passi avanti - IRS l`Aurora

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passi avanti - IRS l`Aurora
PASSI AVANTI
Il nostro Viaggio
Perché non sia la dipendenza a dettare il passo
www.irsaurora.it
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Ci sono uomini e donne che hanno bisogno di rimettersi in piedi e di ritrovare la propria
strada. E hanno bisogno di sentirsi liberi per farlo. Liberi di scegliere. Liberi di essere.
Liberi dalla prigionia delle dipendenze da alcol, droghe, gioco.
E ci siamo noi della cooperativa I.R.S. L’Aurora, che quella strada la vogliamo percorrere
con loro. Al loro fianco, vivendone insieme la fatica, il sudore. Condividendo il coraggio di
non mollare, il silenzio e le parole che ogni esperienza porta con sé. Operatori, volontari,
amici. Compagni di viaggio.
Perché quando il cuore è troppo ferito e la mente vacilla su qualcosa è necessario contare
per ricostruire una propria identità. Noi abbiamo scelto i piedi. Abbiamo deciso di
pensare con i piedi. Abbiamo cominciato a camminare, senza capire bene perché, senza
sapere dove tutto questo ci avrebbe portato e dove ancora ci condurrà.
Camminando ci siamo presi il tempo per ascoltarci, riconoscerci, accettarci , scoprendo
che l’orizzonte fa meno paura se si cammina assieme.
Se cammini e cammini tanto, conosci anche la stanchezza, la fatica, ma ci siamo sempre
spronati a fare altri passi, ancora uno, uno ancora.
Passi avanti è diventato il nostro mantra, un progetto di vita, il nostro cammino insieme.
Ognuno con le proprie motivazioni, il proprio peso di ricordi e sogni, risorse e debolezze.
E così abbiamo scelto anche una strada. Perché da qualche parte bisogna pur partire. Da
qualche parte è necessario arrivare per ripartire ancora.
Ecco perché ci serve una mano
per i nostri piedi
Come è nato “Passi Avanti”
All’interno delle nostre strutture i progetti nascono sempre dietro una rifles sione e una
lettura dei bisogni. Questo progetto-avventura è nato seguendo degli indizi.
Primo indizio. (Chi poteva solo sospettarlo all’epoca)
Nel nostro cineforum settimanale ci è capitato di vedere il film: “Il cammino per Santiago”
dove il protagonista “accompagna” il figlio sulla strada che non ha potuto completare e
riesce a capire la differenza fra "la vita che viviamo e quella che scegliamo di vivere".
Nella discussione che ne è seguita, inevitabilmente abbiamo parlato del significato del
viaggio, della scoperta, della fatica quotidiana, della responsabilità. Abbiamo da subito
inteso come il cammino assomigli alle nostre vite e descriva le nostre difficoltà in modo
perfetto. Una perfetta similitudine.
Qualcuno ha anche espresso il desiderio (un po’ troppo ottimisticamente sembrava) di
provare quell’esperienza così ben trasmessa da quella pellicola.
Troppo costosi gli spostamenti, troppo lontano il cammino, troppa la nostra
inesperienza….
Secondo indizio.
Dopo pochi giorni mi è capitato tra le mani un libro. In modo assolutamente casuale,
cercando altro. Spunta un libro sulla via Francigena, antica via di pellegrini verso Roma.
Onestamente, a quel tempo, una emerita sconosciuta. Quindi un pellegrinaggio, una via di
cammino c’è anche vicino a noi.
Terzo e ultimo indizio.
La settimana successiva era il tempo dell’elezione del nuovo Papa. Roma è stato un
grande richiamo.
Dagli indizi è emerso il sogno, un progetto, una possibilità.
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Andiamo a Roma!! Proviamo. Quasi allo sbando. Mai nessuno di noi aveva fatto queste
cose. Come si organizza un pellegrinaggio? Chi mai verrà a camminare per 250 km? Quale
senso dare a tutto questo?
Di domande ne nascevano tante, risposte poche. Ma un ostacolo era necessario superare
da subito: avere dalla nostra cooperativa il via libera per passare dal pensiero ai fatti.
Ricordo quando ho chiesto al presidente Stefano Trovato se poteva approvare questo
progetto dicendogli che come Cesare Ragazzi “avevo una meravigliosa idea in testa”. Già
pensavo alle difficoltà, ai problemi amministrativi ed economici che avrebbe potuto
elencarmi. Mi ha risposto spiazzandomi: “sono irritato di non aver avuto io una idea così”.
Così è iniziata la nostra avventura, la nostra esperienza e le nostre riflessioni…….
Vogliamo percorrere tutta la via Francigena dal Gran S. Bernardo a Roma (1.000 km
Circa). Lo vogliamo fare in 4 anni, perché riteniamo importante inserire in questo
progetto anche il senso di comunità, di bene comune. Un staffetta in cui si passa il
testimone, di anno in anno, in cui l’obiettivo finale si raggiunge solo con l’aiuto degli altri ,
ma sentendosi sempre ed egualmente protagonisti. Se non ho percorso tutto il tragitto,
sono stato determinante nel raggiungere un obiettivo parziale. Sentirsi parte di un
progetto più grande… di una comunità in cammino.
Le prime domande, i primi perché
Quanta fede devo avere per intraprendere un pellegrinaggio?
Noi pensiamo sia necessario tanta fede. Se devi camminare per 30 chilometri ogni giorno,
a volte (come ci è capitato) per più di 40 chilometri e continui a fare passi avanti, non
cedi, prosegui, e quando arrivi oltre ad essere invaso dalla fatica, senti anche tanta
soddisfazione e vicinanza verso i tuoi compagni, non puoi non essere sorretto da una
grande motivazione e fede.
Quale forma prenda questa fede, dove sia indirizzata, dove tragga la sua forza, dove invia
le sue preghiere per noi è irrilevante.
Un popolo variegato il nostro, tra chi ha fede e chi non l’ha mai avuta, tra chi è alla ricerca
e chi già da troppo tempo è “contro”, tra chi spera e chi non si fa illusioni .
Il nostro è un pellegrinaggio “laico”, slegato da qualsiasi confessione religiosa. Ma è un
pellegrinaggio compiuto da uomini in ricerca, quindi profondamente e inevitabilmente
“spirituale”. Un cammino ricco di motivazione, consapevolezza, condivisione,
mescolato con fatica sudore e umanità. Un popolo variegato, che ha deciso di mettersi in
cammino. Non diteci che questo è poco.
Perché nelle nostre Comunità organizziamo
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Cammini o Pellegrinaggi?
Perché nelle nostre Comunità organizziamo Cammini o Pellegrinaggi? Perché sono di
moda, vanno controcorrente, o sono alternativi? Nel nostro statuto non è indicato come
scopo primario quello di mettersi in strada e camminare, ma quello di ”…offrire un’azione
di prevenzione, cura e riabilitazione per quanti…necessitano di azioni educati ve, sostegno
psico-pedagogico o cure a vari livelli”.
Sentiamo di avere il compito di far crescere le persone insegnando loro a tollerare le
difficoltà e le sofferenze, sperimentando in prima persona la forza e il calore
dell’aiuto reciproco “nell’esercizio” della condivisione e della solidarietà. Li
sosteniamo e li spingiamo ad andare avanti, anche quando l’obiettivo finale appare molto
lontano e sfumato, li sproniamo a rimettersi in gioco anche quando sembra non ne valga
più la pena, li incoraggiamo ad utilizzare gli altri come sostegno quando serve, e diventare
un appoggio per chi si trova in difficoltà.
Ci ritroviamo spesso all’interno dei nostri gruppi a discutere e riflettere sull’importanza
del mettersi in “viaggio”, dell’essere capaci ad affrontare momenti di difficoltà,
smarrimento e paura, del superare il senso di sconfitta. La comunità in effetti è un
luogo dove si “cammina in cordata” per raggiungere insieme la meta.
Quale miglior modo di sperimentare concretamente tutto ciò, se non mettersi in gi oco in
un cammino si scoperta? Diventando pellegrini, nel senso letterale del termine: “colui che
cammina per i campi”.
Subito si deve far fronte all’organizzazione del viaggio, con la scelta di affrontare
qualcosa di diverso e alternativo al prendere un mezzo di trasporto per raggiungere un
determinato posto.
La pianificazione del viaggio, è importante come il viaggio stesso. Scegliere la strada,
decidere le tappe, iniziare ad essere consapevole delle proprie capacità.
Poi inizia l’allenamento. Costante, per il raggiungimento dell’obiettivo. Allenamento che
deve proseguire quando non si ha voglia, quando è troppo freddo o troppo caldo, anche
quando l’entusiasmo per il progetto inizia a scemare. Poco prima della partenza poi
bisogna fermarsi un attimo e riflettere su cosa portare con sé. Qualsiasi cosa va portata
sulle spalle e quindi il peso deve essere necessariamente ridotto. Cosa per me è
indispensabile? A cosa posso rinunciare. Il tema di partire leggeri non è un
argomento periferico.
Poi inizia il viaggio, che in qualche modo ci trova in parte sempre impreparati, per le
tante cose non previste, positive o negative che ogni viaggio può riservare, soprattutto di
un viaggio di “ricerca”. Incontrare la parte più vera di noi stessi e di chi ci sta intorno, non
è mai facile anche se può diventare entusiasmante. L’arrivo poi, con il raggiungimento di
un obiettivo prefissato, la gioia di averlo raggiunto, la consapevolezza che dovrem mo
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raggiungerne altri.
Un viaggio che si inserisce perfettamente in un percorso “terapeutico” e di cura, e che
contiene tutti gli elementi che costantemente cerchiamo di mettere in campo nella
relazione con le persone che ospitiamo.
Ho desiderato tanto fare questo pellegrinaggio, tanto che nella mia testa
si era insinuata l'idea che non potevo perdere quest'occasione.
Alla partenza non ero per niente in forma. Lo zaino era pesantissimo, mi
sentivo stanca e avevo una gran paura di non farcela.
Camminare con queste idee in testa non aiuta. Infatti dopo cinque ore di
cammino sotto il sole battente, i miei compagni mi hanno trovato un
passaggio per arrivare a Radicofani. Senso di fallimento e di vergogna
totale. Arrivata al dormitorio incontro delle signore che cominciano a
farmi tante domande mentre preparavano la cena e io ho iniziato a
parlare parlare parlare …
Intanto dei miei compagni neppure l'ombra. Poi prima della cena mi
chiamano e mi dicono che si fa il rito dalla lavanda dei piedi: mi lavano i
piedi, li baciano e li benedicono perché io possa arrivare a Roma. Chi
avrebbe mai immaginato una cosa del genere? Mi veniva da ridere. Tutto
mi faceva ridere. Il posto, quelle voci, quelle persone, quegli occhi, questa
situazione assurda. Io sola con degli sconosciuti mentre mi faccio lavare i
piedi. Dopo un'ora ancora rido ma mi accorgo che dentro il mio cuore
sono felice. Ora so che arriverò a Roma ho avuto la benedizione più bella:
ora sono diventata una pellegrina.
Poi ogni notte la sorpresa di un ostello diverso, di un letto diverso. Ogni
giorno una nuova avventura una nuova scoperta una nuova bellezza:
qualcuno che mi stava accanto col mio passo lento, pur avendo gambe
chilometriche, qualcuno che mi tendeva una mano nei punti più
pericolosi, qualcuno che mi guardava con tenerezza, qualcuno che mi
sorrideva, qualcuno che divideva un panino. Che regali che miracolo. Non
mi sono mai sentita tanto fragile e tanto curata. Senza chiedere ho
ricevuto tanto. Il dono dell’incontro dell’”uomo”. Le sapevo già queste
cose. Il miracolo è che le ho vissute sulla via Francigena. Grazie compagni
pellegrini. Grazie Dio
Giusi
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Tra simbolismo e mal di schiena
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Il mio Zaino..
Lo zaino non è cosa da poco perché innanzi tutto ce lo portiamo sempre dietro e sulle
nostre spalle. 13 kg il peso del mio zaino! Nei giorni che precedono la partenza ci
raccomandiamo sempre con tutti: “non superare mai i 10 kg di peso, e possibilmente
seguire sempre la regola del 10% del proprio peso”.
Impossibile per me. Io che mi posso portare uno zaino che può arrivare a 9 Kg supero
sempre di gran lunga la soglia. Ma ciò che mi preoccupa di più è che ogni anno il peso
dello zaino aumenta. Quest’anno è più pesante dell’anno passato.
L’esperienza evidentemente non insegna, non tanto e non così bene come la paura.
La questione dello zaino è una di quelle che riguarda nel profondo la nostra vita. Una
grande similitudine tra chi riesce a percorrere la “vita” leggeri, o si appesantisce di “cose”.
A cosa non riesco a rinunciare? A cosa sono così attaccato? Quali sono le mie paure?
Per capire dove ognuno di noi si colloca è necessario preparare il proprio zaino e con
quello partire. Forse inizieremo ad avere dubbi, incertezze e farci domande…
Nel cammino sentirò freddo, sentirò troppo caldo, avrò mal di testa, prenderò un
raffreddore, le scarpe che porto sono quelle giuste, se incontro la pioggia dovrò prendere
dei cambi, gli occhiali da sole saranno necessari, i prodotti per l’igiene a cui non si riesce a
rinunciare…?
Poi può nascere anche l’ansia di prevenire ogni cosa, con cerotti di ogni forma e utilizzo,
ogni sorta di farmaci, torce, coltelli da campo, attrezzi vari.
Io evidentemente di paure me ne porto dietro tante e le mie spalle le devono sopportare.
Alla fine di cosa ho davvero bisogno per vivere per i prossimi 10 giorni di cammino? Cosa
è essenziale e cosa è superfluo? Non ci resta altro che riempire di nuovo lo zaino e
pesarlo.
D’altronde anche uno zaino troppo leggero può essere un problema.
Hai pensato davvero a tutte le cose essenziali per la tua vita, oppure parti in modo
irresponsabile, appoggiandoti agli altri per ogni difficoltà? Ti accorgerai di aver
dimenticato cose essenziali solo per trascuratezza? Magari dell’acqua?
La leggerezza sulle spalle, non può essere frutto di una organizzazione spensierata, che
grava sulle spalle di altri.
Lo zaino quindi oltre ad essere una scelta tecnica e organizzativa importante, porta con
se delle implicazioni determinanti alla buona riuscita del viaggio. In parte parla di noi,
delle nostre zavorre, delle nostre paure, della nostra voglia comunque di metterci in
cammino.
“È difficile descrivere come ho vissuto la via francigena. Ricordo il
mattino della partenza e i confronti sugli zaini. La capienza, la
forma, le frasi tipo: “meglio partire con la zaino pieno e lasciare
qualcosa durante il tragitto” o “meglio vuoto da riempire man mano”.
Quasi tutti siamo partiti con lo zaino pieno, noncuranti che quel
carico avremmo dovuto portarlo e farlo nostro per 250 km. Ma di
quello zaino che è costata così tanta fatica, ora sento la mancanza. Il
peso è rimasto all'incirca invariato ma mi sono arricchita di
sensazioni ed emozioni molto profonde, di percorsi e paesaggi del
territorio e dell’anima. Eravamo lontani dalla I.R.S. L'Aurora, eppure
siamo stati una comunità di 13 persone che ha condiviso tutto: acqua,
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cibo, discussioni, ilarità, chiarimenti e dolori. Abbiamo toccato con
mano i nostri limiti anche di chi come me si è dovuta fermare e
chiedere aiuto. Ma poi ho ritrovato fiducia in me stessa, nuova forza,
ho sentito il supporto e l’aiuto dei miei compagni e ho ripreso il
percorso. Il pellegrinaggio è terminato, ma non la voglia di
raggiungere nuovi obiettivi di vita, con la consapevolezza oggi, che ho
la forza per superare altri momenti di difficoltà che nella vita potrei
incontrare”.
Maruska
Il viaggio pensiero collettivo?
Siamo partiti in 13, A piedi. Nove giorni di cammino. Abbiamo
attraversato la campagna, visto borghi e villaggi percorso sentieri e
strade trafficate. Ci siamo persi svariate volte abbiamo preso la
pioggia affrontato salite specialmente negli ultimi 5 km, dormito poco
e male, abbiamo riso molto, scazzato poco, abbiamo passato otto notti
in otto differenti letti mangiato seduti a differenti tavole, in ostelli,
convenienti, pranzato su cigli delle strade, che sono uguali in tutto il
mondo così come lo è il pane in cassetta. Abbiamo bevuto caffè che più
scendevamo a sud più erano buoni e mangiato gelati sfusi la sera.
Dopo 260 km siamo arrivati alla meta. Un Angelo ci ha accompagnati
e ci è venuto a riprendere perché nonostante vesciche e problemi vari
ci siamo arrivati tutti. È stato bello viaggiare e camminare sapendo di
poter contare sugli altri perché chi con la forza chi con l'ingegno chi
con una parole ed una battuta ognuno ha messo del suo, tutti abbiamo
contribuito allo scopo arrivare perché eravamo 13 teste e 26 piedi
perché il viaggio è un pensiero collettivo…
Roberta
Noi non abbiamo precisamente viaggiato. Abbiamo fatto un viaggio,
da un luogo ad un altro, all’interno di noi stessi. Abbiamo imparato
tante cose, alcune probabilmente ci hanno stupito. A me ha stupito
capire, vedere, verificare quanta strada è possibile fare con le nostre
gambe. Questa è solo una e apparentemente (solo apparentemente a
mio parere) la più banale.
Poi continuo a pormi delle domande…..
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Perché hai deciso di prendere parte a questa “pazzia”? Chi volevi
incontrare? Cosa volevi capire? Quante cose volevi dimostrare?
Quali pesi ti sei portato? Quali zavorre hai lasciato per strada? Che
cosa hai raccolto invece? Hai scoperto qualcosa? Qualcosa ha trovato
conferma? Dove sei cambiato? In quale momento?
Per queste domande che mi porto dietro, che pongo a te e a me nello
stesso momento, rispondo che il nostro viaggio, che il viaggio,
qualsiasi viaggio è un pensiero collettivo. Anche quando non mi
sento più capito o accolto, quando gli sforzi e le fatiche non sento di
poterle condividere, quando mi sembra di essere solo…. Io viaggio
per incontrare qualcuno, qualcosa.
Si tratta inevitabilmente di un rapporto, di un contatto, che non
lascia mai indifferente, ma porta invece sempre ad un cambiamento.
E se io cambio… cambia il mondo!
L’allenamento
Come si fa a convincere qualcuno ad affrontare 250 km di cammino a piedi. Vero che
ormai tanti intorno a noi partono per intraprendere questo tipo di esperienze, come è
vero che spesso li ammiriamo e poi pensiamo nel profondo: “ma chi glielo fa fare”? E’ vero
che ci sono film e leggiamo di persone che hanno affrontato viaggi estremi, come è vero
che se andiamo a contare, questi sono solo un frazione infinitesimale di noi. Per quante
persone ci sono sugli antichi percorsi di pellegrinaggio sono sempre pochi. La stragrande
maggioranza di noi preferisce spostarsi in auto anche per tratte molto brevi. S arà per
questo che qualcuno ha scritto che camminare è l’ultimo atto rivoluzionario della nostra
vita?
Quindi come facciamo a convincere 10/15 persone ogni anno a fare una bella fatica
senza essere pagati in alcun modo?
All’annuncio di questo progetto nei nostri gruppi, diversi mesi prima della partenza,
alcuni si fingono disinteressati, altri lo sono realmente, altri ancora rimangono spaventati
ed interdetti da qualcosa che non riescono a capire bene!
Per qualcuno invece parte “l’adesione” ad un sogno, una fantasia che viene stimolata, il
richiamo della strada si fa sentire, il cambiamento della routine giornaliera che diventa
allettante e con “entusiasmo e riserve” danno la loro adesione. Altri invece si mettono di
traverso, hanno bisogno di essere contro, nella speranza che l’idea stessa naufraghi.
A questo punto si parte con quelli che hanno risposto positivamente. Di solito non
tantissimi ma neppure pochi.
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Si inizia a camminare. Il gruppo di coloro che vogliono affrontare “l’impresa” inizia a
conoscersi sotto una luce diversa, mai sperimentata prima: quello del cammino. Si discute
sulle abitudini sportive, chi è a digiuno di qualsiasi esperienza chiede a chi ne sa di più.
“Emergono” zaini e scarponi nascosti chissà dove, usati in campi scout di chissà quanti
anni prima. Ricordi di “camminate” interminabili per sfuggire a disavventure che sanno di
incredibile. Passeggiate in montagna a contatto con “puma” e “coccodrilli”, e la ricerca di
una baita nella notte sotto una tormenta di neve. Le prime passeggiate insomma
all’insegna di risate e spensieratezza procedono leggere. Basta un “filo di gas”, la testa
persa nei ricordi, nessuna idea della stanchezza che inevitabilmente si dovrà affrontare
nel proseguo del “sogno”.
Dopo qualche camminata qua e la si sentono alcune lamentele per le prime
sperimentazioni di vesciche. Questo è l’inizio di un grande dibattito, ancora non concluso,
tra chi visceralmente parteggia per gli scarponi sempre e comunque e chi le snobba per
un buon paio di scarpe da ginnastica. Gli argomenti sono sempre molteplici e comples si
da una parte e dall’altra, ma appare chiaro che di solito ognuno, dopo tanto parlare,
rimane sempre e comunque della propria opinione, tenendosi per se le proprie sicurezze
e a volte aimè le proprie vesciche.
Esiste a dire il vero un terzo gruppo, non troppo convinto né di una tesi, gli scarponi
sempre, né dell’altra, scarpe comode e leggere. E’ di solito quella persona che ad ogni
passeggiata sperimenta una scarpa diversa, ed ogni volta elenca pregi e difetti di questa o
dell’altra calzatura. Come farà poi a decidere quale portare solo lui lo sa.
Il periodo delle prime vesciche comunque è il momento in cui c’è una prima scrematura
del gruppo. Qualcuno abbandona per mille motivi, ma soprattutto perché il sogno, la
fantasia, il cambiamento della routine sono stati sufficienti. Il cammino compiuto, la
possibilità di incontrare le persone su piani differenti, non è stato comunque tempo
perso. Per un tratto, seppur breve, abbiamo percorso la stessa strada insieme. Forse su
quella stessa strada ci incontreremo ancora.
Arriva il momento poi, in cui il tempo passato sulla strada aumenta, e con esso i
chilometri percorsi. Si aprono nuove esperienze anche in questa fase. Si scopre la
bellezza del territorio che ci circonda. Piccoli paesi e frazioni percorsi a piedi, sono assai
diversi da come li si vedono in auto. Si apprezza il piccolo sentiero in mezzo agli alberi,
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calandosi in un silenzio che la città ha reso innaturale. I primi momenti di condivisione
nella stanchezza, la gioia di una sosta e il piacere di un caffè. Altre persone salutano il
gruppo dei camminatori, perché capiscono che camminare è faticoso se non lo fai con
gioia. Il gruppo comunque continua, e si rinforza. Impara a conoscersi e riconoscere i
pregi e i difetti dell’uno e dell’altro. I punti di forza a cui ci si potrà rivolgere nei momenti
di difficoltà e i punti di debolezza che dovranno essere sostenuti.
C’è chi riesce sempre a tirare fuori la battuta simpatica, al momento giusto, chi con la sua
“forza” sostiene e sprona senza dire una parola, chi riesce a risolvere i problemi pratici
con grande lucidità, chi si orienta meglio del GPS.
Visto che il gruppo prosegue nel progetto del cammino, e non è stato possibile fermare
questa “deriva”, capita a volte, che qualcuno rompa gli indugi. Forse davvero vale la pena
fare questa pazzia. “Visto che ho trovato per caso le scarpe che mi mancavano, che la luna
trasmette buoni presagi, che in fondo uno straccio di zaino qualcuno me lo rimedia.. Ok
vengo anch’io”!! Da domani inizio a camminare con voi”.
E capita che da zero, questa “marziano” inizia a camminare da un giorno all’altro per
20/25 chilometri senza dare troppi segni di stanchezza. Lui al pellegrinaggio ci sarà!
Siamo al completo e continuiamo a camminare perché l’allenamento si fa sul serio. A
camminare, si va con il caldo o con la pioggia (così testiamo anche l’attrezzatura) se sono
stanco o se mi girano le scatole. Perché ci saranno 10 giorni della nostra vita in cui
saremo chiamati (perché lo abbiamo consapevolmente scelto) a camminare insieme ogni
giorno. Quando si parte?
Motivazione
È qualcosa di profondo che ci spinge a superare i nostri limiti, a varcare barriere mai
superate prime, a vederci in modo diverso, a oltrepassare zone inesplorate a scavalcare
paure profonde. La motivazione è essenziale in ogni impresa difficile, inclusa quella di
liberarsi da una dipendenza. Cosa ci sia dietro la motivazione non saprei.
È facile ipotizzare che chi inizia e prosegue gli allenamenti e ha desiderio di
intraprendere il cammino con noi sulla Francigena, è motivato per una ragione o per
l’altra. Ma anche la motivazione iniziale può essere fragile, si scioglie a volte sotto il primo
sole torrido di una stradina di campagna, o di fronte ad una salita impegnativa.
Una motivazione che riguarda gli altri di solito non regge mai. Lo faccio per farmi vedere
forte dagli altri, o se gli altri ci riescono ci devo riuscire anch’io, sono motivazioni che
reggono 2 o 3 camminate e magari anche una camminata tosta. Poi nasce l’idea che, “ho
già fatto vedere” quello di cui sono capace e posso fermarmi.
Un motivazione personale invece, che riguarda noi, di solito è più forte, più determinata, e
più profonda.
Ma se chiediamo quali siano le motivazioni che ci spingono a camminare, le risposte sono
“banali” e tutte uguali. Il desiderio di finire ciò che si è iniziato, la voglia di affrontare
qualcosa di nuovo, il piacere del contatto con la natura.
Guardare con chiarezza ciò che spinge a vivere un’avventura non è semplice. Più
difficile ancora doverlo comunicare agli altri. Spesso riguarda qualcosa di profondo
appunto, di personale, una sensazione che ci sfiora, che cogliamo per un attimo e poi la
lasciamo andare.
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“Non avrei mai pensato nella mia vita di avere la voglia e la
motivazione di organizzare un “viaggio” per tredici persone, di avere
la voglia e la motivazione per camminare per più di 250 km, di
dividere le mie cose, i miei spazi, il cibo e il bagno, con altre persone.
Non avrei mai immaginato di farlo con persone scelte unicamente dal
destino e soprattutto dalla comune forte motivazione. Strano quindi,
che ognuno di noi non abbia mai parlato della propria motivazione.
Ne avevamo tutti una diversa, immagino. L’unica cosa in comune era
l’intensità della motivazione stessa. Questa motivazione ci ha fatto
fare molta strada, ci ha permesso di dormire vicini e condividere tante
cose. Ci ha permesso di sostenerci, di sopportarci anche, di vivere le
frustrazioni e la fatica. Perché di fatica ne abbiamo avuta davvero
tanta. Ma questa motivazione è un’alchimia che nasce e muore, un
fuoco d’artificio, oppure è qualcosa che è possibile gestire, richiamare,
utilizzare?
Se potessimo ripartire domani per una esperienza come quella che
abbiamo fatto, quanti avrebbero nello zaino la giusta motivazione”?
Davide
Camminando siamo riconosciuti
Dopo pochi giorni di cammino viene spontanea una riflessione. Qui noi siamo
riconosciuti. Non per i nostri nomi, ne per il nostro lavoro o per quello che abbiamo fatto
(di buono o meno) nella nostra vita. Qui siamo riconosciuti come pellegrini e come tale
accolti. Questi paesaggi stupendi ci accolgono ogni giorno, ma anche le persone. ti
salutano più facilmente, ti chiedono se hai bisogno di aiuto, ci sorridono, noi più
facilmente sorridiamo a loro.. Siamo riconosciuti e accolti. È questo è un grande regalo
che questo cammino dona... Per chi accoglie e per chi viene accolto.
Il nostro distintivo, la nostra carta di identità, è data dal percorrere una strada, dal
portare uno zaino in spalla. Non siamo altro in quel momento, non abbiamo meriti
o demeriti particolari, non abbiamo una storia che deve essere narrata. Siamo
pellegrini. La nostra storia in quel momento è questa: persone che hanno scelto di
percorrere una distanza che separa un luogo dall’altro a piedi. Persone che hanno scelto
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di percorrere uno spazio e un tempo alla “ricerca”. Non sappiamo bene di che cosa: di noi,
di un senso, di un perché, di una domanda che ancora non ci siamo posti.
Questo ci viene riconosciuto e su questa base siamo riconosciuti. Una scelta, una fatica
che merita rispetto.
Il cammino ci permette di sperimentare la possibilità di essere visto con occhi nuovi.
Permette di vedere gli altri con occhi nuovi. Quanto è facile salutare una persona mai
incontrata prima portando uno zaino sulle spalle?
Persone che ti vedono in difficoltà e si fermano, che caricano gli zaini in macchina di chi si
trova in difficoltà per portarli al prossimo ostello, o che caricano qualcuno che non può
più camminare per quel giorno. Ti fermi in un piccolo paese accanto ad una fontana, e un
signora porta il caffe per tutti. Altre che ti fanno accomodare nella loro casa.
Piccoli esempi, brevi contatti per rientrare in rapporto con nostra “umanità”.
Perdere la strada
Quando si inizia un viaggio lo si fa pianificandolo. Si controllano le strade. Si controllano i
chilometri che dovranno essere percorsi in ogni tappa, si verifica se il percorso è in
pianura o in salita. Si controlla se si cammina su strade asfaltate oppure su sentieri..
Eppure capita che per quanto si cerchi di organizzazione e pianificazione, il viaggio
riservi sempre sorprese ed imprevisti. Aver fatto liste su tutto quello che c’è da portarsi
dietro non significa che poi nello zaino si trovi quello che si cerca.
Mansioni e responsabilità vengono equamente suddivise.
Ma la persona che doveva portare una determinata cosa aveva capito male, pensava che il
responsabile fosse un altro. L’ostello che doveva accoglierci magari non è proprio come ce
lo aspettavamo e i posti in branda sono meno del numero di coloro che vorrebbe dormire
su qualcosa di più morbido del pavimento. Gli imprevisti sono sempre possibili
Tra tutti gli imprevisti capita anche quello di sbagliare strada. Bisogna impegnarsi per
farlo: ci sono i segnali che indicano i sentieri, ci sono le mappe, c’è il GPS, eppure a volte ci
si ritrova sulla strada sbagliata.
Non è una sensazione piacevole. Ognuno di noi ha provato questo senso di smarrimento.
Con l’auto, in bici o a piedi, poco cambia. Per un attimo ci si sente persi, insicuri, con un
dubbio che si insinua in noi.
Perdere la strada significa perdere se stessi.
Svaniscono i punti di riferimento, l’insicurezza rende difficile decidere la scelta tra
proseguire e verificare, o tornare subito indietro.
Nell’allenamento che facciamo, mettiamo sempre in conto che potremmo fare per tante
ragioni qualche chilometro in più di quelli previsti. Le nostre gambe e i nost ri muscoli
sono allenati per sopportarli e sostenerci. La nostra “testa” no.
Ritrovare la strada, il sentiero giusto significa poi ritrovare anche la parte di noi che si era
persa. A volte quindi è necessario perdersi per poter sperimentare la fantastica
sensazione di ritrovarsi.
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Un viaggio… tanti viaggi
Credo che per me siano stati 3 viaggi in uno…
“Nel primo viaggio ho potuto ammirare posti che non conoscevo e che
mi hanno colpito per la loro bellezza: le campagne, le città, i piccoli
paesi carichi di storia.
Il secondo viaggio è quello che fai con le persone, è stato molto bello
conoscere operatori ed utenti fuori della comunità, le emozioni sono
sempre tante e contrastanti, molto amplificate, nel bene e nel male, in
quel momento ti senti parte di un gruppo uniti dallo stesso progetto e
dalla stessa meta. Ci sono stati momenti in cui pensavo di mollare e
non farcela, poi guardavo i miei compagni e più delle parole trovavo
conforto nella loro forza e determinazione e sopportavo la fatica ed il
dolore vedendo come loro affrontavano quello stesso dolore e quella
stessa fatica… Credo di avere sperimentato nel pratico cos’è la “FORZA
DEL GRUPPO”.
Il terzo viaggio è quello che fai dentro di te. Sono partito con una
grande paura di non farcela, ho convissuto per giorni con la fatica ed
il dolore che non mi mollavano neanche un attimo eppure non mi sono
mai sentito così in contatto con me stesso come durante il
pellegrinaggio… e più scoprivo me stesso e più mi rendevo conto di
quando gli oggetti diventano superflui, le cose materiali che contano
sono poche e semplici”.
“In questi giorni appena ne ho avuto l’occasione ho fatto pulizia nel
mio garage buttando via tutta la roba inutile; ho imparato da questo
viaggio che bisogna fare spazio dentro e fuori se stessi per fare posto
alle cose davvero importanti…
Pietro
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La prima prova che ho affrontato, la più dura è stata decidere se partire e
iniziare il pellegrinaggio o rinunciare.
Con il gruppo ho camminato nelle campagne padane sotto il sole
tremendo in un paesaggio monotono e pure era bello condividere con
tutti la fatica per giungere alla prima meta. Quel paesaggio monotono
l'ho visto come la mia vita negli ultimi anni prima dell'ingresso in
comunità.
Camminando ho pensato a mia figlia Martina e a quante tappe dovrò
raggiungere ancora prima di arrivare alla meta: riabbracciarla
Camminando ho riflettuto su come tante volte ho rinunciato a percorsi
ben più facili della “ciclo via del Po” per colpa del mio orgoglio.
Camminando ho ammirato la bellezza dei posti della nostra terra ma
anche la forza e lo spirito di ogni uno dei miei fratelli pellegrini.
Giuseppe
E' straordinario come nel cammino siamo tutti uguali nella più
completa diversità. Ognuno ha il suo bagaglio personale che se vuole
può condividere. Senza sapere chi hai davanti ti poni istintivamente a
disposizione pronto ad ascoltare, a volte a confidare ....in uno scambio
in cui non c'è nessuna paura del confronto e questo è bellissimo.
Ausilia.
La fratellanza
Oggi sentirsi fratelli appare una espressione desueta. Ci sono troppe cose che sembrano
separarci, molto più forti ed evidenti di quelle che tentano di unirci.
Durante il cammino, non saprei per colpa di chi, neppure quando con precisione, è nata la
confraternita. Una sorta di “congregazione” religiosa-amicale. Con la propria gerarchia, e
il proprio gergo. Il priore, il saggio, il chierichetto, ma soprattutto i fratelli.
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Ma se scherziamo sulla fratellanza e ci chiamiamo fratelli una ragione ci deve pur
essere.
Se ti chiamo fratello, e tu rispondi, se metto la mia mano sulla tua spalla, e tu percepisci il
calore che trasmette, sappiamo entrambi che ci stiamo impegnando con un gioco di ruoli.
Entrambi sappiamo che siamo al riparo e protetti dal nostro gioco di ruolo.
Entrambi sappiamo che abbiamo espresso un sentimento di fratellanza realmente emerso
e accettato.
Abbiamo camminato con fratelli, a volte minori, a volte maggiori, abbiamo
camminato con fratelli in difficoltà, abbiamo camminato con un grande privilegio
nel cuore, quello di poterci sentire fratello tra fratelli, uomo tra uomini, pellegrino
tra pellegrini.
Fermare il tempo in un viaggio. Imperativo organizzare mente fisico e
zaino. Parto con altri nel viaggio divento parte degli altri, qualcosa ci
accomuna… Tutti. Nel cammino capisco quanto il sudore sia simile alle
lacrime. Quando scendono in bocca e sanno di sale. Quanta fatica e
quanta bellezza insieme. Massacrante e meraviglioso il viaggio. Ho capito
che quando sudo, sudo come gli altri quando soffro, soffro come gli altri,
le mie ferite sono le stesse degli altri. Ho capito il significato della parola
diversi e la sto facendo mia. Non sottolineo più ciò che non capisco ma lo
accolgo, ci provo grazie tutti quelli che hanno condiviso questo viaggio
con me
Sauro
In questo pellegrinaggio ho capito che passo dopo passo la vita è come un
cammino. Cambiano i paesaggi come cambiano i momenti della vita. Ci
sono le salite, poi incontri le discese ci sono i momenti brutti poi tornano
quelli belli.
Per ottenere risultati bisogna lottare non arrendersi bisogna continuare a
camminare anche se sei in compagnia del dolore e ripartire.
Ho scoperto il piacere di chiedere e di dare aiuto. Nel nostro
pellegrinaggio quasi per scherzo è nata la confraternita. Era facile
all'interno di questo gioco chiamarsi fratelli. Era facile anche darsi un
aiuto e chiederlo trovare sempre la spinta per andare avanti e trovare
una parola di conforto e prendere il peso dell'altro. Ringrazio tutti i miei
fratelli e sorelle per quest'esperienza che porterò dentro di me per sempre
Massimo
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Camminare a vista e imparare a
“contare” su di sé
Camminare a vista è una regola per noi.
Ci serve principalmente per non perderci. Non abbiamo cellulari e difficilmente
riusciremo a ritrovarci. Difficile, ma non impossibile: ci è capitato. Dietro ad ogni regola
però c’è un significato. Per noi camminare a vista serve ad acquisire la giusta
l'attenzione agli altri.
Ognuno deve essere interessato all’altro. Chi cammina veloce deve volgere il proprio
sguardo indietro ogni volta che incontra un bivio, una difficoltà qualsiasi. Chi cammina
lentamente deve guardare avanti mantenendo il contatto con i primi. Si parte in gruppo e
in gruppo dobbiamo arrivare. Camminiamo a vista perché dobbiamo contarci e
imparare a contare su noi stessi. Perché il gruppo deve essere compatto. Vogliamo
essere attenti agli altri, perché l’obiettivo è comune e condiviso, e perché all’obiettivo
comune e condiviso vogliamo arrivarci insieme.
Far quadrare i conti
In cammino ho imparato a contare.
A contare se c’eravamo tutti, per non perderci, per aspettarci, per
ritrovarci.
A contare i chilometri che mi separavano da ogni cosa:
dall’acqua di cui avevo bisogno, dal paese che mi avrebbe accolto,
dall’arrivo…che non era una fine, dalla partenza…che era un distacco.
Per il solo gusto di contarli, quei dannati o benedetti chilometri.
A contare sugli altri, perché senza gli altri non avrebbe avuto senso.
A contare su di me, per ricordarmi chi sono, per ricordarmi la vita.
A contare i panini per farli bastare.
A contare le energie che se non c’erano era un guaio.
A contare le parole per scandire il passo.
A contare le zanzare. Quante zanzare…
In cammino ho imparato a contare.
E per farlo mi sono dovuta guardare indietro. E per farlo ho dovuto guardare
avanti.
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In cammino ho imparato a contare:
tutto quello che sarebbe potuto essere diverso,
tutto quello che sarebbe potuto essere migliore,
tutto quello che mi è bastato e piaciuto così com’era.
In cammino ho imparato che anche se ci si prova a farli tornare, i conti non
quadrano.
C’è sempre qualcosa che sfugge. E quel qualcosa è la parte migliore, più succosa del
cammino.
Ed è questo il ricordo più vivo che ho.
Costanza
Il cammino come scoperta
Quando abbiamo una idea fissa, quando vediamo il mondo solo nello stesso modo,
identico e immutabile, quando le categorie sono troppo rigide, lo spirito di avventura
muore. Non c’è più nulla da conoscere nel mondo, nell’altro, in chi ci sta accanto. Tutto è
schematico, Che serve mettersi in cammino? Per incontrare chi? Per andare dove?
Ma se ti metti a camminare invece, qualcosa del mondo hai voglia di vederlo ancora. Hai
voglia di cambiare idea qualche volta. Il cammino è fatto anche di questo.
A volte incontriamo luoghi, ambientazioni, atmosfere che ci aiutano a non sentire la
stanchezza, anzi abbiamo tante energie da spendere. E’ come se alcuni luoghi ci
nutrissero ad ogni passo.
Altre volte invece camminiamo in zone sempre uguali a se stesse, che non offrono nessun
tipo di ispirazione, dove ogni passo è una fatica, dove pensi che non ne uscirai più, dove i
piedi prendono fuoco, e ti chiedi perché stai camminando in quel posto e su quella strada.
La risposta che ci diamo è che quella strada, quel posto così poco significativo per la
nostra “anima” così tanto significativo per i nostri muscoli i nostri piedi ci condurrà su
altri percorsi a conoscere altri luoghi.
La consapevolezza di tutto questo non arriva subito arriva col tempo.
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Per alcuni arrivare alla fine di un cammino è una sfida. Verso se stessi, verso la vita che
non li ha mai visti concludere nulla. Una sfida verso chi è rimasto a casa. Una sfida contro
gli operatori. Uno scontro, una piccola guerra, contro il mondo.
Da un punto di vista concettuale e motivazionale tutto molto semplice ed elementare. In
questo momento la persona non viaggia “insieme”, non viaggia “con” ne tanto meno “per”.
Sono io contro qualcuno, contro chiunque. Non mi guardo troppo intorno, sono
concentrato a camminare. Non rifletto, l’importante è fare chilometri, diminuire la
distanza che mi separa dalla meta.
È molto rassicurante sapere che anche questa esperienza è stata portata avanti secondo i
canoni di tutte le altre fatte in precedenza. Niente di nuovo in questo cammino. La sfida
tra chi è più forte, testardo, “ignorante” permane.
Non che la sfida non sia importante nella nostra vita. Ha permesso all’uomo di fare passi
avanti in tanti campi sportivi e scientifici. Ma dalla sfida, per renderla positiva, va rimossa
l’idea del duello. L’importante non è vincere su di noi, sull’altro, su una idea, su un
opinione, ma superare una barriera, un ostacolo, una recinzione. Una sfida contro
l’altro, o una sfida per altro sono cammini molto diversi, anche se partono dallo stesso
punto.
Camminando prima o poi si abbandona l’idea delle sfide.
Non è semplice, e non viene neppure naturale.
Bisogna lavorare parecchio per togliere questi strato protettivo.
Arrivare ed aiutare a porsi delle domande e spingere alle risposte è una parte importante
del cambiamento. Cosa ho imparato in questo cammino? Che cosa mi ha dato questa
esperienza?
Com'è vissuto le relazioni con gli altri?
Che cammino hai fatto dentro di te?
L'aspetto emotivo che emerge è un aspetto che fa paura perché può essere dirompente
perché può essere appassionante perché può cambiare il modo di concepire la vita,
perché cambia il modo di camminare su questo mondo.
Camminare per allontanarsi e decidere per ridimensionare il ritmo della
vita. Per togliere l'affanno, con uno sforzo maggiore. Uno sforzo che
tempri il fisico e renda la mente capace di elaborare lo stress e il dolore.
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Camminare per ritrovare la fiducia, la stima di se stessi e delle persone
che si incontrano.
Cammino per sentirmi capace ancora efficiente in grado di affrontare le
difficoltà.
Per me è molto difficile confronto con il resto del mondo immergermi nel
mondo camminando forse può aiutarmi.
Bisogna però prepararsi meditare sul momento avere un cuore saldo è
una motivazione forte per affrontare le salite estenuanti il tempo
mutevole le discese rischiose la monotonia della pianura assolata ma poi
ce la meta voluta desiderata sofferta. Il sogno realizzato, l'aspettativa
tanto attesa.
Nazareno
Iniziare timoroso, proseguire giorno per giorno sempre più sicuro e
terminare raggiante e dispiaciuto che tutto sia finito.
È bello pensare come 10 giorni abbiano inciso così profondamente nella
mia vita. Prima vissuta completamente cercando di farsi vedere diverso a
fingere di poter essere capace di affrontare tutto con indifferenza ma
sapendo che non avrei mai portato niente a compimento. Poi mi sono
accorto che essere se stessi è la vera sfida da affrontare giorno per giorno
facendomi aiutare quando ne ho bisogno.
Grazie a tutti i miei compagni anzi fratelli e sorelle per uno straordinario
indimenticabile cammino che mi hai insegnato che nella vita se si vuole si
può.
Giancarlo
Durante il viaggio quello che mi ha stupito di più, è vedere come con le
mie gambe, posso andare dappertutto. Non credevo fosse possibile
attraversare strade città paesi campi e sentieri. Per me che odio i
confini, vissuti come imposizioni, è stata una rivelazione.
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Le distanze, di conseguenza, non mi fanno più paura “nei limiti del
ragionevole". Cose che prima credevo insormontabili ora sono alla mia
portata, le vedo, le guardo le valuto diversamente. Ho una nuova
percezione di me nel mondo: sono infinitamente piccola su questa
terra ma posso “andare”. E all'improvviso il mondo mi sembra
praticabile ... Ci sono infinite strade… non ho che da scegliere la mia. Il
pellegrinaggio dunque non si conclude alla meta, non finisce
arrivando ma continua nella vita. Essere stato pellegrino, se lo si è
stato nel profondo, riflettendo, ragionando, pensando non è
un’azione… trascende dal semplice spostarsi camminando. Un
pellegrino lo è per la vita.
Pellegrini dell'anima
Roberta
Camminare, sentire le proprie gambe che vanno avanti nonostante la
fatica, la stanchezza e nonostante non sia stata una giornata proprio
entusiasmante.
Ma allo stesso tempo sentire l’aria sul proprio viso, sentirsi viva.
Un piede avanti all’altro, non si fermano, vanno avanti, nonostante
tutto
Il cammino lento e veloce
Michela
Il nostro cammino, non coinvolge solamente coloro che prendono parte al viaggio. Va al di
la delle persone che hanno partecipato ai cammini precedenti. Supera il numero di quelli
che vi parteciperanno in futuro.
Perché il cammino coinvolge tutti noi, è il nostro viaggio che coinvolge coloro che ci
stanno vicino, ogni giorno dell’anno.
Nella nostra vita, facciamo i conti con tanti problemi di cui diventiamo consapevoli negli
anni. La specificità di un viaggio lento, sta nella velocità con cui si possono svelare i nostri
problemi e renderci consapevoli di “zavorre” che rallentano il nostro viaggio da così tanto
tempo.
Quasi incredibilmente nel viaggio lento tutto diventa più veloce.
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Dieci giorni in compagnia di una persona valgono come anni di convivenza: i suoi difetti
come le sue qualità si snodano in rapida progressione. Da subito si intravvede quale sarà
lo spirito di aggregazione di un gruppo, la capacità di trasmettere aiuto reciproco, la
soglia di sopportazione, insomma la facilità di costruire e trasformare un gruppo di
singoli in una comunità.
Per questo e per tante altre ragioni pensiamo e speriamo che il cammino coinvolga tutti
noi.
Non un progetto organizzato e realizzato da poche persone per poche persone, ma
“un’attività che ormai ci contraddistingue e che è entrata nel nostro modo di
pensare e vivere la cura”.
Un progetto che ci può dare spunti per nuove attività, che ci porta a immaginare nuove
mete, che vuole spingere quante più persone possibili a intraprendere un “viaggio
esperienziale” che può cambiare il nostro approccio alla vita. Basta fare “Passi Avanti”.
Buon Viaggio.
Il coordinamento del progetto Passi Avanti
Iniziare un nuovo cammino spaventa.
Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto
di come era pericoloso rimanere fermi.
Roberto Benigni
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Passi avanti: è un progetto della cooperativa sociale IRS L’Aurora, da anni sul territorio
marchigiano nella cura delle dipendenze patologiche e nel recupero sociale.
L’impresa: 1.000 km a piedi, percorrendo la via Francigena. Dal Colle San Bernardo a Roma.
L’impresa di un gruppo di donne e di uomini che hanno scelto di camminare perché non sia
la dipendenza a dettare il passo.
Per realizzarla ci serve anche il tuo aiuto.
Solo così potremo garantire a tutti la possibilità di partecipare.
Sostienici donando un tuo contributo al progetto.
IBAN: IT42 J033 5901 6001 0000 0063 690
Per info:
T. 0712802615 – 3939258012
[email protected]
www.irsaurora.it
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