40˚ Anniversary Biography
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40˚ Anniversary Biography
40˚ Anniversary Biography book www.istud.it ci siamo presi il tempo di ricordare il passato, prima di progettare il futuro INDICE Lettera Barbara Zucchi Frua Lettera Marella Caramazza Lettera Pasquale Gagliardi 24 IL RACCONTO 1970-2010: Quarant'anni di una scuola di management Esperienza e Conoscenza: un capitale da condividere LA CRONOLOGIA 1970 – 1989 46 L'autobiografia come esplorazione Metodologia narrativa 1990 – 2000 2000 – 2010 84 I VALORI SVELATI La Squadra Il Metodo La Potenzialità I Risultati La Sostenibilità L'integrità Testimonianze 2 barbara zucchi frua presidenza Cara Istud, quando, nel 1988, feci il mio ingresso nell’azienda di famiglia, una delle poche cose che mi furono subito chiare ed evidenti era che fratelli e cugini, che già operavano all’interno, dopo la classica gavetta nei reparti, erano transitati dal setaccio ISTUD a fare il PFI (Programma di Formazione all’Imprenditorialità), base necessaria ai primi passaggi di consegne in compiti gradualmente sempre più elevati. Iniziai anch’io, da brava scolaretta, il mio percorso in azienda, dopo aver fatto una tesi sui contratti di formazione lavoro, allora nascenti, al termine di un percorso di laurea in Pedagogia all’Università degli Studi di Bologna. Passano gli anni e, coerentemente coi miei studi, il percorso professionale nell’azienda di famiglia si svolge all’interno della direzione del personale, dove mi occupo di selezione, formazione e sviluppo. ISTUD diventa per me un fornitore; ci si capisce bene, la comunicazione è sempre di alta qualità, sia per la competenza nella didattica sia per la condivisione dei valori, importanti quando si tratta di persone in azienda. È il 2003 quando Giordano, lo zio, mi passa il testimone nel Consiglio di Indirizzo. ISTUD S.p.A. si sta trasformando in Fondazione sotto la presidenza di Marco Vitale, il quale, tenendo fede alla matrice umanistica che da sempre caratterizza i programmi di ISTUD, prosegue quel percorso, iniziato negli anni 70, basato sulla volontà di ricostruire e diffondere un modello di valori del management italiano presente nella media e grande impresa italiana. 4 5 È nelle riunioni di consiglio che apprezzo il difficile e paziente compito di Marella, ISTUD è impegnata su questa strada con un forte senso di responsabilità; lo slogan volto, da un lato, a gestire la quotidianità e, dall’altro, a mantenere alto il profilo della Fondazione, “libera le potenzialità”, sottolinea la centralità della Conoscenza intellettuale della Fondazione. e della “opportunità” umanistica come elemento distintivo di un’organizzazione Quando mi viene proposta la presidenza, ho la sensazione di non poter perdere che apprende, e che si proietta nel futuro. un’occasione di crescita personale importante, nonostante la complessità del periodo. Sulla stessa strada, ISTUD sta coinvolgendo le migliori imprese e istituzioni del La responsabilità è grande. Penso infatti che in un momento di decadenza così Paese, con l’obiettivo di essere una scuola che pensa con le imprese e non solo per evidente del nostro Paese, ISTUD possa e debba offrire un’opportunità a tutti le imprese. È questo il senso profondo della missione che sento di dovere compiere coloro che quotidianamente operano con onestà intellettuale e professionale, come Presidente di ISTUD: riuscire a far convergere e aggregare gli interessi con la consapevolezza che, sebbene oggi possa sembrare un progetto arduo e di tutte quelle imprese che, come noi, credono nell’unicità e nella validità del lontano, è nel nostro presente che prepariamo le sementi e il terreno su cui altri modello di impresa italiano, oggi nascosto nella conoscenza tacita di imprenditori lavoreranno in futuro. e manager, e bisognoso di venire esplicitato e tramandato, senza paura di metterlo in discussione quando necessario. Oggi, più che in passato, la persona matura le sue opportunità professionali in base alla propria capacità di continuo cambiamento e di sviluppo. Sono convinta che il senso Così come per anni abbiamo considerato utile imparare dai libri e dalle esperienze più profondo e innovativo della globalizzazione sia legato al potenziale di diffusione anglosassoni, oggi riteniamo indispensabile chiederci quali siano le nostre della Conoscenza collettiva, sociale, organizzativa, individuale e geografica. competenze distintive e come le nostre esperienze possano aiutare la crescita delle La fotografia di una yurta isolata con una parabola e un pannello solare mi fa capire nostre imprese e della nostra classe dirigente. Innovazione, Internazionalizzazione, quanto le barriere sociali, geografiche ed etniche siano state superate: la tecnologia Sostenibilità, Conciliazione vita-lavoro: sono i quattro temi che i membri della arriva ormai ovunque, e per questo le persone si distinguono per la capacità di Fondazione ISTUD hanno scelto come agenda del 2011 e che saranno la nostra approfittare di un contesto che permette loro un continuo apprendimento. Il bussola in questo percorso di riflessione e azione. contenuto è accessibile a tutti, la differenza la fa il contenitore. I modelli e i metodi di sviluppo della conoscenza diventano cruciali. Cara ISTUD: onesta, intelligente, intellettuale, flessibile, unita, forte, prospettica, coraggiosa, viva, caparbia. Queste sono le dieci cose che mi vengono in mente Provo disagio guardando il sistema scolastico del nostro Paese: contenuti profondi quando penso a te. collocati all’interno di un sistema di apprendimento drammaticamente superato. Il fatto che la conoscenza della generazione Y passi attraverso paradigmi differenti Grazie per esserci quotidianamente, con impegno e con passione. è una realtà, non un futuro da ipotizzare. 6 7 marella caramazza direzione generale Abbiamo deciso di scrivere un’autobiografia per festeggiare i quarant’anni di ISTUD perché è il mezzo che più permette di raccontare i fatti, ma anche le emozioni. La storia di noi tutti all’ISTUD è, infatti, un intreccio di fatti e di forti emozioni. A me spetta il difficile compito di scrivere l’introduzione. Questo compito mi spinge a ripensare alla mia vita professionale, spesa quasi totalmente all’interno di questo luogo che mi ha dato tutto sul piano professionale e che si è fortemente intrecciato con la mia vita personale. Innanzitutto, mi ha fatta emigrare. A ventiquattro anni, appena laureata in Economia a Palermo, ho iniziato un’avventura che dura ancora oggi. Emigrare significa abbandonare ogni certezza, lasciarsi alle spalle ciò che fino a quel momento si è costruito, anche le proprie relazioni, alla ricerca del nuovo. Richiede una certa incoscienza, soprattutto quando, come nel mio caso, non si emigra per bisogno ma per curiosità, per salire su uno di quei treni che, come si dice, devi prendere al volo. In quel caso il treno era una borsa di studio per diventare assistente di ricerca all’ISTUD, nell’area organizzazione. Dal momento in cui sono approdata all’ISTUD, le cose sono cambiate rispetto a quando vivevo a Palermo. L’asticella si è alzata, e di molto. Ho percepito subito che la sfida era difficile, che ero capitata in un contesto rigoroso, esigente e qualificato, in cui sarei potuta rimanere soltanto se fossi riuscita a emergere con le mie caratteristiche, la mia preparazione e personalità. I colleghi provenivano da diverse università di tutta Italia, ed erano tutti chiaramente bravissimi. I capi 8 9 erano il meglio che il mondo della formazione e della consulenza italiana potesse Le persone. Nei miei primi anni a Stresa, i giorni e i mesi sono trascorsi tra studio offrire, e ISTUD era la culla della formazione di élite. L’avventura era cominciata. e lavoro, le visite dei parenti e di qualche amico. Ma, soprattutto, le giornate con gli altri borsisti, i miei compagni di allora. Con loro ho condiviso l’inizio della 10 Luoghi e persone sono stati fattori condizionanti della mia vita e hanno il merito nostra vita da grandi, ci siamo proiettati nella vita professionale, ci siamo sposati, di avermi portata a essere ciò che sono oggi. abbiamo avuto figli; da lì siamo partiti per traiettorie che oggi ci vedono in luoghi I luoghi. Dal sole, dal caldo e dai colori accesi della Sicilia mi sono ritrovata al lago. molto diversi, ma, nonostante questo, sono a loro affettuosamente grata per Il lago era per me un luogo diverso, mai frequentato prima: era il Nord. la compagnia e la solidarietà che ci siamo regalati a vicenda in quelle serate di Lì, tutto era calmo e ordinato. Il lago regala, nelle diverse stagioni, emozioni a potenziale solitudine. cui non ero abituata né tantomeno preparata, io che provenivo dalla terra del Alcune persone hanno dato particolare senso e sostanza ai miei primi passi “sempre sopra i 15 gradi”. Nelle mattine d’inverno, il freddo e uno strato di ghiaccio professionali. Le persone che mi hanno aiutata a credere in me stessa, a dare sul parabrezza. E la primavera. Ho visto alberi di camelie, azalee, magnolie e valore alle mie idee e a sentirmi progressivamente più adeguata a un contesto rododendri: un trionfo di colori e natura che ti pare impossibile quando hai professionale sfidante, che mi hanno inculcato i valori del lavoro al punto da non sempre visto cactus e buganvillee. L’estate, da me poco vissuta per via del caldo credere che possano esisterne altri meritevoli di essere seguiti. Quelle che mi e dei nugoli di zanzare, è la stagione meno congeniale al lago, che sopporta il hanno stimolata a studiare e a non fermarmi. Quelle che non mi hanno mai fatta passare dei turisti e dei pullman e non aspetta altro che rivedere l’autunno, con sentire sola. Me le ricordo tutte, ringraziandole per ciò che hanno fatto per me, i suoi colori, le foglie che ingialliscono e poi cadono, la nebbia, le giornate che si soprattutto Pasquale, croce e delizia dei miei primi anni lavorativi. A lui devo di accorciano. Ho sempre pensato, anno dopo anno, che prima o poi sarei tornata avermi reso la vita difficile e allo stesso tempo di aver creduto in me e nella mia ai miei colori, al sole, al caldo, ma eccomi ancora qui, al lago, e non mi stanco di capacità, un giorno, di potergli succedere. ammirarne la bellezza. Nonostante il lavoro si svolgesse per la maggior parte a La mia è una vita professionale fortunata, in cui le persone con cui lavorare hanno Milano, non ho mai desiderato vivere in città. Vivere al lago è stata per me la scelta sempre rappresentato un’élite intellettuale e umana di valore e di valori. I valori logistica che ha sostenuto quella esistenziale: vivere lontano dalle mie origini. che ci hanno guidati e che, in quest’autobiografia, nonostante tutti i cambiamenti 11 vissuti, emergono in primo piano. Quei valori si sono mantenuti nel tempo. I miei colleghi di oggi ne sono la rappresentazione vivente e ne perpetuano, giorno per giorno, l’esistenza. Non tutti hanno questa fortuna. Grazie a queste persone, sono ancora qui, e sono proprio io a scrivere l’introduzione a quest’autobiografia. Sono passati quarant’anni dalla nascita di ISTUD. In questi anni, ISTUD è molto cambiata ma, nello stesso tempo, ha mantenuto le sue radici. Come nella storia della palma miracolosa, le intemperie dell’economia ci hanno portati a cambiare e a chiederci sempre quale fosse la strada migliore, ad affrontare le crisi, a cercare e scegliere nuove soluzioni senza perdere mai la strada maestra. Abbiamo preso decisioni difficili, a volte impopolari, perdendo alcune parti di noi, anche importanti, ma acquisendone altre, sempre con l’intenzione di far crescere una cosa preziosa, un patrimonio che consideriamo di tutti, non solo di noi che ci lavoriamo. Le persone che hanno in mano l’oggi e il domani dell’ISTUD sanno che cambieremo ancora e sanno che lo faremo perché questo ci permetterà di continuare a esistere così come vogliamo. Ricordo sempre ciò che un giorno mi disse Gagliardi, poco prima di affidarmi la conduzione dell’ISTUD: “Tu hai il senso della missione”. Credo che sia vero. Mi ha sempre guidato la convinzione che ci fosse bisogno, in Italia, di un luogo in cui pensiero e azione si mescolassero e si nutrissero a vicenda, in cui si potesse davvero pensare in modo libero e indipendente a cos’era meglio per le imprese e a come contribuire a creare nel nostro Paese un’élite sana, competente, capace di guardare al futuro. Un futuro incerto ma che, proprio per questo, non va subìto, ma piuttosto costruito. Mi ha sempre motivata la sensazione di partecipare da protagonista a un’impresa importante che, nello stesso tempo, mi ha dato la possibilità di realizzarmi anche come persona. I valori dell’ISTUD che emergono da quest’autobiografia sono anche i miei. È questo che mi ha sempre fatto credere, anche nei momenti più difficili, che ne valesse la pena. 12 13 pasquale gagliardi consigliere scientifico della fondazione istud e amministratore delegato fino al 2005 La storia dell’ISTUD coincide, in larga misura, con la mia storia personale e professionale. Sono responsabile di quello che l’ISTUD è stato e ha fatto per oltre un quarto di secolo, perché ho goduto della piena fiducia delle istituzioni che vi hanno investito, come soci o come clienti, e, insieme, della più ampia autonomia. E, se è vero che la cultura di un’organizzazione ne condiziona la traiettoria evolutiva, sono corresponsabile anche di quello che la scuola è diventata oggi. Mi sembra quindi ‘naturale’ che Marella Caramazza mi abbia chiesto di scrivere per questo libro, ma è anche comprensibile un certo mio imbarazzo: qualunque riflessione rischia di venire interpretata come rievocazione nostalgica, appropriazione indebita o espressione di falsa modestia. Supero l’imbarazzo proponendomi di dire, in modo schietto e diretto, cosa ho voluto che fosse l’ISTUD, quale visione abbia dettato la funzione e plasmato la forma che l’Istituto ha preso gradualmente, e perché credo che quel modello sia tuttora indiscutibilmente necessario alle imprese e al Paese. Quando, nel 1977, divenni Direttore Generale, la scuola esisteva da sei anni e aveva già esaurito il suo primo, breve ciclo di vita: le imprese che ne avevano accompagnato entusiasticamente l’avvio, contando sul fatto che raggiungesse rapidamente l’autosufficienza economica, si erano rifiutate di ripianarne le perdite, e solo un intervento della Confindustria aveva impedito che essa chiudesse i battenti; il primo nucleo di giovani docenti – che avevano avuto il privilegio di essere stati formati sul campo dai più bei nomi della Harvard Business School – guardava 14 15 con crescente interesse a più remunerativi impieghi nella consulenza direzionale. Tutto era da inventare ex novo: la sede, l’immagine, lo staff, i programmi. Mi trovai quindi nella felice situazione di creare la scuola che avevo in mente, con pochi vincoli e quasi nessun precedente di cui tenere conto. La mia guida fu un articolo di Herbert Simon1 che mi aveva profondamente colpito qualche anno prima, additandomi la via d’uscita da un dilemma che mi ponevo da tempo. Mi interessava la ricerca sulle organizzazioni e sul management, ma l’istituzione deputata alla produzione di conoscenza – l’università – era, a quel tempo, del tutto disinteressata alle scienze del management (alle quali non era riconosciuta alcuna dignità accademica), e, più in generale, era poco interessata alla trasferibilità, nella pratica, della conoscenza rilevante per il management prodotta dall’università. A mio parere, binomi quali «teoria-pratica» o «pensieroazione» esprimevano – ed esprimono – opposizioni fondamentali utilizzate per delimitare territori e sfere d’influenza e per strutturare relazioni tra diversi gruppi sociali. La preferenza preconcetta per l’uno o l’altro dei poli dell’opposizione caratterizzava rispettivamente la cultura dell’accademia e quella delle imprese, 1. Simon H.A., «The Business School: a Problem in Organizational Design», Journal of Management Studies, vol. 4 n.2, pp. 1-16, 1967. 16 17 due culture «forti» che tolleravano a fatica tentativi di mediazione e tendevano a riassorbire nella propria orbita (riconducendole alla propria logica) eventuali realtà istituzionali caratterizzate debolmente. La storia della prima fase di vita dell’ISTUD e quella dell’IPSOA – l’unico significativo esperimento italiano di business school effettuato prima dell’ISTUD – documentavano indiscutibilmente queste dinamiche: un’istituzione educativa «intermedia», che cerca di funzionare da ‘ponte’ tra i due mondi, tende ad adottare – o è addirittura ‘costretta’ ad adottare – strategie che riflettono la scala di valori degli attori che controllano le risorse dalle quali dipende la sopravvivenza dell’istituzione intermedia stessa. La dipendenza dalle imprese induce ad affermare il primato della prassi, della ‘gestione economicamente efficiente’, del ruolo subalterno e accessorio della ricerca: ma rincorrere le pratiche esistenti implica la rinuncia a innovarle e persino a interpretarle, cioè a razionalizzare e rendere trasferibile – nella misura del possibile – la conoscenza «tacita» che esse incorporano; al contrario, se lo studio e l’educazione al management erano promossi e sostenuti dall’università – come stava accadendo in altri paesi dell’occidente industrializzato – prevaleva la convinzione che per accrescere il prestigio di una scuola professionale bisognasse darle uno stampo accademico: a giudizio di molti, questo induceva ad aumentare artificialmente il livello di «teoricità» dei piani di studio (finendo per fare dell’educazione che non era né ‘generale’ né ‘professionale’) e a considerare la ricerca applicata come ricerca di second’ordine. 18 19 Per tutti questi motivi, Simon aveva sostenuto che le condizioni ideali per lo sviluppo reputazione scientifica. Ma in Italia, in quegli anni, non avrebbe avuto senso cercare e la diffusione della conoscenza manageriale possono essere create solo all’interno un aggancio parallelo con le università, del tutto indifferenti – come si è detto, e a di scuole superiori di formazione alla gestione (business school) concepite e differenza di quanto stava accadendo in altri paesi industrializzati – alle scienze strutturate in modo da funzionare come «istituzioni-ponte» tra l’accademia e il del management. L’obiettivo divenne quindi quello d’inserirsi nella nascente mondo delle imprese, ben radicate – attraverso specifici meccanismi connettivi – comunità europea delle ‘scuole di management’, che si sforzavano di attribuire nei due diversi sistemi sociali e di valore nei quali la conoscenza manageriale viene, altrettanta importanza alla concezione di programmi di formazione innovativi e rispettivamente, prodotta e utilizzata, ma autonome da entrambi. In altre parole, alla formulazione di strategie di ricerca originali, e che sempre più frequentemente Simon sosteneva che l’istituzionalizzazione della competenza manageriale (e, competevano con le università attraverso l’istituzione di programmi di dottorato di conseguenza, la professionalizzazione del management) potesse e dovesse che prescindevano dalle articolazioni disciplinari tipiche del sapere accademico. avvenire attraverso circuiti, organizzazioni e routine specifiche. In Italia prevaleva 20 a quel tempo la convinzione, esplicita o implicita, che la competenza manageriale I docenti dell’ISTUD non avevano alcun bisogno di essere incentivati a essere dei potesse essere efficacemente trasferita attraverso due circuiti istituzionali già bravi educatori: chi utilizza metodi attivi di insegnamento – che costituiscono la esistenti: le aziende (e quel particolare «indotto» che è il settore della consulenza norma nelle scuole di management che si rifanno alla tradizione ‘ortodossa’ della direzionale, che era entrato a piedi uniti nel mercato della formazione dei dirigenti) Harvard Business School – riceve quotidianamente dalla classe riscontri e reazioni o l’università. La strada additata da Simon era invece quella che era stata seguita che lo sollecitano ad aggiustare il tiro e a migliorare la performance. E l’ISTUD, nel negli Stati Uniti sin dall’inizio del Novecento, e a quel modello erano generalmente suo complesso, era sistematicamente rassicurato sulla rispondenza dei suoi servizi ispirate le strategie di sviluppo dell’istruzione professionale superiore di altri alle aspettative delle aziende, nella misura in cui queste continuavano a utilizzarli. grandi paesi europei (l’Inghilterra e la Francia, in particolare). Al contrario, la ricerca doveva essere specificamente incentivata – attraverso Fin dall’origine, l’ISTUD aveva ottenuto, e ancora conservava, un alto livello progetti specifici programmati e controllati, alla stregua dei corsi e dei seminari – se di legittimazione nei confronti del mondo delle imprese – che ne utilizzavano non si voleva che fosse relegata al fondo della scala delle priorità; allo stesso modo, regolarmente i servizi – ma non aveva pressoché alcuna legittimazione o la formazione personale dei docenti doveva essere assicurata da seminari interni che 21 non producevano ricavi, e i docenti dovevano essere spinti a inserirsi nelle comunità simbolica: essa offre oggetti e occasioni di identificazione e di sostegno emotivo a ‘scientifiche’ che raggruppavano i docenti di management per aree di ricerca e di una comunità professionale che non ha ancora conquistato lo spazio e la dignità che insegnamento, partecipando alla vita della comunità – attraverso scambi di varia ad essa competono in un paese moderno”2. natura e progetti transnazionali condivisi di studio e di educazione – e contribuendo ai convegni di area con la presentazione di paper originali. Queste considerazioni sono ancora drammaticamente attuali, sia perché il nostro Paese non ha ancora sviluppato un sistema di educazione manageriale In tutti gli anni in cui ho avuto la responsabilità dell’ISTUD, qualunque fosse la sufficientemente esteso, incisivo e articolato, sia perché i radicali cambiamenti congiuntura economica del momento, la strategia è stata sempre quella di tenere viva intervenuti nell’economia, nella scienza e nelle culture del pianeta esigono la la tensione tra la produzione di conoscenza (sui problemi che i manager dovevano costante ridefinizione sia degli standard tecnici sia (e forse soprattutto) di un’etica affrontare e sui metodi che consentono di diagnosticarli e affrontarli correttamente) professionale per tutti coloro che hanno responsabilità di gestione, nelle aziende e il suo trasferimento nella pratica manageriale. E il tratto forse più significativo private e nelle amministrazioni pubbliche, che restano ‘labirinti morali’ o forse lo della ‘cultura distintiva’ dell’ISTUD – costruita negli anni, con la partecipazione diventano inesorabilmente sempre di più3. Anche se da molto tempo non mi occupo appassionata di tutti coloro che vi hanno lavorato – è stato, e credo sia tuttora, la direttamente di formazione manageriale, continuo a seguire quello che accade nel volontà di contribuire alla professionalizzazione del management italiano, nella piena mondo che mi era stato così a lungo familiare. E anche guardandolo più da lontano, consapevolezza che questo processo esige la definizione di standard sia tecnici che vedo che l’ISTUD conserva i valori e lo slancio che ne hanno contraddistinto il etici – in base ai quali le modalità di svolgimento del compito sono considerate non cammino: la rosa dei venti della sua cultura lo pone ancora al crocicchio tra le due solo appropriate o inappropriate, ma anche lecite o illecite, moralmente apprezzabili polarità fondamentali, il pensiero e l’azione, la tecnica e l’etica. o disprezzabili – tendenzialmente condivisi dai membri della comunità manageriale La sua funzione è più che mai attuale, il suo spazio d’azione si è accresciuto. e rispettati dal resto della società. Come scrissi molti anni fa, “… un professionista Come le sue responsabilità. non è solo una persona dotata di particolari conoscenze e capacità, ma anche un «tipo» sociale portatore di determinati ideali. Formare un manager, pertanto, vuol dire non solo trasferirgli le conoscenze rilevanti e svilupparne le competenze distintive, ma anche socializzarlo a una «cultura» che […] è relativamente estranea alle nostre tradizioni. La formalizzazione della formazione manageriale in istituzioni specifiche, al di là della sua funzione strumentale, ha un’importante funzione espressiva e 22 2. Gagliardi P., Natura, statuto e istituzionalizzazione della conoscenza sulle organizzazioni e sul management, in Cultura dello sviluppo e politica delle risorse umane, a cura di Confindustria, Roma:SIPI, 1993. Questo saggio è stato recentemente ripubblicato in Gagliardi P., Il gusto dell’organizzazione. Estetica, conoscenza, management. Guerini & Associati, Milano, 2001. 3. Jackall R., Labirinti morali, Edizioni di Comunità, Torino, 2001. 23 hanno raccontato la fondazione chi ha partecipato all'autobiografia 24 Daniele Boldizzoni Luca Magni Fiorella Nahum Giancarlo Bonghi Paola Marchionini Antonio Nastri Cristina Godio Alberto Melgrati Luigi Reale 25 26 27 28 29 30 31 esperienza e conoscenza : un capitale da condividere Il racconto è una delle grandi categorie della conoscenza che utilizziamo per comprendere e ordinare il mondo. Roland Barthes 32 Questo libro celebra i quarant’anni di una scuola di management. Era l’8 gennaio del 1970 quando L’ISTUD, Istituto di Studi Direzionali, compariva sul mercato della formazione manageriale italiana. La prima sede si trovava al Sacro Monte di Varese e la Faculty contava alcuni docenti della Harvard Business School. Da allora sono passati quattro decenni, lunghi anni durante i quali la storia economica, sociale e culturale italiana ha vissuto una profonda evoluzione, attraverso la rivoluzione culturale degli anni 70 e l’incubo del terrorismo, gli anni 80 e Tangentopoli, la Democrazia Cristiana e il fenomeno Berlusconi. In questi quarant’anni, il panorama economico e l’idea stessa di impresa e di manager sono cambiati: alle piccole, medie e grandi imprese familiari e di Stato si sono aggiunte, a volte sostituite, le multinazionali e le corporation. E i dirigenti (coloro che comandano e dirigono) sono diventati manager (coloro che guidano e gestiscono). Da quattro decenni, ISTUD si occupa di loro. Ne ha formati oltre cinquantamila. Lo ha fatto con un approccio e con valori di riferimento distintivi rispetto al panorama delle altre business school italiane, proponendo stimoli intellettuali che vogliono spingere lo sguardo oltre l’orizzonte ristretto della bottom line, sostenendo nei manager italiani un pensiero autonomo e responsabile, aperto e creativo. ISTUD ha, nel corso degli anni, cercato di anticipare le tendenze sulla gestione aziendale, di leggerle e di interpretarle, nella ferma convinzione che una buona cultura di management sia fondamentale per lo sviluppo economico della società e per il suo complessivo benessere. La storia di questi quarant’anni di presenza attiva sul mercato della formazione manageriale e di partecipazione al dibattito sull’evoluzione e sulla modernizzazione delle imprese e del management, è un patrimonio per l’Italia. Un patrimonio che vale la pena di raccogliere, fissare e tramandare: per chi c’era e per chi ci sarà, perché siamo convinti che in ogni gruppo, così come in ogni famiglia, ricordare la propria storia, il “come siamo arrivati fin qui”, sia un passaggio fondamentale per confermare la propria identità. Ecco perché abbiamo voluto fermarci e trovare un modo, il nostro modo, di raccontarci tutti questi anni. 33 un valore da trasmettere l’autobiografia come esplorazione valoriale narrazione d'impresa A narrar il mutar delle forme mi spinge l’estro. O dei, se vostre sono queste metamorfosi, ispirate il mio disegno, così che il canto dalle origini del mondo si snodi ininterrotto sino ai miei giorni. Il quarantennale dell’ISTUD cade in un momento difficile dell’economia mondiale, preda di una crisi senza precedenti. Non ci si può dunque esimere dal chiedersi quale ruolo può avere giocato una scuola come l’ISTUD in questi quarant’anni, come essa è cambiata in risposta ai cambiamenti sociali ed economici e quale parte può giocare oggi per contribuire a uscire dalla crisi, in vista di una ripresa del benessere collettivo attraverso la conoscenza e la competenza. Ovidio, Metamorfosi Per rispondere a queste domande, sono state coinvolte tutte le persone che, in questi anni, hanno fatto l’ISTUD, persone che ancora oggi collaborano con la scuola o che vi hanno collaborato in passato, e che sono state chiamate a scriverne, insieme, l’autobiografia. Ci siamo presi il tempo per ricordare il passato, prima di progettare il futuro. Secondo Agostino, il tempo è distensio animae (memoria, intuizione, attesa): nella coscienza il passato esiste come memoria, il presente è percepito nell’intuizione dell’istante, il futuro esiste già nell’attesa. È l’essere umano che 34 fonda e dà realtà al tempo: siamo noi che, con la consapevolezza della nostra coscienza, diamo un senso a quello che è stato, a quello che è e a quello che sarà. L’autobiografia d’impresa ci sembra uno strumento ideale per affrontare questo percorso di “distensione dell’anima” in un’organizzazione. Per ricordare ciò che quell’organizzazione è stata, cogliendone il senso profondo per i suoi membri, per delinearne l’identità nel presente e per immaginarne la possibile proiezione evolutiva nel futuro. La memoria è stata affidata a otto persone – in rappresentanza delle tante che in questi quarant’anni hanno conosciuto da vicino la scuola – che l’hanno raccontata dal loro punto di vista, cercando nella memoria un aneddoto, un ricordo che ben rappresentasse il loro, personalissimo, rapporto con ISTUD. La responsabilità di raccontare il presente, invece, è stata consegnata a tutti i docenti e ai membri dello staff operativo e direzionale, a cui è stato chiesto di dare forma visiva, attraverso la scrittura cinematografica, ai sei valori che oggi costituiscono la cultura fondante della scuola. 35 36 37 metodologia narrativa narrazione d'impresa Innumerevoli sono i racconti del mondo. Il racconto è presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi, in tutte le società; […] incomincia con la storia stessa dell’umanità; non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti; tutte le classi, tutti i gruppi umani hanno i loro racconti Roland Barthes Sono quarant’anni che ISTUD “racconta” le organizzazioni. L’approccio della scuola alla formazione del management aziendale è profondamente radicato nella convinzione che il metodo etnografico e narrativo sia il più indicato, sia teoricamente sia tecnicamente, per indagare e descrivere la cultura di un’organizzazione. L’etnografia organizzativa trae i suoi presupposti dalla convinzione che il mondo delle aziende e di chi vi lavora possa essere efficacemente compreso attraverso strumenti di tipo qualitativo come l’osservazione partecipante, l’analisi documentale e le interviste semistrutturate in profondità. In questo approccio, le “storie” organizzative aiutano a comprendere il substrato profondo della vita aziendale. Le storie riescono a fornire una ricchezza di particolari, un’immediatezza descrittiva in cui ci si può riconoscere e addirittura 38 immedesimare […] Ciò che però conta maggiormente per noi, in quanto studiosi delle organizzazioni e delle culture, è il fatto che le storie possono comunicare una prospettiva, un approccio alla soluzione dei problemi, una serie di rapporti causali impliciti, nonché valori radicati profondi. Capire come la letteratura possa aiutarci a raccontare le organizzazioni è ciò che una prolifica scuola di autori si è proposta d’indagare. Tra gli altri, Francesco Varanini, che ha ben identificato il ruolo della narrazione nelle organizzazioni di lavoro: Le narrazioni sono importanti per ogni popolazione. Sono importanti per i conterranei di García Márquez, per gli abitanti di qualsiasi villaggio e di qualsiasi metropoli. Per i lavoratori di qualsiasi azienda. Per noi che viviamo nelle organizzazioni, o comunque ci sforziamo di capire come e perché le organizzazioni funzionano, la necessità della narrazione è particolarmente evidente. [...] Ciò che non può essere descritto altrimenti può essere narrato. C’è un’arte condivisa da poeti, romanzieri, musicisti e anche dalle persone che, in una pausa di lavoro, si riuniscono attorno alla macchinetta del caffè. Sanno vedere nella massa informe il gomitolo, sanno quale filo tirare. Sanno cogliere il plot emergente e attorno a questo costruire una narrazione. Sanno dare senso al vissuto quotidiano. L’ ISTUD ha sempre creduto nell’importanza di descrivere e interpretare le organizzazioni, più che di prescriverne i comportamenti, discostandosi dalla tradizione tipica delle business school di matrice anglosassone. La rivendicazione di autonomia rispetto al pensiero ispiratore delle business school anglosassoni, tutt’oggi in gran parte dominante, costituisce il naturale corollario alla ricerca di un distinto approccio formativo e di ricerca che si prefigge di essere più profondamente radicato nella cultura europea, e quindi negli studi umanistici che ne sono il fondamento. L’opportunità di studiare le organizzazioni come culture, nella loro componente simbolicoantropologica, trova conferma in alcune tendenze che, già alcuni anni fa, Pasquale Gagliardi – avviando in Italia uno dei più significativi filoni degli studi organizzativi – non mancava di rilevare: • Una tendenza specifica a contestualizzare i fenomeni che ha contribuito a spostare l’interesse degli studiosi dall’organizzazione come fenomeno circoscritto, analizzato principalmente nelle sue dinamiche tecniche interne, alle relazioni tra le forme organizzative e i modelli manageriali, con una particolare attenzione al contesto socioistituzionale nei suoi diversi aspetti politici, culturali ed economici. •Una disposizione maggiore a recepire la dimensione “culturale”, e particolarmente gli approcci teorici e metodologici alternativi, con una crescente attenzione a quegli elementi di multiculturalità che caratterizzano profondamente la società contemporanea. •La disponibilità a lasciarsi ispirare da discipline differenti rispetto a quelle che tradizionalmente hanno stimolato gli studi su questi temi, vale a dire, nello specifico, l’economia, la psicologia e la sociologia. Questi principi hanno ispirato l’opera di ricerca e formazione svolta dai docenti dell’ISTUD, tanto che anche il percorso di formazione culturale e metodologica dei giovani docenti si è da sempre basato su questa impostazione. Il percorso intellettuale e culturale sviluppato all’ISTUD in questi anni è complesso e ha dato vita a una ricca attività di ricerca e pubblicazione, i 39 cui risultati completi sono riportati alla fine di questo libro. Tra i volumi che più rappresentano la prospettiva alla quale ci si riferisce in questo volume, figurano, “Le Imprese come Culture (P. Gagliardi, 1986) che rappresenta il punto di partenza di un filone di pensiero, ormai adottato dai più ma che all’epoca ha rappresentato una vera avanguardia; Nuovi paradigmi di formazione (a cura di D. Boldizzoni, 1990) in cui venivano descritti gli impatti di tale prospettiva teorica su modelli di formazione manageriale; Management Education and Humanities (P. Gagliardi, 2006) che pone l’accento sulla connessione esistente tra un buon management e la cultura umanistica; Management e responsabilità sociale (M. Caramazza et al., 2006) in cui l’emergente attenzione da parte delle imprese verso la propria responsabilità sociale viene messa sotto esame e analizzata come fenomeno sociale e culturale capace di modificare le pratiche di gestione delle imprese. 40 La narrazione come strumento di intervento La narrazione non è solo uno strumento di ascolto, tuttavia. Esistono applicazioni specifiche di questa disciplina per intervenire sull’identità e la cultura delle organizzazioni. L’autobiografia d’impresa è un esempio di applicazione della narrazione all’organizzazione. Attraverso lo strumento narrativo, l’autobiografia consente di accompagnare l’organizzazione lungo un percorso generativo di contenuti semantici e valoriali, cui l’impresa può efficacemente attingere per consolidare la propria identità e prepararsi ad affrontare obiettivi strategici specifici. Un’applicazione dell’autobiografia d’impresa è stata realizzata nel 2008 dall’ISTUD presso la Banca della Svizzera Italiana (BSI). Il racconto autobiografico della nuova BSI [...] nasce dalla convergenza in un unico intervento di due approcci di ricerca e sviluppo organizzativo: l’approccio fenomenologicodescrittivo, che propone la narrazione quale metafora dell’organizzazione, e quello normativo-trasformativo, che identifica nello storytelling uno strumento valido ed efficace di cambiamento. In effetti l’autobiografia BSI ha tratto molto dal primo approccio nella parte preparatoria, utilizzando metodologie qualitative di indagine etnografica per raccogliere e studiare gli elementi valoriali ed emotivi su cui la narrazione è stata poi sviluppata; ma ha anche attinto a piene mani dagli studi sullo storytelling, offrendo ai collaboratori della nuova BSI uno spazio in cui esprimersi attraverso le proprie narrazioni. Si è così tenuto aperto, […] un dialogo interno tra management e collaboratori della banca, che le urgenze contingenti e i meccanismi difensivi – caratteristici delle prime fasi di acquisizione o fusione – avrebbero altrimenti inibito. Nell’autobiografia d’impresa, è l’organizzazione che racconta se stessa attraverso le storie raccontate e riprese dalla viva voce di quanti vi hanno operato e ne hanno vissuto (anche inconsapevolmente) le dinamiche profonde, quelle dinamiche che sfuggono a un’analisi esterna. [...] the value of stories as a means of understanding culture, communicating values and ideals, promoting adaptive change, and developing cooperation and identification. La parola auto-biografia è una brutta parola, artificiale, senz’anima, spoglia di evocazioni storiche e di risonanze poetiche. [...] Ma questa parola così antipatica ha però almeno il merito di dire quel che dice con rara precisione. Autos è l’identità, l’io che ha preso consapevolezza di sé e indizio di un’esistenza autonoma; bios sancisce la continuità vitale di tale identità, il suo sviluppo storico [...] Graphé, infine, introduce il mezzo tecnico che consente di scrivere quacosa di se stessi. Come si può scrivere l’autobiografia di un’impresa quando a essere coinvolto non è un unico essere umano ma decine, a volte centinaia, di persone? I possibili approcci sono molti. Nel caso della BSI è stata coinvolta l’intera popolazione (duemila persone) anche se con gradi di coinvolgimento e impegno diversi per i diversi gruppi e livelli. 41 2010: l’autobiografia della Fondazione ISTUD Così quando mi siedo a questo tavolo con l’idea di plasmare con le mani la storia della mia vita e metterla davanti a te come una cosa finita, vedo cose lontanissime, sprofondate, inabissate in questa o in quella esistenza, divenute parte di essa; sogni, anche, e le cose che mi circondano e quegli abitanti, quei fantasmi solo per metà esprimibili, che stanno nei loro covi giorno e notte. Virginia Woolf 42 Su questa scia progettuale e di ricerca si è scelto di celebrare i quarant’anni con l’autobiografia dell’ISTUD. Tutte le persone che contribuiscono a fare della scuola ciò che è (i docenti, i membri dello staff e della Direzione, in tutto una settantina di persone) sono state invitate a prendere parte a questo “racconto di sé”. La riflessione sull’esperienza passata è stata affidata ad alcuni “testimoni” di aneddoti organizzativi caratterizzanti non tanto la cultura organizzativa ufficiale, quanto quella emotivamente condivisa da diverse categorie di stakeholder della scuola: docenti, membri dello staff e della Direzione, clienti, giovani in formazione, alumni della prim’ora. A loro è stata lasciata libera scelta per quanto concerneva l’aneddoto da raccontare, salve restando alcune indicazioni di massima: che vi avessero assistito personalmente, che fosse rappresentativo del loro rapporto con la scuola, che nella narrazione non si limitassero alla stretta cronaca ma evocassero anche gli aspetti emotivi della situazione. Nella seconda parte del progetto si è lavorato attraverso sei laboratori di creazione narrativa in cui sono stati invitati, a gruppi, tutti i componenti dell’organico attuale della scuola. Nei laboratori, guidati da un docente di sceneggiatura della Scuola Holden, sei gruppi “misti” (ovvero composti da docenti e da membri dello staff e della segreteria didattica) hanno lavorato per elaborare sei soggetti cinematografici che avessero per tema ciascuno uno dei valori della scuola: Squadra, Integrità, Sostenibilità, Potenzialità, Risultati e Metodo. L’elaborazione creativa del linguaggio cinematografico ha prodotto una visualizzazione dei concetti evocati dal valore assegnato al gruppo, il cui lavoro è passato attraverso fasi di riflessione, confronto, elaborazione 43 e condivisione. L’elaborazione creativa ha anche favorito la creazione di un senso comune ai valori, creando una comune tensione verso di essi e dando loro concretezza e contenuti operativi condivisi. La narrazione, sin dai tempi di Omero, permette di dare senso. […] Abbiamo bisogno di un racconto per dire chi siamo e come vogliamo orientare le nostre pulsioni e i nostri desideri. creazione di senso comune e di appartenenza. Rimarranno nella memoria, e, per ciascun partecipante al progetto, saranno l’emblema visibile di un processo invisibile che ha prodotto valore per tutti e che ha rafforzato l’identità e il senso di appartenenza a un’organizzazione, a legami formali deboli e in cui la cultura è uno dei collanti più potenti. Ciò è stato supportato dalla scelta del linguaggio cinematografico: procedendo per immagini e non per concetti astratti, si è riusciti a condividere l’elaborazione – e la visualizzazione – dei contenuti che i valori dell’organizzazione incarnano per i suoi membri. I sei soggetti cinematografici, su cui i gruppi hanno lavorato, vanno visti dunque non come il fine, ma come il mezzo attraverso cui il processo si è svolto. Vanno considerati come sottoprodotto di un processo il cui esito principale consiste nella 44 45 46 la cronologia 47 La memoria di ciò che è stato e la consapevolezza di ciò che siamo. Solo la scrittura è capace di aspirare dal quotidiano il sublime che giace in fondo del niente. È come se l’anima si distaccasse dal corpo, portando via tutta la carne, lasciandosi indietro scie di sangue e di inchiostro, tracce che solo la pagina bianca può accogliere. Ragone E., Poesia dell’amor migratore, Avagliano, Cava de’ Tirreni, 2006. Le otto persone a cui abbiamo chiesto di raccontare la propria esperienza con l’ISTUD, per fissarne e tramandarne la memoria, sono rappresentative della popolazione che in questi quarant’anni ha animato la vita della nostra scuola. Partecipanti, docenti, clienti, ricercatori, gestori: tanti punti di vista diversi, differenti epoche “storiche” di ISTUD, ma tutti con un punto in comune: essere stati o essere oggi parte della vita della scuola. Ne sono nati otto racconti suggestivi, otto testimonianze commoventi e partecipi, un racconto corale capace di evocare l’anima della scuola e le sue vicissitudini alterne, tra successi e momenti difficili, glorie e crisi da affrontare. Un’esplorazione del patrimonio, prima di tutto umano e poi di conoscenza, che si è generato attorno all’ISTUD in tutti questi anni. Riportiamo qui di seguito le otto testimonianze, introdotte da qualche nota biografica dell’autore e da un breve testo che contestualizza nel tempo la relazione intercorsa tra la scuola e chi racconta. 48 49 1 9 7 0 1970 > 1989 1 9 7 5 1 9 8 0 1 9 8 5 1 9 9 0 2 0 0 0 2 0 0 5 2010 L’età dell’oro della formazione manageriale In Italia, dopo il boom economico, le aziende hanno intrapreso un percorso evolutivo che vede una forte crescita della capacità produttiva e forti investimenti in capitale e innovazione, e che richiede competenze manageriali più mature. Si passa dalla figura del dirigente di funzione al general manager capace di gestire in modo razionale le divisioni che stanno caratterizzando gli assetti organizzativi dominanti. Allora era Harvard il punto di riferimento mondiale, e alcuni studiosi di organizzazione decidono di importarne il modello, invitando alcuni docenti dagli Stati Uniti e creando una scuola di formazione che trasferisca un’idea di manager più responsabile, critico, capace di prendere decisioni e risolvere problemi complessi. Dal 1970 fino a tutti gli anni ’80, ISTUD è visto come un centro di ricerca e sviluppo di conoscenza talmente all’avanguardia rispetto al panorama nazionale da essere un punto di riferimento come scuola di pensiero prima ancora che come ente di formazione, e i discenti che vengono formati sono quasi “illuminati” dalla scuola. Le grandi imprese italiane, insieme all’establishment dell’economia e della finanza italiana, si raccolgono attorno all’ISTUD, al punto che IRI, Olivetti, Montedison, Confindustria e ENI accettano di finanziare cinque cattedre sui temi allora ritenuti importanti oggetti di ricerca e formazione del management degli anni futuri. Le stesse imprese, insieme ad altre di alta rilevanza nazionale e internazionale, si servono dell’ISTUD per la formazione della propria classe dirigente. 50 1 9 9 5 Pasquale Gagliardi è Direttore della scuola e Ottorino Beltrami ne è il Presidente. ISTUD è tra i fondatori dell’EFMD – European Foundation for Management Development – e si afferma come centro di ricerca e formazione rilevante a livello internazionale. Ne è testimonianza l’organizzazione, nel 1988, della seconda conferenza annuale dello SCOS – Standing Conference for Organizational Symbolism – che sancisce il ruolo dell’ISTUD come culla in Italia degli studi sulla cultura organizzativa. In questi anni, vedono la luce molti progetti che oggi fanno parte della mitologia della formazione manageriale italiana: primi fra tutti PSAD (Programma di Sviluppo delle Abilità Direttive) e FGA (Fondamenti di gestione Aziendale) che, rispettivamente per dodici e quattro settimane, tengono i dirigenti in aula sulle sponde del Lago Maggiore. È anche in questi anni che prendono vita il PFI – Programma di Formazione all’Imprenditorialità, il primo master per gli imprenditori di domani – e i Labor (Laboratori di Organizzazione) condotti da Bruno Maggi e Daniele Boldizzoni. Testimoniano questi anni, con i loro racconti: Fiorella Nahum, a lungo responsabile delle relazioni esterne per la scuola, Giancarlo Bonghi, uno dei primi manager a frequentare i corsi di General Management dell’ISTUD, e Daniele Boldizzoni, ricercatore e docente che da allora collabora in modo attivo alla Faculty dell'ISTUD. 51 Il concerto Fiorella Nahum Era il 1983 e l’ISTUD viveva uno dei suoi periodi più felici. Esaurita la fase del rilancio e revisione del Grande Corso di General Management, che Pasquale Gagliardi aveva trasformato con successo in PSAD (Programma di Sviluppo delle Abilità Direttive), l’ISTUD cominciava a puntare lo sguardo dagli Stati Uniti all’Europa, considerata dal Direttore un luogo intellettualmente e culturalmente a noi più affine, per lo sviluppo di una nuova scienza manageriale e di un dialogo più creativo e originale. Nuove correnti di pensiero, dunque, il cui crogiuolo si trovava a Bruxelles, presso la sede dell’EFMD (European Foundation for Management Development), cui l’ISTUD partecipava come socio. Questo clima rinnovato segnava la 52 svolta verso un percorso che, per alcuni anni, non si sarebbe fermato, trainato dai contribuiti sempre più innovativi che il Direttore seppe imprimervi. Dalla cultura europea alla cultura d’impresa il passo fu breve. Seppure a Belgirate, all’Hotel Villa Carlotta, si respirasse ancora un’aria prevalentemente ortodossa, ispirata alla scienza manageriale americana, l’entusiasmo del Direttore era contagioso. L’Istituto cominciò a essere considerato il fiore all’occhiello della formazione manageriale in Italia, e noi cominciammo a volare. Nel febbraio di quell’anno, l’ISTUD ospitò a Belgirate il Convegno “Creation and change of corporate culture”, quale Meeting Annuale dell’EFMD. Popolazione cosmopolita e colta, cui non si poteva proporre, a conclusione, un tradizionale, formale banchetto. Bisognava realizzare un evento ispirato alla nuova ventata di spiritualità e cultura che informava l’Istituto e i suoi interlocutori privilegiati. Così, mi venne in mente la musica. Mi vennero in mente i Solisti Veneti (avevo conosciuto Claudio Scimone nei miei anni universitari a Padova) e la Chiesa di Santa Maria Maggiore a Belgirate, splendido edificio del Milleduecento con una cripta paleocristiana del VII secolo, le cui rovine si intravvedevano sotto il pavimento, protette da una lastra di vetro e da un parapetto malsicuro. I Solisti Veneti in una Chiesa poco conosciuta ma di grande bellezza: il più bel connubio cui potessimo aspirare. 53 Fu tutto semplice: il permesso del Parroco, l’arredamento con panche e sedie, la segnaletica stradale (facemmo un mappa che venne distribuita), gli inviti ai principali esponenti delle business school italiani e stranieri, ai formatori e ai grandi consulenti milanesi. Benché avessimo previsto un impianto di riscaldamento, quella sera faceva un gran freddo. Nei giorni precedenti era caduta la neve, e la neve aveva reso difficile l’accesso alla chiesa. Fu per questo che ci avviammo a piedi, con indosso piumoni e pellicce, ansiosi di ascoltare Vivaldi, Albinoni, Haendel, nella magia degli strumenti ad arco e dei fiati dell’”Ensemble dei Solisti Veneti”, otto musicisti di grande talento venuti da Padova nel pomeriggio. 54 Il concerto fu bellissimo, ma purtroppo ne godetti poco. Ricordo un insieme di persone intirizzite in ascolto dei musicisti che suonarono, per tutto il primo tempo, senza guanti e in abiti da sera. Prima del secondo tempo, però, la flautista Clementine Hoogendorn, moglie di Claudio Scimone, ci chiese il permesso d’indossare i giacconi di lana. Qualcuno si mise anche un berretto. L’atmosfera si fece surreale: una platea di fantasmi e un palco di musicisti travestiti da esquimesi, senza che nessuno abbandonasse la propria posizione. Ripenso spesso a quel miscuglio di sacro e profano, i suoni struggenti amplificati dalla volta romanica, l’equipe fantastica di musicisti, l’élite degli ascoltatori venuti da lontano, la luce fioca della Chiesa, il gelo che sublimò tutto. Mi emoziono ancora, come davanti a una poesia. Allora ero dispiaciuta e un po’ frustrata. Oggi, credo che quell’evento abbia contribuito a creare attorno all’ISTUD l’immagine che lo ha accompagnato per moltissimi anni, assieme all’originalità della sua svolta culturale. Fiorella Nahum > note biografiche Sono nata e vissuta a Tripoli fino alla maturità classica. Mi sono laureata in Scienze Politiche a Padova e ho frequentato per un anno il Bologna Center della Johns Hopkins University e, per un secondo anno, la School of Advanced International Studies della Johns Hopkins a Washington D.C. con borsa di studio Fulbright, frequentando il corso Master biennale in Relazioni Internazionali. Le mie principali esperienze di lavoro si sono svolte a Roma, dove per sette anni sono stata Program Assistant alla Commissione Scambi Culturali Italia - Stati Uniti, e successivamente a Milano, Varese, Belgirate e Stresa, presso l'ISTUD, dove ho svolto principalmente la funzione di Responsabile Relazioni Esterne con la qualifica di dirigente. Il mio trasferimento da Roma a Milano è stato determinato dalla mia collaborazione con il Prof. Pietro Gennaro in relazione alla nascita e costituzione dell'ISTUD – Istituto Studi Internazionali S.p.A. – di cui ho seguito le sorti fino al 1994. Ho raccontato la mia esperienza nel volume Origine e Modelli delle Business School in Italia a cura di Giuliana Gemelli, Il Mulino, 1997 (pp. 387-435 e 537- 543). Da quell'anno sono in pensione e dal 1998 sono Vicepresidente dell'Associazione Nestore, no profit che svolge ricerche, formazione e interventi sul tema della transizione dal lavoro al pensionamento e orientamento al volontariato, con piena responsabilità sulle attività e sviluppi dell'Associazione (www.associazioni.milano. it/nestore). Ho svolto alcune ricerche e pubblicato articoli su riviste specializzate e di settore. 55 L’ISTUD RITROVATO Giancarlo Bonghi Scrivere non mi ha mai entusiasmato. Per questo, quando la Dottoressa Cosso mi ha chiesto di fare da testimonial, ho esitato. Se avessi dovuto risolvere un problema matematico mi sarei sentito più a mio agio. Tuttavia, tornare con la memoria alla mia frequentazione dell’ISTUD era uno stimolo forte. Il periodo passato a Prima Cappella, allora sede dell’Istituto, un intreccio di studi e amicizie, molte delle quali resistono ancora all’usura del tempo, si confonde coi ricordi legati al Club ISTUD, immagini appena velate dal tempo. Fui inviato in ISTUD dalla mia azienda, all’avanguardia nei problemi di formazione, nel gruppo dei soci fondatori che mandava regolarmente i suoi manager a frequentare il corso di General 56 Management. A me toccò il 14°, nel 1976. Non era la prima volta che partecipavo a un corso di management. In azienda era una consuetudine. Si trattava, però, di corsi interni. Il corso di General Management apriva nuovi orizzonti, offrendo un confronto con manager di altre aziende, culturalmente diverse. La mia era la filiale italiana di una multinazionale estera; la maggior parte dei colleghi apparteneva invece ad aziende italiane, sia pure multinazionali. A quel tempo, ISTUD era a Prima Cappella, sulle colline intorno a Varese. Vi si arrivava costeggiando ville e villette sulla strada che porta al Campo dei Fiori, all’inizio del viale acciottolato che, superando le varie Cappelle, conduce al Sacro Monte. Il viale era il luogo delle nostre passeggiate, tra una lezione e l’altra. Non era agevole camminare sui ciottoli né affrontare quella salita. Non raggiungemmo mai l’ultima cappella, ma, lungo il percorso, meditavamo sui casi di studio e sulle fatiche sopportate dai fedeli per arrivare in cima al Sacro Monte. La sede era un albergo confortevole, privo di fronzoli, adatto a ospitare pellegrini e allievi di una scuola. L’aula delle lezioni era stata l’antico salone di rappresentanza. Alcune delle stanze erano utilizzate per i gruppi di lavoro, altre per lo staff e altre ancora erano destinate agli allievi. Il corso di General Management era l’unico corso tenuto dall’Istud, un corso residenziale della durata di 57 Giancarlo Bonghi > note biografiche Mi chiamo Giancarlo Bonghi e sono nato a Napoli il 27 agosto 1928. Mi sono laureato in Ingegneria Elettrotecnica nel 1953. Sono stato collaboratore presso la cattedra di Fisica Tecnica dell’Università di Napoli, istruttore radar nell’Aeronautica Militare nel corpo del Genio Aeronautico Ruolo Ingegneri, impiegato presso la Società Microlambda nei reparti Collaudo Finale e Manutenzione, Scientist nel Data Handling presso lo Shape Air Defense Technical Center in Olanda, e rappresentante applicazioni Scientifiche presso la IBM Italia. Dal 1967 ho ricoperto varie cariche Direttive presso la IBM Italia fino alla pensione, nel 1989. nove settimane divise in tre gruppi di tre settimane ciascuno. Direttore della scuola era il professor Massa, Direttore dei corsi il Dottor Franza; c’era poi Fiorella Nahum, una forza della natura, sebbene non lo avessi ancora percepito (si è rivelato in seguito, nel Club ISTUD, e poi nell’Associazione Nestore). Il primo giorno fummo divisi in gruppi per approfondire, secondo il metodo della Harvard Business School, i casi di studio da discutere in seguito in aula. Ricordo alcuni compagni: R. B., del Marketing della Honeywell Computer; G. D. S., fra i progettisti di uno dei primi computer della Olivetti; D. R., il più estroverso, che aveva ricoperto, in varie parti del mondo, posti di responsabilità per la Pirelli e ci raccontava le sue esperienze. Tra le materie di studio, le più 58 interessanti furono, almeno per me, quelle relative all’economia. Ricordo bene Barbato, del CUOA di Padova, che brillantemente ci introdusse al controllo di gestione, facendoci navigare nell’arido mondo della contabilità e dei bilanci. E ricordo Paul Welter e Marcello Bianchi, che ci condussero nel mondo della finanza. Giuseppe Scifo, fine umorista e abile docente, ci parlò invece di scenario. Una sera irruppe nell’aula un gruppo di “caciaroni”: erano i partecipanti al 12° corso, molto legati fra loro. Avevano l’abitudine d’incontrarsi per una riunione conviviale all’ISTUD, e, oltre a questo, avevano dato vita al Club ISTUD, come nelle business school americane. Con quel rumoroso intervento volevano sollevare in noi il loro stesso entusiasmo, spingendoci ad aderire al Club. Ci riuscirono. Molti aderirono, e il Club visse ancora per una ventina di anni, sostenuto da Fiorella. Credo che, quando l’amministrazione del Club passò alla scuola, la direzione abbia contribuito a determinarne la fine. Sembrava che il mio rapporto con l’ISTUD dovesse terminare lì. Un giorno, invece, Susanna Stefani, uno dei nostri prestigiosi Presidenti, mi chiamò per un incontro nel palazzo dei Congressi di Stresa. Era nato, sostenuto questa volta dalla direzione, “Alumni ISTUD”. E ora eccomi qui a raccontare la mia esperienza. Sono immagini velate dal tempo eppure ancora presenti, nitide e piacevoli come quelle passeggiate sul viale acciottolato, percorso dai pellegrini per arrivare in cima al Sacro Monte. 59 La grande nevicata a Villa Treves Daniele Boldizzoni Era una fredda giornata d’inverno del 1990. L’ISTUD era allora a Belgirate, nella villa dell’editore Treves, confiscata dal regime fascista dopo le leggi razziali, lasciata deperire nel dopoguerra e fatta rivivere per ospitare la scuola. Il restauro non era stato indolore. Secondo i canoni harvardiani, le aule dovevano essere a ferro di cavallo e senza finestre, poiché nulla doveva disturbare la concentrazione e l’apprendimento, neppure un pallido raggio di sole. Era un peccato aver oscurato le grandi vetrate con vista sul lago, però il locale all’ingresso, dotato di un’ampia vetrata, era stato adibito a biblioteca con scaffali a vista zeppi di libri, per dare, a chi arrivava, un’immagine nitida di ISTUD come luogo di cultura, in cui non si facevano chiacchiere ma 60 formazione di alto livello. La villa era rosa pallido, come le signore d’antan, sobria ed elegante, contornata da un giardino ricco di alberi di rara bellezza. Il rosa pallido baciato dal sole o dalla pioggia aveva tonalità sempre diverse; i vetri creavano trasparenze e ombre che facevano volare la fantasia; le siepi di ortensie davano risalto al suo carattere austero e, nello stesso tempo, sensuale. Vi si accedeva percorrendo una stradina che partiva dall’Hotel Villa Carlotta, usato come foresteria, e che saliva per un breve tratto lungo la collina. A metà c’era una scalinata che portava alla villa. Io, lo confesso, ero innamorato di quella villa. Lì avevo un ufficio, poco più di un buco, al secondo piano. Accanto c’era l’ufficio di Paul Welter, che insegnava finanza e che, pur vivendo da molti anni in Italia, faceva ancora i conti in tedesco, perché in quella lingua, diceva lui, “venivano più precisi”. Facevamo assieme i pendolari in treno da Milano, e alla stazione di Belgirate, contando i carri merci vuoti che passavano, Paul formulava previsioni quasi sempre esatte sull’economia italiana e sull’andamento del PIL. Ma questo non è rilevante, anche se quel pomeriggio Paul Welter c’era; era in aula a far lezione allo PSAD, il Programma di Sviluppo delle Abilità Direttive, punto d’orgoglio dell’ISTUD. Io invece guardavo dalla finestra del mio ufficio, incantato dallo spettacolo della neve che cadeva sempre più fitta. Da quanto tempo 61 Daniele Boldizzoni> note biografiche Mi chiamo Daniele Boldizzoni. Sono Professore di Organizzazione Aziendale e titolare dei corsi di Storia e Organizzazione d’impresa e Organizzazione e gestione delle reti d’impresa presso l’Università IULM di Milano dal 2001. Sono stato Direttore responsabile dello Sviluppo e della Formazione manageriale di importanti aziende, Direttore della Divisione Ricerche ISTUD e Dean della Corporate University del Gruppo Intesa. Ho maturato una pluriennale esperienza come consulente su progetti di sviluppo organizzativo, ricerca e formazione per conto di importanti aziende e banche italiane e multinazionali, Enti Pubblici e Organizzazioni internazionali. I miei ambiti di ricerca riguardano la progettazione e l’implementazione delle strutture e dei sistemi organizzativi, delle politiche e delle tecniche di gestione delle risorse umane, della realizzazione e valutazione di programmi di formazione manageriale, della gestione e sviluppo delle piccole imprese. nevicava? Quanta neve era caduta? Erano queste le domande che Paul, uscito dall’aula, mi stava ponendo. Saremmo riusciti a tornare a Milano? La stazione era a poche centinaia di metri, percorrendo un sentiero nel parco e oltrepassando un cancello di ferro di cui possedevamo la chiave, ma con tutta quella neve era ormai irraggiungibile. Non ci restava che telefonare a casa, annullare gli impegni e trattenerci per la notte a Belgirate. E intanto la neve continuava a cadere. I partecipanti ai corsi erano ormai ingestibili ed eccitati come tutti, non solo i bambini, quando arriva una nevicata. Invece dei lavori di gruppo, obbligatori alla sera oltre che particolarmente impegnativi, fu organizzata una battaglia con le palle di neve in cui un alto dirigente Fiat si distinse per precisione di tiro, mentre i manager IBM furono, per 62 una volta, sconfitti. Poi, a fatica, si scese in albergo. Ancora più ardua fu la risalita, il mattino successivo. Durante la notte aveva continuato a nevicare e la scalata alla collina sarebbe stata un’impresa impossibile senza una strategia (ma Pietro Gennaro, il docente di strategia, non c’era) e soprattutto senza risorse tecniche (pale) e umane (spalatori volenterosi). Ci fu un momento di sbandamento, poi i manager PSAD seppero mettere in pratica gli insegnamenti appresi e, invece di sviluppare le abilità direttive in aula, diedero prova di abilità “outdoor”, aprendosi un varco per arrivare alla villa. Che ci aspettava, bella come non mai, avvolta nella neve, per accoglierci nel suo ventre caldo. 63 1 9 7 0 1 9 7 5 1990 > 2000 1 9 8 0 1 9 8 5 1 9 9 0 2 0 0 0 2 0 0 5 2010 L’alleanza con l’Università All’inizio degli anni 90, una crisi profonda colpisce l’economia del Paese, che registra un ristagno della produttività. L’innovazione si arresta, la produttività crolla e le imprese non investono più. Improvvisamente, da un mese all’altro, ISTUD vede azzerate le iscrizioni ai seminari. Nel 1992, lo scandalo Mani Pulite, insieme ad altri fattori congiunturali, paralizza l’imprenditoria italiana e contribuisce alla fine della Prima Repubblica e, con essa, alla crisi della grande industria italiana. Per ISTUD viene a mancare l’interlocutore istituzionale principale, mentre inizia a manifestarsi una nuova opportunità: diventare un’istituzione “ponte” tra mondo dell’accademia e mondo delle pratiche. Nel futuro dell’ISTUD s’intravede un altro mercato possibile e, con esso, un altro posizionamento: il mercato dei laureati e delle loro famiglie, interessate a offrire ai propri figli percorsi formativi post-universitari professionalizzanti e capaci di favorire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro. È il momento in cui anche le istituzioni ravvisano questa esigenza, tanto che mettono a disposizione ingenti risorse finanziarie pubbliche per favorire la professionalizzazione e l’accesso dei giovani al lavoro. In questo disegno diventa fondamentale l’alleanza con un’università, che legittimi agli occhi delle famiglie gli studi presso l’ISTUD. 64 1 9 9 5 Inizia così un sodalizio istituzionale con l’Università Cattolica di Milano, sodalizio che durerà fino al 2003 e che anche oggi produce frutti. In questo periodo vedono la luce i Master in Marketing e Comunicazione e il Master in Risorse Umane e Organizzazione, due dei più importanti programmi della proposta dell’ISTUD. Pasquale Gagliardi è ancora il Direttore della scuola, mentre il Presidente sarà, per tutti gli anni di collaborazione con la Cattolica, Giovanni Bazoli. Sul fronte delle imprese, la domanda di formazione manageriale istituzionale crolla, mentre si vedono le prime avvisaglie di un fenomeno che durerà fino ai nostri giorni e che sarà destinato a modificare lo scenario della formazione in Italia. Le imprese iniziano a concepire la formazione come uno strumento a loro disposizione per il cambiamento organizzativo, e, dal focus sulle competenze e sulla crescita della persona, si passa al focus sui bisogni e sulle esigenze strategiche e gestionali dell’impresa, e sul come la formazione può essere strumentale al soddisfacimento di tali esigenze. Per l’ISTUD non sarà facile il passaggio dall’essere la “Scuola”, il luogo di pensiero indipendente dove i manager si recano per studiare, all’agente di cambiamento, al consulente che si reca presso le imprese e si adatta alle loro 65 esigenze e ai loro bisogni e crea le condizioni perché le persone dentro le organizzazioni vi si adeguino lealmente e acriticamente. Il passaggio verso la formazione in house sarà un passaggio lento che richiederà apprendimento organizzativo e cambiamento culturale, ma si cominciano a fare le prime esperienze. È di quegli anni uno dei primi e più memorabili progetti di formazione in house con la gloriosa Zanussi di Pordenone, che, proprio in quei tempi, veniva ceduta alla svedese Electrolux, segnando uno dei casi allora più discussi di cessione di valore industriale italiano al capitale straniero. Nel frattempo, l’Europa mette a disposizione ingenti risorse finanziarie per la realizzazione di progetti importanti di modernizzazione dell’economia; la società della conoscenza richiede competenze di sviluppo di nuove imprese, di diversity management e di trasferimento culturale e tecnologico. L’ISTUD risponde con grandi progetti europei che hanno fatto storia, come ADAPT, DIVERSITY e POOL – Professional Opportunities On Line – progetti che consolidano i rapporti internazionali dell’ISTUD e che ancora oggi sono ricordati come best practice. 66 Queste e altre esperienze portano a interrogarsi sul senso della formazione manageriale e sulla funzione che la formazione può e deve esercitare nella società e nelle imprese. Sono questi gli anni in cui ISTUD avvia una riflessione sulle radici del pensiero organizzativo europeo e inizia a porre le basi dell’attuale dibattito sulle differenze tra pensiero europeo e pensiero anglosassone nella teoria e nella pratica organizzativa e di gestione delle imprese. Testimoniano questi anni, con i loro racconti: Paola Marchionini, dal 1979 presente nella scuola con varie mansioni, Luca Magni, attualmente HR manager di Johnson & Johnson Europa, e Cristina Godio, che in ISTUD segue tutti i progetti finanziati. 67 Il Muro del Pianto Paola Marchionini Ero la persona preposta ad accogliere le iscrizioni ai seminari. Ero sempre in ansia, perché non arrivavano adesioni sufficienti e, per poter far partire un corso, era necessario, così come lo è adesso, un numero minimo di partecipanti. Erano gli anni ’90, e ISTUD stava attraversando un momento di crisi profonda. Così, il nostro vertice di allora pensò d’istituire una sorta di tabellone su cui annotare, giornalmente e per ogni corso, i nuovi iscritti. Il tabellone era una lavagna bianca sistemata nell’ufficio che dividevo con altre due colleghe; si trovava accanto alla porta d’ingresso, in modo che i vertici e lo staff tecnico potessero prenderne visione in tempo reale. Vi scrivevo il nome del seminario e, accanto, il numero di 68 iscritti, variato a ogni nuova adesione. Il tabellone era stato nominato, da noi dello staff, Il Muro del Pianto, dal momento che l’atmosfera non era certo positiva e la sofferenza psicologica di tutti noi si era fatta palpabile. A tutti i livelli, volevamo apportare il nostro contributo, ma passavamo da momenti di esaltazione a fasi di cupo pessimismo. Al mattino, i nostri vertici entravano nell’ufficio per controllare il tabellone e le loro espressioni cambiavano a seconda di ciò che vi leggevano. Sui loro volti vedevo scoraggiamento: la situazione era difficile, anche se si stavano prendendo tutte le misure necessarie per superare il momento. Le stagioni si avvicendarono. Arrivò l’inverno; nevicava, e la temperatura si fece più rigida. La lavagna mi pareva una distesa di neve solcata di rosso, il colore del pennarello. Il colore di Marte, Dio della Forza combattiva. Quei segni rossi esprimevano il nostro bisogno di ottenere risultati, il desiderio di successo e la volontà di vincere che ci animava. Il pennarello emanava un odore così intenso da procurarmi quasi fastidio, ma il fastidio era compensato dal senso di gioia che provavo quando dovevo usarlo. Avevamo, a quel tempo, una grande azienda multinazionale del settore telecomunicazioni che iscriveva molte risorse a ciascun percorso di formazione; quando arrivavano le loro telefonate, i numeri crescevano a vista d’occhio. Un seminario che avremmo dato per annullato, poteva risorgere come d’incanto. Quando il centralino mi passava 69 Paola Marchionini > note biografiche Mi chiamo Paola Marchionini e sono arrivata in ISTUD nel 1979, come impiegata nell’ufficio allora denominato Relazioni Esterne, occupandomi della Mailing List. Successivamente, mi sono occupata di tutto il materiale promozionale dell’Istituto, tenendo i contatti con tipografie e grafici. Sono poi diventata l’assistente della Responsabile delle Relazioni Esterne, occupandomi di tutte le iscrizioni ai corsi. Attualmente faccio parte dell’Ufficio Vendite e tengo i rapporti con tutti i clienti della Scuola. quell’azienda, il mio cervello scandagliava tutte le ragioni possibili, perché la chiamata poteva comportare nuove iscrizioni oppure annullamenti. Nel primo caso, esultavo dalla felicità; le mie colleghe capivano immediatamente che qualcosa era cambiato in meglio. C’erano telefonate fra gli uffici, e chiacchiere nei corridoi e alla macchinetta del caffè per commentare la buona notizia. I nostri vertici erano i primi a essere avvisati; l’espressione rabbuiata dei loro volti cambiava, si faceva sorridente, entusiasta. Anch’io vivevo quei momenti in modo particolare: mi sentivo coinvolta non come una semplice dipendente ma come se un pezzo della scuola fosse di mia proprietà e dovessi esprimere la mia gioia a tutti. E la gioia è una di quelle emozioni dotate di un enorme potere. Da anni Il Muro del Pianto non esiste più; è stato sostituito dai freddi report del nuovo sistema 70 informatico. Peccato. Le persone che frequentavano l’ufficio e ci rendevano partecipi delle loro emozioni mi mancano molto. In questi anni si è lavorato sodo, anche grazie alla crescita professionale di vecchie e nuove risorse che hanno saputo dare nuovi stimoli. Si sono creati nuovi prodotti: corsi interaziendali, programmi di formazione alternativa, ricerche, la conquista di una serie di progetti finanziati che ci hanno permesso di superare la fase negativa portandoci all’attuale realtà di successo. La nostra è, nelle statistiche italiane, la prima Scuola indipendente. Sono contenta di farne parte, anche se, qualche volta, ripenso ancora con un certo, strano, rimpianto alla distesa di neve solcata di rosso. 71 Luca Magni > note biografiche Mi chiamo Luca Magni. Mi sono laureato in Filosofia e poi specializzato in Psicologia delle Organizzazioni presso la Manchester School of Management. Ho maturato significative esperienze in ambito Risorse Umane presso Aziende multinazionali e società di consulenza internazionali. Ho al mio attivo articoli e pubblicazioni sui temi della psicodinamica dei gruppi e della leadership su numerose riviste specializzate. Il mio primo incontro con ISTUD Luca Magni “Non siamo interessati a questo progetto.” Con un sorriso cortese, Claudia Piccardo, storica docente di ISTUD, ripose l’agenda nella borsa di pelle che teneva accanto a sé, sulla poltroncina della sala riunioni. Vidi il giovane che era con lei riordinare le proprie carte e infilarle nella ventiquattrore. Si trattava di una copia dell’offerta che avevano inviato a Stefano, mio capo e responsabile dell’Area Sviluppo Organizzativo dell’Azienda in cui ero da poco entrato per occuparmi della selezione e formazione del personale di sede. L’incontro era iniziato solo da venti minuti, il tempo per i convenevoli e per un breve commento di Stefano: “La progettazione contenuta nella vostra offerta è intrigante e molto 72 stimolante sul piano culturale, ma, mi chiedo, non si potrebbe optare per una strada meno impegnativa? Dobbiamo riempire una giornata per una decina di Product Managers a cui l’azienda tiene particolarmente, intrattenerli e farli contenti, senza sollevare troppi dubbi circa il loro ruolo e/o la strategia aziendale”. In effetti, né noi come HR né probabilmente i vertici dell’Azienda – la filiale italiana di una multinazionale tedesca – avevamo le idee chiare in merito alla strategia che stavamo perseguendo, ammesso che una strategia fosse stata decisa. Erano gli anni della formazione apparente: centinaia di milioni spesi per iniziative che spesso si caratterizzavano come pure esperienze di svago. Le Direzioni del Personale avevano al proprio interno responsabili di funzione specializzati, chi nell’elargizione del Panem (gli Specialisti di Relazioni Industriali e Compensation), chi nell’erogazione dei Circenses (gli Addetti alla Formazione). Tempi di vacche grasse e principi gestionali poco evoluti, in cui le Aziende spendevano e le Scuole di Formazione potevano permettersi di rifiutare progetti professionalmente poco edificanti, sebbene lautamente ricompensati. Stefano sapeva di avere davanti il meglio del mondo della formazione italiana; l’offerta lo dimostrava, data la schiettezza con cui metteva in risalto i punti nevralgici della committenza, ovvero la nostra Azienda. Accompagnati Claudia Piccardo e il suo collega alla Reception, disse: “Tu hai capito cosa è successo? Non mi aspettavo che rinunciassero a un progetto tanto facile e con un cliente così propenso a pagare”. Aveva alle spalle una decina d’anni di esperienza in ambito Formazione e Sviluppo Risorse Umane. Mi ha insegnato il mestiere di HR, e anche per questo, lo ricordo con grande affetto; da lui ho imparato a gestire progetti, clienti interni e fornitori. Eppure, quell’incontro non era andato secondo i suoi piani. “Forse non siamo un cliente abbastanza importante?”, azzardai. “Forse lavorano per passione e non per necessità”, disse lui dopo un istante. “L’unica necessità a cui rispondono è quella della propria curiosità intellettuale. Voglio comunque ricompensarli. L’offerta che ci hanno presentato è una consulenza, più che un’offerta. Magari un giorno i loro consigli ci serviranno.” Nelle sue parole c’erano delusione e ammirazione; questo fece sì che il nome e lo stile di ISTUD – profondità di analisi, chiarezza di visione, originalità di pensiero – mi s’incidessero nella memoria. Qualche anno dopo, l’Azienda andò incontro a un importante cambio al vertice. Per affrontare un mercato che si era fatto molto competitivo, la formazione non poteva più essere un riempitivo: doveva trasformarsi in un’attività focalizzata e strategica. ISTUD diventò il nostro partner ideale. Ricontattai la scuola e strinsi con lei rapporti sempre più intensi. Negli ultimi quindici anni, la relazione si è evoluta a seconda delle esigenze delle Aziende in cui mi sono trovato a lavorare e in base alle competenze che la Scuola ha sviluppato. Una costante accomuna però tutti i progetti portati avanti con ISTUD: il senso di avventura e il legame fra l’Azienda e la scuola, i suoi docenti, ricercatori e personale di supporto. Ciò trasforma qualunque progetto, anche il più complesso e ambizioso, in un successo per il Cliente. Stefano aveva ragione. 73 Cristina Godio > note biografiche Mi chiamo Cristina Godio, sono nata ad Arona (NO) il 25 marzo 1969, sono laureata in Lettere e Filosofia. Appassionata di psicologia, architettura e giardinaggio, adoro gli animali. Sono entrata in ISTUD come stagista al termine del Master WEMP “Women’s Entrepreneurship Management Programme”, intervento di Azione Positiva finanziato dalla Commissione Europea e realizzato da ISTUD per valorizzare il potenziale intellettuale femminile sul finire degli anni ’90. Da allora mi occupo, a vario titolo, dei progetti finanziati da importanti donors internazionali come l’Unione Europea e le sue Agenzie o la Banca Mondiale, e di altre attività internazionali della Fondazione ISTUD. Ricordi dall’altro secolo Cristina Godio Nel luglio del 1995, quando per la prima volta misi piede in ISTUD, non c'erano schermi piatti e mouse ottici, wireless era un termine sconosciuto e in segreteria didattica, nel lungo caseggiato marrone in cima alla collina alle spalle del centro didattico, campeggiavano solitari alcuni Macintosh, all’apparenza distonici con le attività che si svolgevano in quei locali. La Sig.ra Erica, storica segretaria della scuola, mi accolse con un enorme sorriso: da quel momento, fu quello il mio modo d’immaginare ISTUD. Quando infatti, durante il master WEMP, mi venne chiesto di descrivere il luogo in cui lavoravo, dissi: "ISTUD è un posto dove si lavora molto, ma col sorriso". Già, perché i sorrisi non erano soltanto 74 quelli di Erica: erano un vero e proprio marchio di fabbrica, e l’attenzione alle persone era il faro che guidava la scuola. In quell'ISTUD che si affacciava all’uso di tecnologie che ne avrebbero radicalmente modificato ritmi e modalità operative, la Persona era al centro. Quando, con un giovane collega, progettammo il primo sito internet artigianale di ISTUD, il nostro AD, Pasquale Gagliardi, si preoccupò molto di come questo strano artefatto virtuale potesse rappresentare l’appartenenza della Faculty alla scuola. Erano le persone, i professionisti e le speciali relazioni “con e tra” loro ad aver reso unico l’Istituto, e questo doveva emergere anche attraverso i nuovi strumenti ICT. A quel tempo, i giovani borsisti potevano diventare docenti junior solo attraverso un immancabile rito di passaggio: il teatrino di fronte alla Faculty senior. Per me, però, non ci fu un teatrino tradizionale. La mia prima apparizione pubblica come risorsa ISTUD fu a un meeting internazionale a Stresa per un progetto Adapt dell’UE. Una vera occasione operativa, in inglese, di fronte a partner stranieri. Non ricordo di cosa parlai, ma ricordo l’emozione nel veder entrare in aula, al momento della mia presentazione, il mio tutor – l’allora Direttore operativo Gianfranco Sampò – e le persone con cui era stato, fino a poco prima, in riunione; l’avevano interrotta per poter essere presenti a quel momento, in fondo banale in qualsiasi altra organizzazione, ma per me, e quindi per ISTUD, straordinario. L’evidente attenzione che mi fu manifestata segnò anch’essa il mio modo d’intendere ISTUD. Capii che non era solo un posto in cui lavorare: era soprattutto un posto in cui poter essere. Alla fine degli anni ’90, un'aria di grandi cambiamenti accompagnava esperienze di eccellenza, fortemente anticipatrici: il primo master e-business in Italia, POOL e la sua comunità professionale online (che anticipava di diversi anni la nascita dei social network professionali), il diversity management. Importanti cambiamenti organizzativi ci attendevano dietro l’angolo del nuovo secolo. Tra il 1999 e il 2000 molti dirigenti lasciarono ISTUD. Emblema di quel momento fu la festa di Natale del 1999. Terribile. La mitica tombolata si svolse, anziché tra risate e piatti succulenti come negli anni precedenti, in aula A: ogni estrazione sembrava anticipare qualche evento sinistro. La cena seguente venne organizzata nelle aulette di gruppo. Riuniti nei “sotterranei” dell’ISTUD, sembravamo una famiglia di topolini: rannicchiati tutti insieme, vicini ma separati, per consumare l'ultimo pasto di un secolo che volgeva al termine. Ma presto arrivarono le novità degli anni 2000: “donna” Marella Caramazza divenne il nuovo Direttore Generale e, scherzosamente, iniziammo a chiamarla “la nostra imperatrice”. Poi, qualche anno dopo, arrivò la mail di Pasquale Gagliardi che ci annunciava l’apertura della nuova sede ISTUD a Milano, in via Stephenson: “un acquario con vista tangenziale”. Indimenticabile. Capimmo subito che era davvero iniziata una nuova era. 75 1 9 7 0 1 9 7 5 2000 > 2010 1 9 8 0 1 9 8 5 1 9 9 0 2 0 0 0 2 0 0 5 2010 un centro di pensiero sul management in anticipo sui tempi L’11 settembre 2001 cambierà per sempre la percezione degli assetti del mondo. Nel frattempo, però, il mondo è già cambiato: internet impera, si è assistito alla definitiva affermazione del terziario avanzato e all’entrata in vigore dell’euro in sostituzione della lira. Nel mercato del lavoro s’introducono criteri di flessibilità, e l’Europa pone obiettivi di stabilità che impongono rigore nei conti pubblici. L’economia è globale, interconnessa e fortemente condizionata dalle dinamiche dei mercati finanziari. India e Cina diventano mercati importanti e il vecchio continente arranca. L’innovazione e la formazione vengono indicate come una delle leve per uscire dalla crisi, e la piccola e media impresa è riconosciuta come il nuovo motore dello sviluppo economico. In questi anni vengono coniati termini come talento e capitale intellettuale, termini che diventano onnipresenti nei discorsi di attori economici e istituzionali. Il riscaldamento globale e la scarsità di risorse energetiche e di materie prime, insieme all’impoverimento della popolazione mondiale, diventano una priorità assoluta e pongono le basi di un dibattito che vede il moltiplicarsi di posizioni critiche verso il capitalismo. Nel 2008, Obama sostituisce Bush come Presidente degli Stati Uniti, creando l’illusione che qualcosa nel mondo cambierà. Negli stessi mesi del 2008 esplode una crisi senza precedenti che cancella in un batter d’occhio intere imprese e comparti economici. Il dibattito sull’etica nel business si riaccende. 76 1 9 9 5 In questi anni l’ISTUD cambia vertice e veste istituzionale. Pasquale Gagliardi lascia l’incarico di Amministratore Delegato e nel 2001 Marella Caramazza prende il posto di Direttore della Scuola. All’economista Marco Vitale, che per quattro anni sarà presidente dell’ISTUD, viene affidato il compito di ridefinire l’assetto istituzionale. L’Università Cattolica esce dall’azionariato, l’ISTUD diventa Fondazione ISTUD e tra i suoi soci annovera Assolombarda, Generali, Intesa SanPaolo, Zucchi, FontanaArte, Ferrero, Sea e Angelini, dando concretezza all’idea di una business school indipendente, snodo di una rete allargata di interlocutori e di imprese, e al servizio del processo di modernizzazione della società e dell’economia. Nel 2008 Barbara Zucchi Frua diventa Presidente, rendendo l’ISTUD l’unica scuola di management in cui il vertice sia interamente rappresentato da donne. Nel 2001 viene realizzato il progetto REBUS – Relationship Between Business and Society – che indaga criticamente le pratiche di responsabilità sociale delle imprese che in quel momento iniziano a muoversi su questo terreno e i cui risultati saranno pubblicati nel 2004 in un volume dal titolo Management e Responsabilità Sociale. Nel 2002 nasce l’Area Sanità e Salute e si consolida il rapporto tra l’ISTUD e i soggetti istituzionali e territoriali rilevanti. Nel 2004 l’ISTUD diventa membro dell’Eabis – European Academy for Business in Society – divenendone il partner per la executive education, e nel 2007 sottoscrive i Prime – Principles for Responsible Management Education – emanati nell’ambito del Global Compact delle Nazioni Unite. 77 Nel 2009 pubblica il suo primo report sociale. Nel 2010 viene lanciato il primo Green management and Entrepreneurship Program. La valorizzazione e lo sviluppo delle medie imprese italiane diventano uno degli obiettivi strategici, e nel 2009 viene avviata una partnership con Mediobanca, volta alla definizione e alla diffusione di modelli e pratiche di gestione tipici delle medie imprese del Quarto Capitalismo. Nel 2010, a quarant’anni dalla sua nascita, l’ISTUD si organizza in practice, di cui fanno parte non solo docenti ma anche manager aziendali, con l’obiettivo di avvicinare sempre di più l’attività di ricerca e progettazione della formazione ai problemi reali e di continuare a esercitare la sintesi tra teoria e pratica che da sempre è stata la sua cifra distintiva. A quarant’anni dalla sua nascita, la Fondazione ISTUD conferma il suo ruolo d’innovazione e di anticipazione delle tendenze evolutive dello scenario economico. Chiudono la serie dei racconti: Alberto Melgrati, imprenditore ed ex docente della Scuola, e Luigi Reale, uno dei giovani che, in questi anni, presso ISTUD è cresciuto. 78 79 Alberto Melgrati > note biografiche Ezechiele e Schlomo Mi chiamo Alberto Melgrati. Sono laureato in Lettere Moderne. Nel 1998 sono entrato in ISTUD: mi hanno preso perché nessuno voleva occuparsi di project management (oppure: ho scelto il project management perché c'era uno spazio libero). Mi sono occupato anche di organizzazione, in teoria e in pratica. Dal 2006 sono amministratore delegato di una società di gestione immobiliare: curiamo direttamente 1000 appartamenti e un po' di uffici nelle città italiane ed europee, adibendoli a esigenze di breve periodo. Sono oboista per il tempo che resta; infine, sono appassionato di alpinismo e arrampicata, anzi, sarebbe meglio dire, sono ossessionato dalle cime delle montagne, luogo della massima felicità terrena. Sono sposato e con due figli (i quali vengono sempre per ultimi, aggiungerebbe mia moglie). Alberto Melgrati Ezechiele e Schlomo sono figlio e nipote del padrone di una ferramenta nel quartiere ebraico di New York. Un giorno, un cliente si avvicina al bancone per pagare la merce. “Un dollaro”, dice il piccolo Schlomo. Il cliente poggia sul bancone una banconota da dieci e se ne va. Padre e figlio restano in silenzio. “Babbo, puoi spiegarmi cos’è la Business Ethic?”, chiede Schlomo a suo padre. “Molto semplice: il cliente ha creduto di pagare con un dollaro, confondendo le due banconote. La domanda che la Business Ethic c’impone è: lo diciamo o non lo diciamo… al nonno?” Così si era chiuso un corso dedicato all’Etica nel Business, nel 2007. Era presente tutto il top management di una delle più grandi società industriali italiane. Il rischio di progettare un’idiozia era altissimo (la quasi totalità dei corsi su questo argomento era notoriamente 80 idiota). Si era così deciso di ‘sfidare’ il tema ricostruendo, prima e durante gli incontri in aula, alcuni casi critici vissuti dall’azienda e finiti sui giornali, casi da cui affioravano i complicati percorsi che portano i manager a decidere condotte ambigue, chiudendo la bocca e turandosi il naso nel momento decisivo. L’idea aveva funzionato: in pratica, avevano tutti il problema di come e se dirlo al nonno. Era un tema fatto di dilemmi e non di regole e, per conto mio, credo che nessuno sia tornato a casa convinto di essere immune o moralmente vaccinato da certi rischi. Mi pare che questo spieghi cosa sia stata l’ISTUD nel periodo in cui ci ho lavorato. Innanzitutto, era ed è una scuola che non semplifica i problemi. I manager che si rivolgono alle scuole di business chiedono in primis – giustamente – di semplificare il casino costituito dalla realtà del mercato e del lavoro di tutti i giorni. Per questo le business school sono le principali fucine di matrici a due dimensioni che segmentano la complessità e la risputano in quattro concetti autoevidenti. Secondo, bisogna fornire diplomi per ‘sostenere’ le carriere: certificati di partecipazione al master, certificati di acquisizione di competenze, perfino certificati di stabilità psico-fisica, ottenuta correndo su un ponte tibetano sopra le rapide del torrente della morte. ISTUD è stata sempre allergica a queste cose: pochi master, pochi certificati, pochi corsi su ‘come fare per’ vendere meglio, pianificare meglio, essere manager più amati dal proprio capo. Tra il 1990 e il 2000 c’è stato un momento di forte innovazione: anche a seguito dell’avvento di internet, molte scuole, e noi per primi, hanno battuto strade diverse, aprendosi alla collaborazione con scuole estere e tentando di usare le nuove tecnologie per cambiare le regole della formazione. Questo ha prodotto progetti bellissimi, però, a livello sostanziale, ha innovato meno di quel che si sperava. In seguito, vi è stata una progressiva e rapida omologazione, per cui è sembrato che il ciclo vitale del mercato delle business school fosse arrivato a maturazione: un mercato in cui si gareggiava a certificare competenze e a istituzionalizzare l’istituzionalizzabile. Noi ci siamo affezionati ai corsi cosiddetti ‘su misura’: se un’azienda ti chiama, vai a incontrarla a casa sua, cerca di capire cosa vuole e prova a spiegarglielo. Infine, vedi di progettare un percorso formativo. Andavamo in aula stando sempre in bilico: da una parte, rispecchiare un mondo complesso facendo emergere le responsabilità; dall’altra, dare qualche schema e qualche certezza in più. Non volevamo ridurci a entomologi giudicanti ma neppure ossequiare il dirigente di turno all’insegna del ‘tutto chiaro e tutto subito’. ISTUD mi ha dato modo di ragionare, sempre in completa autonomia, spesso obbligandomi a cambiare idea sul lavoro e sui manager. Se dovessi ridurre a un solo punto la mia esperienza, dovrei tornare alla storiella del nonno ebreo: valeva sempre, e prima di tutto, per noi. 81 Luigi Reale > note biografiche Che lavoro fai? Mi chiamo Luigi Reale e sono coordinatore dei progetti di ricerca dell’Area Sanità e Salute della Fondazione ISTUD. Mi occupo di progettazione, gestione, coordinamento di attività di ricerca e interventi formativi in ambito sanitario. Luigi Reale “E tu che lavoro fai?” Prima di rispondere, mi concedo qualche secondo; accenno un sorriso e poi un breve sospiro che contribuisce, come sempre, a far crescere la suspance. In realtà, non ho una risposta pronta. La guardo e penso a ciò che può sapere del mio mondo, penso a quali parole utilizzare. Lavoro da quattro anni in Fondazione ISTUD. Mi occupo di progetti di ricerca, formazione e consulenza nel settore della sanità e della salute. Mentre le parlo, allargo lo sguardo alle altre persone sedute al tavolo e osservo i loro cenni di assenso. Non svolgere una professione nota, di quelle che si trovano nei moduli prestampati da compilare, rende quei cenni vaghi segnali 82 di gentilezza più che di vera comprensione. Non è la prima volta che vengo in questo bar; è sempre molto affollato, pieno di persone che a fine giornata decidono di incontrarsi per un aperitivo. Siamo in fondo a una grande sala, seduti intorno a un tavolo dal quale si può osservare il barman che affannosamente prepara i drink e il via vai di persone che vanno a prendere da mangiare al buffet. Io sono l’ultimo del giro di presentazioni; vengo dopo un avvocato, un country key account di una nota azienda alimentare, un funzionario di pubblica amministrazione e un ingegnere. Mi diverte l’idea di non avere un’etichetta, di essere l’unico, fra quelli seduti al tavolo, con una polo e un paio di jeans, e sapere che, nonostante questo, sono vicino ai loro mondi professionali più di quanto possano immaginare. Ricordo il mio percorso in ISTUD, iniziato cinque anni fa al termine di un Master, dopo aver mosso i primi passi nel mondo del lavoro più da visitatore che da protagonista. Il mio primo approccio con ISTUD l’ho avuto con Maria Giulia e con Giorgia, rispettivamente la mia responsabile e una sua stretta collaboratrice. Era una tarda mattina autunnale; mi sembrava così strano avere un appuntamento per un colloquio di lavoro nell’appartamento del mio possibile, futuro capo. Eppure, l’essere entrato in quell’intimità domestica ha reso l’incontro, più che un colloquio di lavoro, uno scambio di visioni tra persone a cui sta a cuore un argomento, in quel caso la salute, intorno a quali modalità sviluppare per innovare e migliorare la vita delle persone. Ero un ragazzo imbevuto di teoria, abituato a conoscere la realtà aziendale dal punto di vista di chi scrive manuali, animato da un’idea di profonda gerarchia, rigidità e ricerca della perfezione. Quello stesso ragazzo si sarebbe sentito a disagio seduto a questo tavolo, privo della sicurezza di un titolo, di una divisa o di un grande brand. Eppure l’informalità di quel colloquio, la chiarezza e l’entusiasmo con cui mi venivano illustrati gli obiettivi a cui tendere mi spiazzarono e, al tempo stesso, mi colpirono positivamente. Quella familiarità e quel modo di analizzare le cose sono ancora presenti in tutte le nostre riunioni di lavoro. Mentre comincio a sorseggiare il prosecco che il cameriere mi ha appena portato, la ragazza seduta alla mia sinistra mi domanda: “Ma che tipo di progetti?”. Sto seguendo un progetto che analizza i costi sostenuti dalle famiglie di persone con Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Attraverso focus group e interviste, cerchiamo di capire i bisogni di pazienti, familiari e professionisti, individuando quali sono le cose che funzionano e quali invece le aree critiche. Sulla base di quello che emerge, formuliamo proposte concrete di miglioramento, comunicando gli esiti alle istituzioni. “Venerdì prossimo ci sarà un convegno con i risultati. Se vuoi venire l’incontro è aperto a tutti”, le rispondo, prima di finire il prosecco. Al di là della porta d’ingresso di fronte al bancone, sta scendendo la sera. 83 84 i valori svelati 85 I VALORI E I VALORI SVELATI L’esplorazione di sé per dare “forma” al valore Il mito è l’esperienza del significato Joseph Campbell La seconda parte dell’autobiografia è dedicata alla cultura dell’ISTUD e ai suoi valori: Squadra, Potenzialità, Risultati, Metodo, Integrità e Sostenibilità. Abbiamo voluto esplicitare il significato che i valori hanno per le persone dell’ISTUD e il fatto che essi rappresentino la guida implicita per il lavoro di ciascuno di noi. Per ciascuno dei valori enunciati, si riporta la descrizione e il contenuto che emerge e s’inferisce dal lavoro svolto dai gruppi (processo e output), nonché il soggetto cinematografico originale che ciascun gruppo ha prodotto. 86 La composizione dei sei gruppi che hanno collaborato alla realizzazione dei soggetti è stata guidata, sin dal principio, dall’eterogeneità, ovvero dal tentativo di garantire il rispetto di alcune differenze, all’interno di ciascun team, considerate fondamentali per consentire un risultato creativo in grado di favorire un’efficace “messa in scena” dei valori dell’ISTUD. Tre dimensioni della diversità, in particolare, appaiono utili per analizzare i lavori svolti dai gruppi. La prima riguarda la famiglia professionale di appartenenza dei partecipanti (ciascun gruppo era composto sia da docenti che da personale della segreteria e degli uffici di supporto dell’ISTUD); la seconda è relativa all’anzianità della relazione (il cui range spaziava da pochi mesi a diverse decine di anni) dei partecipanti con l’ISTUD; la terza, infine, riguarda l’intensità dei rapporti (in termini di bilanciamento tra collaborazioni più stabili e collaborazioni più sporadiche) con la Scuola. Il rispetto di questa eterogeneità non è stato funzionale solo all’obiettivo di garantire la massima pluralità di punti di vista e idee utili a creare le storie, ma ha rappresentato anche una soluzione preziosa per evitare due insidiose trappole narrative all’interno delle quali i sei gruppi sarebbero potuti cadere. C’è, infatti, una prima trappola, tipica di qualsiasi realizzazione di un’autobiografia organizzativa, rappresentata dall’eccessiva familiarità che le persone coinvolte possono avere con l’organizzazione. L’essere contemporaneamente autori e protagonisti della storia che si sta raccontando, spesso impedisce agli individui di prendere le giuste distanze dalla realtà che stanno descrivendo in modo da poterla osservare e narrare nella maniera più oggettiva possibile. Al contempo, il progetto presentato in questo volume presentava anche una seconda trappola, ovvero il rischio che i formatori, posti di fronte al compito di interpretare i valori dell’ISTUD, assumessero un approccio didascalico, concentrandosi più sul tentativo di fornire una definizione esaustiva del valore loro assegnato che sul compito di “metterlo in scena”. I gruppi così composti hanno prodotto i sei soggetti, ciascuno dedicato a uno specifico valore, proponendo in questo modo 87 i nostri valori METODO La correttezza scientifica, la ricerca e la sperimentazione come unica via per la crescita costante. INTEGRITÀ Il dialogo attento e trasparente con il cliente. Il confronto e l’ascolto per la valorizzazione e la condivisione di saperi e conoscenza. SOSTENIBILITÀ metod o sq alità i z n So s te ità l i ib ità egr int n L’approccio sistemico, etico e sostenibile. te ua d ra risu ltati Po POTENZIALITÀ Le caratteristiche individuali e i talenti dei singoli posti al centro del valore aziendale. Il rispetto dell’individuo e delle sue potenzialità. 88 SQUADRA RISULTATI L’ottenimento di risultati utili per i nostri clienti e per la società, dandone conto. Il lavoro insieme con passione ed entusiasmo. Il coraggio e la costanza alla base del nostro impegno. la loro visione specifica di tali valori. È curioso osservare come, nonostante i team abbiano lavorato in maniera totalmente indipendente, i soggetti presentino numerosi elementi in comune, elementi che possono essere indicati come tratti distintivi della cultura organizzativa dell’ISTUD. Un primo elemento da segnalare è l’approccio al cambiamento che caratterizza i comportamenti dei protagonisti. Tutti i soggetti, infatti, presentano storie di cambiamento. È vero che la presenza di significative evoluzioni nella vita dei protagonisti era uno dei requisiti del mandato assegnato ai gruppi, ma è anche vero che ciascun team è stato libero di scegliere il senso e la modalità con cui interpretare tale mandato. In questa assoluta libertà, tutti i gruppi hanno creato personaggi in grado di guardare con fiducia al cambiamento: spesso, essi si trovano a vivere situazioni drammatiche e sono costretti a compiere sacrifici importanti ma, comunque, si dimostrano in grado di non subire gli eventi, sono cioè capaci di mettersi in discussione e riescono ad analizzare in maniera critica le proprie azioni e il proprio passato in modo da valutare e ponderare le proprie scelte future. Ancora, in tutte le storie appare centrale il ruolo svolto da alcuni attori che aiutano i protagonisti a prendere consapevolezza della necessità di cambiare, accompagnandoli nel processo di transizione dallo stato iniziale a una nuova realtà. È del tutto evidente il richiamo alla figura del formatore, il cui compito, nella prospettiva dei gruppi (e, per estensione, dell’ISTUD), non è quello di chi deve trasferire contenuti, ma quello di chi deve generare consapevolezza nell’altro agevolandone così il cambiamento. I protagonisti dei soggetti, dunque, accettano l’aiuto esterno, mettendosi in gioco e lasciando che le cose accadano. Tale atteggiamento – si badi bene – non deve essere interpretato come mero fatalismo, ma come curiosità verso il futuro e condizione indispensabile per poter analizzare il nuovo contesto che si va disegnando di fronte a loro, al fine di ridefinire i propri comportamenti e le proprie azioni. Partendo da tale premessa, appare opportuno analizzare più a fondo le soluzioni narrative scelte dai diversi gruppi, al fine non solo di comprendere meglio l’idea di fondo che ha guidato ciascun team nella rappresentazione del valore assegnato, ma anche di apprezzare la trasversalità di tali valori, ovvero la presenza di elementi riconducibili a un determinato valore anche all’interno di racconti non espressamente a esso dedicati. 89 La squadra Diamo vita a un mondo a colori (soggetto originale gruppo 1) Percorrendo una stradina che attraversa una campagna i cui colori sono esaltati da un'abbacinante luce estiva, un uomo in bianco e nero, vestito in giacca e cravatta, con una ventiquattrore in mano, si avvicina all'ingresso di un edificio. Vi entra. L’interno dell’edificio è uno spazio multiforme e in continuo divenire grazie al lavoro incessante, calmo, armonicamente diviso e organizzato degli uomini e delle donne che lo popolano, vestiti diversamente ma tutti nelle gradazioni del giallo e del rosso. Disegnano porte, finestre, oggetti, elementi architettonici che magicamente divengono reali, dando così forma, consistenza, senso allo spazio vuoto e bianco da incorporare nell'edificio. Mentre su una parete bianca stanno disegnando una porta e la chiave per aprirla, l’uomo in bianco e nero passa, afferra la chiave dalla mano di una persona, apre la porta, varca la soglia, chiude la porta. La persona a cui è stata sottratta la chiave rimane interdetta e bussa ripetutamente alla porta che però resta inesorabilmente chiusa. Dopo un po', la persona scrolla le spalle e riprende a lavorare con gli altri. Passa il tempo senza che la porta si apra. La trasformazione dello spazio vuoto e bianco continua senza sosta. Nuovi ambienti, nuovi arredi che rendono più complesso ed eclettico l'edificio. I colori sono brillanti. L’uomo in bianco e nero esce dalla stanza, chiude la porta, si mette la chiave in tasca, esce dall’edificio. Riattraversa la stradina della campagna ancora accesa dalla luce dell'estate. Sulla stessa stradina di campagna cade una leggera pioggia autunnale. L’uomo in bianco e nero la percorre nuovamente, diretto verso l’edificio. Vi entra. All’interno, gli uomini e le donne in giallo e rosso continuano a disegnare e a dare forma e consistenza ai propri bisogni, ai propri desideri, alle proprie fantasie. L'uomo in bianco e nero raggiunge la porta, estrae dalla tasca la chiave, apre la porta, entra e la richiude. Passa il tempo senza che la porta si apra e senza che la pioggia cessi. Anzi, la pioggia s’intensifica. L'acqua comincia a infiltrarsi nell'edificio. Ci si organizza per limitare i danni. Si disegnano e realizzano soluzioni dapprima semplici, poi più ingegnose per combattere le infiltrazioni. È tutto inutile e diventa chiaro che l'edificio rischia il crollo. Nell'emergenza viene meno la suddivisione dei ruoli e tutti fanno tutto il 90 La metafora dell’arcipelago rappresenta, forse, l’esempio più significativo dell’idea di squadra che emerge dai diversi racconti ed è, al contempo, altamente evocativa della modalità organizzativa con cui si opera all’interno dell’ISTUD. Gli abitanti delle isole di un arcipelago hanno confini propri, proprie risorse, propri modi di organizzarsi, di amministrarsi e governarsi e propri modi di ordinare la realtà. Hanno propri bisogni e interessi. Allo stesso tempo, l’appartenenza allo stesso arcipelago, alla stessa bandiera, la provenienza dalle stesse origini geologiche, l’essere bagnati dallo stesso mare e lo stare sotto lo stesso cielo li fa sentire partecipi dello stesso destino. Il parlare la stessa lingua li fa sentire appartenenti alla stessa razza e alla medesima cultura. Nell’arcipelago, il contesto esterno (il mare) è fluido, ma i confini sono fissi. Al suo interno gli interscambi sono facili e frequenti e gli abitanti rivendicano autonomia ma anche connessione con le altre isole e con la terraferma. Accettando la metafora dell’arcipelago, il valore della squadra, in ISTUD, assume due differenti accezioni: la “squadra”, al singolare, ovvero l’insieme dei componenti dell’arcipelago ISTUD, e le “squadre”, al plurale, cioè i diversi gruppi-isole che si auto-costituiscono per lavorare sui vari progetti. Nel secondo caso, i legami tra i componenti della squadra sono più forti. Le persone si “scelgono” tra loro, non solo sulla base delle competenze di cui ciascuno è portatore e che servono per la realizzazione di un determinato progetto, ma anche sulla base di affinità elettive. I gruppi, così composti, sono in grado di definire in totale autonomia i propri meccanismi di funzionamento, nel rispetto di regole comuni definite dall’organizzazione cui appartengono. Per questo motivo, la “squadra ISTUD” è una squadra che concede molto alle persone – in termini di libertà di espressione, azione e creatività – ma, al contempo, chiede parecchio in termini di dispendio di energie e di risorse perché il team funzioni. Nel primo caso, invece, i legami sembrano apparentemente più deboli: in assenza di vincoli formali forti che tengano assieme le diverse isole dell’arcipelago e i singoli abitanti tra loro, è la condivisione di codici, linguaggi, significati e valori comuni il principale collante della squadra. Questa continua dicotomia tra singolare e plurale, tra “squadra” e “squadre”, tra isola e arcipelago, consente la piena valorizzazione delle differenze individuali. La squadra ISTUD non spinge verso l’omologazione: accetta le differenze, le accoglie, non percepisce la contaminazione come un rischio ma come un’opportunità. Al contempo, l’accettazione delle differenze conduce inevitabilmente a divergenze di opinione all’interno della squadra. Ciò rende talvolta le dinamiche interne meno fluide: rinunciare alla propria idea è difficile per chiunque, si generano situazioni potenziali di conflitto che necessitano di essere gestite in maniera costruttiva. 91 necessario continuando a lavorare in armonia. La pioggia non cessa e l'edificio, pezzo dopo pezzo, comincia a collassare. Gli uomini e le donne concentrano gli sforzi nel tentativo di salvare il cuore segreto, più prezioso dell'edificio, la ragione stessa della sua esistenza. Per evitare che crolli o venga spazzato via, lo circondano e stringendosi gli uni agli altri formano un solido scudo protettivo. Quando finalmente la pioggia cessa, l'umana imbracatura si scioglie e scopriamo che il cuore segreto altro non è che una stanza. Si apre la porta della stanza e sulla soglia appare l’uomo in bianco e nero. Davanti e intorno a lui ciò che resta dell'edificio è un immenso lago d'acqua colorata. L'edificio, crollando, ha infatti rilasciato i propri colori. L’uomo, imperturbabile, fa per compiere il primo passo per allontanarsi da lì. Prima che possa cadere in acqua, gli uomini e le donne intorno a lui, gli disegnano assi di legno colorate sotto i piedi. Asse dopo asse, l’uomo si allontana da lì, e, passo dopo passo, il suo bianco e nero lascia il posto ai colori. Anche gli uomini e le donne che restano lì dove sorgeva l'edificio o che seguono e rendono possibile il cammino dell'uomo cessano di essere bicolori. L’uomo, finalmente a colori, si allontana verso un punto dell’orizzonte. Per la prima volta si guarda intorno, e sorride agli uomini e alle donne che rendono possibile il suo cammino. 92 93 I RISULTATI L’illusione della palma miracolosa | soggetto originale gruppo 2 Sull’isola la vita scorre tranquilla tra meravigliose palme di cocco. I vecchi insegnano ai giovani come costruire le capanne, ricavare il cibo dalle palme e cucinarlo. Uomini e donne fanno gli stessi mestieri. Le donne portano gioielli di conchiglie intrecciate con foglie di palma. Il villaggio è prospero e felice. Una mattina, al momento della divisione dei cocchi, una famiglia ne rimane senza. È la prima volta che accade. Si ridistribuiscono i cocchi. Ma i cocchi continuano a essere sempre meno, le razioni si fanno sempre più piccole, la gente comincia a lamentarsi e a litigare per il cibo. I saggi tengono un concilio piuttosto animato. Per alcuni, si devono coltivare le palme diversamente, per altri si devono introdurre altri tipi di piante. Il consiglio, mediando fra le due proposte, decide che si debbano andare a cercare altri tipi di palme. Un gruppo prende il mare alla ricerca di altre palme e torna portando il germoglio della Palma Miracolosa. È piantata con i riti di auspicio della comunità. Alcuni saggi, che dissentivano dalla decisione di portare sull’isola una palma estranea, non partecipano alla festa. La Palma Miracolosa cresce rigogliosa e dà i suoi primi frutti, più dolci e succosi di quelli di prima. La nuova specie viene piantata ovunque. Una notte, un rumore cui nessuno degli abitanti dà importanza. Scoprono il mattino seguente che una delle Palme Miracolose è crollata a terra. Di nuovo lo stesso rumore della notte prima. Un'altra palma caduta. Una dopo l'altra, tutte le palme nuove crollano a terra. La comunità è chiamata a raccolta. Le Palme Miracolose sono ammalate e vanno estirpate. Arriva un guardiano con un'ulteriore tragica notizia. Anche le palme secolari hanno cominciato a venir giù. Le palme nuove hanno contagiato le vecchie. Presto non ci sarà più cibo sull’isola. I saggi del villaggio esaminano le palme e osservano che le radici sono marce e non tengono più insieme il terreno. L’isola è quindi condannata a sfaldarsi. Gli sciamani cercano la causa della misteriosa malattia per trovare un antidoto. L'isola comincia a sfaldarsi e a sprofondare. La popolazione deve lasciare l’isola. Hanno però solo le piccole canoe utilizzate per i brevi spostamenti nell’arcipelago. I saggi progettano una grande nave che viene costruita da tutti con le poche palme sane. A bordo portano i semi delle palme vecchie e i gioielli di conchiglia e foglie di palma. Gli 94 Soddisfazione professionale ed economica, impatto, continuità nel tempo, proliferazione e crescita, cambiamento, mantenimento delle radici: sono questi i risultati che emergono come prioritari dall’analisi dei soggetti. Sono la contropartita del lavoro. I risultati sono individuali e collettivi. Sono individuali quando riguardano la qualità della prestazione professionale, la gratificazione che si ottiene quando si è creata una relazione con i partecipanti e si percepisce di avere colpito la loro mente e il loro cuore aiutandoli a vedere il mondo con occhi diversi. Quando ci si accorge di avere ragione, quando il merito viene riconosciuto e apprezzato, quando ci si sente legittimati dalla comunità. Sono collettivi, invece, quando si sente che insieme agli altri si è creato o raggiunto qualcosa che altrimenti non si sarebbe mai creato, di cui si è condivisa la fatica e la soddisfazione. Quando appare evidente di stare partecipando a un’impresa unica, riconosciuta dall’esterno, utile per il Paese. Quando si comprende di appartenere a un mondo di cui non esistono doppioni. I risultati a cui tendere sono ambiziosi e non si raggiungono facilmente: contribuire alla crescita di una comunità, migliorare la vita delle persone nella comunità, esprimere pensiero libero e critico su quanto ci circonda, superare indenni sfide incombenti. In tutti i soggetti i risultati si ottengono basandosi sulle proprie forze, non cercando scorciatoie. Non c’è mai un deus ex machina. I risultati non sono frutto di un processo lineare e prevedibile, ma piuttosto di un processo empirico di sperimentazione. Le storie raccontate sono irte di ostacoli, difficoltà, ripensamenti. La loro risoluzione positiva richiede sempre una relazione con il mondo esterno, e la contaminazione armonica e non conflittuale con mondi diversi. I risultati sono di breve e di lungo periodo. Puntare ai risultati significa guardare all’oggi, condividendo obiettivi e meriti con i committenti, con i colleghi e con la società rilevante. Non sono autoreferenziali. I risultati, non solo quantitativi ma anche qualitativi, guidano l’attività quotidiana: definiscono i criteri di controllo e valutazione, di allocazione delle risorse, di consuntivazione e rendicontazione. Ma non basta. Puntare ai risultati significa anche guardare al domani, ricercando continuamente un’evoluzione costruttiva dei propri confini e dei propri modi di operare, guardando fuori, superando i confini delle proprie comunità di appartenenza e adattandosi a ciò che chiede il mondo esterno, mercato e società, imparando dagli altri. 95 sciamani hanno scoperto la causa della mortale malattia. È un insetto dai cento occhi e dai mille piedi. Ne portano con sé alcuni esemplari da studiare. La comunità sale sulla grande nave poco prima che l'isola sprofondi. La nave s'allontana dall'arcipelago conosciuto. Tristezza, spavento, mestizia nei cuori. All’orizzonte, un’isola deserta con palme rigogliose. Si diffonde rapido l'entusiasmo all’idea di sbarcare per ricostruire il villaggio, ma il primo che mette piede al suolo è morso da un serpente e muore. Migliaia di serpenti sibilanti invadono la riva. La nave riprende il largo e dopo qualche tempo giunge a un'isola rocciosa. Decidono di esplorarla. L'isola è senz'acqua, e non vi cresce pianta. Scoraggiati, riprendono il largo fino a quando giungono alla terraferma. Sbarcano e chiedono ospitalità ma non riescono a farsi capire dagli abitanti del luogo, che gli puntano contro le armi. Prima del rapido reimbarco, gli sciamani fanno in tempo a notare che anche lì le palme crollano al suolo. Durante la navigazione, le sciamane mettono a punto l’antidoto alla malattia delle palme, capace di uccidere e bloccare la proliferazione dell'insetto dai cento occhi e dai mille piedi. La comunità ha nel frattempo imparato a mangiare e conservare le alghe e a pescare e mangiare i pesci. Giungono a un'altra terra ma, memori delle esperienze avute, non vi sbarcano. Una barca volante si stacca da terra e li raggiunge. L'equipaggio a bordo della barca volante li invita ad approdare. La comunità accetta l'invito. A terra un mondo finalmente accogliente. Imparano rapidamente a capirsi. Quella terra è piccola e non può accoglierli tutti. La comunità deve riprendere il viaggio, lasciando quelli che desiderano restare e imbarcando un gruppo di progettisti di barche volanti che vogliono entrare a far parte della comunità. Approdano nuovamente sulla terraferma da cui erano stati scacciati con violenza. I progettisti delle barche volanti che parlano la lingua del posto chiedono il permesso di curare le palme ammalate. Sciamani e sciamane versano l’antidoto nel tronco delle palme, e piantano i semi delle loro palme antiche. Dopo qualche tempo, le palme guariscono. In premio, il capo degli abitanti della terraferma popone alla comunità di stabilirsi accanto a loro sulla terraferma. Solo alcuni accettano l'invito. Il resto della comunità si rimette in viaggio. La comunità affianca alla vecchia nave di legno una nave volante. Le famiglie si sono suddivise in armonia gli spazi delle navi. La comunità ora ha cibo, gioielli di conchiglia e di palme donati dagli abitanti della terra, in cambio di alghe e racconti, e cresce in conoscenza e saggezza con ogni terra e popolo che incontra. 96 97 L'INTEGRITà Questione di stile | soggetto originale gruppo 3 Parigi, ottobre 2010. L’attesa sfilata della moda pret-a-porter della maison Lagarde. Anne Lagarde passa tra gli stand come un generale e controlla, sin nei minimi dettagli, la sua collezione. I suoi collaboratori sono in apnea, la tensione si taglia con il coltello. La serata ha inizio, il silenzio cala nella sala. I vip nelle prime file divorano la passerella con gli occhi. Il gradimento e il consenso sono generali, ma l'attenzione di Anne viene rapita dal suo ospite d’onore, l'attore più famoso del momento. Qualcosa in lui la colpisce e l'infastidisce. La borsa che il famoso attore ha con sé è la più bella che Anne abbia mai visto. C'è un problema: non è stata disegnata da lei! Durante il party che segue alla sfilata, Anne incarica un uomo del suo staff di scoprire da chi è stata ideata e realizzata quella borsa. L’informazione arriva sul suo tavolo. La borsa è prodotta da Philippe, un talentuoso stilista/ artigiano, con una bella moglie e un grosso cane peloso. Il suo stile di vita è simile al suo stile sartoriale: originale e anticonformista. Indisciplinato, aperto agli altri e alla vita, sempre pronto a dare fiducia al prossimo. Lavora seguendo il suo estro piuttosto che le esigenze del mercato, e lo fa da solista tutto genio e sregolatezza. Anne, nonostante la distanza siderale con il proprio stile di vita e di lavoro, decide che Philippe deve lavorare per lei. Lo convoca nel proprio lussuoso ufficio e con piglio deciso gli propone di diventare il responsabile della sua linea di accessori. Philippe rifiuta la proposta. Non vuole rinunciare alla propria autonomia e neppure lavorare dodici ore al giorno sotto il giogo di scadenze improrogabili. Quel tipo di impegno minerebbe la sua creatività. Anne è furente. Non è manager che accetti un rifiuto. Parigi, novembre. A Philippe non ne va più bene una. Per la prima volta, il direttore della sua banca gli nega un’estensione dei fidi e addirittura gli chiede di rientrare. Il contratto di affitto del suo atelier viene disdetto. Philippe cerca aiuto presso quelli che considera amici ma questi gli voltano le spalle. Anche le cose in famiglia non vanno bene. La sempre più difficile situazione ha aggravato le incomprensioni con l’annoiata e infedele moglie. Quanto sta accadendo è per lui incomprensibile, fino a quando qualcuno che bazzica nell’ambiente della moda gli svela l’arcano. La responsabile di tutti i suoi guai è Anne Lagarde. 98 Questo è stato uno dei valori più difficili da riconoscere e descrivere. Dai confini semantici incerti, è stato tratteggiato dai gruppi attraverso l’immaginazione e la narrazione di comportamenti e situazioni chiaramente opposti: il tradimento, la delazione, l’opacità, la disonestà, l’ambiguità, l’inadempienza. Se stiamo al gioco dei gruppi, e leggiamo in chiaroscuro ciò che le storie ci raccontano, ci si svela un codice di tutt’altro tenore che mette in luce una ricchezza sorprendente di modi di interpretare il valore dell’Integrità. Integrità è prima di tutto difesa dell’identità, del singolo e del gruppo, coerenza con se stessi, interezza e autenticità. Significa rispetto per il valore proprio e altrui. Integrità è incorruttibilità e rispetto delle leggi e delle regole, interne ed esterne. Non ci sono scorciatoie. Essere integri vuol dire sentirsi ed essere liberi di scegliere, decidere e agire, mantenendo la propria indipendenza di giudizio, e nello stesso tempo rispettando le regole e dando conto della propria azione. Integrità richiede di gestire i dilemmi etici, e non coincide con l’integralismo. Richiede di integrare, mai di escludere chi ha idee diverse. Integrità significa trasparenza. Si esprime nelle relazioni e per questo non viene quasi mai, nelle narrazioni, descritta in assoluto, ma sempre in relazione ad altri. Infatti, nelle storie l’integrità, o il suo opposto, si riconosce nei comportamenti dei protagonisti verso altri personaggi. In ISTUD il valore dell’integrità assume significato ed è osservabile nei comportamenti concreti quando ci si rapporta ai diversi interlocutori principali dell’azione: i clienti, i partecipanti, i colleghi e la comunità esterna in cui si è immersi. Integrità verso il cliente significa non mentire e proporgli ciò che ragionevolmente gli serve. Significa dire di no, se è il caso, piuttosto di fare qualcosa che va contro il proprio credo professionale. Applicare il giusto prezzo e rispettare le sue decisioni anche se non sono favorevoli. Farlo sentire libero di scegliere, senza rinunciare a esporgli con autorevolezza e fermezza le proprie proposte. Vuol dire, di contro, esigere rispetto e ascolto dal cliente, lavorare con il massimo rigore e la massima cura avendo a cuore il suo successo e il successo dell’impresa per cui lavora. Integrità verso il partecipante significa rispettare le sue idee, ascoltarlo mettendolo a suo agio e garantendogli riservatezza. La formazione non è valutazione. Integrità significa confrontarsi con i partecipanti serenamente, sapendo di dovere insegnare ma soprattutto di potere apprendere, valorizzando la loro esperienza e competenza. Non significa ricerca del gradimento e della collusione, ma dell’apprendimento e della trasformazione, anche se questo costa fatica. Non lasciarsi condizionare dalle posizioni gerarchiche o dal potere è la base fondamentale per una relazione simmetrica, né succube, né dominante. La formazione non è una vetrina: il partecipante è lì per apprendere, non per comprare. Integrità verso i colleghi e l’organizzazione vuol dire parlarsi apertamente, darsi un feedback reciproco in modo diretto e trasparente, accettando il conflitto e il dissenso. Significa riconoscere il merito altrui, difendere la libertà di pensiero e trovare soluzioni comuni. Integrità verso l’organizzazione significa condividere le informazioni e coinvolgere i colleghi. Vuol dire anche prendere decisioni drastiche e rapide quando si è convinti che servano, avendo come principio fondamentale la correttezza nelle relazioni e la considerazione per le persone. Rispettare le regole organizzative e proporre soluzioni di miglioramento. Curarsi dei più giovani, della loro crescita e delle loro esigenze. Capire e dare valore alla diversità. Integrità verso la società richiede un forte impegno. Vuol dire rispettare le leggi e i patti, mantenere l’equilibrio economico senza gravare sulla collettività ma rendendosi disponibile alla collettività. Non ricercare rendite di posizione e sottoporsi al giudizio del mercato, competere lealmente riconoscendo la qualità dei concorrenti. Sostenere da soli i costi della qualità e dell’innovazione e assumersene il rischio di impresa, rendicontare correttamente e in piena trasparenza tutto ciò che si fa. 99 Una sera Philippe va nella super villa di Anne per chiedere ragione di questo attacco. Per tutta risposta si trova morsicato a un polpaccio da uno dei pestiferi carlini della manager. In prossimità del Natale, l'inarrestabile precipitare degli eventi lo trascina agli inferi. Resta da solo, senza amici, senza più collaboratori – passati nelle fila dell’odiata Lagarde – senza più casa né atelier, senza più moglie e soprattutto senza il suo amato lavoro. La bottiglia è l'unico rimedio a portata di mano. Così, una notte, Philippe torna completamente sbronzo di fronte al cancello della lussuosa villa di Anne. Le urla e gli insulti si sovrappongono ai rumori delle vetrate che vanno a pezzi sotto le sassate di Philippe. La situazione non dura molto perché, senza minimamente scomporsi, Anne chiama la polizia che non tarda ad arrivare e ad arrestarlo. Parigi, 31 Dicembre. Philippe esce di prigione. Ad attenderlo, solo il cane. Il suo unico pensiero è quello di vendicarsi contro la causa di tutti i suoi mali. Decide di buttarsi sotto le ruote della lussuosa auto della Lagarde. Potrà così denunciarla per tentato omicidio e chiederle un ingente risarcimento. La maldestra messa in scena non funziona. L'esperto autista della Lagarde evita il peggio e, avvalendosi dei numerosi testimoni presenti sulla scena, prova l'intento fraudolento dell'incidente provocato da Philippe che finisce in ospedale, contuso, dolorante e denunciato per tentata estorsione. Questa volta, con l'aggravante della recidiva, in galera ci starà più a lungo. Proprio quando la permanenza ospedaliera è alla fine e le porte della galera stanno per spalancarsi, riceve la visita del vice di Anne. Ritireranno la denuncia. Philippe non ha neanche il tempo di rifiatare perché l'uomo aggiunge la condizione necessaria perché la denuncia sia ritirata. Dovrà lavorare come stilista junior nell'ufficio stile della maison Lagarde, con salario base e livello al minimo previsto! A Philippe non resta che accettare. L'uomo tira fuori le carte da fargli firmare. Parigi, gennaio. Al piano terra del palazzo Lagarde, Philippe prende posizione al suo desk tra i vari e numerosi stilisti. L’ambiente è terribile a causa dello stress e della frustrazione. Nessuna reale collaborazione artistica fra gli stilisti. Philippe non è a proprio agio, ma, grazie al suo modo d'essere, non fatica a entrare in relazione con gli infelici colleghi. Il progressivo affiatamento muta le condizioni di lavoro rigenerando perdute passioni e talenti appannati, in un clima di condivisione. 100 Parigi, febbraio. All'ultimo piano Anne parla con il suo vice, cresciuto alla sua scuola, ancora più rigido e inflessibile di lei. La aggiorna su ciò che accade al pianterreno. Le proposte dell'ufficio stile sono sorprendenti. Anne riconosce il tocco di Philippe. Incuriosita, decide, a fine giornata, di fare una prima sortita al pianterreno. Lo fa però a modo suo: di nascosto, spiando. È colpita dall'energia e dalla passione di Philippe, dalla sua capacità di coinvolgere gli altri nel processo creativo. Quell'uomo, i suoi modi, l'affascinano. Durante un'altra delle sue segrete sortite al pianterreno, Philippe si accorge di lei. Tra i due nasce inaspettatamente un dialogo che continua di fronte a una bottiglia di vino. La conversazione è piacevole, un bicchiere tira l'altro e i due finiscono a letto assieme. La mattina dopo, riscoprirsi nello stesso letto è uno shock per entrambi. Al lavoro, il clima tra i due torna a essere quello di sempre. Le cose vanno per il meglio, il business gira, il clima in azienda non è mai stato così sereno. Di colpo, però, il dramma! In una fotocopiatrice viene ritrovato un segretissimo disegno della collezione in preparazione. Qualcuno, è evidente, ha sottratto i disegni per venderli alla concorrenza. I sospetti iniziali cadono su Philippe, la persona a cui non mancano certo i motivi per odiare la Lagarde. Solo dopo una serrata ricerca, fatta da Philippe con l'aiuto dei suoi colleghi, risulta chiaro che è il Vice di Anne ad aver sottratto i disegni per la collezione da presentare in aprile. La scoperta e il conseguente iter legale della vicenda di spionaggio industriale non risolvono però l'enorme problema. Perché aprile è dietro l'angolo e la maison non ha nulla da portare alle sfilate. Anne è disperata: il tempo non è sufficiente per realizzare una nuova collezione. Philippe però non si perde d’animo e, all’insaputa di Anne, con i colleghi si dedica anima e corpo all'ideazione della nuova collezione. Parigi, aprile. La sfilata è un successo. Philippe e Anne sentono di condividere i frutti della loro nuova intesa personale e professionale. A fine sfilata, spente le ultime luci, escono tenendosi per mano, attorniati dai loro amati cani con una bottiglia di champagne e due calici in mano. 101 la potenzialità Essenza | soggetto originale gruppo 4 La Dottoressa Bianca Sacco ha quarantacinque anni e lavora in banca come responsabile grandi clienti. Con grande soddisfazione dei genitori, a venticinque anni si è trasferita al Nord e ha iniziato la sua carriera in una piccola filiale di provincia, dove, grazie alla sua precisione, dedizione e senso del dovere ha fatto carriera ed è molto apprezzata da superiori e clienti. Divorziata, vive con due figli e la madre che, con la scusa di aiutarla ma in realtà per farsi mantenere, si è trasferita da lei. L’ex marito è un adulto con la sindrome da Peter Pan, una figura che in ogni sua incarnazione, marito prima, ex marito ora e padre, si connota per assenza. Bianca ha una vita intensa e organizzata tra lavoro, figli e impegni sociali, ed è anche una perfetta padrona di casa, maniaca nella cura dei dettagli. La casa è pulitissima, asettica, ordinatissima. Ciò le richiede un grande dispendio di energia e frequenti discussioni con la famiglia che si professa vittima del suo maniacale perfezionismo. Al supermercato il carrello è sempre pieno di assorbiodori, detergenti disinfettanti e antibatterici, saponi liquidi neutri, salviettine igienizzanti, Amuchina. Il suo approccio al cibo è salutistico e poco godereccio, la sua cucina è nutriente ma anonima, poco appetitosa. Nonostante l'origine meridionale, non usa spezie, non frigge né prepara piatti regionali. Donna potenzialmente bella, si veste per conformarsi e adeguarsi alle varie occasioni: tailleur in banca, jeans e camicia alle festicciole dei bambini. Sempre cordiale, sorridente e disponibile, è ammirata da tutti. Un giorno d'inverno, Bianca deve occuparsi di una pratica non di sua competenza: la richiesta di un mutuo da parte di Salvatore, un vecchio che vuole ristrutturare un negozio. L'uomo, piccolo e scuro, emana un odore intenso. Infastidita da quell’odore dell'uomo, esamina frettolosamente le carte e lo liquida, negandogli il mutuo a causa dell'età avanzata e delle scarse garanzie offerte. L'uomo va via, e lei apre la finestra per far cambiare l'aria. Poche ore dopo, il Direttore Centrale la convoca in sede. Molto freddamente le comunica che è stata svolta un’indagine interna dalla quale è risultato un grave 102 “Free your potential” è il claim dell’ISTUD. Libera il tuo potenziale. Tra i valori dell’ISTUD, questo spiega meglio degli altri il rapporto che le persone hanno con il nucleo centrale del loro mestiere: la formazione. ISTUD è una scuola. Liberare il potenziale delle persone e delle imprese è la sua missione. Il significato dato al valore della potenzialità è preciso. La potenzialità è una promessa. È qualcosa a cui si aspira, ma che deve ancora diventare. È un "potrebbe essere" che non è detto che sarà. I soggetti narrati enfatizzano la potenzialità, come oggetto e risultato di un processo di trasformazione, a livello sia individuale che collettivo. Ogni persona ha la sua potenzialità, che è diversa da quella degli altri e che la rende unica. La potenzialità, infatti, valorizza l’individualità, e richiede una proiezione nel futuro, partendo dalla corretta conoscenza del presente. È un valore concreto, possibile e raggiungibile, ma è nascosto agli occhi propri e altrui, e rischia di rimanere celato sotto gli strati della consuetudine e dell’omologazione. Per scoprire la potenzialità, ognuno deve agire, andando oltre gli schemi consolidati, e rischiare, alla ricerca della propria strada e delle proprie aree di affermazione. Scoprire e valorizzare il potenziale richiede allo stesso tempo libertà e guida. Raramente il potenziale viene infatti scoperto in solitudine da chi lo possiede. Scoprire la propria potenzialità è un processo sociale d’interazione con altri con cui rispecchiarsi e da cui imparare. Non è un processo facile, richiede aiuto esterno, una relazione di riconoscimento reciproco e fiducia nell’altro. Qui si sostanzia il vero e profondo significato attribuito al lavoro svolto dalle persone dell’ISTUD. Raggiungere il proprio potenziale passa attraverso il confronto e la conoscenza, attraverso l’innalzamento delle sfide. Passa attraverso la capacità di capire il contesto sociale, economico, politico, e attraverso una più profonda e attiva interpretazione della realtà. criticamente su se stessi e sul proprio modo di operare, per individuare le proprie aree di crescita e per essere protagonisti del proprio sviluppo. La formazione in ISTUD viene progettata e realizzata perché ciascuno possa liberare il proprio potenziale attraverso lo stimolo intellettuale, l'interazione con docenti e colleghi, la riflessione su casi e dilemmi manageriali. Per imparare a risolvere problemi e a prendere decisioni, non per allineare gli individui a un pensiero dominante. I docenti hanno la responsabilità di aiutare i partecipanti a raggiungere e massimizzare il proprio potenziale come persone e come professionisti. Solo attraverso lo sviluppo delle persone, infatti, si può arrivare a una vera crescita dell’organizzazione e dell’impresa. Lavorare per ISTUD è – lo è sempre stato – un passaggio importante per ogni persona. Un passaggio fondamentale per la creazione della propria identità professionale e personale. I giovani vengono orientati a scoprire e a sviluppare il proprio potenziale personale e professionale, e i manager vengono stimolati a riflettere 103 ammanco: lei ne è ritenuta responsabile. Viene pertanto licenziata con effetto immediato. Torna a casa ma non parla dell'accaduto. Nessuno si accorge della sua tensione. Non la madre che l'incalza, come sempre, con richieste di spese per la casa, non i figli che continuano a essere concentrati sulle loro cose, sui loro impegni. Nella cittadina in cui vive si scopre ciò di cui è accusata e la gente, nonostante l'ipocrita cortesia, comincia a tenerla a debita distanza. Anche i figli scoprono la cosa a scuola ma, anziché solidarizzare e confortare la madre, le si mostrano ostili, preoccupati solo delle conseguenze economiche e della sanzione sociale che potrebbe abbattersi anche su di loro. Senza lavoro, senza stipendio, sola. Bianca va in crisi. Inizia la ricerca di un lavoro tra agenzie interinali e cooperative che non hanno impieghi adatti a persone della sua età, con la sua scolarità e il "precedente" che pende sulla sua testa. L’unico lavoro che trova è come inserviente in una casa di riposo per anziani. Nella casa di riposo, Bianca, così asettica e perfetta, viene aggredita dall'odore acre di corpi anziani e malati, odore di medicinali e di disinfettanti. Tra gli ospiti della casa di riposo incontra il vecchio Salvatore, l'uomo a cui ha negato il mutuo, un ex erborista ormai in pensione. Salvatore la riconosce non per l’aspetto ma per la totale assenza di odori, una caratteristica che aveva notato durante il loro primo incontro in banca. Salvatore le parla molto e comincia a introdurla nel mondo delle essenze, dei profumi, delle erbe aromatiche che lui conserva e colleziona in centinaia di boccette e barattoli. 104 Mondo nel quale lui ha trascorso la vita e da cui lei si è sempre tenuta a distanza. Il primo profumo che Bianca riconosce è quello del bergamotto, perché suo nonno aveva un appezzamento di terra in cui li coltivava. Grazie a questo primo riconoscimento, Bianca approfondisce la propria conoscenza del mondo degli odori e dei profumi, un mondo ricco, complesso. Quello che prima la infastidiva, adesso le piace e dona nuovo senso alla sua vita. Un giorno, Salvatore annusa in un visitatore una fragranza particolare, la stessa che ricorda di aver sentito in banca il giorno in cui Bianca gli ha rifiutato il mutuo. Questo riconoscimento è sufficiente a Bianca per collegare la fragranza a un profumo e quel profumo al collega che lo usava abitualmente. Tracce quasi impercettibili di quel profumo Bianca le aveva spesso annusate nel proprio ufficio. Ufficio nel quale s'introduceva il collega che dal computer di Bianca dava vita ai propri imbrogli. Bianca riesce a dimostrare la propria innocenza. La Banca è pronta a riassumerla. Grazie al rapporto e all'amicizia con Salvatore, Bianca ha maturato l'esigenza di ridefinire i propri bisogni, i propri desideri e quando scopre che l'amico non ha mai visto un bergamotto decide di portarlo giù al sud, nella terra del nonno, la terra del bergamotto. Partono con l’auto di Bianca, carica di tutte le boccette e i barattoli di Salvatore. Per i due è un'esperienza intensa. Bianca capisce che non vuole più tornare alla vita di prima. Una volta a casa, riunisce la madre e i figli e dice loro che ha deciso di partire per capire cosa vuole davvero essere. Esce e riparte in auto. Auto in cui vediamo le boccette e i barattoli che Salvatore le ha regalato e che l’accompagneranno nel viaggio. 105 IL METODO Due mondi verso casa | soggetto originale gruppo 5 Il dottor Riccardo Colombo dirige da diversi anni l’azienda di famiglia arroccata su una collina a poca distanza da una piccola città del Nord Italia. Come ogni mattina, dopo essersi spinto con la sedia a rotelle fino all’ufficio, chiude la porta dietro di sé, beve il caffè che Agata, la sua storica assistente, gli fa trovare sulla scrivania, accende il portatile e passa in rassegna la corrispondenza. La quotidiana ritualità viene scossa da un’inaspettata convocazione del Tribunale di Milano. Alza lo sguardo sulle pareti spoglie di quella piccola stanza asettica dove trascorre gran parte della sua vita impartendo direttive attraverso un interfono. Come una carta stradale, il metodo consente alle persone e ai gruppi di raggiungere i propri obiettivi. Esso può talvolta avere un carattere più vincolante per le persone che sono chiamate ad applicarlo, mentre in altri casi – la maggior parte – può consentire ampi spazi di arbitrarietà. In entrambi i casi, tuttavia, è da considerarsi sempre come uno strumento e mai come un fine. L’alba illumina Manhattan Beach. Jerry, dopo aver riaccompagnato Tiffany – o era Jessica? – rientra a casa. Parcheggia la Corvette e, vedendo la bandierina della cassetta delle lettere alzata, cerca affannosamente l’assegno che Ricky gli passa da anni. Trova l’ingiunzione del Tribunale di Milano che l’obbliga a ritornare in Italia. Il metodo deve inevitabilmente far parte del bagaglio professionale di tutte le persone che lavorano all’interno dell’ISTUD, ma conoscere il metodo non significa necessariamente applicarlo in maniera acritica. Occorre un’elevata capacità di analisi del contesto (tutti i facilitatori del cambiamento descritti nei sei soggetti riescono a incidere sull’azione dei protagonisti ponendosi in posizione d’ascolto nei loro confronti) per valutarne correttamente la possibilità di applicazione. Riccardo aspetta nervoso, seduto davanti a un giudice austero, l’arrivo di Eugenio. Il pensiero di dover rivedere il fratello per risolvere le questioni legate all’eredità lo turba. Non sopporta il fratello e teme che la questione ereditaria possa mettere a repentaglio quello che ha costruito negli anni per l’azienda. Quando Riccardo è ormai certo che il fratello non si presenterà, Jerry, in perfetta tenuta da surfer, sorridente fa il suo ingresso. Una rapida lettura ai documenti, una firma e tutti gli sforzi fatti da Riccardo per mantenere il completo controllo dell’azienda sono vanificati. Il giudice ha infatti stabilito che la metà delle azioni spetti al fratello. Riccardo spinge frettolosamente la sedia a rotelle fuori dal tribunale per evitare d'incrociarlo e torna immediatamente alla sua immutabile quotidianità. L’indomani, la voce squillante di Jerry irrompe nei corridoi dell’azienda, infrangendo il rigoroso silenzio che da sempre vi regna sovrano. Gli sguardi spiazzati degli impiegati seguono ogni suo passo. Jerry entra nell’ascensore per andare nell’ufficio del fratello dove deve firmare gli ultimi documenti per cedere la sua quota dell’azienda in cambio di un vitalizio più corposo. Incontra una ragazza bella e sofisticata che ricambia educatamente il suo sorriso prima di entrare nella sala riunioni. Jerry decide di seguirla ed entra nella 106 raggiungimento di risultati migliori, ma comporta anche rischi più elevati. Diventa perciò necessaria una maggiore tolleranza nei confronti degli errori, che devono essere accettati e utilizzati come opportunità di apprendimento collettivo. La seconda conseguenza riguarda gli individui. Dal momento che il metodo non può essere considerato come una soluzione universale, ma solo come un “ferro del mestiere”, non è possibile utilizzarlo come un alibi: il suo utilizzo difensivo non può rappresentare un comportamento accettabile da parte dell’organizzazione. Infine, come frequentemente osservato nelle dinamiche che hanno caratterizzato le relazioni dei protagonisti con i personaggi che ne hanno facilitato il comportamento, il metodo può essere appreso e trasferito/tramandato da persona a persona. Ciò significa che il metodo non è vincolante. Non può costituire una soluzione universale. Può essere messo in discussione e cambiare nel corso del tempo. La non universalità del metodo implica, a sua volta, due importanti conseguenze. La prima riguarda l’organizzazione. La possibilità di sperimentare soluzioni e metodi nuovi può consentire il 107 sala dove è in corso il consiglio d'amministrazione. Di fronte alla ragazza c’è una sedia vuota e Jerry non esita a prendervi posto nello stupore generale. Dopo aver ribadito la legittimità della sua presenza alle obiezioni mosse da Riccardo, che è seduto a capotavola, i discorsi sulle politiche di business riprendono, mentre Jerry, furtivo, allunga un piede sotto il tavolo verso la ragazza. Lei, imbarazzata, ritira le gambe per sfuggire allo sfrontato piedino, si alza e inizia la presentazione per il lancio di un nuovo prodotto. Nel tentativo di fare colpo, Jerry prende la parola ed espone un'idea ascoltata tra un drink e l’altro in un bar californiano. Il suo intervento cattura l’attenzione di alcuni consiglieri ma Riccardo s’irrigidisce e blocca con un gesto ogni possibile discussione. Al rientro nella casa di famiglia, Riccardo intima a Eugenio di non permettersi più di interferire nel suo lavoro e di tornarsene alla sua vita da sfaccendato senza arte né parte in America. Jerry controbatte alimentando l’ira di Riccardo. Al culmine della sua furia, Riccardo urla che loro non sono fratelli ma che Eugenio è stato adottato da bambino per "pietà" da parte dei genitori. Jerry, ferito, decide di far valere i suoi diritti sull’azienda di famiglia e quindi di restare. Il giorno successivo, al suo arrivo in azienda, Riccardo sente che qualcosa è cambiato. Eugenio si sta istallando nell’ufficio accanto al suo. L’ufficio di Jerry sarà esattamente l’opposto di quello di Riccardo: caotico, colorato, divani, cuscini, sedie, incenso e musica a profusione. L'inserimento di Jerry in azienda destabilizza progressivamente l’ambiente dominato dalle inflessibili regole e dai metodi rigidi di Riccardo, il quale, irritatissimo si chiude ancor di più nella sua stanza cercando invano di negare le tracce della presenza del fratello. I giorni scorrono. L'invadente musica, l’eco delle risate dei dipendenti al rientro della pausa pranzo, i segnali inequivocabili di un cambio d'atmosfera all'interno dell'azienda, gli inevitabili incontri con il fratello diventano per Riccardo un peso insostenibile. È obbligato ad assegnare un ruolo al fratello, ma ne boicotta ogni proposta. Fissa delle riunioni che servono a rivelare l’inutilità del lavoro di Eugenio, gli fa pervenire documentazioni incomplete, allontana da lui i dipendenti aumentandone il carico di lavoro, organizza festini lascivi di cui fa pervenire l’invito al fratello con lo scopo di far accorrere le forze dell’ordine, creare lo scandalo e indurlo ad andare via. Tutto inutile. Trascorse alcune settimane, la nostalgia della vita passata, l’ostilità del fratello e la mancanza di autentiche motivazioni per restare inducono Jerry a fare le valigie per ritornare in California. 108 Riccardo è sollevato. Pregustando la partenza del fratello e godendo della riconquistata solitudine casalinga, accende lo stereo per ascoltare un brano di musica classica e si accorge che Chopin è stato sostituito da un cd di Bob Marley. Non spegne lo stereo, lascia scorrere per qualche minuto la canzone per poi spegnere scuotendo la testa. Arrivato in ufficio il giorno successivo apprende che gli ordinativi hanno subito un brusco stop mentre i competitor beneficiano di un forte rialzo grazie a un’idea di business simile a quella che aveva prospettato Jerry durante il consiglio di amministrazione che ha scatenato la guerra fra i due. Riccardo rimane chiuso tutto il giorno in ufficio rifiutando qualsiasi contatto anche con Agata che, preoccupata, decide di andare in aeroporto per fermare Jerry e convincerlo a restare per aiutare suo fratello. Jerry non ha la minima intenzione di tornare indietro per quello che non è neanche suo fratello. Agata gli dice che in realtà sono fratelli, figli dello stesso padre. Jerry la guarda e non ha bisogno di parole per capire che Agata è la madre. Non desiste però dal suo proposito e lei torna da sola in azienda. Agata sta versando una tazza di tè a Riccardo quando appare Jerry sulla soglia. Agata sorride, versa un’altra tazza di tè e lascia la stanza. I due non riescono a parlare. Dopo qualche minuto Jerry appoggia la tazza ed esce. La notte i due fratelli si trovano a casa. Nel buio delle rispettive stanze non riescono a dormire. S’incontrano davanti alla porta del bagno. Non parlano ma si guardano. Il giorno dopo l’orologio batte le nove. I lavoratori si stupiscono nel vedere l’ufficio del direttore ancora deserto e sono increduli quando vedono Riccardo che entra accanto al fratello. Riccardo ha una camicia slacciata mentre Eugenio, abbandonate le vesti del surfer, indossa un abito scuro. Riccardo riprende e sviluppa l’idea di Eugenio. L’azienda ha una crescita vertiginosa, con una significativa espansione sul mercato estero. La statica azienda ha cambiato volto, le idee vengono condivise, il personale è diventato un team affiatato e Riccardo una preziosa guida che ha imparato ad ascoltare. L’altoparlante annuncia la partenza del volo Milano San Francisco. La porta automatica delle partenze si apre, Eugenio spinge Riccardo verso l'aereo. Riccardo è pronto a partire per la prima vacanza della sua vita. Un saluto al fratello, un sorriso ricambiato, il portello che si chiude sul saluto di un'hostess. 109 LA SOSTENIBILITà Il valore dei soldi | soggetto originale gruppo 6 Notte. Emma è sola nella sua stanza, non riesce a dormire. Ricorda la scena di tre anni prima quando, tornata a casa da scuola triste e abbattuta per il furto dell'amato iPhone, i genitori l'avevano accusata di essere una sprovveduta e le avevano impartito quella che per loro è l'unica regola di vita: essere furbi, fregare gli altri prima che gli altri ti freghino. Emma, a modo suo, ha fatto proprio quel comandamento. Essere furbi con i fessi non dà soddisfazione. Essere più furbi dei furbi, questo sì che è gratificante! Diventata espertissima di computer, se ne serve per fare soldi. Nel silenzio della sua stanza, trasferisce denaro dai conti di speculatori di borsa ai suoi vari conti cifrati. Rubare e accumulare soldi, questa la sua unica passione. Un mattino, dopo la solita nuotata in piscina, mentre sale al secondo piano della sua villa per prepararsi per la scuola, coglie una conversazione tra i genitori, i noti speculatori Falsini. Discutono di un grande affare: l'acquisto dei terreni su cui sorge un centro di accoglienza per donne straniere vittime di abusi per costruirci sopra un centro commerciale. Emma pensa a come fare sua l'operazione. Una bella impresa per una ragazzina di 16 anni, riuscire a fregare persino quegli squali dei genitori. Pochi giorni dopo, Emma vede nella piscina un barbone che fa tranquillamente il bagno. Chiama la sorveglianza che fa intervenire la polizia. Frugando in internet, Emma scopre che l’arrestato è il noto architetto e urbanista Alberto Biondelli, socio fondatore della società "Città e Futuro", travolta qualche anno prima da uno scandalo. Francesco Manlesta – amico di Biondelli, compagno di studi e socio cofondatore della società – acquistava da tempo, per risparmiare, cemento depotenziato, certificandone caratteristiche e qualità che non aveva. Il parziale crollo di un edificio da loro costruito aveva fatto scoprire la mortale truffa e aveva coinvolto Alberto, condannato come legale rappresentante della società e responsabile della direzione dei lavori. Il senso di colpa lo aveva sprofondato in una crisi profonda da cui era riemerso grazie alla scelta di una pacifica e innocua vita da barbone. Emma pensa che Alberto sia l’uomo giusto per il suo piano. Gli fa sapere che ritirerà la denuncia se si metterà a sua disposizione. Alberto accetta perché la richiesta proviene da un’adolescente e la cosa lo incuriosisce e lo inquieta. Emma gli illustra il piano. Acquisire rapidamente i terreni su cui sorge il centro d'accoglienza prima che il piano regolatore 110 Il valore della sostenibilità emerge dai soggetti almeno in una doppia accezione: come conciliazione tra valore economico e valore sociale, e come capacità dell’organizzazione di durare nel tempo. Per creare valore economico è necessario creare valore sociale. In tutti i soggetti prodotti dai gruppi emerge una visione che concilia, senza esitazione, questo possibile trade off. Sostenibilità è presa di coscienza e considerazione dell’impatto della propria azione sugli altri. Ed è volontà di produrre un impatto positivo. Significa essere in armonia con il resto del mondo, comprendere i bisogni e il valore degli altri. Creare valore per la collettività. Sostenibilità è dare voce a un pensiero alternativo, che, come una corrente carsica, a volte emerge e a volte si risotterra, coperto dalle stratificazioni del pensiero dominante e dalle mode di successo. È interessarsi al meglio per l’altro, non solo per se stessi, conciliando i legittimi interessi di tutte le parti in gioco. Significa creare relazioni di lungo termine, che durino a prescindere dall’utilità che in quel momento producono. Sostenibilità è partecipare con voce alta al dibattito, senza paura di esprimere il proprio pensiero. Significa non sprecare, dare valore al tempo e alle risorse di cui si dispone. Da parte di molti gruppi emerge una seconda visione, complementare alla prima, del valore della sostenibilità. Sostenibilità è durare nel tempo. È la ricerca dell’immortalità attraverso profonde trasformazioni, spesso laceranti, ma che alla fine producono il risultato di mantenere in vita. Significa trasformarsi per non morire, mantenendo le radici. Sostenibilità è la difesa dalle minacce esterne, prima di tutto rappresentate dalla volubilità dei mercati, ed è il tentativo di ridurre la vulnerabilità, senza sacrificare l’indipendenza e l’identità. e raccolta dei segnali deboli, spartizione di risultati e rischi. Sostenibilità è riconoscibilità e legittimazione che arriva dal mondo esterno, che ti riconosce come qualcosa che deve continuare a esserci, a prescindere, la cui voce non deve venire a mancare e non deve omologarsi. La sostenibilità è un’ottica che non fa guardare solo al presente ma produce lungimiranza, sguardo al futuro. Sostenibilità è avere le persone migliori, quelle che hanno le capacità e le competenze giuste, che condividono i valori, che fanno la differenza. Significa competitività nel tempo, anticipazione dei rischi 111 li trasformi in terreni edificabili e realizzare quindi il centro commerciale. Alberto è contrario ma prende tempo, colpito da tanta feroce determinazione. Vanno a visitare i terreni per valutare la fattibilità dell’iniziativa. Arrivano lì in una bella giornata autunnale e scoprono che il centro di accoglienza è una vecchia cascina cadente e riadattata. Lei è colpita dall’estensione del terreno, lui coglie il fascino di un angolo di natura preservata, da valorizzare. Nei giorni seguenti Alberto prova a proporre idee alternative al centro commerciale. Si potrebbe preservare l’edificio, ristrutturarlo e utilizzare il terreno in maniera più coerente alla sua natura. Ma per Emma non se ne parla. Butteranno giù la cascina e costruiranno il centro commerciale con un po' di palazzine intorno! Durante un altro sopralluogo con tecnici comunali compiacenti, Emma non si sente bene, ha una gran sete, le fa male la testa e decide quindi di bussare alla cascina. Le apre una donna, con grandi occhi scuri e un bambino in braccio, che si accorge subito che Emma non sta bene. La donna avvicina una mano al viso di Emma che si allontana di scatto, infastidita. Quel brusco movimento le fa girare la testa, si sente mancare, tutto si fa buio intorno a lei. Quando si risveglia, vede Alberto vicino al letto insieme alla donna. Da un’altra stanza proviene una musica allegra e, pur nella povertà del luogo, c’è una piacevole atmosfera che suo malgrado la incuriosisce. Le donne parlano una lingua che non conosce e si rivolgono a lei e ad Alberto in un italiano stentato, con tono gentile, allegro, accogliente. Un ragazzo magro e dai lineamenti mediorientali si stacca dal gruppo, le si avvicina e le dice di chiamarsi Azuk. Emma non risponde e fa segno ad Alberto di andare. Lo sguardo di Azuk è fisso su di lei che gli lancia un'occhiata prima di chiudere la porta dietro di sé. Alberto ed Emma devono tornare nuovamente alla cascina. Nel tragitto in macchina Alberto le racconta la sua storia, le parla del suo interesse per la bioarchitettura, di come questa possa contribuire a migliorare l’ambiente e la vita delle persone. Il crollo della società e la sua condanna, causata dalle azioni criminali del socio, gli hanno impedito la realizzazione di progetti eco compatibili. Quando Alberto racconta dei suoi sogni, della sua visione della vita e del mondo, lo sguardo gli s'illumina. Quella stessa luce che Emma ha visto brillare negli occhi di Azuk. Arrivati al centro di accoglienza, Emma osserva alcune donne ai telai, altre intente a ricamare. Delle donne ritornano dal mercato in cui sono andate a vendere i prodotti, Azuk è con loro. Si avvicina a Emma e iniziano a parlare. Per la prima volta Emma è serena, accogliente. Ascolta 112 la storia di come Azuk e sua madre abbiano dovuto lasciare il loro paese a causa della guerra, di come l’arrivo in Italia non sia stato facile e come per nulla facile sia la vita quotidiana. Emma scopre un mondo e una vita a lei ignoti. Quando lei e Alberto tornano in città c'è una luce nuova nei suoi occhi che anche Alberto coglie. A casa, Emma scopre nella propria borsetta un biglietto di Azuk, scritto in un italiano stentato, nel quale il ragazzino si augura di rivederla ancora. Per la prima volta da molti anni a questa parte, Emma non ha alcuna voglia di mettersi al computer. Si corica ma non riesce a dormire. Pensa ad Azuk, alle donne, al progetto di Alberto. Accumulare denaro non sembra più così importante. Il giorno seguente Alberto le deve mostrare il progetto finale per il centro commerciale. Con grande sorpresa di Emma, Alberto le presenta invece un progetto di ristrutturazione e ampliamento del centro di accoglienza che permetterà di sviluppare maggiormente il lavoro in esso svolto e di organizzare altre attività che permettano l'autofinanziamento della comunità. Oltre ai laboratori tessili e di oreficeria, Alberto prevede un ampio spazio per la mostra e la vendita dei prodotti e per occasioni d’incontro fra artigiani locali e le donne del centro. Emma indica sul progetto l'unico ambiente su cui Alberto non ha detto nulla. L'uomo le dice che quello sarà l'ufficio commerciale nel quale Emma lavorerà. Ci saranno i computer e potrà quindi usare la sua bravura per organizzare e gestire la vendita online dei prodotti del centro, l’importazione e la vendita di manufatti artigianali dei paesi di origine delle donne ospiti. Emma lo ascolta attentamente e confessa ad Alberto i suoi traffici illegali online, il denaro sottratto a speculatori di borsa senza scrupoli e accumulato sui suoi conti correnti. Alberto vede un modo per rimediare. Restituire il denaro così come se ne è appropriata. Lentamente. Come pagare le rate di un mutuo. Quello che servirà loro per la realizzazione del progetto, lo restituiranno via via grazie agli incassi che il nuovo centro produrrà. Alberto completa il progetto in tutti i dettagli con l’aiuto di Emma e, con Emma e un gruppo di donne del centro, lo porta in Comune per la presentazione. L’assessore e il comitato tecnico, nonostante le pressioni dei Falsini, dà il via libera al piano di Emma e di Alberto! Al centro si fa festa per tutta la notte. Azuk ed Emma si prendono per mano. Emma sorride. Ci sarà da lavorare duro per realizzare il sogno che li accomuna e gli ostacoli non mancheranno ma loro ci credono. 113 TESTIMONIANZE chi ha partecipato all'autobiografia Alessandra Cosso Mi chiamo Alessandra Cosso e il mio incontro con Istud risale a circa cinque anni fa. Sono un counselor, un consulente e un trainer: studio e intervengo nelle organizzazioni sempre con un’attenzione particolare al clima interno e al benessere delle persone. Per me le organizzazioni di lavoro sono luoghi ricchi di umanità e bellezza, molto complessi, interessanti da esplorare e frequentare. Per questo nel mio lavoro la cosa che più mi piace fare è ascoltarne le storie, usando uno strumento straordinario: la narrazione. 114 Faccio parte della Faculty di Fondazione Istud e del Consiglio direttivo dell’Osservatorio nazionale di Corporate Storytelling dell’Università di Pavia e insegno Narrazione e Storytelling organizzativi nella Scuola Holden di Torino. E adesso, la mia storia. Sono nata a Milano nel novembre 1966, e sono cresciuta sapendo di volere scrivere. Scrivere la verità, possibilmente. Così sono diventata giornalista professionista e ho iniziato a raccontare per mestiere. Da allora non ho mai smesso: lasciato il giornalismo (due figli mi parevano poco conciliabili con quella vita) sono stata chiamata a collaborare alla comunicazione istituzionale di un grande progetto fieristico della mia città. Un’esperienza ricca che mi ha fatto scoprire il business writing, le tecniche di neurolinguistica applicate alla scrittura e la comunicazione istituzionale con i primi bilanci sociali. Mi è piaciuto, così ho continuato ad approfondire gli studi sulla scrittura e il linguaggio sino a insegnarli e a stilare manuali di stile per il linguaggio corporate. Nel frattempo frequentavo un corso triennale per diventare counselor. È stato allora che ho conosciuto Istud. All’inizio sono rimasta colpita: questa rinomata business school mi ha dato l’idea più di un nonluogo, un centro di pensiero, un posto un po’ fuori del mondo in riva a un lago d’altri tempi in cui si ragionava, si rifletteva, si raccontava il mondo del management italiano, in purezza. Mi affascinava e incuriosiva e così ho, con piacere, intensificato le mie frequentazioni: l’Area Sanità mi ha accolto e coinvolto in numerosi progetti di ricerca e formazione, presso organizzazioni sanitarie e non, e mi sono appassionata al tema del benessere delle persone che lavorano. Quando passavo da Stresa, ed entravo in contatto con altre parti di Istud, altre isole dell’arcipelago, per usare una metafora citata nelle pagine precedenti. Nel 2008 Luca Magni, uno dei testimoni citati nella prima parte mi ha coinvolto nella prima autobiografia di impresa di Istud, quella con BSI. È stata un’esperienza straordinaria, occasione di approfondimenti e sperimentazioni sul tema della narrazione organizzativa. E adesso questa nuova autobiografia, tutta dedicata a Istud. È stato importante e commovente incontrare e conoscere le tante persone che fanno di questa scuola il luogo unico che è. E ancora di più è stato emozionante vederli mettersi in gioco, con generosità, dedizione, entusiasmo e... amore. Credo che dal loro racconto, dal pensiero che hanno espresso e cui han dato forma narrativa, conferendole il senso che la loro sensibilità e visione dettava, si sia delineata bene l’anima multiforme e preziosa di Istud. 115 TESTIMONIANZE chi ha partecipato all'autobiografia Selezionato in più di settanta festival, fra i quali Cannes e Rotterdam, Rita ha vinto una trentina di premi. Nell'estate del 2011 abbiamo diretto il lungometraggio Salvo. Fabio Grassadonia Dopo gli studi letterari, l'insegnamento e il lavoro di editor presso alcune case editrici, dal 1999 lavoro, in coppia con Antonio Piazza, come sceneggiatore e script editor per la televisione e per il cinema. Siamo stati consulenti sviluppo progetti e acquisizioni per le società di produzione e distribuzione cinematografiche Fandango e Filmauro. Nel 2004 abbiamo scritto il film Ogni volta che te ne vai, una commedia musicale ambientata nelle balere della Romagna, prodotto da Fandango e distribuito da Medusa. Nel 2009 abbiamo esordito alla regia con il cortometraggio Rita. 116 Quando ISTUD mi ha proposto di insegnare i rudimenti della sceneggiatura, guidare nell'ideazione e nella scrittura di un soggetto breve cinematografico, partendo da un tema imposto, in soli due giorni, persone che nella vita hanno altri interessi e competenze, per un totale di sei gruppi e dodici giorni di lavoro, ho subito accettato, ipnotizzato dall'enorme rischio di fallimento. Ringrazio le persone che ho incontrato e con cui ho lavorato perché donando il loro tempo, mettendo in campo il proprio talento, il proprio sapere, la propria sensibilità e la loro grande determinazione hanno permesso di raggiungere l'obiettivo dato. Mi piacerebbe sapere quale sia stato il senso di questa esperienza per ognuna delle persone coinvolte. Credo che una discussione e un'esplorazione delle tensioni, dei bisogni, delle contraddizioni, delle energie, delle visioni emerse in quei giorni di confronto intenso possano arricchire e vivificare la riflessione su ISTUD e la definizione del suo futuro. 117 TESTIMONIANZE chi ha partecipato all'autobiografia Elena Varvello Sono nata a Torino nel luglio del 1971. Dopo un Master in Scrittura e Storytelling presso la scuola Holden, ho pubblicato due raccolte di poesie, Perseveranza è salutare (Portofranco, 2002) e Atlanti (Canopo, 2004), una raccolta di racconti, L’economia delle cose (Fandango, 2007), candidata al Premio Strega e vincitrice del Premio Bagutta Opera Prima, e un romanzo che s’intitola La luce perfetta del giorno (Fandango, 2011). 118 “Entrare” in ISTUD è stata, per me, un’esperienza particolarissima, molto simile al varcare la soglia di un mondo fino ad allora sconosciuto. Collaboro da molti anni con la scuola Holden. Mi occupo di narrazione e storytelling, e ho avuto l’opportunità di lavorare con centinaia di persone, seguendone il percorso e accompagnandole durante la scrittura di racconti o di romanzi. Ho vissuto – e la ritengo una fortuna – centinaia di storie diverse, diventandone, in un certo senso, una testimone. Sono un’insegnante e una scrittrice, e la narrazione è il mio pane quotidiano. La narrazione e la scrittura. Il linguaggio. Le storie, insomma. Conosco il mio mestiere e lo faccio con passione, però, fino a pochi mesi fa, non conoscevo ISTUD. Non conoscevo ancora questa storia. Sapevo ben poco di cosa fosse una business school. Ecco perché ho fatto riferimento a un mondo sconosciuto. Una questione di linguaggi diversi e di diverse competenze, pensavo, di mondi che s’incontrano per la prima volta. Mi chiedevo se saremmo riusciti a trovare un linguaggio comune. Così, con una vaga sensazione di timore e con molta curiosità, perlomeno da parte mia, i miei compagni di avventura ed io ci siamo messi al lavoro. Si trattava di rintracciare aneddoti, ricordi personali, episodi a cui avevano assistito e che erano stati, per loro, rilevanti, da un punto di vista professionale e personale. Credo che le due cose, comunque, non possano mai essere scisse. Un’esperienza professionale è anche e sempre un’esperienza personale. In un primo momento, dopo aver fornito loro una serie di indicazioni, non ho fatto altro che aspettare che i ricordi riemergessero e che trovassero una forma. Sono rimasta in attesa, con timore e con curiosità, appunto. Quand’è successo, quando ho letto ciò che avevano scritto, ho capito subito che quel mondo, apparentemente così lontano, mi stava divenendo familiare: vedevo, come se li guardassi coi miei occhi, la prima sede dell’ISTUD a Prima Cappella, Villa Treves, il tabellone chiamato Muro del Pianto, la tombolata di Natale. Assistevo al concerto dei Solisti Veneti. Piccoli episodi, a volte, ma sempre estremamente significativi proprio in quanto esperienze vissute. Voci e sguardi che illuminavano un percorso. È stato così, leggendo quei racconti, che sono entrata in ISTUD. È stato allora che quei ricordi sono diventati un patrimonio condiviso. È questo, proprio questo, il grande potere delle storie. A quel punto, si è trattato di lavorarci sopra, riscrivendo, perché fiorissero davvero, perché trovassero la loro forma più compiuta. Ho suggerito alcuni tagli dove pensavo che fosse necessario, e ho proposto alcuni approfondimenti, quando avevo la sensazione che ci fosse ancora altro da dire. I miei compagni sono stati pazienti e hanno lavorato con passione ed entusiasmo. I ricordi sono fioriti, questo è certo. Li avrete letti, a questo punto e spero che ve ne siate accorti. Abbiamo camminato insieme. Già, proprio così. Dico questo perché anch’io ho camminato. Ciò che mi preme sottolineare, insomma, è che da loro ho imparato molto. Per questo li ringrazio. Per tutto ciò che mi hanno mostrato, per la pazienza e per la dedizione. Spero davvero che, in futuro, ISTUD continui a raccontarsi. 119 Hanno contribuito alla realizzazione dell’autobiografia: Alessandra Cosso Alessandro Zanetta Alessia Borghi Ambra Bielli Andrea Guarini Annalisa Porrini Annamaria Paradisi Antonio Nastri Antonio Roversi Daniela D’Amato Delia Duccoli Eliana Casella Elisabetta Reggiori Enrico Tedesco Fabrizio Galantucci Federico Omarini Filippo Marelli Fiorenza Sarotto Franca Pelucchi Gabriele Impemba Gianfranco Domizi Giorgio Andreoli Graziella Balsamo Guglielmina Marcucci Guido Mariani Irene Santini Jlenia Ermacora Lizett Segura Luigi Reale Luigi Serio Marco Leonzio Marella Caramazza Maria Giulia Marini Maria Naciti Marisa Lovisi Mattia Sciutti Monica Zanetti Morag McGill Nicola Castelli Nicoletta Martone Paola Marchionini Renzo Rizzo Roberta Falcioni Roberta Musso Romina Braggion Sabrina Crescini Simone Anselmi Simonetta Baraldi Simonetta Carpo Simonetta Manzini Sonia Claudia Lepore Tania Ponta Tommaso Limonta Trevor Boutall Vincenzo Memoli Fondazione Istud Corso Umberto I, 71 28838 Stresa (VB) Tel. 0323 933 801 Fax 0323 933 805 [email protected] www.istud.it Progetto Grafico di Experientia www.experientia.com Fotografie di Cristiano Cassani, Yoshie Nishikawa, Enrico Tedesco, Pino Varchetta, archivio fotografico ISTUD 40˚ Anniversary Biography book www.istud.it