Coscienza laica

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Coscienza laica
L
L ibri del mese
Coscienza laica
Perché ripubblicare og gi i testi di Jemolo
I
cattolici non fanno mai male se
non nascondono certi loro stati
di perplessità o di disagio» (A.C.
JEMOLO, «La scomunica dei comunisti», in Il Ponte 5[1949], 1238).
La questione della laicità ha, negli
ultimi decenni, mutato i suoi confini e i
suoi simboli. I problemi inediti che sono
emersi in campi apparentemente distanti da quelli tradizionali su cui ordinariamente si svolgeva il dibattito – bastereb-
CXCVII
be pensare ai dilemmi posti dalla multireligiositàl e dalla bioetica2 – aiutano a
capire la differenza sostanziale che passa
tra la «vecchia» e la «nuova laicità».3
Da una «laicità» tutta incentrata sulla separazione giurisdizionale tra stato e
Chiesa, tutt’al più estesa ai problemi
connessi con l’influenza dell’organizzazione ecclesiastica nei campi dell’amministrazione statale, si è ormai passati a
discutere, in modo assai più radicale,
della separazione di principio del «politi-
co» e del «religioso» nella strutturazione
dei vari ambiti della società.4
Di pari passo con il mutamento
strutturale del livello del discorso, appare a tutti evidente come il significato del
termine laicità sia divenuto, nell’uso comune come in quello scientifico, sempre
più vario, indefinito, evanescente.5
Tutto ciò impone di domandarci se
abbia ancora senso andare a rileggere le
pagine scritte da Jemolo cinquant’anni
fa che qui si riproducono.
Nonostante lo scarto culturale che
s’è venuto a creare, abbiamo diverse ragioni per ritenere che esse conservino un
intrinseco valore, specialmente nelle discussioni italiane.
1. Un grande maestro di storia e di
teoria delle relazioni tra società civile e
società religiosa ci offre, in questi saggi,
una lezione di metodo: chiunque voglia
accostarsi al problema della laicità lo deve fare con una solida consapevolezza
storica, sapendo che i suoi confini sono
preliminarmente segnati dagli assetti di
una determinata società, ordinamento e
cultura. Non esiste, infatti, un criterio generale e astratto per definire la «laicità»;
chi lo proponesse finirebbe per ricadere
in una forma di dogmatismo rovesciato.
Né tale problema è risolvibile sul
profilo normativo, perché il mondo del
diritto è influenzato da fattori politici e
sociologici.6 Ogni collettività si trova,
pertanto, a dover affrontare o a riconsiderare questa problematica in rapporto
ai princìpi del proprio ordinamento giuridico, alle proprie tradizioni religiose e,
culturali, e alle specifiche forme dell’organizzazione sociale.
Proprio per questo, prima di definire
l’«oggetto» della laicità, Jemolo si premura di avvertire che essa è «indissolubilmente legata a una concezione della
società civile e dello stato, fondata su
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una certa organizzazione giuridica ed
economica, e su certi valori morali».7
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Solida consapevo lezza
storica
Il primo elemento determinante è,
senza dubbio, il modello di stato cui
s’intende fare riferimento: se quello della tradizione nord-americana oppure
quello europeo o continentale.8 La nostra sensibilità odierna potrebbe avvertire ideologico (di sapore hegeliano) o
semplicemente anacronistico il concetto
di stato quale «necessità suprema» di
una «società più larga, comprendente
tutte quelle società minori (...) e presieduta da un sistema organizzativo».9 Ma
è lo stesso Jemolo a osservare che l’idea
di «stato laico» non va tenuta per «una
rivelazione di verità naturale» bensì per
una «costruzione» storica resa possibile
dalla sussistenza di certe condizioni intellettuali, morali e politiche, venendo
meno le quali essa sarebbe destinata a
crollare.10
L’insistenza sul «fondamento comune» su cui deve poggiare lo stato e sul legame ideale che esso deve mantenere
con una determinata «civiltà»,11 se da
un lato conferma la capacità d’analisi
politica di Jemolo, dall’altro ci riporta
drammaticamente alla situazione di crisi culturale in cui ci dibattiamo.
«Crisi dello stato» e «nuova laicità»
sono, dunque, i punti nevralgici che ci
separano dall’orizzonte in cui si muove-
va Jemolo. Intendendo, col primo, il
parziale superamento della forma «stato-nazione» in organismi sovranazionali
e l’interazione sempre più stretta con i
processi della globalizzazione e, col secondo, l’allargamento, il mutamento di
problematiche che hanno investito il
campo dei rapporti tra la religione e la
politica ben al di là dell’ottica delle relazioni tra stati e Chiese.
D’altra parte gli scritti qui ristampati rappresentano una singolare testimonianza dell’impegno di un giurista e di
un intellettuale sui generis – Jemolo ha
sempre rinunciato a ogni etichettatura
ideologica12 – a favore di una piena libertà religiosa. Si pensi alla lotta contro
le sottili discriminazioni attuate contro i
protestanti durante e dopo il regime fascista dalle varie branche dello stato, di
cui si trova più d’una eco in queste pagine, nei suoi manuali e articoli giuridici.13 Oppure al contributo dato all’attività dell’«Associazione per la libertà religiosa in Italia», sorta per iniziativa di
Gaetano Salvemini e costituita ufficialmente a Milano nel settembre del
1954.14
Al tempo stesso Jemolo non ha mai
smesso di lottare per il superamento degli steccati ideologici tra «cattolici» e
«laici», tra «coscienza cattolica» e «coscienza laica». Ma con l’avvertenza,
acutissima, che si trattava di un vero e
proprio «ponte dell’asino» che non era
(come lo è meno ancora oggi), «facil-
mente superabile, e sarebbe proprio
un’illusione – egli aggiungeva – credere
di aver effettuato il superamento per
aver trovato una formula».15
Alla base di questa cruciale difficoltà,
Jemolo poneva il contrasto tra le «tavole
dei valori» della società religiosa e della
società civile e l’impossibilità non solo di
demarcarne i rispettivi confini una volta
per tutte,16 ma soprattutto di comporne
armonicamente i (necessariamente) differenti punti di vista tanto nei singoli
soggetti appartenenti all’una o all’altra
(come «credenti» e/o come «cittadini»)
quanto nelle relazioni tra di esse.
Il cattolico Jemolo è pienamente
consapevole del postulato psicologico e
pragmatico che guida la gerarchia ecclesiastica e orienta la maggioranza dei
credenti: «L’ideale sarà sempre un
mondo ove l’incredulità non abbia posto, ove si insegni una sola verità senza
alcun rischio di rimetterla continuamente in discussione; la vera e sola libertà è, per il credente, quella di coltivare la verità, di camminare verso il bene. La libertà del tentatore non merita
protezione alcuna».17
Si capisce allora come, con notevole
intuizione e anticipazione sui tempi,
nell’intervento sul Mondo del 24 gennaio del 1956, Jemolo abbia individuato
il segno distintivo della laicità credente:
«La vera coscienza laica del credente si
ha solo allorché egli accetta lo stato di
fatto della diversità di concezioni che si
1
Sul passaggio dal pluralismo confessionale
alla società multireligiosa e sul suo impatto sul
terreno normativo, è praticamente impossibile
offrire un’adeguata bibliografia. Segnalo, come
punti di partenza, S. FERRARI-I.C. IBÁN, Diritto e
religione in Europa occidentale, Il Mulino, Bologna 1997; S. FERRARI-W.C. DURHAM JR.-E.A.
SEWELL, Diritto e religione nell’Europa post-comunista, Il Mulino, Bologna 2004. Aveva anticipato
queste tematiche F. MARGIOTTA BROGLIO,
«Droits et sociétés religieuses», in L.E. KOTSIRIS
(a cura di), Law at the Turn of che 20th Century,
Sakkoulas-Nomos, Thessaloniki-Baden-Baden
1994, 101-110.
2
Se ne può trovare un consuntivo in G. FOMERO, Laicità debole e laicità forte. Il contributo
della bioetica al dibattito sulla laicità, Bruno
Mondadori, Milano 2008.
3
Un accenno in G.E. RUSCONI, Non abusare di Dio, Rizzoli, Milano 2007, 13.
4
Cf. M. GAUCHET, La religion dans la démocratie. Parcours de la laïcité, Gallimard, Paris
1998. Per una recente messa a punto storiografica, cf. F. DE GIORGI, Laicità europea, Morcelliana, Brescia 2007.
5
Per un primo orientamento intorno all’aspetto definitorio e tipologico: M. BARBIER, La
laïcité, L’Harmattan, Paris 1995, 69-89; J. BAUBEROT, Laïcté 1905-2005 entre passion et raison,
Seuil, Paris 2004; L. PAOLETTI (a cura di), L’identità in conflitto dell’Europa. Cristianesimo, laicità, laicismo, Il Mulino, Bologna 2005 (la I parte è dedicata ai modelli di laicità tra Europa e
Stati Uniti).
6
Nell’affrontare i temi della vita e della libertà religiosa, Jemolo è uno dei primi giuristi a
tenere conto, dal punto di vista del metodo, non
solo della distanza tra la credenza e la pratica, tra
la vita di pietà e il costume, ma anche dello scarto tra la prescrizione giuridica e l’applicazione
concreta. Più in generale egli è ben consapevole
che «il diritto non esaurisce la vita sociale, ma ne
coglie e ne sanziona le regole fondamentali»; ragion per cui, l’esito del contrasto per il predominio della società civile o di quella religiosa può dipendere da elementi sociologici. Cf. il 1o capitolo
di A.C. JEMOLO, Premesse ai rapporti tra Chiesa e
stato, Giuffrè, Milano 1965.
7
Cf. A.C. JEMOLO, Coscienza laica, Morcelliana, Brescia 2008, 59.
8
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 39-41. Il maestro di Jemolo, Francesco Ruffini, aveva trattato
della «diversità profonda che intercorre fra il diritto nordamericano e il diritto continentale europeo» in La libertà religiosa come diritto pubblico
subiettivo (1924), ristampa con Introduzione di S.
Ferrari, Il Mulino, Bologna 1992, 334-346. Sulla
disparità di modelli cf. C. CARDIA, Le sfide della
laicità: etica, multiculturalismo, islam, San Paolo,
Cinisello Balsamo (MI) 2007, 22-42; A. FERRARI,
«Laicità e religione civile tra stato e società: “modello americano” e “modello europeo” a confronto», in G. PAGANINI, E. TORTAROLO (a cura
di), Pluralismo e religione civile. Una prospettiva
storica e filosofica. Atti del Convegno di Vercelli
(Università del Piemonte orientale) 24-25 giugno
2001, 253-274.
9
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 85. Proprio in
riferimento a un articolo di Jemolo («La parte di
Cesare», in La Stampa, 24.4.1957), Guido Calogero notava che «la formula dello “stato etico”
ha, come tutti sanno, una eco inopportuna, perché se lo “stato” simboleggiante i nostri doveri civici dovesse mai tornare a essere quello che Hegel e Gentile chiamarono a quel modo e che in
realtà era soltanto lo stato autoritario, allora sarebbe proprio la volta in cui potremmo benissimo
sentire il dovere di schierarci, invece, dalla parte
di Pietro contro Cesare» (G. CALOGERO, «Religione e laicismo», ora in ID., Filosofia del dialogo,
Edizioni di Comunità, Milano 1962, 281).
10
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 88-90.
11
«Uno stato non può vivere – egli scrive –
senza certe regole morali, certe convinzioni universalmente accettate» (cf. JEMOLO, Coscienza
laica, 89).
12
Solitamente egli viene fatto passare per un
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riscontrano in un dato momento, e che
ritiene lo stato debba ispirare le sue leggi e le sue opere a quelle visuali di bene
che sono comuni a tutte le concezioni
(...); e che lo stato debba pertanto ammettere nella sua legislazione, quello
che per lui credente è peccato, e la propaganda di ciò che per lui è tale: lasciando alla libera gara, tra uomini religiosi e
uomini non tali, il compito di fugare il
peccato, di fare sì che il peccato, pur
consentito dalla norma di legge, non abbia mai a venire commesso».18
l’interesse di un bene superiore e più
vasto (...).
In circostanze determinate (...) anche in casi in cui si potrebbe procedere
alla repressione, la Chiesa – già per riguardo a coloro che in buona coscienza
(sebbene erronea, ma invincibile) sono
di diversa opinione – si è vista indotta
ad agire e ha agito secondo quella tolleranza (…). Così fa oggi e anche nel futuro si troverà di fronte alla stessa necessità».22
Laicità della Chiesa,
laicità dello stato
2. Se collocate nel contesto storico in
cui furono scritte, queste parole danno
la misura del forte distacco dalle concezioni cattoliche ufficiali. Jemolo non
prende in considerazione né l’antica
dottrina dello «stato cattolico», né la
moderna teoria bellarminiana della «potestas indirecta in temporalibus», né la
distinzione tra «tesi» e «ipotesi», introdotta da Leone XIII per rendere più dinamiche le relazioni della Chiesa con le
società e gli stati. Queste formule, se
permettevano di trovare dei modus vivendi, non scalfivano minimamente il
principio secondo cui la sola laicità che
la Chiesa romana poteva ammettere era
quella di riconoscere allo stato l’amministrazione delle cose temporali, ma in
via condizionata sia alla delimitazione
da parte della Chiesa della sfera del
temporale, sia all’esercizio di un potere
indiretto su di esso.19
Alla nozione di laicità della Chiesa,
Jemolo oppone la nozione di laicità
dello stato fondata sui princìpi della fede nella libertà, nella ragione e nell’uguaglianza umana: un complesso di
postulati che «non ammette – egli nota
– che qualcuno, in virtù del proprio valore o di un’investitura divina, guidi gli
altri uomini come un pastore il proprio
gregge».20
Ci si può domandare, tuttavia, se
non esista un qualche rapporto tra la
posizione di Jemolo e la nozione di tolleranza canonica riproposta alcuni anni
prima da Pio XII.21 Nel testo magisteriale più noto in materia – l’Allocuzione
ai giuristi cattolici italiani del 6 dicembre 1953 – papa Pacelli affermava, tra
l’altro: «Il dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può quindi
essere una ultima norma di azione. Esso
deve essere subordinato a più alte e più
generali norme, le quali in alcune circostanze permettono, e anzi fanno forse
apparire come il partito migliore il non
impedire l’errore, per promuovere un bene maggiore (…).
Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza,
né alla propaganda, né all’azione. Secondo: il non impedirlo per mezzo di
leggi statali e di disposizioni coercitive
può nondimeno essere giustificato nel-
pensatore «cattolico-liberale». Ma egli rifiutava il
trattino che univa i due termini, preferendo la definizione separata di «cattolico» e di «liberale».
Cf. F. MARGIOTTA BROGLIO, «Presentazione», in
A.C. JEMOLO, Scritti vari di storia religiosa e civile, Giuffrè, Milano 1965, XLI-XLVII.
13
Cf. JEMOLO, «Libertà religiosa», in Il Mondo 4(1952), 4.10.1952, 4; ID., «Per la libertà religiosa in Italia», in Nuovi Argomenti 2(1953),
maggio-giugno, 1-15; ID., Lezioni di diritto ecclesiastico, Giuffrè, Milano 1975, 165-169.
14
Il programma dell’ALRI, dopo aver esordito affermando che la libertà religiosa «dovrebbe essere limitata in Italia solo dalle leggi che difendono il buon costume», denunciava gli abusi
compiuti dalle forze dell’ordine e dai pubblici ministeri nel continuare a richiedere (secondo il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del
18.6.1931) una preventiva autorizzazione della
polizia per «le riunioni anche private a scopo di
culto» indette dagli evangelici, per lo più pentecostali, seguaci della Chiesa di Cristo, Testimoni
di Geova e altri. Fra i primi aderenti troviamo, oltre Jemolo, Piero Calamandrei, Aldo Capitini,
Emesto e Tristano Codignola, Emilio Lussu, Raffaele Pettazzoni, Armando Sapori, Leo Valiani.
15
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 41.
16
«Anche in tempi normali, quando cioè si è
al di fuori della temperie della guerra religiosa, è
sempre in atto un contrasto tra lo stato e la Chiesa, nei paesi cattolici, per spostare in un senso o
nell’altro la linea della propria competenza». E
aggiungeva che, in materia, la Chiesa mantiene
una «posizione di superiorità» rispetto allo stato
perché «non suole mai fare affermazioni di rinuncia a dati ambiti, come sogliono farne gli stati, non suole mai dare come merce di negoziato
mutamenti del proprio diritto, come suole invece
accordare lo stato» (A.C. JEMOLO, La crisi dello
stato moderno, Laterza, Bari 1954; nuova edizione: Laterza, Roma-Bari 1991, 163).
17
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 85.
18
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 42-43. Sull’orientamento della rivista settimanale diretta da
Mario Pannunzio e sul dibattito intorno alle relazioni tra stato e Chiesa, cf. A. CARDINI, Tempi di
ferro. Il «Mondo» e l’Italia del dopoguerra, Il Mulino, Bologna 1992.
19
Si veda la messa a punto di I.-B. TROTABAS, La notion de laïcité dans le droit de l’Eglise
catholique et l’Etat républicain, LGDI, Paris 1961
(criticata come un tentativo di minimizzare l’opposizione irriducibile tra i due concetti da P.
Coulombel nella recensione apparsa in L’Année
sociologique troisième série [1960], 449-458 ora
riedita in Archives de philosophie du droit
48[2004], 265-272).
20
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 87.
21
Cf. A. VERMEERSCH, La tolérance, Uystpryst – Dieudonne, Louvain – Paris 1912; A. MICHEL, «Tolérance», in Dictionnaire de théologie
catholique, XV/1, Letouzey et Ané, Paris 1946,
coll. 1208-1220; P.A. D’AVACK, Il problema storicogiuridico della libertà religiosa, Bulzoni, Roma
1967; G. OLIVERO, Dissimulatio e Tolerantia
nell’ordinamento canonico (1953), ora in ID., Studia canonica, Giuffrè, Milano 1987, 152-196.
22
Acta apostolicae sedis 45(1953), 794-802;
Discorsi e radiomessaggi di sua santità Pio XII,
vol. 15, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1954,
481-492, cit. 488-491. Cf. R. ROUQUETTE, «Pie
XII et la tolérance», in Etudes 1(1954), 241-248.
Secondo il gesuita tedesco Albert Hartmann, Pio
XII non avrebbe più fatto menzione dello stato
cattolico come «tesi», ma avrebbe applicato quest’ultima al principio della separazione totale
della Chiesa e dello stato e concesso in «ipotesi»
che essa potesse presentarsi come soluzione pratica in determinate congiunture in vista del bene
comune rappresentato dall’unità sempre più
stretta dei popoli (Toleranz und Christlicher
Glaube, Knecht, Frankfurt 1955, trad. fr. Vrai et
fausse tolérance, Edition du Cerf, Paris 1958,
244-248).
23
A. OTTAVIANI, Institutiones iuris publici
ecclesiastici, II, Typis Polyglottis Vaticanis, 1960,
63-77.
CXCIX
P l u ral i s m o :
l’urgenza di una rif le ssione
Jemolo certamente riecheggia il significato che il tolerari potest aveva nell’ordinamento della Chiesa, ma attribuisce al relativo concetto una portata sostanzialmente diversa. Sia dal punto di
vista delle relazioni tra la Chiesa e lo
stato, sia dal punto di vista delle relazioni del credente con la legge civile. Egli,
da un lato, rifiuta il presupposto base di
uno stato confessionale, cui la dottrina
del ius publicum ecclesiasticum restava
ancorata,23 dall’altro ribalta i termini
del problema politico.
Nelle coscienze dei fedeli che partecipano alla vita dello stato non si tratta
più di tollerare un male minore per evitare un male peggiore, fermo restando il
giudizio veritativo pronunciato dall’autorità ecclesiastica; si tratta, invece, di
accogliere fino in fondo il presupposto
politico dell’idea liberale di stato ovvero
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Carlo Bo, Arturo Carlo Jemolo, Norberto Bobbio.
di un organismo che, per definizione,
permette e garantisce la coesistenza e la
competizione tra le diverse concezioni
del mondo. Dall’opposizione di principio, che nasce nel cristiano dalla doverosa resistenza al male, si dovrebbe passare
alla sfida dialettica tra uomini religiosi e
non dalla staticità metafisica del contrasto tra bene e male si dovrebbe scendere
all’impegno storico dei credenti perché il
peccato non avvenga.
Ma il pensiero di Jemolo si differenziava anche dagli atteggiamenti teologici
allora più avanzati. Pensiamo a padre
Congar che, nel 1952, si proponeva di
studiare «le condizioni o i princìpi di una
cooperazione tra gli uomini di differenti
credenze o anche, al di là di ogni fede religiosa positiva, tra uomini che non professano le stesse dottrine sulle realtà e i fini ultimi».24 In questa prospettiva la
Chiesa come organismo dogmatico non
poteva rinunciare al «totalitarismo della
fede, all’intransigenza e all’intolleranza
della verità», anche se le espressioni del
suo magistero apostolico dovevano nondimeno avvenire «con mezzi spirituali e
attraverso le coscienze».25
Non a caso il problema del «pluralismo» era considerato da Congar uno dei
compiti più urgenti della teologia cattolica in stretto riferimento all’opera Humanisme intégral di Maritain. Com’è noto,
la possibilità di affermare una «struttura
pluralistica della città» contrassegnata
da un’«unità minimale» che «non richie-
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de da sé l’unità di fede e di religione, e
che può essere cristiana pur raggruppando nel suo seno dei non-cristiani»,26 era
legata – per riprendere non solo le parole del filosofo, ma anche di una nuova
corrente di idee da lui suscitata –
all’«ideale storico di una nuova cristianità» sostanzialmente distinta da quella
medievale.27
Tali aperture erano però recisamente condannate da autorevoli «scrittori»
del La Civiltà cattolica, impegnati a ribadire l’obbligo dello stato a modellare la
sua condotta alle prescrizioni superiori
della rivelazione. Scriveva padre Messineo nel 1955: «Secondo la rivelazione,
l’economia nella quale oggi vive l’uomo
e conseguentemente lo stato, è un’economia soprannaurale e (...), pertanto, in
senso cattolico la politica non può essere
concepita come attività fondata su principi puramente umani, secondo la tesi
del cosiddetto umanesimo integrale».28
Il confronto con le elaborazioni dottrinali coeve mostra che il cattolico Jemolo muove da altre premesse teoriche.
Non solo rifiuta il ricorso alla teoria leoniana che, con Laberthonnière, avrebbe
probabilmente giudicato «un opportunismo dell’ipotesi, che non rinuncia mai
a porsi al servizio dell’assolutismo della
tesi».29
Più radicalmente respinge la teoria
della coordinazione tra stato e Chiesa,
che costituiva comunque il quadro ontologico di riferimento di un Congar o di
un Maritain. Invece Jemolo presuppone,
da parte del credente, non solo il riconoscimento del principio della separazione
tra «società civile» e «società religiosa»30
– un postulato che la Gaudium et spes
adombrerà alcuni anni dopo solo nei termini sfumati della semplice distinzione31
– e il conseguente rifiuto dell’impegno
politico dei cattolici in quanto tali, ma
anche la ricerca di un criterio superiore
e generale di giudizio, ossia di princìpi
ispiratori dello stato condivisi da tutti i
cittadini.
Sfumature
contro separazione
Al riguardo Jemolo si premura di avvertire che il postulato della separazione
tra le due società potrebbe illanguidire
qualora il credente ritenga che «la società civile debba essere retta secondo
dati princìpi, chiamati magari di diritto
naturale, che però coincidano con quelli
di una confessione o di un gruppo di
confessioni, ma non siano affatto universalmente accolti».32
Per Jemolo, «coscienza laica» ha,
dunque, una valenza più forte e una portata più larga di «laicità»: mentre quest’ultima finisce per appiattire il suo atteggiamento esclusivamente sulle questioni giuridico-politiche, il primo termine meglio si attaglia al suo pensiero perché evidenzia che il rapporto tra legge e
peccato diventa per il credente un contrappunto di fondamentale importanza
CC
(soggettiva e oggettiva) e mette a nudo il
profilo decisivo di ogni discussione anche
odierna tra cattolici e laici.33
3. L’intervento sulla «coscienza laica» si collega idealmente all’altro saggio
sul problema della laicità in Italia apparso in un’opera collettiva francese.34 Questo disegno delle alterne vicende della
laicità in Italia dalla fine del Settecento
al 1960 è prezioso perché, oltre a fornire
una sintesi storica finora insuperata,35
contiene considerazioni rilevanti per
chiarire la peculiare impostazione storiografica e religiosa del suo autore.
Al pari di quanto aveva fatto nella
sua grande opera Chiesa e stato in Italia
negli ultimi cento anni, del 1948,36 Jemolo preferisce disegnare quadri d’epoca, rievocare esperienze individuali, descrivere gli orientamenti dei gruppi dirigenti e lo spirito pubblico piuttosto che
risalire alle cause dei fenomeni o offrire
una visione organica di un periodo. La
sua ricostruzione potrebbe sembrare
impressionistica per i frequenti richiami
al «vissuto» biografico e storico; ma l’attenzione rigorosa rivolta ai fatti e la vo-
lontà di far trasparire il giudizio morale
sugli uomini mostrano quanto egli fosse
tributario del modello classico della storiografia.37
Andando alla ricerca delle origini del
confessionalismo italiano, Jemolo non
impiega il risalente schema ideologico
(ritornato in auge anche in tempi recenti) della «mancata riforma religiosa»; da
storico vero si sofferma sulle influenze
dottrinali e sui momenti fondanti del laicismo, dando particolare risalto alla diffusione dell’Illuminismo francese e della
massoneria nei vari stati preunitari, del
liberalismo e del libero pensiero nell’Italia del secondo Ottocento. È comunque
alla stagione risorgimentale, e in specie
alla personalità di Cavour e agli uomini
della destra storica, che egli annette il
più alto contributo all’idea laica nel nostro paese.
Rifiutando una concezione sia positivistica sia idealistica della storia, Jemolo
tende a sottolineare il percorso non lineare compiuto dalla laicità in Italia, la
diversità delle sue componenti otto-novecentesche, l’insufficienza degli assetti
giuridici che dovrebbero garantirla, i forti condizionamenti socio-politici che
l’hanno indebolita, i movimenti di spinta
e di contro-spinta cui essa è andata soggetta. Per spiegare questi ultimi egli evidenzia gli intrecci che si sono venuti
creando tra differenti filoni ideologici,
come il conservatorismo, il vecchio liberalismo, il nazionalismo.
I Patti del Laterano tracciano una
svolta nel processo di confessionalizzazione dello stato e della società italiana
che, per Jemolo, si prolunga, senza soluzione di continuità, fino al momento in
cui scrive. Su questo giudizio pesano certo la delusione per il momento costituente della Repubblica38 e l’avversione per i
governi democristiani: due fasi storiche
di fronte a cui Jemolo non ha mai mancato di esprimere le più ampie riserve.39
Nella visione di Jemolo crisi della laicità e confessionalismo si connettono
con la critica del «conformismo», considerato l’insidia maggiore portata alla religiosità autentica. Nell’offrire una rappresentazione viva dell’Italia cattolica –
vista come il punto culminante del pro-
24
Y.M.-J. CONGAR, «Les conditions théologiques d’un pluralisme», in Tolérance et communauté humaine. Chrétiens dans un monde divisé,
Casterman, Toumai – Paris 1952, 191-223 (qui
191). I teologi che collaborano a questo volume,
provenienti dall’Università di Lovanio e dai Collegi di La Sarte e di Le Saulchoir, partono dalla premessa che, nella comunità civile, «il cristiano si
trova ad affiancare il non-cristiano; l’uno e l’altro,
ugualmente cittadini, si preoccupano d’un bene
temporale e secolare che è a loro comune» (ivi, 9).
25
CONGAR, «Les conditions théologiques»,
221.
26
Trad. it. Umanesimo integrale, Studium,
Roma 1946, 138.
27
Per un quadro sulle dottrine della «nuova
cristianità», cf. G. MICCOLI, Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Marietti, Casale Monferrato 1985, 410-421; 474-498; D. MENOZZI, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Einaudi, Torino
1993, 154-175.
28
A. MESSINEO, «Tolleranza», in Enciclopedia Cattolica, Sansoni, Firenze 1954, vol. 12, col.
207. Questa tesi sarà ripresa e ampiamente svolta
sei anni dopo nel noto documento della CEI, presidente il card. Siri: Il laicismo. Lettera dell’episcopato italiano al clero, Roma, 25.3.1960, ora in Enchiridion della Conferenza dpiscopale italiana, I.
1954-1972, EDB, Bologna 1985, 76-95. In merito
si rinvia a D. MENOZZI, «Tra laicità e laicismo: un
dibattito nella cultura cattolica italiana del secondo dopoguerra», in corso di pubblicazione negli
Scritti in onore di Francesco Traniello.
29
L. LABERTHONNIÈRE, La notion chrétienne
de l’autorité, Vrin, Paris 1955, 134.
30
Coronario di tale principio è la posizione
anticoncordataria di Jemolo mantenuta fino al
1974, allorché accetterà di partecipare al processo
di revisione bilaterale dei rapporti tra lo stato italiano e la Chiesa cattolica sia per «sbloccare il
complesso dei diritti di libertà garantiti dalla Co-
stituzione, che pur non amava», sia per adeguare
il diritto ecclesiastico alle trasformazioni culturali
e istituzionali (cf. F. MARGIOTTA BROGLIO, «Arturo Carlo Jemolo tra diritto e cultura», in Giornata
Lincea nel centenario della nascita di Arturo Carlo
Jemolo [Roma, 18 dicembre 1991], Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1993, cit., 77).
31
Cf. CONCILIO VATICANO II, cost. past. De
Ecclesia, nn. 36 e 76. Nel modo di concepire i rapporti col costituzionalismo moderno, assume una
peculiare rilevanza la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, che fonda la libertà religiosa
non più sui diritti esclusi della verità della Chiesa
cattolica, bensì sui diritti della persona nell’ordinamento giuridico (determinante al riguardo il
pensiero del gesuita americano John Courtney
Murray); cf. N. MATTEUCCI, «Dignità dell’uomo e
libertà religiosa», in Nuova Antologia, aprile-giugno 1982, 95-105; P. SCOPPOLA, «La libertà religiosa», in Le deuxième concile du Vatican 19591965, Ecole Française de Rome, Roma 1989, 549575, E.-W BOCKENFORDE, Cristianesimo, libertà,
democrazia, a cura di M. Nicoletti, Morcelliana,
Brescia 2007, 29-80 (ma tutta la I parte del volume è di rilevante attualità). Sulle discussioni conciliari cf. S. SCATENA, La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazione Dignitatis humanae
sulla libertà religiosa del Vaticano II, Il Mulino,
Bologna 2003.
32
Su questo punto Jemolo si era espresso già
nel volume La crisi dello stato moderno, cit., 150s.
33
In quest’ottica riveste particolare interesse
l’indagine di P. PRODI, Una storia della giustizia.
Dal pluralismo dei fòri al moderno dualismo tra coscienza e diritto, II Mulino, Bologna 2000.
34
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 45-93. Come
scriveva nella Premessa il direttore del Centre de
Sciences Politiques de Nice, Louis Trotabas, questo volume si proponeva, con l’aiuto di ventidue
studiosi di fama internazionale, di comparare le
relazioni dello stato e delle Chiese in Francia, in
Europa, negli Stati Uniti, nel Vicino e nell’Estremo Oriente, e di studiare il tema della laicità quale fattore essenziale delle scienze politiche e della
teoria dello stato (L. TROTABAS, «La laïcité. Son
application dans le cadre de la Communauté», in
CENTRE DE SCIENCES POLITIQUES DE L’INSTITUT
D’ETUDE JURIDIQUES DE NICE, La laïcité, Presses
Universitaires de France, Paris 1960, 1).
35
Le indagini organiche compiute sul laicismo da Guido Verucci si fermano alla fine dell’Ottocento; i contributi di altri studiosi contemporaneisti (Francesco Traniello, Carlo Ghisalberti, Aldo A. Mola, Fulvio Conti, Edoardo Tortarolo ecc.)
sono di natura settoriale o perché toccano un determinato profilo del problema (il libero pensiero,
la massoneria, l’anticlericalismo ecc.) o perché
cronologicamente assai delimitati; infine l’apporto
degli studiosi di diritto ecclesiastico e canonico si è
orientato in prevalenza a inquadrare tali vicende
entro le tipologie delle relazioni tra stato e Chiese.
36
Edito a Torino presso l’editore Einaudi, il
volume, tradotto in lingua francese e inglese, ha ricevuto cinque ristampe e una nuova edizione, con
Prefazione di Giovanni Miccoli, nel 1990.
37
G. MICCOLI, «Jemolo, storico delle relazioni stato-Chiesa tra Ottocento e Novecento»,
in Giornata lincea nel centenario della nascita,
cit., 38.
38
Cf. JEMOLO, Che cos’è la Costituzione. Nuova edizione con uno scritto su La Costituzione. Difetti, modifiche, integrazioni, Introduzione di G.
Zagrebelsky, Postfazione di A. Cavaglion, Donzelli editore, Roma 1996 e 2008.
39
Nel volume autobiografico Anni di prova,
Jemolo intitolerà «Le delusioni» il capitolo sull’Italia repubblicana (Neri Pozza, Vicenza 1969;
Passigli, Firenze 21991, 197-212). Si veda ora la
ricostruzione di P. VALBUSA, I pensieri di un mal
pensante. Arturo Carlo Jemolo e trentacinque anni
di storia repubblicana, Marsilio, Venezia 2008,
59ss e 10ss.
CCI
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763
L
ibri del mese
cesso a ritroso che sul terreno culturale,
istituzionale e di costume era partito dalla Rivoluzione francese –, Jemolo concede largo spazio interpretativo al fattore
politico e al fattore psicologico.
Pre ssione conformista
Lo stato fascista e poi democristiano, al pari della Chiesa di Pio XI e di
Pio XII, si sono impegnati con successo
per conquistare il consenso nelle masse;
il resto lo hanno fatto la «pressione
conformista», stimolata anche dai mezzi di comunicazione sociale, e la «ragguardevole pigrizia morale» dell’italiano, nel cui carattere si ravvisa «quella
carenza di odium theologicum, e di attaccamento a dibattiti teologici» che lo
hanno fatto «il tipo più tollerante e più
resistente alle tentazioni dell’eresia che
si abbia nel cattolicesimo».40
4. La polemica contro la religione di
parata, fatta di riti puramente esteriori
e di una blanda adesione ai dogmi, così
come la reiterata denuncia della confusione della fede con la «religione dei padri» tendente a fame un uso politico e a
rendere equivalenti, presso larghi strati
della popolazione, l’ortodossia ecclesiastica col costume, la morale cristiana
con la morale comune, si ritrovano nell’articolo pubblicato nel 1955 sulla rivista Esprit di Mounier e dedicato all’altro volto dell’Italia religiosa, quello dei
«cattolici non conformisti».41
Conoscitore degli studi di Le Bras
sulla storia e sulla pratica religiosa, Jemolo diffida del giudizio comune che
identifica la nostra penisola con il «paese cattolico» per eccellenza.42 Tale formula ambigua nasconde, infatti, un panorama di credenze e di pratiche molto
diversificato, che va dagli stretti osservanti a coloro che non hanno alcuna
preoccupazione religiosa.43
Il suo interesse è rivolto verso quella frangia di cattolici che, senza assumere un atteggiamento di aperta ribellione
alla gerarchia, si sente attraversata da
una profonda inquietudine religiosa e
non sempre è disposta a conformarsi alle sue direttive in campi non strettamente vincolati dalle verità divine. Non
ci vuole molto per capire che queste pagine sono, in gran parte, una sorta di
autoriflessione o di autoanalisi condotta
dal loro autore.
A differenza della situazione francese, la maturazione di questi cattolici
non viene da lontano e non è passata, se
non marginalmente, attraverso l’espe-
764
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rienza di movimenti critici verso l’autorità ecclesiastica come il giansenismo e
il cattolicesimo liberale. È stata invece
decisiva per essi la partecipazione alla
vita politica accanto a non credenti durante la lotta antifascista, dove hanno
fatto l’esperienza di collaborare con uomini portatori di un diverso sentire.
Questi cattolici – avverte Jemolo –
operano tra il campo delle Chiese e
quello dello stato la stessa distinzione
che aveva introdotto il liberalismo: pur
rispettando gli insegnamenti della rivelazione, rivendicano una libertà di giudizio nelle scelte politiche e legislative,
temono gli effetti negativi dell’alleanza
tra Cesare e Pietro, condannano ogni
forma di coercizione morale o religiosa,
criticano i comportamenti conformisti,
disprezzano ogni forma di ipocrisia e di
bigottismo diretta a censurare le manifestazioni artistiche. Soprattutto divergono dai «cattolici tradizionali» nel giudizio sulle forme della modernità filosofica, sociale e politica: per essi il Rinascimento, il liberalismo e anche il socialismo umanitario del XIX secolo rappresentano, nonostante le deviazioni
dalla comune radice cristiana, una ricchezza per la civiltà dell’Europa.
5. Nel panorama intellettuale del
cattolicesimo italiano degli anni Cinquanta del Novecento, Jemolo rappresenta una figura anomala e in controcorrente: è il caso di ricordare che lui
stesso si definiva, con ironia, un «malpensante».
Quali le sue radici culturali? Nel
composito mosaico della sua biografia
troviamo gli echi di un ambiente e di
un’educazione peculiari (la madre si era
convertita dall’ebraismo, la famiglia era
imparentata con i Momigliano), la lezione della libertà del pensiero appresa
dal suo maestro Francesco Ruffini, l’atteggiamento di emancipazione intellettuale di Ernesto Buonaiuti, le simpatie
verso le correnti «minoritarie» e «riformatrici» del giansenismo e del cattolicesimo liberale, da lui studiate a lungo.44
A proprio agio
nel mondo laico
Questi influssi permettono di capire
anche le scelte e gli schieramenti di Jemolo nel dibattito pubblico. Si pensi alla lontananza dalla Democrazia cristiana e alla vicinanza al Partito d’azione;45
alla sua ritrosia ad associarsi a organizzazioni confessionali o a scrivere per la
stampa e l’editoria cattolica, cui fa da
contrappunto l’impegno a collaborare a
riviste dichiaratamente laiche, come Il
Ponte di Piero Calamandrei, L’Astrolabio di Ferruccio Parri, La Cultura di
Guido Calogero. Jemolo si sentiva più a
suo agio con le personalità del mondo
laico che non con quelle del mondo
chiesastico.46 La sua fu, insomma, un’opera di incessante stimolazione critica,
rivolta a gettare un ponte tra la cultura
laica e la cultura cattolica, ad aprire un
tavolo per un dialogo tra i diversi orientamenti ideali (si pensi al confronto con
i comunisti nonostante avesse rivolta loro l’accusa di dogmatismo).47
Per Jemolo l’«idea liberale di laicità» trovava il suo tratto distintivo e, diremmo, le sue condizioni di possibilità
da un lato nel «culto del dialogo», dall’altro nella «diffidenza», nel «timore
del dogmatismo e di colui che, credendosi possessore della verità, pretende
d’imporla».48 Nella premessa al volume
Società civile e società religiosa del 1959
questi concetti erano più distesamente
enunciati: «So bene che forse in ogni
tempo, certamente nel nostro, si avverte un grande bisogno di certezze, di
punti accantonati, e sui quali più non si
debba discutere.
La grande forza delle Chiese e dei
partiti sta proprio nell’avere, anche nelle cose terrene, un gran numero di questi assiomi intorno a cui non c’è più nulla da dire. Ma per mio conto, dove c’è
posto per la ragione non si può mai
considerare chiusa l’indagine, chiuso il
dialogo con i dissenzienti, anche con
gl’imprevedibili dissenzienti che a un
tratto sorgessero».
E riprendendo un’osservazione di
Carlo Bo sulla crisi dell’uomo contemporaneo che rifugge dal dubbio e dall’inquietudine, così concludeva: «Non
aspiro a dare ad alcuno certezze, ma
l’unica cosa cui miro è di esortare a ripensare, a rivedere i propri punti di arrivo».49
In questa posizione «dialogica» e
«problematica» si può intravedere l’influsso del pensiero antidogmatico che in
quegli anni veniva proposto in Italia da
due angolazioni diverse, quella di Ugo
Spirito e quella di Guido Calogero, dei
quali Jemolo recensisce brevemente i
contributi confluiti nel volume collettaneo Lacismo e non-laicismo del 1955.50
Tanto Spirito quanto Calogero partono dal presupposto che la mancanza
di dogma è, nella filosofia e nella prassi,
un valore. Mentre Spirito estremizza la
CCII
sua posizione nei termini di un insuperabile «problematicismo», «cioè una
concezione della vita come ricerca, che
non ha scetticamente rinunciato alla verità (...), ma che non s’illude di averla
già in suo possesso»,51 la liberazione da
ogni teoria gnoseologica forte conduce
Calogero all’affermazione, sul piano
morale, del dovere del dialogo come assoluto. Ma per Spirito tale imperativo è
colpito da un’intrinseca insufficienza e,
per non scadere in un rinnovato moralismo, deve fondarsi esclusivamente sul
metodo scientifico. Alla visione positivista di Spirito, Calogero replica che il
dialogo non è un metodo argomentativo bensì una disposizione intellettuale
radicata nell’interiorità morale.52
Si potrebbe dire che Jemolo accolga
le premesse della pars destruens della
posizione di Spirito, rivolta a evidenziare il dilemma filosofico della verità, ma
sviluppi la pars construens della posizione di Calogero.
Con lui Jemolo condivide l’idea che
i rapporti tra le entità dello stato e della
Chiesa non vanno analizzati a partire
dalla diversità della loro essenza, ma
40
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 69 e A.C. JE«Il cattolicesimo nel costume italiano», in
La filosofia contemporanea in Italia. Società e filosofia di oggi in Italia, Arethusa – Società filosofica romana, Asti-Roma 1958, 503.
41
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 95-107. Jemolo
ha sempre guardato con attenzione all’editoria e alle riviste cattoliche francesi (in specie alla Quinzaine e alla Vie intellectuelle), dove avvertiva «una passione religiosa» che mancava nell’opinione pubblica del nostro paese (cf. A.C. JEMOLO, Società civile e
società religiosa, Einaudi, Torino 1959, 466-473,
492-496).
42
Sull’analisi della società italiana come «una
delle meno clericalizzate» nonostante la quasi totalità dei cittadini fosse battezzata nella Chiesa cattolica cf. JEMOLO, Il cattolicesimo nel costume italiano,
499-507. Per un utile raffronto con la situazione
odierna cf. F. GARELLI, G. GUIZZARDI, E. PACE (a
cura di), Un singolare pluralismo. Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani, Il Mulino,
Bologna 2003.
43
Com’è noto il grande storico del diritto canonico e sociologo Gabriel Le Bras aveva classificato differenti tipologie di credenti cattolici: devoti, osservanti, conformisti stagionali, staccati. Cf. G. LE
BRAS, Introduction à l’histoire de la pratique religieuse en France, 2 voll., Paris 1942-1945.
44
Un profilo biografico complessivo di Jemolo è stato tracciato dal suo allievo P. MARGIOTTA
BROGLIO in Dizionario biografico degli Italiani,
vol. 62, Istituto dell’enciclopedia italiana, Roma
2004, 196-200. Per una ricostruzione cronologica
dettagliata si veda G. CASSANDRO, A. LEONI, P.
VECCHI (a cura di), Arturo Carlo Jemolo: vita ed
opere di un italiano illustre. Un professore dell’Università di Roma, Jovene, Napoli 2007. Per i rapporti con Buonaiuti, cf. C. FANTAPPIÈ (a cura di),
Lettere di Ernesto Buonaiuti ad Arturo Carlo JemoMOLO,
CCIII
nella mutevole contingenza storica; che
stato e Chiesa non esistono «come individualità pensanti e agenti», mentre esistono «sempre e soltanto singole personalità», le quali si collocheranno in relazione alle rispettive comunità di appartenenza; che il criterio comune per
la regola di condotta del singolo non
potrà essere che la coscienza morale, la
quale indicherà «volta a volta, quando e
come egli deve agire quale fedele della
comunità ecclesiastica, e quale cittadino della comunità politica»;53 che il laicismo «non è tanto una dottrina o una
religione, quanto una regola di convivenza per tutte le dottrine e per tutte le
religioni» ossia «non è tanto un carattere della dottrina propria, quanto una
regola di comportamento di fronte alle
dottrine altrui».54
Co m p re n d e re
nella differenza
Con Calogero e con Capitini sicuramente lo Jemolo avrebbe anche condiviso il principio per cui il fondamento
della regola della coesistenza delle culture risiede nel «dovere di comprendere
lo (1921-1941), Ministero per i beni culturali e
ambientali, Roma 1997; C. FANTAPPIÈ, «Arturo
Carlo Jemolo e il modernismo», in Il diritto ecclesiastico 110(1999), 83-110.
45
Nelle elezioni politiche del 18 aprile del
1948 Jemolo votò per il Fronte popolare; in quelle
del giugno del 1953, si candidò per Unità popolare.
46
Emblematiche le critiche nei confronti di
don Milani e, in generale, dei «cattolici del dissenso»; cf. C. FANTAPPIÈ, «Arturo Carlo Jemolo tra
riforma religiosa e laicità dello stato», in R. BERTOLINO, L. ZUANAZZI (a cura di), La lezione di un
maestro. Atti del convegno in memoria di A.C. Jemolo, Torino, 8 giugno 2001, Giappichelli, Torino
2005, 90-94; VALBUSA, I pensieri di un mal pensante, 196-199. L’unico interlocutore ecclesiastico
che abbia goduto della simpatia di Jemolo sembra
essere stato il futuro papa Montini. Alla sua figura
dedicherà un ampio saggio introduttivo al volume
Anni e opere di Paolo VI, curato da N. VIAN (Istituto dell’enciclopedia italiana, Roma 1978).
47
Cf. A.C. JEMOLO, «Muoia Sansone con tutti i Filistei», in Il Ponte 5(1949), 807.
48
Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 93. Inutile osservare che la tradizione liberale cui si richiama
Jemolo è tipicamente quella risorgimentale e non
quella neo-liberale di oggi, incline al riconoscimento di «valori» cattolici.
49
JEMOLO, Società civile e società religiosa, 14.
50
In esso appaiono anticipati alcuni temi o filoni oggi attualizzati in forme più radicali. Si pensi alle analogie del «problematicismo» di Spirito
con il «nichilismo» di certi filosofi italiani contemporanei oppure alla polarizzazione «libertà»/«spirito dogmatico» ripresa da diversi autori negli interventi sul rapporto tra Chiesa e politica. Cf. U.
SPIRITO, «Laicismo e non-laicismo», in AA. VV.,
Laicismo e non-laicismo, Edizioni di comunità, Mi-
gli altri nelle loro differenze». Molto
probabilmente non avrebbe però accolto la premessa filosofica secondo cui ciò
obbligherebbe ad andare «sempre al di
là di ciò che noi già possediamo: al di là
della nostra religione, della nostra fede,
della nostra filosofia, della nostra ideologia».55
L’atteggiamento di mitezza intellettuale che traspare dalle pagine di Jemolo è forse la migliore conferma di questa forma mentis dialogica. Come ha osservato Bobbio, Jemolo suole evitare affermazioni di tipo apodittico; nel formulare giudizi su persone e cose tende
a sottolinearne il carattere opinabile;
perfino nella prosa lascia trasparire –
con l’uso frequente del verbo al condizionale – il sentimento della propria fallibilità. «Ha un’immensa cultura storica, giuridica e anche letteraria, ma protesta sempre la propria insufficienza, la
pochezza del proprio sapere, gli errori
di previsione commessi».56 Nei grandi
maestri la lezione di metodo è sempre
associata alla lezione di stile.
Carlo Fantappiè *
lano 1950, in part. 87. Sulla filosofia di Spirito si
rinvia alla raccolta di contributi contenuta in Il
pensiero di Ugo Spirito, 2 voll., Istituto della enciclopedia italiana, Roma 1988, segnatamente al
saggio di A. DEL NOCE, «Il positivismo di Ugo
Spirito e il “soggetto come male”», 21-28.
51
U. SPIRITO, Significato del nostro tempo,
Sansoni, Firenze 1955, 227.
52
Sulla polemica tra Spirito e Calogero si rinvia alle pagine introduttive di E. Buissière premesse alla traduzione francese di alcuni testi del filosofo italiano: G. CALOGERO, Laïcisme et dialogue.
Textes réunis, traduits et présentés par E. Buissière,
Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve
d’Ascq 2007, 7-108, in part. 87-94.
53
G. CALOGERO, «Laicismo, Chiesa e stato»,
1950, in ID., Filosofia del dialogo, 131.
54
G. CALOGERO, Il principio del laicismo,
1959, in ivi, 305.
55
G. CALOGERO, Pluralità delle culture e coesistenza umana, 1959, ivi, 422. Per capire quanto
Jemolo fosse distante da posizioni radicalmente
storiciste alla Calogero o neo-religiose alla Capitini, si veda FANTAPPIÈ, Arturo Carlo Jemolo tra riforma religiosa e laicità dello stato, 82-89.
56
N. BOBBIO, «Anni di prova», in Giornata
lincea nel centenario della nascita, cit., 27.
*
Il testo a firma di Carlo Fantappiè, docente
di Storia delle istituzioni ecclesiastiche all’Università di Urbino, costituisce l’Introduzione al volume
di A.C. JEMOLO, Coscienza laica, (pp. 109) appena
pubblicato dall’editrice Morcelliana di Brescia che
ringraziamo per la concessione. Sottotitoli redazionali.
A p. 759: JUSTUS SUSTERMANS, Ritratto di Galileo Galilei (part.), 1597-1681; Firenze, Galleria degli Uffizi.
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