Uno - Aggrappato al pomello della porta il professor

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Uno - Aggrappato al pomello della porta il professor
- Uno -
Aggrappato al pomello della porta il professor
Levante ammise di trovarsi di fronte a un problema.
Tuttavia, anziché mollare la presa e iniziare a ragionare, rimaneva avvinghiato a quell’appiglio come
un naufrago in lotta con la profondità degli abissi.
Tra i flutti dei suoi sensi sconvolti, i richiami del
corpo soverchiarono la mente e lo precipitarono, suo
malgrado, in uno stato di irrealtà difficile da dominare: innanzitutto i brividi. Li sentì serpeggiare dalla
cima dei capelli verso la punta dei piedi. E tornare in
su. Trovò che il sudore, ghiacciandosi, fosse una cosa decisamente sgradevole. Partito in sordina, un allarme iniziò a ronzargli nelle orecchie con crescendo sordo e pulsante.
Barlumi di senso del ridicolo lo spinsero finalmente ad abbandonare la porta e a tentare di reagire,
ma appena si girò verso la stanza gli occhi presero a
ruotare da una parete all’altra come se davanti a lui
ci fosse il diavolo in persona.
Pensieri senza capo né coda si affacciarono alla
memoria, sciamarono, nella stanza, immagini del passato. Improvvisamente ridestato il nugolo dei ricordi si infoltì, prese ad affollarsi intorno alla sua testa
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senza che se ne potesse difendere: brusii, sibili, fruscii molesti come di insetti disturbati e scalmanati arrivarono da inattese direzioni, lo aggredirono attraverso rotte insensate. Dov’è la via d’uscita? Quando
era un bambino un giorno gli capitò di rompere un
prezioso oggetto di porcellana di sua madre: aveva
fissato le schegge frantumate incredulo e atterrito,
fuori da ogni cognizione del tempo. Traballò. Nello
studio stava calando il buio, gli oggetti avvolti dall’ombra della notte porgevano insoliti profili. Guardò
smarrito la poltrona sulla quale innumerevoli volte
aveva visto sudare studenti emozionati e impreparati: sembrava un nero isolotto su un mare stagnante.
Fatti due passi, l’intera mole del suo corpo crollò di
peso sul vecchio cuoio: l’ampia seduta lo accolse
scricchiolando. Si riscosse, con gesto perentorio accese la lampada sulla scrivania concentrando l’attenzione dritto davanti a sé. Sulla parete di fronte la cornice barocca pendeva un poco verso destra disturbando il suo senso dell’ordine e della simmetria. Da
quella prospettiva, considerò, non aveva mai guardato il dipinto, un’anonima crosta che di prezioso
aveva solo l’età.
Uno spiffero vibrò tra gli infissi della finestra alle
sue spalle, smosse le tende e gli strusciò un dito gelido sul collo. Le orecchie, come antenne, ripresero a
captare: nello stabile, a quell’ora di sera e con quel
tempo da lupi, non c’era più un’anima, il portone,
due piani più sotto, sbatté e un fragore sinistro rimbombò nel buio delle aule vuote, echeggiò per scale
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Niente per caso
e corridoi, vibrò sulla porta chiusa del suo studio.
Intorno al giro vita del professore lo strato di adipe
tremolò come gelatina.
Cercò di controllarsi, doveva prendere tempo, ragionare, riaversi dallo shock. Invece pensò alla moglie, e questo lo impietrì; l’ultimo avanzo di energia
lo abbandonò, fuoriuscì dalle sue membra come la
cera persa sotto la spinta della colata di bronzo: abituato a pensare per metafore si immaginò come una
statua, la linfa vitale tramutata nel fluido maligno
della rabbia che in lega con la paura gli attanagliò
cervello e cuore.
Fuori, il rumore strisciante delle auto sull’asfalto
bagnato di pioggia sembrava avvertirlo che la vita
procedeva regolarmente, come se niente fosse accaduto ad alterare l’equilibrio del mondo.
Si prese la testa tra le mani e con il busto cominciò a dondolare, gemendo. Aveva visto colleghi cadere in disgrazia per molto meno, per lui sarebbe
stata una catastrofe, e a un passo dalla fine della carriera, dalla pensione. Tutto il suo mondo vacillava, la
reputazione stessa era in pericolo, il suo nome rischiava il disonore.
Intanto alla pioggia si era aggiunto un vento rabbioso. Il temporale in arrivo si preannunciava tremendo. Da buon studioso dell’età romantica accolse
gli eventi naturali come l’appropriato sottofondo
della sua afflizione e finalmente il nodo alla gola si
allentò sotto la spinta prorompente di un singhiozzo.
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- Due -
Tenendosi a una prudente distanza di sicurezza,
Giovanni Ardigò fissava incantato il fuoco che
aveva preso a divampare con vivacità davanti ai suoi
occhi affascinati. La carta imbevuta di benzina alimentava le fiamme che crepitavano, salivano in alto,
dardeggiavano scarlatte, vermiglie, con lunghe lingue fulve e blu. Spire di fumo presero a uscire dalla
finestra a lato del braciere, un catino di smalto utilizzato per sciogliere a bagnomaria colle, resine e
lacche. A raffiche e a folate il vento risucchiava e
respingeva il fumo nella stanza, ravvivava le vampe
dell’incendio, involava frammenti inceneriti che roteavano vorticosi come coriandoli funerei.
In pochi minuti non rimasero che brandelli carbonizzati, lievissimi e impalpabili.
Ardigò prese con cautela il catino e lo appoggiò
nel lavello, poi aprì il rubinetto e ascoltò l’acqua
sfrigolare mentre nuvolette di vapore nero si sollevavano riempiendogli le narici dell’acre odore di
bruciato. Intanto che gli ultimi residui gorgheggiavano giù per lo scarico, riordinò velocemente l’ampio locale del retrobottega e sprangò la finestra. Alla
sua sinistra un’enorme tela annerita dal tempo,
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agganciata alla parete e alta fin quasi al soffitto,
richiamò la sua attenzione: tra gli ossidi e il catrame
seicentesco guizzavano brevi bagliori di spade e corazze ma della furiosa battaglia tra Romani e Sanniti
poco era ormai distinguibile.
Accostò la porta e si affacciò un momento nel
negozio a controllare le imposte alle vetrine: tutto
era in ordine, nelle bacheche della libreria antiquaria
i libri stavano schierati in file allineate, obbedienti e
fidati come vecchi amici, diligenti e devoti. Trattare
libri era il suo mestiere: zattera, faro, approdo sicuro nel gran mare delle incertezze.
Spente le luci si avviò su per la scala interna che
conduceva al suo appartamento: smilzo, ossuto e ricurvo per via di una deformazione della colonna vertebrale che con gli anni si stava trasformando in una piccola gobba appuntita, compiva ogni gesto con l’agilità di
un volatile che attende solerte al proprio compito.
Fuori la pioggia stava aumentando d’intensità e
aveva preso a venire giù fitta e violenta con un frastuono maligno che superava l’ostacolo dei vetri e
delle persiane chiuse contro cui si avventava furiosa. Era un autunno crudo e tagliente, una stagione da
malanni per chi, come lui, aveva oltrepassato la sessantina. Percorso con familiare sicurezza un lungo
corridoio buio, si soffermò un momento davanti alla
porta della camera della sorella: filtravano, dai battenti, le limpide note dell’Adagio di Albinoni insieme a una luce azzurrina. Due tocchi leggeri: “Laura,
io vado a dormire, ti dispiace se salto la cena?”
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Niente per caso
“Tutto bene, sì?” sentì rispondersi dall’interno
della stanza. Doveva essere seduta alla scrivania,
ancora a lavorare. Era lei che si occupava dell’amministrazione del negozio. “Sto benissimo Laura,
buonanotte”. Poi si diresse deciso verso la sua stanza, con pochi gesti si spogliò e si infilò sotto la
pesante coltre che tirò su, con strappo energico, fin
sopra alle spalle, avvezzo com’era a non spartire il
talamo con nessuno. Sistemò il collo sul cuscino –
basso e scomodo così come prescritto dal medico –
e gli sfuggì l’ennesima maledizione contro gli acciacchi dell’età. Si raggomitolò. Nel buio il suo pensiero corse a Michele, il giovane amico che, appena
laureato, era in procinto di partire per una vacanza.
Meritatissima, pensò. Si rivide ventenne: sfavillio
delle luci, tintinnio dei bicchieri, allegro sbattere delle forchette sui piatti. Il ristorante è elegante, ma a
lui e ai suoi amici poco importa dell’etichetta. Due
coppie felici, la gioia della sorella, l’avvenire fulgente, ricco di promesse che il presente, appressandosi, avrebbe realizzato secondo le sue proprie regole, in altri, imprevedibili e diversi modi.
Cambiò posizione e si distese, pensò al falò appena consumato: insieme alle carte, nella fiamma purificatrice, si era dissolta anche l’ansia di quegli ultimi mesi. Rotolò la lingua nella bocca e sentì un sapore dolce-amaro. Lo attribuì alla cena saltata e lentamente si addormentò.
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- Tre -
“Mi sembra proprio di non aver dimenticato nulla,”
mormorò Michele mentre con viva forza dava l’ultimo
strappo alla cerniera dello zaino. Poi provò a metterlo
sulle spalle e per poco non cadde. Rise, appoggiato in
precario equilibrio alla sponda del letto, e pensò che si
trattava solo di imparare a dosare le forze, a trovare il
baricentro. Niente al mondo gli avrebbe rovinato il
buon umore, quella sera, neppure quel tempaccio che
infuriava da giorni con pioggia e vento gelido e allagava le strade. Alle nove in punto della mattina successiva sarebbe stato in aeroporto. Telefonò alla sua
ragazza, un ultimo saluto prima di andare a dormire, le
ultime raccomandazioni, i biglietti li hai messi in
borsa? E i documenti? Tutto a posto? Buonanotte, a
domani, passo alle sette, facciamo alle sette meno
venti, è meglio essere prudenti, non farmi aspettare.
“Buonanotte, dottor Roversi!” gli aveva detto lei.
Sì, proprio così: Dottore, Dottore in Lettere. Da un
giorno e qualche ora. Finalmente usciva da quello
stato incerto e a suo modo protetto che era la condizione di studente. Ora sarebbe entrato nella vita,
quella vera, quella che non sta scritta sui libri e che
non procede per anni accademici e teorie.
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Sull’onda dell’ottimismo considerò che l’umanità era qualcosa di straordinario: dopo quanto gli era
capitato quel giorno niente avrebbe più potuto sorprenderlo. Apparenza e verità non sono che diverse
angolature da cui guardare il mondo, ma il suo centodieci e lode era reale, granitico, effettivo, così come il viaggio lungo un mese con la sua ragazza.
Mentre stentava ad addormentarsi per l’eccitazione, Michele pensò che la proposta di lavoro che aveva ricevuto nel pomeriggio valeva la pena di essere
presa in seria considerazione. Era giunta inaspettata,
come le cose migliori.
***
Dopo due mesi di assoluta siccità e caldo africano,
una pioggia battente mista a grandine e a violente raffiche di vento aveva tenuto sotto assedio la città per tre
giorni consecutivi. Allagate, le strade paralizzavano il
traffico, foglie e fango intasavano le fognature, nel suo
alveo melmoso il fiume ruggiva minaccioso. La protezione civile aveva dichiarato lo stato di all’erta: il
tempo faceva le bizze, metteva a dura prova i meteorologi. Finalmente la mattina del quarto giorno il cielo,
dato fondo al repertorio autunnale, concesse una tregua e si aprì, i tetti delle case, le cupole e i campanili,
intrisi d’acqua, luccicarono sotto i raggi improvvisi del
sole che si faceva strada tra squarci di nuvole.
All’aeroporto i voli ripresero a decollare in orario, tutto tornava alla normalità.
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Michele, fiducioso e quasi baldanzoso, comprò al
volo il quotidiano locale e si imbarcò.
Giovanni Ardigò, quella mattina, fece uno strappo alla regola e si recò di buon ora in edicola.
Il professor Levante, invece, trovò come d’abitudine una copia del giornale in facoltà e se la portò
nell’aula dove mezz’ora dopo avrebbe tenuto la lezione inaugurale del suo corso.
Insieme alle notizie dei danni provocati dal maltempo, apparivano, in sesta pagina, due articoli riguardanti entrambi la facoltà di Lettere: evento di per sé
piuttosto straordinario per una città alquanto disattenta ai fatti della vita accademica e agli studi umanistici in particolare. Protagonista di entrambi, pur con segno opposto, era il professor Furio Levante.
Il primo era un breve trafiletto e annunciava l’avvenuta discussione di una tesi di laurea curata dal
professore che, nella sua prolusione, l’aveva definita “premessa di un evento di importanza capitale per
gli studi critici sull’Ottocento”. Il nome dello studente autore della tesi, Michele Roversi, appariva in
chiusura d’articolo.
Il secondo riportava invece un fatto di cronaca
nera e indulgeva a toni catastrofici:
FURTO E ATTI VANDALICI ALLA FACOLTÀ
DI LETTERE
“MERCOLEDÌ SCORSO, ALLE NOVE DELLA SERA, IL
PROFESSOR FURIO LEVANTE, ORDINARIO DI “STORIA
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DELLA LETTERATURA ITALIANA DELL’ETÀ ROMANTI-
CA”, RIENTRATO UN MOMENTO NEL SUO STUDIO PER
PRENDERE ALCUNI APPUNTI DI LAVORO, SI È TROVATO
DI FRONTE AD UNA SGRADITA SORPRESA. NELLA STAN-
ZA REGNAVA IL CAOS PIÙ ASSOLUTO, L’UFFICIO ERA
STATO SVALIGIATO, IL CONTENUTO DEGLI SCHEDARI,
DELL’ARMADIO E DEI CASSETTI GIACEVA ROVESCIATO A
TERRA, CALPESTATO E MALTRATTATO.
DOCUMENTI, LI-
BRI, DISPENSE, APPUNTI, REGISTRI, CATALOGHI, FOGLI
VOLANTI E BOTTIGLIETTE DI INCHIOSTRO ROVESCIATE,
OGNI COSA CONFUSA, MACCHIATA E SGUALCITA DAL-
L’OPERA DI QUELLO CHE POTREBBE ANCHE ESSERE UN
PAZZO.
DOPO
IL SOPRALLUOGO DEGLI AGENTI DELLA VICI-
NA STAZIONE DI POLIZIA, IL PROFESSORE, RIAVUTOSI
DALLO SHOCK, SI È SUBITO DISPOSTO A RIORDINARE IL
SUO STUDIO
NISTA
–
– LA SUA VITA, COME HA RIFERITO AL CRO-
NEL TENTATIVO DI INDIVIDUARE COSA FOSSE
STATO TRAFUGATO E IL MOTIVO DELLO SCEMPIO.
ALLO
STATO ATTUALE DEI FATTI, SEMBRANO MANCARE
ALL’APPELLO DIVERSI DOCUMENTI CHE NON HANNO,
APPARENTEMENTE, NESSUN NESSO TRA LORO, ALCUNI
DI IMPORTANZA CAPITALE PER GLI STUDI DEL PROFES-
SORE. IL COMANDANTE,
DR MILANI, CHE PER ORA NON
VUOLE PRENDERE IN CONSIDERAZIONE L’IPOTESI DI
UNO SQUILIBRATO, SOSTIENE CHE I LADRI, CERTAMEN-
TE DILETTANTI, ABBIANO PORTATO VIA PIÙ COSE NEL
TENTATIVO DI STORNARE L’ATTENZIONE DALL’OGGETTO
DEL LORO VERO INTERESSE...”
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L’articolo proseguiva con un commento sullo
stato di degrado del fatiscente palazzo in cui aveva
sede il Dipartimento di Letteratura italiana dell’Ottocento e sull’aumento della microcriminalità in
città.
Un cenno biografico sul professor Levante riempiva la terza colonna dell’articolo giornalistico: un
panegirico che il cronista aveva forse voluto tributare al professore a compensazione del misfatto di cui
era stato vittima. O forse una pretesa del professore
in cambio dell’intervista rilasciata mentre cercava di
raccapezzarsi nell’intrigato, babelico sottobosco
cartaceo che ricopriva il pavimento del suo studio.
“IL PROFESSOR FURIO LEVANTE,
NOSTRO ILLUSTRE
CONCITTADINO, INSIGNE CATTEDRATICO PRESSO LA
FACOLTÀ DI LETTERE DAL 1986 E DIRETTORE DI
DIPARTIMENTO DA OLTRE DIECI ANNI, È AUTORE DI
IMPORTANTI SAGGI SULL’ESTETICA ROMANTICA (POESIA
D’IMMAGINAZIONE, POESIA DI SENTIMENTO, IL PROGETTO
E L’INTENZIONE) E SUL ROMANZO DELL’ETÀ RISORGIMENTALE (ROMANZO E SOCIETÀ, IL PERSONAGGIO STORICO) – TUTTI PUBBLICATI CON LA CASA EDITRICE
ADELCHI – . RECENTEMENTE HA DATO ALLE STAMPE,
CON ENNETI, UN DIZIONARIO CRITICO, CHE ATTRAVER-
SO OSSERVAZIONI ACUTE E TAGLIENTI PRENDE IN ESAME
ALCUNE PROVE LETTERARIE DI GIOVANI SCRITTORI
CONTEMPORANEI.
PROMOTORE TRA I PIÙ ILLUMINATI
SOCRATES, INTRATTIENE RAPPORTI
LE UNIVERSITÀ DI PARIGI E LISBONA,
DEL PROGETTO
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PRESSO CUI STUDENTI MERITEVOLI VIVONO L’ESPERIEN-
ZA FORMATIVA DI MASTER BIENNALI. TIENE UNA RUBRI-
CA SETTIMANALE DI LETTERATURA SUL QUOTIDIANO
L’ANNUNCIO
E, DA TRE ANNI, È
PRESIDENTE DELDUELLANTI, CELEBRE ASSOCIAZIONE CULTURALE CITTADINA, IL CUI PATRIMONIO LIBRARIO SI È NOTEVOLMENTE ACCRESCIUTO GRAZIE AI LASCITI E ALLE ACQUISIZIONI CHE IL PRESTIGIO E LA GARANZIA DEL NOME DEL PROFESSOR LEVANTE HANNO
FAVORITO E INCORAGGIATO.”
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