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n. 101 / 14
1 dicembre 2014
Giacomelli
si immola
(politicamente)
sul canone
Si è celebrata in queste ore la morte politica
di Antonello Giacomelli, sottosegretario al
Ministero delle Attività Produttive con delega
alle comunicazioni, quello che una volta era il
Ministro delle Telecomunicazioni.
Giacomelli da mesi lavora alla riforma del
canone RAI e, dopo aver reso noti nei mesi
scorsi solo alcuni principi ispiratori (equità
sociale, meccanismo non eludibile, diverse
soluzioni allo studio), pochi giorni fa ha partecipato alla trasmissione “24 Mattino” su Radio24
condotta da Alessandro Milan. In questa
trasmissione, ripresa immediatamente da tutti i
mezzi di stampa (compreso DDAY.it), Giacomelli
ha spiegato che grazie a un emendamento alla
legge di stabilità, il canone, in forma ridotta,
sarebbe stato inserito all’interno della bolletta
elettrica. Giacomelli ha poi chiarito, con pochi
condizionali e molte certezze, che sarebbero
state esenti le seconde case (ma forse non le
terze), che i gestori energetici avrebbero avuto
congrui rimborsi dei costi della nuova riscossione e soprattutto che il provvedimento, al quale
si lavora da mesi, sarebbe entrato in vigore a
inizio 2015. Poche ore dopo, fonti di Palazzo
Chigi (tra l’altro non ben identificate) hanno
smentito tutto quanto affermato in diretta la
mattina stessa dal sottosegretario Giacomelli,
chiarendo che era tutto falso: l’emendamento
citato non sarebbe entrato a far parte della
legge di stabilità, che non è neppure certo che
verrà utilizzato lo strumento della bolletta elettrica, che tutto si vedrà più avanti con apposita
legge. E tutto ciò mentre lo scenario politico
nazionale si incammina a larghe falcate verso
elezioni in primavera e quindi a un ragionevole
rinvio del tema al prossimo esecutivo.
Antonello Giacomelli si è richiuso nelle sue
stanze aspettando che passi la buriana. Ma è
in un vicolo cieco: deve dimettersi. E deve farlo
subito, per sperare di avere un barlume di futuro politico. I casi sono due: o Giacomelli, che
peraltro è giornalista e quindi conosce le regole
del gioco, si è fatto prendere la mano andando
oltre quanto concordato con i rappresentanti di
Governo, e in tal caso deve dimettersi per aver
agito senza le opportune deleghe. Oppure può
essere che Giacomelli abbia avuto tutte le rassicurazioni del caso e abbia agito in coscienza e
perfetta buona fede: in tal caso deve dimettersi
per manifestare il proprio dissenso e in autotutela nei confronti di chi l’ha fatto esporre, per
poi “bruciarlo” poche ore dopo.
L’unica cosa certa è che il canone 2015 sarà
ancora più difficile da esigere, dato che questi
tira e molla da parte del Governo su tributi
neppure troppo simpatici dà sempre luogo a
un aumento dell’evasione. E con le elezioni
all’orizzonte, non crediamo che il Governo sia
veramente pronto a riportare all’ordine del
giorno il tema del canone, cosa che comporta
un discreto rischio di perdere voti, sia dentro
il Parlamento fragile di oggi, sia alle urne delle
Politiche. Tutto il lavoro di questi mesi attorno
al canone è molto probabilmente destinato a
finire nel cestino, insieme al Sottosegretario
Giacomelli che ne ha ben gestito la nascita e la
crescita ma che è stato disaccorto protagonista
dell’epilogo di questa (brutta) storia italiana.
Gianfranco GIardina
MAGAZINE
Vodafone lancia
LTE Advanced
in 80 città 08
Apple apre Lightning
Sarà possibile creare
nuovi accessori 10
Come scegliere
la migliore cuffia
per giocare 20
Bancomat: da marzo si potrà
usare anche per comprare online
Grazie a PagoBancomat si paga come con la carta di credito
Promesso un sistema sicuro, senza pin e gestito dalla banca
03
SKY lancia il Super HD
Più qualità ma non per tutti
SKY ha lavorato sui master per offrire
una migliore qualità dei contenuti
Si parte a Natale con due titoli
e con un gruppo ristretto di abbonati
in prova
28
LG G Watch R
OK, la strada è giusta
04
31
03
Panasonic AX900 in prova
Super LCD, ma che prezzo
Up Move
La qualità è davvero eccellente, comparabile Jawbone
Subito in forma
a quella del migliore TV al plasma, ma il
prezzo (quasi 4500 euro) è davvero elevato
13
35
25
Canon EOS 7D Mark II
La reflex più attesa
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
mercato La riforma del canone Rai non rientrerà nella legge di stabilità: serve più tempo
Il Governo frena sul canone Rai in bolletta
Bisogna capire come gestire tutti gli ostacoli e convincere gli operatori, che sono scettici
di Roberto PEZZALI
L
a bolletta elettrica dei primi mesi
del 2014 non includerà il canone
Rai: la riforma, infatti, non rientrerà nella legge di stabilità ma richiederà
più tempo. Il Governo ha “gelato” il sottosegretario Antonello Giacomelli che
vedeva la riforma in dirittura d’arrivo, e
probabilmente sulla decisione ha pesato l’opposizione delle aziende fornitrici
di energia che fin da subito si sono opposte al provvedimento. L’obiettivo del
Governo resta sempre la lotta all’evasione del Canone, tuttavia sembra che
la strada al pagamento in bolletta sia in
salita e piena di insidie. Poco importa se
si pagherà meno, circa 60 euro contro gli
attuali 113 euro: le forze politiche dell’opposizione sono contrarie, i cittadini non
vedono di buon occhio la cosa e i nuovi
“esattori”, ovvero le aziende che forni-
scono l’energia, hanno voltato le spalle
fin da subito all’idea. Inoltre, e questo è
un fatto da non trascurare, non si è ancora capito come aggiungere una qualche
forma di “equità” al pagamento: sfruttare
i dati Irpef o l’indicatore ISEE è una procedura troppo complessa e difficile. Una
bella patata bollente per il Governo: che
l’evasione del Canone debba essere
eliminata è fuori discussione, tuttavia
sarebbe più semplice abbassare l’evasione fornendo un servizio di qualità con
contenuti all’altezza. In ogni caso non è
semplice trovare una soluzione.
UE: marcia indietro sulla Neutralità di Rete
Bocciato il testo della Presidenza Italiana ma sulla revisione della Neutralità c’è intesa
D
di Paolo CENTOFANTI

torna al sommario
Equiparata l’aliquota IVA
degli e-book a quella
dei libri tradizionali
Ora rischiamo sanzioni
da Bruxelles
di Gianfranco Giardina
mercato I Paesi dell’Unione Europea vogliono ammorbidire le norme volute dalla Kroes
opo aver ritrattato l’eliminazione
del roaming in Europa, in favore
dell’istituzione da parte degli operatori telefonici di nuove clausole di “fair
use”, il Consiglio Europeo ha valutato nei
giorni scorsi un testo uscito dalla Presidenza Italiana in cui si fa parziale marcia
indietro anche sulla neutralità di rete, di
fatto chiedendo la cancellazione della
definizione di neutralità uscita dal voto
del Parlamento Europeo lo scorso aprile. L’intenzione sembra proprio quella di
dare ascolto alle lobby delle compagnie
telefoniche, visto che nel testo, da una
parte scompare la stessa espressione
“neutralità di rete”, sostituita da una descrizione di principi, dall’altra viene meno
la definizione di “servizi specializzati”,
quelli cioè che potrebbero venire discriminati dai provider.
Teoricamente il testo continua a mettere
dei paletti alla possibilità per i provider
di gestire la banda assegnata a singoli
servizi, ma viene meno il divieto esplicito
di discriminare in base al costo applicato agli utenti per l’accesso alla rete: in
L’IVA sugli e-book
ridotta al 4%
L’Europa che dice?
pratica non c’è nulla di vincolante per
rispettare il principio di neutralità stesso.
La neutralità di rete è quel principio secondo cui un provider non può trattare in
modo diverso il traffico generato dai vari
servizi. Il testo, che riguarda il pacchetto
di misure già approvato dal Precedente
parlamento per la creazione di un mercato unico delle telecomunicazioni, è
stato in ogni caso bocciato dal Coreper,
il Comitato Permanente de Rappresentanti dell’Unione, visto che è mancato
l’accordo soprattutto sul roaming, con
ben 20 Stati che avrebbero rifiutato la
proposta italiana di dare il via alla nuova
tariffazione a partire dal 2016, preferendo un più “comodo” 2018. Anche il consiglio dei ministri delle telecomunicazioni
dell’Unione Europea non è riuscito a trovare una base comune tra i vari e Paesi e
ormai la discussione del pacchetto Connected Continent passerà al 2015.
Saltando il testo proposto dall’Italia, cadono per il momento anche le modifiche
per quanto riguarda la Neutralità di Rete,
tema però su cui in realtà, a differenza
del roaming, ci sarebbe purtroppo perfetta sintonia tra gli Stati membri.
La Commissione bilancio della
Camera ha approvato l’emendamento alla legge di Stabilità
presentato dal Ministro ai Beni
Culturali Dario Franceschini, che
riduce l’IVA sugli e-book dal 22%
al 4%, la stessa aliquota che interessa i libri di carta. Ora si apre
l’incognita sull’atteggiamento della
Comunità Europea di fronte alla
presa di posizione del Governo
italiano: in passato furono comminate multe ai Paesi comunitari che
avevano ritoccato verso il basso
l’IVA degli e-book e anche recentemente Bruxelles si era espressa
in maniera critica nei confronti di un
possibile ribasso da parte dell’Italia,
interpretando la possibile iniziativa,
auspicata dagli editori italiani, come
un aiuto di stato al comparto editoriale. Il provvedimento è pensato
per i libri ma non è chiaro se riguarderà anche le riviste e i quotidiani,
le cui versioni elettroniche sono anch’esse soggette a un’IVA del 22%.
Peraltro un emendamento nella
direzione di quello di Franceschini
era già stato presentato alcuni
giorni fa da parlamentari di Scelta
Civica, e questo prevedeva esplicitamente che tutti i prodotti che già
giovano, nella versione cartacea,
di IVA agevolata l’avrebbero avuta
anche nelle versioni elettroniche.
Resta da capire, nel caso fosse
questa l’interpretazione, quale sarà
l’imposizione su e-book e contenuti giornalistici a pagamento che non
abbiano un corrispettivo cartaceo,
come i siti Web.
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
mercato L’annuncio è stato fatto da Sergio Moggia, direttore generale del consorzio Bancomat
Da marzo acquisti online con il Bancomat
Per gli acquisti online non servirà neppure il pin, tutto verrà gestito direttamente dalla banca
D
di Roberto PEZZALI
a marzo si potrà usare anche
il Bancomat per effettuare le
transazioni online. Lo riporta La
Stampa, che pubblica un annuncio
fatto da Sergio Moggia, direttore generale del consorzio Bancomat, in occasione del seminario Abi a Ravenna.
Una mossa a sorpresa che crea un
nuovo metodo di pagamento molto
sicuro e alternativo alla carta di credito, anche se resta da capire come
sarà implementato il pagamento e che
esercizi commerciali potranno abbracciare il nuovo sistema di e-payment.
Secondo Moggia, il sistema sarà sicuro ed efficiente, non si dovrà inserire
né il numero della carta e neppure
codici di sicurezza come il classico
pin: all’atto dell’acquisto il consumatore verrà indirizzato direttamente su
una pagina della propria banca che
si occuperà di identificare l’acquirente autorizzando così l’acquisto. Una
soluzione, questa, che potrebbe abbassare le barriere psicologiche che
TV Ultra HD
in forte crescita
nel 2014

Display Search ha pubblicato un report
positivo per la vendita di TV, il mercato
finalmente fa registrare un +4% e questo nonostante la crescita del segmento LCD non riesca a bilanciare il calo
del settore del plasma, ormai al capolinea. Molto interessante il settore dei
TV 4K: nel terzo trimestre le vendite di
TV Ultra HD hanno superato i 3 milioni,
portando a 6.4 milioni il numero totale
di “TV set” venduti finora nel 2014.
L’impennata è causata dall’aumento
dell’offerta e dall’abbassamento del
prezzo medio. Gli analisti si attendono
un ulteriore balzo avanti per questo
trimestre, dovuto al picco degli acquisti a causa delle festività natalizie. La
Cina è il mercato trainante del 4K, con
uno share del 60%, mentre il marchio
n.1 al mondo resta Samsung, con una
quota del 36%; a seguire arrivano LG,
HiSense e Sony, rispettivamente con il
15%, 10% e 9% del mercato.
torna al sommario
ancora frenano l’acquisto online in
Italia: ad oggi, infatti, la maggior parte
degli utenti preferiscono ancora affidarsi alle carte prepagate, molti altri
scelgono il bonifico, perchè ritenuto
ancora molto più sicuro.
La carta Bancomat dovrà comunque
essere abilitata dalla banca per poter
offrire questo servizio, resta da capire
chi sceglierà di appoggiare il consorzio in questa interessante iniziativa: la
maggior parte dei servizi che richiedono oggi una carta di credito, infatti,
dall’Apple Store a Pay Pal, potrebbero
non essere interessati a sostenere
questa piccola rivoluzione che riguarda, evidentemente, il solo territorio
italiano.
mercato
Meno TV
e smartphone
per Sony
Sensibile riduzione delle gamme di
smartphone e TV, avanti tutta su
gaming, servizi di intrattenimento e
sensori di immagini. Sono queste le
direttive del nuovo business plan di
Sony. Nei prossimi tre anni l’azienda
vuole tornare a vedere numeri di colore nero nei bilanci delle due divisioni
che ora generano debiti invece che
profitti. Sony ha annunciato, dunque,
un piano di tagli che vede l’abbandono della sponsorizzazione della
FIFA, la rinuncia a produrre nuovi
modelli di cellulari per il mercato
cinese e uno snellimento sia della
gamma di TV che di smartphone
nel corso dei prossimi tre anni. Per
risollevare le finanze, Sony punterà
su gaming e sensori di immagine per
gli smartphone, spingendo su servizi
collegati alla PS4, sulla distribuzione
di giochi, video e musica. Per quanto
riguarda i sensori per le fotocamere
degli smartphone, Sony dice di essere
avanti di due anni sulla concorrenza e
prevede che entro l’anno fiscale 2017,
il segmento varrà il 63% dei ricavi
della divisione semiconduttori.
mercato Nel mese di ottobre LG Display è l’azienda che ha venduto più pannelli 4K nel mondo
LG Display è la regina dei pannelli Ultra HD
Presto la tecnologia Ultra HD rimpiazzerà il Full HD, nonostante la mancanza di contenuti
N
di Roberto Pezzali
onostante gli investimenti fatti nella tecnologia OLED, LG
Display per la prima volta in 22
mesi ha conquistato la vetta nella particolare classifica dei produttori di pannelli Ultra HD. Con 578.000 pannelli venduti, secondo le stime di DisplaySearch,
LG è davanti a Innolux di quattro punti
percentuali. Grazie alle performance
dell’ultimo mese infatti LG ha toccato il
28.1% di marketshare, ed è seguita da
Innolux al 24% e da Samsung al 20.2.
LG ha sorpassato Innolux, l’azienda cinese che ha messo sul mercato i pannelli
4K low cost che son serviti a produrre
TV a prezzi stracciati, quelli per intenderci da 500 / 600 euro per la versione
da 42”. Samsung terza non deve stupire:
Samsung è ancora il marchio che vende
più TV al mondo, tuttavia l’uso dei pannelli Samsung è legato solo a determi-
nate fasce di prodotto: per alcuni TV
Ultra HD entry level la stessa azienda
coreana infatti si appoggia a Innolux e
ad altri produttori. Interessanti i numeri
relativi alle vendite globali di pannelli:
nel solo mese di ottobre son stati spe-
diti 2 milioni di pannelli, con un totale
annuo di circa 20 milioni. Un numero
che come previsto sta crescendo a ritmi
vertiginosi: anche senza contenuti Ultra
HD nei prossimi anni, se non già il prossimo anno, tutto sarà Ultra HD.
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
entertainment Risultati ottenuti grazie all’uso di master di qualità e a un bitrate più alto
In arrivo il Super HD di Sky. Ma che cos’è?
A Natale arriva il “Super HD”, con cui Sky prova a migliorare la qualità dei contenuti
Si parte con due film destinati a una serie di utenti selezionati, Rio 2 e Spiderman 2
di Roberto Pezzali
A

rriva il Super HD di Sky: una serie di abbonati potranno vedere i
primi due film codificati secondo
il nuovo processo nel periodo natalizio, mentre per gli altri abbonati ci sarà
da aspettare un po’. Super HD non è
un nuovo standard, e Sky stessa non
vuole neppure che si parli di standard:
è solo un nome che è stato dato a
un nuovo procedimento di codifica e
gestione dei film che permetterà agli
abbonati di gustare un film con qualità maggiore rispetto a quella attuale,
comunque buona. Il Super HD di cui
stiamo parlando non riguarda le trasmissioni live, ma solo i contenuti on
demand: Sky ha un programma Super
HD anche per il broadcasting, usato
con successo ai Mondiali, che prevede l’uso di un bitrate di trasmissione
più alto, ma è un’altra cosa. Il Super
HD di cui parliamo oggi, che debutterà
tra qualche settimana, è un processo
legato al push VOD, quel servizio di
Video on Demand tramite il quale Sky
invia sul decoder MySky degli abbonati una serie di film selezionati. Questi
film non vengono scaricati tramite la
connessione di rete, ma sono trasmessi da Sky via satellite “di nascosto”: il
decoder li registra in automatico e li
rende disponibili per la visione in un
pacchetto di contenuti selezionati.
Cosa cambia tra un film in HD e un film
in Super HD? Dopo aver fatto diversi
esperimenti, Sky ha capito che non
sempre alzando il bitrate di compressione si riescono a ottenere risultati
migliori, quindi ha fatto un passo indietro, è andata a lavorare direttamente
sui master. Le aziende che forniscono i master, infatti, spesso forniscono
un file già compresso per il Video on
Demand, lo stesso file che poi viene
usato da tutti i servizi di streaming. Per
i film in Super HD Sky ha richiesto invece un altro master, un file di qualità
superiore, lo stesso file digitale che in
qualche caso viene usato anche per
realizzare i Blu-ray. Dopo un primo
quality check sulla effettiva qualità
del master, i film vengono codificati
a più passaggi utilizzando un preset
più gentile su alcuni parametri, come
ad esempio la riduzione del rumore.
torna al sommario
Samsung chiude
il Video Hub
Samsung annuncia
la chiusura del suo
negozio digitale di
film. I propri acquisti
dovranno essere
scaricati entro il 30
dicembre e attivati sul
dispositivo o andranno
perduti per sempre per
colpa del DRM
di Paolo centofanti
Per evitare artefatti eccessivi, infatti,
la maggior parte dei film trasmessi in
streaming vengono pre-processati
utilizzando filtri di noise reduction abbastanza pesanti: se da una parte si
ottengono benefici, dall’altra si perde
parte del dettaglio e si eliminano anche elementi scelti dal regista o dal direttore della fotografia, come ad esempio una grana particolarmente spessa
in alcune pellicole. Con il nuovo preprocessing Sky cerca di mantenere
inalterati i dettagli della pellicola originale, grana digitale inclusa: abbiamo
potuto saggiare la qualità del Super
HD visualizzando alcune scene di Iron
Man 2, master particolarmente difficile, e dobbiamo dire che la differenza
è apprezzabile. Sky ci ha permesso
anche di effettuare un confronto diretto con il Blu-ray, e dobbiamo dire che
la resa del Super HD è equivalente a
quella di un Blu-ray di buona qualità.
Oltre al master di qualità superiore e
all’encoding particolare Sky aumenta
anche il bitrate globale, che sale a circa 18 Mbps: è questo il motivo per il
quale il Super HD al momento è legato
ai soli contenuti push VOD. Una normale connessione ADSL, infatti, non
riuscirebbe a gestire uno stream VOD
di un contenuto così grande.
I film saranno sempre in Dolby Digital
5.1 e purtroppo saranno in 1080@50i:
abbiamo chiesto a Sky per quale motivo, almeno per i contenuti offline, non
si sia scelto di usare il 24p magari abbinato a un Dolby Digital Plus ma i limiti in questo caso sembrano legati alle
varie versioni di decoder HD installati
e all’incapacità, per alcuni vecchi decoder, di gestire un bitstream Dolby
Digital Plus. Per il 24p, invece, sembra
una questione di “coerenza” con le
trasmissioni broadcast.
I primi film in Super HD saranno Rio 2
e Spiderman 2, e saranno disponibili a
una fetta di abbonati tra qualche settimana: i “prescelti” li troveranno direttamente sul loro decoder.
Rio 2 (sopra) e Spiderman 2 saranno i primi due film disponibili in Super HD.
Dal 1° dicembre Samsung chiude
il suo servizio di vendita e noleggio di film tramite la sua app per
smartphone, tablet e smart TV. Con
una email agli iscritti al servizio,
l’azienda comunica la procedura
per salvare i propri acquisti, visto
che una volta che il servizio sarà
completamente disattivato, questi
andranno persi. Gli acquisti effettuati su Video Hub saranno scaricabili fino al 30 dicembre 2014,
ma questo non basta per salvarli
dall’oblio. A causa del sistema di
DRM, infatti, i film andranno scaricati su tutti i dispositivi (fino a 5) su
cui si intenderà riprodurli ancora
e guardarne almeno 30 secondi
entro la mezzanotte del 30 dicembre 2014. Se non verrà effettuata
questa procedura i film scaricati
non saranno più riproducibili. Chi
ha acquistato molti film tramite il
servizio Samsung si troverà chiaramente in una situazione tutt’altro che ideale, visto lo spazio che
potrebbe richiedere la propria
libreria. Il fatto, inoltre, che i film
scaricati rimarranno per sempre
bloccati su quei dispositivi ci ricorda ancora una volta quanto c’è di
sbagliato nei sistemi di DRM. Il 30
novembre verrà, invece, disabilitato il servizio di videonoleggio sulle
Smart TV Samsung. Anche in questo caso, i film noleggiati prima di
questa data e non ancora guardati saranno disponibili unicamente
fino al 30 dicembre.
n. 101 / 14
1 dicembre 2014
MAGAZINE
entertainment La nuova CAM sarà un modello unico per SD e HD e costerà 99 euro
Mediaset Premium annuncia la CAM Wi-Fi
A inizio 2015 arriverà anche Chromecast
Nei primi mesi del 2015 la nuova Premium Smart CAM con Wi-Fi e il supporto a Chromecast
di Roberto pezzali
l neo Amministratore Delegato di
Mediaset Premium Spa, Franco Ricci,
ha anticipato sulle pagine del Corriere Economia una delle principali novità tecnologiche in arrivo: a inizio 2015
sarà possibile acquistare la SmartCam
Premium con Wi-Fi, una nuova CAM
con modulo Wireless integrato che permetterà a (quasi) tutti i TV dotati di porta
Common Interface CI e CI+ di accedere
ai servizi interattivi Premium Play anche
se privi di connessione di rete e di funzionalità Smart. Con contenuti da digitale terrestre funzionerà come la classica
Premium CAM o Premium CAM HD, sfrutterà la card all’interno per la decodifica
e permetterà la visione dei contenuti in
SD o in HD (a seconda del tipo di slot CI
del TV), se collegata alla rete Wi-Fi potrà
visualizzare film e contenuti da Premium
Play sfruttando la rete. Per farlo servirà
un “telecomando” particolare: la CAM
Wi-Fi infatti si gestisce da tablet o da
smartphone con un’applicazione dedicata, da usare sia per la configurazione sia
per la scelta dei film da vedere. L’utente
seleziona il contenuto, preme “Play” e
invia alla CAM il comando di riprodurre
quel determinato contenuto dalla rete. La
nuova CAM sarà compatibile con quasi
tutti i TV dotati di porta Common Interface: “quasi” perché servizi come Premium
I
Play utilizzano come
formato di compressione dei contenuti H264
e i primissimi TV erano
dotati solo di decoder
DVB-T Mpeg2: per poter
vedere Premium Play, anche solo in standard definizione, serve quindi un
decoder Mpeg4 a bordo
e qualche modello ne è
sprovvisto. Ma le novità
non sono finite: Mediaset
Premium si aprirà anche
a Chromecast. L’azienda
ci ha rivelato che a inizio
2015 arriverà l’applicazione e che permetterà
di sfruttare la chiavetta di
Google per visualizzare i
contenuti su tutte le TV sprovviste di funzionalità Smart. Ancora manca una data
precisa, ma potrebbe essere entro la primavera e subito dopo il lancio della nuova Premium CAM. Mediaset ci ha anche
chiarito il posizionamento della nuova
CAM: sarà un nuovo modello che sostituirà le CAM Mediaset attuali. La nuova
CAM sarà un modello unico per SD e
HD e sarà venduta a 99 euro, lo stesso
identico prezzo dell’attuale CAM HD con
all’interno un mese di abbonamento: un
prodotto unico eviterà la confusione e
funzionerà su tutto il parco installato, permettendo anche la fruizione di contenuti
on demand come Premium Play e Infinity
(ma in un secondo momento). Un piccolo
decoder integrato all’interno del TV, con
la praticità dell’ingombro ma che necessita di un tablet o uno smartphone per gestire la parte “interattiva”. Mediaset ci ha
rivelato che stanno lavorando sulla user
experience, rendendo il più semplice e
indolore l’operazione di configurazione e
messa in servizio. L’arrivo è previsto per i
primi mesi del 2015, forse febbraio.
Sky e Mediaset, finiscono le esclusive Samsung
Scadute o in scadenza le esclusive stipulate da Samsung per Sky Go e Premium Play

D
torna al sommario
mente su dispositivi di terze parti se caricate in modo non ufficiale.
L’accordo tra Mediaset e Samsung sarebbe già scaduto da qualche settimana, mentre per quello
con Sky mancherebbe
ancora un po’ di tempo:
non c’è ufficialità, ma
sarebbero in fase avanzata i test per rilasciare
le app libere su Google
Play. Dubbia, invece, la
situazione per le app
destinate alle Smart TV:
Sono 1.3 milioni i clienti
Sky connessi al web
con il decoder: insieme
hanno scaricato e
visto 150 milioni di
contenuti sfruttando
l’infrastruttura italiana
di Roberto Pezzali
entertainment La notizia non è ufficiale, ma frutto di alcune indiscrezioni da noi raccolte
di Roberto pezzali
opo tanto tempo arriveranno finalmente Sky Go, Sky Online e
Premium Play su Smart TV e tablet
Android “non Samsung”. Secondo una
serie di indiscrezioni che abbiamo raccolto sarebbe, infatti, scaduto l’accordo
esclusivo che Samsung aveva firmato
con Sky e Mediaset per poter avere,
almeno su Android, le app tutte per sé.
Che non fosse un problema tecnico,
la scusa più usata per giustificarsi con
i consumatori, si era capito da tempo,
anche perché le app giravano regolar-
Sky è l’unica
Smart TV di
successo in Italia
difficile che Sky o Mediaset decidano
di sviluppare a spese loro le app per le
varie piattaforme Smart, poco usate e
troppo diverse tra loro.
Sky è la piattaforma Smart TV
più usata in Italia, più di tutti i sistemi inseriti nei televisori e più
degli altri servizi di VOD pensati
per i TV. La piattaforma satellitare, infatti, ha comunicato di aver
toccato i 150 milioni di download
dal lancio di Sky On Demand, il
servizio che permette agli abbonati di attingere a 2.500 titoli di
cinema, serie tv, intrattenimento,
documentari e programmi per
bambini da scaricare in pochi
secondi sul proprio My Sky e da
vedere in qualsiasi momento.
Sky On Demand è stato attivato
da 1.3 milioni di abbonati dotati di
decoder HD, abbonati che sfruttano l’infrastruttura di rete attuale
per gestire la visione in differita: è
vero che la rete italiana non è tra
le più veloci d’Europa, ma è anche vero che le soluzioni si possono trovare. Interessanti anche
i numeri di Restart: il servizio che
consente di far ripartire dall’inizio
un programma già in onda genera il 40% circa dei titoli scaricati
ogni settimana. A questi numeri
si aggiungono i numeri record
di Sky Go, attivato dal 50% degli
abbonati, che fa registrare una
media di oltre 700mila accessi
settimanali.
Resta ora l’ultima sfida, portare
la piattaforma verso l’alta definizione: Sky ci ha comunicato che
stanno studiando soluzioni per
farlo, ma in questo caso la rete
italiana potrebbe davvero essere
un collo di bottiglia.
n. 101 / 14
1 dicembre 2014
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Sky lancia i pacchetti prepagati: niente carta di credito e rinnovo automatico
Sky: per Natale arrivano le carte prepagate
Sky Online Magic App è dedicata a Sky Online e alcune catene hanno le prepagate per la TV
A
di Roberto Pezzali
rrivano per Natale le prepagate
Sky: niente carta di credito, niente
contratto ma solo una tessera già
pronta che vale diversi mesi. Una vera
rivoluzione anche se, come sappiamo,
le prepagate già esistevano al di fuori
dei canali ufficiali, vendute da qualche
rivenditore o da qualche sito online. In
questo caso è proprio Sky a fare la mossa: Sky Online Magic App è il pacchetto
dedicato a Sky Online che offre 3 mesi
di abbonamento a 39 euro, 13 euro al
mese. Il codice permetterà quindi l’accesso in streaming alla piattaforma onDemand, 1000 titoli e 14 canali in diretta:
Sky Cinema, Sky Tg24, Fox, Fox Crime,
Fox Life, Sky Atlantic e Sky Uno per
seguire live i grandi show di Sky come
MasterChef 4.
Per chi vuole però una prepagata di Sky,
entertainment
Il nuovo
Star Wars su
iTunes trailer

Il teaser dell’atteso nuovo capitolo
della saga di Guerre Stellari ha
debuttato anche online, su iTunes
Trailer, il portale Apple dedicato
alle anteprime cinematografiche.
I trailer e tutte le clip di iTunes
Trailer sono accessibili all’indirizzo
http://trailers.apple.com. L’attesa
per il nuovo film è alta non solo
perché si tratta di Guerre Stellari.
Disney ha acquistato Lucasfilm
con l’intenzione di rilanciare
l’universo narrativo di Star Wars
dopo la deludente seconda trilogia
dei prequel. Al timone ha messo il
regista e produttore J. J. Abrams,
già responsabile di un interessante
rilancio di Star Trek, che ha deciso
di girare in pellicola il nuovo episodio intitolato Il Risveglio della Forza. Con il film fantastico Super 8,
girato su pellicola Kodak a 8, 16 e
35 mm, Abrams ha dimostrato di
essere capace di restituire il look
dei film di fantascienza del secolo
scorso, pur senza rinunciare alle
potenzialità degli effetti speciali
di oggi. Guardando il teaser
possiamo avere un’idea su cosa
aspettarci.
torna al sommario
Avatar 2 verrà
filmato a 48fps
James Cameron
conferma che L’atteso
sequel di Avatar,
previsto al cinema
per la fine del 2016,
verrà filmato
e proiettato a 48fps
Esattamente come
Lo Hobbit del collega
Peter Jackson
di Emanuele VILLA
utilizzabile con un decoder e la parabola, c’è il Multipack Intrattenimento: costa 99 euro e dà diritto a 12 mesi di Sky
TV, quindi spettacoli, serie TV e notizie.
Lo vende Unieuro, ma non escludiamo
che l’offerta possa essere estesa anche
ad altri retailer con qualche altro “pack
speciale”, magari con Sport e Cinema.
Sarà possibile trovare invece Sky
Online Magic App negli store selezionati Feltrinelli, Mondadori, Eataly,
Euronics, Mediamarket, Autogrill, negli
aeroporti presso Dixons Travels e online su Amazon.it.
TV e video Per il 65” si parla di 7999 euro, 77” a 24999 euro
Finalmente in arrivo l’OLED 4K LG
I prezzi sono più alti del previsto
di Roberto Pezzali
D
opo qualche mese di attesa i TV LG Ultra HD con tecnologia OLED stanno
finalmente arrivando in Italia, e questa è una buona notizia. Quella meno
“buona” invece è l’indisponibilità, per l’Italia, del modello da 55” e l’arrivo
del 65” e del 77” ad un prezzo più alto del previsto. LG non ha ancora ufficializzato
i prezzi, ma alcuni rivenditori da noi contattati ci hanno fatto sapere che il 65” sarà
disponibile a 7999 euro mentre per il 77”, oggetto del desiderio di molti, si passa
al prezzo super di 25000 euro, 24999 euro per l’esattezza. Prezzi totalmente
diversi da quelli che i consumatori si attendevano, con il 55” a circa 4000 euro e il
65” a 6000 euro circa. L’apertura delle nuove fabbriche dedicate alla produzione
di questi TV dovrebbe comunque contribuire ad abbassare il prezzo, un po’ come
successo per il primo OLED: al momento il modello Full HD 930V si può trovare a
2500 euro. Un vero affare, anche perché stiamo parlando di uno dei migliori TV
al mondo per design e qualità.
Nonostante manchino più di
due anni alla prima di Avatar 2,
film del quale si sa ben poco se
non che verrà presumibilmente presentato al pubblico a fine
2016, iniziano ad affiorare alcuni indizi tecnici. In particolare
James Cameron, intervistato
da Empire, ha deciso di girare il
film a 48 fotogrammi al secondo,
replicando sostanzialmente la
scelta del collega Peter Jackson
che l’inaugurò con il primo capitolo de Lo Hobbit. Il concetto è sempre quello di offrire
un’esperienza diversa rispetto a
quella classica cinematografica,
con più realismo e una maggior
“immersione” nelle vicende narrate. Oltre al fatto di segnare un
progresso tangibile rispetto alla
tecnica tradizionale.
Fin dall’inizio dell’anno si sapeva che Cameron avrebbe filmato
in 4K, ma la decisione sul framerate era avvolta da una fitta
coltre di fumo: “Il mio pensiero
iniziale era sui 60fps”, dichiara Cameron, “per favorire il più
possibile il mercato dell’home video. Ma preferisco rivolgermi a
un sistema più maturo e collaudato, per cui penso mi orienterò
sui 48 frame al secondo”.
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
entertainment I lavori sono ancora in fase preliminare, Toshiba pronta forse per il 2020
Rivoluzione da Toshiba: HD e 4K insieme
Toshiba ha mostrato il primo encoder SHVC a una fiera a Tokyo dedicata ai broadcaster
Aggiunge le informazioni 4K a un video Full HD in uno stream separato di circa 10 Mbit
di Roberto Pezzali
arrivo di nuovi standard video
è sempre problematico per il
broadcast e le emittenti sono costrette a creare canali separati per ogni
tipologia di trasmissione. Ad esempio
Rai, che ha Rai 1 in Standard Definition
sul canale 1 e Rai 1 HD sul 501. Non sarebbe bello se ci fosse un solo canale
e se fosse il decoder a decidere quale
qualità mostrare? A breve si potrà.
Toshiba ha mostrato a una fiera il primo
encoder SHVC, dove il termine SHVC si
riferisce a una nuova versione di HEVC
(Version 2) al quale i membri del board
Mpeg stanno lavorando. Grazie a questa
estensione i filmati codificati HEVC in Full
HD potranno avere uno o più layer aggiuntivi separati con le informazioni per
portare ad esempio un flusso Full HD a
flusso 4K, dati che verranno riconosciuti
dai decoder compatibili. In teoria il layer
L’
ENTERTAINMENT
Per Billboard
1 album vale
1500 brani
in streaming

Il magazine americano Billboard
ha annunciato che dal 3 dicembre
per la Billboard 200, la classifica
settimanale dei 200 album più
venduti, includerà il contributo di
brani scaricati e in streaming. Per
ottenere l’equivalente di un album
venduto, ci vorranno 1500 ascolti in
streaming delle canzoni di quel disco.
Per le tracce acquistate in download
il conto scende a 10 brani, sempre
che questi appartengano allo stesso
disco. In Italia la FIMI ha iniziato a
conteggiare lo streaming da settembre 2014, equiparando un brano
venduto in download con 100 ascolti
in streaming, ma per il momento non
ha in programma di conteggiare i
nuovi servizi anche per le classifiche
degli album. Gli ultimi dati del mercato discografico italiano vedono una
crescita dello streaming del 109% da
inizio 2014, con un calo del 19% per
quanto riguarda il download e del 4%
per i supporti fisici.
torna al sommario
Tre giorni
di tennis in 4K
SuperTennis in
collaborazione con
Eutelsat trasmetterà le
finali del Campionato
di Tennis A1 in chiaro
su Hotbird: HEVC, 10
bit e 50 fps, anche per
provare il TV nuovo
di Roberto Pezzali
aggiuntivo dovrebbe essere abbastanza
pesante soprattutto nel caso di passaggio da HD a 4K, tuttavia Toshiba con il
suo encoder è riuscito a ridurlo con una
serie di algoritmi predittivi, e ha stimato
che questo upgrade di qualità richiede
circa 10 Mbps.
I lavori sono in una fase preliminare,
l’SHVC non è ancora stato inserito nello
standard HEVC e lo sarà a breve, quindi
al momento non ci sono decoder compatibili. Toshiba conta di essere pronta
per il 2020, quando potrà sfruttare la
tecnologia per trasmettere usando un
solo stream le versioni HD, 4K e forse 8K
delle prossime Olimpiadi di Tokyo.
entertainment Oculus VR collaborerà ancora con Samsung
Tutti pazzi per la realtà virtuale
Samsung c’è, ma anche Apple
di Massimiliano zocchi
C
resce l’attenzione per il mondo della realtà virtuale. A margine dello Startup
Nations Summit a Seul, il CEO di Oculus VR, Brendan Iribe, ha fatto sapere
che la sua azienda (ora di proprietà di Facebook) continuerà a collaborare con
Samsung per il settore della realtà virtuale. Iribe non ha però comunicato su quali
prodotti siano al lavoro e nemmeno una possibile tempistica di arrivo sul mercato.
Samsung, interpellata sull’argomento, non ha rilasciato dichiarazioni. Le sue parole tuttavia non lasciano spazio a dubbi: “Lavoreremo in stretta collaborazione con
Samsung per sviluppare nuovi prodotti. Il lancio di Gear VR è stato un successo e
sono sicuro che continueremo così”. Parrebbe che nel segmento della realtà virtuale,
Samsung possa essere presto accompagnata dal “nemico” di sempre: Apple. Alcuni
brevetti dell’azienda di Cupertino mostrano un certo interesse nel settore, ed è notizia recente che, tramite un annuncio sul proprio sito, Apple stia assumendo personale
dedicato allo studio della realtà virtuale e alle sue possibili estensioni di prodotto. La
descrizione della posizione lavorativa offerta, rivolta a ingegneri software, non è troppo specifica, ma dimostra le intenzioni di Cupertino: “...l’ingegnere creerà applicazioni di alto livello che si integreranno
con sistemi di realtà virtuale per la
realizzazione di prototipi e test”.
Con altre grandi aziende già all’opera nel settore, come Sony e Google,
le possibilità che la realtà virtuale
sia la prossima next big thing sono
sempre di più.
Bastano una parabola e un TV
compatibile per vedere, dal 6 all’8
dicembre, le finali del Campionato
di Serie A1 maschile e femminile in
4K. Eutelsat, in collaborazione con
SuperTennis, trasmetterà le dirette del torneo via satellite su 4K1,
il canale Ultra HD europeo visibile
in Italia su Hotbird. “Siamo particolarmente lieti della partnership
con SuperTennis sancita da una
trasmissione live in Ultra HD che
durerà per tre giorni consecutivi
senza interruzione. Un’iniziativa
che ci permette non solo di testare ulteriormente la tecnologia
Ultra HD ma anche di coinvolgere il mondo del tennis e il mondo
degli esercizi commerciali per
avanzare assieme verso la TV del
futuro sulla strada dell’altissima
qualità tecnica delle immagini”,
ha dichiarato Renato Farina, AD di
Eutelsat Italia. Occasione imperdibile anche per chi ha un TV 4K
compatibile: Eutelsat trasmetterà
lo stream in HEVC a 10 bit e 50
fps, e per riceverlo servirà un TV
con decoder sat a bordo e decoder HEVC per il broadcast. I TV
Samsung serie H dovrebbero ricevere senza problemi il segnale,
sui Sony, LG e Panasonic va fatta
una verifica. Fa piacere che qualcosa inizi a muoversi: il prossimo
anno dovrebbero arrivare anche i
primi servizi VOD in 4K per i TV, e
oltre a Chili TV previsto per il primo trimestre anche qualche altro
operatore, come Infinity, dovrebbe salire con alcuni contenuti sulla giostra dell’Ultra HD.
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MAGAZINE
MOBILE Vodafone annuncia la disponibilità in 80 città della rete 4G+ con velocità di picco in download fino a 225 Mbit/s
Vodafone lancia l’LTE Advanced e nel 2015 arriva il VoLTE
Nella prima metà del 2015 anche la voce passerà su LTE. Intanto arriva un nuovo smartphone compatibile 4G da 99 euro
V
di Paolo centofanti
odafone continua a puntare forte
sul 4G, con importanti annunci riguardo all’evoluzione della propria
rete cellulare. Anche perché l’LTE è una
grande opportunità per l’operatore telefonico: il 34% degli smartphone venduti
nel 2014 supporta già la rete di nuova generazione, e chi usa l’LTE in media consuma il 42% in più di dati, ed è sul traffico Internet che oggi si guadagna. Innanzitutto
da oggi è disponibile in 80 città italiane la
connettività LTE-Advanced, che Vodafone pubblicizzerà con il brand 4G+: velocità di download di picco fino a 225 Mbit/s
con i terminali compatibili e rete ancora
più reattiva e capace di gestire i picchi
di congestione del traffico. Per riuscire a
offrire questo salto di velocità, Vodafone
ha deciso di impiegare finalmente le sue
frequenze acquistate nella banda dei 2,6
GHz e di dirottare parte dello spettro a
1800 MHz fino ad oggi destinato alle linee GSM sui servizi LTE. LTE-Advanced
utilizzerà inizialmente queste due bande combinate, ma Vodafone prevede
la possibilità di aggiungere
in carrier aggregation anche
gli 800 MHz permettendo
di arrivare così anche a 300
Mbit/s. Al momento gli smartphone compatibili non sono
molti: Samsung Galaxy Alpha,
Galaxy Note 4 e l’imminente
Galaxy Note Edge, ma il numero è destinato a crescere
nel 2015, insieme alla copertura 4G+
che entro marzo 2015 arriverà a 110 città.
LTE-Advanced non è però l’unica novità
per quanto riguarda la rete Vodafone.
L’operatore sarà infatti il primo a portare
in Italia anche il Voice over LTE (VoLTE),
le chiamate vocali cioè su 4G. Si tratta
di un passaggio epocale, grazie al quale anche le telefonate viaggeranno su
protocollo IP. Con il VoLTE le chiamate
miglioreranno non solo a livello di qualità
audio, ma anche in velocità di connessione (il tempo che passa da quando facciamo il numero al segnale di chiamata) e
di versatilità, con la possibilità di passare
senza soluzione di continuità a chiamate
video o allo scambio di file e dati all’inter-
no di una chiamata. Non c’è ancora una
data precisa per il lancio commerciale,
che avverrà nella prima metà del 2015,
alla conclusione della sperimentazione attualmente in atto a Milano, Ivrea e
Roma, ma Vodafone dice che la stragrande maggioranza degli smartphone LTE
sarà compatibile con il servizio. Intanto
in vista delle feste natalizie, per cercare
di far fare il salto generazionale al 40%
di clienti Vodafone che ancora non ha
uno smartphone, l’operatore lancia un
nuovo smartphone Android economico
e già compatibile con il 4G: se lo scorso anno Vodafone lanciava lo Smart 4G
a 199 euro, quest’anno tocca allo Smart
4G Turbo da soli 99,99 euro. Si tratta di
uno smartphone con display da 4,5” con
risoluzione di 854x480 pixel, processore
quad core Qualcomm Snapdragon 410,
fotocamera da 5 Megapixel, NFC e Android 4.4 KitKat. Ma c’è anche un nuovo
tablet, sempre 4G, il Vodafone Smart Tab
4G: display da 8” IPS con risoluzione di
1280x800 pixel, Snapdragon 410, Android 4.4 a 199 euro. Vodafone ha rimodulato anche le proprie tariffe includendo
di default l’LTE negli abbonamenti Relax
e offrendo l’opzione LTE a 3 euro al mese
con tre mesi gratuiti sui piani ricaricabili.
mobile Prossimo al lancio il nuovo Windows Tablet che l’azienda aveva presentato in estate
Archos 80 Cesium è il Windows Tablet accessibile
Il tablet ha buone caratteristiche e un prezzo interessante. Ma la concorrenza è agguerrita
C
di Massimiliano zocchi

onosciamo Archos come azienda
attiva nei device portatili, con numerosi prodotti nell’era Android.
L’azienda francese si appresta ora a
fare un’ulteriore aggiunta al suo catalogo, con il primo tablet Windows. E lo
fa con Archos 80 Cesium, tablet da 8”,
torna al sommario
dotato di display IPS con risoluzione
1280 x 800. Il cuore è un processore
quad-core Intel Atom Z3735G Bay Trail,
supportato da 1 GB di RAM. Troviamo
anche lo slot microSD (fino a 128 GB)
per aumentare i 16 GB di base, doppia
fotocamera, 2 Megapixel per quella posteriore, mentre la front camera si ferma a 0.3 Megapixel.
L’autonomia
sarà
garantita dalla batteria da 4000 mAh,
mentre sul fronte
connettività è da segnalare la presenza
di Wi-Fi, Bluetooth e
uscita micro HDMI.
Come molti altri
prodotti simili, Ce-
sium includerà un anno di Office 365 e
fino a 1 TB di spazio cloud su OneDrive.
Il sistema operativo preinstallato sarà
ovviamente Windows 8.1.
Prodotto questo che si è fatto attendere molto, difatti Archos lo aveva
annunciato ad agosto. Presentazione
nella quale dalla Francia avevano fatto sapere anche il possibile prezzo al
lancio: 149 dollari. Prezzo aggressivo
qualche mese fa, un po’ meno ora che
importanti aziende come HP o Toshiba
hanno deciso di puntare sul mercato
tablet Windows, anch’esse con prezzi
competitivi. In questo scenario quindi
Archos sarà probabilmente costretta a
rivedere le sue previsioni, e ritoccare
al ribasso il prezzo di listino, probabilmente intorno ai 99 dollari.
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
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Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
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MAGAZINE
MOBILE Sul Nexus 6 l’impatto penalizzante sulle performance è arrivato ad essere dell’80%
La sicurezza di Lollipop pesa sulle prestazioni
Test rivelano che la crittografia della memoria rallenta molto la lettura e scrittura dei dati
di Paolo CENTOFANTI
e siete in procinto di aggiornare
il vostro smartphone ad Android
Lollipop, vi conviene resistere
alla tentazione di attivare la crittografia
della memoria interna del telefono. Test
approfonditi realizzati da AnandTech rivelano, infatti, che la feature di sicurezza, ora attiva di default in Android 5.0,
impatta sensibilmente sulle prestazioni
di lettura e scrittura sulla memoria del
telefono, il che può portare a un rallentamento anche di grande entità su alcune applicazioni. Il test è stato condotto
confrontando il Nexus 6 normalmente
venduto, che ha la crittografia attivata
di default, con una versione speciale
fornita da Motorola senza cifratura del
disco. I benchmark realizzati sulle due
unità rivelano così che le prestazioni
sul modello standard arrivano ad essere penalizzate anche dell’80% rispetto
a quello con crittografia disabilitata e
S
Una azienda tedesca si prepara a
lanciare uno smartphone con 80
GB di memoria e 3 GB
di RAM a 300 euro: realizzare
uno smartphone ormai sembra
un gioco da ragazzi, basta
mettere insieme i pezzi
in alcuni test la velocità della memoria risulta persino inferiore a quella del
Nexus 5. La crittografia è attivata di default sui modelli che arrivano sul mercato con Lollipop già preinstallato e non
può essere disattivata, ma l’aggiornamento da KitKat non abilita invece automaticamente questa funzionalità, motivo per cui magari sui modelli più vecchi
conviene per il momento non attivarla.
L’impatto sulle prestazioni è dovuto al
fatto che le memorie tipicamente utilizzate negli smartphone non integrano
un hardware specifico per crittografare
il loro contenuto, operazione che deve
venire svolta ogni volta dal processore
principale via software, andando così a
gravare sull’intero sistema.
MOBILE Secondo voci che arrivano dalle fabbriche asiatiche, l’iPhone 5C uscirà di scena
L’iPhone 5C uscirà di produzione a metà del 2015
Lo smartphone dai cinque colori era stato presentato come variante economica dell’iPhone 5
S
di Paolo CENTOFANTi

e c’è un prodotto Apple che non
è stato compreso dal mercato
questo è sicuramente l’iPhone
5C, smartphone che stando alle voci
che arrivano dalle aree di produzione
in Asia, verrà messo fuori produzione
nella prima metà del 2015.
Lontano da essere un totale insuccesso commerciale, visto che ha mosso
comunque milioni di pezzi, l’iPhone
più colorato che Apple abbia mai
realizzato è uscito in un momento in
cui il mercato si aspettava un modello economico e di largo consumo.
Presentato insieme all’iPhone 5S,
invece, il 5C fu lanciato come sostituto dell’iPhone 5, a sua volta uscito
di produzione lo scorso anno. Di fatto l’iPhone 5C manteneva lo stesso
hardware dell’iPhone 5, con cambiamenti unicamente a livello di design,
a un prezzo non così marcatamente
più basso rispetto al nuovo modello.
In molti preferirono il più costoso, ma
anche più evoluto, iPhone 5S e a dire
torna al sommario
Costruire
un super
smartphone
ormai è un gioco
da ragazzi
il vero non erano in tanti quelli che si
aspettavano di vedere l’iPhone 5C ancora in gamma con la presentazione
dell’iPhone 6.
Stando a quanto riportato dall’Industrial and Commercial Times di Taiwan,
il destino dell’iPhone 5C è comunque
segnato, tanto più che Apple ha bisogno delle linee di produzione per soddisfare la domanda dell’iPhone 6.
Ma a parte questo sono tanti i motivi
per cui non ha più senso avere l’iPhone 5C a catalogo: è l’unico modello di
iPhone ad avere solo 8 GB di memoria
(un po’ pochi per iOS 8), è il solo ad
essere ancora basato su processore
a 32 bit e non è dotato di lettore di
impronte Touch ID. L’unica ragione di
esistere per l’iPhone 5C al momento è
quella di permettere ad Apple di offrire un iPhone gratis con contratto negli
Stati Uniti.
di Roberto pezzali
Realizzare uno smartphone ormai
è un po’ come giocare con i Lego:
metti un processore, una fotocamera, un po’ di memoria e poi
Lollipop, che fa da collante. L’idea
di Project Ara quindi non deve
stupire, così come non ci si deve
meravigliare se spuntano come
funghi produttori di smartphone
che promettono prodotti hi-end a
prezzi super concorrenziali: dall’iPhone al peggior smartphone,
tutto nasce in Cina e arriva dalla
Cina. L’ultimo arrivato è Linshof i8,
uno smartphone sottilissimo dotato di caratteristiche tecniche di
assoluto rilievo: la scheda tecnica
infatti parla di 80 GB di memoria,
divisa in 16 GB e 64 GB, 3 GB di
RAM, processore OctaCore, LTE e
una fotocamera Sony da 13 Megapixel sul retro. Il tutto al prezzo di
300 euro, che sembra stracciato a
confronto con smartphone che costano quasi il doppio. Affare sicuro? Non sempre, anzi, la maggior
parte delle volte prodotti di questo
tipo sono da evitare: la stessa Linshof non ha le idee chiare: dichiara
un display AMOLED IPS, che non
esiste, e gli 80 GB di spazio siamo
certi che siano ricavati inserendo
una microSD da 64 GB “murata”
nello smartphone al posto di mettere lo slot di espansione.
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1 dicembre 2014
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MOBILE Esisteranno accessori che si potranno ricaricare con lo stesso cavo dell’iPhone
Apple libera Lightning: potranno usarlo tutti
Apple darà la possibilità a produttori terzi di creare dispositivi dotati di porta Lightning
di Roberto PEZZALi
ightning come l’USB: Apple ha deciso di aprire il suo connettore anche a produttori terzi per realizzare
dispositivi dotati di porta Lightning. Apple ha, infatti, rivisto il suo programma
Mfi (Made for iPhone / iPad) creando un
nuovo modello di porta Lightning che
può essere integrata in altri dispositivi
a partire dal prossimo anno. Fino ad
oggi, infatti, i produttori di periferiche
avevano piena libertà sui connettori
e sugli accessori, ma l’uso della porta
era proprietà privata di Apple che l’ha
inserita su iPhone e iPad. Una scelta
quella di Apple che semplifica e non
poco la produzione di accessori legati
all’ecosistema iOS: ad oggi moltissime
periferiche per iPhone o iPad sono dotate di connettore microUSB per la ricarica della batteria integrata, cosa che
costringe a usare due cavi, uno Apple
L
MOBILE
Galaxy Note
Edge in Italia
a 869 euro
Inizialmente si pensava sarebbe
rimasto confinato nella Corea del
Sud, poi che sarebbe arrivato in
Europa, infine anche in Italia: Galaxy
Note Edge, una delle sorprese più
interessanti dello scorso IFA di
Berlino, arriverà da noi in tempo
per le festività natalizie. Si tratta,
in sostanza, del phablet Samsung
basato sul medesimo hardware
di Galaxy Note 4 ma con uno
schermo OLED da 5,6’’ leggermente
piegato sul lato destro, fatto che
va a formare un bordo di circa 160
pixel dedicato a funzionalità extra.
Samsung ha dunque deciso, dopo
l’esperienza del lancio in Corea, di
portarlo anche da noi, e lo proporrà
a 869 euro di listino, con disponibilità assolutamente limitate. La
data esatta non è stata fissata, ma
è certo che il dispositivo arriverà
in Italia a dicembre, in tempo per
Natale. Per ulteriori approfondimenti sul terminale, vi rimandiamo al

nostro first look realizzato in
occasione della presentazione
ufficiale di Berlino.
torna al sommario
per ricaricare il telefono e uno USB per
l’accessorio. Una scelta quella di Apple
che offre più libertà ai produttori ma che
aiuterà l’azienda stessa a incrementare
i suoi guadagni: non è un segreto che
per entrare nel programma e usare il
connettore ci sia una tassa da pagare. Dal punto di vista del consumatore
tuttavia questo potrebbe non essere
un grande vantaggio: Logitech attualmente produce tastiere Bluetooth che
vanno bene sia per Android che per
iOS, ricaricabili tramite la connessione
microUSB. Se Logitech dovesse adottare il Lighning per la versione iOS, un
utente che da iPhone passa ad Android
si ritrova con un prodotto comunque
difficile da ricaricare.
MOBILE Le app presenti nello store sarebbero oltre 320.000
Che numeri per Windows Phone
50 milioni sono i device attivati
D
di V. R. BARASSi
urante un incontro tenuto dalla divisione tedesca di Microsoft con un gruppo di selezionati blogger, il colosso di Redmond si è lasciato sfuggire alcuni
numeri che fanno il punto sulla situazione globale di Windows Phone, sistema operativo che a piccoli passi sembra stia guadagnando sempre più la fiducia
di milioni di utenti sparsi qua e là per il mondo.
Si scopre, quindi, che dal lancio del primo Windows Phone sono state ben 50
milioni le attivazione di dispositivi (il 90% dei quali sarebbero Nokia Lumia, con
il best-seller Lumia 520), numero senz’altro interessante considerando la situazione del sistema operativo Microsoft solo un paio di anni fa; fa, inoltre, piacere
scoprire come siano ben 560.000 gli sviluppatori attivi sul fronte Windows Phone
e che il Marketplace di casa sia popolato da circa 320.000 applicazioni.
Riguardo allo store, Microsoft ha confermato come la rincorsa ad Apple e Android
sia decisamente a buon punto: a dicembre 2013 le applicazioni disponibili per
Windows Phone erano poco meno di 200.000, ad aprile 2014 il numero è salito a 250.000 e
ad agosto ha
raggiunto quota 300.000. La
speranza è che
la crescita non
si fermi a questi
numeri e, aggiungiamo noi,
che cresca anche la qualità.
Nexus 6 a ruba
in Italia: voglia
di Lollipop
o pochi pezzi
disponibili?
Nexus 6 è stato
disponibile sul Play
Store di Google
in Italia per poche ore
La versione da 64 GB è
andata esaurita, quella
da 32 GB è ordinabile
ma non arriverà
per Natale
di Roberto Pezzali
Nexus 6 sul Play Store italiano è
durato poche ore: la versione da
64 GB è esaurita e non è ordinabile, quella da 32 GB invece si può
ordinare ma le consegne sono
previste solo tra svariate settimane, almeno quattro. Chi lo ordina
adesso non lo troverà sotto l’albero di Natale, dovrà aspettare gennaio per mettere le mani sull’ultimo
smartphone Motorola progettato
in collaborazione con Google. Un
risultato eccellente in termini di
vendita se si pensa che ogni giorno si sente parlare di crisi: Nexus
6 costa 649 euro in versione base
e 699 euro nella versione da 64
GB, quindi non proprio uno smartphone a buon mercato, anche se
allineato agli altri top di gamma.
Possibile che un prodotto così atteso vada esaurito in poche ore?
O Google ha sottostimato la voglia
di Lollipop, cosa poco probabile,
oppure all’Italia sono stati destinati
pochi pezzi anche in relazione alle
performance di vendita dei precedenti modelli. In ogni caso, anche
se i pezzi fossero stati pochi, è comunque un ottimo successo per il
Nexus 6 e Motorola lo merita perché ha fatto un lavoro eccellente.
Ricordiamo che il Nexus è un mostro di potenza, con uno schermo
QuadHD da 6” (2560 x 1440) e un
processore Snapdragon 805 con
3 GB di RAM. A coronare il tutto
c’è Lollipop, sistema operativo che
stiamo apprezzando e sicuramente la miglior versione di Android
mai realizzata da Google.
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
MOBILE Inizialmente verrà lanciato in Cina, poi arriverà in Russia e in altri mercati europei
Nokia N1 è la copia perfetta di iPad Mini
L’N1 è praticamente identico al modello Apple, a parte sistema operativo e processore
S
di Roberto Pezzali
iamo in Finlandia o in Cina? A
guardare il nuovo Nokia N1 sembra che l’azienda finlandese abbia venduto a Microsoft non solo la
divisione mobile ma anche i designer.
Il misterioso box apparso su Twitter
non era un prodotto ma la scatola di un
prodotto, per la precisione di un tablet
con a bordo Android Lollipop realizzato a immagine a somiglianza dell’iPad
Mini. Il termine più appropriato in questo caso è clone, perché se una copia
è qualcosa che assomiglia vagamente,
in questo caso più che somiglianze ci
sono vere analogie. Il cabinet è in alluminio monoblocco, proprio come l’iPad,
e identici sono anche la dimensione
dello schermo e la risoluzione, 2048 x
1536 su una diagonale di 7.9”. Identico
anche il posizionamento degli elementi
sul retro, fotocamera, tasti, jack per le
cuffie sono sistemati come sull’iPad,
così come uguale è la
griglia degli speaker.
Manca solo il logo
Apple, ma questo è
secondario. Nokia è
riuscita anche nell’impresa di copiare
il connettore lighting:
non potendo raggiungere l’obiettivo
con il normale micro
USB ha pensato di adottare già il nuovo USB Type C reversibile, realizzando
attorno una flangia identica a quella del
piccolo iPad. Cambiano però dimensioni e peso: grazie al display di tipo InCell
laminato lo spessore dell’N1 è di 6.9 mm
e il peso si ferma a 318 grammi. Impossibile copiare il processore: Nokia ha dovuto usare un Intel Atom Z3580 da 2.4
GHz quad-core con 2 GB di RAM e 32
GB di storage. Per le fotocamere, invece, la scelta è caduta su un modulo da 8
Megapixel posteriore e uno da 5 Mega-
È apparsa online
la roadmap 2015
di Huawei: a gennaio
arriva Ascend P8,
a settembre Mate 8 e,
tra i due ci sarà spazio
per il super Ascend D8
pixel frontale. Il sistema operativo sarà
Android Lollipop stock, abbinato a un
nuovo Z Launcher basato sulle gesture.
Oltre ad un sito dedicato e ispirato a
quello Apple, il nuovo N1 ha anche una
custodia identica a quella che Apple ha
realizzato per i suoi iPad. N1 debutterà
in Cina per il capodanno cinese, ma
dopo il lancio orientale arriverà anche
in Russia e in alcuni mercati europei selezionati. Dopo aver realizzato e creato
gli ottimi Lumia, è davvero triste vedere
un prodotto così firmato Nokia.
MOBILE La caduta sul terreno è la responsabile del 70% degli schermi degli smartphone danneggiati
Con Gorilla Glass 4 il telefono che cade non si rompe
Corning annuncia la nascita di uno schermo pensato per prevenire i danni da caduta accidentale
I
di Emanuele VILLA

l notissimo Gorilla Glass, che equipaggia la stragrande maggioranza
dei dispositivi mobile in circolazione,
giunge alla quarta “versione” col proposito di sbaragliare la concorrenza e
imporsi come protezione di riferimento
anche per la generazione successiva. Il
comunicato stampa ufficiale non offre
particolari approfondimenti sulle tecniche impiegate, ma afferma solennemente che Gorilla Glass 4 “è due volte
più resistente di ogni vetro concorrente
ora sul mercato”. Ci fidiamo sulla parola, insomma, tenendo in considerazione che Gorilla Glass 4 è stato realizzato
(come si nota negli svariati video pubblicati nel sito dell’azienda) per far fronte alla minaccia n. 1 di questi dispositivi,
ovvero le cadute accidentali sul terreno;
non sul pavimento di casa, che di solito
è liscio, ma sull’asfalto del marciapiede,
sulla terra dei sentieri e via dicendo.
Questo perché, sulla base di una ricerca condotta dalla stessa Corning, que-
torna al sommario
sto tipo di incidente è il responsabile
del 70% degli schermi danneggiati degli
smartphone e (in misura minore) dei tablet. Lo stesso studio ha dimostrato che
Gorilla Glass 4 sopravvive nell’80% dei
casi, con una resistenza (circa) doppia
rispetto alle soluzioni concorrenti. Gorilla Glass 4 è disponibile per i produttori
con spessori da 0,4 - 2,0 mm, ha una
densità di 2,42 g/cm3 e verrà impiegato
sui dispositivi di prossima generazione,
molto probabilmente a partire da quel-
Huawei
Ascend D8
arriva a maggio
ed è “super”
li che verranno presentati al prossimo
CES di Las Vegas.
Test Gorilla Glass 4
di V. R. BARASSi
Huawei non ha la minima intenzione di interpretare il ruolo da
comprimaria nel mercato dei
dispositivi mobile e a darne testimonianza è la sua roadmap
2015 che sta facendo il giro del
web; supponendo si tratti di un
documento attendibile, da inizio
anno a settembre usciranno sette diversi dispositivi Android ma il
“picco” lo raggiungeremo a maggio quando sarà commercializzato Ascend D8, nuovo super-flagship della gamma. Il dispositivo
in questione sarà provvisto di un
display da 5,5” QHD e monterà
un potente processore custom
a 64-bit - tra l’altro, non ancora
annunciato - Kirin 950 al quale
saranno affiancati ben 4 GB di
memoria RAM e 64 GB di storage
fisico. Il prezzo di lancio dovrebbe aggirarsi sui 650 - 700 euro e
non è così improbabile la presentazione nel corso del MWC 2015.
Tralasciando gli “economici”
Ascend 5, 5X, 7 e 7X, con display
da 5 a 5,5 pollici 720p o 1080p
(prezzi da 115 dollari a 320 dollari), spiccano altri due dispositivi:
il primo è Ascend P8, erede del
P7 che sarà annunciato durante il
CES 2015 e vanterà un processore Kirin 930 e 32 GB di memoria
fisica, con un display Full HD da
5” di diagonale (base di lancio sui
350-400 €); il secondo è Mate
8 (previsto per settembre a circa 500-550 €), un phablet con
schermo da 6” QHD che condividerà la stessa base hardware di
P8. Al momento Huawei non ha
commentato la fuga di notizie,
ma ne sapremo di più nelle prossime settimane e, ovviamente, al
CES di Las Vegas a gennaio.
n. 101 / 14
1 dicembre 2014
MAGAZINE
MOBILE I prezzi e le condizioni esclusive che Apple impone alle aziende che lavorano per loro possono portare alla distruzione
Ecco perché l’iPhone 6 non ha il vetro in zaffiro
Dalle carte del fallimento del fornitore dei vetri in zaffiro di Apple, la GTAT, emerge una storia che ha dell’incredibile
di Roberto Pezzali
oveva essere lo smartphone con lo schermo più
resistente al mondo, invece l’iPhone 6 e l’iPhone 6 Plus sono stati lanciati con uno schermo
“rinforzato agli ioni”. La storia è nota: GT Advanced
Technologies, l’azienda che doveva fornire a Apple i
vetri in zaffiro per i suoi smartphone, ha aperto la procedura di fallimento pochi giorni dopo il lancio dei nuovi smartphone. Il Wall Street Journal ha scavato a fondo
nella faccenda e ha realizzato un eccellente report che
descrive in modo dettagliato cosa ha portato quella
che veniva considerata una delle realtà più promettenti
della Silicon Valley in un’azienda sul lastrico nel giro
di un anno.
GT Advanced Technologies non era un’azienda che
realizzava vetri in zaffiro, ma costruiva fornaci per la
produzione del durissimo cristallo. Per creare lo zaffiro,
infatti, servono altoforni capaci di raggiungere i 2000°
Celsius, e GT Advanced Technologies era riuscita a
creare una fornace capace di realizzare cilindri di zaffiro da 260 kg da affettare con una sega diamantata
per ricavare gli schermi. La realizzazione di cilindri così
grossi, rispetto a quelli classici da 160 kg, avrebbe
permesso ad Apple di ottenere schermi di zaffiro a un
prezzo decisamente conveniente. Per realizzare, infatti, un solo cilindro servono un mese di tempo e circa
20.000 dollari: quei 100 kg in più avrebbero permesso
un risparmio del 40% circa. Secondo la documentazione che GT ha allegato alla richiesta di fallimento, Apple,
interessata alla tecnologia, avrebbe chiesto nella seconda metà del 2013 di acquistare 2600 delle nuove
fornaci per poter produrre i vetri dei nuovi prodotti. Una
richiesta che è stata vista dai manager di GTAT come la
chiave per il successo: Apple ad oggi usa un quarto di
tutto lo zaffiro terrestre per le lenti dei suoi smartphone
e per i tasti home dei prodotti con TouchID, e diventare
fornitore avrebbe reso GTAT la più importante azienda
per la produzione di zaffiro al mondo.
C’era solo un piccolo dettaglio da non trascurare: nel
momento in cui Apple e GTAT hanno firmato l’accordo
per l’acquisto del nuovo tipo di fornace, questa non
era ancora riuscita a sfornare un cilindro utilizzabile. Il
primo prodotto da 260 kg era, infatti, totalmente inutilizzabile, ma GTAT confidava nel fatto che sarebbe
riuscita a sistemare la produzione nei mesi successivi.
Come abbiamo detto, l’azienda realizzava impianti
per la produzione e non aveva la minima idea di come
organizzare una mass production di vetri.
La svolta alla vicenda arriva verso fine estate dello
scorso anno: Apple cambia idea e decide che, al posto di acquistare le fornaci, GTAT deve produrre direttamente il vetro. Apple offre a GTAT un prestito di
578 milioni di dollari per costruire 2.036 fornaci e una
fabbrica totalmente ecosostenibile in Arizona, che
avrebbe poi acquistato a 500 milioni di dollari affittandola a GTAT per 100 dollari all’anno.
La scelta di Apple, sempre secondo GTAT, è stata dettata dal fatto che l’azienda avrebbe voluto acquistare

D
torna al sommario
i 2.600 forni al costo e non con
il classico margine del 40%.
Nella nuova fabbrica di proprietà Apple, GTAT avrebbe
dovuto produrre i vetri da vendere poi a Apple a un prezzo
stabilito. Costo che, secondo
alcuni dirigenti di GTAT, si sarebbe poi rivelato troppo basso per poter sostenere i costi
di produzione. Una situazione
che Apple aveva già affrontato con altri fornitori di vetri:
tutti avevano chiuso la porta
in faccia ad Apple di fronte al prezzo che questa voleva pagare. “Essere fornitori di Apple può essere un
vantaggio ma anche un rischio enorme”, ha affermato
un dirigente di GTAT “e solo dopo un po’ ci si è resi
conto di essere ‘prigionieri’ di Apple stessa, costretti
a fornire nei tempi previsti e con la qualità prevista i
prodotti a un prezzo che non faceva neppure andare
in pari con i costi”. Inoltre, e questo è fondamentale,
GTAT non poteva vendere fornaci a nessun altro produttore: doveva lavorare solo per Apple.
L’accordo, comunque, è stato firmato il 31 ottobre
2013 e non si poteva fare nulla per tornare indietro:
nonostante le prime produzioni si fossero rivelate un
disastro, GTAT non poteva non rispettare gli accordi e
ha deciso, probabilmente in modo avventato, di assumere rapidamente 700 persone. La cosa però è stata
fatta talmente in fretta che oltre 100 persone si sono
ritrovate in azienda senza sapere cosa fare e senza avere nessun manager di riferimento: “qualcuno
spazzava i pavimenti, altri stavano a casa in malattia oppure non si presentavano al lavoro nonostante
fossero pagati” - rivela un dipendente. La produzione
era migliorata leggermente, tuttavia oltre la metà dei
cilindri prodotti continuava ad essere inutilizzabile:
nella fabbrica era anche stata allestita una zona cimitero per tutti i cilindri difettosi, ognuno dei quali era
costato un mese di lavoro e 20.000$.
Dopo svariati mesi iniziano ad arrivare le prime accuse
reciproche: secondo i dirigenti di GTAT la produzione
era lenta per colpa della scarsa efficienza energetica
della centrale solare che Apple aveva realizzato per
rendere la fabbrica autosufficiente, secondo Apple la
colpa era della disorganizzazione del fornitore e non
certo di qualche blackout.
Ad aprile la situazione diventa critica: Apple non versa a GTAT gli ultimi 139 milioni di dollari perché il vetro
prodotto non rispetta i suoi standard di qualità, e dalle
carte si scopre che in realtà GTAT aveva già speso,
per mettere in produzione la fabbrica, 900 milioni di
dollari, una cifra che andava ben oltre i 439 che Apple
gli aveva già versato.
Dopo alcuni mesi GTAT si rende conto di quali sono
stati gli errori di produzione: forni caricati in modo errato e una variazione al design hanno portato all’alto
grado di difettosità. Si decide così di fare un passo
indietro pur di rispettare i tempi di consegna e i numeri richiesti tornando a produrre cilindri più piccoli.
Una mossa fatale: se già era impossibile guadagnare
usando i cilindri grandi, con quelli piccoli ogni vetro
consegnato a Apple veniva pagato meno di quanto
costava.
La fabbrica è allo sbando: un dirigente, al posto di
spedire 500 blocchi di zaffiro pronti da tagliare ha
mandato i blocchi al riciclaggio, perdendo altri milioni
di dollari. I tempi comunque si erano allungati troppo:
impossibile produrre i vetri necessari per iPhone 6 e
iPhone 6 Plus; secondo Apple, GTAT avrebbe consegnato solo il 10% della quantità inizialmente scritta negli accordi. Vetro che probabilmente verrà utilizzato
per alcuni modelli del Watch, lo smartwatch che vedremo il prossimo anno.
Sempre a settembre, e ormai siamo alla fine della storia, GTAT avvisa Apple di avere problemi di liquidità:
Apple offre altri 100 milioni di dollari e si rende disponibile a ritoccare il prezzo di acquisto e a togliere il
vincolo di esclusività, offerta che si sarebbe dovuta
discutere il 7 ottobre di quest’anno a Cupertino. Con
il condizionale, perché il 6 sera arriva una telefonata
del CEO di GT Advanced Technologies, Mr. Gutierrez,
che avvisa Apple di aver avviato la procedura di fallimento.
Apple e GTAT hanno trovato ora un accordo: GT
Advanced Technologies venderà i forni a circa
250.000 dollari l’uno e con il ricavato risarcirà Apple
del prestito fatto per la costruzione.
Una storia che ha dell’incredibile, ed è davvero difficile capire dove siano le colpe. GTAT si è fatta ingolosire dall’ipotesi di diventare il fornitore ufficiale di vetri
in zaffiro di Apple; se le cose fossero andate bene sarebbe diventata una delle aziende più ricche dell’intera catena produttiva. Avrebbe potuto semplicemente
vendere le fornaci, magari a un prezzo più basso, e
lasciare che fosse Apple a gestire tutta la produzione
e gli eventuali problemi. Però si capisce anche che
essere fornitori di un’azienda di questo tipo è più un
male che un bene: se tutto va per il meglio Apple ti
trascina al successo, ma i prezzi e le condizioni esclusive che impone possono distruggere un’azienda.
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
app world L’accordo con Yahoo vale, a quanto si legge sul blog di Mozilla, solo per gli USA
Mozilla divorzia da Google e passa a Yahoo
Firmato un accordo di 5 anni che rende Yahoo il motore di ricerca predefinito di Firefox
M
di Paolo centofanti
ozilla ha annunciato un accordo
di cinque anni con Yahoo, che
diventa il nuovo motore di ricerca
predefinito del browser Firefox. Per diversi anni il ruolo è stato di Google, con contratti che per Mozilla hanno significato la
propria sopravvivenza, visto che l’azienda di Mountain View è stata il principale
finanziatore della Mozilla Foundation,
proprio in virtù dell’utilizzo del motore di
ricerca in Firefox. Il nuovo accordo con
Yahoo vale, stando a quanto si legge sul
blog di Mozilla, solo per gli Stati Uniti, e
comunque Google, insieme a tutti gli altri
motori di ricerca, rimane una delle opzioni
selezionabili dall’utente. Firefox produce nel corso di un anno qualcosa come
100 miliardi di ricerche, un traffico che sicuramente farà gola a Yahoo, che ha da
gadget
Helios è la
prima cuffia
wireless a
ricarica solare

Exod propone su Kickstarter una
cuffia stereo in grado di funzionare
e ricaricarsi senza bisogno del cavo.
Si chiama Helios e si tratta delle
prime cuffie musicali Bluetooth 4.0 a
ricarica solare. Secondo gli ideatori,
con la ricarica ottenuta da un’ora di
esposizione alla luce solare si ottiene
energia sufficiente per mezz’ora di
ascolto. Con una ricarica completa, il
cui tempo non è specificato, è possibile far funzionare Helios per 15 ore.
Il pannello fotovoltaico si trova sulla
fascia che unisce i padiglioni. Le
generose dimensioni permettono
l’alloggiamento di un microfono,
di una presa jack da 3,5 mm e di
un pulsante per cambiare traccia.
Non manca la presa micro USB per
la ricarica tradizionale. Le Helios
sono su Kickstarter ed Exod si dice
pronta ad avviare la produzione al
raggiungimento di 50.000 sterline
entro il 2 gennaio 2015. Se prodotte,
sarà interessante valutare la qualità
audio e la robustezza e funzionalità
del sistema di ricarica.
torna al sommario
WhatsApp
per Android
ora è più sicuro
Con l’aggiornamento
della versione per
Android, WhatsApp ha
attivato la crittografia
dei messaggi scambiati
La funzione non è
ancora disponibile
sulle altre piattaforme
di Paolo centofanti
molto tempo perso lo scettro di motore
di ricerca più utilizzato. In cambio Yahoo
supporterà la funzionalità do-not-track
di Firefox che permette di disabilitare il
tracciamento dei propri dati di navigazione. Per quanto riguarda l’Europa, Mozilla
ha deciso comunque di non rinnovare il
proprio contratto con Google, che però
rimarrà comunque il motore di ricerca
predefinito. Baidu sarà il motore di ricerca predefinito per la Cina, mentre Yandex
Search sarà quello proposto in Russia.
app world La nuova versione si chiamerà iTunes Music
Beats Music sarà integrato in iOS
di Paolo centofanti
econdo quanto scritto dal Financial Times, Apple lancerà a marzo 2015 la nuova
versione di Beats Music, il servizio di streaming musicale che Apple ha acquisito
insieme a tutto il resto di Beats. Innanzitutto il servizio cambierà nome in iTunes
Music, lasciandosi così alle spalle definitivamente il marchio Beats. In secondo luogo la nuova app sarà direttamente integrata nella prossima versione di iOS (la 8.2?)
diventando così una delle applicazioni pre-installate su tutti gli iPhone e iPad. Il Financial Times scrive “rendendolo immediatamente disponibile su centinaia di milioni di
iPhone e iPad”, ma in realtà non è ancora chiaro se il nuovo servizio di streaming sarà
offerto anche al di fuori degli Stati Uniti, né quali cambiamenti Apple stia apportando
all’originale Beats Music (leggi la nostra prova), o se il servizio rimarrà disponibile
anche per Android e Windows Phone. I principali creatori di Beats Music, Ian Rogers e
Trent Reznor, sono entrambi passati ad Apple come parte dell’acquisizione e Reznor
ha annunciato recentemente in un’intervista di essere al lavoro su un nuovo progetto
segreto per Apple. Che sia appunto iTunes Music?
S
WhatsApp ha rilasciato in questi
giorni nuove versioni della sua
app per Android e iOS, ma è soprattutto la prima a introdurre
un’importante novità. Con l’ultima versione per Android, infatti,
WhatsApp ha attivato la crittografia end-to-end dei messaggi. Per
end-to-end si intende il fatto che
le chiavi per la cifratura dei messaggi sono generate direttamente
ai due capi della comunicazione,
rendendo così lo stesso gestore
del servizio teoricamente impossibilitato a decifrare i dati scambiati
tra i due terminali. Per il sistema
di crittografia WhatsApp si è rivolta alla software house Open
Whisper Systems, già produttrice
delle soluzioni di comunicazione
sicura Signal e TextSecure, che ha
annunciato i dettagli dell’accordo.
Proprio la scorsa settimana, la EFF
aveva pubblicato una classifica di
sicurezza dei più diffusi sistemi di
messaggistica, dalla quale WhatsApp non usciva molto bene. La
crittografia end-to-end su WhatsApp funziona attualmente unicamente su smartphone Android e
solo per i messaggi testuali uno a
uno ed è basata sullo stesso protocollo di TextSecure. Più avanti
verrà introdotto il supporto anche
per le chat di gruppo e per i messaggi multimediali, mentre Open
Whisper sta lavorando per integrare la funzionalità anche nelle
app per le altre piattaforme.
n. 101 / 14
1 dicembre 2014
MAGAZINE
social media ll divario nei “consumi” tra USA ed Europa evidenziato da un report di Sandivine
Senza Netflix, in Europa dominano torrent e YouTube
In USA Netflix vale il 32% del traffico Internet. In Europa la pirateria ha percentuali importanti
S
di Paolo centofanti

andvine, fornitore di soluzioni per
la gestione del traffico di rete, ha
rilasciato il nuovo Global Internet
Phenomena Report, con gli ultimi dati
aggiornati sul traffico Internet mondiale, fotografando come sta cambiando
il modo di utilizzare la Rete e il tipo e
la quantità di dati scambiati. Ma soprattutto, il nuovo rapporto svela quanto è
grande il divario tra Stati Uniti ed Europa
nelle abitudini di utilizzo. In particolare
se in Nordamerica i servizi di streaming
audio e video valgono ormai qualcosa
come il 63% del traffico totale sulle reti
fisse, in Europa il dato si ferma a un più
modesto 36,5%. Illuminante in questo
torna al sommario
caso le differenze nella lista dei servizi che generano la maggior parte del
traffico. Negli Stati Uniti domina letteralmente Netflix, che da solo vale circa
il 32% di tutto il traffico nei momenti di
picco, percentuale che arriva al 35% se
si considera solo la banda consumata
dagli utenti in download. Il primo degli
inseguitori è YouTube, che si ferma ad
appena il 13%. Tenente a mente ora
questo dato: in Nordamerica la percentuale del traffico generato via torrent è del 5%. Attraversiamo l’oceano
e torniamo in casa nostra e naturalmente le cose si fanno più complicate a causa delle differenze da paese
a paese. Purtroppo Sandvine non
fornisce il dettaglio paese per paese,
limitandosi a dire che il traffico streaming varia tra il 20 e il 67%, a seconda
dei servizi disponibili nei vari paesi. In
media però sul continente europeo, a
guidare il consumo di banda c’è YouTube, con poco meno del 20% di quota. Il
16% del traffico è normale attività web,
mentre al terzo posto c’è, guarda caso,
il flusso di dati generati da protocollo
torrent, che vale il 14.4% del traffico
totale nei momenti di picco, quasi tre
volte tanto il dato americano. Netflix
per contro vale appena il 2,97% del
totale. Sempre parlando di reti fisse,
mediamente gli utenti europei consumano 28,2 GB di dati mensilmente,
contro i 57,4 GB degli americani, praticamente il doppio. Minore lo scarto
sulle reti mobili: in questo caso in Europa si consumano in media 450 MB circa al mese da smartphone, mentre in
Nordamerica si arriva a circa 512 MB.
Anche sul versante mobile cominciano
ad avere un impatto forte i servizi di
streaming, che in Europa generano già
il 35% del traffico cellulare nei momenti di picco. In questo caso l’America
non è troppo lontana con un dato del
38%. Sugli smartphone a consumare di
più rimangono YouTube, Facebook e la
navigazione web.
Amazon
come Booking
Presto entrerà
nel settore viaggi
Indiscrezioni provenienti
dall’altra parte
dell’Oceano Atlantico
parlano di una Amazon
senza limiti; a breve
potrebbe esordire con
Travel, sezione dedicata
alla prenotazione degli
hotel. L’azienda non
smentisce
di Vittorio Romano barassi
I colleghi di Skift hanno pubblicato
uno scoop esclusivo: Amazon è
pronta a inaugurare un servizio dedicato alla prenotazione degli hotel. Le prove ci sono e, interpellata
sulla questione, Amazon si è avvalsa della facoltà di non rispondere,
segno evidente che c’è qualcosa
in ballo. Secondo le informazioni
raccolte da Skift, Amazon starebbe
selezionando alcuni hotel indipendenti nei pressi di alcune delle più
importanti città americane (New
York, Los Angeles e Seattle) al fine
di inaugurare il servizio Travel già
dal primo gennaio prossimo. Skift
ha voluto far luce sulla vicenda ed
è riuscita a scoprire già tre hotel di
New York interpellati da Amazon,
due dei quali hanno accettato all’istante e con il terzo ancora “in
dubbio”, ma ormai quasi convinto
dalle possibilità commerciali derivanti dalla proposta del colosso
americano. Amazon Travel, sarà
questo il probabile nome del servizio, inizialmente si occuperà di
hotel e non si estenderà al settore
della prenotazione voli. Gli hotel
dedicheranno ad Amazon un certo
numero di stanze e la stessa Amazon si porterà a casa circa il 15% di
commissioni. In attesa di notizie,
una cosa pare chiara: Amazon sta
facendo la propria selezione basandosi sui commenti di TripAdvisor e sta scegliendo hotel indipendenti che hanno poche possibilità
di pubblicità ma che allo stesso
tempo offrono servizi di qualità nei
pressi delle grandi città USA. Cosa
avranno in mente Bezos & co.?
n. 101 / 14
1 dicembre 2014
MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA Denon ha lanciato le versioni rinnovate dei suoi sistemi audio Ceol
Denon Ceol con Bluetooth e nuovi diffusori
ll Ceol N9 costa 499 euro, il Ceol Piccolo 399 euro; i diffusori sono a parte, prezzo 100 euro
di Roberto FAGGIANO
sistemi Ceol di Denon si rinnovano
con alcune utili aggiunte funzionali e
con nuovi diffusori abbinabili. Il capostipite della famiglia ha ora la sigla N9
e permette di collegare qualsiasi smartphone o tablet tramite Bluetooth con
aptX e NFC, la cui mancanza era forse
l’unico neo del modello precedente.
Tra le connessioni dirette è stata aggiunta un’altra presa ottica, oltre a quella già presente, al posto del secondo
ingresso analogico. Tra le connettività
senza fili è stata poi aggiunta la procedura automatica Wi-Fi sharing per iOS,
in modo da semplificare il collegamento
alla rete domestica. Il Wi-Fi è ora esteso alla modalità n ed è stata aggiunta la
compatibilità con Spotify Connect. Rimane invariata l’amplificazione digitale
da 2 x 65 watt (4 ohm, 0,7% THD) e la
piena compatibilità con musica Flac e
AIFF fino a 192 kHz/24 bit; sempre di-
I
Denon Ceol Piccolo N4, 2x 40 watt.
Denon Ceol N9, ha amplificazione digitale da 2x 65 watt (4 ohm, 0,7% THD).
sponibile l’AirPlay per iOS, il lettore CD
e la radio FM. I diffusori abbinabili SCN9 hanno ora un’estetica migliorata con
griglia fissata magneticamente e soprattutto un nuovo tweeter da 25 mm con
migliori prestazioni. Anche il crossover
è stato rivisto con componentistica selezionata per migliori prestazioni. Nell’amplificatore è inserita una specifica curva
di equalizzazione per i nuovi diffusori,
escludibile quando non li si utilizza.
Il sistema Ceol Piccolo N4 è la versione dedicata a chi non ha bisogno di
lettore CD e radio FM. Anche qui troviamo ora il Bluetooth aptX con NFC
come sul modello superiore, il Wi-Fi
di tipo N con modalità Sharing per
iOS, compatibilità con musica Flac
e AIFF fino a 192 kHz/24 bit e Spotify
Connect. Invariata la sezione di potenza con 2 x 40 watt (4 ohm, 0,7%THD)
e la possibilità di aggiungere una sorgente analogica e una digitale ottica. I
diffusori abbinabili SC-N4 hanno anche
loro un’estetica migliorata, un nuovo
tweeter e un crossover migliorato nella
componentistica.Leggermente modificata l’estetica, ma sempre disponibile
in versione bianca oppure nera, con diffusori coordinati. Per quanto riguarda i
prezzi il Ceol N9 costa 499 euro mentre
il Ceol Piccolo N4 costa 399 euro; per
entrambi si possono avere anche i diffusori con l’aggiunta di 100 euro.
HI-FI E HOME CINEMA Linn Records regala un brano musicale del suo catalogo al giorno
Per Natale Linn regala musica in alta risoluzione
I brani sono disponibili per il download in vari formati, dall’MP3 fino al Flac 192 kHz/24bit
di Roberto FAGGIANO
li audiofili non faranno più ironie
sulla parsimonia degli scozzesi,
infatti per il quarto anno consecutivo Linn Records festeggia il Natale
regalando un brano musicale al giorno.
A partire dal 1° dicembre e fino al 24 dicembre si potrà liberamente scaricare
un file musicale tratto dall’ampio catalogo dell’etichetta scozzese.
Per la codifica si potranno scegliere
vari formati: si parte dal semplice MP3
per poi passare al formato Flac o Alac
da 44kHz/16bit, si prosegue con i Flac/
Alac in versione Studio Master Quality
a 96 kHz/24bit e infine il massimo della qualità con lo Studio Master 192 che

G
torna al sommario
comprende
brani Flac e Alac a
192 kHz/24bit, cioè
lo stesso master
usato da Linn per
produrre i suoi dischi e SACD. La
possibilità di scegliere il formato aiuta chi non dispone
di una connessione
internet ad alta velocità, dato che alcuni
file possono essere molto pesanti da
scaricare. Oltre ai vari brani si possono
scaricare anche le copertine. Un primo
brano è già disponibile sin da oggi, gli
altri saranno disponibili solo per un gior-
no fino alla vigilia di Natale. Per scaricare i brani è necessario registrarsi al sito
Linn e poi procedere al download come
se si stessero acquistando i brani a costo zero. Questo il link per accedere alla
promozione: www.linn.co.uk/christmast
Technics lancia
il suo store di
musica lossless
Aprirà a gennaio 2015
solo in Germania
e in Gran Bretagna
lo store Technics
di musica in download
in formato FLAC
a 16 e 24 bit
Sarà realizzato
in collaborazione
con 7Digital
di Paolo CENTOFANTI
Il resuscitato marchio Technics
metterà la sua firma su un nuovo servizio di musica: il Technics
Tracks. Si tratta di un negozio
di musica online che offrirà agli
utenti la possibilità di acquistare
tracce in formato lossless in alta
risoluzione (24 bit e 192 KHz)
e standard (16 bit e 44.1 KHz). Il
negozio è realizzato in collaborazione con 7Digital e al debutto
sarà però disponibile inizialmente
unicamente in due paesi europei:
Gran Bretagna e Germania. Un
aspetto interessante dell’operazione è che Technics Tracks sarà
disponibile anche su smartphone
con app apposita per Android e
iOS. Lo store sarà anche un portale dedicato al mondo della musica ad alta risoluzione, con contenuti editoriali e notizie. Lo store è
pensato per fornire contenuti per
la nuova gamma di prodotti Technics presentati lo scorso settembre a IFA. I nuovi Technics SU-R1
e ST-C700 sono infatti compatibili
con file audio ad alta risoluzione
in formato PCM, FLAC e DSD, riproducibili sia da periferiche USB
che tramite rete domestica.
n. 101 / 14
1 dicembre 2014
MAGAZINE
PC Synology ha presentato un interessante NAS a due bay pensato per utilizzo domestico
Synology DS215, il NAS per piccoli budget
È un centro per lo storage e la condivisione dei contenuti, inoltre vigila anche sulla casa
S
di Emanuele VILLA
ynology ha presentato un NAS
pensato principalmente per le esigenze di storage, condivisione e
multimediali degli utenti domestici. Pur
non annunciando un prezzo di listino,
Synology promette che si tratterà di un
prodotto per “piccoli budget”, il che lo
rende ideale per chi vuole massimizzare il rapporto qualità/prezzo. Il nuovo
nato si chiama DiskStation DS215J ed è
un server NAS a 2 bay alimentato da un
processore dual core da 800 MHz assistito da 512 MB di memoria RAM DDR3.
Il dispositivo supporta storage fino a 12
TB di spazio e dispone di due porte USB,
di cui una 2.0 e una 3.0, per il collegamento diretto di periferiche esterne. Per
quanto concerne le prestazioni, il nuovo
nato promette oltre 111 MB/s in lettura e
87 MB/s in scrittura, è dotato di un’unità
a virgola mobile che accelera le trascodifiche dei file ed è basato sul sistema
operativo DiskStation Manager, pensato
HI-FI E HOME CINEMA
Tidal ti mette
alla prova

Tidal offre un servizio di musica
streaming in qualità lossless,
ad un prezzo mensile, però, pari
praticamente al doppio rispetto allo
streaming convenzionale. Ne vale
davvero la pena? Tidal al momento
è disponibile solo in Gran Bretagna
e Stati Uniti e, in attesa che lo
streaming lossless si diffonda
maggiormente, ha lanciato un
interessante test in cui invita a
provare il servizio e a dimostrare
di essere in grado di distinguere
la differenza tra audio compresso
con perdita e lossless. Si tratta di
una vera e propria comparazione
alla cieca, in cui siamo invitati ad
ascoltare due versioni di cinque
spezzoni di altrettanti brani, tutti di
generi diversi, e di indovinare quale
delle due è effettivamente lossless.
Il test è tutt’altro che banale e chi
riesce a passarlo a pieni voti ha
diritto a un abbonamento di prova
di 14 giorni (in Italia non sarà possibile sfruttarlo. Pronti a mettervi
alla prova e a scoprire se davvero
l’audio lossless fa per voi?
torna al sommario
Denon DA-10
Audio hi-end
per il computer
Denon propone un
convertitore D/A
portatile compatibile
con la musica DSD
in alta risoluzione
di Roberto FAGGIANO
per favorire la gestione e condivisione
dei contenuti. Inoltre, l’apparecchio mette a disposizione un servizio Cloud completo con possibilità di sincronizzazione
su diversi dispositivi tra cui quelli iOs, Android, PC, Mac ecc. Per la gestione dei
contenuti multimediali, Synology mette
a disposizione degli utenti il pacchetto
Photo Station, Video Station e Audio
Station e funge da server DLNA, oltre a
poter essere impiegato come centro per
la sorveglianza domestica. Il NAS supporta fino a 10 canali video simultanei ad
alta definizione in streaming a 240 FPS e
720 ed è inoltre dotato di 2 licenze gratuite per telecamere IP e supporta fino
a 10 videocamere. Per quanto concerne,
infine, i consumi, il NAS Synology consuma 5,28W in sospensione e 13,42W
durante l’esercizio dei dischi fissi.
PC Dopo HEVC e MKV Microsoft punta anche sull’audio
Windows 10 suonerà bene
Previsto il supporto ai file Flac
W
di Roberto Pezzali
indows 10 cresce bene: Microsoft dopo aver integrato il codec HEVC e il
supporto al container MKV guarda finalmente anche all’audio. Un “teaser”
su Twitter da parte di Gabriel Aul, portavoce Microsoft per la Technical
Preview di Windows 10, mostra chiaramente Windows Media Player all’opera con
una playlist di file audio loseless Flac, l’algoritmo di compressione senza perdita
amato da chi ascolta musica liquida ma non vuole rinunciare assolutamente alla
qualità. Microsoft sta facendo un eccellente lavoro, cercando di rispondere colpo
su colpo a tutte le esigenze in termini di entertainment, e non ci stupiremmo se
dovessimo trovare, in una delle prossime build, un client torrent integrato. Resta
un ultimo ostacolo: Windows Media Player non è mai stato un programma “molto
amato”, traccia di un passato che Microsoft sta cercando di cancellare: forse i tempi per un nuovo player multimediale più moderno sono maturi. Un client alla Plex
o simile a Infuse per
capirci, un player
basato sul contenuto e non sul file,
con una interfaccia
facile, chiara e veloce e compatibile
con tutti i dispositivi dell’ecosistema
Windows. Chiediamo troppo?
Denon
propone
il
DA-10
(349 euro), un piccolo convertitore D/A già compatibile con musica DSD e dotato di amplificatore
per cuffia. Un apparecchio che si
presta facilmente a diversi utilizzi:
in casa con il notebook per ascoltare degnamente la propria musica sull’impianto stereo oppure
in cuffia, durante un viaggio. I più
esigenti lo potranno affiancare
anche allo smartphone per un
ascolto senza compromessi.
Dimensioni e peso sono contenuti, il DA-10 misura 14 x 6 cm e
pesa 240 grammi. L’amplificazione può essere impostata su due
livelli di impedenza per adattarsi a
diversi tipi di cuffia, in particolare
l’amplificatore eroga 2 x 40 mW
su un carico di 32 ohm e 2 x 18
mW su un carico di 600 ohm (1%
THD). Gli ingressi comprendono
una USB di tipo A dedicata a dispositivi Apple, una USB di tipo B
per computer, una USB B dedicato a segnali DSD a 2,8 e 5,6 MHz,
un ingresso analogico e l’uscita
stereo a livello fisso per il collegamento a un sistema stereo.
Nella componentistica utilizzata
spicca il convertitore Burr Brown
PCM 1795 e la circuitazione AL32
che riprende direttamente lo
schema usato sui lettori SACD di
Denon. La batteria ricaricabile integrata ha un’autonomia di 7 ore,
con indicatore di carica; in dotazione anche una custodia per il
trasporto già pronta per ospitare
anche lo smartphone.
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
PC Symantec ha individuato un virus in grado di spiare tutto e di trasferire denaro in remoto
Regin è il Virus dei Virus, dietro (forse) c’è uno Stato
Tra i bersagli degli attacchi industrie e importanti compagnie, si tratta di un complotto?
R
di Michele LEPORI
egin, il virus scoperto dai servizi
di sicurezza Symantec ed annunciato sul proprio sito come il virus
dei virus, è qualcosa di talmente potente che è difficile capirne la portata. Chi
si nasconde dietro Regin? Impossibile
dirlo con sicurezza, né Symantec né il
Financial Times che ha fatto per primo da
“cassa di risonanza” per la notizia hanno
la risposta, ma ci si può ragionevolmente sbilanciare nel dire che il creatore di
Regin sia un paese occidentale, visto
che i bersagli dei cyberattacchi sono stati in larga parte industrie, compagnie ed
importanti figure politico-economiche di
Russia, Arabia Saudita, Messico, Irlanda,
India, Afghanistan, Iran, Belgio, Austria e
Pakistan. Obiettivi diversi, ma secondo
il deus ex machina dietro a Regin, tutti
pericolosi per la sicurezza mondiale e
quindi destinati a finire nelle maglie di
un sistema che ha coperto le sue tracce
dal lontano 2008 ad oggi. Tranne una
pausa di 3 anni, infatti, pare che Regin
abbia agito fin dall’inizio come entità
pensata per erodere le
fondamenta dei sistemi
oggetto dell’hack con
calma e dedizione piuttosto che con attacchi
diretti e punitivi come lo
Struxnet usato da USA ed
Israele contro l’Iran e la
sua escalation nucleare.
Inoltre, Symantec conclude il proprio report sostenendo che lo sviluppo di
Regin abbia richiesto un
significativo investimento di tempo, denaro e risorse umane, cosa che solo uno
Stato può permettersi. Sempre stando al
documento di report pubblicato da Symantec, infatti, Regin agisce con un processo a 5 stadi che presi da soli dicono o
poco nulla sul pericolo che sta correndo
la macchina oggetto dell’attacco ma nella sua completezza il sistema è davvero
ineccepibile. Come ha potuto agire così
indisturbato Regin? Il meccanismo di infezione non è chiaro al 100%, ma come
tutti i cavalli di Troia, sfruttando l’inganno e (almeno in un caso) Yahoo! Instant
Esce negli Stati Uniti
il nuovo tablet 2-in-1
di HP, vuole insidiare
il più blasonato rivale
di Redmond
di Roberto Pezzali
Messenger, Regin accede a versioni fake
dei siti più noti ed inizia così a prendere
possesso dei dati della macchina oggetto dell’attacco. Questo Regingate è
ovviamente una bomba scoppiata sui
tavoli della diplomazia internazionale e
che non contribuirà certo ad allentare
la tensione della nuova guerra fredda
fra Nato e Russia, così come non mancheranno gli esperti pronti a puntare il
dito alle evidenti somiglianze riscontrate
fra il modo di agire di Regin e le recenti
operazioni di controspionaggio cinesi ai
danni di Hong Kong ed USA.
PC Per chi è stanco di aspettare la fibra (e pure l’ADSL) NGI propone una nuova soluzione
Wireless broadband a 30 Mbit con Eolo Plus HD
Il sistema utilizza la trasmissione a microonde, l’installazione richiede una piccola antenna
di Roberto Pezzali
GI lancia il primo servizio wireless
a banda ultra larga in 4000 comuni
italiani, Eolo30 Plus. L’evoluzione
di Eolo, il sistema wireless basato sulla
trasmissione a microonde del segnale,
è ormai una realtà consolidata con oltre
140.000 clienti aziendali e residenziali
che possono contare su una connessione ad alta velocità nelle zone, soprattutto rurali, dove non arriva la connessione
ADSL tradizionale. Eolo30 Plus è l’ultima
evoluzione della tecnologia EOLOWave
di NGI, permette velocità fino a 30 mega
in download e fino a 3 mega in upload
senza la necessità della fibra: basta essere in uno dei 4000 comuni coperti, e
l’unica richiesta è l’installazione di una
particolare antenna sul tetto o sul balcone. “Con i nostri servizi, vorremmo ribadire il messaggio che la banda ultra
larga non coincide solo con la fibra. La
nostra rete EOLO permette collegamenti

N
torna al sommario
fino a 30Mega in ben 4000 comuni italiani, alcuni fra i quali non dispongono
neppure di normali accessi ADSL; un ottimo punto di partenza se pensiamo alle
aree raggiunte dalla fibra.” afferma Luca
Spada, Presidente di NGI. Effettivamente
la soluzione Eolo permette velocità di
navigazione ben più elevate di quelle
della comune ADSL, ma si deve tener
conto anche di alcune variabili e di alcune limitazioni. Prima di tutto la banda: nel
pacchetto base da 44,90 euro al mese
ci sono 50 GB al mese a velocità piena,
terminati i quali la navigazione continua ma a 5 Mbps in download e a 512
kbps in upload. Per acquistare ulteriori
pacchetti di “banda piena” si devono
spendere 6 euro ogni 5 GB. L’antenna è
inclusa nell’installazione, per la quale bisogna pagare un contributo una tantum
di 24.50 euro. Se il costo può sembrare elevato bisogna considerare che ai
clienti di nuova attivazione Eolo30Plus
HP Envy X2
a caccia
di Surface Pro 3
include gratuitamente EOLO Voce per
telefonare ai clienti di rete fissa. Va detto
comunque che 5 Mbit non sono affatto
male e dovrebbero garantire la banda
necessaria sia per vedere film in streaming sia per giocare, anche se per il gaming l’unico problema potrebbe essere
una latenza variabile a seconda delle
situazioni. Chi lo ha provato ultimamente
ci fa sapere che comunque non si passano mai i 50 millisecondi.
In quel di Palo Alto sono pronti a
riprovarci con il nuovo modello
di Envy X2. Sebbene la stampa a
stelle e strisce continui a parlare
senza mezzi termini di “cloni”, i
nuovi Envy X2 hanno vita propria
e alcune differenze che non passano inosservate rispetto alla controparte Surface Pro di Microsoft:
dai 4 altoparlanti (nella versione
da 15”, sul 13” saranno 2) realizzati
in collaborazione con BeatsAudio
allo chassis da 1 cm abbondante
e un peso decisamente maggiore,
vicino a 1,5 Kg marcano in maniera netta le distanze dal competitor
Microsoft.Venendo all’hardware, la
prima differenza che non depone
a favore della teoria del clone è il
processore: Core M 5Y10 da 2,0
GHz o Core M5Y70 da 2,6 GHz,
un cuore pulsante inferiore al rivale. HP lascia all’utente finale la
scelta della RAM, da 4 a 8 GB così
come il tipo di memoria di archiviazione che sul 13 è di tipo SSD
a 128 o 256 GB mentre sorprende
l’assenza di una memoria completamente a stato solido sul 15”
a favore di un simil-FusionDrive
con 500 GB magnetici e 16 SSD.
Una scelta ottima per contenere
il prezzo, meno per accontentare
l’utenza più esigente. Veniamo ai
prezzi: i modelli da 13” sono proposti a partire da 799 dollari il 15”
parte da 749 dollari. La presenza
della tastiera “di serie” è un punto
a favore di HP, ma l’Intel Core i3
del Surface Pro 3 ci pare un rivale
difficilmente raggiungibile.
IL PIÙ SEMPLICE
IL PIÙ SMART
*LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine.
Now It’s All Possible
Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*?
La sua sorprendente evoluzione.
Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart.
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MAGAZINE
gaming La scelta non è semplice: tanti modelli, tanto marketing e confusione soprattutto sul collegamento da adottare
Come scegliere la migliore cuffia per giocare
Una guida approfondita per scegliere una cuffia per giocare per console e PC, provando anche alcuni nuovi modelli
di Roberto Pezzali
videogiochi sono una passione, e non è un caso che
proprio il gaming sia al momento uno dei settori più
floridi, più del cinema o della musica. Oltre alla storia del gioco, che è fondamentale, è giusto aspettarsi
la massima qualità audio e video. Purtroppo l’audio
passa spesso in secondo piano: ne è dimostrazione il
fatto che spesso le polemiche sono legate all’assenza del 1080p su un gioco, alla risoluzione scadente,
all’aliasing e ad altri difetti, mentre se la traccia in 5.1 è
pessima, compressa e poco dinamica pare non importare a nessuno. Anzi, molti ignorano di avere addirittura una traccia multicanale. Non è giusto: la colonna
sonora di un gioco, così come la riproduzione degli
effetti e delle voci, è un elemento importantissimo per
la fruizione del gioco e in alcuni la ricostruzione della
scena è fondamentale. Ecco perché abbiamo deciso
di dedicare una prova comparativa alla parte audio
dei videogiochi, una guida all’acquisto unita alla prova
di alcuni prodotti che abbiamo selezionato.
I
Non solo cuffia, c’è anche il microfono
Le cuffie per giocare non sono molto diverse dalle
normali cuffie audio, anzi, spesso e volentieri le cuffie per uso audio tradizionale sono anche migliori di
molte cuffie dedicate a PC e console. Il mondo dei
gamer è decisamente contagiato dal marketing, pertanto non c’è da stupirsi se una cuffia audio dedicata
al gioco del costo di svariate centinaia di euro suoni
peggio di una cuffia entry level di un marchio che ha
fatto cuffie da una vita. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti da considerare: molte aziende (Razer, ad esempio)
hanno ormai tutta l’esperienza per poter proporre prodotti di altissimo livello in campo audio, e soprattutto
ci sono alcune particolarità delle cuffie da gioco che
sono trascurate nelle normali cuffie da ascolto. A parte la lunghezza del cavo, di norma (molto) maggiore
rispetto ai modelli dedicati all’audio, una fondamenta-

La tipica cuffia da gioco: il microfono è indispensabile se si gioca in multiplayer
torna al sommario
le è il microfono: chi gioca in multiplayer ha bisogno
di un microfono per poter chattare in real time con il
team, e la stessa qualità del microfono è fondamentale per essere capiti in modo chiaro. La seconda è
la comodità: una cuffia da gioco può essere tenuta
anche per svariate ore, e la comodità dei padiglioni è
un criterio di scelta importante. Infine, la compatibilità:
ogni periferica di gioco ha le sue pecularità e proprio
per questo motivo affronteremo l’argomento in modo
separato, proponendo per ognuno una piccola guida
alla scelta e la prova di un prodotto selezionato.
Scegliere una cuffia per PC è facilissimo
Il PC è il mezzo da gioco con cui si può raggiungere
non solo la più alta qualità video ma anche audio. La
scelta da fare è il tipo di connessione: si possono utilizzare cuffie con connettore jack tradizionale e quelle
USB. Nel primo caso la cuffia va collegata alla scheda
audio dedicata (consigliata nel casi di gaming) e alle
uscite audio della motherboard, nel secondo caso si
va ad occupare un connettore USB. La differenza è
intuitiva: se si usa il connettore jack, è il PC a occuparsi della conversione digitale analogica mediante
la scheda audio o il piccolo codec hardware della
motherboard; nel caso invece di una cuffia USB il codec è inserito nel connettore della cuffia stessa e non
sempre è un componente di qualità.
Difficile dire quale delle due soluzioni sia meglio: una
scheda audio, anche se di qualità, risente comunque
delle interferenze elettromagnetiche all’interno del
cabinet, la connessione USB spesso usa DAC di qualità minore ma non ha il problema delle interferenze.
Per chi vuole proprio il top la soluzione perfetta è usare un DAC per cuffia esterno e una cuffia stereo di
buona qualità collegata al DAC.
L’altro problema è legato al microfono: nel caso del
PC l’ingresso cuffia e l’ingresso microfono sono separati pertanto è possibile acquistare i due componenti
separati, aggiungendo a una cuffia classica un piccolo microfono a clip. Siamo abbastanza certi che scegliendo due componenti di buona qualità si ottenga
una resa di gran lunga superiore a quella di molte cuffie specifiche per il gaming con microfono integrato.
Qui sopra una tipica cuffia per PC con connettori
separati per microfono e cuffie. C’è anche un
piccolo DAC per usarla tramite USB.
La Xonar U3 di Asus è una buona soluzione per
gestire l’audio esternamente.
segue a pagina 21 
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MAGAZINE
gaming
Scegliere miglior cuffia per giocare
segue Da pagina 20 
Meglio scegliere stereo o 5.1?
La parola “Surround” è spesso inflazionata: nel campo
dell’audio è spesso usata e abusata anche dove non
c’è bisogno. È facile trovare sulle confezioni le scritte
“Super Surround”, 7.1 Surround, Tru-Surround e simili,
ma la realtà è che esistono due tipi di cuffie: quelle
Surround vere e quelle con Surround emulato. Alla
prima categoria appartengono le cuffie che al posto
di un solo diffusore per padiglione hanno più driver,
ognuno pilotato in modo indipendente, come accade
in un sistema 5.1. Queste cuffie si riconoscono guardando nel padiglione o alle connessioni: se sono usati
i jack, devono esserci tre coppie di jack stereo, se c’è
l’USB non si può capire che tipo di cuffia sia. Alla seconda categoria appartengono, invece, le finte cuffie
Surround, cuffie stereo che usano una serie di DSP
software per ricostruire l’ambienza. La cosa funziona,
esistono ottimi algoritmi per la ricostruzione del 5.1 in
cuffia usando solo due canali, ma quello che è importante capire è che queste cuffie alla fine sono stereo
e la parola “Surround” ce la fanno pagare nel prezzo
della cuffia. Quale scegliere per il PC? Dipende dal
budget: una vera cuffia 5.1 che suoni bene è incredibilmente costosa, quindi con un budget normale meglio puntare su una buona stereo, magari acquistando
anche un DAC esterno.
La nostra prova: Sennheiser G4me Zero
ware, un piccolo codec Texas Instrument per gestire
microfono e cuffie regolando in modo indipendente i
livelli. La versione del controller creata da Turtle Beach, che ha un tasto “enhance”, non fa altro che gestire l’equalizzazione: non è un DSP. Due cose vanno
chiarite: che questo modulo è solo stereo e in nessun
caso non potrà trasmettere segnali multicanale, e che
la tecnologia di trasmissione del segnale è all’interno
del controller Microsoft e non nel modulo. Il controller Microsoft usa una tecnologia basata su Wi-Fi ma
proprietaria che trasmette i comandi di gioco e anche
l’audio. Il segnale audio è di tipo RF a 2.4 Ghz, tuttavia
non è dato sapere se e come viene compresso, se
vengono usate soluzioni di compressione lossless e
qual è la banda destinata all’audio. Il piccolo adapter
e il sistema di trasmissione del segnale rappresentano per Xbox One il collo di bottiglia: anche se le cuffie
sono le migliori al mondo, la qualità del segnale in arrivo alla cuffia sarà comunque modesta. Per questo
motivo chi vuole un ascolto in cuffia di qualità deve
procedere per altre strade, sfruttando ad esempio
l’uscita ottica sp/dif sul retro. In questo caso si potrà
davvero avere audio multicanale ed elevata qualità
audio, anche se le cuffie che dispongono di ingresso digitale e quindi anche di un processore dedicato
sono decisamente costose. Inoltre si perde la possibilità di usare la chat, sempre che non si voglia adottare
Kinect. Esistono anche soluzioni più avanzate, come
quella mostrata sotto che però non è wireless: Turtle
Beach ha cuffie senza fili che si collegano a un adapter separato, che sfrutta l’uscita ottica ma permette di
gestire anche l’audio con microfono integrato.
Le nostre prove: Turtle Beach XO One
e Xbox One Stereo Headset
Scegliere una cuffia per Xbox One
Nel caso di Xbox One la cuffia si attacca al controller
da gioco utilizzando un connettore jack in standard
CTIA. Questo vuol dire che molte cuffie per PC dotate
di connettore separato per microfono e cuffia richiedono un adattatore per essere rese compatibili: Xbox
One richiede un unico jack. In realtà la cuffia non si
attacca proprio al controller ma a un adattatore da
collegare al controller e da acquistare separatamente. Microsoft lo vende come prodotto separato, oppure è possibile trovarlo all’interno della cuffia stereo
per Xbox One. Altri produttori hanno realizzato il loro
adapter, ed è il caso ad esempio di Turtle Beach: in
realtà, fatta eccezione per la disposizione dei tasti,
questi adapter usano tutti lo stesso identico hard-

L’adattatore ufficiale Microsoft
torna al sommario
La cuffia Wireless di PS4: usa una dongle USB e
ha un cavo per collegare il microfono
Scegliere una cuffia per PS4
La gestione audio di PS4 è più semplice e flessibile:
si possono utilizzare cuffie USB, cuffie Wireless con
connettore USB, cuffie a filo con jack da 3.5” e anche cuffie con ingresso digitale ottico. Manca il supporto Bluetooth: PS4 può gestire fino a 4 periferiche
Bluetooth connesse e Sony ha preferito lasciare questa possibilità ai controller.
La soluzione più immediata è l’uso di una cuffia stereo
da attaccare al controller: in questo caso non serve
un adattatore e basta indirizzare tutto l’audio all’uscita
jack (c’è una impostazione dedicata). Questa soluzione tuttavia ha gli stessi limiti di quella di Xbox One: il
trasferimento Wireless dell’audio comporta una perdita di qualità, soprattutto in questo caso visto che il
trasferimento avviene tramite bluetooth e non con un
collegamento Wireless dedicato.
La soluzione migliore è sfruttare la porta USB: quella
frontale della PS4 è compatibile con alcuni modelli
di cuffie, e sta ai produttori scegliere se creare una
segue a pagina 22 
Per sfruttare l’uscita 5.1 serve un processore esterno da alimentare tramite USB. L’audio del microfono
va comunque instradato dal controller.
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MAGAZINE
gaming
Scegliere miglior cuffia per giocare
segue Da pagina 21 
La nostra prova: Turtle Beach EarForce P12
cuffia a filo oppure se realizzare cuffie Wireless dove
una dongle viene inserita nel connettore USB e le cuffie ricevono il segnale da questa. In questo caso la
qualità dipende dal tipo di protocollo usato per la trasmissione: alcune utilizzano un segnale radio RF, altre
il Bluetooth. Utilizzando il jack sul controller o l’USB
l’uscita audio è esclusivamente stereo, pertanto ogni
rielaborazione in 5.1 o 7.1 è fatta dal DSP delle cuffie:
come per le altre console l’unico modo per avere audio multicanale discreto vero è sfruttare l’uscita digitale ottica della console. In questo caso vanno bene
tutte le cuffie che si possono adattare anche a tutte
le altre console.
Scegliere una cuffia per PS3
La cara e vecchia PlayStation 3 gestisce l’audio per le
cuffie tramite Bluetooth e USB, e la regola del “wired
is better” vale anche qui. La connessione Bluetooth,
essendo compressa e compatibile solo con il profilo
a2dp, non è certo una connessione di qualità oltre a
essere solo stereo. In ogni caso ogni cuffia Bluetooth,
anche gli auricolari per smartphone, è compatibile
PS3. C’è da dire che non ci sono moltissimi prodotti
che sfruttano questa possibilità: molto più diffuse invece le cuffie classiche con USB, spesso le stesse che
sono compatibili anche con un PC.
Sempre per la PS3 (ma la regola come abbiamo visto
è universale), si può sfruttare l’uscita ottica. Chi vuole
però sfruttare una cuffia con connettori jack separati, quelle classiche per PC insomma, può acquistare
piccoli adattatori di terze parti da collegare alla por-

Le nuove cuffie Silver funzionano sia su PS3 che
su PS4 tramite USB. Vanno bene anche per un PC.
torna al sommario
Auricolare Bluetooth con dongle dedicata.
ta USB: venduti a pochi euro questi adattatori sono
comunque prodotti di discreta qualità con un DAC
non certo eccelso. Se per PC è possibile dotarsi di
DAC esterno, nel caso della PS3 bisgna fare molta
attenzione: non tutte le periferiche USB vengono riconosciute e molti DAC non funzionano. Esistono però
prodotti come la Soundblaster Recon3D che vengono
riconosciuti e funzionano senza problemi.
connettore proprietario AV, e in alcuni casi è necessario disporre di un adattatore per prelevare contemporaneamente il segnale HDMI (se la console ha l’HDMI)
e l’uscita ottica.
Sui modelli più recenti come la Xbox 360E il problema non sussiste perché l’uscita ottica è separata e
comunque si può anche sfruttare il jack AV che ha
sostituito il connettore proprietario.
Scegliere una cuffia per Xbox 360
La gestione dell’audio dell’Xbox 360 è forse quella
più problematica e confusa, anche a causa delle diverse iterazioni hardware della console. Microsoft ha
rilasciato diversi headset Wired e Wireless, ma in tutti
i casi si tratta di auricolari di modesta qualità nati per
gestire la chat e non certo per l’audio del gioco.
Tra questi troviamo soluzioni Bluetooth con dongle
dedicata, soluzioni Wireless che sfruttano una connessione proprietaria Microsoft e soluzioni cablate da
attaccare al controller della console tramite il piccolo
jack da 2.5”. Come detto prima l’ambito di queste soluzioni è gestire l’audio della chat, e non certo l’audio
del gioco. Per poter mandare in cuffia tutto l’audio in
uscita dalla console è necessario prelevare l’audio digitale dal retro della console, e qui arrivano i problemi
se la console non è recente. Le prime generazioni di
Xbox 360 infatti disponevano di uscita ottica solo sul
Gaming spesso equivale a marketing: molte cuffie
sono più apparenza che qualità audio.
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MAGAZINE
gaming Dell propone un PC travestito da console che si chiama Alienware Alpha, presto disponibile anche per i gamer italiani
Alienware Alpha, la soluzione per chi ama giocare col PC
È un PC con versione customizzata di Windows che lo rende a tutti gli effetti simile alle console di ultima generazione
V
di Massimiliano zocchi
i piacciono le console ma avete
sempre amato giocare con il vostro PC? Allora Alienware Alpha
potrebbe essere il prodotto che fa per
voi. Dell lancia finalmente sul mercato il
suo Steam PC da salotto.
Con un prezzo a partire da 549,99 dollari
(al momento solo per il mercato USA),
potremo avere questo desktop PC che
è anche un’aspirante console. Non solo
estetica, però: Alpha è console anche
nell’anima grazie al sistema operativo
Windows 8.1 pesantemente customizzato. A tutti gli effetti, infatti, l’interfaccia per il gaming ricorda molto da vicino
quella di una console di ultima generazione e rende le cose molto semplici e
immediate. In caso di necessità potrete
sempre collegare il vostro mouse e la
tastiera ed accedere alla modalità desktop. Le configurazioni disponibili solo
Da Philips la
lampadina LED
piatta

Philips sente forte l’esigenza di
offrire lampadine LED che fondano i
vantaggi della nuova tecnologia con
il look degli apparecchi tradizionali. Il
risultato odierno, che per il momento
è annunciato solo per gli USA, è la
SlimStyle con intensità equivalente a
una lampada a incandescenza da 75W
e caratterizzata dal look rotondo come
le lampadine classiche, ma anche totalmente piatto. Con un output di 1.100
lumen, SlimStyle LED rappresenta un
passo avanti rispetto alla precedente
lampadina “60W equivalente” e
capace di 800 lumen. La forma piatta
e circolare insieme è utilissima per
la dispersione del calore, al punto
da non richiedere alcun dissipatore
in alluminio, con conseguente minor
peso e costo inferiore. La lampadina
è certificata per 13.000 ore di utilizzo,
consuma 13 watt di potenza e costa
12,97 dollari americani.
torna al sommario
tre: la più economica ha processore Intel Core i3, 4 GB di RAM e 500 GB di
hard disk, poi si sale a 799 dollari per
la versione con Core i5, 8 GB di RAM
e 1 TB di storage, mentre per avere un
Core i7, 8 GB di RAM e 2 TB di HD dovremo sborsare 899 dollari.
Ciò che distingue Alpha da un qualsiasi gaming PC è anche la scheda video
NVIDIA GeForce GTX 860M, progettata appositamente per massimizzare la
resa con i giochi disponibili
nella piattaforma Steam.
Secondo Dell, i tecnici NVIDIA e Alienware lavorando
in sinergia hanno spinto la
860M a livelli mai raggiunti,
con un perfetto equilibrio
tra prestazioni e calore sviluppato, ottenendo risultati di alto livello; la RAM
dedicata alla grafica è stata inoltre
portata a 2 GB di GDDR5. Sempre dal
sito Alienware apprendiamo che Alpha
verrà rilasciato con sistema operativo
Steam OS preinstallato, e potrà essere
utilizzato anche il gamepad Steam, oltre
che altri controller tramite un Dongle
USB fornito nel bundle iniziale. Al momento sul sito italiano è presente solo
una pre-registrazione, ma il fatto che la
pagina sia già completamente tradotta
e ricca di informazioni lascia presagire
che sarà presto disponibile anche per i
gamer nostrani.
scienza e futuro Chi ha detto che il Blu-ray sono prodotti destinati solo all’intrattenimento?
Il Blu-ray ha ancora un futuro: nei pannelli solari
Uno studio ha scoperto che la superficie dei Blu-ray registrati può intrappolare la luce solare
di Paolo centofanti
C
hi ha detto che il Blu-ray Disc sono
prodotti destinati solo all’intrattenimento? In un articolo pubblicato
su Nature, dei ricercatori della Northwestern University di Chicago hanno infatti
dimostrato che la superficie dei dischi
Blu-ray registrati è perfetta per creare
dei rivestimenti in grado di intrappolare
la luce solare. Il modo in cui i dati vengono masterizzati su un Blu-ray, infatti,
crea una serie di micro tracce perfettamente casuali di lunghezza compresa
tra i 150 e i 525 nm, una scala che è
casualmente perfetta per intrappolare
la luce di lunghezza d’onda infrarossa.
Per questo motivo, i ricercatori hanno
studiato un modo per utilizzare i Bluray Disc come stampo per realizzare
un rivestimento sui pannelli fotovoltaici
con lo stesso pattern dei dischi pre-registrati.
Replicando la stessa struttura di un disco
Blu-ray, i pannelli voltaici così realizzati
hanno dimostrato un incremento nel-
l’efficienza energetica fino al 12%, grazie alla proprietà di assorbimento della
luce di questo particolare rivestimento,
che è del 28% superiore a quella di un
pannello non trattato. L’esperimento era
iniziato utilizzando supporti vergini, ma
la distribuzione delle incisioni non era
sufficientemente casuale da migliorare
l’assorbimento della luce. I dischi utilizzati invece per la distribuzione dei film,
i Blu-ray Disc video insomma, a causa
della particolare modulazione utilizzata,
che sfrutta avanzati codici di correzione
degli errori che hanno l’effetto di creare
una sequenza pseudocasuale, si sono
rivelati perfetti. Come nota di colore, i
ricercatori hanno utilizzato come primo
Blu-ray Disc per realizzare uno stampo il
film di Jackie Chan Police Story 3: Supercop, considerato abbastanza brutto per
essere sacrificato in nome della scienza
e dell’energia pulita.
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
gadget Bagaglio a mano o valigia? Fugu Suitcase risolve il problema con un progetto originale
Una valigia gonfiabile per i viaggiatori evoluti
Un solo prodotto per due funzionalità ed è anche facile da usare. Su Kickstarter va benone
di Massimiliano zocchi
uante volte abbiamo avuto il dubbio che il nostro piccolo bagaglio
a mano non sarebbe stato sufficiente per il ritorno a causa di regali,
souvenir e vestiti acquistati nel frattempo? I ragazzi di Fugu Luggage propongono una campagna di crowdfounding
per risolvere per sempre questo problema.
Fugu Suitcase è in grado di diventare più grande, grazie a delle speciali
pareti gonfiabili tramite una elettropompa interna, e passa dalla misura
di bagaglio a mano (rispettando gli
standard delle compagnie aeree) alla
massima misura consentita per i bagagli da stiva. Così potrete partire nel
modo più comodo ma avere tutto lo
spazio necessario al ritorno.Il progetto
presentato su Kickstarter ha non solo
raggiunto la quota minima di 50.000
Il Wall Street Journal
sostiene che GoPro,
dominatore del mercato
delle Action Cam, abbia
in serbo il suo primo
drone per la fine del
2015. Prezzi tutt’altro
che popolari: si vocifera
costerà 1000 dollari
Q
di Emanuele villa
dollari, ma ha già superato il quadruplo della richiesta iniziale. Prenotare la
Fugu costa 219 dollari per la sola valigia, oppure 295 dollari per il kit comprensivo di valigia, borsa per notebook
e targhetta e lucchetto personalizzati.
Ma le particolarità di questa valigia non
finiscono qui. Infatti una volta gonfiata
completamente è assolutamente robu-
sta tanto da sorreggere il vostro peso,
e può essere usata anche come piano
d’appoggio, come fosse un tavolo da
viaggio. Al suo interno inoltre ha dei
ripiani e appendini per riporre i vostri
abiti nel miglior modo possibile. In più
è dotata di ruote omnidirezionali per
facilitare gli spostamenti. Ecco il video
della presentazione.
gadget L’esame del framework di sviluppo di Apple Watch fa luce sul rapporto con l’iPhone
Watch senza segreti, ma il protagonista resta iPhone
iPhone sarà il cuore dell’elaborazione delle app, e l’orologio gestirà l’interazione con l’utente
I
di Emanuele Villa

nsieme alla beta di iOS 8.2, Apple ha
rilasciato il suo framework di sviluppo per Apple Watch, nome in codice
WatchKit. Rivolto ovviamente agli sviluppatori, l’SDK fa luce su alcune questioni
lasciate in sospeso in fase di presentazione, e in particolare sul rapporto e la
sinergia tra l’orologio e l’iPhone.
La prima notizia, importantissima, è che
iPhone sarà il cuore dell’elaborazione
delle app, almeno nella prima fase. Apple ha infatti svelato che le app gireranno su iPhone, facendo perno sull’hardware nettamente più versatile e potente
rispetto a quello del telefono, mentre a
Watch spetterà la gestione e il render
dell’interfaccia utente. In pratica, il SoC
di iPhone eseguirà il codice, ma l’interazione avverrà mediante l’interfaccia
utente gestita da Watch e il “dialogo” tra
i due dispositivi sarà costante. Per esempio, le animazioni saranno elaborate
dalla GPU di iPhone e poi inviate a Watch per la visualizzazione finale. Questa
situazione potrebbe cambiare nella seconda parte del 2015, quando verranno
torna al sommario
Tutti pazzi
per i droni
anche GoPro
rilasciate le app “native”,
che si suppone girino per
larga parte sull’orologio e
non necessitino della presenza costante di iPhone.
Una possibilità di interazione con le app sono le
Glances, ovvero una specie di widget persistente
sull’orologio che mostra
informazioni ordinate provenienti da
app installate nel telefono: qui non c’è
possibilità di interazione con l’utente e i
template sono rigidi, ma c’è ovviamente
la possibilità di aprire l’app nel telefono.
E poi ci sono le notifiche “classiche”, di
due tipi: quelle statiche e soprattutto
quelle interattive. Le prime saranno poco
più di reminder a tutto schermo, con
logo e nome dell’app e testo della notifica in bella evidenza, mentre le seconde
permetteranno all’utente (un po’ come
avviene con Android Wear) di porre in
essere azioni direttamente connesse al
contenuto della notifica.
Altre notizie interessanti provenienti da
WatchKit riguardano la risoluzione dei
due modelli in uscita: quello più piccolo,
con display da 1,5’’, ha una risoluzione di
272 x 340 pixel, mentre il secondo, da
1,65’’, è da 312x390 pixel, il che comporterà uno sforzo extra per gli sviluppatori. Le gesture saranno sostanzialmente
le solite, anche per garantire un’esperienza utente analoga agli altri strumenti, e sarà possibile inserire mappe con
fino a cinque annotazioni, ma saranno
mappe non interattive. Infine, l’orologio
avrà a disposizione una cache per le immagini di 20 MB, supporterà immagini
animate pre-renderizzate dal telefono
ma non i video: d’altronde, con un display di queste dimensioni ci possiamo
accontentare.
Mentre parte dell’industria si interroga sul futuro di smartphone
e tablet, diverse aziende stanno
sviluppando l’altra grande tendenza del periodo: i droni “consumer”. Questa volta la notizia
arriva dal Wall Street Journal e
riguarda il riferimento assoluto
nel mondo delle Action Cam:
GoPro. L’azienda sarebbe infatti
al lavoro sul suo primo quadricottero, previsto in uscita per la
fine dell’anno prossimo.
Si vocifera un prezzo tutt’altro
che popolare, intorno ai 1000
dollari, ma con funzioni esclusive e l’inclusione di diverse
videocamere ad alta definizione al fine di rendere tutto il più
avvincente possibile. In pratica,
il drone GoPro potrebbe facilmente rientrare nella categoria
prosumer: usato da chi vuole
realizzare i propri filmati in quota
ma anche per servizi professionali e televisivi.
L’azienda, che in questo modo
andrebbe a competere con nomi
noti del settore consumer come
Parrot, al momento non conferma né smentisce, di fatto andando a “certificare” quanto meno
un suo interessamento nella
questione. Speriamo di vedere
qualche prototipo al CES.
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MAGAZINE
tEST L’AX900 è il TV top di gamma di Panasonic, un LCD sviluppato per offrire una qualità comparabile a quella del migliore plasma
Panasonic AX900: l’LCD per chi vuole il massimo
È un TV eccellente sotto tutti punti vista, la qualità rasenta la perfezione. C’è un solo problema: il prezzo è decisamente alto
L
di Paolo CENTOFANTI
a gamma di TV Panasonic ha raggiunto i vertici
della qualità di immagine lo scorso anno con il
plasma top di gamma serie ZT60. Gli appassionati
speravano fosse un nuovo punto di partenza per arrivare al televisore perfetto e invece sappiamo come
è andata: stritolata da vendite non esaltanti, dalla crisi
dell’economia giapponese e dall’imperare di pannelli
LCD a basso costo, Panasonic ha dovuto prendere una
scelta inevitabile, quella di chiudere la divisione plasma. Una decisione non presa a cuor leggero e con
la promessa di offrire dei degni sostituti in tecnologia
LCD. Se la gamma full HD di quest’anno è stata tutt’altro che esaltante, Panasonic aveva comunque già sfornato degli ottimi prodotti con la serie Ultra HD AX800:
un TV LED Edge che ci è piaciuto molto, seppure con
dei limiti legati alla tecnologia. L’AX900 nasce con l’ambiziosa intenzione di offrire invece qualcosa di davvero paragonabile proprio all’apice della tecnologia
al plasma rappresentato dallo ZT60. Per raggiungere
questo obiettivo Panasonic non ha badato a spese: ha
dirottato su questo progetto la maggior parte degli ingegneri della divisione plasma, comprese risorse ereditate dal team Kuro di Pioneer, e ha collaborato con il
suo team di stanza a Hollywood esperto in qualità di
immagine. Il risultato è un TV con pannello full LED con
local dimming “vero” a 128 zone, una tecnologia che
ormai usano in pochi per il suo costo elevato, integrato
da quello che Panasonic chiama Studio Master Drive,
essenzialmente un fine tuning di elettronica e pannello
LCD per esprimere un’immagine cromaticamente corretta soprattutto sulle tinte più scure. Tutto ciò per dirci
che in fondo possiamo vivere anche senza plasma.
Missione compiuta?
Design sobrio e pulito ma occhio al lato B
Per il suo nuovo top di gamma Panasonic ha rivisto leggermente il design rispetto all’AX800. La filosofia non è
troppo diversa rispetto al modello inferiore: un frontale
molto pulito e semplice, apparentemente senza base
di appoggio, ma con un grosso (e pesante) piedistallo
nella parte posteriore. Se l’AX800 sembrava poggiare
tutto il peso su una leggera staffa dall’equilibrio improbabile, la cornice dell’AX900 è un tutt’uno, anche
perché nella parte inferiore integra i diffusori stereo,
creando una sorta di micro soundbar nella parte infe-
video
lab
Panasonic TX-55AX900
UN LCD AL LIMITE DELLA PERFEZIONE, MA L’OLED COSTA MENO
4499,99 €
Con l’AX900 Panasonic dimostra di poter far a meno della tecnologia di display al plasma per realizzare un TV eccellente in grado di spiccare in
un mercato sempre più popolato da prodotti mediocri. L’AX900 è senza dubbio il miglior TV LCD sulla piazza, compete bene con il plasma, ma
ha un grande limite: il prezzo, che (in questo momento) lo pone fuori dal mercato. Siamo di circa 1500 più in alto rispetto all’OLED di LG di pari
dimensioni. Anche con una risoluzione Ultra HD, l’AX900 non può competere come qualità di immagine con l’OLED full HD. Il prezzo dell’AX900
è sproporzionato anche in considerazione del fatto che la tecnologia full LED con local dimming non è una novità, anche se oramai, in un panorama televisivo in cui la qualità di immagine non è (purtroppo) più centrale, è diventata una rarità. Prezzo per pochi, quindi; e su pochi pezzi è
impensabile partire con prezzi più bassi: un cane che si morde la coda e renderà la vita difficile, commercialmente parlando, a questo AX900
ma che per certi versi spiana la strada al fratello minore AX800, il cui modello da 50 pollici ormai si trova a meno della metà.
8,0
Qualità
9
Longevità
9
Design
7
Il miglior LCD sul mercato
Cosa ci piace Buona calibrazione “out of the box”
Ampie possibilità di calibrazione
riore del TV. La linea dell’AX900 (noi abbiamo testato
il modello da 55 pollici) è così molto pulita sul frontale,
anche perché la cornice è davvero molto sottile intorno
al pannello. L’unica nota stonata è costituita dal LED blu
che illumina la fascia inferiore sotto lo schermo: scenografico quanto si vuole, ma è più luminoso di quello
che si può pensare, tanto da disturbare la visione quando si guarda qualcosa in ambiente oscurato. Con sala
illuminata non dà invece fastidio. Naturalmente il LED
può essere spento con un apposita voce nel menù di
impostazione, ma forse valeva la pena mettere un tasto
apposito sul telecomando. Nel complesso la costruzione è contraddistinta dall’utilizzo di materiali di buona
qualità e quando si estrae il TV dall’imballo si può apprezzare la solidità del prodotto. La cornice laterale è
ricoperta da un profilo in acciaio e il ricorso alla plasti-
Semplicità
7
D-Factor
9
Prezzo
6
Prezzo davvero elevato
Cosa NON ci piace Il local dimming può generare artefatti
Piattaforma smart macchinosa
ca, per i tempi che corrono, è piuttosto limitato. Anche
il retro è costituito da una copertura metallica.
Il pesante piedistallo posteriore è abbastanza ingombrante e porta via quasi 30 centimetri in profondità,
per cui occorrerà tenerne conto nel momento in cui si
pensa a dove installare il TV. Non è nemmeno troppo
bello da vedere, ma per fortuna se ne sta bello nascosto dietro, seppure sarà chiaramente visibile quando si
guarda il TV di profilo. Nonostante il televisore abbia
una retroilluminazione full LED lo spessore è comunque piuttosto ridotto e si attesta sotto i 6 centimetri nel
punto più profondo.
Sul retro troviamo invece tutte le connessioni di cui potremo avere bisogno. Gli ingressi HDMI sono quattro,
tutti compatibili HDMI 2.0 e HDCP 2.2. A ciò si aggiun-

segue a pagina 26 
torna al sommario
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tEST
Panasonic AX900
segue Da pagina 25 
MAGAZINE
Misure con setup THX...

Bilanciamento del bianco
ge (vera rarità) anche un ingresso DisplayPort 1.2 per il
collegamento di PC fino alla risoluzione nativa del TV.
Vicino agli ingressi HDMI troviamo ben tre porte USB,
di cui una alimentata fino a 900 mA per il collegamento
di hard disk esterni. Ci sono poi l’uscita per le cuffie,
quella digitale ottica, ingressi component e SCART tramite adattatori forniti in dotazione, lo slot per schede
SDXC, doppio alloggio per moduli Common Interface,
doppia antenna SAT, antenna normale e porta ethernet. Il TV integra naturalmente anche la connettività
Wi-Fi (802.11n anche a 5 GHz). Il sintonizzatore è doppio sia per il digitale terrestre DVB-T2, che satellitare.
Il TV è dotato di decoder HEVC ma, stando alle specifiche, unicamente per la riproduzione di contenuti via
Internet (essenzialmente Netflix dove è disponibile) o
da periferiche USB nella forma di file multimediali. In
dotazione troviamo due paia di occhiali 3D passivi molto leggeri e come per l’AX800 due telecomandi, uno
tradizionale e quello a touchpad pensato per l’utilizzo
delle funzionalità “smart”. Il telecomando principale è
davvero ben costruito, rivestito in alluminio e con i tasti
principali retroilluminati.
Tante funzionalità,
Interfaccia da migliorare
Una volta acceso il TV siamo accolti dalla stessa interfaccia a schermo che avevamo trovato sul modello
della serie AX800. Da questo punto di vista i TV sono
indistinguibili e presentano le stesse funzionalità. La
schermata di partenza è la My Home Screen, che l’utente può personalizzare scegliendo tra diversi modelli a
disposizione. È possibile dare più peso alle funzioni TV
oppure a quelle multimediali, ma anche decidere di avere di default semplicemente un canale televisivo come
un normale televisore. Come abbiamo già avuto modo
di scrivere parlando di altri TV Panasonic di quest’anno, la nuova piattaforma non è esattamente il massimo
dell’intuitività e nonostante non manchi qualche buona
Spazio colore - Gamut
Saturazione primari e secondari
...E dopo la nostra calibrazione
idea, le varie funzionalità sono un po’ disgiunte tra loro
e in generale l’esperienza di utilizzo è poco armonica:
ad esempio occorre creare due profili diversi, uno per
alcune funzioni del TV e un altro per accedere ai servizi
cloud e allo store delle app. Come sulla serie AX800
troviamo dunque la nuova schermata My Stream con
una carrellata di contenuti online suggeriti, la Info Bar,
sorta di barra di notifica che si attiva automaticamente
a TV spento sfruttando la webcam come sensore di
movimento e soprattutto la funzione TV Anywhere che
consente di collegarsi alle registrazioni effettuate con
il proprio TV ovunque ci si trovi tramite l’apposita app
per smartphone e tablet TV Remote 2.
Rimangono funzionalità come il lettore multimediale
(ora compatibile con file codificati in HEVC), client e soprattutto server DLNA, che permette di condividere sulla rete locale le proprie registrazione ma anche il flusso
TV in uscita dal tuner. Nonostante Panasonic parli di
nuovo processore quad core, a dire il vero l’interfaccia
del TV ci è parsa piuttosto pesante, con vistosi rallentamenti quando ad esempio si prova a riprodurre file
multimediali in risoluzione Ultra HD.
Il menù delle impostazioni è invece molto completo,
anche in questo caso del tutto identico a quello visto
sull’AX800, anche a parità di voci disponibili. I controlli
di immagine sono esaustivi e permettono nelle regolazioni avanzate di calibrare bilanciamento del bianco e
curva del gamma anche su dieci step della scala di grigio. Nonostante l’abbondanza di parametri, il menù è
piuttosto razionale e solo la funzione “rimasterizzazione colore” che, stando alla descrizione, va in conflitto
con la regolazione avanzata dei colori può generare un
po’ di confusione nell’utente meno esperto.
Calibrazione firmata THX
Il TV Panasonic è uno dei pochi televisori con pannello Ultra HD a fregiarsi della certificazione THX 4K ed
esce di fabbrica con due preset di immagine omonimi,
uno per la visione con ambiente illuminato, e uno per
la sala oscurata. Come primo test abbiamo effettuato
delle analisi sul televisore impostato su quest’ultimo
profilo, misure che dimostrano come Panasonic abbia
lavorato molto bene per offrire la migliore qualità di im-
magine possibile out of the box (cosa non facile come
sembra). Il dato più interessante che emerge dai grafici
che riportiamo qui sopra (clicca per ingrandire), è soprattutto quello del bilanciamento del bianco, visto che
raramente abbiamo visto un TV uscire dalla fabbrica
con un tracking così accurato. Seppure la temperatura
colore sia leggermente superiore ai 6500°K comunemente presi come riferimento, l’errore deltaE è davvero basso e inferiore a 1 su quasi tutta la scala di grigi
e comunque mai superiore a 2. Un ottimo biglietto da
visita. Per quanto riguarda invece la colorimetria si può
apprezzare la precisione di primari e secondari rispetto
allo spazio colore Rec. 709. Il profilo THX tende a offrire tinte intermedie leggermente meno sature rispetto
al riferimento, specie per quanto riguarda il rosso, ma
comunque sempre entro limiti del tutto accettabili. La
curva del gamma è invece è allineata intorno a un valore medio di 2.1 circa.
Per la nostra prova abbiamo realizzato un profilo calibrato sfruttando i completissimi controlli a disposizione, che permettono di regolare con precisione
ogni parametro. Come al solito la calibrazione è stata
effettuata ottimizzata per la nostra sala di visione completamente oscurata, ponendo quindi un limite alla
luminosità massima (120 cd/mq). Come si può vedere
dai grafici, è possibile ottenere un risultato ancora più
preciso specie per quanto riguarda il bilanciamento del
bianco, grazie anche ai controlli su 10 step della scala
di grigi, con valori di errore davvero ridotti al minimo.
Anche mettendo mano al completo CMS, invece, rimane una leggera deviazione nella tinta del magenta che
non siamo riusciti ad aggiustare, a seconda di come si
procede, al 75% o al 100% di saturazione. Poco male
comunque, visto che si tratta comunque di un risultato molto buono complessivamente: per primari e secondari l’errore è talmente basso da rendere queste
deviazioni praticamente irrilevanti; inoltre utilizzando i
profili etichettati “Professionale”, i valori di saturazione
sono già molto più vicini al riferimento rispetto al THX.
Va detto che l’AX800 risultava un po’ più preciso da
questo punto di vista.
Impostando il gamma su 2.4 abbiamo ottenuto un

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MAGAZINE
tEST
Panasonic AX900
segue Da pagina 26 
Il telecomando e gli occhialini 3D in dotazione
nello a emissione diretta. Il local dimming della serie
AX800 di Panasonic era già ottimo, ma qui i tecnici
Il menù di regolazione immagine è molto
giapponesi sono riusciti ad andare un passo oltre ofcompleto, facile da leggere e ben organizzato.
frendo un contrasto percepito nella maggior parte
delle situazioni davvero in grado di rivaleggiare con i
migliori plasma che Panasonic ha prodotto in passavalore effettivo medio più vicino a 2.35. Il rapporto di
contrasto ANSI che abbiamo misurato con questa cato. La tecnologia impiegata da Panasonic per ridurre
gli aloni, che spesso affliggono altre soluzioni di local
librazione è un non sorprendente 1250:1, specie se lo
dimming full LED, per lo più funziona e salvo scene
confrontiamo con i circa 2800:1 dell’AX800, che però,
davvero particolari, come una forte luce su fondale
come vedremo meglio tra poco, è un valore che non
completamente nero, il 90% delle volte il trucco funracconta tutta la storia: sul modello da 55 pollici, infatti,
probabilmente un po’ di luce diffonde comunque verso
ziona alla perfezione. C’è solo un piccolo effetto coli quadri neri della scacchiera utilizzata per la misura,
laterale che fortunatamente emerge solo in rarissime
producendo questo valore. In realtà il TV Panasonic è
occasioni (per lo più con grafica fissa di un certo tipo
capace di esprimere un livello del nero con una lumicome appunto test pattern):
Panasonic non si limita a regolare i singoli LED in
nosità di 0,009 cd/mq. Questo valore dipende dall’immodo molto fluido e preciso, ma elabora anche l’impostazione scelta sul controllo della retroilluminazione
dinamica, che può essere impostata su tre posizioni
magine da visualizzare, per compensare gli eventuali
minimo, medio e massimo. Aumentando l’entità della
aloni che si possono creare con una specie di mascheregolazione dinamica, il livello del nero scende ulteriorra a campana che scurisce preventivamente là dove
potrebbe emergere della luce spuria. Questa compenmente. Da notare che in assenza di schermata nera,
con il profilo “Professionale”, il TV non spegne comsazione avviene presumiamo anche con una sorta di
overdrive del pannello, che in alcune specifiche situapletamente la retroilluminazione e questo è il livello del
nero a cui si riferisce la misura che abbiamo effettuato.
zioni produce uno strano effetto simile, per rendere
L’input lag, infine, in modalità gioco si ferma a 88,4 mill’idea, a quando schiacciamo con un dito un pannello
LCD. Ciò non capita praticamente mai nella visione di
lisecondi.
immagini normali (l’unico caso, a parte quello dei test
pattern è stato con il caricamento del PlayStation StoSenza troppi giri di parole, il Panasonic TX-55AX900
re). Il controllo dei singoli LED è davvero molto morbiè il miglior LCD che abbiamo mai avuto modo di vedo e preciso e durante la visione, anche nelle scene
più dinamiche con continui cambi di luminosità, non
dere. La combinazione del bel pannello LCD IPS, con
si percepisce mai l’intervento della retroilluminazione
la retroilluminazione dinamica full LED a 128 zone, acdinamica. Nelle scene più scure la resa è esemplare,
compagnata da una buona dose di tecniche di elabocon un buon contrasto, livello del nero convincente
razione, ha prodotto quella che a oggi è la massima
(seppure l’OLED continui a rimanere tutt’altra cosa),
espressione di questa tecnologia. Difficile immaginare
ottima precisione sulle ombre e perfetta pulizia deldi poter esprimere qualcosa di più senza un vero panl’immagine. Anche perché l’uniformità
dell’AX900 è davvero notevole per essere un LCD: nessun effetto “schermo
macchiato” nelle carrellate e clouding
inesistente. Le uniche cose che abbiamo notato sull’esemplare giunto in
redazione sono una maggiore visibilità nell’angolo in alto a sinistra di un
leggero effetto alone quando viene visualizzato un punto luminoso su sfondo completamente nero (ad esempio
l’OSD) e in presenza di schermate
molto luminose una piccola banda più
Un caso particolare che rivela l’algoritmo con cui l’immagine viene
scura appena appena visibile. Persino
ottimizzata per il local dimming. Normalmente ciò si verifica solo con il test della scena della sepoltura in
grafica fissa e retroilluminazione dinamica impostata su “medio”
Kill Bill Vol.2, in cui sullo schermo c’è
o “massimo”. Durante la visione di programmi normali non si nota.
solo un flebile lumicino non più gran-

Il miglior LCD mai visto?
torna al sommario
La webcam è nella cornice, esce automaticamente
de di un paio di pixel, che usualmente fa impazzire
qualsiasi TV LCD a LED, viene superato alla grande
dal TV Panasonic, che riproduce in modo impeccabile
l’intera sequenza. Siamo comunque sempre di fronte
a un LCD e ce ne ricordiamo in quelle scene scure ma
non troppo, dove l’immagine tende a essere un po’
più opaca e “piatta” rispetto a quello che è capace
di fare un ottimo plasma, a causa di una luminosità di
fondo che tradisce la presenza della retroilluminazione. Molto buono l’upscaling di contenuti full HD alla
risoluzione nativa del pannello. Lo scaler funziona né
più né meno come sulla serie AX800, con un’immagine molto morbida e compatta, senza imprecisioni sui
contorni o effetti di edge enhancement. C’è un’opzione nel menù denominata “ottimizza risoluzione” che
consente di aumentare il dettaglio via via in modo più
marcato. Su minimo dona un poco di prodondità in più
all’immagine senza strafare e in modo molto piacevole. Parlando di risoluzione in movimento, di base, con
Intelligent Frame Creation disabilitato, il pannello con
i test sintetici offre una risoluzione di circa 300/350
linee TV. Impostando però l’IFC su minimo la risoluzione passa tranquillamente a 1080 linee TV e senza
introdurre l’effetto telenovela, probabilmente perché
lavora unicamente sul backlight scanning. Lo stesso
vale anche con i segnali a 24 Hz: su minimo niente
effetto telenovela con il vantaggio di avere una buona
risoluzione in movimento. Di fatto, guardando film o altri tipi di programmi, con questa impostazioni abbiamo
ottenuto un’immagine sempre dettagliata, senza scie
o perdite di dettaglio. Semplicemente ottima invece la
resa cromatica, con immagini brillanti e un look molto
cinematografico. Ciò che ci ha deluso maggiormente
è la resa con i dischi 3D. Il pannello è di tipo passivo
con occhiali polarizzati ma il 3D è curiosamente molto
preciso al centro dello schermo e per contro affetto
da evidente cross talk nelle parti periferiche dell’immagine in modo che tende anche a diventare un po’
fastidioso. Con i contenuti in definizione standard
come i canali TV c’è poco da dire, se non che la resa è
meno peggio di quello che si potrebbe pensare vista
la differenza di risoluzione rispetto all’Ultra HD. Tutto è
impastato e privo di dettaglio, ma la resa è comunque
più naturale che su tanti altri LCD con risoluzione più
bassa. Interessante infine la resa dei piccoli diffusori
integrati. Nulla di particolarmente esaltante, sia chiaro,
ma la risposta è tutto sommato equilibrata e superiore
alla media dei TV a schermo piatto in circolazione. Il
fronte sonoro non è molto ampio e un po’ troppo direzionale, nel senso che si percepisce chiaramente che
l’emissione avviene da sotto lo schermo, ma i dialoghi
sono puliti e corposi e anche il registro medio/basso è
per lo meno dignitoso.
n. 101 / 14
1 dicembre 2014
MAGAZINE
tEST LG G Watch R conferma le attese: è uno dei migliori smartwatch in circolazione, ma non è ancora un punto d’arrivo
10 giorni con LG G Watch R al polso: tondo è bello
Bello come un orologio tradizionale e con molte funzioni in più. Ancora qualche passetto in avanti e arriveremo all’ottimo
di Emanuele VILLA
n occasione dello scorso IFA di settembre abbiamo pubblicato un corposo First look di G Watch R,
il primo smartwatch LG a forma di orologio classico ed evidente tentativo dell’azienda coreana di
fondere l’attenzione al look con l’ultima tecnologia
disponibile. Ora, a distanza di un paio di mesi e in
occasione del lancio italiano, abbiamo avuto modo
di testare il prodotto per una decina di giorni, impiegandolo nella routine quotidiana, nei momenti
di svago e di fitness. Il risultato, lo diciamo subito,
si riassume in modo semplice: G Watch R è uno dei
migliori smartwatch su piazza, soprattutto sotto il
profilo estetico. Chi sta cercando un prodotto che
faccia bella mostra di sé e incarni le ultime tendenze
in fatto di tecnologia, ora l’ha trovato, ma al tempo
stesso non sarebbe corretto considerarlo un punto
d’arrivo: la strada è quella giusta, ma c’è ancora un
po’ da lavorare sul look e sull’autonomia per avere
un prodotto senza precedenti. Quello che - per intenderci - ci farà togliere definitivamente l’orologio
indossato per anni.
I
Look apprezzabile, buona “tecnica”
Con G Watch R, LG ha voluto migliorare l’impronta
estetica del suo smartwatch (G Watch, già provato su
dday.it) rendendolo il più possibile simile a un orologio tradizionale. Anche perchè se si pensa di sostituire il proprio amato orologio con una versione 2.0,
di sicuro non si accettano compromessi sotto il profilo estetico: il risultato è un prodotto con quadrante
rotondo, svariate “Faces” personalizzabili e, dentro,
tutta la versatilità di Android Wear.
Rimandiamo al precedente First Look l’analisi delle
specifiche tecniche e ci concentriamo qui su considerazioni d’uso. G Watch R è un passo avanti convincente rispetto alle generazioni passate, dà l’impressione di essere un orologio curato, con cinturino in
pelle e quadrante metallico di chiaro gusto sportivo.
È ancora abbastanza spesso e massiccio, dovendo
video
lab
LG G Watch R
269,00 €
OK, LA STRADA È QUELLA GIUSTA
LG G Watch R è uno degli smartwatch più belli in commercio, perchè richiama le fattezze degli orologi sportivi tradizionali aggiungendovi
il bello dell’era “smart”. Funziona bene, è reattivo, il display è ottimo e il sistema offre molte possibilità in più oltre alla semplice notifica,
che in alcuni casi sono davvero utili. Lo smartwatch - lungi dall’essere indispensabile - può dare una marcia in più al telefono che teniamo
gelosamente in tasca o nella borsetta. Non tutto è perfetto e non possiamo considerarlo un punto di arrivo: il look di G Watch R è piacevole
ma il nero della cassa e del cinturino non rendono giustizia alla finitura in alluminio della prima e alla pelle del secondo, lo spessore va ridotto
e magari si possono aggiungere alcune funzionalità degli orologi sportivi: perchè non inserire per esempio un paio di pulsanti per gestire
un cronometro virtuale? E poi va aumentata l’autonomia, ponendosi come obiettivo una settimana di utilizzo. Ciò premesso, resta uno dei
migliori smartwatch in circolazione e il primo - tra quelli testati - che valga davvero la pena considerare come acquisto natalizio.n
8,1
Qualità
8
Longevità
7
Design curato
Cosa ci piace Prestazioni
Semplicità di utilizzo
Design
8
Semplicità
9
Cosa NON ci piace
ospitare molta elettronica e una batteria non indifferente. Buono senza dubbio il display OLED, con una
valida definizione, una buona resa cromatica e ben
abbinato al nero della cassa: sicuramente in silver
avrebbe fatto risaltare meglio la finitura metallica
della cassa, ma anche così non ci possiamo lamentare. Pur sapendo di entrare in un territorio soggettivo,
riteniamo che LG abbia fatto un bel passo avanti e
che ora debba provare, come prossimo step, a rendere G Watch R un po’ più sottile. Il che non significa
renderlo più piccolo: l’orologio ha una stazza analoga a ottimi orologi sportivi e, oltretutto, rimpicciolirne
il quadrante potrebbe compromettere la leggibilità
di Android Wear e renderlo inutilizzabile. Eventualmente si potrebbe optare per la riduzione della
corona attorno al display, che in effetti ha un ruolo
principalmente estetico.
Android Wear, chi era costui?
Com’è noto, LG G Watch R è basato su Android Wear,
il sistema operativo di Google dedicato appositamen-
D-Factor
9
Prezzo
8
Autonomia migliorabile
Spessore un po’ eccessivo
te ai dispositivi indossabili. Rimandiamo alla recensione del primo G Watch per un approfondimento,
qui ci limitiamo a riprenderne gli aspetti essenziali.
Android Wear è pensato per essere sia un centro
notifiche smart, sia come completamento del telefono. Non richiede configurazioni particolari, appena
acceso è pronto all’uso e richiede semplicemente
lo scaricamento dell’app Android Wear sul telefono:
un pairing Bluetooth e il gioco è fatto. Lo smartwatch
mostra il quadrante selezionato dall’utente tra i molti
disponibili (alcuni classici, altri legati a specifiche attività come il fitness) e in una piccola porzione in basso
lascia intravedere l’intestazione dell’ultima notifica ricevuta in ordine di tempo: basta scorrere verso l’alto
per vederle tutte una dopo l’altra e rendersi conto di
una chiamata persa, di un’email ricevuta, di un messaggio whatsapp, un like di facebook o un obiettivo
di fitness raggiunto, e tutto questo nel tipico stile di
Google Now. Se l’app è compatibile, l’orologio offre
svariate possibilità di interazione, altrimenti permet-

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MAGAZINE
tEST
LG G Watch R
segue Da pagina 28 
te all’utente di aprire l’app relativa sul telefono. Per
fare un esempio, quando abbiamo provato G Watch,
whatsapp non era ancora ottimizzata: i messaggi apparivano regolarmente come notifica ma non si poteva rispondere, mentre ora è possibile farlo tramite
riconoscimento vocale. L’abbiamo provato due o tre
volte, nel terrore che il sistema non riconoscesse le
parole e scrivesse frasi senza senso (che vengono inviate all’istante), ma in realtà il riconoscimento è stato
pressochè perfetto. Intelligente anche l’idea di usare
il GPS del telefono per il navigatore di Google Maps,
le cui indicazioni appaiono direttamente sull’orologio,
così come la mappa che non è interattiva. Idem con
Google Fit per tenersi in forma, considerando che tra
l’altro l’orologio ha un sensore di battito cardiaco integrato che la rende anche una fitness band in tutto
e per tutto.
A spasso con G Watch R
Utile o superfluo?

Abituarsi a G Watch R è un gioco da ragazzi e dobbiamo ammettere che sul fronte dell’esperienza utente
Google ha fatto un ottimo lavoro: LG, dal canto suo,
ha voluto forzare i limiti proponendo un quadrante rotondo quando il sistema è evidentemente ottimizzato
per display squadrati, ma i limiti non risultano così
appariscenti come si pensava in un primo momento.
Il sistema è ottimizzato per la lettura dei messaggi
“principali”, che infatti ci sembrano spostati leggermente verso l’alto per non essere tagliati dalla curvatura del quadrante, ma non lo è per tutte le notifiche e
i contenuti: capita talvolta che nelle righe più in basso
le prime e le ultime lettere non siano leggibili e si debba agire sul touch spostando verso l’alto il pannellino
relativo. Come dicevamo, questo non è stato mai un
problema nella routine di tutti i giorni, tanto più che
per testi complessi, come un sms o un’email, faremmo
questo gesto in ogni caso. Inoltre i caratteri non sono
piccoli, si devono leggere senza difficoltà, per cui la
curvatura dello schermo quando va male taglia un
paio di lettere, mai parole intere. E nel 90% dei casi,
neanche quello. Per chi parte da zero, l’impressione
che deriva dalle prime ore d’uso è che Android Wear
(e orologio relativo) serva a poco, non giriamoci troppo attorno. Poi però insistendo realizziamo quanto al-
torna al sommario
cune cose siano utili: raggiungere una telefonata che
mai avremmo sentito (il telefono nascosto da qualche
parte) per via della vibrazione sul polso, rispondere
al volo a un messaggio whatsapp con un buon 90%
di correttezza nel riconoscimento vocale, misurarsi in
un attimo il battito cardiaco durante una camminata
senza doversi fermare (è presente il sensore cardio), agire sul lettore audio sempre durante l’attività
fisica senza bisogno di estrarre lo smartphone dalla custodia da braccio e via discorrendo. In pratica,
se si considera che G Watch R è molto più efficace
dello smartphone per le notifiche (perchè è sempre
indossato), l’orologio ha sicuramente un suo perchè,
e con l’arrivo di tante app ottimizzate la situazione
migliorerà ulteriormente. Per dire, rispetto a G Watch
testato qualche mese fa, la situazione lato-software
è già migliorata, ci sono più app compatibili (tra cui
molte per il fitness, come Runtastic o Runkeeper, oltre
al “nativo” Google Fit) e molte permettono un’interazione fino a ieri sconosciuta. Certo, poi ci sono delle
cose di importanza nettamente secondaria: la mappa difficilmente la si guarda sull’orologio, essendoci
uno smartphone in tasca (G Watch R non ha GPS, usa
quello del telefono), il riconoscimento vocale non va
bene in ambienti rumorosi, ma per ricordarci di una
riunione, della prenotazione di un volo aereo, come
sveglia e contapassi “smart”, l’orologio di LG è davvero una scelta interessante.
Un buon orologio
L’autonomia resta il limite
Volutamente, non ci siamo addentrati troppo nella
descrizione delle “prestazioni” dell’orologio, poichè
uno Snapdragon 400 non può (neanche volendo)
causare limiti o rallentamenti ad uno smartwatch: in
effetti tutto fila liscio e con una reattività che solo i
top di gamma (stando nel mondo Android) possono
garantire. Quindi il discorso lo si liquida in un attimo e
ci possiamo soffermare sul display, fiore all’occhiello
di questo prodotto: è un OLED, quindi nero perfetto
e consumi al minimo, cosa assolutamente indispensabile considerando l’importanza dell’autonomia. Ha
una buona definizione e anche questo è un fattore
interessante, considerando che molti quadranti “simulati” sono basati su lancette finissime, che qui si
vedono egregiamente; molto vivace l’impostazione
cromatica, cosa che su uno smartwatch va benissimo. Per vedere l’ora si può decidere di accendere e
spegnere il quadrante a mano (o via gesture) oppure
introdurre una modalità che limita al massimo il consumo dello schermo ma permette comunque di vedere le lancette. Ovviamente da questa scelta dipende anche l’autonomia, che è risultata molto variabile
sulla base dell’utilizzo. Diciamo subito che l’orologio,
anche se “spremuto” al massimo, dura molto più della media degli smartphone: si va da un minimo di un
giorno e un massimo di più di due. Nel primo caso,
limitando il suo utilizzo alle notifiche e alla gestione
del player musicale di Android, ricaricato venedì a
pranzo (tramite l’apposita base magnetica), ha dato
chiari segni di cedimento domenica, più o meno alla
stessa ora. Peccato non riuscire a fare un weekend
intero, ma anche usandolo in modo impegnativo, si
arriva sempre a sera. Nonostante l’autonomia sia superiore a quella di uno smartphone, questa resta il
limite principale della categoria: non si può pensare
di competere con orologi che durano 1 anno avendo
un’autonomia di un giorno o poco più.
Certo, non raggiungeremo mai lo stesso risultato, ma
con il progresso tecnologico riteniamo che l’obiettivo di una settimana di autonomia non sia poi così
lontano. E quello sarà un momento davvero decisivo
per questo mercato.
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MAGAZINE
tEST Abbiamo trascorso due settimane con Up Move, l’activity tracker economico di nuova generazione targato Jawbone
Jawbone Up Move, il sensore che rimette in forma
Niente di rivoluzionario, ma il nuovo sensore indossabile di Jawbone fa bene il suo lavoro: larga parte del merito è dell’app
di Emanuele VILLA
p Move è la proposta economica della nuova line-up di prodotti Jawbone, un piccolo
sensore indossabile il cui compito è quello di
monitorare la nostra attività sulle 24 ore aiutandoci a vivere in maniera più sana e attiva. È proprio
quello che fa per noi, e per questo abbiamo deciso
di indossarlo per due settimane senza toglierlo un
istante e valutare passo dopo passo i progressi effettuati. Si parte!
U
video
Il sensore stiloso
Andiamo diretti al punto: Up Move è un sensore da
49,99 euro che replica le funzionalità presenti in
buona parte degli smartphone di ultima generazione. Perché comprarlo, dunque? Perché un Activity
Tracker non può che stare al polso, perché non ha
molto senso contare i passi giornalieri tenendosi
sempre lo smartphone in tasca e perché ha un’app
molto rifinita e completa. E anche perché, a differenza delle fitness band e degli smartwatch, finalmente
la batteria dura un’eternità (più di mesi mesi, dicono)
e una volta indossato, possiamo davvero dimenticarcelo. Di base viene fornito con l’aggancio per la
cintura, che troviamo sia meno utile rispetto al classico cinturino, che Jawbone propone in gomma e in
diverse colorazioni: è vero che agganciandolo alla
cintura, a uno zaino o a un indumento lo si occulta
completamente, ma visto che Move può monitorare
anche il sonno, ci si troverebbe a “toglierlo e metterlo” ripetutamente nel corso di una giornata, il che
lo renderebbe meno comodo e utile. Un cinturino
extra, magari di un bel colore sgargiante, e il gioco
è fatto.
Che sia bello o meno poi è del tutto soggettivo: è
un sensore, un piccolo medaglione neanche troppo
sottile e di colore nero che va a incastrarsi nell’apposita custodia o cinturino a seconda dello strumento che si intende usare. Unico neo riguarda il
cinturino stesso, il cui aggancio è a nostro avviso
troppo debole: più volte nel corso delle due setti-
ab
l€
49,99
Jawbone UP Move
RIMETTERSI IN FORMA SPENDENDO POCO
Jawbone Up Move non è rivoluzionario, fa le stesse cose (o quasi) di molti smartphone ma con il vantaggio di averlo sempre con sé: è vero che
calcola solo i passi e il movimento, non ha sensore cardio nè GPS, ma è anche vero che finalmente abbiamo un dispositivo con autonomia di
più di 4 mesi e assistito da un’app meritevole di menzione. In più, costa oggettivamente poco ed è affidabile, il che lo rende sicuramente consigliato. Certamente migliorabile sotto alcuni profili, come gli aspetti “alimentari” dell’app e alcuni consigli non particolarmente illuminanti,
ma è comunque un compagno affidabile nella routine di tutti i giorni. Giorni e notti, a dire il vero.
7.9
Qualità
7
Longevità
8
Autonomia “infinita”
Cosa ci piace Costo contenuto
App versatile
Design
7
Semplicità
9
D-Factor
8
Prezzo
9
Aspetti “alimentari” dell’app migliorabili
Cosa NON ci piace Mancanza sensore cardio
Chiusura del cinturino un po’ debole
mane l’abbiamo trovato a terra senza accorgerci di
nulla, e fortunatamente eravamo in casa.
Scarichi l’app, sincronizzi e ti muovi
Up Move è fondato su un concetto semplicissimo:
è un contapassi con accelerometro e connettività
Bluetooth Smart che registra i movimenti inviandoli all’app. Sulla base di questo dato, il software
elabora un po’ di tutto: calorie bruciate a riposo, in
movimento, ore di sonno divise in sonno leggero e
pesante, quante volte
ci si è svegliati di notte,
tempo per addormentarsi e via di seguito.
Aggiungendo alcune informazioni dall’esterno,
come gli alimenti consumati e l’andamento
del peso, l’app può elaborare consigli mirati al
miglioramento del proprio stato di forma.
Naturale, dunque, che
larga parte del sistema
sia incentrato sull’app,
che rappresenta il vero
cuore pulsante di tut-
to. Anche perché con il sensore ci si fa ben poco:
lo si avvia la prima volta e poi ci si deve ricordare
di premere il pulsante per passare dalla modalità
giorno a quella notturna, entrambe identificate con
un simbolino sul sensore. Quest’ultimo non ha un
display ma una serie di LED disposti a cerchio che
identificano l’ora e che si accendono a pressione.
L’app è ovviamente gratuita e disponibile per iOS
e Android: la si scarica, si esegue la procedura guidata di pairing e il gioco è fatto. Basta ricordarsi di
modificare la modalità giorno/notte e, ogni tanto,
andare a vedere l’app per le proprie statistiche e
per ricevere consigli su misura. Fine.
L’abbiamo utilizzato due settimane e ne abbiamo
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segue a pagina 31 
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MAGAZINE
tEST
Jawbone Up Move
segue Da pagina 30 
apprezzato soprattutto la non-invasività: le sue funzioni sono le stesse di molti smartphone, ma rispetto
alle fitness band tradizionali non c’è nulla da ricaricare o da togliersi di notte perché fastidioso. Certo,
i primi giorni non è semplice ricordarsi di modificare
lo stato giorno/notte con costanza, ma dopo un po’
ci si abitua. Quando si attiva l’app avviene la sincronizzazione dei dati e si può monitorare l’andamento
della propria attività, magari inserendo tutte quelle
informazioni che il sensore non può derivare da sé,
come il peso e gli alimenti consumati.
Fa tutto (o quasi) l’app
Come anticipato, basta usare Up Move per un paio
di giorni per rendersi conto di quanto sia l’app il
cuore pulsante del sistema: graficamente appagante e ricca di funzionalità, è il vero valore aggiunto
rispetto alle soluzioni integrate nei telefoni o la me-

dia delle app gratuite disponibili. Le informazioni
sull’attività diurna, il sonno e gli alimenti consumati
sono riportate in un grafico a barre facilmente interpretabile e che si basa sugli obiettivi di movimento, sonno e peso precedentemente impostati:
piccolo appunto, raggiunto un certo livello, le barre
rimangono della medesima dimensione e non scalano più proporzionalmente, ma è poca cosa. Per
rendersene conto, basta guardare le due immagini
(sinitra e centrale) pubblicate qui sopra: nella prima
foto le barre sono in proporzione, nella seconda
no. Davvero carina, e ci pare anche attendibile, la
misurazione del sonno (immagine in alto a destra):
sicuramente lo è sul tempo necessario per prendere
sonno e sulle interruzioni notturne; difficile, invece,
valutare l’attendibilità del rapporto sonno profondo/sonno leggero: ci fidiamo. Affidabile anche la
valutazione del percorso effettuato, che si traduce
in calorie consumate (in questo caso l’unica cosa è
fidarsi) che si sommano a quelle consumate a riposo
componendo il nostro grafico quotidiano. Ben fatti
torna al sommario
i report, che ci permettono di risalire all’andamento dell’attività su base quotidiana, settimanale e
mensile, ma a nostro avviso ancor più piacevole è
la possibilità di integrare il dispositivo in un sistema
fatto di apparecchi e app diverse. Per esempio, è
possibile usare il sensore di Up Move con MyFitness
Pal (foto in basso) per la gestione degli aspetti nutrizionali, con RunKeeper per gli allenamenti completi, con MapMyFitness e via dicendo, ma anche
con dispositivi hardware quali Withings per il calcolo
del peso e della massa corporea (i dati vengono importati direttamente nell’app di Up), con il sistema
Nest per la creazione di un ambiente confortevole
e via dicendo. Se vogliamo trovare un limite, questo
è l’aspetto “nutrizionale” dell’applicazione Up: l’idea
di registrare i cibi e le bevande ingerite rilevando
non solo l’aspetto calorico ma anche la suddivisione nei componenti principali (grassi, proteine, carboidrati...) è molto carina ma migliorabile, tra frasi
tradotte a metà (basta guardare la schermata sotto
al centro, alla voce “Salmone al forno o alla griglia”),
unità di misura diverse, piatti ripetuti e via dicendo.
Sotto questo profilo, il coordinamento con un’app
ad hoc esterna è ancora consigliabile. Migliore, ma
anche qui meritevole di approfondimento, è il discorso delle raccomandazioni “smart”, che ci sono
parse sicuramente simpatiche, ma anche (in alcuni
casi) parecchio banali. Niente di grave, comunque,
non è questo il motivo per cui Up Move di Jawbone
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
tEST Ha un prezzo di listino abbordabile per un terminale di fascia media ed è pensato per la “moda” del momento: i selfie
Nokia Lumia 735: la classe media va in paradiso
Il design accattivante e alcune caratteristiche al di sopra della media rendono il Lumia 735 una scelta interessante
di Massimiliano ZOCCHI
on Lumia 735, Microsoft ha voluto realizzare un
terminale che facesse contenta una fetta abbastanza ampia di utenti. Da una parte la clientela
attenta al rapporto qualità/prezzo, dall’altra chi desidera anche qualche caratteristica avanzata ma non
prende in considerazione i top di gamma. È nato così
un terminale che “prende” qualcosa dalla fascia economica e qualcosa dai fratelli maggiori, proponendo
entrambi a un listino abbordabile di 269 euro.
C
video
Squadra che vince non si cambia
Tutti i terminali Lumia sono facilmente identificabili,
poiché al di là delle diverse dimensioni utilizzano soltanto due form factor, uno con stile più arrotondato,
l’altro più spigoloso. Il 735 appartiene a quest’ultima
categoria: sebbene mantenga una morbida curvatura
sui lati lunghi, le basi sono piatte (di fatto il telefono
può stare anche in piedi) e con spigoli netti, un design che porta alla mente anche modelli passati come
il “mitico” N8. La scocca è perfettamente in stile Lumia, con la solita plastica colorata (verde nel nostro
caso) piacevole al tatto, anche se un po’ scivolosa.
La dimensione del Lumia 735 è al limite dell’usabilità
con una sola mano, l’esterno è ridotto all’essenziale,
con solo la presa micro USB in basso, il jack audio da
3.5 mm in alto (entrambi al centro) e sul lato destro
il tasto accensione e il bilanciere del volume. Manca
il pulsante di azionamento diretto della fotocamera,
cosa non trascurabile poiché le doti fotografiche sono
fondamentali in questo device. I tre pulsanti tipici di
Windows Phone sono sempre in basso ma non nella
cornice sotto il display: si tratta infatti di tasti capacitivi
che compaiono in basso nell’area del display. Se non
utilizzati scompaiono e per farli riapparire è sufficiente
uno swipe dal basso. Soluzione interessante e tutt’altro che inedita, ma toglie un po’ di immediatezza.
La cover posteriore è facilmente sganciabile e dà
accesso alla batteria che può essere rimossa. I suoi
2220 mAh ci possono garantire qualcosina in più di
una giornata di normale utilizzo ma non arrivano a
due, imponendoci la ricarica notturna. Sotto la scocca
notiamo proprio i primi due particolari mutuati dalla
fascia più alta, ovvero la ricarica wireless Qi integrata
e la SIM che è nel formato nano, forse per strizzare
l’occhio a chi è curioso di provare Windows Phone
e proviene dai terminali che ne fanno uso (iPhone in
primis). Poco più in là c’è anche lo slot microSD (fino a
128 GB) che consente di espandere i 16 GB di storage
interno. Osservando la fotocamera posteriore si nota
anche il flash LED appena a fianco.
Sotto il vestito il solito Lumia
Non vogliamo dilungarci troppo su argomenti più
volte affrontati. Windows Phone è un ottimo sistema
operativo anche per gli smartphone che non eccellono in specifiche tecniche, sempre fluido e appagante,
con pochissimi rallentamenti. Situazione anche qui
lab
Nokia Lumia 735
269,00 €
Nokia Lumia 735 in prova: pensato per i selfie
Con Lumia 735, Microsoft ha centrato il suo obiettivo. L’aspetto accattivante del Lumia 735 e qualche caratteristica sopra la media lo rendono
desiderabile per chi vuole provare il mondo Windows Phone e cerca un terminale per buone foto senza svenarsi. Il prezzo di listino a ben
vedere è un tantino alto in virtù della dotazione tecnica, dovendosi confrontare (nel mondo Android) con concorrenti con buone caratteristiche
come il Samsung S3 Neo, o i terminali LG della serie L. Un confronto che comunque ha senso solo sulla carta, perchè poi sappiamo tutti che
Windows Phone funziona bene anche con dispositivi meno potenti rispetto al mondo Android. Microsoft dovrebbe lavorare per smussare
qualche angolo, aggiungere un tasto fisico di scatto e migliorare qualche funzionalità software; con l’aiuto di qualche promozione natalizia,
Lumia 735 potrebbe essere una scelta logica per molti aspiranti “windows phonisti”.
7.7
Qualità
8
Longevità
7
Rapporto qualità/prezzo
Cosa ci piace Prestazioni generali
Qualità selfie
Design
7
Semplicità
8
Cosa NON ci piace
confermata in pieno: il processore Snapdragon 400
e 1 GB di RAM sono più che sufficienti per strappare buoni voti all’esperienza d’uso in ogni ambito e il
display OLED da 4,7” con risoluzione HD (1280x720)
ci è parso sempre all’altezza, con colori naturali, vividi
in classico stile Lumia e un contrasto estremamente
pronunciato.
Sul fronte connettività ci sono i soliti noti: Wi-Fi,
Bluetooth 4.0 e NFC, mentre la connessione dati si
spinge fino a LTE, anche questa è una caratteristica
che va un poco oltre la dotazione del classico terminale di fascia media. Presenti ovviamente i software
Here Maps e Here Drive, ormai una sicurezza in quanto a precisione e qualità.
A livello prestazionale, il 735 rientra perfettamente
nella sua fascia di mercato, senza eccellere o deludere in nulla. Ogni tanto qualche attesa nell’apertura delle applicazioni più pesanti (secondi di cui ci si
rende poco conto perchè in tutte le altre situazioni il
telefono è molto reattivo) e qualche indecisione nello
D-Factor
7
Prezzo
8
Autonomia migliorabile
Tasto dedicato per gli scatti
Qualche funzione non all’altezza
sblocco del terminale quando in background il multitasking è un po’ sovraccarico. Framerate discreto nei
giochi in cui questo fattore è importante, ottimo streaming musicale anche via Bluetooth, sia con impianti
audio casalinghi che con soluzioni automotive. Mai un
guizzo, mai un’indecisione.
Aspirante Camera-phone...
Fermo restando che l’esperienza d’uso è piacevole come negli altri Lumia di fascia medio/alta, che il
software è completo e il sistema reattivo, concentriamoci un po’ sulle fotocamere della macchina, elemento importante di questo Lumia 735. Quella posteriore
fa un piccolo salto in avanti rispetto agli altri device di
fascia media e bassa della gamma Lumia per un pizzico di risoluzione in più, 6.7 Megapixel, ma soprattutto
perchè questa volta l’ottica ha lenti Zeiss, autofocus e
flash LED. Il tutto basato su un sensore retroilluminato
da 1/3,4’’ e apertura di f/1.9. A Redmond, poi, hanno

segue a pagina 34 
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
tEST
Nokia Lumia 735
segue Da pagina 33 
giocato anche la carta del selphie-phone: la fotocamera frontale ha infatti 5 Megapixel, decisamente più
della norma. Ma quello lo vedremo dopo.
La qualità discretamente più alta delle due fotocamere salta subito all’occhio, in particolar modo se
si hanno in mente i risultati che si ottengono su altri
terminali che utilizzano il normale sensore Nokia da
5 Megapixel senza flash. Discorso diverso per gli autoscatti, poichè qui non è la qualità intrinseca della
fotocamera a fare la differenza ma semplicemente la
risoluzione sopra la media, grazie alla quale potremo
scattare selfie dalla definizione migliore.
Come consuetudine possiamo scegliere se comandare la fotocamera dall’app Fotocamera o da Nokia
Camera. La seconda consente molte più impostazioni: tempo di scatto, ISO, bilanciamento del bianco. Ovviamente se si ha poca dimestichezza con i parametri
avanzati si rischia di fare peggio dell’impostazione automatica, che infatti si comporta quasi sempre bene. È
anche possibile scegliere l’aspect ratio delle foto, che
se portato a 16/9 avrà una risoluzione effettiva minore
in virtù del formato nativo del sensore.
Se ci trovassimo di fronte a un paesaggio da ricordare dovremmo poter contare su Nokia Panorama.
Dovremmo perchè questa app si rivela a nostro avviso lacunosa sotto diversi punti di vista: lenta e macchinosa, tanto che può essere necessario anche più
di un minuto per arrivare alla vostra foto panoramica,
contro i pochi secondi della concorrenza. Dopo lo
scatto di partenza bisogna spostare il telefono verso destra, osservando due cerchi concentrici che si
avvicinano e nel momento in cui si sovrappongono
l’applicazione elabora per 2 o 3 secondi, proponendoci poi il cerchietto successivo, e così fino alla fine
della panoramica. Sembrerebbe semplice se non che
se sbagliate di pochissimo a spostare l’inquadratura il
cerchio successivo scompare, costringendovi a tornare indietro, farlo ricomparire e riprovare. Macchinoso,
considerando che con altri sistemi operativi il medesimo risultato si ottiene in pochi istanti: sotto questo
profilo, Microsoft ha ancora da lavorare.
Completano la dotazione software a supporto della
fotografia Lumia Creative Studio e Lumia Storyteller.
La prima applicazione, come suggerisce il nome, è
un piccolo software di fotoritocco, niente di trascendentale, ma consente di regolare i diversi livelli, come
Un esempio di immagine scattata in modalità Panorama, l’app si è rivelata lenta e alquanto macchinosa.
Un paio di scatti catturati con il Lumia 735, slezionando le foto è possibile visualizzare l’ingrandimento.
luminosità, colore, contrasto e temperatura colore.
Oltre a questo potremo applicare effetti speciali quali sfocatura, decolorazione parziale, autocorrezione
ed altri. Non estremamente utile, anche perchè correggere le foto direttamente dal telefono non è mai
facile, ma può essere divertente. Grazie a Storyteller
invece potremo selezionare alcune delle nostre foto
dal rullino, e l’app creerà automaticamente un video
slideshow con i nostri scatti e musica di sottofondo. Il
video poi può anche essere salvato e condiviso.
… ma pensato per i Selfie
Come dicevamo, un tratto distintivo del Lumia 735
è la fotocamera frontale da 5 Megapixel, un modulo
con lunghezza focale di 24mm e apertura f/2,4 che
viene impiegato principalmente per i selfie e le videochiamate, essendo inoltre in grado di registrare video
in Full HD. È chiaramente un omaggio alla moda del
momento, quella degli autoscatti, che Microsoft ha
cercato di cavalcare proprio con Lumia 735.
Le foto appaiono decisamente più dettagliate del solito, i colori sono appena meno brillanti confronto alla
fotocamera frontale, anche se al buio la mancanza
del flash è ovviamente avvertibile: inoltre, in questa
modalità di scatto la mancanza di un tasto fisico per
l’otturatore si nota; utilizzare il touchscreen mentre ci
si sta inquadrando è complicato e bisogna prenderci un po’ la mano. Aiuta molto il fatto che il display
possa essere premuto ovunque per scattare, di modo
tale che si possano usare tranquillamente due mani
senza rovinare l’immagine o coprire inavvertitamente
l’obiettivo. Anche per gli autoscatti abbiamo una app
di accompagnamento per giocherellare un po’, Lumia
Selfie. Dedicata appunto ai nostri autoritratti consente
di selezionare uno scatto dal rullino, eventualmente
ritagliarne un riquadro, e applicare molti effetti preimpostati, dalla semplice modifica del colore, passando
per tipi di fotografia come stile lomo, per arrivare alla
creazione di finte copertine da rivista. Tutto questo
per poi condividerle e bullarci con gli amici dei nostri faccioni auto-fotografati. Entrambe le fotocamere
possono riprendere video fino alla risoluzione 1080p,
anche se ovviamente la camera principale offre un
livello qualitativo superiore. Abbiamo provato a registrare un video sia in modalità 720p che 1080p, e
per un video di circa 30 secondi di durata. L’autofocus
lavora abbastanza velocemente e la compensazione
automatica dell’esposizione è molto rapida.
video
lab
Nokia Lumia 735
Video Full HD

Le possibilità offerte da Lumia Selfie sono davvero molte e offrono svariati effetti creativi.
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
tEST Cambiamenti e progressi rispetto alla prima 7D. Le sue prestazioni superiori giustificano il prezzo di 1.846 euro
Con EOS 7D Mark II Canon non delude le attese
Abbiamo provato in modo approfondito la nuova EOS 7D Mark II, uno dei sequel più attesi nel campo della fotografia
di Roberto Pezzali
ono passati cinque anni dalla prima 7D di Canon,
una fotocamera che ha sicuramente lasciato il
segno nel segmento delle reflex di fascia alta
con sensore APS-C: velocità dell’autofocus, ripresa
video 1080p e raffica a 8 fps l’hanno trasformata non
solo in una delle reflex più vendute di Canon in questo
segmento ma anche in una di quelle più apprezzate.
Non è un caso che, tra tutte le fotocamere in gamma,
era proprio della 7D che i sostenitori del brand Canon
attendevano un upgrade. Canon al Photokina ha finalmente presentato la 7D Mark II (1.846 euro), una macchina profondamente rivoluzionata rispetto alla prima
7D e che raccoglie una eredità davvero pesante.
L’abbiamo provata, per quanto sia possibile provare
una fotocamera di questo tipo nei tempi concessi a
una rivista: questo non vuol dire che l’abbiamo provata male, ma che questa 7D, come si potrà leggere
nelle prossime righe, è un prodotto che sfoggia alcune tecnologie del modello superiore per le quali non
bastano neppure un migliaio di scatti per fare una
valutazione completa. Ci riferiamo, ad esempio, al sofisticato sistema di messa a fuoco, che la 7D Mark II
eredita dalla 1D X: siamo di fronte a un sistema Servo
AI preciso e incredibile sotto il profilo delle opzioni
configurabili, ma per provarlo a fondo andrebbero
simulate una serie di situazioni davvero difficili da replicare se non con una serie di test reali in ogni tipo di
applicazione. Per cercare di avvicinarci il più possibile
a quelle che possono essere le esigenze di un fotografo che ha bisogno di una macchina di questo tipo,
siamo andati a bordo campo per fotografare una vera
partita di Serie A e a scattare foto durante una gara
di kart: così facendo abbiamo provato alcune delle
illimitate configurazioni del sistema di messa a fuoco
predittivo.
La EOS 7D Mark II, ancora di più della EOS 5D Mark
III e della prima 7D, ha bisogno di tempo per poter
spremere al meglio tutta la tecnologia di cui è dotata,
anche se ovviamente si riesce a usare senza problemi
fin da subito e con soddisfazioni. Per non farvi mancare nulla, infine, abbiamo recuperato anche una 7D
per fare un confronto diretto ad alti e bassi ISO, uno
dei temi più caldi quando si ha a che fare con reflex
di questo livello.
S
Come nasce la 7D Mark II

Con la tecnologia che avanza a un ritmo quasi insostenibile, per aziende come Nikon e Canon è sempre
più difficile realizzare fotocamere che non vadano a
sovrapporsi con altri modelli. Da una parte bisogna
considerare l’utente, che vorrebbe avere tutto il possibile su un prodotto, dall’altra c’è un’azienda che non
può certo lanciare una fotocamera da 2.000 euro che
rende il modello di punta un enorme spreco di soldi.
La 7D Mark II è una macchina incredibilmente delicata
da questo punto di vista perché pesta i piedi un paio
di volte alla EOS 1D X, il top di gamma Canon per pro-
torna al sommario
video
1.864,00la€b
Canon EOS 7D MK II
ALTRO CHE MARK II: È UNA REFLEX NUOVA
Canon ha fatto un grandissimo lavoro con la 7D Mark II: la nuova reflex eredita dal modello precedente solo nome e design, ma di fatto è
una macchina totalmente nuova. Come abbiamo già detto è una macchina che rischia di attirare su di sé anche le attenzioni di coloro che
guardano alla serie 1, anche perché in certi frangenti, dal video allo scatto con poca luce, la 7D Mark II riesce a fornire risultati davvero
eccellenti. Il target è ovviamente la fotografia sportiva e naturalistica, quel tipo di foto dove l’utilizzo di un sensore APS-C con il suo fattore di
ingrandimento 1.6x è determinante. Mancano 4K e touch screen: al primo ci penserà il team di Magic Lantern (se non ci pensa prima Canon),
per il secondo non si può fare molto. Il prezzo è ampiamente giustificato dalle prestazioni di una macchina che non solo è meglio della
precedente ma è anche fatta per durare molto di più.
8.5
Qualità
9
Longevità
9
Qualità fotografica
Cosa ci piace Autofocus impeccabile sempre
Velocità di scatto
Design
8
Semplicità
7
Cosa NON ci piace
fessionisti. Una scelta questa inedita per Canon che
è sempre stata molto attenta a proteggere la gamma,
ma probabilmente ha prevalso l’aspettativa per un
prodotto atteso a lungo e che non poteva permettersi
di deludere.
La 7D Mark II è un “piglia tutto”, nel senso che si prende alcuni elementi da un po’ tutte le fotocamere in
gamma nel segmento di fascia alta migliorandoli e
correggendoli. Partiamo dal sensore: il Dual Pixel, ad
esempio, permette di ottenere un autofocus degno di
questo nome anche in modalità Live View. Canon ha
fatto debuttare questo sensore sulla 70D, lo ha poi
usato sulle cineprese della serie C100 e ora lo usa anche sulla 7D Mark II: in realtà non è lo stesso sensore
della 70D, anche se i 20 Megapixel e il formato APS-C
potrebbero far pensare a un riciclo, ma uno costruito
sulla stessa base e rivisto in alcuni componenti come
le lenti disposte sopra ogni fotoricettore. Un altro elemento è il processore Digic 6: la EOS 7D Mark II li
eredita dalle potenti compatte Powershot e ne usa
ben due. La top di gamma EOS 1D X, per fare un confronto, usa due Digic 5+. Dalla top di gamma la nuova
7D eredita il sistema autofocus totalmente rinnovato,
un sistema fatto da 65 punti tutti a croce sensibili a
f/5.6 con un punto centrale a doppia croce f/2.8 – f/8
D-Factor
9
Prezzo
8
Impossibilità di registrazione 4K
Assenza del touch screen
Autofocus completo ma complesso
con sensibilità minima di -3 EV. Sull’ammiraglia i punti
a croce doppia sono ben 5, ma il punto centrale f/8
della 7D è decisamente più sensibile.
Inoltre, come vedremo poi, sono presenti tutte le regolazioni avanzate del sistema EOS Intelligent and
Tracking, cinque schede di impostazione del menù
AF che permettono davvero una regolazione professionale della messa a fuoco continua. A tutto questo
va aggiunto anche un nuovo otturatore certificato fino
a 200.000 cicli, più della 5D Mark III, e una raffica di
10 fps. Una macchina eccezionale sulla carta, con una
serie di caratteristiche che spostano la discussione
sul piano qualitativo: se Canon è riuscita a migliorare
la resa della 7D offrendo un maggior range dinamico
soprattutto agli alti iso, allora ha fatto centro.
Che cosa cambia tra 7D e 7D Mark II
Sono passati 5 anni eppure a prima vista non si direbbe: 7D e 7D Mark II sono molto simili dal punto di vista dell’ergonomia e non poteva essere altrimenti se
si vuole mantenere lo stesso feeling che il fotografo
Canon si aspetta.
segue a pagina 36 
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tEST
Canon EOS 7D Mark II
segue Da pagina 35 
A confronto la EOS 7D e la EOS 7D Mark II: simili
dal punto di vista dell’ergonomia, molte le migliorie per la Mark II. Migliorato il corpo in magnesio
e novità per ghiere e tasti; nuovo anche monitor
sempre da 3’’ ma 3:2 da 720x480 pixel.
In realtà ci sono differenze, tante, e tutte migliorative.
Quelle che non si vedono sono sotto la scocca: Canon
ha migliorato la protezione del corpo in magnesio aggiugendo una serie di guarnizioni che rendono la 7D
Mark II ancora più resistente all’umidità e alla polvere
e pronta anche per avventure un po’ più estreme.
Non è tropicalizzata come i modelli della serie 1 ma è
comunque ben protetta: abbiamo fatto le foto sotto la
pioggia senza alcun problema, utilizzando ovviamente ottiche di serie L tropicalizzate e senza proteggere
il corpo macchina. Oltre a dimensioni e peso, dove
balla qualche grammo e qualche millimetro, le principali novità sono relative a ghiere e tasti. Oltre a una
diversa applicazione di alcuni tasti sul retro, le differenze principali sono il tasto di blocco per la ghiera,
utile per prevenire cambiamenti di modalità indesiderati mentre si ripone o si prende la fotocamera, il tasto
di simulazione profondità di campo di fianco all’ottica
e una utilissima leva di fianco al jog per la scelta dei
punti di messa a fuoco, una leva che permette di scorrere senza staccare l’occhio dal soggetto le diverse
modalità di messa a fuoco. Piccoli dettagli, ma che
sotto il profilo pratico fanno la differenza. L’altra differenza è relativa al monitor: sono sempre 3”, ma se
prima era un 4:3 da 640 x 480, ora è un monitor 3:2
da 720 x 480 pixel che permette di visualizzare le foto
senza bande nere. Ottimo il rivestimento antiriflesso,
anche se non abbiamo avuto modo (il tempo non è
propizio) di provarlo con forte luce solare.
GPS, presa cuffie, mirino più completo
Non manca nulla

Creando la 7D Mark II Canon non si è misurata solo
con il modello precedente ma ha ovviamente guardato il panorama reflex a 360 gradi cercando di rendere
il prodotto ancor più completo. Il target della macchina è vasto: videomaker, fotografia di natura, fotografia
sportiva, macchina all-round, e proprio per questo nei
torna al sommario
guardando dall’oculare. Una soluzione abbastanza
innovativa, che ha costretto Canon ha rivedere anche
l’indicatore dell’esposizione: la compensazione resta
nella parte bassa, la misurazione in tempo reale a lato
dell’immagine. Chi scatta in manuale dovrà abituarsi a
questo nuovo mirino, soprattutto a dare il colpo d’occhio a lato.
limiti del possibile si è cercato di fare tutto il possibile
per offrire il meglio senza però alzare troppo l’asticella del prezzo. I videomaker apprezzeranno sicuramente la presenza dell’uscita cuffie, che mancava
sulla 70D e sulla 6D: poter controllare la qualità della
registrazione audio da microfono esterno è spesso
fondamentale.
C’è anche l’uscita video HDMI 4:2:2, opzione questa
che permette di registrare lo stream video con una
periferica esterna: si tratta ovviamente di una funzione dedicata al mondo professionale che permette
però a piccole produzioni di sfruttare questa reflex
dal costo contenuto (rispetto ad altre macchine) per
le riprese.
Chi scatta reportage, foto di viaggio e foto di natura
sarà poi contento di trovare nella 7D Mark II GPS e
bussola: gli scatti vengono subito geolocalizzati. Altra
novità il doppio slot per le card e la porta USB 3.0:
riguardo al doppio slot, da apprezzare l’utilizzo delle
tecnologie UHS-I per l’SD e UDMA 7 per le Compact
Flash: scattando in jpeg con una scheda veloce si riesce a gestire la registrazione continua a 10 fps fino
a saturazione della scheda. Novità importanti anche
per il mirino a schermo: della 7D si era apprezzato il
mirino 1x con copertura al 100% e la nuova Mark II non
poteva certo essere da meno: all’ottimo e luminoso
mirino Canon ha aggiunto un ulteriore strato a cristalli
liquidi che aggiunge, in sovrapposizione all’immagine, una serie di indicazioni configurabili da menu. È
un mirino ancora più completo, inedito per certi aspetti, che aiuta l’utente a scattare senza mai togliere l’occhio dal soggetto.
Le informazioni che vengono replicate all’interno
del mirino, oltre a quelle classiche, sono legate alla
configurazione della reflex, praticamente quelle che
troviamo nel piccolo display retroilluminato nella parte alta: se prima per modificare la modalità di scatto
o di misurazione dell’esposizione si doveva ricorrere o alla memoria o al display, ora si può fare tutto
Tante personalizzazioni, e finalmente
arriva l’intervallometro
Chi adora il time lapse sarà contento di vedere integrato finalmente nella reflex l’intervallometro configurabile: praticamente si risparmiano i 150 euro del
telecomando TC-80 esterno. Questa è solo una delle
migliorie lato software della nuova Mark II, ma non è
l’unica: c’è un nuovo controllo anti-flicker che corregge raffica e video nel caso di scatti effettuati in ambiente dove le lampade a fluorescenza creano fastidiosi sbalzi di luminosità e ci sono altre piccole opzioni
che aggiungono ulteriori livelli di personalizzazione.
In ogni caso, fatta eccezione per l’HDR, l’esposizione multipla e i Picture Style, la 7D Mark II, come la
maggior parte delle reflex di fascia alta, è totalmente
priva di funzioni “creative” e di modalità automatiche
varie. Non nascondiamo che preferiamo cento volte
una macchina di questo tipo, con una sola modalità
“auto” oltre alle modalità di scatto classiche piuttosto
che una reflex o una mirrorless con oltre trenta modalità di scatto (panorama, cielo azzurro, effetto neve,
ecc.) che non solo creano confusione ma spesso si
sovrappongono una all’altra.
segue a pagina 37 
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Canon EOS 7D Mark II
segue Da pagina 36 
Autofocus e velocità da record
Il sensore DualPixel e gli ISO
Il cuore della 7D Mark II è un particolare sensore
CMOS dove ogni pixel in realtà è composto da due
fotoricettori. Per lo scatto fotografico lavorano in parallelo, tuttavia per la messa a fuoco vengono gestiti a
copie creando un sistema a ricerca di fase dove ogni
pixel è a sua volta un sensore di messa a fuoco. Questa particolare soluzione viene usata da Canon durante gli scatti in LiveView e durante la ripresa video,
ovvero quanto il sistema di messa a fuoco tradizionale
è disattivato a causa dello specchio alzato.
Il DualPixel, che già funzionava bene sulla 70D, è stato ora rivisto con l’aggiunta di qualche piccola miglioria: si può, ad esempio, bloccare il fuoco in un punto
prestabilito durante la ripresa e come abbiamo già
detto si può modificare la velocità di cambio del piano
di fuoco. Il sensore, nativamente, ha una sensibilità
che va da 100 a 16.000 ISO estendibili fino a 25.600 e
51.200 ISO. Interessante, per la ripresa video, la possibilità di arrivare fino a 25.600 ISO. Abbiamo voluto
fare un confronto con la 7D tradizionale nelle stesse
identiche condizioni per quanto riguarda gli ISO, e la
7D Mark II nonostante il sensore più risoluto e la configurazione dual pixel non solo mette in mostra una
rumorosità inferiore agli alti ISO ma ha anche un range dinamico leggermente più ampio, permettendo di
recuperare qualcosa in fase di post produzione.
Tutti i crop sono al 100%, anche se abbiamo dovuto
ridimensionare quelli della Mark II per il sensore più
risoluto. Abbiamo inoltre usato i Jpeg, e la 7D sforna
file molto più morbidi della Mark II. Questo è il motivo
della nitidezza maggiore. Sotto un esempio, clicca qui
per scaricare tutti i file raw e jpeg originali.

Confronto ISO
(qui 6400)
Canon EOS 7D
e 7D Mark II.
torna al sommario
La 7D Mark II è una macchina pensata per la velocità:
10 fps di scatto, 31 RAW continui nel buffer e un sistema autofocus completamente ridisegnato ispirato
a quello della EOS 1 DX. Non lo stesso ovviamente,
ma un sistema simile almeno nelle possibilità di regolazione. Canon, per capire come sfruttare al meglio il
sistema autofocus, ha realizzato un PDF molto chiaro
di 50 pagine, e questo la dice lunga sulla complessità della cosa. In realtà, la EOS 7D Mark II si adatta
benissimo a ogni tipo di fotografo, ma non tarpa le
ali a chi ha esigenze particolari in ambito sportivo o
naturalistico.
Nel menù a schermo ci sono ben cinque sezioni di
configurazione per il motore di messa a fuoco, e tra le
tante opzioni troviamo anche le tipiche schermate del
sistema EOS Intelligent and Tracking con una serie di
profili personalizzabili per diverse situazioni di di scatto, dalla impostazione versatile fino a quella dove i
soggetti accelerano o decelerano rapidamente. Questa flessibilità (e anche complessità) di regolazione è
legata esclusivamente alla modalità di messa a fuoco
AI Servo, ovvero l’autofocus continuo a inseguimento basato sul sensore di messa a fuoco, e non quindi
sul sensore DualPixel. Quest’ultimo, come abbiamo
visto sopra, gestisce l’autofocus in modalità video e
LiveView. Configurare e trovare la regolazione ottimale richiede tempo oltre a tante foto: scattare foto a un
calciatore, infatti, richiede regolazioni diverse rispetto
alle foto fatte a un motociclista o a un animale. L’impostazione versatile generalmente va bene, ma per ogni
esigenza si possono sempre applicare microcorrezioni che aiutano a aumentare la percentuale di scatti
buoni. Siamo comunque in un campo che va oltre la
semplice fotografia amatoriale: intervenire su questi
parametri porta la sfida a un altro livello. Tornando al
sistema di messa a fuoco, Canon lo ha rivisto interamente integrando 65 punti cross-type con un punto
centrale a doppia croce. Tutti i 65 punti lavorano a
partire da f/5.6, tranne il punto centrale a doppia croce che lavora fino a -3EV e con lenti dedicate può
arrivare anche a f/2.8. Da segnalare poi la possibilità
di utilizzare, sempre con il solo punto centrale, obiettivi f/8, situazione questa tipica quando si aggiunge un
tubo di moltiplica. La EOS 7D Mark II è probabilmente
una delle reflex prosumer con il sistema AF più avanzato nel suo segmento.
Per provare la 7D Mark II abbiamo scelto di evitare le classiche (e facili) foto di paesaggio puntando
sullo sport. Per farlo siamo andati a bordo campo di
Juventus – Parma e da Top Fuel Racing, un cartodromo indoor vicino a Milano dove abbiamo realizzato il
video e scattato alcune foto in un ambiente abbastanza difficile. È possibile scaricare i file RAW originali
della partita di calcio da questo link. Le foto al cartodromo sono state fatte tutte con ottica STM 55-200 e
ISO decisamente elevati, da 3200 in su. Gli scatti al
cartodromo possono essere scaricati da questo link.
Autofocus super e 60 fps: una bomba
per i video
Canon ha iniziato a utilizzare la tecnologia DualPixel
anche sulle cineprese della serie C100, segno che
questa tecnologia è abbastanza matura per affrontare anche impegni seri. La 7D porta molte novità
in ambito video: l’uscita cuffie, l’uscita HDMI pulita,
l’autofocus continuo e la ripresa Full HD a 60 fps. Tra
le modalità di ripresa più interessanti 1920x1080 a
50fps Intra Frame a 59 Mbps e 1920x1080 (25p/24p)
I-Frame a 88 Mbps, due setup che creano su schede veloci file poco compressi e di eccellente qualità.
Per il resto funziona tutto come per le altre reflex
EOS: si possono variare tutti i parametri di ripresa
ed è stata aggiunta la possibilità di cambiare rapidamente i parametri in fase di ripresa con il quick
menù. Per la ripresa video Canon suggerisce l’uso di
ottiche STM se si vuole sfruttare l’autofocus rapido,
ma abbiamo raggiunto buoni risultati anche con ottiche EF come il 24-105 F4 L e il 70-300 DO. Ecco il
video che abbiamo realizzato con la 7D Mark II, con
un particolare “focus” sulla messa a fuoco automatica a inseguimento.
Assenze che pesano: touchscreen e 4K
Canon ha fatto un grandissimo lavoro sulla Mark II, ma
probabilmente ha riservato qualche asso per la prossima 5D. Ci riferiamo ad esempio al 4K, una funzione
che per chi realizza video inizia ad avere un po’ di
valore: proporre anche la versione 4K di un filmato
aggiunge valore al lavoro di un professionista. Con
due Digic 6 e un sensore così veloce crediamo che
la 7D abbia il potenziale per gestire un video in 4K,
ma Canon ha preferito restare nell’ambito del Full HD.
Così come qualche anno fa Canon rilasciò il firmware
2.0 per la 7D, crediamo che quando i tempi saranno
maturi (e con altre camere 4K in gamma), Canon aggiungerà questa feature. È una nostra idea, al momento la 7D Mark II resta 1080p. L’altra mancanza, a nostro
avviso più sentita, è il touchscreen. Su una macchina
di stampo professionale la parola touchscreen potrebbe far rabbrividire, ma in modalità video applicata
alla tecnologia DualPixel avrebbe avuto un suo perché, soprattutto per chi non fa video ad alto livello.
Avendo provato la 70D sappiamo bene che il touch to
focus applicato al DualPixel è una vera killer app per
cambiare punto di fuoco, soprattutto ora che è possibile variare la velocità del cambio di piani di fuoco su
4 diversi livelli, cosa impossibile sulla 70D.
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tEST Abbiamo provato per qualche ora la A7S, full frame di Sony che con soli 12 MP riprende dettagli che l’occhio non può cogliere
Preview Sony A7S: il buio non è un problema
Sony A7S è una macchina con una dinamica eccezionale, perfetta per i video ma ottima anche per certi tipi di foto
di Roberto Pezzali
uante volte abbiamo detto che il numero di pixel
non conta niente? La Sony A7S è la dimostrazione pratica che non è un luogo comune: a Sony
sono bastati infatti solo 12 Megapixel per realizzare
quella che oggi è probabilmente una delle migliori “videocamere” sul mercato. Quando ha lanciato la serie
A7 con sensore Full Frame, Sony aveva visto giusto e
ha saputo sfruttare lo stesso corpo compatto per declinare un prodotto in diverse versioni dedicate a diverse
esigenze. La A7, ora in versione Mark II (arriverà a gennaio in Italia), non solo è la prima mirrorless a pieno
formato, ma è anche una fotocamera che sfrutta soluzioni esclusive come lo stabilizzatore sul sensore a 5
assi, una novità assoluta per la categoria che debutta
appunto sul nuovo modello.
Non va dimenticata neppure la A7R: sensore da 36
Megapixel senza filtro passa basso, una fotocamera particolare dedicata a chi vuole tanta risoluzione
e tanto dettaglio per scatti perfetti con condizioni di
luce però ideali.
Infine, ma forse quella che a nostro parere è la più importante, arriva la A7S, lanciata ufficialmente da Sony
al NAB e dedicata esclusivamente al video. La A7S è
la risposta di Sony alla GH4 di Panasonic, segno che
il mondo mirrorless sta piano piano mangiando quote
di mercato al segmento video reflex capitanato dalla
EOS 5D Mark III e ora dalla 7D Mark II. Il successo della A7S ruota attorno al particolare sensore Full Frame
da 12 Megapixel, un sensore dotato di una gamma dinamica incredibile e capace di vedere più dell’occhio
umano, arrivando a registrare clip con una sensibilità
di 409600 ISO. Sony, con la A7S, offre al videomaker
e al professionista la possibilità di scavalcare alcune
barriere fisiche che alcune videocamere non posso
passare per limiti tecnici, il tutto però condito anche
da una serie di funzionalità che rendono questa piccola macchina compatta e dal costo tutto sommato
contenuto una vera cinepresa professionale. Abbiamo avuto la possibilità di provare uno dei primi campioni arrivati in Italia e finalmente disponibili per i test,
tuttavia questa è solo una prima parte della prova. La
A7S, come abbiamo detto, ha funzionalità uniche e
senza dubbio una delle più interessanti è la capacità
Q
video
lab
di fornire una uscita HDMI pulita 4:2:2 in 4K: i filmati in formato Ultra HD quindi non vengono registrati
sulla scheda di memoria integrata ma devono essere
registrati con un recorder 4K esterno, e ad oggi il prodotto più adatto è l’Atomos Shogun, un registratore
professionale con monitor integrato da 7” che ancora
deve arrivare in Italia. Non siamo quindi riusciti a registrare filmati 4K, ma stiamo lavorando per cercare
di avere una A7S con noi nel corso del CES di Las
Vegas, equipaggiata con Atomos e quindi con la possibilità di riprendere Las Vegas by night in 4K. I filmati,
ovviamente, li renderemo pubblici e saranno anche
un ottimo banco di prova per mettere sotto torchio
TV OLED e Ultra HD.
esempio, è difficile da schiacciare anche per la sua
posizione incassata e spesso per premerlo si dà un
colpetto che rende inutilizzabili le prime sequenze
di ogni clip registrata. Sony ha rivisto leggermente il
grip nel modello A7 MKII appena presentato, segno
che forse si è accorta che la riduzione eccessiva delle
dimensioni aveva portato anche qualche piccolo problema di ergonomia.
Sul retro, oltre ad una selva di tasti configurabili a piacere, troviamo anche l’eccellente mirino OLED XGA:
probabilmente è uno dei migliori mirini OLED che ci
sia mai capitato di provare per reattività e assenza
Corpo da fotocamera
per i video serve un rig
Per la A7S, Sony ha sfruttato lo stesso corpo camera
della serie A7, un corpo leggero in magnesio pensato
per una serie di macchine fotografiche. Un vestito che
sta un po’ stretto alla A7S, soprattutto se si utilizzano
obiettivi abbastanza impegnativi come il 70-200 F4 o
il 16-35 F4. Per la nostra prova abbiamo sfruttato proprio queste due eccelse ottiche: l’FE 70-200 mm F4
G OSS, un tele con attacco E che costa di listino 1499
euro e il Vario-Tessar T* FE 16-35 mm F4 ZA OSS,
nuovo obiettivo grandangolare Zeiss pensato per
la serie A7 e sul mercato a 1349 euro.
Senza lente, la A7S è piccola e maneggevole, ma
con l’ottica montata inizia a diventare ingombrante: meglio una reflex, magari più grossa ma con
un grip eccezionale o una mirrorless come questa
A7, più piccola ma con un grip leggermente sacrificato? Tutto dipende dal tipo di cliente: il professionista infatti monta la camera su un treppiedi o
un rig e non si fa troppi problemi per l’ingombro
e per il peso, mentre l’amatore potrebbe criticare
alcune scelte fatte da Sony in termini di riduzione
degli ingombri. Il tasto di ripresa posto sul lato, ad

segue a pagina 39 
torna al sommario
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1 dicembre 2014
MAGAZINE
tEST
Preview Sony A7S
segue Da pagina 38 
di scie, tuttavia per essere perfetto avrebbe bisogno
di un po’ di risoluzione in più. Va detto però che su
una macchina di questo tipo, soprattutto per l’aspetto video, l’uso di un mirino elettronico è sicuramente
più adeguato di un mirino ottico (che non sarebbe
sfruttabile in ambito video). Buono anche lo schermo
LCD: è il classico elemento da 3” e 920.000 pixel, risoluzione giusta per le dimensioni e buona visibilità
sotto luce incidente. Tra le altre caratteristiche della
A7S ricordiamo la presenza di Wi-fi e NFC e di uno
slot di card compatibile sia con SD che con Memory
Stick. La scelta della card è fondamentale: per poter
registrare infatti in formato XAVC serve una scheda di
memoria velocissima, una SDXC UHS-I o una Memory
Stick Pro: senza una card adeguata si deve ripiegare
su AVC-HD o su MP4. La qualità dei file è comunque
molto buona: l’XAVC S, 1080p a 50 Mbit, può essere
usato senza problema all’interno di una catena di alta
qualità, grazie alla compressione pressoché perfetta
che genera pochissimi artefatti di compressione solo
ed esclusivamente quando stiamo lavorando ad altissimi ISO. Ricordiamo che esiste sempre la possibilità
Shogun: l’adozione del recorder esterno è un obbligo
per il professionista, non solo per la registrazione in
RAW e in 4K ma anche per l’applicazione in tempo reale di un profilo LUT.
Meglio per i video
ma anche le foto non scherzano

La A7S è una macchina pensata esclusivamente per
chi ha bisogno di un sensore con una gamma dinamica mostruosa, e poco importa se il sensore lo si usa
per le foto o per i video. È una macchina quindi particolare, e se per i video è adatta a tutti gli ambiti, per
le foto è un prodotto perfetto per certi tipi di fotografia, ma meno adatto ad altri. Rispetto alla A7, infatti, è
priva del sistema di autofocus ibrido fase/contrasto e
utilizza un sistema a 25 punti a rilevamento di contrasto, non velocissimo ma comunque preciso. Come per
molte altre videocamere “pro”, la A7S mette l’autofocus in secondo piano, consapevole del fatto che molti
sfrutteranno la regolazione manuale. Nel corso della
nostra prova infatti l’autofocus non sempre si è dimostrato rapido, ma dobbiamo ammettere che, grazie al
sensore e alla sua capacità dinamica, la messa a fuoco
a livello di contrasto è più precisa di molte altre fotocamere analoghe. Questo tipo di messa a fuoco entra
in crisi in situazioni di scarsa luminosità, ma nel caso
torna al sommario
della A7S non esistono situazioni di questo tipo: anche
al buio quasi totale il sensore riesce ugualmente a rilevare differenze di contrasti da usare come riferimento
per il fuoco (-4EV). Rispetto alle altre fotocamere della
serie A7 il modello S, che sta per “sensibility”, ha anche
qualche altro piccolo vantaggio: può infatti scattare in
modalità silenziosa (ma attenzione al rolling shutter) e
ha un burst più elevato della A7R, che si ferma a 4
fps. Sony A7 e A7S arrivano a 5 fps, anche se sulla A7
grazie al sensore con messa a fuoco ibrida i 5fps sono
raggiungibili con fuoco continuo. Abbiamo realizzato
alcuni scatti (vedi box sotto), fatti a diverse sensibilità:
gli scatti a 400.000 ISO non sono utilizzabili, ma fino
a 100.000 ISO la resa è buona. Un paio di foto, inoltre,
le abbiamo scattate a 256.000 ISO (foto 5 e 6). Non ci
sbagliamo di troppo se diciamo che la Sony scatta (e
riprende) a 12800 ISO con la stessa quantità di rumore
che altre reflex generano a 800 ISO.
Una cinepresa professionale
che richiede impegno
La sezione video è sicuramente quella su cui Sony
ha investito la maggior parte dello sviluppo. Oltre alla
presenza di una serie di funzionalità come il Timecode Sony ha pensato bene di aggiungere l’uscita cuffie
regolabile (oltre all’ingresso microfono) e una serie di
accessori come l’attacco per un microfono di tipo XLR.
Quello che però rende davvero unica la A7S è l’inserimento, da parte di Sony, di una serie di profili gamma
tra i quali troviamo pure S-LOG 2. S-LOG è quello che
Sony chiama “negativo digitale”, una modalità di registrazione con una curva di gamma che permette di
sfruttare in fase di post produzione tutta la dinamica
estrema del sensore. I file catturati con la modalità SLOG attiva possono sembrare pessimi se visti a monitor, privi di incisività e molto slavati, tuttavia permettono una malleabilità estrema in una successiva fase di
grading: utilizzando Première o altri strumenti di Color
Correction (tipo DaVinci Resolve) si possono applicare
una serie di LUT di correzione capaci di dare alla clip
registrata un look & feel da cinema. S-LOG è una delle
tecnologie più usate da Sony in ambito cinematografico: è adottata sulle videocamere digitali della serie
I NOSTRI SCATTI DI PROVA
CineAlta e viene usata a livello mondiale nella maggior parte degli studi di produzione che usano prodotti
Sony: l’inserimento di S-LOG 2 sulla piccola Sony A7S
la dice lunga sull’impegno di Sony nel voler lanciare
un prodotto senza compromessi in ambito video. I file
per la correzione si trovano su alcuni siti web, gratuitamente o a pagamento: sono profili simili a quelli della
post produzione delle foto, con una serie di parametri
che agiscono su saturazione, contrasto e altri valori
dell’immagine. Purtroppo per poter vedere l’effetto
finale serve un software di editing professionale oppure, se si vuole vedere il risultato in tempo reale, un
registratore esterno come appunto lo Shogun Atomos
che permette di caricare la LUT applicandola al risultato in real time. Per capire come funziona una LUT
applicata a S-LOG ecco un filmato dove viene applicata ad una ripresa S-LOG una curva di correzione che
lavora solo sulla saturazione.
Nessun timore però: la Sony A7S può essere usata
tranquillamente senza tutte queste funzioni “pro”: esistono altri profili colore già impostati, dove troviamo
anche due settings, Cine 1 e Cine 2, pronti da usare.
A 1700 euro - questo il prezzo a cui si può trovare “solo
corpo” la A7S ora sul mercato - è davvero impossibile
portare a casa un prodotto migliore. Qui sotto si può
vedere un breve filmato realizzato a Trento in occasione dei mercatini di Natale: tra qualche settimana, se
riusciremo a portare con noi la A7S a Las Vegas, proveremo a spingerla al limite, sfruttando anche la registrazione S-LOG e l’output in 4K.
video
lab
Sony A7S
Sony A7S ai mercatini di Natale di Trento
clicca le immagini per l’ingrandimento
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tEST Con il sistema LG la musica invade pacificamente la casa, abbiamo provato i tre diffusori e la configurazione multiroom
LG Music Flow: musica piacevole in tutta la casa
Le prestazioni sono decisamente interessanti, l’app è ben fatta, offre buona versatilità ed è davvero facile da utilizzare
di Roberto FAGGIANO
diffusori Wi-Fi sono il fenomeno del momento e anche i costruttori non specializzati nel mondo audio
si sono gettati a capofitto su questi sistemi. Senza
timori reverenziali verso i mostri sacri del settore, anzi
con la speranza di rubare cospicue quote di mercato.
Il sistema di diffusione multiroom proposto da LG si
chiama Music Flow ed è formato da tre diffusori di
dimensioni crescenti, H3 (179 euro), H5 (249 euro) e
H7 (349 euro), dalla soundbar HS6 (499 euro) e dal
modulo di collegamento Network Bridge R1 (49 euro).
Per la nostra prova abbiamo selezionato i tre diffusori, in modo da simulare una configurazione multiroom
in tre stanze diverse. Tutti i diffusori della serie hanno
un’estetica molto elegante e rigorosa, colore grigio
scuro e griglie metalliche, quasi a sottolineare che LG
vuol fare sul serio anche nel settore audio, per proporsi anche agli appassionati di musica più esigenti.
Non per nulla il sistema è già compatibile con musica
FLAC fino ai 192 kHz/24bit, oltre che con i consueti
MP3, AAC, WAV, OGG e M4A.
I
Collegamenti: non solo Wi-Fi
I diffusori LG sono nati per un collegamento nella
rete domestica con Wi-Fi dual band, ma sono dotati
anche di Bluetooth con abbinamento NFC, in modo
da poter essere utilizzati in modo ancora più ampio
e con una vastissima gamma di dispositivi come sorgenti. Per ascoltare la musica archiviata sul proprio
PC è necessario scaricare dal sito di LG un apposito
software per Windows oppure il Nero MediaHome 4
Essentials per sistemi iOS di Apple. Inoltre i due modelli maggiori hanno pure l’ingresso Minijack per
qualsiasi sorgente stereo.
Multiroom con rete Mesh
I diffusori LG Music Flow possono formare un sistema multiroom per sonorizzare un’intera abitazione, il
metodo scelto per il funzionamento in questa configurazione è con rete Mesh, cioè come le maglie di
una catena che trasmettono il segnale da un punto
all’altro. Proprio per questo è necessario che almeno
video
lab
LG H7
349,00 €
UNA FAMIGLIA CHE CANTA BENE
Il nostro giudizio sul sistema Music Flow di LG è pienamente positivo. I tre diffusori provati sono ben assortiti e svolgono egregiamente il loro
lavoro, l’app è ben fatta, offre buona versatilità ed è facile da usare mentre il collegamento wireless sente la mancanza del WPS e soprattutto
necessita di almeno un elemento cablato se si vuole sfruttare la riproduzione multiroom. La presenza del Bluetooth con NFC è sempre una comodità da non trascurare. I tre diffusori sono solidi e ben realizzati, con un’estetica forse sin troppo rigorosa ma comunque accettabile anche
in arredamenti curati. Il modello H3 ha un rapporto qualità/prezzo molto buono e si inserisce facilmente ovunque grazie alla forma compatta.
L’H5 è un altro buon diffusore ma forse soffrirà della concorrenza interna del piccolo H3 a causa di un prezzo non trascurabile. Infine l’H7 ha la
giusta autorevolezza per accontentare chi possiede molto musica di alta qualità e il rapporto qualità/prezzo lo rende un serio concorrente di
marchi molto più famosi in campo audio.
7,9
Qualità
8
Longevità
8
Prestazioni sonore
Cosa ci piace Rapporto qualità/prezzo
Applicazione versatile
Design
7
Semplicità
7
Cosa NON ci piace
un diffusore sia collegato via cavo alla rete, in modo
da poter impiegare l’antenna Wi-Fi per la creazione
di una rete dedicata all’impianto Multiroom LG, priva
di interferenze e più stabile. Se non fosse disponibile
nessun punto di accesso cablato alla rete si dovrà
usare il modulo R1. Lo stesso modulo funziona anche
come amplificatore di segnale Wi-Fi ed è quindi utile
e consigliato in abitazioni molto vaste o su più livelli.
D-Factor
9
Prezzo
8
Mancanza WPS
Ingombro importante per l’H7
Un’applicazione sensibile
ai gusti e all’umore
L’applicazione che governa il sistema Music Flow
ha le consuete modalità di configurazione del primo
allacciamento alla rete, indispensabile perché purtroppo LG non ha dotato i suoi diffusori del comodo
sistema WPS. Una volta inserita la password per la
rete Wi-Fi il collegamento è molto rapido e possiamo
passare a rinominare il diffusore e eventualmente
accoppiarli o assegnarli alle diverse stanze dell’abitazione. Una volta configurati i diffusori si entra nella
parte più originale dell’applicazione, che ci chiede
i nostri gusti musicali e di che umore siamo, infatti
l’app seleziona tra la nostra musica quella più adatta al momento, verificando i parametri nell’immenso
database di Gracenote. Con il tempo viene anche
creata una playlist dei brani più ascoltati. Sempre dall’app possiamo selezionare un servizio di streaming
(tra cui Spotify, Deezer e TuneIn) e inserire eventualmente delle curve di equalizzazione preimpostate
oppure personali con regolazione indipendente di
alti e bassi. Non manca un timer per accensione e
spegnimento programmati.

segue a pagina 42 
torna al sommario
n. 101 / 14
1 dicembre 2014
MAGAZINE
tEST
LG Music Flow
segue Da pagina 41 
La grafica è gradevole e riporta tutte le copertine
dei brani in riproduzione, un lavoro ben fatto per
Android e iOS.
H3, piccolo ma vivace
Il diffusore di ingresso al sistema ha le dimensioni
compatte di un parallelepipedo (125 x 175 x 115 mm,
L x A x P) in modo da poter essere sistemato praticamente ovunque. I controlli a sfioramento sono sul lato
superiore e permettono di scegliere la sorgente e variare il volume. Dietro alla griglia metallica si nascondono alcune spie luminose che indicano le diverse
sorgenti o la mancanza di segnale.
di cuneo centrale, in modo che i due canali destro e
sinistro diffondano leggermente verso i lati, allargando così il fronte sonoro.
Originale anche lo spazio vuoto sotto al diffusore,
probabilmente inserito per smorzare le vibrazioni. Le
dimensioni iniziano ad essere piuttosto importanti
(340 x 207 x 88 mm, L x A x P), ma sul retro troviamo
una sorta di maniglia per il trasporto, che in effetti
nasconde lo sfogo dell’accordo reflex.
L’H3 è un vero diffusore a due vie con woofer e tweeter
a cupola, la potenza a disposizione è di 30 watt per il
woofer e 10 watt per il tweeter (10% THD).
All’ascolto il piccolo LG ha mostrato di volersi subito
confrontare con i migliori esponenti della categoria,
vantando però un prezzo inferiore, seppure di poco.
La resa musicale esalta le voci e un poco anche il medio basso, in secondo piano i bassi più profondi ma è
quasi inevitabile date le dimensioni. Con l’equalizzatore si può placare il medio basso se non fosse gradito e a questo punto la resa è molto buona, superiore
alle aspettative e in buona evidenza nella categoria.
Si possono ascoltare con piacere diversi generi musicali senza avvertire fatica d’ascolto. Netto il salto di
qualità con brani FLAC, dove emerge un ottimo dettaglio sugli acuti e anche una piacevole profondità che
i soliti MP3 non riescono a dare.
H5, il mediano di qualità superiore

Il diffusore H5 sta nel mezzo della gamma Music Flow,
ha una configurazione stereofonica e un’estetica
molto più originale del piccolo H3. I due lati del diffusore hanno una forma inconsueta, con una sorta
torna al sommario
Gli altoparlanti utilizzati sono un woofer e un tweeter per ogni canale, la potenza è di 2 x 20 watt
(10% THD). Sul lato superiore ci sono i controlli diretti
con pressione centrale per cambiare sorgente e settore rotante per regolare il volume. Sul retro la presa
minijack per una sorgente analogica, la presa di rete
cablata e quella per l’alimentazione, che necessita
purtroppo di un voluminoso adattatore esterno.
Al momento dell’ascolto l’H5 sfodera una gamma
bassa molto profonda, forse esagerata se non si interviene sui controlli di tono, e un buon equilibrio sui
medio alti. Anche in questo caso la sensibilità alla
qualità della musica è notevole. L’aspetto tridimen-
sionale è più ampio rispetto all’H3 ma ci aspettavamo ancora di più data la configurazione stereofonica
del diffusore.
H7, taglia forte
Il top di gamma dei Music Flow non passa inosservato per le sue dimensioni (370 x 232 x 110 mm,
L x A x P) ed è quindi adatto a un posizionamento in
ambienti di ampia cubatura e con una buona base di
appoggio. La linea è praticamente identica a quella
dell’H5, con la protuberanza centrale che rende divergente l’emissione degli altoparlanti. Questi ultimi
sono ancora in configurazione a due vie con la potenza a disposizione di 2 x 35 watt (10% THD). Anche le connessioni posteriori sono identiche a quelle
del’H5, con la possibilità di collegare una sorgente
analogica tradizionale.
All’ascolto l’H7 ha mostrato ottime doti musicali, anche considerando il prezzo di listino importante. A
nostro parere è sempre meglio abbassare di un paio
di tacche la gamma bassa, in modo da avere una riproduzione più equilibrata, specie durante l’ascolto
di musica classica. Dopo di che si possono apprezzare le doti dell’H7: con musica FLAC la tridimensionalità è quasi ottimale per un diffusore stereo in un solo
corpo, la dinamica è notevole con una gamma bassa
piuttosto profonda e le voci maschili e femminili sono
rese con grande naturalezza. In pratica l’ascolto è
molto piacevole e non si ha certo voglia di cambiare
rapidamente traccia. Ascoltando brani MP3 o musica da Spotify le impressioni non cambiano sostanzialmente, salvo enfatizzare ulteriormente la brutale
compressione di alcuni brani.