Mali: le donne del karité

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Mali: le donne del karité
COOPER AZIONE E SVIL UPPO IN T U T T O IL M O N D O
113
Ottobre
2008
www.cesvi.org
Fame globale,
cibo locale
giore di persone non ha accesso
a un’alimentazione adeguata, se
anche il direttore generale della
Fao, Jacques Diouf, ha confermato: “La fame è aumentata, mentre
il mondo è diventato più ricco e
ha prodotto più cibo di quanto ne
abbia prodotto nell’ultima decade”. La questione è estremamente
complessa e ha molteplici sfaccettature. Certamente rimane l’antico problema di distribuzione delle
risorse, a disposizione dei Paesi del
Nord del mondo a scapito del tenore di vita, e spesso anche della
sopravvivenza, delle popolazioni
dei Paesi del Sud.
attribuire a diversi fattori: in prima fila, sul banco degli imputati,
ci sono i bio-carburanti. La forte
crescita della Cina e di altri Paesi
e l’aumento del prezzo del petrolio hanno, infatti, creato un ampio mercato per i carburanti di
origine vegetale. Le colture per
la produzione di bio-carburanti,
tuttavia, sottraggono facilmente
terreno alle colture alimentari
perché molto più redditizie. In
sostanza, per produrre benzina
spesso si rinuncia a produrre cibo
e questo contribuisce a diminuire la disponibilità di prodotti sul
Nord Uganda. Un modo
efficace per combattere
l’insicurezza alimentare è
quello di offrire alle popolazioni
locali la possibilità di vivere del
proprio raccolto.
segue a pag. 2
La fame è aumentata,
mentre il mondo è
diventato più ricco e
ha prodotto più cibo.
L’accesso al cibo è direttamente
legato al suo prezzo sul mercato,
e i prezzi degli alimenti sono in
continuo aumento. Il prezzo del
riso è stato influenzato in modo
particolare dall’imposizione di restrizioni all’esportazione da parte
dei maggiori Paesi produttori.
Aumentano i prezzi, aumenta la
fame. Si stima che, solo nel 2007,
l’impennata dei prezzi dei generi
alimentari abbia generato 75 milioni di affamati in più, per un totale di 923 milioni.
L’aumento generalizzato del prezzo delle derrate alimentari è da
Mali:
le donne del karité
di Gianluigi Ravasio*
foto di Marco Bottelli
Un progetto per favorire l’emancipazione sociale ed economica
delle donne in una delle aree più
povere del mondo, per sviluppare
un’imprenditoria al femminile e
per promuovere in modo concreto
i diritti umani.
Il Cesvi ha avviato nel maggio scorso un nuovo progetto di promozione umana in Mali con l’obiettivo
di sostenere e promuovere i diritti
delle donne del Paese africano impegnate nella produzione e lavorazione del burro di karité utilizzato
in occidente nell’industria della
cosmetologia per le sue proprietà
emollienti, protettive e idratanti,
ma che in Mali viene utilizzato anche nell’alimentazione. L’intervento coinvolge oltre seicento donne
di sessanta villaggi nel distretto
di Kati nel Mali sud-occidentale:
grazie alla collaborazione di Just
Italia, azienda veronese leader in
segue a pag. 2
Poste Italiane S.p.A. – Sped. Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Milano.
In caso di mancato recapito, si prega inviare al CPM Milano Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a pagare il diritto fisso dovuto.
FOTO CRISTINA FRANCESCONI
di Elena Acerbi
foto di Giovanni Diffidenti
Nessuno ormai mette più in discussione l’esistenza di una crisi
alimentare globale. Le cronache
dal mondo parlano di un aumento
generalizzato del prezzo del cibo e
persino delle prime rivolte dovute
ai rincari dei beni essenziali. Verrebbe da pensare ad una carestia
planetaria. Ma è davvero questione di scarsità di cibo?
In realtà la produzione pro-capite
di prodotti agricoli è stata in crescita costante dal 1960 ad oggi e la
produzione di cereali è attualmente in aumento; per l’anno 2008 è
previsto un incremento del 2,6%,
per raggiungere la produzione record di 2.164 tonnellate, in buona parte costituite da frumento.
Questi semplici dati evidenziano
il fatto che non vi è una effettiva crisi alimentare, intesa come
carenza di derrate. È vero, tuttavia, che un numero sempre mag-
Nord Uganda.
Donne impiegate nella
ripulitura dei chicchi di riso.
Sotto, distribuzione
di aiuti alimentari
nei campi di sfollati.
segue dalla prima
fame globale, cibo locale
mercato e, in base alle elementari
leggi economiche, ad aumentarne
il prezzo di vendita.
La sicurezza alimentare, inoltre,
può essere minacciata da altri
fattori, umani o naturali: guerre e
conseguenti sfollamenti di massa,
siccità o alluvioni. Ogni situazione
di “insicurezza alimentare” deve
quindi essere affrontata in modo
diverso, tenendo conto delle specificità locali. In alcuni casi non
è una scarsa produzione di cibo a
causare la fame, bensì l’impossibilità di trasportarlo, di venderlo
o acquistarlo nei mercati locali.
In questi caso la soluzione può
essere, ad esempio, la costruzione di strade o infrastrutture: una
soluzione che, almeno apparentemente, non sembrerebbe legata al
problema della crisi alimentare. È
questo il caso dei progetti Cesvi
in Laos, in cui il miglioramento
della viabilità secondaria - tra villaggi nelle zone rurali - va di pari
passo con il miglioramento delle
tecniche di coltivazione, basate
sull’inserimento di sistemi di micro-irrigazione e di terrazzamento
del terreno.
Lo staff Cesvi sviluppa il proprio
intervento in modo diverso per
intervenire in modo appropriato
nei differenti contesti. L’ex-Birmania, ora Myanmar, ad esempio, rappresenta una realtà molto
complessa dal punto di vista alimentare. Come spiega Paolo Felice, responsabile dei progetti Cesvi
in Myanmar: «Innanzitutto c’è un
problema di diversificazione delle
colture, che sono troppo dipendenti dalla coltivazione del riso;
questo significa che, nelle annate
di scarso raccolto, la popolazione
non ha alternative a disposizione
per la propria alimentazione.
In Myanmar c’è
un problema di
diversificazione
delle colture, troppo
dipendenti dal riso.
La prevalenza del riso ha anche il
difetto di rendere l’alimentazione
piuttosto povera e poco varia, con
le conseguenti malattie legate alla
malnutrizione». Ma non è l’unico
problema: molte famiglie di contadini non possiedono un terreno
da coltivare e sono costretti a lavorare i terreni altrui, ricevendo
un salario misero. Spesso il piccolo terreno di proprietà non consente di raccogliere una quantità
sufficiente di prodotti e così li
costringe a comprare il resto degli
alimenti sul mercato, spendendo
tutto il proprio reddito.
Per affrontare questi problemi il
progetto di “sicurezza alimentare” avviato dal Cesvi in questa
regione mira ad aumentare la diversificazione delle colture e ad
introdurre la coltivazione degli
orti familiari. «L’orto - prosegue
Paolo Felice - permette alle famiglie di integrare la propria dieta
con ortaggi di stagione, prodotti
in proprio, senza dover ricorrere
all’acquisto sul mercato».
Un altro intervento del Cesvi riguarda l’introduzione di conserve
alimentari nella dieta, sia per il
consumo familiare sia per la vendita sul mercato locale. In questo
modo i prodotti agricoli possono
essere sfruttati al meglio e consumati durante tutto l’anno, sopperendo alla mancanza di prodotti
freschi in caso di scarso raccolto.
Un altro fronte importante è quello dell’educazione alimentare. Attraverso dimostrazioni pratiche le
donne apprendono come sfruttare
al massimo i prodotti che hanno
a disposizione per alimentare correttamente i propri figli.
Cesvi è presente con progetti di
sicurezza alimentare in molti altri Paesi. Tra questi vi è la regione della Karamoja, in Uganda. Si
tratta dell’unica regione del Paese
ad avere una sola stagione delle
Distretto di Kati
(Mali). Agata Romeo,
coordinatrice Cesvi,
osserva una delle
45 piattaforme per
l’essicazione delle noci
di karité.
segue dalla prima
Mali: le donne del karité
Italia nella vendita a domicilio di
prodotti e cosmetici naturali, è previsto un investimento di quarantamila euro. L’arretratezza dei mezzi e
delle tecnologie oggi utilizzate dalle
donne del Mali non permette di ottimizzare, anche economicamente,
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la lavorazione delle noci di karité:
l’estrazione della farina e del burro
avviene ancora con sistemi rudimentali e faticosi.
Il progetto, che avrà la durata di
un anno, prevede la realizzazione
di percorsi di formazione professionale, la costruzione di un magazzi-
no centrale e di 45 piattaforme di
essicazione, oltre alla fornitura di
attrezzature per la lavorazione, la
tostatura e la tritatura delle noci di
karité e la conservazione del burro.
«L’intervento - spiega Fabio Ammar, rappresentante Cesvi in Mali
- vuole dare una spinta alla crescita
economica e sociale delle donne
coinvolte: per loro è importante
avere un lavoro autonomo e in grado di renderle protagoniste di un
percorso verso una loro affermazione di donne come imprenditrici».
Si tratta, prosegue Ammar, di «otti-
piogge e, di conseguenza, un solo
raccolto l’anno. Già questo fattore, di per sé, basterebbe ad ostacolare la produzione agricola, ma
non basta: negli ultimi due anni
la natura è stata particolarmente inclemente con questa regione, che nel 2006 è stata colpita
da una stagione di siccità e nel
2007 da inondazioni. A ciò si aggiunge un problema di sicurezza,
causato dagli attacchi da parte di
gruppi armati, con annessi furti
di bestiame e distruzione dei raccolti. Negli ultimi anni il livello
di sicurezza è migliorato e le incursioni armate si sono diradate.
Questo ha permesso di intervenire con un progetto di diffusione
della coltivazione della “cassava”
- altrove conosciuta come manioca o come yucca. Adama Sanné,
responsabile Cesvi per il progetto
di food security nella regione del
Karamoja, racconta: «Ci siamo
appoggiati a gruppi di contadini già organizzati, a cui forniamo delle talee (rami con radici)
di cassava, pronte da piantare.
Questa pianta è molto resistente
mizzare la produzione e la commercializzazione del burro di karité. È
un progetto costruito sul territorio
e che mira a coinvolgere e responsabilizzare le persone alle quali si
rivolge. Anche l’azienda Just Italia
si è mossa nell’ottica della responsabilità sociale d’impresa».
Fabio Ammar, in Mali da tre anni,
è impegnato anche in un progetto
per la valorizzazione delle risorse
pastorali del Paese africano.
Agata Romeo, responsabile del
progetto Cesvi “Donne del karité”,
ricorda che «il progetto è partito
anche grazie alla determinazione
Un progetto
importante per la
crescita economica
e sociale
delle donne.
e, una volta piantata, sopravvive
per anni, anche nelle imprevedibili condizioni climatiche di
questa regione. È una pianta autoctona, che la popolazione conosce da sempre e che è presente
nella dieta quotidiana di tutte le
famiglie. La sua coltivazione era
diminuita proprio a causa delle
condizioni di insicurezza che portavano la popolazione ad avere
paura di coltivare le terre lontane dai centri abitati.
In Nord Uganda
Cesvi punta a
diffondere la
coltivazione della
“cassava”.
Nel secondo anno di progetto i
contadini che hanno ricevuto una
talea, ormai diventata una pianta,
ne restituiscono un ramo, che diventa una nuova talea e va a ricostituire la fornitura da distribuire
ad altri contadini. L’obiettivo è
arrivare in tre anni a un numero
di talee tale da poterle distribuire
ai contadini e riuscire a vendere le
eccedenze sul mercato, generando
un piccolo reddito per i contadini
stessi e diffondendo la coltivazione della cassava».
La crisi alimentare ci riguarda tutti,
e a volte la soluzione di un problema globale inizia da un tubero, da
un orto o da una strada locale.
delle donne che producono il karité. Loro stesse mi hanno indicato
la sfida: migliorare la qualità del
burro e venderlo in modo da poter sostenere la propria famiglia.
Un progetto che mira, pertanto,
a dare un reddito alle donne». E
questo, aggiunge, «è una specie di
rivoluzione se si pensa al ruolo in
cui sono confinate le donne all’interno di questa cultura».
Il progetto ha già consentito la
realizzazione dei vari percorsi di
formazione professionale e delle
piattaforme di essicazione; è in appalto la creazione del magazzino.
È, inoltre, stata costituita una confederazione tra i vari nuclei di donne che nei vari villaggi, sparsi su
un’area di oltre trenta chilometri,
sono impegnate nella lavorazione
del burro di karité: un modo per
consentire loro di “fare squadra”,
di sentirsi unite e più autonome
nella gestione del loro lavoro.
* tratto da L’Eco di Bergamo
del 25/9/08
focus AIDS
Zimbabwe
allo stremo
di Daniela Morandi*
foto di Giovanni Diffidenti
«I
t’s very sick»: è molto malato. Con questa espressione, in
Zimbabwe, la gente indica chi è malato di Aids, tabù quasi
innominabile per scaramanzia. Ma la frase usata per la
“maledizione” che incombe su circa il 35-40% della popolazione del
Paese, colpendo soprattutto chi è nella fascia di età compresa tra i 20
e i 40 anni, potrebbe descrivere anche la situazione attuale di questa
terra: oggi scarna, debole, malnutrita, incerta sul futuro politico e
socio-economico, fino a dieci anni fa Paese sicuro, stabile, con un
buon tasso di scolarizzazione e personale medico qualificato.
In attesa della tempesta
Su quello che era il granaio d’Africa, oggi
incombe lo scheletro della fame per la pesante crisi economica: «Circa l’80% della
popolazione riceve aiuti alimentari. Prima
della riforma agraria del 2000 si produceva
ed esportava grano, tabacco e cotone, in
cambio di valuta estera. Oggi i pagamenti
sono solo in dollari locali e c’è chi specula su cambio illegale di valuta e mercato
nero. L’80% della popolazione è disoccupata. Chi ha un posto di lavoro è in uffici statali, fabbriche o negozi, non sa per
quanto, dopo due ore potrebbe rimanere
per strada. La classe media, legata ad
attività artigianali e commerciali, è ridotta
all’osso. La gente non può pianificare il futuro. La vita scorre nell’incertezza e nella
precarietà costante. Una sorta di quiete
in attesa della tempesta». A descrivere il
volto umano dello Zimbabwe è il dottor
Marco Cernuschi. Medico specializzato
in chirurgia generale e vascolare, da quasi
trent’anni lavora per organizzazioni internazionali e Ong italiane, spostandosi nel
Sud del mondo. Alle spalle esperienze in
Rwanda, Tunisia, Sri Lanka, Eritrea, Afghanistan, Sudafrica e Zimbabwe appunto. In
questo Paese ha messo radici con la famiglia dal 1991. Medico chirurgo per il Queen Mary Hospital di Kadoma, consulente
chirurgo per sette ospedali del Mashonaland West a Nord del Paese, responsabile
dell’attività clinica e della formazione post-
universitaria nel dipartimento di chirurgia
dell’Università di Harare, da gennaio 2008
è responsabile per il Cesvi del sostegno al
sistema sanitario distrettuale nei distretti di
Bindura e Mazowe.
La lotta all’Aids
Progetto triennale, inserito nel programma
sanitario e sociale “Fermiamo l’Aids sul
nascere” - avviato in Zimbabwe dal Cesvi
nel 2001 ed esteso in altri Paesi africani
per ridurre la trasmissione del virus dalle
mamme sieropositive ai neonati con terapia antiretrovirale - è di supporto sia clinico agli ospedali rurali sia di formazione
al personale paramedico. Iniziato a fine
agosto del 2007, si rivolge a circa 40 centri rurali di Bindura e Mazowe, nel Mashonaland Central, per un totale di 250 mila
abitanti beneficiari. L’obiettivo è garantire il
servizio sanitario minimo alla popolazione,
educare alla prevenzione contro l’Aids e
attuare corsi di formazione per il personale
paramedico locale. «Negli ospedali rurali racconta Cernuschi - mancano medicinali,
attrezzature adeguate e personale medico qualificato». Su richiesta del governo
il progetto attiverà corsi di formazione gestiti da operatori sociali locali e riguardanti
prevenzione della trasmissione maternoinfantile dell’Aids; gestione delle scorte di
farmaci; vaccinazioni. La fuga dei cervelli,
in ambito sanitario e scolastico, è dovuta
alla crisi economica, causata dalla riforma
agraria. «Ridistribuire le terre era necessario, ma è stato mal gestito. Lo scenario
si è aggravato»: proprietari terrieri bianchi
espropriati delle proprie aziende agricole,
a casa circa 200 famiglie di braccianti. Le
terre prima produttive e controllate per il
90% dalla minoranza bianca ora sono ridistribuite secondo criteri clientelari o addirittura incolte. Conseguenza: bocche affamate, mani di bambini tese agli angoli delle
strade per chiedere l’elemosina, aumento
della delinquenza nei centri urbani, donne
che si prostituiscono. Camionisti e soldati
malati di Aids.
I rapporti sessuali sono la principale causa
di contrazione del virus dell’Hiv. Madri contagiate partoriscono figli infetti. Giovani orfani dell’Aids soli o affidati ai nonni, costretti
a lavorare per mantenere i nipoti. Per sgravare questo squilibrio sociale è stata aperta
dal Cesvi, in coordinamento con due Ong
locali, la Casa del Sorriso di Harare. Centro
diurno, accoglie orfani e ragazzi di strada.
Aids, fame, disoccupazione: è la spirale
dannata di una situazione sociale squili-
Zimbabwe. Lo spettro
dell’Aids incombe sul 35-40%
della popolazione del Paese,
colpendo soprattutto i giovani
tra i 20 e i 40 anni. Un’intera
generazione è a rischio,
mentre il numero di orfani
dell’Aids aumenta.
ZIMBABWE
brata e deteriorata per la mala gestione di
un Paese dalle alte potenzialità per infrastrutture, risorse, turismo. «Per alleviare la
situazione bisogna investire sulle teste della
gente più che in strutture». Cernuschi non
si sostituisce ai medici locali, ma li affianca
negli interventi istruendoli, «così da renderli
autonomi il prima possibile».
Per il progetto sanitario gestito dal Cesvi
insieme ai partner locali come l’ospedale
Saint Albert, nelle zone rurali l’infermiera
italiana Carolina Gurdian affianca il personale paramedico nella cura di malattie,
come malaria, dissenteria, influenza, polmonite, nelle vaccinazioni stabilite dal governo, nei reparti di maternità e lo istruisce
in prevenzione ed educazione sanitaria
contro l’Aids. Negli ospedali di distretto,
invece, il dottor Cernuschi esegue insieme ai medici locali interventi ortopedici,
ginecologici, ernie, appendiciti: «In Africa
ho imparato a riciclarmi. Devi adattarti e
ingegnarti a svolgere di tutto con strumenti
non appropriati. Se l’operazione è urgente
e non c’è nessuno oltre a te, non hai alternativa. Si salta il fosso». Ciò che appartiene alla storia della medicina e ai libri universitari, in Africa diventa realtà. Cernuschi
ricorda l’intervento ad un bambino di dieci
anni per occlusione intestinale «dovuta a
vermi e parassiti, malnutrizione e carenza
di igiene. Si parla dell’Africa Africa, quella
abbandonata tra terra battuta e capanne
di paglia».
* tratto da L’Eco di Bergamo
cooperando 113 - OTTOBRE 2008
3
focus AIDS
Baraccopoli di philippi. Il cartello
alle spalle della donna indica i servizi
offerti dal Cesvi e dal partner locale
Sizakuyenza: test gratuito di Aids
e tBC, consulenza psicologica
e informazioni sulle malattie
sessualmente trasmesse.
SUDAFRICA
schi si moltiplicano in modo esponenziale.
Violenze che si consumano fuori e dentro
il nucleo familiare, spesso nei confronti di
figlie piccolissime.
Mi colpisce Thembeka. Le operatrici entrano nella sua baracca di legno e lamiera e le
parlano del test. Avrà circa 20 anni. Su una
delle pareti ricoperte con pezzi di cartone è
dipinto il nastro rosso, che qualcuno ha scarabocchiato con una matita. Seduta sul letto
legge quel volantino rosa senza dire una parola. Ogni tanto alza gli occhi e il suo sguardo
trabocca di disperazione e consapevolezza.
Il nastro rosso
di cristina francesconi
i
l nastro rosso, simbolo della lotta all’Aids,
campeggia un po’ ovunque a Cape Town.
Lo si vede sui manifesti in strada, dipinto sui
muri, in gadget di perline venduti nei mercati,
sulle magliette, sui cappellini e riprodotto in
monumenti di diversa grandezza e materiali. Si percepisce da subito quanto l’Aids sia
una presenza gigantesca nel Paese.
Il Sudafrica è infatti uno degli stati più colpiti al mondo.
Ma quando inizio a chiedere in giro informazioni e rassicurazioni sulla lotta al virus
mi trovo proiettata in un mondo surreale e
contraddittorio. Migliaia di orfani sono sotto gli occhi di tutti, molti li vedi per strada,
soli, che provano a sopravvivere di espedienti. I più fortunati sono ospitati in centri
di accoglienza o da parenti. Il 30% della
popolazione è sieropositivo con conseguenze disastrose sull’economia del Pae-
se, oltre alla catastrofe generazionale.
Eppure mi raccontano che l’ex vicepresidente sudafricano Jacob Zuma ha affermato, dopo aver avuto rapporti sessuali con
una donna sieropositiva, di aver scongiurato il rischio di contrarre il virus facendo
immediatamente una doccia. O che il ministro della Sanità consiglia una buona dieta
a base di aglio, limone e patate “africane”
al posto di vaccini e cure anti-retrovirali.
Con il passare dei giorni mi accorgo che del
nastro rosso simbolo della lotta all’Aids non
si conosce affatto il reale significato. In molti
casi è solo un simbolo alla moda… La malattia è sottovalutata da tutte le fasce sociali
ma lo è ancor di più nelle township, dove
spesso la si nega e la si nasconde e dove
resiste ancora quella medicina tradizionale
che spesso promette miracoli. Si ignora la
pericolosità di questa pandemia.
Aids & Africa
Accompagno le operatrici Cesvi nelle
township. Ogni settimana si spostano in
differenti aree della città allestendo ambulatori mobili in zone sempre molto discrete
e poco visibili.
Un lavoro non facile, a volte rischioso per
queste donne che vanno in giro ad informare. Di fronte ai profilattici, distribuiti gratuitamente, i ragazzi ridono e dicono di non
averne bisogno.
Distribuiscono volantini che parlano chiaro dei rischi legati alla malattia e delle cure
possibili e invitano le persone a fare i test
gratuiti negli ambulatori mobili. Gli uomini
spesso le deridono facendo commenti volgari e gettando a terra i volantini con disprezzo.
Le donne sono più consapevoli, sono le
uniche che prestano attenzione a quelle
parole scritte nel dialetto xhosa per facilitare la comprensione.
Molte sono impaurite da mariti violenti e
alcolizzati che di quel test non vogliono
neppure sentir parlare. Le violenze sessuali
sono così diffuse nelle township che i ri-
e
sistono e sono sempre esistiti,
nell’esperienza professionale di ogni
medico, situazioni, malattie e problemi
di
marco cernuschi* sanitari che sono considerati un tabù, tanto che anche il solo nome suscita paura.
Ai giorni nostri la peste non esiste più, ma
nuovi spettri si presentano sotto diversi
nomi, nomi che ancora oggi abbiamo paura di pronunciare; nel mondo occidentale si
parla di mali inguaribili e di gravi malattie;
in Africa la semplice frase “è molto malato” nasconde quello che non è nemmeno
più un nome, solo una sigla (Hiv/Aids), che
però tutti conoscono e temono.
Pur essendo diffuso in tutto il mondo,
l’Aids è la malattia africana per eccellenza.
Qui, nella fascia Congo-Rwanda-Uganda,
sono stati registrati i primi casi all’inizio
degli anni ’80; in quel periodo lavoravo in
Zimbabwe, ospedale di Bindura.
Il dott. Marco Cernuschi tiene un
corso di formazione allo staff locale.
“per alleviare la situazione bisogna
investire sulle teste della gente più
che in strutture”, spiega Cernuschi.
4
COOPERANDO 113 - OTTOBRE 2008
L’Aids è una malattia
sottovalutata da tutte
le fasce sociali in Sudafrica,
specialmente nelle township,
dove viene
negata e nascosta.
«Mio marito mi caccerà se farò quel test»,
dice con tono basso. Le operatrici la invitano a seguirle senza paura e assicurano che
tutto rimarrà nell’anonimato.
Thembeka scuote la testa e rimane seduta
sul letto con lo sguardo basso mentre ci allontaniamo. Saprò poi che suo padre e sua
sorella sono morti da pochi mesi, forse di
Aids. Suo padre abusava di loro. Passano
diverse ore. Le operatrici stanno smontando l’ambulatorio che domani si trasferirà
in un’altra township, quando arriva Thembeka con sua nipote di circa 11 anni.
«Vogliamo fare il test», dice.
Il più bel finale di giornata che potessi
aspettarmi. Qualunque sia il risultato di
quel test, Thembeka ora conosce il significato di quel nastro rosso e sa che può
significare la parola “vita”. Con un gesto
semplice l’ha regalata a sua nipote.
un piccolo ospedale del Rwanda, e ricordo il mio terribile senso di impotenza e di
frustrazione ogni volta che si presentavano
pazienti con infezioni, con forme aggressive di tubercolosi e con i segni di quella
“malattia misteriosa”, che portava inevitabilmente alla morte e della quale non sapevamo assolutamente nulla, nemmeno che
fosse contagiosa. Poi è venuta la scoperta
del virus, del suo meccanismo d’azione e
dei suoi effetti devastanti, e la sua storia è
diventata cronaca di tutti i giorni. E come
tutte le cronache, passato il momento di
popolarità e coinvolgimento emotivo, è
stata dimenticata.
Ma vivendo e lavorando in questa parte del
mondo, ci si rende conto di come la cronaca sia sempre viva e attuale, di come la
tragedia dell’Aids, a volte ignorata o sottovalutata in Occidente, sia qui diventata
parte dell’esistenza di tutti i giorni. Quasi
tutti sappiamo, per lo meno a grandi linee,
come agisce il virus dell’Aids: distruggendo progressivamente i meccanismi di difesa naturali dell’organismo, rende il paziente
esposto a infezioni esterne di vario tipo che
si aggravano con il progredire della malattia. E sappiamo anche le modalità di contagio e di trasmissione: tramite rapporti sessuali non protetti o, meno frequentemente,
tramite contatto accidentale con materiale
organico contaminato. Queste modalità, fa-
focus AIDS
Eroi contro l’Aids
di ludovica ghilardi
f
rancois è stato per otto anni direttore del
PNLS (Programma Nazionale di Lotta
all’Aids) della provincia del Bas Congo,
dove il Cesvi ha operato e continua ad operare. Mariam, medico come Francois, è una
nostra amica e collaboratrice.
Ora entrambi lavorano al centro di cura delle
infezioni sessualmente trasmissibili di Victoire, a Matonge. Place Victoire, a Kinshasa,
è il centro dell’“ambiance”, ovvero dei locali
e delle discoteche dove i giovani trascorrono le serate e le notti e le prostitute esercitano il loro mestiere. Si ritiene che il tasso
di prevalenza del virus Hiv nella Repubblica
Democratica del Congo sia del 5%, ma sia i
medici locali sia i medici italiani sostengono
che il tasso sia sottostimato.
Purtroppo in un contesto di questo tipo dove le strutture dello Stato sono pratica-
CONGO
mente assenti - non è possibile immaginare un sistema di raccolta dei dati sull’Hiv.
All’interno del Paese, specialmente nelle
zone rurali, i fattori di diffusione del virus
sono molteplici: povertà e miseria, conflitti,
poligamia non regolamentata, promiscuità,
precocità dei rapporti sessuali, mancanza
di educazione e scolarizzazione, carenza di
informazione e sensibilizzazione.
«Ero di ritorno da una visita nella provincia
dell’Equatore - racconta Francois - e ho notato l’elevato numero di parti cesari praticati
a bambine di 11-12 anni che hanno subìto
violenze. Se le bambine rimangono incinte a
quell’età significa che iniziano l’attività sessuale a 8-9 anni, “iniziate” da uomini adulti.
È un fenomeno molto grave e diffuso».
Per questo è importante cominciare la sensibilizzazione già nella scuola primaria. Inserire certi temi nei programmi scolastici, ad
esempio, potrebbe permettere di raggiun-
gere una buona parte dei minori del Paese.
La metodologia deve essere differente in
base al contesto: nelle zone urbane si può
realizzare una sensibilizzazione di massa,
mentre lo stesso approccio nelle zone rurali non sarebbe efficace. Qui è necessario,
piuttosto, lavorare a livello individuale, in
maniera regolare.
«A Kinshasa - aggiunge Francois - il 70%
della popolazione ha sentito parlare di Hiv
grazie al lavoro delle Ong locali e internazionali, alle campagne pubblicitarie (cartelloni,
tv, radio), alle marce e testimonianze di persone sieropositive e all’informazione, che,
per quanto limitata, circola nella capitale». I
giovani dai 20 anni in su sono più consapevoli e si proteggono maggiormente, grazie
anche al fatto che in città i preservativi sono
reperibili a prezzi accessibili. I soggetti più
vulnerabili rimangono le ragazze giovanissime, che hanno rapporti con uomini adulti e che non hanno la forza di “negoziare”
l’uso del preservativo perché si vergognano,
pensano di essere giudicate o temono che il
partner non abbia fiducia in loro.
dalla realtà affermando che nella fascia
compresa tra i 18 e i 45 anni la percentuale
di sieropositivi raggiunga il 40-45%. Il risultato è che viene a mancare la generazione
adulta, la più produttiva, creando così non
soltanto una difficoltà economica, ma anche uno squilibrio sociale.
In Africa la semplice frase
“è molto malato” nasconde
quello che non è nemmeno
più un nome, ma solo una
sigla: Hiv/Aids.
cilmente evitabili con una semplice prevenzione, trovano in Africa e in altri Paesi un
terreno di coltura particolarmente recettivo,
facilitato dalle due “malattie” endemiche
più diffuse: l’ignoranza e la povertà. Per
capire quanto l’ignoranza sia determinante
nella diffusione dell’Aids, è forse sufficiente un esempio: mi è spesso capitato di incontrare giovani ragazze, provenienti dalle
zone più povere, che non sapevano nemmeno che un rapporto sessuale può portare a una gravidanza. Ma se molte persone
non sanno da cosa può essere provocata
una gravidanza (che si vede), come possiamo pensare che sappiano come si contrae,
si trasmette o si può prevenire l’Aids (che
non si vede) senza un’adeguata educazione? A ciò si aggiunge la povertà: povertà
che vuol dire lotta per la sopravvivenza,
vulnerabilità, aumento della prostituzione,
sfruttamento, perdita di dignità della donna. Non è sempre facile avere cifre affidabili sulla diffusione della malattia, specialmente in Africa dove molti governi tendono
a sottostimare i dati in loro possesso. Non
penso comunque di essere molto lontano
In questo quadro drammatico, la ricerca
medica è impegnata da anni per trovare
una soluzione il più possibile radicale al
problema; sono stati fatti notevoli progressi, basti pensare all’introduzione dei farmaci anti-retrovirali che, pur non portando alla
guarigione, fermano o quanto meno rallentano il progredire della malattia. Inoltre, si
sta lavorando alla produzione di un vaccino
che, anche se ancora lontano, rappresenta
l’obiettivo ultimo per la sconfitta dell’Aids.
Ma l’impatto di questi pur apprezzabili pro-
Il 20% delle persone che si recano al centro
di Matonge ha contratto il virus. «La reazione al consultorio, quando qualcuno scopre
di essere sieropositivo, non è più tremenda
come una volta - dice Francois - Un tempo
le persone pensavano di essere già morte,
adesso invece sanno che se seguono la terapia antiretrovirale possono vivere ancora
a lungo». La campagna di sensibilizzazione
e le testimonianze di gruppi di sieropositivi
hanno reso possibile questa evoluzione.
L’esistenza dei gruppi di cosiddetti PVV
(persone che vivono con il virus) è davvero fondamentale. Ci sono donne che fanno
parte dell’associazione di PVV Elikia, creata
dal Cesvi nel 2003, che - benché scacciate
dalla famiglia in quanto sieropositive - hanno saputo reagire. Antò, ad esempio, vende
dolci ai ristoranti e condivide la casa con
un’altra ragazza sieropositiva. Realizzare attività generatrici di reddito (Elikia possiede
un terreno in cui si coltivano manioca, mais,
pomodori, patata dolce e un allevamento di
maiali), formare un gruppo e ricevere piccoli
finanziamenti sono attività che consentono
di migliorare di gran lunga la vita e lo stato di
salute delle persone sieropositive o malate
di Aids.
Mariam è la responsabile della sezione del
centro di Matonge che si rivolge alle prostitute. «A Kinshasa - spiega Mariam - il tasso
di prostituzione tra le ragazze giovani, dai 14
ai 22 anni, è del 60%».
Il centro fornisce i servizi sanitari per le infezioni sessualmente trasmissibili, per i malati
di Aids attraverso fornitura di anti-retrovirali
e per le infezioni opportunistiche. Inoltre vengono trattati casi di violenza sessuale e si
svolgono attività di sensibilizzazione sul territorio e di consulenza psico-sociale. La sensibilizzazione viene realizzata nelle discoteche, negli hotel, nelle case d’accoglienza, in
strada e nei ristoranti. Lo staff Cesvi prende
contatto con la responsabile della struttura
dove le ragazze lavorano o con i proprietari
dei locali (spesso donne anziane che “inquadrano” le più giovani), e spinge perché tutte
le ragazze abbiano accesso al centro di Matonge. Il centro ha una sala d’accoglienza e
la mattina, dalle otto alle nove, si tengono
sessioni di discussione sull’Aids, sulle modalità di trasmissione e di prevenzione.
«Ormai siamo come una famiglia - racconta Mariam - Le ragazze devono venire ogni
mese per il controllo e la maggior parte viene, perché ha capito che è un’opportunità
importante». È un risultato positivo, anche
se sconcerta sapere che si tratta dell’unico
centro, in tutta la Repubblica Democratica
del Congo, a svolgere questo tipo di lavoro.
gressi sulla popolazione dell’Africa e in genere dei Paesi più poveri è ancora purtroppo modesto: i farmaci anti-retrovirali, unica
arma efficace attualmente in nostro possesso, sono difficili da trovare, molto costosi
e, in definitiva, al di fuori della portata della
maggioranza di chi li necessita. E quindi il
cerchio si chiude, tornando alle due grandi
malattie, povertà e ignoranza. In attesa di
una soluzione radicale, ancora lontana, questi sono i settori in cui possiamo e dobbiamo
intervenire. Dobbiamo cercare di limitare i
danni con un’opera di educazione e di prevenzione efficace, seria e, soprattutto, studiata su misura per le popolazioni a cui è diretta. I programmi di formazione per evitare
la trasmissione materno-infantile del virus, la
prevenzione e la cura delle infezioni associate, la diffusione di test diagnostici semplici
e alla portata dei centri sanitari anche isolati sono alcune delle attività possibili e già
attuate dal Cesvi in Zimbabwe con risultati
incoraggianti. Gocce d’acqua in un oceano?
Forse, ma senz’altro un punto di partenza
e di esempio da seguire in altri programmi,
in altri Paesi, in attesa di una soluzione più
radicale. L’Aids, non dimentichiamolo, coinvolge tutti noi come persone, impegnate ad
agire con coscienza per combattere povertà
e ignoranza e per assicurare a tutti, vicini e
lontani, condizioni di vita più dignitose.
* Medico Cesvi in Zimbabwe
COOPERANDO 113 - OTTOBRE 2008
5
focus AIDS
Alan, 6 anni, figlio di madre
sieropositiva, sorride alla vita.
Cesvi è impegnato nel Nord
dell’Uganda dal 2002: qui la
diffusione dell’Aids si somma
al dramma della guerra che ha
costretto due milioni di persone a
rifugiarsi in campi di sfollati.
UGANDA
Il “caso”
Uganda
aura Kaddu è la dottoressa che da due
anni lavora come responsabile sanitaria dei
progetti Cesvi di lotta all’Aids in Uganda.
«Il primo caso di Hiv in Uganda - spiega
Laura - fu identificato lungo le coste del
lago Vittoria nel 1982. Il virus si diffuse
velocemente in tutta la nazione, in un primo momento soprattutto in aree urbane
e semi-urbane. Alla fine del 1992 la percentuale nazionale raggiunse il 18,3% arrivando anche al 30% in alcune regioni del
Paese».
C’è poi stato un notevole miglioramento
a partire dalla metà degli anni ’90 fino al
2000, quando la percentuale di persone
sieropositive è scesa al 6%, la percentuale attuale. La ragione di questo successo
è stata attribuita principalmente alla strategia comunicativa dell’ABC: astinenza
(abstinence), fedeltà (be faithfull) e uso del
preservativo (condom).
Tuttora l’Uganda è considerata da UNAIDS
e da altre organizzazioni internazionali
come uno dei primi e più convincenti successi nazionali di lotta contro l’Hiv/Aids.
«Tuttavia - puntualizza la dottoressa Kaddu
- una buona parte dell’Uganda non condivide questo successo». La guerra in Nord
Uganda, infatti, ha costretto quasi 2 milioni
di persone a rifugiarsi in campi di sfollati
interni. Tutto ciò ha comportato la rottura
delle norme sociali e comportamentali oltre
che la quasi totale distruzione del sistema
FOTO GIOVANNI DIFFIDENTI
l
6
COOPERANDO 113 - OTTOBRE 2008
di adama Sanné
foto di cristina francesconi
sanitario tradizionale. Non è difficile capire
che in tali condizioni la lotta contro l’Aids si
è complicata notevolmente.
«Il Cesvi - spiega ancora la dottoressa Kaddu - ha iniziato a lavorare in Nord
Uganda nel 2002 nei distretti di Oyam e
Pader. Le attività sono tutte in linea con
le strategie ministeriali. Nello specifico
i progetti includono servizi di supporto
psicosociale e test gratuito, con particolare attenzione alle donne incinte in modo
da prevenire la trasmissione del virus da
madre a figlio. Sono state svolte, inoltre,
diverse campagne di sensibilizzazione attraverso programmi radio, spettacoli teatrali e video-show oltre alla promozione e
distribuzione di preservativi».
Il Cesvi da sempre lavora a stretto contatto con le associazioni locali attive nel
campo dell’Hiv/Aids. Mediante il rafforzamento di queste organizzazioni viene garantita maggiore efficacia e continuità alle
attività di sensibilizzazione e prevenzione
nelle aree interessate.
«Ci sono ancora tante sfide da vincere
nella lotta contro l’Aids - aggiunge Laura Una sfida che reputo fondamentale riguarda il superamento dello stigma».
Un’ampia percentuale delle comunità,
rurali e non, ha molti pregiudizi verso la
malattia a causa di ignoranza e false credenze. Come conseguenza, molti membri
della comunità sono mal disposti a te-
starsi volontariamente e chi sa di essere
affetto dal virus non vuole essere visto
con gli Home Base Care (i kit di materiali
che Cesvi distribuisce a chi risulta positivo al test, utili tra l’altro per diminuire la
possibilità di contrarre la malaria, malattia
spesso fatale se si vive in una situazione
di sieropositività). Troppo forte è la paura
di essere discriminati o addirittura banditi
dalla comunità di appartenenza.
Una sfida fondamentale
nella lotta all’Aids
riguarda il superamento
dello stigma.
Un’altra sfida fondamentale è quella della
disuguaglianza di genere, soprattutto nelle aree rurali del Paese. Le donne sono più
colpite dal virus a causa della sudditanza
psicologica e culturale nei confronti degli
uomini: hanno infatti un potere decisionale
molto limitato riguardo la scelta di avere
un rapporto protetto o meno e sono spesso vittime di violenza.
Per superare lo stigma, il Cesvi promuove
campagne di sensibilizzazione e informazione, illustrando le modalità di trasmissione del virus ed enfatizzando l’importanza di partecipare alle attività di supporto
psicologico e, nel caso di pazienti infetti,
di assumere gli anti-retrovirali.
Per valorizzare il ruolo femminile, lo staff
del Cesvi incoraggia le associazioni locali
con le quali lavora ad avere donne in ruolichiave all’interno della struttura. Inoltre
organizza incontri nelle scuole e forma gli
insegnati perché costruiscano un dialogo
aperto con gli studenti parlando, ad esempio, dei pericoli del sesso non protetto.
Cesvi è presente da circa 5 anni anche
nel distretto di Pader, dove si occupa di
un progetto che ha l’obiettivo di migliorare
la vita delle persone sieropositive e delle
vittime di violenze sessuali.
In futuro il Cesvi intende continuare a rafforzare la formazione delle organizzazioni
locali per garantire sostenibilità e continuità ai progetti, puntando sul miglioramento
delle condizioni di vita delle persone affette dal virus, combattendo lo stigma e
focalizzandosi sul supporto nutrizionale,
economico e sanitario.
Cesvi, inoltre, ha allargato il proprio intervento ad una nuova area geografica, la
Karamoja, che è oggi la regione più povera e problematica di tutta l’Uganda, dove
sarà avviato a breve un intervento per la
prevenzione della trasmissione madrefiglio del virus.
«Sono molto ottimista - dice Laura - perché la situazione generale sta migliorando. Grazie all’esperienza sul campo, abbiamo affinato le tecniche di prevenzione
e sensibilizzazione nelle aree rurali e siamo sempre più preparati nell’affrontare
le difficoltà causate dall’incontro con le
culture tradizionali». Nel frattempo anche
il governo locale sta aumentando gli sforzi
nella lotta contro l’Aids. Negli ultimi due
anni le autorità ugandesi hanno introdotto l’educazione sessuale nelle scuole e
hanno cercato di aumentare l’accessibilità
agli anti-retrovirali disponibili gratuitamente. Nonostante le infrastrutture non siano
ancora sufficienti, il percorso intrapreso
sembra essere positivo e in grado di portare a un sensibile miglioramento negli
anni a venire.
Un dono per Takunda, oltre la vita
Sono molte, moltissime le persone che da anni sono al nostro fianco nella lotta
all’Aids nell’Africa sub-sahariana.
Molti coloro che ci hanno permesso di dare avvio, nel 2001, alla prima
sperimentazione della terapia antiretrovirale per bloccare la trasmissione del virus
dalla madre sieropositiva al suo bambino che sta per nascere. Quelli con cui abbiamo
condiviso la gioia della nascita di Takunda: il primo bambino nato sano proprio
grazie a questo protocollo sanitario. Takunda, che in lingua shona significa “abbiamo
vinto” è diventato negli anni il simbolo dell’impegno di Cesvi contro la diffusione
del virus. Per noi e per tutte le persone che hanno scelto di combattere l’Aids con
Cesvi. Il nostro pensiero va a Luciana che, lasciando a Cesvi una parte dei suoi beni,
ha espresso il desiderio di regalare la vita a migliaia di bambini che stanno per nascere
da madre sieropositiva. Anche per Luciana, Takunda era il simbolo di questo impegno
nei confronti dei più fragili, dei più deboli del mondo. Per questo teneva la sua
fotografia sul comodino e, quando è venuta a mancare, i suoi cari hanno deciso che
la foto di Takunda l’avrebbe accompagnata nel suo ultimo viaggio. Grazie Luciana, a
nome di tutti i bambini e le mamme che salveremo dall’Aids.
lima, perù. Cesvi ha creato
una rete di assistenza per
gli adolescenti a rischio di
sfruttamento sessuale che
vengono contattati, spesso
direttamente sulla strada,
dagli educatori.
percorrendo
la notte di Lima
D
i notte alcune vie del quartiere San Juan de Miraflores, a Lima, sono popolate
quasi quanto di giorno. Come la
luce del sole, anche quella della
luna vede il passaggio di lavoratori
e di clienti. L’auto si accosta di fronte a due ragazze di strada, che parlano fitto fitto tra loro. Questa volta,
però, a scendere non è un cliente,
bensì un uomo con una donna. E
non si tratta di una coppia in cerca
di emozioni forti: sono uno psicologo e un’assistente sociale, che ogni
mese passano a trovare le ragazze.
Così condividono la preoccupazione per una amica che da un po’ di
notti non è al solito posto, l’ansia
per i debiti contratti per pagare il
nipotino gravemente malato, la
stanchezza e la fatica dei mille problemi quotidiani. Ma anche le risa-
te e la vitalità che, in modo apparentemente incredibile, esprimono
queste giovani donne.
Il fenomeno dello
sfruttamento della
prostituzione
minorile a Lima
sta aumentando in
maniera allarmante.
Arrivano a mani vuote Luis e Diana. Non perché non abbiano nulla
da dare, ma perché ciò che portano
alle ragazze non è materiale. All’inizio le ragazze non lo capiscono, abituate come sono ad essere trattate
e valutate esattamente come una
merce. A vedere la dimostrazio-
di Elena Acerbi
foto di Raffaele Gallo
ne quotidiana di come tutto sia in
vendita e tutto abbia più valore
della propria dignità. Luis e Diana, invece, non portano nulla né
chiedono nulla in cambio. Almeno
apparentemente. Accolgono i racconti delle ragazze, e raccontano a
loro volta le attività quotidiane della Casa del Sorriso del Cesvi, dove
qualsiasi bimbo del quartiere può
trovare uno spazio per giocare e per
fare i compiti, seguito da assistenti
sociali ed educatrici. Dove le ragazze, quasi tutte mamme fin da giovanissime, possono parlare con psicologi che le aiutino ad affrontare i
grandi problemi quotidiani. Quasi
mai da queste parti i problemi sono
davvero piccoli. Le ragazze sanno
che, quando si sentiranno pronte
a lasciare la strada, avranno qualcuno su cui contare, qualcuno che
possa sostenerle in modo da non
ricaderci. Luis racconta che spesso
sono i momenti di forte crisi a dare
questa opportunità: un incidente,
la malattia di un figlio, un aborto
finito male. Queste tragedie possono essere il fondo toccato il quale le
ragazze decidono che “basta!”, è il
momento di cambiare vita.
Improvvisamente c’è un fuggi fuggi
generale e le ragazze spingono Luis e
Diana contro il muro. Sta passando
un pick-up quasi uguale a quello di
Serenazgo, la “polizia di quartiere”,
che spesso nelle sue ronde notturne
picchia le prostitute e i travestiti.
E molte altre rimangono ferite nel
tentativo di scappare o perché travolte dalla fuga delle altre persone.
Per fortuna in questo caso è solo un
falso allarme. Resta il senso di straniamento e di insicurezza causato
da chi, in teoria, dovrebbe proteggere invece di minacciare.
Conclusa la chiacchierata con le
ragazze risalgono in macchina, dove
li aspetta Emilio, l’autista di fiducia,
che resta in macchina pronto ad intervenire - o a ripartire - nel caso sia
necessario.
La tappa successiva è la casa di alcuni ragazzi. Accolgono Luis e Diana come due vecchi amici. In effetti
sono vecchie conoscenze, anche se
hanno intorno ai vent’anni. Sono
ragazzi che fino a qualche anno
prima si prostituivano. Fino a che,
grazie ad un corso di teatro all’interno della Casa del Sorriso, hanno
scoperto di avere altri talenti e altre
possibilità e hanno scritto e messo
in scena un proprio spettacolo teasegue a pag. 8
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desidero che mi indichiate un notaio amico di Cesvi nella zona di
desidero essere ricontattato al numero
7
segue dalla settima
Percorrendo la notte di lima
trale, fondando una “compagnia”
che hanno chiamato la Casa de los
Talentos. Una versione di Cenerentola (Cenicienta in spagnolo) “en travestis”, la Travesticienta, appunto. Lo
spettacolo ha permesso loro di mettere in pratica il loro talento artistico e di dare nuova dignità allo status
di “travestiti”. Ma soprattutto, come
dice Juan, attraverso il teatro sono
riusciti a mettere in scena le difficoltà quotidiane di un giovane omosessuale in una società omofobica, che
lo costringe a nascondersi e a vergognarsi dei suoi sentimenti. Loro sanno bene cosa significhi e, attraverso
la rappresentazione teatrale, raccontano ai loro coetanei come sono
riusciti ad affrontare quelle stesse
situazioni. Nessuno meglio di loro
potrebbe spiegarlo, né uno psicologo
né un’assistente sociale. Infatti Luis
e Diana lasciano parlare i ragazzi,
che ora stanno scrivendo un altro
spettacolo teatrale sulle difficoltà, le
gioie e le sfide della loro vita.
Il giro prosegue sulla strada che segna il confine tra i quartieri - grandi
quanto piccole città, come tutti i
barrios poveri di Lima - di San Juan
de Miraflores e Villa El Salvador.
Diana racconta che di solito ragazze
e ragazzi di strada si rifugiano a San
Juan, quando vedono avvicinarsi
la Serenazgo di Villa El Salvador e
a Villa quando passa la Serenazgo
di San Juan. Le caricano a forza sui
pick-up e le portano in cella. Vessate per una notte, spesso picchiate.
Solo per spaventarle, visto non possono trattenerle. Questa notte purtroppo non hanno intuito in tempo
da che parte scappare.
Julia lineamenti delicati e bellissimi, traditi solo da una voce troppo
roca, alla vista dell’auto del Cesvi si
nasconde. Più tardi a Luis e a Diana dirà che temeva fosse ancora la
Serenazgo, questa volta in borghese.
Del resto la notte era iniziata sotto
un pessimo auspicio, con la retata
di tutte le sue amiche. Poi ha pensato potesse essere un cliente; invece era solo l’inizio di una chiacchierata, senza richieste né trattative,
ma che vale molto più di qualsiasi
cliente.
I nomi dei ragazzi sono di fantasia.
Le storie, invece, quelle sono vere.
PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FATTI IN BRE13 ottobre 2008 Bergamo. Cesvi, in collaborazione con Slow
Food lombardia, mette la “carta” sul banco degli imputati in un
“processo educativo”. Il Tribunale è presieduto da Carlo Casti,
Governatore Slow Food Italia,
mentre il cancelliere è il comico
Max pisu. Per l’accusa l’Avv.
Daniela Rubino, socio Slow
Food, e per la difesa l’Avv. ettore tacchini, Presidente Ordine
degli Avvocati di Bergamo. Tra i
testimoni, Massimo Medugno,
direttore Assocarta, edoardo
Isnenghi, docente Università
della Tuscia, e egidio Marrazzi,
docente di semiotica grafica.
Giuria composta da studenti
dei corsi di grafica del patronato San Vincenzo e di enaip
lombardia.
1 ottobre Roma. Presso l’ufficio di rappresentanza della
Provincia di Bergamo, Gigi
Riva, giornalista de L’Espresso,
intervista lella Costa e Maurizio Carrara autori del libro
“Ho abbracciato il dugongo”,
dedicato alla storia del Cesvi.
Partecipa Giangi Milesi, presidente Cesvi.
18 settembre Roma. Il network link 2007, a cui il Cesvi
aderisce, promuove l’incontro “Siamo ancora in tempo?”
sugli obiettivi del millennio e
l’impegno dell’Italia. Relazione
di Stefano piziali del Cesvi.
Partecipano Vincenzo Scotti,
Sottosegretario di Stato per gli
Affari Esteri, piero Fassino, Ministro degli Esteri del Governo
Ombra, enrico pianetta, Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera, Sergio
Marelli, Presidente Associazione ONG italiane. Moderatore:
Giuliano De Risi, direttore AGI.
Conclusioni: Savino pezzotta.
16 settembre Bruxelles. Il network internazionale Alliance2015
presenta al Parlamento Europeo il
proprio Report sul raggiungimento dell’obiettivo del millennio relativo all’eliminazione della fame e
della povertà estrema. Intervengono tra gli altri Vagn Berthelsen, presidente di Alliance2015 e
Koos Richelle, direttore generale
di EuropeAid. Presente per il Cesvi Stefano piziali.
18 agosto Bihar (India). Pesanti
piogge monsoniche causano il
cedimento di una diga sul fiume
Kosi, provocando una spaventosa esondazione del fiume stesso.
Oltre due milioni gli sfollati. Cesvi
sostiene l’intervento dell’Ong
irlandese Concern, partner nel
network Alliance2015.
dieci
anni fa
3 ottobre Brescia. Presso il
palazzo Martinengo Villagana, terza tappa della mostra
“Amazing Bangladesh” con
le immagini di Giovanni Diffidenti, promossa da Cesvi con
il sostegno del Gruppo UBI.
La mostra fa parte del progetto “Aiutiamoli Insieme”, che ha
visto il Gruppo UBI al fianco di
Cesvi nell’aiuto alla popolazione del Bangladesh colpita dal
ciclone Sidr nel 2007.
Due grandi sfide Cesvi su Cooperando
n° 48, Dicembre ’98: i progetti in Bosnia
di ritorno degli sfollati e lo sviluppo
umano nel delta interno del Mekong, uno
dei siti naturali più preziosi del pianeta.
Sono più di 5.000 le case ricostruite
dal Cesvi nei Balcani nella seconda
metà degli anni Novanta. Ma la sfida
più difficile è quella della convivenza fra
chi rientra nella terra di origine, dopo
essere sfollato per salvarsi dalla guerra
etnica, e chi nel frattempo è arrivato
per fuggire da altre persecuzioni di
segno opposto e ha occupato una
casa abbandonata, oggi reclamata
dal vecchio proprietario. La guerra ha
disseminato odio e sete di vendetta e la
mappa pubblicata su Cooperando con i
flussi di rientro previsti dagli accordi di
pace è un groviglio di frecce che rivela
la difficoltà del processo. Cesvi è una
delle poche Ong a riuscire nel difficile
compito, anche nella regione di Drvar, “una delle più
complesse e difficili di tutta la Bosnia”, come recita la
lettera di encomio dell’European Commission Monitor
Mission.
A cavallo tra il Laos e la Cambogia, 700 km prima
della foce, il grande fiume indocinese si dilata in un
delta sterminato di 4.000 isole sabbiose, disseminate
di 130 villaggi di pescatori e coltivatori di riso.
Il progetto Cesvi bandisce la pesca dannosa e
promuove l’uso sostenibile delle risorse naturali per
dare impulso al progresso delle comunità native e
preservare un ecosistema unico.
LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E M
Ho conosciuto il Cesvi credo
sei anni fa, grazie ad un articolo su un celebre settimanale
che spiegava come la somministrazione controllata della
Nevirapina potesse impedire la
trasmissione dell’Hiv da madre
a feto. Questo aveva dato vita a
Takunda, nome che è espressione di vittoria, ovvero a quel
bambino che tutti sappiamo
essere nato sano da madre sieropositiva. Sembrava un miracolo, eppure lo si era ottenuto
con un farmaco. E soprattutto
era possibile ripeterlo.
Ho iniziato quindi ad informarmi sui progetti Cesvi, apprezzandone in particolare l’impegno umanitario in Corea del
Nord e in Africa. Si lavorava
“sul campo” per trasmettere le conoscenze di base che
consentissero di affrancare
dalla schiavitù degli aiuti internazionali i popoli in difficoltà.
Settembre 2008 Distretto di
Kati (Mali). Just Italia, azienda
leader in Italia nella vendita a
domicilio di prodotti e cosmetici naturali, sostiene il progetto
“Donne del karité” del Cesvi in
Mali. Obiettivo: costruire opere
e acquistare attrezzature per
sostenere le donne maliane impegnate nella produzione del
burro di karité.
L’obiettivo degli interventi si
poteva esprimere in due parole: cooperazione e sviluppo.
Di fondamentale importanza è
stato poi conoscere la ripartizione di un bilancio “certificato”, secondo cui solo la minima
parte delle donazioni, per lo più
provenienti da privati a garanzia del carattere laico e imparziale dell’organizzazione, è destinata ai costi di gestione.
Tuttavia il mio impegno a costruire un mondo migliore non
sarebbe significativo se, oltre a
sostenere il Cesvi, cosa di cui
sono fiero, non mi adoperassi
in privato ogni giorno a rispettare uomini, animali e piante, a
limitare il mio personale contributo all’inquinamento del pianeta, a non sprecare l’acqua, a
condividere le mie conoscenze, ma soprattutto a invitare,
nei limiti del possibile, una società in cui anche i gatti sono
ormai obesi a mangiare meno
perché, un giorno non lontano,
possano mangiare tutti.
Antonio Facchin
Grazie ad Antonio non solo per
il contributo economico con il
quale da anni sostiene i nostri
progetti, ma anche per essere
riuscito in poche righe a riassumere i valori che guidano il
Cesvi e la sua filosofia d’azione. È per noi motivo d’orgoglio
sapere che i donatori ci seguono con tale attenzione e dedizione, condividendo la nostra
passione e l’adesione ai valori
dell’imparzialità, della trasparenza e della solidarietà mondiale.
Stimo il Cesvi, il suo impegno
diretto, la sua efficacia e condivido le campagne che porta
avanti. Per queste ragioni cerco di sostenerlo. Penso che i
contributi economici non siano
un grande merito e che il merito più grande vada invece a
chi dedica un po’ del proprio
tempo e della propria vita per
operare direttamente sul campo. La lode e il riconoscimento
vanno ai volontari e ai professionisti che, rinunciando anche
temporaneamente alla propria
carriera e ai propri vantaggi,
si mettono a disposizione di
chi ha più bisogno e meno opportunità. Del Cesvi ammiro la
priorità che viene data ai bambini e alle donne perché sono
convinta che il mondo cambierà in meglio quando l’infanzia
sarà rispettata di più e le donne avranno un maggiore peso
nella vita sociale, economica
e familiare. Vorrei fare di più e
in maniera continuativa per il
Cesvi. È questo l’impegno che
prendo.
On. Patrizia Toia,
parlamentare europea
cooperando
bimestrale
cesvi
Direttore responsabile: Giangi Milesi
Redazione: Nicoletta Ianniello
Cesvi Via Broseta 68/a 24128 Bergamo
tel. 035 2058058 fax 035 260958
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Editore:
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ONG costituita il 15/1/85 riconosciuta il
14/9/88 - Ente Morale n. 1 Reg. persone
giuridiche Pref. BG - Autorizzazione:
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Iscrizione ROC n. 3457
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