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Gli Uragani
18
Web Tsunami
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Titolo originale dell’opera: “Everybody Wants Some - The Van Halen Saga”
Copyright © Ian Christe
Edizione originale pubblicata in USA e Canada da:
John Wiley & Sons, Inc., Hoboken, New Jersey
Copyright © 2014 A.SE.FI. Editoriale Srl - Via dell’Aprica, 8 - Milano
www.tsunamiedizioni.com - twitter: @tsunamiedizioni
Traduzione di Stefania Renzetti
Prima edizione Tsunami Edizioni, giugno 2014 - Gli Uragani 18
Tsunami Edizioni è un marchio registrato di A.SE.FI. Editoriale Srl
Progetto copertina: Max Baroni
Progetto grafico: Eugenio Monti
Stampato nel mese di maggio 2014 da Arti Grafiche La Moderna - Roma
ISBN: 978-88-96131-64-0
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, in qualsiasi formato senza
l’autorizzazione scritta dell’Editore.
Nell’impossibilità di risalire agli aventi diritto delle fotografie pubblicate, l’Editore si dichiara disponibile a sanare ogni eventuale controversia.
Ian Christe
VAN
HALEN
Tutta la
Storia
TRADUZIONE DI STEFANIA RENZETTI
Non importa quello che dice la gente, secondo me
bisogna sempre leggere il manuale.
—Edward Van Halen su come fare le cose nel modo giusto
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INTRODUZIONE - IMPARARE A SUONARE "ERUPTION".......................................................13
PARTE I - RUNNIN' WITH THE DEVIL
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THE IMMIGRANT SONG.................................................................................19
RATS IN THE CELLAR..................................................................................29
HOTEL CALIFORNIA.....................................................................................39
BAT OUT OF HELL......................................................................................47
BACK IN THE SADDLE..................................................................................57
GIRLS ON FILM.........................................................................................69
JUKEBOX HEROES......................................................................................79
KING OF ROCK.........................................................................................95
ROAD TO NOWHERE...................................................................................111
PARTE II - TOP OF THE WORLD
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IT'S THE END OF THE WORLD AS WE KNOW IT (AND I FEEL FINE)...................................121
ROLL WITH IT........................................................................................ 129
NOTHING'S SHOCKING................................................................................141
LOVELESS............................................................................................ 153
MELLON COLLIE AND THE INFINITE SADNESS......................................................... 167
ILL COMMUNICATION................................................................................. 183
PARTE III - WHERE HAVE ALL THE GOOD TIMES GONE?
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NO WAY OUT......................................................................................... 197
DEAD LEAVES AND THE DIRTY GROUND..............................................................211
GET THE PARTY STARTED........................................................................... 221
A GRAND DON'T COME FOR FREE.................................................................... 231
ALL THE RIGHT REASONS............................................................................ 243
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BIS - VAN HALEN IV......................................................................................... 251
SECONDO BIS - AMERICAN IDOLS........................................................................... 259
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BONUS TRACK - EDDIE VAN HALEN - COLLABORAZIONI..................................................... 269
BONUS TRACK B - I SACRI GRAAL: RARITA INEDITE DEI VAN HALEN....................................... 271
BONUS TRACK C - PICTURES ON THE SILVER SCREEN: I VAN HALEN AL CINEMA............................ 275
BONUS TRACK D - IL MENU: LA COVER BAND DI PASADENA................................................ 277
BONUS TRACK E - UNCOVERED: LE TRIBUTE BAND DEI VAN HALEN......................................... 279
BONUS TRACK F - VAN HAGAR PER NEGATI................................................................ 283
RINGRAZIAMENTI - LOOK AT THE PEOPLE HERE TONIGHT !................................................. 285
NOTA SUL FOTOGRAFO....................................................................................... 286
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Introduzione
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IMPARARE A SUONARE “ERUPTION”
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o pensato che non fosse giusto scrivere questo libro senza aver imparato a
suonare “Eruption”, sia per farmi un’idea della velocità mentale e manuale
di Eddie Van Halen, che per capire quanto lavoro e pratica ci vogliano per
suonare e sviluppare il suo stile. In sostanza, volevo scrivere l’epica storia dei Van
Halen avendo una seppur minima nozione di che aria si respira tra i grandi del
rock. Come tanta gente, quando da piccolo ho sentito per la prima volta quell’assolo di chitarra, mi è sembrato palesemente impossibile da suonare. Ho pensato
che fosse una sorta di effetto speciale, come un’esplosione laser di Guerre Stellari, o un sintetizzatore tecnologicamente avanzato, oppure una combinazione di
montaggio di nastri e rumori di videogioco. Quella convinzione errata si è rafforzata negli anni, sfida dopo sfida – se nessun eroe delle sei corde riusciva a fare
meglio di “Eruption”, voleva dire che quell’assolo era praticamente intoccabile.
Chiunque riuscisse a suonarne anche un pezzetto doveva chiaramente avere un
talento incredibile.
Se Eddie Van Halen era il miglior chitarrista di sempre, l’unica presa di posizione logica era lasciar perdere. Dato che i seguaci che si gettavano a capofitto
su “Eruption” suonavano perlopiù vuoti, in qualità di adolescente fanatico di heavy metal e punk mi era sembrato sensato ignorarlo. “Eruption” era diventato il
biglietto da visita di quel genere di stronzetto che bazzica i negozi di strumenti
musicali in attesa di essere scoperto, e nel frattempo fa il gradasso con i musicisti
più giovani.
Erano passati dieci anni, e “Eruption” era ancora lì, con tutta la sua magia, la
breve cartolina di un delirio infinito dei Van Halen risalente al 1978, ancora miracolosamente veloce e furioso. Per sfizio, ho sfogliato una raccolta di spartiti dei
Van Halen e ho esaminato “Eruption”. In quel momento mi sono reso conto che
era possibile suonarlo. Sapevo di poter eseguire le note abbastanza velocemente,
ma non sapevo da dove iniziare – era come voler stringere la mano al Diavolo
della Tasmania. Le tablature per chitarra utilizzano un sistema arcano di notazione per indicare finger slide, trilli e corde piegate – e “Eruption” usa praticamente
tutti questi espedienti.
Ho affrontato la stesura di questo libro molto più serenamente dopo aver
scoperto che “Eruption” è il risultato di una serie di tecniche attentamente
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selezionate, e non un’improvvisazione spontanea. Seduto a casa, con la mia Jackson sul ginocchio, mi sono concentrato sul brano, meravigliandomi per ogni pezzetto che riuscivo a estrapolare dalla versione su Van Halen. Una volta ricostruito
il tutto, dopo qualche giorno di lavoro, mi ci sono voluti circa dodici minuti per
compiere il viaggio di 90 secondi di Eddie dal blues tagliente, al tapping neoclassico allo spazio cosmico.
La brillante sezione di finger-tapping si è rivelata una delle parti più semplici,
dato che è tutta suonata su una sola corda. Mi dispiace però dire che memorizzare
la progressione di accordi in rapida successione dietro a tutte quelle note ha richiesto molto più tempo. I miei progressi si sono arenati solo quando ho scoperto
su YouTube oltre un migliaio di video di ragazzini che eseguono l’apparentemente insormontabile “Eruption” come dei fulmini – dev’essere il genere di video più
popolare che ci sia, secondo solo a quelli della gente che cade dagli skateboard e
degli animali che mordono le persone in mezzo alle gambe.
Alla fine, però, sono riuscito a domare “Eruption” ed è stata una sensazione
fantastica. Ho applicato tecnica e scorciatoie al mio stile – a differenza del geniale
Eddie, dovrei aggiungere, che condensava tutti i suoi piccoli accorgimenti per
far sì che una canzone normale risultasse speciale. Secondo me il motivo per cui
nessuno ha mai provato a scrivere un libro come questo prima d’ora è che non c’è
mai stato un autore in grado di suonare “Eruption”. O forse tutti ci hanno lasciato
la pelle provandoci.
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PARTE I
RUNNIN’ WITH
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L’ERA ROTHOZOICA
1950-1985
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• 8 Maggio, 1953, Alexander Arthur van Halen
nasce in Olanda.
• 10 Ottobre, 1953: David Lee Roth nasce a
Bloomington, Indiana.
• 20 Giugno, 1954: Michael Anthony Sobolewski
nasce a Chicago, Illinois.
• 26 Gennaio, 1955: Edward Lodwijk van Halen
nasce in Olanda.
• Inverno 1962: Jan van Halen emigra in
California con la sua famiglia.
• 1967: Edward compra una chitarra Teisco Del Ray
da 100 dollari al Sears.
• 1971: Alex e Eddie Van Halen formano i Trojan
Rubber Company.
• Autunno 1973: David Lee Roth si unisce ai
fratelli Van Halen nei Mammoth.
• Primavera 1974: Mike Sobolewski entra nei Van
Halen e diventa Michael Anthony.
• Maggio 1976: Gene Simmons “scopre” i Van Halen
allo Starwood e finanzia un demo che non
ottiene riscontri.
• Maggio 1977: Ted Templeman riscopre i Van Halen
e mette la band sotto contratto con la Warner
Bros.
• 10 Febbraio, 1978: Esce Van Halen; la band va
in tour con i Journey, poi con i Black Sabbath.
• 10 Ottobre, 1978: i Van Halen ottengono il
disco di platino.
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• 23 Marzo, 1979: Esce Van Halen II; il primo
tour da headliner va avanti fino a ottobre.
• 26 Marzo, 1980: Esce Women and Children First.
• 29 Agosto, 1980: Eddie Van Halen incontra
Valerie Bertinelli.
• 11 Aprile, 1981: Eddie sposa Valerie.
• 29 Aprile, 1981: Esce Fair Warning.
• 14 Aprile, 1982: Esce Diver Down.
• 29 Maggio, 1983: i Van Halen vengono pagati
1,5 milioni di dollari per suonare davanti a
quattrocentomila persone all’US Festival del
1983.
• 4 Gennaio, 1984: Esce 1984, contenente il primo
singolo della band a raggiungere la vetta delle
classifiche, “Jump”.
• 2 Settembre, 1984: Ultimo concerto con la
formazione classica a Norimberga, Germania.
• 31 Dicembre, 1984: David Lee Roth pubblica
Crazy from the Heat.
• Aprile 1985: David Lee Roth lascia i Van Halen.
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THE IMMIGRANT SONG
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ome le storie di altri grandi americani, da Henry Ford a Walt Disney, a
Fievel Toposkovich, la saga dei Van Halen inizia in una terra antica, lontana
dagli Stati Uniti e dalla sua costante disponibilità di acqua calda ed elettricità. Come direbbe la voce narrante dei film di una volta: “Tra i mulini a vento,
i tulipani e gli zoccoli di legno della graziosa Amsterdam, in Olanda, un tempo
viveva un affabile musicista di nome Jan van Halen”.
Nato nel 1920, van Halen suonava il sassofono e il clarinetto dappertutto, dagli
eventi politici alle orchestre radiofoniche e i tendoni da circo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, pare fosse stato catturato mentre lottava contro i nazisti, e
costretto a girare la Germania come prigioniero, suonando musica di propaganda
per l’odiato Terzo Reich. Una volta liberato, dopo la guerra, andò in Indonesia,
dove conobbe e si innamorò di una bellezza locale, Eugenia van Beers. Lei era
più grande, nata nel 1914, ma si sposarono e tornarono ad Amsterdam, in Michelangelostraat, dove un bambino, Alexander Arthur van Halen, vide la luce l’8
maggio 1953.
Il signor van Halen suonava in ogni locale immaginabile, ma la vita del musicista era instabile e girovaga. Poco dopo la nascita del secondo figlio, Edward
Lodwijk van Halen, il 26 gennaio 1955, la giovane famiglia si trasferì in Rozemarijnstraat a Nijmegen, Olanda. L’orgoglioso genitore voleva che un giorno i suoi
figli diventassero dei musicisti famosi, e le aspettative nei confronti del secondogenito erano particolarmente alte, dato che Edward Lodwijk era stato battezzato
con il nome del maestro compositore Ludwig Van Beethoven.
La casa dei van Halen vibrava di musica. Jan lavorava costantemente alla tonalità e suonava seguendo i dischi di musica classica della propria collezione, e tutta
la famiglia ascoltava sempre le sue trasmissioni radiofoniche. Quando Jan si unì
alla banda dell’aviazione militare olandese, i suoi figli presero a sfilare per la casa
picchiando sulle pentole e i coperchi, mentre il padre provava le marce militari.
“I miei primi ricordi musicali vengono da mio padre”, racconta Alex, “Non c’era
modo di non essere toccati dalla musica – ne eravamo circondati”.
Siccome Jan non aveva la pazienza di insegnare la musica ai suoi bambini, li
mandò a lezione per diventare pianisti concertisti. All’età di sei anni, Edward già
studiava pianoforte con un severo insegnante russo di settantadue anni. Lui e
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Alex continuarono a prendere lezioni, esercitandosi su Beethoven e Tchaikovsky,
per quasi dieci anni. In una rara occasione, quando Alex non se la sentiva di esercitarsi, ricorda che sua madre gli mise le mani sul tavolo della cucina e gliele colpì
duramente con un cucchiaio di legno.
Una volta diventati abbastanza grandi, Alex e Edward si unirono al padre per
i suoi concerti. All’apice della carriera, Jan entrò a far parte del Ton Wijkamp
Quintet, che nel 1960 conseguì il primo premio al pregiato Loosdrecht Jazz Festival in Olanda. Viaggiando per tutto il Paese, e a volte oltre confine, in Germania, i ragazzi vissero in prima persona gli aspetti pratici di una carriera musicale,
e durante alcune delle serate più rozze e volgari ne scoprirono i benefici extra – a
quanto pare, Alex perse la verginità a nove anni dopo uno dei concerti di suo
padre.
Le lettere dei parenti di Eugenia raccontavano di una vita migliore negli Stati
Uniti, e pian piano invogliarono i van Halen a tentare la fortuna nella terra delle
opportunità. Sul finire dell’inverno del 1962, Jan ed Eugenia presero i due bambini e il pianoforte di famiglia, un Rippen fabbricato in Olanda, e si imbarcarono per una traversata di nove giorni sull’Atlantico, con nelle tasche poco più di
settantacinque fiorini olandesi. Jan suonava con l’orchestra di bordo per pagare
il viaggio, e anche Eddie e Alex sfoggiarono la loro abilità al pianoforte, riscuotendo le mance dei passeggeri. E così, i musicisti monelli arrivarono nel Nuovo
Mondo, belli navigati e pronti a lavorare. Imitando un aspetto comune a tante
storie di immigrati, anche Jan, non appena arrivato a New York, americanizzò il
suo cognome, cambiandone la grafia dall’antiquato “van Halen” al più informale
“Van Halen”, ricominciando simbolicamente come un uomo nuovo. Dopo lo scalo a New York, il clan Van Halen, fresco di conio, salì a bordo di un treno per un
viaggio di quattro giorni verso la California, un angolo del Paese in cui il sogno
americano era ancora disponibile senza dover versare un anticipo. Trovarono un
piccolo bungalow a Pasadena, dove abitarono tutti insieme per quasi vent’anni.
Alex, con i capelli a cespuglio, e l’olandesino Edward arrivarono in California
con le schegge degli zoccoli di legno ancora conficcate nei piedi. Non parlando
ancora l’inglese, sorridevano e dicevano di sì a qualsiasi cosa. La seconda parola
inglese che impararono fu “incidente”. Edward era ancora estremamente timido
e suo fratello, più coraggioso, lo proteggeva. I due strinsero un legame molto forte
– confrontando ogni giorno dopo la scuola, nel cortile per la ricreazione, quello
che avevano imparato. Iniziarono a integrarsi, andando in bici con i bambini del
vicinato, arrampicandosi nella loro casetta sull’albero, e picchiandosi a sangue.
La sera, il signor Van Halen continuava a suonare nelle bande per matrimoni,
ma durante il giorno faceva diversi mestieri. Lavorava come custode, e all’occorrenza percorreva cinque miglia all’andata e cinque al ritorno per lavare i piatti all’Arcadia Methodist Hospital. Rafforzò l’entusiasmo dei suoi ragazzi per la
musica, sorridendo quando suonavano con delle chitarre di cartone seguendo la
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radio, usando le vaschette di gelato vuote come batteria. La California era davvero il paradiso che si aspettavano – se solo ci fossero stati altri bambini in famiglia:
“Ho sempre chiesto a mia mamma dove fosse il nostro bassista”, racconta Eddie.
In occasione delle festività, la famiglia suonava tutta insieme, con Eugenia che
prendeva posto davanti a un enorme organo elettrico. Ma la signora Van Halen
era più tradizionalista, e molto occupata a prendersi cura della famiglia. Sebbene
spingesse i ragazzi a esercitarsi dopo le lezioni di musica, non sopportava l’idea
che un giorno sarebbero diventati dei musicisti. A volte faceva da madre tanto al
giocoso Jan quanto ai suoi figli. “Sono cresciuto con mia madre che mi dava della
‘testa vuota – proprio come tuo padre’”, raccontò Eddie a Guitar World. “Quando
cresci così, l’autostima ne risente”.
Arrivati in quarta e quinta elementare, i fratelli Van Halen iniziarono a imitare
i gruppi che vedevano all’Ed Sullivan Show, come i Beatles e i Dave Clark Five, il
cui “Glad All Over” fece conoscere a Edward un nuovo genere di musica popolare. Quelli erano i primi gruppi a entrare nelle classifiche pop, perché piacevano
agli studenti – e Eddie e Alex erano degli studenti già capaci di suonare musica.
Così, alla Hamilton Elementary School, formarono la loro prima band, i Broken
Combs, con Alex al sassofono, come suo padre, Edward al pianoforte, e vari compagni di scuola, tra cui Brian Hill alla batteria, Kevin Hill alla chitarra di plastica
di marca Emenee, e Don Ferris al secondo sax.
Suonando pezzi originali come “Rumpus” e “Boogie Booger” in locali di un
certo livello, come la mensa scolastica, Alex e Eddie superarono l’imbarazzo adattandosi allo stile americano. Non c’era più bisogno di integrarsi – ormai erano
speciali. “La musica è stata il mezzo con cui ho aggirato la timidezza”, disse poi
Eddie a Guitar World.
C’erano anche altri modi per rafforzare un animo timido. Quando Eddie aveva
dodici anni, venne attaccato e morso da un pastore tedesco durante una gita in
famiglia, qualche miglio lontano da casa. Per calmare l’angoscia del suo secondogenito e alleviare il dolore, suo padre prescrisse immediatamente uno shot di
vodka e una sigaretta Pall Mall – iniziando il ragazzino ai due vizi che si porta
dietro da una vita.
Arrivati alle medie, i fratelli Van Halen avevano entrambi imparato a suonare il violino, e Alex era diventato abbastanza bravo da entrare a far parte di
un’orchestra selezionata. Ma la televisione li tentava con un genere di musica più
selvaggio. Eddie ricorda che se ne stava seduto sul divano a strimpellare la sigla di
Peter Gunn col violino. Non c’era alcuna speranza per la musica classica – i ragazzi
volevano suonare stando in piedi. Con l’idea di mantenere costante il progresso
musicale di Alex, i suoi genitori gli comprarono una chitarra con le corde di nylon
e lo mandarono a lezione di flamenco.
Nel frattempo, Eddie aveva iniziato a distribuire i quotidiani porta a porta.
“L’unico lavoro onesto che abbia mai avuto”, ha poi detto scherzando. Comprò
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una batteria St. George da 125 dollari e iniziò a studiare le canzoni dei Dave
Clark Five.
Alex imparava lentamente a suonare la chitarra. Era passato a una chitarra
elettrica da quattro soldi con un amplificatore Silverstone, ma lo scarso progresso
gli causava frustrazione. Così, quando Eddie andava a riscuotere il compenso per
i quotidiani, Alex si metteva dietro alla batteria e iniziava a darci dentro, copiando
i fraseggi di Buddy Rich. Ben presto imparò le primitive rullate di “Wipe Out”
dei Surfaris, un marchio di distinzione in qualsiasi cortile scolastico. Sentendosi
in qualche modo frustrato per l’ingiusta piega che avevano preso gli eventi, Eddie
imbracciò la chitarra di Alex per dimostrare che era lecito fare dietrofront. Quando lasciò di stucco suo fratello maggiore imparando “Blues Theme” degli Arrows,
il vero ordine naturale delle cose divenne subito lampante.
All’età di dodici anni, Edward possedeva una chitarra elettrica Teisco Del Ray
con quattro pickup, acquistata al Sears per 100 dollari, e si cimentava in pezzi
strumentali come “Walk Don’t Run” dei Ventures. Il suo primo amplificatore per
chitarra fu un modello a rete metallica fatto a mano da un amico di suo padre. Il
primo insegnante di chitarra “clandestino” di Eddie fu Eric Clapton, il chitarrista più tosto di quel periodo. Eddie decifrò ogni riff e assolo che Clapton aveva
registrato con gli Yardbirds e i Cream. Cercò faticosamente di imitarne i dischi,
ma in seguito ammise che le sue versioni non erano mai del tutto giuste – la sua
colpa più grande era quella di non riuscire a nascondere il proprio stile personale.
Lasciandosi coinvolgere dalla crescente scena rock and roll, i Van Halen si
infatuarono di Jimmy Page degli Yardbirds, Jeff Beck del Jeff Beck Group, e
dell’imprevedibile Jimi Hendrix. Sorprendentemente, considerati i paragoni che
sarebbero emersi in seguito, Eddie non era un amante dello stile selvaggio e libero di Hendrix. “Usava un sacco di effetti, e io non mi potevo permettere i pedali
wah wah e il fuzz”, ha ammesso.
Ogni volta che Eddie infrangeva le regole o trascurava il pianoforte, Eugenia Van
Halen gli chiudeva la chitarra nell’armadio per una settimana – il castigo definitivo.
Gli amici della scuola ricordano anche che Eddie finì nei guai per aver toccato il
sacro pianoforte da concerto Steinway, l’orgoglio del dipartimento di musica, ma le
punizioni furono leggere, grazie al suo talento e al sorriso malizioso. Continuando
a seguire lezioni fino all’età di sedici anni, con un nuovo e sempre severo insegnante
lituano di nome Staf Kalvitis, Eddie vinse il primo premio alle competizioni giovanili di pianoforte del Long Beach City College per tre anni di seguito. Anche se il
primo anno non riuscì a ritirare il premio sul palco: seduto sugli spalti, nel momento in cui chiamarono il suo nome, rimase pietrificato e fece finta di non aver sentito
l’annuncio. Non sapeva come accettare un riconoscimento.
Sebbene le sue dita fossero stupefacenti, Eddie non ha mai saputo leggere bene
la musica, come invece avrebbe dovuto. Alex era eccellente nella lettura, mentre le
esecuzioni di Eddie venivano meticolosamente stipate nella sua testa in anticipo,
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nota per nota, fraseggio per fraseggio. I giudici delle competizioni di pianoforte
lodavano le sue interpretazioni insolite, ma per quanto ne sapeva lui, suonava
come da copione. “L’unico motivo per cui scrivevano la musica, era perché non
avevano i registratori”, si lamentò in seguito Eddie. “Pensate che Beethoven o
Bach avrebbero mai scritto qualcosa se avessero avuto un ventiquattro piste?”.
Siccome la casa dei Van Halen era troppo piccola per ospitare le prove della
band, i fratelli capirono di dover suonare con i ragazzini del posto che vivevano
in case con il garage. Formarono un gruppo chiamato Revolver, e progredirono
dai Ventures alle cover più pesanti di Cream e Mountain – dei power trio incentrati sulla chitarra e la batteria. “Mi sono avvicinato alla batteria non come a uno
strumento vero e proprio”, ricorda Alex, “ma più come a un’attitudine – come se
stessi attaccando brutalmente qualcosa”; con la bacchetta più grossa e pesante a
disposizione.
All’età di tredici anni, Alex iniziò a sostituire il batterista nelle bande per matrimoni del padre, tenendo il tempo dei pezzi jazz e salsa guidati dal clarinetto
e dalla fisarmonica. Spesso Eddie si univa a loro, suonando le linee di basso più
profonde. “Uno dei primi concerti miei e di Al è stato con mio padre al La Merada Country Club”, ricorda Eddie. “Eravamo il piccolo fenomeno da baraccone
che si esibiva mentre la band faceva una pausa. Io suonavo il piano o la chitarra e
Al suonava la batteria”.
Dopo la prima serata sul palco, i ragazzi fecero girare un cappello tra le coppie
che ballavano e raccolsero ventidue dollari. Il padre diede loro cinque dollari ciascuno e disse: “Benvenuti nell’industria musicale, ragazzi”.
S
David Lee Roth nacque il 10 ottobre 1953 a Bloomington, Indiana, dove suo
padre Nathan, persona fortemente orientata alla carriera, frequentò la facoltà di
medicina. Dopo la laurea, Roth padre trasferì la sua famiglia diverse volte, prima
in un piccolo ranch a Newcastle, Indiana, dove il dottor Roth si occupava di un
serraglio di cavalli e cigni. Poi i genitori portarono David e le due sorelle, Allison
e Lisa, sulla costa Est, stabilendosi a East Alton Court a Brookline, Massachusetts, fuori Boston.
David era un bambino pieno di energia, ma era afflitto dalle allergie e dovette
lottare con dei problemi di salute che lo costrinsero a portare un tutore per le
gambe, da quando iniziò a muovere i primi passi fino all’età di quattro anni. Poi
venne mandato in terapia per quasi un decennio. A nove anni iniziò tre anni intensivi di trattamenti clinici per l’iperattività. Riusciva però a sfogarsi in maniera
salutare – i genitori di Roth chiamavano la sua esibizione dell’ora di cena “Monkey Hour”, quando imitava i cartoni animati e cantava delle esuberanti versioni
delle canzoni del varietà per gli ospiti a cena.
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Sebbene sua madre, Sibyl, insegnasse musica e lingue alla scuola superiore, Roth
afferma che i suoi genitori non fossero neanche lontanamente orientati alla musica,
come la famiglia Van Halen. “Non ho avuto alcuna influenza musicale di rilievo”,
disse a MTV. “I miei idoli sono sempre stati Gengis Khan, Muhammad Ali o Alessandro il Grande, o il tipo che ha inventato gli hamburger di McDonald’s”.
Secondo lui, non soffriva di alcuna mancanza di concentrazione. Tutti gli altri
avevano semplicemente difficoltà a recitare il proprio ruolo nel suo costante film
mentale, una specie di veloce libro animato che stava a metà tra Mad e Playboy.
Dave era ossessionato da Bugs Bunny, Tarzan, e il cantante e ballerino blackface1
Al Jolson, di cui ascoltava le canzoni su dei vecchi e fragili 78 giri in gommalacca.
In seguito adorò Elvis Presley – ma non per la musica, bensì per i film.
Mentre la mente di Roth fluttuava nella cultura pop, le sue radici erano ben
salde nel Vecchio Mondo – i suoi genitori erano ebrei ucraini che avevano scambiato le montagne e le steppe dell’Europa dell’est con gli afosi campi di grano del
Midwest. Di fatto, tutti e quattro i suoi nonni parlavano russo. “Il mio bisnonno è
morto dondolando”, ha scherzato una volta con un giornalista televisivo, “appeso
a una corda”.
Quando Roth aveva sette anni, suo padre, appassionato di cinema, lo portò
a vedere A Qualcuno Piace Caldo, il classico di Billy Wilder in cui Tony Curtis e
Jack Lemmon si vestono da donne per avvicinarsi a Marilyn Monroe. “La mia
vita si è trasformata nella ricerca continua di un modo per essere in quel film,
un modo qualsiasi”, raccontò Roth a Rolling Stone. Quella sera, tornando a casa,
con gli occhi ancora impressionati, suo padre gli spiegò nel dettaglio la trama di
Robin Hood – il film che la signora Roth pensava fossero andati a vedere.
Il turbolento David trovò uno spirito affine nello zio Manny Roth, un bohémien fanatico del jazz il cui piccolo locale, Café Wha? su MacDougal Street,
divenne il fulcro della scena beatnik del Greeenwich Village di New York nei
primi anni Sessanta. Bob Dylan, Jimi Hendrix, Bruce Springsteen, Bill Cosby
e Richard Pryor vi forgiarono tutti il loro repertorio anti-sistema davanti a un
pubblico cosmopolita e altamente coinvolto. “New York rispecchia senza dubbio
l’ambiente in cui sono cresciuto”, disse Roth a un giornalista. “Ovviamente mi ha
incoraggiato”.
Le gite estive a New York fecero capire al giovane David Roth che, alla faccia
dei consulenti per l’orientamento e dei terapeuti comportamentali, c’era un mondo
grande e grosso che bramava e desiderava le personalità stravaganti. Lo zio Manny
gli comprò una radio per il suo ottavo compleanno, sperando di dare al ragazzo
un po’ d’ispirazione. “L’ho accesa e c’era Ray Charles che cantava ‘Crying Time’”,
racconta David, “e ho semplicemente capito che anche io dovevo essere alla radio”.
1 - Uno stile di make-up teatrale in voga negli Stati Uniti nel XIX secolo che consisteva nel truccarsi in modo marcatamente non realistico per assumere le sembianze stilizzate di una persona di
colore.
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I Roth lasciarono la costa est per andare in California nel 1963, quando Dave
aveva dieci anni, giusto in tempo per farsi ammaliare dai Beach Boys nel fiore
della loro carriera – l’unica vera arma dell’America contro i Beatles. Dalla sua
nuova casa ad Altadena, il giovane Dave si trascinò in quarta elementare alla
Altadena School, con i suoi capelli arruffati e le scarpe da tennis. Nel frattempo
lo studio oftalmologico del dottor Roth andava a gonfie vele – divenne un oftalmologo di successo e si diede anche da fare nelle produzioni teatrali del posto.
Durante le medie, Roth ricorda di aver avuto un poster attaccato sopra al letto,
regalatogli dal padre, raffigurante due polli che incontrano un tacchino con la
scritta: “Sii fedele a te stesso”.
Dopo tre anni passati da boyscout a livello principiante, Roth si lasciò l’infanzia alle spalle così come i fratelli Van Halen avevano abbandonato la loro
casa sull’albero, e scoprì il suo impiego futuro. Una volta raccontò di aver perso
la verginità su una spiaggia di Tahiti all’età di tredici anni, sotto la luna piena e
con una ragazza che non parlava inglese. “Continuava a dire che le piacevo, che
le piacevo. Ma sapevo che intendeva dire che mi amava – ma da quella volta
sono rimasto complessato”. Per Roth, Tahiti si trasformò così in un polivalente
scenario ideale per storie che forse accadono solo in paradiso. Nella sua autobiografia, Crazy from the Heat, racconta un altro momento cruciale degli albori della
sua vita sessuale – essersi fatto fare un pompino dietro ai cespugli, in una zona
periferica, mentre guardava nella finestra del salotto di qualcuno e c’era Johnny
Carson in televisione.
Con la carriera del dottor Roth che andava a gonfie vele, la famiglia si trasferì
nella zona facoltosa di Pasadena. Quando venne introdotto il servizio scuolabus
integrato, Dave divenne una sorta di cavia sociale e dalle medie in avanti frequentò scuole con alunni prevalentemente di colore. In seguito si sarebbe vantato di
quanto fosse nero nel profondo, ma a quei tempi essere un hippie bianco con i
capelli biondi significava cacciarsi in un sacco di risse. Si metteva quintali di brillantina nei capelli, gli piaceva fare la verticale e la scuola si trasformò in un talent
show quotidiano. Gli insegnanti non capivano che problemi avesse.
Nonostante la sua personalità esuberante, Dave era piuttosto solitario, un ragazzino ricco, troppo intelligente, con manie di grandezza. Si sentiva perseguitato, ma allo stesso tempo superiore. Aveva un’idea volgare e patinata della sessualità, un effetto collaterale dell’aver conosciuto il mondo attraverso le lenti distorte
di Mad e Playboy. Nonostante i soldi del padre, aveva sempre lavorato: alla fine
del suo terzo anno presso la John Muir High School, Roth si comprò uno stereo
con i dollari guadagnati spalando letame in una stalla insieme ai membri delle
gang messicane.
Una rissa scoppiata durante una partita di football nell’ora di ginnastica si
risolse in un breve periodo trascorso in collegio. L’incremento delle regole lo
indusse a una maggiore resistenza, così, dopo un semestre in uniforme, David
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tornò tra i teenager della scuola pubblica, con la sua vena selvaggia ancora intatta.
“Non andavo mai a lezione, ma andavo comunque a scuola”, raccontò. “Di solito
mi sedevo sotto a un albero nel parcheggio, e suonavo la chitarra”. Attirava le
ragazze e si costruì una reputazione per il repertorio insolitamente datato e l’atteggiamento allegro. Mentre a casa era impegnato in una lotta culturale costante
contro dei genitori troppo premurosi, fuori spingeva attentamente al limite la
propria immagine – per un breve periodo, il suo tratto distintivo fu una ciocca di
capelli ossigenata al centro della testa, stile puzzola.
Originario del Midwest, come Roth, Michael Anthony Sobolewski nacque
il 20 giugno 1954 al St. Joseph’s Hospital di Chicago. La sua famiglia viveva in
un quartiere popolare di quello che ai tempi era considerato il ventre della classe
operaia americana. Michael era il secondo di cinque figli, e il maschio più grande.
Suo padre, Walter, suonava la polka nei complessi, esibendosi spesso all’Aragon
Ballroom con quel burlone di Kay Kyser, il famoso leader della band che scrisse
“Praise the Lord and Pass the Ammunition”. Walter incoraggiò anche Michael
a suonare la tromba.
La famiglia Sobolewski diede ascolto allo stesso richiamo che aveva attirato i
Van Halen e i Roth verso ovest, andando a tastare il terreno con un breve trasferimento nel 1963. Nel 1966 lasciarono definitivamente Chicago e si stabilirono
ad Arcadia, California, una cittadina cinque miglia a est di Pasadena, dove Jan
Van Halen lavorava come lavapiatti in un ospedale. Walt Sobolewski continuò a
suonare ai balli, proponendo dei classici per gli altri trapiantati del Midwest e i
nostalgici.
Michael si dedicò al salto in lungo alla Dana Junior High. Suonò la tromba
nella banda e rimase attivo nello sport, cimentandosi anche nel baseball. Quando sua sorella maggiore, Nancy, portò a casa i dischi di qualche band acid rock
come Electric Flag, Cream e Blue Cheer, l’attenzione di Michael si spostò verso
l’aspetto rumoroso e animale della musica. Imparò la linea di basso walking di
“Groovin’ Is Easy” degli Electric Flag e divenne un fan del bassista della band,
Harvey Brooks. Allontanatosi dal conformismo della banda del liceo, idolatrava
il bassista dei Blue Cheer, Dickie Peterson – un hippie iconoclasta la cui rude
attitudine consisteva sostanzialmente nel mostrare un bel dito medio al mondo.
A quindici anni, con il fratello minore Steve alla batteria e l’amico Mike Hershey alla chitarra, Mike fondò i Poverty’s Children, in seguito conosciuti come
Balls. Il suo basso era una chitarra giapponese da quattro soldi della Teisco che
apparteneva a Hershey – avevano rimosso le due corde più alte per creare un
“basso”. Sebbene giocasse come ricevitore con le squadre di baseball locali usando la sinistra, si considerava ambidestro – infatti, iniziò a suonare il basso con la
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sinistra, ma cambiò posizione perché gli strumenti per destri erano più facili da
usare.
Siccome Michael non sapeva bene come accordare un basso, il primo anno
usò un’accordatura open E, tipica delle chitarre. Ben presto si procurò una replica
di un basso Fender P al mercato delle pulci della città. Come Alex Van Halen,
anche Michael si esibiva con la band del padre, un complesso di polka, e suonò la
tromba per pochi spiccioli fino al college.
Intorno ai sedici anni, Alex e Eddie si esibivano regolarmente dal vivo suonando cover di Black Sabbath e ZZ Top, continuando a dare una mano al padre per
i suoi concerti fissi al North Continental Club di North Hollywood, e facendo
da autisti quando necessario. Gli mancavano ancora parecchi centimetri, dollari e
decibel per arrivare dove volevano, ma erano pieni di risorse e abbastanza sfacciati
da elemosinare o farsi prestare l’attrezzatura necessaria per i loro concerti.
Nel 1971, i fratelli Van Halen fondarono il power trio Trojan Rubber Company, con il loro vicino di casa Dennis Travis al basso. I ragazzi erano già dei teppistelli della little league, fumavano sigarette come i ragazzini di strada europei
– e la madre, Eugenia, gli comprava persino i pacchetti. Per ottenere il permesso
di suonare in un liceo cattolico, dovettero cambiare il nome in Space Brothers – i
preti e le suore trovavano il riferimento alle droghe cosmiche più accettabile di
quello ai preservativi.
A prescindere dal nome, i fratelli Van Halen divennero noti per le loro impeccabili imitazioni di band hard rock fighe come i Cream e i Cactus. Eddie
suonava con un amplificatore Marshall da 100 watt da quando aveva quattordici
anni. Una volta, in gara contro dei ragazzi dagli otto ai dieci anni più grandi
nell’ambito di una battle of the bands nella sua zona, Alex aveva rubato la scena
con un’esecuzione impressionante – tutti e quindici i minuti dell’assolo di batteria
di Ginger Baker tratto da “Toad”.
Mentre i suoi coetanei uscivano con le ragazze, affrontavano le delusioni amorose, facevano a botte e sopportavano le infinite umiliazioni del liceo, Eddie non
prese parte a niente di tutto questo. Relegato nella sua camera da letto, intraprese
una relazione a lungo termine con la propria chitarra. “Tutti attraversano l’adolescenza facendosi fregare da qualche tipa o avendo problemi a farsi accettare dagli
atleti della scuola. Io in pratica mi sono chiuso nella mia stanza per quattro anni”,
raccontò poi.
Avrà anche avuto la mente occupata dalla chitarra, ma il suo talento di chitarrista lo rese famoso. Ebbe la sua prima esperienza sessuale in giovane età, e le
ragazze trovavano sempre interessante quel tenero ragazzo timido. In terza superiore, la sua ragazza rimase incinta. “Era tutto poco chiaro”, disse al giornalista
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David Rensin di TeenAge. “Non avevamo nemmeno abbastanza soldi per andare
da un dottore e capire se fosse davvero incinta. E marinare la scuola per occuparsi
della faccenda non era un’impresa da poco. Per fortuna avevo un amico in segreteria che mi aveva dato dei permessi in bianco”.
L’evento che gli avrebbe potenzialmente cambiato la vita venne prontamente
scongiurato, prima che la sua gravità si abbattesse sulla giovane coppia. “Voleva
abortire”, racconta Eddie. “Eravamo andati al consultorio e ne avevamo parlato.
Eravamo preoccupati che i rispettivi genitori lo venissero a sapere, che ci beccassero per aver marinato la scuola. Alla fine i suoi genitori l’hanno scoperto, e
la loro reazione mi ha sorpreso. Hanno detto: ‘Perché non siete venuti da noi, vi
avremmo aiutati’. Credevo ci avrebbero considerati come feccia”.
Messa da parte quell’esperienza, Eddie rimase concentrato sulla chitarra e sulla band che aveva fondato insieme a suo fratello. Anche se i loro compagni di
scuola già li adoravano, durante un concerto cambiarono completamente la vita
di un ragazzo di una scuola vicina, Dave Roth. Era una spugna che assorbiva
ogni forma di cultura, alta o bassa, di massa o per pochi, e seguiva tutti i balli del
momento, dal Twist al Freddie – eppure, in un certo senso, era sempre tenuto
d’occhio: i suoi genitori gli vietavano di andare ai grossi concerti rock. Ma poi, a
diciannove anni, sgattaiolò via per andare a vedere gli Humble Pie. Così, quando
l’adolescente Roth vide per la prima volta Eddie Van Halen suonare la chitarra,
ebbe un’illuminazione.
“Eddie era una specie di mentore”, disse in seguito Roth a un giornalista televisivo. “Avevo visto quello che faceva con le dita e avevo capito che volevo fare lo
stesso con i piedi, e con la voce”. Sempre sia lodato e alleluia.
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RATS IN THE CELLAR
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uando nel 1971 Alex Van Halen si diplomò alla Pasadena High School, lui
e suo fratello erano già degli stimati musicisti professionisti esordienti. Continuando a dirigere e gestire la sua band con Eddie, Alex iniziò a prendere
lezioni di musica al Pasadena City College. Si iscrisse a un corso di composizione, dove arrangiò West Side Story per un’orchestra jazz di quattordici elementi, e
quando ce n’era bisogno continuava a dare una mano a suo padre nella banda per
matrimoni. “Ero sorpreso dalla bravura di Alex nel suonare il nostro genere di
musica – polka e valzer”, disse Richard Kreis, uno dei bassisti di ruolo nel gruppo
di Jan Van Halen. “Trascinava il ritmo della band! E mentre ci sistemavamo, prima dell’apertura del bar, teneva d’occhio la porta mentre io mi prendevo la birra
dalla spina”.
I fratelli erano ormai andati oltre le band del vicinato – i Trojan Rubber Company avevano chiuso bottega quando il bassista Dennis Travis aveva traslocato.
Nel 1972, Alex e Eddie formarono un nuovo gruppo con il bassista Mark Stone.
Volevano chiamarsi Rat Salad, il titolo di un pezzo strumentale dei Black Sabbath tratto dal loro nuovo pesantissimo e innovativo album, Paranoid. Invece, i
fratelli Van Halen scelsero il nome Genesis – l’ottimistico inizio di una carriera
musicale di proporzioni bibliche.
Non appena i Genesis iniziarono a suonare alle feste nei cortili a Pasadena,
un amico disegnò per scherzo un poster che annunciava: “Genesis at the Forum”
– evocando la spassosa idea che un giorno la band sarebbe stata così famosa da
suonare al Forum di L.A.. Poi, un triste pomeriggio, Eddie tornò a casa dal negozio di dischi e con aria cupa informò Alex che la loro band aveva già pubblicato
un album – aveva scoperto l’ultimo disco del gruppo progressive rock britannico
Genesis sullo scaffale delle novità.
Dopodiché divennero i Mammoth, una bestia selvaggia e lanuginosa che prometteva un passo pesante. Per un po’ di tempo, nella formazione dei Mammoth
militò un tastierista, che Eddie odiava perché il piano elettrico riempiva il suono
e limitava la sua chitarra. Oltre a suonare la chitarra, Eddie era anche la voce solista dei Mammoth, sebbene il canto non fosse il suo punto di forza.
“Rock Steady” Eddie, come era stato soprannominato a scuola, seguì ben
presto il fratello Alex al Pasadena City College, dove studiò composizione con
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