Mali: le donne del karité
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Mali: le donne del karité
COOPER AZIONE E SVIL UPPO IN T U T T O IL M O N D O 113 Ottobre 2008 www.cesvi.org Fame globale, cibo locale giore di persone non ha accesso a un’alimentazione adeguata, se anche il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, ha confermato: “La fame è aumentata, mentre il mondo è diventato più ricco e ha prodotto più cibo di quanto ne abbia prodotto nell’ultima decade”. La questione è estremamente complessa e ha molteplici sfaccettature. Certamente rimane l’antico problema di distribuzione delle risorse, a disposizione dei Paesi del Nord del mondo a scapito del tenore di vita, e spesso anche della sopravvivenza, delle popolazioni dei Paesi del Sud. attribuire a diversi fattori: in prima fila, sul banco degli imputati, ci sono i bio-carburanti. La forte crescita della Cina e di altri Paesi e l’aumento del prezzo del petrolio hanno, infatti, creato un ampio mercato per i carburanti di origine vegetale. Le colture per la produzione di bio-carburanti, tuttavia, sottraggono facilmente terreno alle colture alimentari perché molto più redditizie. In sostanza, per produrre benzina spesso si rinuncia a produrre cibo e questo contribuisce a diminuire la disponibilità di prodotti sul Nord Uganda. Un modo efficace per combattere l’insicurezza alimentare è quello di offrire alle popolazioni locali la possibilità di vivere del proprio raccolto. segue a pag. 2 La fame è aumentata, mentre il mondo è diventato più ricco e ha prodotto più cibo. L’accesso al cibo è direttamente legato al suo prezzo sul mercato, e i prezzi degli alimenti sono in continuo aumento. Il prezzo del riso è stato influenzato in modo particolare dall’imposizione di restrizioni all’esportazione da parte dei maggiori Paesi produttori. Aumentano i prezzi, aumenta la fame. Si stima che, solo nel 2007, l’impennata dei prezzi dei generi alimentari abbia generato 75 milioni di affamati in più, per un totale di 923 milioni. L’aumento generalizzato del prezzo delle derrate alimentari è da Mali: le donne del karité di Gianluigi Ravasio* foto di Marco Bottelli Un progetto per favorire l’emancipazione sociale ed economica delle donne in una delle aree più povere del mondo, per sviluppare un’imprenditoria al femminile e per promuovere in modo concreto i diritti umani. Il Cesvi ha avviato nel maggio scorso un nuovo progetto di promozione umana in Mali con l’obiettivo di sostenere e promuovere i diritti delle donne del Paese africano impegnate nella produzione e lavorazione del burro di karité utilizzato in occidente nell’industria della cosmetologia per le sue proprietà emollienti, protettive e idratanti, ma che in Mali viene utilizzato anche nell’alimentazione. L’intervento coinvolge oltre seicento donne di sessanta villaggi nel distretto di Kati nel Mali sud-occidentale: grazie alla collaborazione di Just Italia, azienda veronese leader in segue a pag. 2 Poste Italiane S.p.A. – Sped. Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Milano. In caso di mancato recapito, si prega inviare al CPM Milano Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a pagare il diritto fisso dovuto. FOTO CRISTINA FRANCESCONI di Elena Acerbi foto di Giovanni Diffidenti Nessuno ormai mette più in discussione l’esistenza di una crisi alimentare globale. Le cronache dal mondo parlano di un aumento generalizzato del prezzo del cibo e persino delle prime rivolte dovute ai rincari dei beni essenziali. Verrebbe da pensare ad una carestia planetaria. Ma è davvero questione di scarsità di cibo? In realtà la produzione pro-capite di prodotti agricoli è stata in crescita costante dal 1960 ad oggi e la produzione di cereali è attualmente in aumento; per l’anno 2008 è previsto un incremento del 2,6%, per raggiungere la produzione record di 2.164 tonnellate, in buona parte costituite da frumento. Questi semplici dati evidenziano il fatto che non vi è una effettiva crisi alimentare, intesa come carenza di derrate. È vero, tuttavia, che un numero sempre mag- Nord Uganda. Donne impiegate nella ripulitura dei chicchi di riso. Sotto, distribuzione di aiuti alimentari nei campi di sfollati. segue dalla prima fame globale, cibo locale mercato e, in base alle elementari leggi economiche, ad aumentarne il prezzo di vendita. La sicurezza alimentare, inoltre, può essere minacciata da altri fattori, umani o naturali: guerre e conseguenti sfollamenti di massa, siccità o alluvioni. Ogni situazione di “insicurezza alimentare” deve quindi essere affrontata in modo diverso, tenendo conto delle specificità locali. In alcuni casi non è una scarsa produzione di cibo a causare la fame, bensì l’impossibilità di trasportarlo, di venderlo o acquistarlo nei mercati locali. In questi caso la soluzione può essere, ad esempio, la costruzione di strade o infrastrutture: una soluzione che, almeno apparentemente, non sembrerebbe legata al problema della crisi alimentare. È questo il caso dei progetti Cesvi in Laos, in cui il miglioramento della viabilità secondaria - tra villaggi nelle zone rurali - va di pari passo con il miglioramento delle tecniche di coltivazione, basate sull’inserimento di sistemi di micro-irrigazione e di terrazzamento del terreno. Lo staff Cesvi sviluppa il proprio intervento in modo diverso per intervenire in modo appropriato nei differenti contesti. L’ex-Birmania, ora Myanmar, ad esempio, rappresenta una realtà molto complessa dal punto di vista alimentare. Come spiega Paolo Felice, responsabile dei progetti Cesvi in Myanmar: «Innanzitutto c’è un problema di diversificazione delle colture, che sono troppo dipendenti dalla coltivazione del riso; questo significa che, nelle annate di scarso raccolto, la popolazione non ha alternative a disposizione per la propria alimentazione. In Myanmar c’è un problema di diversificazione delle colture, troppo dipendenti dal riso. La prevalenza del riso ha anche il difetto di rendere l’alimentazione piuttosto povera e poco varia, con le conseguenti malattie legate alla malnutrizione». Ma non è l’unico problema: molte famiglie di contadini non possiedono un terreno da coltivare e sono costretti a lavorare i terreni altrui, ricevendo un salario misero. Spesso il piccolo terreno di proprietà non consente di raccogliere una quantità sufficiente di prodotti e così li costringe a comprare il resto degli alimenti sul mercato, spendendo tutto il proprio reddito. Per affrontare questi problemi il progetto di “sicurezza alimentare” avviato dal Cesvi in questa regione mira ad aumentare la diversificazione delle colture e ad introdurre la coltivazione degli orti familiari. «L’orto - prosegue Paolo Felice - permette alle famiglie di integrare la propria dieta con ortaggi di stagione, prodotti in proprio, senza dover ricorrere all’acquisto sul mercato». Un altro intervento del Cesvi riguarda l’introduzione di conserve alimentari nella dieta, sia per il consumo familiare sia per la vendita sul mercato locale. In questo modo i prodotti agricoli possono essere sfruttati al meglio e consumati durante tutto l’anno, sopperendo alla mancanza di prodotti freschi in caso di scarso raccolto. Un altro fronte importante è quello dell’educazione alimentare. Attraverso dimostrazioni pratiche le donne apprendono come sfruttare al massimo i prodotti che hanno a disposizione per alimentare correttamente i propri figli. Cesvi è presente con progetti di sicurezza alimentare in molti altri Paesi. Tra questi vi è la regione della Karamoja, in Uganda. Si tratta dell’unica regione del Paese ad avere una sola stagione delle Distretto di Kati (Mali). Agata Romeo, coordinatrice Cesvi, osserva una delle 45 piattaforme per l’essicazione delle noci di karité. segue dalla prima Mali: le donne del karité Italia nella vendita a domicilio di prodotti e cosmetici naturali, è previsto un investimento di quarantamila euro. L’arretratezza dei mezzi e delle tecnologie oggi utilizzate dalle donne del Mali non permette di ottimizzare, anche economicamente, 2 la lavorazione delle noci di karité: l’estrazione della farina e del burro avviene ancora con sistemi rudimentali e faticosi. Il progetto, che avrà la durata di un anno, prevede la realizzazione di percorsi di formazione professionale, la costruzione di un magazzi- no centrale e di 45 piattaforme di essicazione, oltre alla fornitura di attrezzature per la lavorazione, la tostatura e la tritatura delle noci di karité e la conservazione del burro. «L’intervento - spiega Fabio Ammar, rappresentante Cesvi in Mali - vuole dare una spinta alla crescita economica e sociale delle donne coinvolte: per loro è importante avere un lavoro autonomo e in grado di renderle protagoniste di un percorso verso una loro affermazione di donne come imprenditrici». Si tratta, prosegue Ammar, di «otti- piogge e, di conseguenza, un solo raccolto l’anno. Già questo fattore, di per sé, basterebbe ad ostacolare la produzione agricola, ma non basta: negli ultimi due anni la natura è stata particolarmente inclemente con questa regione, che nel 2006 è stata colpita da una stagione di siccità e nel 2007 da inondazioni. A ciò si aggiunge un problema di sicurezza, causato dagli attacchi da parte di gruppi armati, con annessi furti di bestiame e distruzione dei raccolti. Negli ultimi anni il livello di sicurezza è migliorato e le incursioni armate si sono diradate. Questo ha permesso di intervenire con un progetto di diffusione della coltivazione della “cassava” - altrove conosciuta come manioca o come yucca. Adama Sanné, responsabile Cesvi per il progetto di food security nella regione del Karamoja, racconta: «Ci siamo appoggiati a gruppi di contadini già organizzati, a cui forniamo delle talee (rami con radici) di cassava, pronte da piantare. Questa pianta è molto resistente mizzare la produzione e la commercializzazione del burro di karité. È un progetto costruito sul territorio e che mira a coinvolgere e responsabilizzare le persone alle quali si rivolge. Anche l’azienda Just Italia si è mossa nell’ottica della responsabilità sociale d’impresa». Fabio Ammar, in Mali da tre anni, è impegnato anche in un progetto per la valorizzazione delle risorse pastorali del Paese africano. Agata Romeo, responsabile del progetto Cesvi “Donne del karité”, ricorda che «il progetto è partito anche grazie alla determinazione Un progetto importante per la crescita economica e sociale delle donne. e, una volta piantata, sopravvive per anni, anche nelle imprevedibili condizioni climatiche di questa regione. È una pianta autoctona, che la popolazione conosce da sempre e che è presente nella dieta quotidiana di tutte le famiglie. La sua coltivazione era diminuita proprio a causa delle condizioni di insicurezza che portavano la popolazione ad avere paura di coltivare le terre lontane dai centri abitati. In Nord Uganda Cesvi punta a diffondere la coltivazione della “cassava”. Nel secondo anno di progetto i contadini che hanno ricevuto una talea, ormai diventata una pianta, ne restituiscono un ramo, che diventa una nuova talea e va a ricostituire la fornitura da distribuire ad altri contadini. L’obiettivo è arrivare in tre anni a un numero di talee tale da poterle distribuire ai contadini e riuscire a vendere le eccedenze sul mercato, generando un piccolo reddito per i contadini stessi e diffondendo la coltivazione della cassava». La crisi alimentare ci riguarda tutti, e a volte la soluzione di un problema globale inizia da un tubero, da un orto o da una strada locale. delle donne che producono il karité. Loro stesse mi hanno indicato la sfida: migliorare la qualità del burro e venderlo in modo da poter sostenere la propria famiglia. Un progetto che mira, pertanto, a dare un reddito alle donne». E questo, aggiunge, «è una specie di rivoluzione se si pensa al ruolo in cui sono confinate le donne all’interno di questa cultura». Il progetto ha già consentito la realizzazione dei vari percorsi di formazione professionale e delle piattaforme di essicazione; è in appalto la creazione del magazzino. È, inoltre, stata costituita una confederazione tra i vari nuclei di donne che nei vari villaggi, sparsi su un’area di oltre trenta chilometri, sono impegnate nella lavorazione del burro di karité: un modo per consentire loro di “fare squadra”, di sentirsi unite e più autonome nella gestione del loro lavoro. * tratto da L’Eco di Bergamo del 25/9/08 focus AIDS Zimbabwe allo stremo di Daniela Morandi* foto di Giovanni Diffidenti «I t’s very sick»: è molto malato. Con questa espressione, in Zimbabwe, la gente indica chi è malato di Aids, tabù quasi innominabile per scaramanzia. Ma la frase usata per la “maledizione” che incombe su circa il 35-40% della popolazione del Paese, colpendo soprattutto chi è nella fascia di età compresa tra i 20 e i 40 anni, potrebbe descrivere anche la situazione attuale di questa terra: oggi scarna, debole, malnutrita, incerta sul futuro politico e socio-economico, fino a dieci anni fa Paese sicuro, stabile, con un buon tasso di scolarizzazione e personale medico qualificato. In attesa della tempesta Su quello che era il granaio d’Africa, oggi incombe lo scheletro della fame per la pesante crisi economica: «Circa l’80% della popolazione riceve aiuti alimentari. Prima della riforma agraria del 2000 si produceva ed esportava grano, tabacco e cotone, in cambio di valuta estera. Oggi i pagamenti sono solo in dollari locali e c’è chi specula su cambio illegale di valuta e mercato nero. L’80% della popolazione è disoccupata. Chi ha un posto di lavoro è in uffici statali, fabbriche o negozi, non sa per quanto, dopo due ore potrebbe rimanere per strada. La classe media, legata ad attività artigianali e commerciali, è ridotta all’osso. La gente non può pianificare il futuro. La vita scorre nell’incertezza e nella precarietà costante. Una sorta di quiete in attesa della tempesta». A descrivere il volto umano dello Zimbabwe è il dottor Marco Cernuschi. Medico specializzato in chirurgia generale e vascolare, da quasi trent’anni lavora per organizzazioni internazionali e Ong italiane, spostandosi nel Sud del mondo. Alle spalle esperienze in Rwanda, Tunisia, Sri Lanka, Eritrea, Afghanistan, Sudafrica e Zimbabwe appunto. In questo Paese ha messo radici con la famiglia dal 1991. Medico chirurgo per il Queen Mary Hospital di Kadoma, consulente chirurgo per sette ospedali del Mashonaland West a Nord del Paese, responsabile dell’attività clinica e della formazione post- universitaria nel dipartimento di chirurgia dell’Università di Harare, da gennaio 2008 è responsabile per il Cesvi del sostegno al sistema sanitario distrettuale nei distretti di Bindura e Mazowe. La lotta all’Aids Progetto triennale, inserito nel programma sanitario e sociale “Fermiamo l’Aids sul nascere” - avviato in Zimbabwe dal Cesvi nel 2001 ed esteso in altri Paesi africani per ridurre la trasmissione del virus dalle mamme sieropositive ai neonati con terapia antiretrovirale - è di supporto sia clinico agli ospedali rurali sia di formazione al personale paramedico. Iniziato a fine agosto del 2007, si rivolge a circa 40 centri rurali di Bindura e Mazowe, nel Mashonaland Central, per un totale di 250 mila abitanti beneficiari. L’obiettivo è garantire il servizio sanitario minimo alla popolazione, educare alla prevenzione contro l’Aids e attuare corsi di formazione per il personale paramedico locale. «Negli ospedali rurali racconta Cernuschi - mancano medicinali, attrezzature adeguate e personale medico qualificato». Su richiesta del governo il progetto attiverà corsi di formazione gestiti da operatori sociali locali e riguardanti prevenzione della trasmissione maternoinfantile dell’Aids; gestione delle scorte di farmaci; vaccinazioni. La fuga dei cervelli, in ambito sanitario e scolastico, è dovuta alla crisi economica, causata dalla riforma agraria. «Ridistribuire le terre era necessario, ma è stato mal gestito. Lo scenario si è aggravato»: proprietari terrieri bianchi espropriati delle proprie aziende agricole, a casa circa 200 famiglie di braccianti. Le terre prima produttive e controllate per il 90% dalla minoranza bianca ora sono ridistribuite secondo criteri clientelari o addirittura incolte. Conseguenza: bocche affamate, mani di bambini tese agli angoli delle strade per chiedere l’elemosina, aumento della delinquenza nei centri urbani, donne che si prostituiscono. Camionisti e soldati malati di Aids. I rapporti sessuali sono la principale causa di contrazione del virus dell’Hiv. Madri contagiate partoriscono figli infetti. Giovani orfani dell’Aids soli o affidati ai nonni, costretti a lavorare per mantenere i nipoti. Per sgravare questo squilibrio sociale è stata aperta dal Cesvi, in coordinamento con due Ong locali, la Casa del Sorriso di Harare. Centro diurno, accoglie orfani e ragazzi di strada. Aids, fame, disoccupazione: è la spirale dannata di una situazione sociale squili- Zimbabwe. Lo spettro dell’Aids incombe sul 35-40% della popolazione del Paese, colpendo soprattutto i giovani tra i 20 e i 40 anni. Un’intera generazione è a rischio, mentre il numero di orfani dell’Aids aumenta. ZIMBABWE brata e deteriorata per la mala gestione di un Paese dalle alte potenzialità per infrastrutture, risorse, turismo. «Per alleviare la situazione bisogna investire sulle teste della gente più che in strutture». Cernuschi non si sostituisce ai medici locali, ma li affianca negli interventi istruendoli, «così da renderli autonomi il prima possibile». Per il progetto sanitario gestito dal Cesvi insieme ai partner locali come l’ospedale Saint Albert, nelle zone rurali l’infermiera italiana Carolina Gurdian affianca il personale paramedico nella cura di malattie, come malaria, dissenteria, influenza, polmonite, nelle vaccinazioni stabilite dal governo, nei reparti di maternità e lo istruisce in prevenzione ed educazione sanitaria contro l’Aids. Negli ospedali di distretto, invece, il dottor Cernuschi esegue insieme ai medici locali interventi ortopedici, ginecologici, ernie, appendiciti: «In Africa ho imparato a riciclarmi. Devi adattarti e ingegnarti a svolgere di tutto con strumenti non appropriati. Se l’operazione è urgente e non c’è nessuno oltre a te, non hai alternativa. Si salta il fosso». Ciò che appartiene alla storia della medicina e ai libri universitari, in Africa diventa realtà. Cernuschi ricorda l’intervento ad un bambino di dieci anni per occlusione intestinale «dovuta a vermi e parassiti, malnutrizione e carenza di igiene. Si parla dell’Africa Africa, quella abbandonata tra terra battuta e capanne di paglia». * tratto da L’Eco di Bergamo cooperando 113 - OTTOBRE 2008 3 focus AIDS Baraccopoli di philippi. Il cartello alle spalle della donna indica i servizi offerti dal Cesvi e dal partner locale Sizakuyenza: test gratuito di Aids e tBC, consulenza psicologica e informazioni sulle malattie sessualmente trasmesse. SUDAFRICA schi si moltiplicano in modo esponenziale. Violenze che si consumano fuori e dentro il nucleo familiare, spesso nei confronti di figlie piccolissime. Mi colpisce Thembeka. Le operatrici entrano nella sua baracca di legno e lamiera e le parlano del test. Avrà circa 20 anni. Su una delle pareti ricoperte con pezzi di cartone è dipinto il nastro rosso, che qualcuno ha scarabocchiato con una matita. Seduta sul letto legge quel volantino rosa senza dire una parola. Ogni tanto alza gli occhi e il suo sguardo trabocca di disperazione e consapevolezza. Il nastro rosso di cristina francesconi i l nastro rosso, simbolo della lotta all’Aids, campeggia un po’ ovunque a Cape Town. Lo si vede sui manifesti in strada, dipinto sui muri, in gadget di perline venduti nei mercati, sulle magliette, sui cappellini e riprodotto in monumenti di diversa grandezza e materiali. Si percepisce da subito quanto l’Aids sia una presenza gigantesca nel Paese. Il Sudafrica è infatti uno degli stati più colpiti al mondo. Ma quando inizio a chiedere in giro informazioni e rassicurazioni sulla lotta al virus mi trovo proiettata in un mondo surreale e contraddittorio. Migliaia di orfani sono sotto gli occhi di tutti, molti li vedi per strada, soli, che provano a sopravvivere di espedienti. I più fortunati sono ospitati in centri di accoglienza o da parenti. Il 30% della popolazione è sieropositivo con conseguenze disastrose sull’economia del Pae- se, oltre alla catastrofe generazionale. Eppure mi raccontano che l’ex vicepresidente sudafricano Jacob Zuma ha affermato, dopo aver avuto rapporti sessuali con una donna sieropositiva, di aver scongiurato il rischio di contrarre il virus facendo immediatamente una doccia. O che il ministro della Sanità consiglia una buona dieta a base di aglio, limone e patate “africane” al posto di vaccini e cure anti-retrovirali. Con il passare dei giorni mi accorgo che del nastro rosso simbolo della lotta all’Aids non si conosce affatto il reale significato. In molti casi è solo un simbolo alla moda… La malattia è sottovalutata da tutte le fasce sociali ma lo è ancor di più nelle township, dove spesso la si nega e la si nasconde e dove resiste ancora quella medicina tradizionale che spesso promette miracoli. Si ignora la pericolosità di questa pandemia. Aids & Africa Accompagno le operatrici Cesvi nelle township. Ogni settimana si spostano in differenti aree della città allestendo ambulatori mobili in zone sempre molto discrete e poco visibili. Un lavoro non facile, a volte rischioso per queste donne che vanno in giro ad informare. Di fronte ai profilattici, distribuiti gratuitamente, i ragazzi ridono e dicono di non averne bisogno. Distribuiscono volantini che parlano chiaro dei rischi legati alla malattia e delle cure possibili e invitano le persone a fare i test gratuiti negli ambulatori mobili. Gli uomini spesso le deridono facendo commenti volgari e gettando a terra i volantini con disprezzo. Le donne sono più consapevoli, sono le uniche che prestano attenzione a quelle parole scritte nel dialetto xhosa per facilitare la comprensione. Molte sono impaurite da mariti violenti e alcolizzati che di quel test non vogliono neppure sentir parlare. Le violenze sessuali sono così diffuse nelle township che i ri- e sistono e sono sempre esistiti, nell’esperienza professionale di ogni medico, situazioni, malattie e problemi di marco cernuschi* sanitari che sono considerati un tabù, tanto che anche il solo nome suscita paura. Ai giorni nostri la peste non esiste più, ma nuovi spettri si presentano sotto diversi nomi, nomi che ancora oggi abbiamo paura di pronunciare; nel mondo occidentale si parla di mali inguaribili e di gravi malattie; in Africa la semplice frase “è molto malato” nasconde quello che non è nemmeno più un nome, solo una sigla (Hiv/Aids), che però tutti conoscono e temono. Pur essendo diffuso in tutto il mondo, l’Aids è la malattia africana per eccellenza. Qui, nella fascia Congo-Rwanda-Uganda, sono stati registrati i primi casi all’inizio degli anni ’80; in quel periodo lavoravo in Zimbabwe, ospedale di Bindura. Il dott. Marco Cernuschi tiene un corso di formazione allo staff locale. “per alleviare la situazione bisogna investire sulle teste della gente più che in strutture”, spiega Cernuschi. 4 COOPERANDO 113 - OTTOBRE 2008 L’Aids è una malattia sottovalutata da tutte le fasce sociali in Sudafrica, specialmente nelle township, dove viene negata e nascosta. «Mio marito mi caccerà se farò quel test», dice con tono basso. Le operatrici la invitano a seguirle senza paura e assicurano che tutto rimarrà nell’anonimato. Thembeka scuote la testa e rimane seduta sul letto con lo sguardo basso mentre ci allontaniamo. Saprò poi che suo padre e sua sorella sono morti da pochi mesi, forse di Aids. Suo padre abusava di loro. Passano diverse ore. Le operatrici stanno smontando l’ambulatorio che domani si trasferirà in un’altra township, quando arriva Thembeka con sua nipote di circa 11 anni. «Vogliamo fare il test», dice. Il più bel finale di giornata che potessi aspettarmi. Qualunque sia il risultato di quel test, Thembeka ora conosce il significato di quel nastro rosso e sa che può significare la parola “vita”. Con un gesto semplice l’ha regalata a sua nipote. un piccolo ospedale del Rwanda, e ricordo il mio terribile senso di impotenza e di frustrazione ogni volta che si presentavano pazienti con infezioni, con forme aggressive di tubercolosi e con i segni di quella “malattia misteriosa”, che portava inevitabilmente alla morte e della quale non sapevamo assolutamente nulla, nemmeno che fosse contagiosa. Poi è venuta la scoperta del virus, del suo meccanismo d’azione e dei suoi effetti devastanti, e la sua storia è diventata cronaca di tutti i giorni. E come tutte le cronache, passato il momento di popolarità e coinvolgimento emotivo, è stata dimenticata. Ma vivendo e lavorando in questa parte del mondo, ci si rende conto di come la cronaca sia sempre viva e attuale, di come la tragedia dell’Aids, a volte ignorata o sottovalutata in Occidente, sia qui diventata parte dell’esistenza di tutti i giorni. Quasi tutti sappiamo, per lo meno a grandi linee, come agisce il virus dell’Aids: distruggendo progressivamente i meccanismi di difesa naturali dell’organismo, rende il paziente esposto a infezioni esterne di vario tipo che si aggravano con il progredire della malattia. E sappiamo anche le modalità di contagio e di trasmissione: tramite rapporti sessuali non protetti o, meno frequentemente, tramite contatto accidentale con materiale organico contaminato. Queste modalità, fa- focus AIDS Eroi contro l’Aids di ludovica ghilardi f rancois è stato per otto anni direttore del PNLS (Programma Nazionale di Lotta all’Aids) della provincia del Bas Congo, dove il Cesvi ha operato e continua ad operare. Mariam, medico come Francois, è una nostra amica e collaboratrice. Ora entrambi lavorano al centro di cura delle infezioni sessualmente trasmissibili di Victoire, a Matonge. Place Victoire, a Kinshasa, è il centro dell’“ambiance”, ovvero dei locali e delle discoteche dove i giovani trascorrono le serate e le notti e le prostitute esercitano il loro mestiere. Si ritiene che il tasso di prevalenza del virus Hiv nella Repubblica Democratica del Congo sia del 5%, ma sia i medici locali sia i medici italiani sostengono che il tasso sia sottostimato. Purtroppo in un contesto di questo tipo dove le strutture dello Stato sono pratica- CONGO mente assenti - non è possibile immaginare un sistema di raccolta dei dati sull’Hiv. All’interno del Paese, specialmente nelle zone rurali, i fattori di diffusione del virus sono molteplici: povertà e miseria, conflitti, poligamia non regolamentata, promiscuità, precocità dei rapporti sessuali, mancanza di educazione e scolarizzazione, carenza di informazione e sensibilizzazione. «Ero di ritorno da una visita nella provincia dell’Equatore - racconta Francois - e ho notato l’elevato numero di parti cesari praticati a bambine di 11-12 anni che hanno subìto violenze. Se le bambine rimangono incinte a quell’età significa che iniziano l’attività sessuale a 8-9 anni, “iniziate” da uomini adulti. È un fenomeno molto grave e diffuso». Per questo è importante cominciare la sensibilizzazione già nella scuola primaria. Inserire certi temi nei programmi scolastici, ad esempio, potrebbe permettere di raggiun- gere una buona parte dei minori del Paese. La metodologia deve essere differente in base al contesto: nelle zone urbane si può realizzare una sensibilizzazione di massa, mentre lo stesso approccio nelle zone rurali non sarebbe efficace. Qui è necessario, piuttosto, lavorare a livello individuale, in maniera regolare. «A Kinshasa - aggiunge Francois - il 70% della popolazione ha sentito parlare di Hiv grazie al lavoro delle Ong locali e internazionali, alle campagne pubblicitarie (cartelloni, tv, radio), alle marce e testimonianze di persone sieropositive e all’informazione, che, per quanto limitata, circola nella capitale». I giovani dai 20 anni in su sono più consapevoli e si proteggono maggiormente, grazie anche al fatto che in città i preservativi sono reperibili a prezzi accessibili. I soggetti più vulnerabili rimangono le ragazze giovanissime, che hanno rapporti con uomini adulti e che non hanno la forza di “negoziare” l’uso del preservativo perché si vergognano, pensano di essere giudicate o temono che il partner non abbia fiducia in loro. dalla realtà affermando che nella fascia compresa tra i 18 e i 45 anni la percentuale di sieropositivi raggiunga il 40-45%. Il risultato è che viene a mancare la generazione adulta, la più produttiva, creando così non soltanto una difficoltà economica, ma anche uno squilibrio sociale. In Africa la semplice frase “è molto malato” nasconde quello che non è nemmeno più un nome, ma solo una sigla: Hiv/Aids. cilmente evitabili con una semplice prevenzione, trovano in Africa e in altri Paesi un terreno di coltura particolarmente recettivo, facilitato dalle due “malattie” endemiche più diffuse: l’ignoranza e la povertà. Per capire quanto l’ignoranza sia determinante nella diffusione dell’Aids, è forse sufficiente un esempio: mi è spesso capitato di incontrare giovani ragazze, provenienti dalle zone più povere, che non sapevano nemmeno che un rapporto sessuale può portare a una gravidanza. Ma se molte persone non sanno da cosa può essere provocata una gravidanza (che si vede), come possiamo pensare che sappiano come si contrae, si trasmette o si può prevenire l’Aids (che non si vede) senza un’adeguata educazione? A ciò si aggiunge la povertà: povertà che vuol dire lotta per la sopravvivenza, vulnerabilità, aumento della prostituzione, sfruttamento, perdita di dignità della donna. Non è sempre facile avere cifre affidabili sulla diffusione della malattia, specialmente in Africa dove molti governi tendono a sottostimare i dati in loro possesso. Non penso comunque di essere molto lontano In questo quadro drammatico, la ricerca medica è impegnata da anni per trovare una soluzione il più possibile radicale al problema; sono stati fatti notevoli progressi, basti pensare all’introduzione dei farmaci anti-retrovirali che, pur non portando alla guarigione, fermano o quanto meno rallentano il progredire della malattia. Inoltre, si sta lavorando alla produzione di un vaccino che, anche se ancora lontano, rappresenta l’obiettivo ultimo per la sconfitta dell’Aids. Ma l’impatto di questi pur apprezzabili pro- Il 20% delle persone che si recano al centro di Matonge ha contratto il virus. «La reazione al consultorio, quando qualcuno scopre di essere sieropositivo, non è più tremenda come una volta - dice Francois - Un tempo le persone pensavano di essere già morte, adesso invece sanno che se seguono la terapia antiretrovirale possono vivere ancora a lungo». La campagna di sensibilizzazione e le testimonianze di gruppi di sieropositivi hanno reso possibile questa evoluzione. L’esistenza dei gruppi di cosiddetti PVV (persone che vivono con il virus) è davvero fondamentale. Ci sono donne che fanno parte dell’associazione di PVV Elikia, creata dal Cesvi nel 2003, che - benché scacciate dalla famiglia in quanto sieropositive - hanno saputo reagire. Antò, ad esempio, vende dolci ai ristoranti e condivide la casa con un’altra ragazza sieropositiva. Realizzare attività generatrici di reddito (Elikia possiede un terreno in cui si coltivano manioca, mais, pomodori, patata dolce e un allevamento di maiali), formare un gruppo e ricevere piccoli finanziamenti sono attività che consentono di migliorare di gran lunga la vita e lo stato di salute delle persone sieropositive o malate di Aids. Mariam è la responsabile della sezione del centro di Matonge che si rivolge alle prostitute. «A Kinshasa - spiega Mariam - il tasso di prostituzione tra le ragazze giovani, dai 14 ai 22 anni, è del 60%». Il centro fornisce i servizi sanitari per le infezioni sessualmente trasmissibili, per i malati di Aids attraverso fornitura di anti-retrovirali e per le infezioni opportunistiche. Inoltre vengono trattati casi di violenza sessuale e si svolgono attività di sensibilizzazione sul territorio e di consulenza psico-sociale. La sensibilizzazione viene realizzata nelle discoteche, negli hotel, nelle case d’accoglienza, in strada e nei ristoranti. Lo staff Cesvi prende contatto con la responsabile della struttura dove le ragazze lavorano o con i proprietari dei locali (spesso donne anziane che “inquadrano” le più giovani), e spinge perché tutte le ragazze abbiano accesso al centro di Matonge. Il centro ha una sala d’accoglienza e la mattina, dalle otto alle nove, si tengono sessioni di discussione sull’Aids, sulle modalità di trasmissione e di prevenzione. «Ormai siamo come una famiglia - racconta Mariam - Le ragazze devono venire ogni mese per il controllo e la maggior parte viene, perché ha capito che è un’opportunità importante». È un risultato positivo, anche se sconcerta sapere che si tratta dell’unico centro, in tutta la Repubblica Democratica del Congo, a svolgere questo tipo di lavoro. gressi sulla popolazione dell’Africa e in genere dei Paesi più poveri è ancora purtroppo modesto: i farmaci anti-retrovirali, unica arma efficace attualmente in nostro possesso, sono difficili da trovare, molto costosi e, in definitiva, al di fuori della portata della maggioranza di chi li necessita. E quindi il cerchio si chiude, tornando alle due grandi malattie, povertà e ignoranza. In attesa di una soluzione radicale, ancora lontana, questi sono i settori in cui possiamo e dobbiamo intervenire. Dobbiamo cercare di limitare i danni con un’opera di educazione e di prevenzione efficace, seria e, soprattutto, studiata su misura per le popolazioni a cui è diretta. I programmi di formazione per evitare la trasmissione materno-infantile del virus, la prevenzione e la cura delle infezioni associate, la diffusione di test diagnostici semplici e alla portata dei centri sanitari anche isolati sono alcune delle attività possibili e già attuate dal Cesvi in Zimbabwe con risultati incoraggianti. Gocce d’acqua in un oceano? Forse, ma senz’altro un punto di partenza e di esempio da seguire in altri programmi, in altri Paesi, in attesa di una soluzione più radicale. L’Aids, non dimentichiamolo, coinvolge tutti noi come persone, impegnate ad agire con coscienza per combattere povertà e ignoranza e per assicurare a tutti, vicini e lontani, condizioni di vita più dignitose. * Medico Cesvi in Zimbabwe COOPERANDO 113 - OTTOBRE 2008 5 focus AIDS Alan, 6 anni, figlio di madre sieropositiva, sorride alla vita. Cesvi è impegnato nel Nord dell’Uganda dal 2002: qui la diffusione dell’Aids si somma al dramma della guerra che ha costretto due milioni di persone a rifugiarsi in campi di sfollati. UGANDA Il “caso” Uganda aura Kaddu è la dottoressa che da due anni lavora come responsabile sanitaria dei progetti Cesvi di lotta all’Aids in Uganda. «Il primo caso di Hiv in Uganda - spiega Laura - fu identificato lungo le coste del lago Vittoria nel 1982. Il virus si diffuse velocemente in tutta la nazione, in un primo momento soprattutto in aree urbane e semi-urbane. Alla fine del 1992 la percentuale nazionale raggiunse il 18,3% arrivando anche al 30% in alcune regioni del Paese». C’è poi stato un notevole miglioramento a partire dalla metà degli anni ’90 fino al 2000, quando la percentuale di persone sieropositive è scesa al 6%, la percentuale attuale. La ragione di questo successo è stata attribuita principalmente alla strategia comunicativa dell’ABC: astinenza (abstinence), fedeltà (be faithfull) e uso del preservativo (condom). Tuttora l’Uganda è considerata da UNAIDS e da altre organizzazioni internazionali come uno dei primi e più convincenti successi nazionali di lotta contro l’Hiv/Aids. «Tuttavia - puntualizza la dottoressa Kaddu - una buona parte dell’Uganda non condivide questo successo». La guerra in Nord Uganda, infatti, ha costretto quasi 2 milioni di persone a rifugiarsi in campi di sfollati interni. Tutto ciò ha comportato la rottura delle norme sociali e comportamentali oltre che la quasi totale distruzione del sistema FOTO GIOVANNI DIFFIDENTI l 6 COOPERANDO 113 - OTTOBRE 2008 di adama Sanné foto di cristina francesconi sanitario tradizionale. Non è difficile capire che in tali condizioni la lotta contro l’Aids si è complicata notevolmente. «Il Cesvi - spiega ancora la dottoressa Kaddu - ha iniziato a lavorare in Nord Uganda nel 2002 nei distretti di Oyam e Pader. Le attività sono tutte in linea con le strategie ministeriali. Nello specifico i progetti includono servizi di supporto psicosociale e test gratuito, con particolare attenzione alle donne incinte in modo da prevenire la trasmissione del virus da madre a figlio. Sono state svolte, inoltre, diverse campagne di sensibilizzazione attraverso programmi radio, spettacoli teatrali e video-show oltre alla promozione e distribuzione di preservativi». Il Cesvi da sempre lavora a stretto contatto con le associazioni locali attive nel campo dell’Hiv/Aids. Mediante il rafforzamento di queste organizzazioni viene garantita maggiore efficacia e continuità alle attività di sensibilizzazione e prevenzione nelle aree interessate. «Ci sono ancora tante sfide da vincere nella lotta contro l’Aids - aggiunge Laura Una sfida che reputo fondamentale riguarda il superamento dello stigma». Un’ampia percentuale delle comunità, rurali e non, ha molti pregiudizi verso la malattia a causa di ignoranza e false credenze. Come conseguenza, molti membri della comunità sono mal disposti a te- starsi volontariamente e chi sa di essere affetto dal virus non vuole essere visto con gli Home Base Care (i kit di materiali che Cesvi distribuisce a chi risulta positivo al test, utili tra l’altro per diminuire la possibilità di contrarre la malaria, malattia spesso fatale se si vive in una situazione di sieropositività). Troppo forte è la paura di essere discriminati o addirittura banditi dalla comunità di appartenenza. Una sfida fondamentale nella lotta all’Aids riguarda il superamento dello stigma. Un’altra sfida fondamentale è quella della disuguaglianza di genere, soprattutto nelle aree rurali del Paese. Le donne sono più colpite dal virus a causa della sudditanza psicologica e culturale nei confronti degli uomini: hanno infatti un potere decisionale molto limitato riguardo la scelta di avere un rapporto protetto o meno e sono spesso vittime di violenza. Per superare lo stigma, il Cesvi promuove campagne di sensibilizzazione e informazione, illustrando le modalità di trasmissione del virus ed enfatizzando l’importanza di partecipare alle attività di supporto psicologico e, nel caso di pazienti infetti, di assumere gli anti-retrovirali. Per valorizzare il ruolo femminile, lo staff del Cesvi incoraggia le associazioni locali con le quali lavora ad avere donne in ruolichiave all’interno della struttura. Inoltre organizza incontri nelle scuole e forma gli insegnati perché costruiscano un dialogo aperto con gli studenti parlando, ad esempio, dei pericoli del sesso non protetto. Cesvi è presente da circa 5 anni anche nel distretto di Pader, dove si occupa di un progetto che ha l’obiettivo di migliorare la vita delle persone sieropositive e delle vittime di violenze sessuali. In futuro il Cesvi intende continuare a rafforzare la formazione delle organizzazioni locali per garantire sostenibilità e continuità ai progetti, puntando sul miglioramento delle condizioni di vita delle persone affette dal virus, combattendo lo stigma e focalizzandosi sul supporto nutrizionale, economico e sanitario. Cesvi, inoltre, ha allargato il proprio intervento ad una nuova area geografica, la Karamoja, che è oggi la regione più povera e problematica di tutta l’Uganda, dove sarà avviato a breve un intervento per la prevenzione della trasmissione madrefiglio del virus. «Sono molto ottimista - dice Laura - perché la situazione generale sta migliorando. Grazie all’esperienza sul campo, abbiamo affinato le tecniche di prevenzione e sensibilizzazione nelle aree rurali e siamo sempre più preparati nell’affrontare le difficoltà causate dall’incontro con le culture tradizionali». Nel frattempo anche il governo locale sta aumentando gli sforzi nella lotta contro l’Aids. Negli ultimi due anni le autorità ugandesi hanno introdotto l’educazione sessuale nelle scuole e hanno cercato di aumentare l’accessibilità agli anti-retrovirali disponibili gratuitamente. Nonostante le infrastrutture non siano ancora sufficienti, il percorso intrapreso sembra essere positivo e in grado di portare a un sensibile miglioramento negli anni a venire. Un dono per Takunda, oltre la vita Sono molte, moltissime le persone che da anni sono al nostro fianco nella lotta all’Aids nell’Africa sub-sahariana. Molti coloro che ci hanno permesso di dare avvio, nel 2001, alla prima sperimentazione della terapia antiretrovirale per bloccare la trasmissione del virus dalla madre sieropositiva al suo bambino che sta per nascere. Quelli con cui abbiamo condiviso la gioia della nascita di Takunda: il primo bambino nato sano proprio grazie a questo protocollo sanitario. Takunda, che in lingua shona significa “abbiamo vinto” è diventato negli anni il simbolo dell’impegno di Cesvi contro la diffusione del virus. Per noi e per tutte le persone che hanno scelto di combattere l’Aids con Cesvi. Il nostro pensiero va a Luciana che, lasciando a Cesvi una parte dei suoi beni, ha espresso il desiderio di regalare la vita a migliaia di bambini che stanno per nascere da madre sieropositiva. Anche per Luciana, Takunda era il simbolo di questo impegno nei confronti dei più fragili, dei più deboli del mondo. Per questo teneva la sua fotografia sul comodino e, quando è venuta a mancare, i suoi cari hanno deciso che la foto di Takunda l’avrebbe accompagnata nel suo ultimo viaggio. Grazie Luciana, a nome di tutti i bambini e le mamme che salveremo dall’Aids. lima, perù. Cesvi ha creato una rete di assistenza per gli adolescenti a rischio di sfruttamento sessuale che vengono contattati, spesso direttamente sulla strada, dagli educatori. percorrendo la notte di Lima D i notte alcune vie del quartiere San Juan de Miraflores, a Lima, sono popolate quasi quanto di giorno. Come la luce del sole, anche quella della luna vede il passaggio di lavoratori e di clienti. L’auto si accosta di fronte a due ragazze di strada, che parlano fitto fitto tra loro. Questa volta, però, a scendere non è un cliente, bensì un uomo con una donna. E non si tratta di una coppia in cerca di emozioni forti: sono uno psicologo e un’assistente sociale, che ogni mese passano a trovare le ragazze. Così condividono la preoccupazione per una amica che da un po’ di notti non è al solito posto, l’ansia per i debiti contratti per pagare il nipotino gravemente malato, la stanchezza e la fatica dei mille problemi quotidiani. Ma anche le risa- te e la vitalità che, in modo apparentemente incredibile, esprimono queste giovani donne. Il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione minorile a Lima sta aumentando in maniera allarmante. Arrivano a mani vuote Luis e Diana. Non perché non abbiano nulla da dare, ma perché ciò che portano alle ragazze non è materiale. All’inizio le ragazze non lo capiscono, abituate come sono ad essere trattate e valutate esattamente come una merce. A vedere la dimostrazio- di Elena Acerbi foto di Raffaele Gallo ne quotidiana di come tutto sia in vendita e tutto abbia più valore della propria dignità. Luis e Diana, invece, non portano nulla né chiedono nulla in cambio. Almeno apparentemente. Accolgono i racconti delle ragazze, e raccontano a loro volta le attività quotidiane della Casa del Sorriso del Cesvi, dove qualsiasi bimbo del quartiere può trovare uno spazio per giocare e per fare i compiti, seguito da assistenti sociali ed educatrici. Dove le ragazze, quasi tutte mamme fin da giovanissime, possono parlare con psicologi che le aiutino ad affrontare i grandi problemi quotidiani. Quasi mai da queste parti i problemi sono davvero piccoli. Le ragazze sanno che, quando si sentiranno pronte a lasciare la strada, avranno qualcuno su cui contare, qualcuno che possa sostenerle in modo da non ricaderci. Luis racconta che spesso sono i momenti di forte crisi a dare questa opportunità: un incidente, la malattia di un figlio, un aborto finito male. Queste tragedie possono essere il fondo toccato il quale le ragazze decidono che “basta!”, è il momento di cambiare vita. Improvvisamente c’è un fuggi fuggi generale e le ragazze spingono Luis e Diana contro il muro. Sta passando un pick-up quasi uguale a quello di Serenazgo, la “polizia di quartiere”, che spesso nelle sue ronde notturne picchia le prostitute e i travestiti. E molte altre rimangono ferite nel tentativo di scappare o perché travolte dalla fuga delle altre persone. Per fortuna in questo caso è solo un falso allarme. Resta il senso di straniamento e di insicurezza causato da chi, in teoria, dovrebbe proteggere invece di minacciare. Conclusa la chiacchierata con le ragazze risalgono in macchina, dove li aspetta Emilio, l’autista di fiducia, che resta in macchina pronto ad intervenire - o a ripartire - nel caso sia necessario. La tappa successiva è la casa di alcuni ragazzi. Accolgono Luis e Diana come due vecchi amici. In effetti sono vecchie conoscenze, anche se hanno intorno ai vent’anni. Sono ragazzi che fino a qualche anno prima si prostituivano. Fino a che, grazie ad un corso di teatro all’interno della Casa del Sorriso, hanno scoperto di avere altri talenti e altre possibilità e hanno scritto e messo in scena un proprio spettacolo teasegue a pag. 8 Richiedi la brochure informativa sui lasciti testamentari. Compila questo coupon e spediscilo in busta chiusa a Cesvi Fondazione Onlus - Servizio Donatori Via Broseta 68/A - 24128 Bergamo (BG) Nome Cognome Indirizzo CAP Città Recapito telefonico Indirizzo mail desidero ricevere la brochure informativa sui lasciti testamentari desidero che mi indichiate un notaio amico di Cesvi nella zona di desidero essere ricontattato al numero 7 segue dalla settima Percorrendo la notte di lima trale, fondando una “compagnia” che hanno chiamato la Casa de los Talentos. Una versione di Cenerentola (Cenicienta in spagnolo) “en travestis”, la Travesticienta, appunto. Lo spettacolo ha permesso loro di mettere in pratica il loro talento artistico e di dare nuova dignità allo status di “travestiti”. Ma soprattutto, come dice Juan, attraverso il teatro sono riusciti a mettere in scena le difficoltà quotidiane di un giovane omosessuale in una società omofobica, che lo costringe a nascondersi e a vergognarsi dei suoi sentimenti. Loro sanno bene cosa significhi e, attraverso la rappresentazione teatrale, raccontano ai loro coetanei come sono riusciti ad affrontare quelle stesse situazioni. Nessuno meglio di loro potrebbe spiegarlo, né uno psicologo né un’assistente sociale. Infatti Luis e Diana lasciano parlare i ragazzi, che ora stanno scrivendo un altro spettacolo teatrale sulle difficoltà, le gioie e le sfide della loro vita. Il giro prosegue sulla strada che segna il confine tra i quartieri - grandi quanto piccole città, come tutti i barrios poveri di Lima - di San Juan de Miraflores e Villa El Salvador. Diana racconta che di solito ragazze e ragazzi di strada si rifugiano a San Juan, quando vedono avvicinarsi la Serenazgo di Villa El Salvador e a Villa quando passa la Serenazgo di San Juan. Le caricano a forza sui pick-up e le portano in cella. Vessate per una notte, spesso picchiate. Solo per spaventarle, visto non possono trattenerle. Questa notte purtroppo non hanno intuito in tempo da che parte scappare. Julia lineamenti delicati e bellissimi, traditi solo da una voce troppo roca, alla vista dell’auto del Cesvi si nasconde. Più tardi a Luis e a Diana dirà che temeva fosse ancora la Serenazgo, questa volta in borghese. Del resto la notte era iniziata sotto un pessimo auspicio, con la retata di tutte le sue amiche. Poi ha pensato potesse essere un cliente; invece era solo l’inizio di una chiacchierata, senza richieste né trattative, ma che vale molto più di qualsiasi cliente. I nomi dei ragazzi sono di fantasia. Le storie, invece, quelle sono vere. PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FATTI IN BRE13 ottobre 2008 Bergamo. Cesvi, in collaborazione con Slow Food lombardia, mette la “carta” sul banco degli imputati in un “processo educativo”. Il Tribunale è presieduto da Carlo Casti, Governatore Slow Food Italia, mentre il cancelliere è il comico Max pisu. Per l’accusa l’Avv. Daniela Rubino, socio Slow Food, e per la difesa l’Avv. ettore tacchini, Presidente Ordine degli Avvocati di Bergamo. Tra i testimoni, Massimo Medugno, direttore Assocarta, edoardo Isnenghi, docente Università della Tuscia, e egidio Marrazzi, docente di semiotica grafica. Giuria composta da studenti dei corsi di grafica del patronato San Vincenzo e di enaip lombardia. 1 ottobre Roma. Presso l’ufficio di rappresentanza della Provincia di Bergamo, Gigi Riva, giornalista de L’Espresso, intervista lella Costa e Maurizio Carrara autori del libro “Ho abbracciato il dugongo”, dedicato alla storia del Cesvi. Partecipa Giangi Milesi, presidente Cesvi. 18 settembre Roma. Il network link 2007, a cui il Cesvi aderisce, promuove l’incontro “Siamo ancora in tempo?” sugli obiettivi del millennio e l’impegno dell’Italia. Relazione di Stefano piziali del Cesvi. Partecipano Vincenzo Scotti, Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, piero Fassino, Ministro degli Esteri del Governo Ombra, enrico pianetta, Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera, Sergio Marelli, Presidente Associazione ONG italiane. Moderatore: Giuliano De Risi, direttore AGI. Conclusioni: Savino pezzotta. 16 settembre Bruxelles. Il network internazionale Alliance2015 presenta al Parlamento Europeo il proprio Report sul raggiungimento dell’obiettivo del millennio relativo all’eliminazione della fame e della povertà estrema. Intervengono tra gli altri Vagn Berthelsen, presidente di Alliance2015 e Koos Richelle, direttore generale di EuropeAid. Presente per il Cesvi Stefano piziali. 18 agosto Bihar (India). Pesanti piogge monsoniche causano il cedimento di una diga sul fiume Kosi, provocando una spaventosa esondazione del fiume stesso. Oltre due milioni gli sfollati. Cesvi sostiene l’intervento dell’Ong irlandese Concern, partner nel network Alliance2015. dieci anni fa 3 ottobre Brescia. Presso il palazzo Martinengo Villagana, terza tappa della mostra “Amazing Bangladesh” con le immagini di Giovanni Diffidenti, promossa da Cesvi con il sostegno del Gruppo UBI. La mostra fa parte del progetto “Aiutiamoli Insieme”, che ha visto il Gruppo UBI al fianco di Cesvi nell’aiuto alla popolazione del Bangladesh colpita dal ciclone Sidr nel 2007. Due grandi sfide Cesvi su Cooperando n° 48, Dicembre ’98: i progetti in Bosnia di ritorno degli sfollati e lo sviluppo umano nel delta interno del Mekong, uno dei siti naturali più preziosi del pianeta. Sono più di 5.000 le case ricostruite dal Cesvi nei Balcani nella seconda metà degli anni Novanta. Ma la sfida più difficile è quella della convivenza fra chi rientra nella terra di origine, dopo essere sfollato per salvarsi dalla guerra etnica, e chi nel frattempo è arrivato per fuggire da altre persecuzioni di segno opposto e ha occupato una casa abbandonata, oggi reclamata dal vecchio proprietario. La guerra ha disseminato odio e sete di vendetta e la mappa pubblicata su Cooperando con i flussi di rientro previsti dagli accordi di pace è un groviglio di frecce che rivela la difficoltà del processo. Cesvi è una delle poche Ong a riuscire nel difficile compito, anche nella regione di Drvar, “una delle più complesse e difficili di tutta la Bosnia”, come recita la lettera di encomio dell’European Commission Monitor Mission. A cavallo tra il Laos e la Cambogia, 700 km prima della foce, il grande fiume indocinese si dilata in un delta sterminato di 4.000 isole sabbiose, disseminate di 130 villaggi di pescatori e coltivatori di riso. Il progetto Cesvi bandisce la pesca dannosa e promuove l’uso sostenibile delle risorse naturali per dare impulso al progresso delle comunità native e preservare un ecosistema unico. LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E M Ho conosciuto il Cesvi credo sei anni fa, grazie ad un articolo su un celebre settimanale che spiegava come la somministrazione controllata della Nevirapina potesse impedire la trasmissione dell’Hiv da madre a feto. Questo aveva dato vita a Takunda, nome che è espressione di vittoria, ovvero a quel bambino che tutti sappiamo essere nato sano da madre sieropositiva. Sembrava un miracolo, eppure lo si era ottenuto con un farmaco. E soprattutto era possibile ripeterlo. Ho iniziato quindi ad informarmi sui progetti Cesvi, apprezzandone in particolare l’impegno umanitario in Corea del Nord e in Africa. Si lavorava “sul campo” per trasmettere le conoscenze di base che consentissero di affrancare dalla schiavitù degli aiuti internazionali i popoli in difficoltà. Settembre 2008 Distretto di Kati (Mali). Just Italia, azienda leader in Italia nella vendita a domicilio di prodotti e cosmetici naturali, sostiene il progetto “Donne del karité” del Cesvi in Mali. Obiettivo: costruire opere e acquistare attrezzature per sostenere le donne maliane impegnate nella produzione del burro di karité. L’obiettivo degli interventi si poteva esprimere in due parole: cooperazione e sviluppo. Di fondamentale importanza è stato poi conoscere la ripartizione di un bilancio “certificato”, secondo cui solo la minima parte delle donazioni, per lo più provenienti da privati a garanzia del carattere laico e imparziale dell’organizzazione, è destinata ai costi di gestione. Tuttavia il mio impegno a costruire un mondo migliore non sarebbe significativo se, oltre a sostenere il Cesvi, cosa di cui sono fiero, non mi adoperassi in privato ogni giorno a rispettare uomini, animali e piante, a limitare il mio personale contributo all’inquinamento del pianeta, a non sprecare l’acqua, a condividere le mie conoscenze, ma soprattutto a invitare, nei limiti del possibile, una società in cui anche i gatti sono ormai obesi a mangiare meno perché, un giorno non lontano, possano mangiare tutti. Antonio Facchin Grazie ad Antonio non solo per il contributo economico con il quale da anni sostiene i nostri progetti, ma anche per essere riuscito in poche righe a riassumere i valori che guidano il Cesvi e la sua filosofia d’azione. È per noi motivo d’orgoglio sapere che i donatori ci seguono con tale attenzione e dedizione, condividendo la nostra passione e l’adesione ai valori dell’imparzialità, della trasparenza e della solidarietà mondiale. Stimo il Cesvi, il suo impegno diretto, la sua efficacia e condivido le campagne che porta avanti. Per queste ragioni cerco di sostenerlo. Penso che i contributi economici non siano un grande merito e che il merito più grande vada invece a chi dedica un po’ del proprio tempo e della propria vita per operare direttamente sul campo. La lode e il riconoscimento vanno ai volontari e ai professionisti che, rinunciando anche temporaneamente alla propria carriera e ai propri vantaggi, si mettono a disposizione di chi ha più bisogno e meno opportunità. Del Cesvi ammiro la priorità che viene data ai bambini e alle donne perché sono convinta che il mondo cambierà in meglio quando l’infanzia sarà rispettata di più e le donne avranno un maggiore peso nella vita sociale, economica e familiare. Vorrei fare di più e in maniera continuativa per il Cesvi. È questo l’impegno che prendo. On. Patrizia Toia, parlamentare europea cooperando bimestrale cesvi Direttore responsabile: Giangi Milesi Redazione: Nicoletta Ianniello Cesvi Via Broseta 68/a 24128 Bergamo tel. 035 2058058 fax 035 260958 [email protected] Editore: Cesvi fondazione onlus ONG costituita il 15/1/85 riconosciuta il 14/9/88 - Ente Morale n. 1 Reg. persone giuridiche Pref. BG - Autorizzazione: Trib. di Bergamo n. 21 del 15.4.1986 Iscrizione ROC n. 3457 Consiglio d’Amministrazione: Giangi Milesi (pres.), Massimo Gualzetti, Nando pagnoncelli Collegio dei Garanti: Stefano Mazzocchi (pres.), Riccardo Bonacina, lella Costa Cooperando 112 è stato spedito a 45.414 donatori Cesvi. Abbonamento annuo: 15,00 €, gratuito per i donatori Grafica: INstudio, Bergamo Stampa: Ottavio Capriolo S.P.A., Caleppio di Settala (MI) Cesvi protegge i tuoi dati. Per saperne di più: www.privacy.cesvi.org Cooperando è stampato su carta riciclata 100% V-Green Matt, grazie al sostegno di pApeteRIeS MAtUSSIeRe & FoReSt www.matussiere-forest.fr Cesvi è il membro italiano della rete europea contro la povertà nel mondo