giorno come di
notte. Dopo aver mangiato, mentre i ragazzi stanno conversando, uno di essi porta con
enfasi il discorso sull’argomento del ngweko. Se il numero dei ragazzi supera quello delle
ragazze, a queste ultime viene chiesto di scegliere (kuoha nyeki) chi vogliono avere per
compagno. La scelta avviene in modo quanto mai libero. Il linguaggio usato ricorre ai
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proverbi oppure a perifrasi come, ad esempio, la frase «legare l’erba» (kuoha nyeki) che
equivale a «scegliere il proprio compagno».
In un caso del genere le ragazze non devono necessariamente scegliere i loro più intimi
amici, poiché ciò sarebbe considerato prova di egoismo e di scarsa socievolezza. Naturalmente ciò non signif ica che le ragazze non abbiano talora il ngweko con quelli di cui
sono particolarmente invaghite, ma in linea generale esse seguono la regola di scambiarsi
i partner. La stessa libertà di contatti sociali esiste anche tra gente sposata e per questo
motivo i giovani vengono incoraggiati a coltivare lo spirito di cameratismo e di solidarietà
di gruppo prima del matrimonio.
Dopo che sono state formate le coppie, uno dei ragazzi si alza dicendo: «Vado a stendermi»
(Ndathie kwenogora). La sua compagna lo segue a letto. Il ragazzo si spoglia completamente.
La ragazza si toglie la blusa (nguo ya ngoro) e si tiene la gonna (rnothuru) e il grembiule
di pelle morbida (mwengo) che si fa passare tra le gambe e che ripiega insieme alla gonna
di cuoio (mothuru). Le due code a forma di V della rnothuru vengono tirate sul davanti
passando tra le gambe e f issate in vita allo scopo di mantenere al suo posto il mwengo e di
proteggere in modo eff icace le sue parti intime.
I due innamorati giacciono così l’uno di fronte all’altro con le gambe intrecciate al f ine
di impedire qualsiasi movimento delle anche. Cominciano allora ad accarezzarsi a strusciarsi il petto, lanciandosi contemporaneamente in una conversazione amorosa f ino a che
gradualmente si addormentano. Qualche volta i due innamorati giungono all’orgasmo,
ma non è questa una caratteristica essenziale del ngweko. Lo scopo principale di questo
rapporto è il godimento del calore del petto (orugare wa nyondo) e non il raggiungimento
della soddisfazione sessuale completa.
A svariate riprese gli europei, in particolar modo i missionari, hanno affermato che è incredibile che un giovane e una fanciulla possano dormire nella stessa stanza, o addirittura
nello stesso letto, senza copulare. Molti gikuyu sono stati puniti dai missionari e considerati
«peccatori» per il semplice fatto di essere stati trovati addormentati con una ragazza: ai
loro occhi, infatti, questo è un atto peccaminoso. I gikuyu che non sono stati allevati sotto
l’inf luenza dei missionari fanno fatica a capire questo tipo di puritanesimo europeo, in
quanto a un Gikuyu è stato insegnato, f in dalla più tenera infanzia, a sviluppare la tecnica
dell’auto-controllo in campo sessuale, ed è questo che gli permette di dormire assieme a
una ragazza senza avere necessariamente dei rapporti sessuali. Nello spirito dei missionari,
dal momento che l’uomo bianco in simili circostanze non sarebbe in grado di trattenersi,
nemmeno l’africano deve riuscirci e quindi gli si deve proibire di dormire con un’amica
secondo il costume gikuyu.
Le norme che governano il «ngweko»
La legge tribale vieta a un giovane di togliere un indumento alla ragazza (kogucia mwengo
wa moiretu) mentre sta facendo il ngweko. Deve tenersi il membro stretto fra le cosce
in maniera da non farlo entrare in contatto con la ragazza. Il costume vieta altresì che la
ragazza lo tocchi con le mani. Naturalmente talvolta succede che, nel caso di un’amicizia
di lunga data, una ragazza permetta al suo innamorato di metterle il membro tre le cosce e
di tenerlo fermo in quella posizione senza penetrarla; oppure per un mutuo accordo una
ragazza può permettere al suo spasimante di avere un rapporto più completo, contando sul
fatto che una penetrazione parziale non le fa correre il rischio di rimanere incinta.
Un comportamento del genere tuttavia è del tutto contrario alla legge tribale e non si
produce mai tra amanti occasionali. Se, cosa rara, ciò avviene, la legge lo punisce bollando
d’infamia agli occhi dell’opinione pubblica i due colpevoli. Né l’uomo né la ragazza possono
dormire girando la schiena al compagno. La ragazza non può dormire sopra il ragazzo o
trasversalmente rispetto a lui (gotagarara): adottare una di queste posizioni o toccare il
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pene dell’uomo è un atto «impuro» (mogiro oppure thahu), ed entrambi devono essere
mondati da un purif icatore (mondo-mogo).
La ragazza deve arrivare vergine, nel senso di non avere l’imene perforato, al matrimonio.
Qualsiasi rapporto che possa provocare una gravidanza prima delle nozze è strettamente
proibito. Un giovane che metta incinta una ragazza (kohira moiretu ihu) è severamente
punito dal consiglio tribale (kiama) Gli viene fatta pagare una ammenda di nove pecore o
capre, più tre pecore grasse (ndorome) quale onorario per il kiama. Oltre a ciò il giovane
viene emarginato socialmente, «messo al bando» (kohingwo) da parte di tutti i suoi coetanei dei due sessi. La punizione colpisce anche la ragazza: deve pagare una multa offrendo
una festa agli uomini e alle ragazze del suo gruppo di età. Inoltre, può essere oggetto di
scherno (kohingwo e gocambio).
Se una ragazza si accorge che il suo compagno tenta di allentare i suoi indumenti durante la
notte di ngweko generalmente lo riferisce a tutte le sue amiche del distretto. La questione
viene sottoposta alla riunione del gruppo di età (getongano kia riika). Un individuo del
genere incorre nell’ostracismo da parte dei suoi amici e si vede privare del privilegio di fare
il ngweko con altre ragazze, dal momento che esse non avrebbero più fiducia in lui. Questi
principi guida, che affondano le loro radici nel più profondo del cuore dei giovani dei due sessi,
servono a prevenire la promiscuità sessuale, in quanto un uomo non si arrischia a proporre a
una ragazza di copulare con lui, a meno che non la conosca molto bene, per paura che non
solo rifiuti, ma lo vada a dire alle altre ragazze e lo faccia mettere al bando (kohingwo).
Tabù sessuali
Qualsiasi forma di legame erotico tra membri di una stessa famiglia è considerata peccato
grave. Sebbene i giovani godano di una grande libertà per quel che riguarda il corteggiamento e le esperienze amorose, fratelli e sorelle non oserebbero darsi a queste attività in
presenza dell’altro. Nelle capanne dei celibi dove i giovani si riuniscono liberamente, un
fratello e una sorella non possono essere presenti contemporaneamente, salvo in occasioni
di ordine puramente sociale, in cui non ci sono giochi sessuali. Ad esempio, se un fratello
sa che sua sorella ha un innamorato in una data capanna, sta ben attento a non frequentarla
nei periodi in cui c’è la ragazza. Lo stesso vale per la sorella, Questa norma viene osservata
anche durante le danze e le cerimonie.
Un fratello non può accompagnare sua sorella né nessun’altra parente stretta a questi
eventi sociali. Nel corso delle danze tenute in occasioni di grandi feste in cui la gente di
vari distretti si riunisce e balla assieme non è sempre possibile riconoscere un parente che
viene da lontano e può succedere di vedere qualcuno che balla per errore con sua cugina.
Quando ciò accade, la gente che lo sa, comincia a ridere e a scherzare per avvertire il giovane
dell’errore da lui commesso. I due si separano immediatamente e si trovano altri compagni
di ballo e talvolta l’uomo offre, per scusarsi, un regalo alla ragazza.
Una familiarità sessuale di qualsiasi genere tra genitori e f igli è rigorosamente proibita.
Questo vale per tutti i f igli dei membri della classe d’età dell’individuo e contravvenire a
questa norma è considerato un crimine grave. Ciò non impedisce, naturalmente, ai genitori
di insegnare ai propri f igli le cose del sesso. Durante la prima infanzia i genitori parlano
liberamente ai loro f igli e spiegano loro tutto quel che riguarda i tabù sessuali.
Nella comunità gikuyu qualsiasi rapporto sessuale al di fuori di quello naturale tra un uomo
e una donna che si comportano normalmente è impensabile, è considerato tabù; perf ino
fare l’amore con una donna in una posizione che non sia quella regolare, faccia a faccia.
Prima dell’iniziazione è considerato giusto e opportuno che i ragazzi pratichino la masturbazione in modo da prepararsi alla loro attività sessuale futura. Talvolta due o più
ragazzi fanno a gara per vedere chi riesce a mostrarsi più attivo degli altri. Queste gare di
masturbazione si svolgono fuori dal casale, sotto un albero o un cespuglio lontano dagli
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occhi degli adulti. È considerato indecente farsi vedere da altri salvo che dai ragazzi della
stessa classe di età. Questa pratica viene abbandonata dopo la cerimonia di iniziazione e se
si vede qualcuno che continua a farlo anche in seguito si ritiene che sia rimasto attaccato ad
un’abitudine infantile e gli si ride dietro, dal momento che vista la libertà di giochi sessuali
concessa ai giovani, non c’è alcun bisogno di abbandonarsi a tale pratica.
Per le ragazze la masturbazione è considerata sconveniente e se una madre vede la sua
bambina anche solo toccarsi parte del corpo, la avverte immediatamente che sta facendo
qualcosa di sbagliato. Si può dire che questo, tra le altre ragioni, è probabilmente il motivo
per cui viene exciso il clitoride, per impedire cioè che le ragazze sviluppino una sensibilità
sessuale attorno a quel punto.
A causa di queste restrizioni, la pratica dell’omosessualità è sconosciuta tra i gikuyu. La
libertà di rapporti concessa ai giovani di sesso opposto la rende inutile: i giovani vengono
incoraggiati a farsi un’esperienza che tornerà loro utile nella vita coniugale6.
Questo lungo ed esaustivo racconto di Jomo Kenyatta ci consente, senza ulteriori
commenti, di familiarizzarsi con il vissuto sessuale, con la vita sessuale dei giovani nel
contesto africano. Vorrei, con l’ultima affermazione di Kenyatta, concludere questa
comunicazione sulla sessualità nella cultura africana, concepita come analisi antropologico-culturale e religiosa. Può apparire strano che io non abbia parlato in questa
riflessione di poligamia, che è molto comune nelle tradizioni e nelle culture africane.
Questo non è possibile poiché questa pratica necessiterebbe un trattato a sé stante. In
ogni caso, confessiamo che tale pratica rientra solo nel 20% delle forme di matrimonio
nel contesto africano. Il matrimonio è in genere monogamico, ma talvolta si trasforma
in poligamia, per diversi motivi: la poligamia può essere praticata per il desiderio di
avere figli e assicurare la discendenza; oppure può essere un sistema ereditario legato
allo status sociale di chi la pratica; inoltre può portare risorse umane nel sistema economico; o infine essere un segno di prestigio e di potere. Ciò che si può ancora dire a
tal proposito oggi, è che in Africa quella tra poligamia e monogamia è ormai una libera
scelta dell’individuo e non un obbligo giuridico dettato dalla tradizione o regolamentato
dall’istituzione politica.
Al di là di questo è evidente quale sia il coronamento della vita sessuale dei giovani
dopo l’iniziazione: la vita matrimoniale. Su questo si esprime chiaramente ancora
Jomo Kenyatta, in un brano che si presta particolarmente a concludere le presenti
considerazioni:
tramite la cerimonia nuziale l’individuo acquista il diritto esclusivo ai rapporti sessuali con la
donna o le donne che prende in moglie. Al momento di f irmare il contratto di matrimonio,
l’unione cessa di essere una questione puramente personale in quanto il contratto vincola,
non soltanto i due sposi ma anche il loro parentado. Il mettere al mondo dei f igli diventa
un dovere e i rapporti sessuali tra l’uomo e la sua o le sue mogli vengono considerati un
atto di concepimento e non la pura e semplice gratif icazione di un desiderio corporale7.
6
Ivi, pp. 153-154, 156-159. Cfr. anche: WILLIAM HEMY FITZJOHN, Initiation – I resolved to
join the Poro Society, in Traditional Religion in west Africa, Uzima-CPH, Nairobi 1983, pp.
90-91.
7
KENYATTA, La montagna dello splendore, cit., p. 161.
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