Coscienza laica
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Coscienza laica
L L ibri del mese Coscienza laica Perché ripubblicare og gi i testi di Jemolo I cattolici non fanno mai male se non nascondono certi loro stati di perplessità o di disagio» (A.C. JEMOLO, «La scomunica dei comunisti», in Il Ponte 5[1949], 1238). La questione della laicità ha, negli ultimi decenni, mutato i suoi confini e i suoi simboli. I problemi inediti che sono emersi in campi apparentemente distanti da quelli tradizionali su cui ordinariamente si svolgeva il dibattito – bastereb- CXCVII be pensare ai dilemmi posti dalla multireligiositàl e dalla bioetica2 – aiutano a capire la differenza sostanziale che passa tra la «vecchia» e la «nuova laicità».3 Da una «laicità» tutta incentrata sulla separazione giurisdizionale tra stato e Chiesa, tutt’al più estesa ai problemi connessi con l’influenza dell’organizzazione ecclesiastica nei campi dell’amministrazione statale, si è ormai passati a discutere, in modo assai più radicale, della separazione di principio del «politi- co» e del «religioso» nella strutturazione dei vari ambiti della società.4 Di pari passo con il mutamento strutturale del livello del discorso, appare a tutti evidente come il significato del termine laicità sia divenuto, nell’uso comune come in quello scientifico, sempre più vario, indefinito, evanescente.5 Tutto ciò impone di domandarci se abbia ancora senso andare a rileggere le pagine scritte da Jemolo cinquant’anni fa che qui si riproducono. Nonostante lo scarto culturale che s’è venuto a creare, abbiamo diverse ragioni per ritenere che esse conservino un intrinseco valore, specialmente nelle discussioni italiane. 1. Un grande maestro di storia e di teoria delle relazioni tra società civile e società religiosa ci offre, in questi saggi, una lezione di metodo: chiunque voglia accostarsi al problema della laicità lo deve fare con una solida consapevolezza storica, sapendo che i suoi confini sono preliminarmente segnati dagli assetti di una determinata società, ordinamento e cultura. Non esiste, infatti, un criterio generale e astratto per definire la «laicità»; chi lo proponesse finirebbe per ricadere in una forma di dogmatismo rovesciato. Né tale problema è risolvibile sul profilo normativo, perché il mondo del diritto è influenzato da fattori politici e sociologici.6 Ogni collettività si trova, pertanto, a dover affrontare o a riconsiderare questa problematica in rapporto ai princìpi del proprio ordinamento giuridico, alle proprie tradizioni religiose e, culturali, e alle specifiche forme dell’organizzazione sociale. Proprio per questo, prima di definire l’«oggetto» della laicità, Jemolo si premura di avvertire che essa è «indissolubilmente legata a una concezione della società civile e dello stato, fondata su IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2008 759 L ibri del mese una certa organizzazione giuridica ed economica, e su certi valori morali».7 760 Solida consapevo lezza storica Il primo elemento determinante è, senza dubbio, il modello di stato cui s’intende fare riferimento: se quello della tradizione nord-americana oppure quello europeo o continentale.8 La nostra sensibilità odierna potrebbe avvertire ideologico (di sapore hegeliano) o semplicemente anacronistico il concetto di stato quale «necessità suprema» di una «società più larga, comprendente tutte quelle società minori (...) e presieduta da un sistema organizzativo».9 Ma è lo stesso Jemolo a osservare che l’idea di «stato laico» non va tenuta per «una rivelazione di verità naturale» bensì per una «costruzione» storica resa possibile dalla sussistenza di certe condizioni intellettuali, morali e politiche, venendo meno le quali essa sarebbe destinata a crollare.10 L’insistenza sul «fondamento comune» su cui deve poggiare lo stato e sul legame ideale che esso deve mantenere con una determinata «civiltà»,11 se da un lato conferma la capacità d’analisi politica di Jemolo, dall’altro ci riporta drammaticamente alla situazione di crisi culturale in cui ci dibattiamo. «Crisi dello stato» e «nuova laicità» sono, dunque, i punti nevralgici che ci separano dall’orizzonte in cui si muove- va Jemolo. Intendendo, col primo, il parziale superamento della forma «stato-nazione» in organismi sovranazionali e l’interazione sempre più stretta con i processi della globalizzazione e, col secondo, l’allargamento, il mutamento di problematiche che hanno investito il campo dei rapporti tra la religione e la politica ben al di là dell’ottica delle relazioni tra stati e Chiese. D’altra parte gli scritti qui ristampati rappresentano una singolare testimonianza dell’impegno di un giurista e di un intellettuale sui generis – Jemolo ha sempre rinunciato a ogni etichettatura ideologica12 – a favore di una piena libertà religiosa. Si pensi alla lotta contro le sottili discriminazioni attuate contro i protestanti durante e dopo il regime fascista dalle varie branche dello stato, di cui si trova più d’una eco in queste pagine, nei suoi manuali e articoli giuridici.13 Oppure al contributo dato all’attività dell’«Associazione per la libertà religiosa in Italia», sorta per iniziativa di Gaetano Salvemini e costituita ufficialmente a Milano nel settembre del 1954.14 Al tempo stesso Jemolo non ha mai smesso di lottare per il superamento degli steccati ideologici tra «cattolici» e «laici», tra «coscienza cattolica» e «coscienza laica». Ma con l’avvertenza, acutissima, che si trattava di un vero e proprio «ponte dell’asino» che non era (come lo è meno ancora oggi), «facil- mente superabile, e sarebbe proprio un’illusione – egli aggiungeva – credere di aver effettuato il superamento per aver trovato una formula».15 Alla base di questa cruciale difficoltà, Jemolo poneva il contrasto tra le «tavole dei valori» della società religiosa e della società civile e l’impossibilità non solo di demarcarne i rispettivi confini una volta per tutte,16 ma soprattutto di comporne armonicamente i (necessariamente) differenti punti di vista tanto nei singoli soggetti appartenenti all’una o all’altra (come «credenti» e/o come «cittadini») quanto nelle relazioni tra di esse. Il cattolico Jemolo è pienamente consapevole del postulato psicologico e pragmatico che guida la gerarchia ecclesiastica e orienta la maggioranza dei credenti: «L’ideale sarà sempre un mondo ove l’incredulità non abbia posto, ove si insegni una sola verità senza alcun rischio di rimetterla continuamente in discussione; la vera e sola libertà è, per il credente, quella di coltivare la verità, di camminare verso il bene. La libertà del tentatore non merita protezione alcuna».17 Si capisce allora come, con notevole intuizione e anticipazione sui tempi, nell’intervento sul Mondo del 24 gennaio del 1956, Jemolo abbia individuato il segno distintivo della laicità credente: «La vera coscienza laica del credente si ha solo allorché egli accetta lo stato di fatto della diversità di concezioni che si 1 Sul passaggio dal pluralismo confessionale alla società multireligiosa e sul suo impatto sul terreno normativo, è praticamente impossibile offrire un’adeguata bibliografia. Segnalo, come punti di partenza, S. FERRARI-I.C. IBÁN, Diritto e religione in Europa occidentale, Il Mulino, Bologna 1997; S. FERRARI-W.C. DURHAM JR.-E.A. SEWELL, Diritto e religione nell’Europa post-comunista, Il Mulino, Bologna 2004. Aveva anticipato queste tematiche F. MARGIOTTA BROGLIO, «Droits et sociétés religieuses», in L.E. KOTSIRIS (a cura di), Law at the Turn of che 20th Century, Sakkoulas-Nomos, Thessaloniki-Baden-Baden 1994, 101-110. 2 Se ne può trovare un consuntivo in G. FOMERO, Laicità debole e laicità forte. Il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità, Bruno Mondadori, Milano 2008. 3 Un accenno in G.E. RUSCONI, Non abusare di Dio, Rizzoli, Milano 2007, 13. 4 Cf. M. GAUCHET, La religion dans la démocratie. Parcours de la laïcité, Gallimard, Paris 1998. Per una recente messa a punto storiografica, cf. F. DE GIORGI, Laicità europea, Morcelliana, Brescia 2007. 5 Per un primo orientamento intorno all’aspetto definitorio e tipologico: M. BARBIER, La laïcité, L’Harmattan, Paris 1995, 69-89; J. BAUBEROT, Laïcté 1905-2005 entre passion et raison, Seuil, Paris 2004; L. PAOLETTI (a cura di), L’identità in conflitto dell’Europa. Cristianesimo, laicità, laicismo, Il Mulino, Bologna 2005 (la I parte è dedicata ai modelli di laicità tra Europa e Stati Uniti). 6 Nell’affrontare i temi della vita e della libertà religiosa, Jemolo è uno dei primi giuristi a tenere conto, dal punto di vista del metodo, non solo della distanza tra la credenza e la pratica, tra la vita di pietà e il costume, ma anche dello scarto tra la prescrizione giuridica e l’applicazione concreta. Più in generale egli è ben consapevole che «il diritto non esaurisce la vita sociale, ma ne coglie e ne sanziona le regole fondamentali»; ragion per cui, l’esito del contrasto per il predominio della società civile o di quella religiosa può dipendere da elementi sociologici. Cf. il 1o capitolo di A.C. JEMOLO, Premesse ai rapporti tra Chiesa e stato, Giuffrè, Milano 1965. 7 Cf. A.C. JEMOLO, Coscienza laica, Morcelliana, Brescia 2008, 59. 8 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 39-41. Il maestro di Jemolo, Francesco Ruffini, aveva trattato della «diversità profonda che intercorre fra il diritto nordamericano e il diritto continentale europeo» in La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo (1924), ristampa con Introduzione di S. Ferrari, Il Mulino, Bologna 1992, 334-346. Sulla disparità di modelli cf. C. CARDIA, Le sfide della laicità: etica, multiculturalismo, islam, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007, 22-42; A. FERRARI, «Laicità e religione civile tra stato e società: “modello americano” e “modello europeo” a confronto», in G. PAGANINI, E. TORTAROLO (a cura di), Pluralismo e religione civile. Una prospettiva storica e filosofica. Atti del Convegno di Vercelli (Università del Piemonte orientale) 24-25 giugno 2001, 253-274. 9 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 85. Proprio in riferimento a un articolo di Jemolo («La parte di Cesare», in La Stampa, 24.4.1957), Guido Calogero notava che «la formula dello “stato etico” ha, come tutti sanno, una eco inopportuna, perché se lo “stato” simboleggiante i nostri doveri civici dovesse mai tornare a essere quello che Hegel e Gentile chiamarono a quel modo e che in realtà era soltanto lo stato autoritario, allora sarebbe proprio la volta in cui potremmo benissimo sentire il dovere di schierarci, invece, dalla parte di Pietro contro Cesare» (G. CALOGERO, «Religione e laicismo», ora in ID., Filosofia del dialogo, Edizioni di Comunità, Milano 1962, 281). 10 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 88-90. 11 «Uno stato non può vivere – egli scrive – senza certe regole morali, certe convinzioni universalmente accettate» (cf. JEMOLO, Coscienza laica, 89). 12 Solitamente egli viene fatto passare per un IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2008 CXCVIII riscontrano in un dato momento, e che ritiene lo stato debba ispirare le sue leggi e le sue opere a quelle visuali di bene che sono comuni a tutte le concezioni (...); e che lo stato debba pertanto ammettere nella sua legislazione, quello che per lui credente è peccato, e la propaganda di ciò che per lui è tale: lasciando alla libera gara, tra uomini religiosi e uomini non tali, il compito di fugare il peccato, di fare sì che il peccato, pur consentito dalla norma di legge, non abbia mai a venire commesso».18 l’interesse di un bene superiore e più vasto (...). In circostanze determinate (...) anche in casi in cui si potrebbe procedere alla repressione, la Chiesa – già per riguardo a coloro che in buona coscienza (sebbene erronea, ma invincibile) sono di diversa opinione – si è vista indotta ad agire e ha agito secondo quella tolleranza (…). Così fa oggi e anche nel futuro si troverà di fronte alla stessa necessità».22 Laicità della Chiesa, laicità dello stato 2. Se collocate nel contesto storico in cui furono scritte, queste parole danno la misura del forte distacco dalle concezioni cattoliche ufficiali. Jemolo non prende in considerazione né l’antica dottrina dello «stato cattolico», né la moderna teoria bellarminiana della «potestas indirecta in temporalibus», né la distinzione tra «tesi» e «ipotesi», introdotta da Leone XIII per rendere più dinamiche le relazioni della Chiesa con le società e gli stati. Queste formule, se permettevano di trovare dei modus vivendi, non scalfivano minimamente il principio secondo cui la sola laicità che la Chiesa romana poteva ammettere era quella di riconoscere allo stato l’amministrazione delle cose temporali, ma in via condizionata sia alla delimitazione da parte della Chiesa della sfera del temporale, sia all’esercizio di un potere indiretto su di esso.19 Alla nozione di laicità della Chiesa, Jemolo oppone la nozione di laicità dello stato fondata sui princìpi della fede nella libertà, nella ragione e nell’uguaglianza umana: un complesso di postulati che «non ammette – egli nota – che qualcuno, in virtù del proprio valore o di un’investitura divina, guidi gli altri uomini come un pastore il proprio gregge».20 Ci si può domandare, tuttavia, se non esista un qualche rapporto tra la posizione di Jemolo e la nozione di tolleranza canonica riproposta alcuni anni prima da Pio XII.21 Nel testo magisteriale più noto in materia – l’Allocuzione ai giuristi cattolici italiani del 6 dicembre 1953 – papa Pacelli affermava, tra l’altro: «Il dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può quindi essere una ultima norma di azione. Esso deve essere subordinato a più alte e più generali norme, le quali in alcune circostanze permettono, e anzi fanno forse apparire come il partito migliore il non impedire l’errore, per promuovere un bene maggiore (…). Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né alla propaganda, né all’azione. Secondo: il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nel- pensatore «cattolico-liberale». Ma egli rifiutava il trattino che univa i due termini, preferendo la definizione separata di «cattolico» e di «liberale». Cf. F. MARGIOTTA BROGLIO, «Presentazione», in A.C. JEMOLO, Scritti vari di storia religiosa e civile, Giuffrè, Milano 1965, XLI-XLVII. 13 Cf. JEMOLO, «Libertà religiosa», in Il Mondo 4(1952), 4.10.1952, 4; ID., «Per la libertà religiosa in Italia», in Nuovi Argomenti 2(1953), maggio-giugno, 1-15; ID., Lezioni di diritto ecclesiastico, Giuffrè, Milano 1975, 165-169. 14 Il programma dell’ALRI, dopo aver esordito affermando che la libertà religiosa «dovrebbe essere limitata in Italia solo dalle leggi che difendono il buon costume», denunciava gli abusi compiuti dalle forze dell’ordine e dai pubblici ministeri nel continuare a richiedere (secondo il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 18.6.1931) una preventiva autorizzazione della polizia per «le riunioni anche private a scopo di culto» indette dagli evangelici, per lo più pentecostali, seguaci della Chiesa di Cristo, Testimoni di Geova e altri. Fra i primi aderenti troviamo, oltre Jemolo, Piero Calamandrei, Aldo Capitini, Emesto e Tristano Codignola, Emilio Lussu, Raffaele Pettazzoni, Armando Sapori, Leo Valiani. 15 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 41. 16 «Anche in tempi normali, quando cioè si è al di fuori della temperie della guerra religiosa, è sempre in atto un contrasto tra lo stato e la Chiesa, nei paesi cattolici, per spostare in un senso o nell’altro la linea della propria competenza». E aggiungeva che, in materia, la Chiesa mantiene una «posizione di superiorità» rispetto allo stato perché «non suole mai fare affermazioni di rinuncia a dati ambiti, come sogliono farne gli stati, non suole mai dare come merce di negoziato mutamenti del proprio diritto, come suole invece accordare lo stato» (A.C. JEMOLO, La crisi dello stato moderno, Laterza, Bari 1954; nuova edizione: Laterza, Roma-Bari 1991, 163). 17 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 85. 18 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 42-43. Sull’orientamento della rivista settimanale diretta da Mario Pannunzio e sul dibattito intorno alle relazioni tra stato e Chiesa, cf. A. CARDINI, Tempi di ferro. Il «Mondo» e l’Italia del dopoguerra, Il Mulino, Bologna 1992. 19 Si veda la messa a punto di I.-B. TROTABAS, La notion de laïcité dans le droit de l’Eglise catholique et l’Etat républicain, LGDI, Paris 1961 (criticata come un tentativo di minimizzare l’opposizione irriducibile tra i due concetti da P. Coulombel nella recensione apparsa in L’Année sociologique troisième série [1960], 449-458 ora riedita in Archives de philosophie du droit 48[2004], 265-272). 20 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 87. 21 Cf. A. VERMEERSCH, La tolérance, Uystpryst – Dieudonne, Louvain – Paris 1912; A. MICHEL, «Tolérance», in Dictionnaire de théologie catholique, XV/1, Letouzey et Ané, Paris 1946, coll. 1208-1220; P.A. D’AVACK, Il problema storicogiuridico della libertà religiosa, Bulzoni, Roma 1967; G. OLIVERO, Dissimulatio e Tolerantia nell’ordinamento canonico (1953), ora in ID., Studia canonica, Giuffrè, Milano 1987, 152-196. 22 Acta apostolicae sedis 45(1953), 794-802; Discorsi e radiomessaggi di sua santità Pio XII, vol. 15, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1954, 481-492, cit. 488-491. Cf. R. ROUQUETTE, «Pie XII et la tolérance», in Etudes 1(1954), 241-248. Secondo il gesuita tedesco Albert Hartmann, Pio XII non avrebbe più fatto menzione dello stato cattolico come «tesi», ma avrebbe applicato quest’ultima al principio della separazione totale della Chiesa e dello stato e concesso in «ipotesi» che essa potesse presentarsi come soluzione pratica in determinate congiunture in vista del bene comune rappresentato dall’unità sempre più stretta dei popoli (Toleranz und Christlicher Glaube, Knecht, Frankfurt 1955, trad. fr. Vrai et fausse tolérance, Edition du Cerf, Paris 1958, 244-248). 23 A. OTTAVIANI, Institutiones iuris publici ecclesiastici, II, Typis Polyglottis Vaticanis, 1960, 63-77. CXCIX P l u ral i s m o : l’urgenza di una rif le ssione Jemolo certamente riecheggia il significato che il tolerari potest aveva nell’ordinamento della Chiesa, ma attribuisce al relativo concetto una portata sostanzialmente diversa. Sia dal punto di vista delle relazioni tra la Chiesa e lo stato, sia dal punto di vista delle relazioni del credente con la legge civile. Egli, da un lato, rifiuta il presupposto base di uno stato confessionale, cui la dottrina del ius publicum ecclesiasticum restava ancorata,23 dall’altro ribalta i termini del problema politico. Nelle coscienze dei fedeli che partecipano alla vita dello stato non si tratta più di tollerare un male minore per evitare un male peggiore, fermo restando il giudizio veritativo pronunciato dall’autorità ecclesiastica; si tratta, invece, di accogliere fino in fondo il presupposto politico dell’idea liberale di stato ovvero IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2008 761 L ibri del mese Carlo Bo, Arturo Carlo Jemolo, Norberto Bobbio. di un organismo che, per definizione, permette e garantisce la coesistenza e la competizione tra le diverse concezioni del mondo. Dall’opposizione di principio, che nasce nel cristiano dalla doverosa resistenza al male, si dovrebbe passare alla sfida dialettica tra uomini religiosi e non dalla staticità metafisica del contrasto tra bene e male si dovrebbe scendere all’impegno storico dei credenti perché il peccato non avvenga. Ma il pensiero di Jemolo si differenziava anche dagli atteggiamenti teologici allora più avanzati. Pensiamo a padre Congar che, nel 1952, si proponeva di studiare «le condizioni o i princìpi di una cooperazione tra gli uomini di differenti credenze o anche, al di là di ogni fede religiosa positiva, tra uomini che non professano le stesse dottrine sulle realtà e i fini ultimi».24 In questa prospettiva la Chiesa come organismo dogmatico non poteva rinunciare al «totalitarismo della fede, all’intransigenza e all’intolleranza della verità», anche se le espressioni del suo magistero apostolico dovevano nondimeno avvenire «con mezzi spirituali e attraverso le coscienze».25 Non a caso il problema del «pluralismo» era considerato da Congar uno dei compiti più urgenti della teologia cattolica in stretto riferimento all’opera Humanisme intégral di Maritain. Com’è noto, la possibilità di affermare una «struttura pluralistica della città» contrassegnata da un’«unità minimale» che «non richie- 762 IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2008 de da sé l’unità di fede e di religione, e che può essere cristiana pur raggruppando nel suo seno dei non-cristiani»,26 era legata – per riprendere non solo le parole del filosofo, ma anche di una nuova corrente di idee da lui suscitata – all’«ideale storico di una nuova cristianità» sostanzialmente distinta da quella medievale.27 Tali aperture erano però recisamente condannate da autorevoli «scrittori» del La Civiltà cattolica, impegnati a ribadire l’obbligo dello stato a modellare la sua condotta alle prescrizioni superiori della rivelazione. Scriveva padre Messineo nel 1955: «Secondo la rivelazione, l’economia nella quale oggi vive l’uomo e conseguentemente lo stato, è un’economia soprannaurale e (...), pertanto, in senso cattolico la politica non può essere concepita come attività fondata su principi puramente umani, secondo la tesi del cosiddetto umanesimo integrale».28 Il confronto con le elaborazioni dottrinali coeve mostra che il cattolico Jemolo muove da altre premesse teoriche. Non solo rifiuta il ricorso alla teoria leoniana che, con Laberthonnière, avrebbe probabilmente giudicato «un opportunismo dell’ipotesi, che non rinuncia mai a porsi al servizio dell’assolutismo della tesi».29 Più radicalmente respinge la teoria della coordinazione tra stato e Chiesa, che costituiva comunque il quadro ontologico di riferimento di un Congar o di un Maritain. Invece Jemolo presuppone, da parte del credente, non solo il riconoscimento del principio della separazione tra «società civile» e «società religiosa»30 – un postulato che la Gaudium et spes adombrerà alcuni anni dopo solo nei termini sfumati della semplice distinzione31 – e il conseguente rifiuto dell’impegno politico dei cattolici in quanto tali, ma anche la ricerca di un criterio superiore e generale di giudizio, ossia di princìpi ispiratori dello stato condivisi da tutti i cittadini. Sfumature contro separazione Al riguardo Jemolo si premura di avvertire che il postulato della separazione tra le due società potrebbe illanguidire qualora il credente ritenga che «la società civile debba essere retta secondo dati princìpi, chiamati magari di diritto naturale, che però coincidano con quelli di una confessione o di un gruppo di confessioni, ma non siano affatto universalmente accolti».32 Per Jemolo, «coscienza laica» ha, dunque, una valenza più forte e una portata più larga di «laicità»: mentre quest’ultima finisce per appiattire il suo atteggiamento esclusivamente sulle questioni giuridico-politiche, il primo termine meglio si attaglia al suo pensiero perché evidenzia che il rapporto tra legge e peccato diventa per il credente un contrappunto di fondamentale importanza CC (soggettiva e oggettiva) e mette a nudo il profilo decisivo di ogni discussione anche odierna tra cattolici e laici.33 3. L’intervento sulla «coscienza laica» si collega idealmente all’altro saggio sul problema della laicità in Italia apparso in un’opera collettiva francese.34 Questo disegno delle alterne vicende della laicità in Italia dalla fine del Settecento al 1960 è prezioso perché, oltre a fornire una sintesi storica finora insuperata,35 contiene considerazioni rilevanti per chiarire la peculiare impostazione storiografica e religiosa del suo autore. Al pari di quanto aveva fatto nella sua grande opera Chiesa e stato in Italia negli ultimi cento anni, del 1948,36 Jemolo preferisce disegnare quadri d’epoca, rievocare esperienze individuali, descrivere gli orientamenti dei gruppi dirigenti e lo spirito pubblico piuttosto che risalire alle cause dei fenomeni o offrire una visione organica di un periodo. La sua ricostruzione potrebbe sembrare impressionistica per i frequenti richiami al «vissuto» biografico e storico; ma l’attenzione rigorosa rivolta ai fatti e la vo- lontà di far trasparire il giudizio morale sugli uomini mostrano quanto egli fosse tributario del modello classico della storiografia.37 Andando alla ricerca delle origini del confessionalismo italiano, Jemolo non impiega il risalente schema ideologico (ritornato in auge anche in tempi recenti) della «mancata riforma religiosa»; da storico vero si sofferma sulle influenze dottrinali e sui momenti fondanti del laicismo, dando particolare risalto alla diffusione dell’Illuminismo francese e della massoneria nei vari stati preunitari, del liberalismo e del libero pensiero nell’Italia del secondo Ottocento. È comunque alla stagione risorgimentale, e in specie alla personalità di Cavour e agli uomini della destra storica, che egli annette il più alto contributo all’idea laica nel nostro paese. Rifiutando una concezione sia positivistica sia idealistica della storia, Jemolo tende a sottolineare il percorso non lineare compiuto dalla laicità in Italia, la diversità delle sue componenti otto-novecentesche, l’insufficienza degli assetti giuridici che dovrebbero garantirla, i forti condizionamenti socio-politici che l’hanno indebolita, i movimenti di spinta e di contro-spinta cui essa è andata soggetta. Per spiegare questi ultimi egli evidenzia gli intrecci che si sono venuti creando tra differenti filoni ideologici, come il conservatorismo, il vecchio liberalismo, il nazionalismo. I Patti del Laterano tracciano una svolta nel processo di confessionalizzazione dello stato e della società italiana che, per Jemolo, si prolunga, senza soluzione di continuità, fino al momento in cui scrive. Su questo giudizio pesano certo la delusione per il momento costituente della Repubblica38 e l’avversione per i governi democristiani: due fasi storiche di fronte a cui Jemolo non ha mai mancato di esprimere le più ampie riserve.39 Nella visione di Jemolo crisi della laicità e confessionalismo si connettono con la critica del «conformismo», considerato l’insidia maggiore portata alla religiosità autentica. Nell’offrire una rappresentazione viva dell’Italia cattolica – vista come il punto culminante del pro- 24 Y.M.-J. CONGAR, «Les conditions théologiques d’un pluralisme», in Tolérance et communauté humaine. Chrétiens dans un monde divisé, Casterman, Toumai – Paris 1952, 191-223 (qui 191). I teologi che collaborano a questo volume, provenienti dall’Università di Lovanio e dai Collegi di La Sarte e di Le Saulchoir, partono dalla premessa che, nella comunità civile, «il cristiano si trova ad affiancare il non-cristiano; l’uno e l’altro, ugualmente cittadini, si preoccupano d’un bene temporale e secolare che è a loro comune» (ivi, 9). 25 CONGAR, «Les conditions théologiques», 221. 26 Trad. it. Umanesimo integrale, Studium, Roma 1946, 138. 27 Per un quadro sulle dottrine della «nuova cristianità», cf. G. MICCOLI, Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Marietti, Casale Monferrato 1985, 410-421; 474-498; D. MENOZZI, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Einaudi, Torino 1993, 154-175. 28 A. MESSINEO, «Tolleranza», in Enciclopedia Cattolica, Sansoni, Firenze 1954, vol. 12, col. 207. Questa tesi sarà ripresa e ampiamente svolta sei anni dopo nel noto documento della CEI, presidente il card. Siri: Il laicismo. Lettera dell’episcopato italiano al clero, Roma, 25.3.1960, ora in Enchiridion della Conferenza dpiscopale italiana, I. 1954-1972, EDB, Bologna 1985, 76-95. In merito si rinvia a D. MENOZZI, «Tra laicità e laicismo: un dibattito nella cultura cattolica italiana del secondo dopoguerra», in corso di pubblicazione negli Scritti in onore di Francesco Traniello. 29 L. LABERTHONNIÈRE, La notion chrétienne de l’autorité, Vrin, Paris 1955, 134. 30 Coronario di tale principio è la posizione anticoncordataria di Jemolo mantenuta fino al 1974, allorché accetterà di partecipare al processo di revisione bilaterale dei rapporti tra lo stato italiano e la Chiesa cattolica sia per «sbloccare il complesso dei diritti di libertà garantiti dalla Co- stituzione, che pur non amava», sia per adeguare il diritto ecclesiastico alle trasformazioni culturali e istituzionali (cf. F. MARGIOTTA BROGLIO, «Arturo Carlo Jemolo tra diritto e cultura», in Giornata Lincea nel centenario della nascita di Arturo Carlo Jemolo [Roma, 18 dicembre 1991], Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1993, cit., 77). 31 Cf. CONCILIO VATICANO II, cost. past. De Ecclesia, nn. 36 e 76. Nel modo di concepire i rapporti col costituzionalismo moderno, assume una peculiare rilevanza la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, che fonda la libertà religiosa non più sui diritti esclusi della verità della Chiesa cattolica, bensì sui diritti della persona nell’ordinamento giuridico (determinante al riguardo il pensiero del gesuita americano John Courtney Murray); cf. N. MATTEUCCI, «Dignità dell’uomo e libertà religiosa», in Nuova Antologia, aprile-giugno 1982, 95-105; P. SCOPPOLA, «La libertà religiosa», in Le deuxième concile du Vatican 19591965, Ecole Française de Rome, Roma 1989, 549575, E.-W BOCKENFORDE, Cristianesimo, libertà, democrazia, a cura di M. Nicoletti, Morcelliana, Brescia 2007, 29-80 (ma tutta la I parte del volume è di rilevante attualità). Sulle discussioni conciliari cf. S. SCATENA, La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2003. 32 Su questo punto Jemolo si era espresso già nel volume La crisi dello stato moderno, cit., 150s. 33 In quest’ottica riveste particolare interesse l’indagine di P. PRODI, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fòri al moderno dualismo tra coscienza e diritto, II Mulino, Bologna 2000. 34 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 45-93. Come scriveva nella Premessa il direttore del Centre de Sciences Politiques de Nice, Louis Trotabas, questo volume si proponeva, con l’aiuto di ventidue studiosi di fama internazionale, di comparare le relazioni dello stato e delle Chiese in Francia, in Europa, negli Stati Uniti, nel Vicino e nell’Estremo Oriente, e di studiare il tema della laicità quale fattore essenziale delle scienze politiche e della teoria dello stato (L. TROTABAS, «La laïcité. Son application dans le cadre de la Communauté», in CENTRE DE SCIENCES POLITIQUES DE L’INSTITUT D’ETUDE JURIDIQUES DE NICE, La laïcité, Presses Universitaires de France, Paris 1960, 1). 35 Le indagini organiche compiute sul laicismo da Guido Verucci si fermano alla fine dell’Ottocento; i contributi di altri studiosi contemporaneisti (Francesco Traniello, Carlo Ghisalberti, Aldo A. Mola, Fulvio Conti, Edoardo Tortarolo ecc.) sono di natura settoriale o perché toccano un determinato profilo del problema (il libero pensiero, la massoneria, l’anticlericalismo ecc.) o perché cronologicamente assai delimitati; infine l’apporto degli studiosi di diritto ecclesiastico e canonico si è orientato in prevalenza a inquadrare tali vicende entro le tipologie delle relazioni tra stato e Chiese. 36 Edito a Torino presso l’editore Einaudi, il volume, tradotto in lingua francese e inglese, ha ricevuto cinque ristampe e una nuova edizione, con Prefazione di Giovanni Miccoli, nel 1990. 37 G. MICCOLI, «Jemolo, storico delle relazioni stato-Chiesa tra Ottocento e Novecento», in Giornata lincea nel centenario della nascita, cit., 38. 38 Cf. JEMOLO, Che cos’è la Costituzione. Nuova edizione con uno scritto su La Costituzione. Difetti, modifiche, integrazioni, Introduzione di G. Zagrebelsky, Postfazione di A. Cavaglion, Donzelli editore, Roma 1996 e 2008. 39 Nel volume autobiografico Anni di prova, Jemolo intitolerà «Le delusioni» il capitolo sull’Italia repubblicana (Neri Pozza, Vicenza 1969; Passigli, Firenze 21991, 197-212). Si veda ora la ricostruzione di P. VALBUSA, I pensieri di un mal pensante. Arturo Carlo Jemolo e trentacinque anni di storia repubblicana, Marsilio, Venezia 2008, 59ss e 10ss. CCI IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2008 763 L ibri del mese cesso a ritroso che sul terreno culturale, istituzionale e di costume era partito dalla Rivoluzione francese –, Jemolo concede largo spazio interpretativo al fattore politico e al fattore psicologico. Pre ssione conformista Lo stato fascista e poi democristiano, al pari della Chiesa di Pio XI e di Pio XII, si sono impegnati con successo per conquistare il consenso nelle masse; il resto lo hanno fatto la «pressione conformista», stimolata anche dai mezzi di comunicazione sociale, e la «ragguardevole pigrizia morale» dell’italiano, nel cui carattere si ravvisa «quella carenza di odium theologicum, e di attaccamento a dibattiti teologici» che lo hanno fatto «il tipo più tollerante e più resistente alle tentazioni dell’eresia che si abbia nel cattolicesimo».40 4. La polemica contro la religione di parata, fatta di riti puramente esteriori e di una blanda adesione ai dogmi, così come la reiterata denuncia della confusione della fede con la «religione dei padri» tendente a fame un uso politico e a rendere equivalenti, presso larghi strati della popolazione, l’ortodossia ecclesiastica col costume, la morale cristiana con la morale comune, si ritrovano nell’articolo pubblicato nel 1955 sulla rivista Esprit di Mounier e dedicato all’altro volto dell’Italia religiosa, quello dei «cattolici non conformisti».41 Conoscitore degli studi di Le Bras sulla storia e sulla pratica religiosa, Jemolo diffida del giudizio comune che identifica la nostra penisola con il «paese cattolico» per eccellenza.42 Tale formula ambigua nasconde, infatti, un panorama di credenze e di pratiche molto diversificato, che va dagli stretti osservanti a coloro che non hanno alcuna preoccupazione religiosa.43 Il suo interesse è rivolto verso quella frangia di cattolici che, senza assumere un atteggiamento di aperta ribellione alla gerarchia, si sente attraversata da una profonda inquietudine religiosa e non sempre è disposta a conformarsi alle sue direttive in campi non strettamente vincolati dalle verità divine. Non ci vuole molto per capire che queste pagine sono, in gran parte, una sorta di autoriflessione o di autoanalisi condotta dal loro autore. A differenza della situazione francese, la maturazione di questi cattolici non viene da lontano e non è passata, se non marginalmente, attraverso l’espe- 764 IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2008 rienza di movimenti critici verso l’autorità ecclesiastica come il giansenismo e il cattolicesimo liberale. È stata invece decisiva per essi la partecipazione alla vita politica accanto a non credenti durante la lotta antifascista, dove hanno fatto l’esperienza di collaborare con uomini portatori di un diverso sentire. Questi cattolici – avverte Jemolo – operano tra il campo delle Chiese e quello dello stato la stessa distinzione che aveva introdotto il liberalismo: pur rispettando gli insegnamenti della rivelazione, rivendicano una libertà di giudizio nelle scelte politiche e legislative, temono gli effetti negativi dell’alleanza tra Cesare e Pietro, condannano ogni forma di coercizione morale o religiosa, criticano i comportamenti conformisti, disprezzano ogni forma di ipocrisia e di bigottismo diretta a censurare le manifestazioni artistiche. Soprattutto divergono dai «cattolici tradizionali» nel giudizio sulle forme della modernità filosofica, sociale e politica: per essi il Rinascimento, il liberalismo e anche il socialismo umanitario del XIX secolo rappresentano, nonostante le deviazioni dalla comune radice cristiana, una ricchezza per la civiltà dell’Europa. 5. Nel panorama intellettuale del cattolicesimo italiano degli anni Cinquanta del Novecento, Jemolo rappresenta una figura anomala e in controcorrente: è il caso di ricordare che lui stesso si definiva, con ironia, un «malpensante». Quali le sue radici culturali? Nel composito mosaico della sua biografia troviamo gli echi di un ambiente e di un’educazione peculiari (la madre si era convertita dall’ebraismo, la famiglia era imparentata con i Momigliano), la lezione della libertà del pensiero appresa dal suo maestro Francesco Ruffini, l’atteggiamento di emancipazione intellettuale di Ernesto Buonaiuti, le simpatie verso le correnti «minoritarie» e «riformatrici» del giansenismo e del cattolicesimo liberale, da lui studiate a lungo.44 A proprio agio nel mondo laico Questi influssi permettono di capire anche le scelte e gli schieramenti di Jemolo nel dibattito pubblico. Si pensi alla lontananza dalla Democrazia cristiana e alla vicinanza al Partito d’azione;45 alla sua ritrosia ad associarsi a organizzazioni confessionali o a scrivere per la stampa e l’editoria cattolica, cui fa da contrappunto l’impegno a collaborare a riviste dichiaratamente laiche, come Il Ponte di Piero Calamandrei, L’Astrolabio di Ferruccio Parri, La Cultura di Guido Calogero. Jemolo si sentiva più a suo agio con le personalità del mondo laico che non con quelle del mondo chiesastico.46 La sua fu, insomma, un’opera di incessante stimolazione critica, rivolta a gettare un ponte tra la cultura laica e la cultura cattolica, ad aprire un tavolo per un dialogo tra i diversi orientamenti ideali (si pensi al confronto con i comunisti nonostante avesse rivolta loro l’accusa di dogmatismo).47 Per Jemolo l’«idea liberale di laicità» trovava il suo tratto distintivo e, diremmo, le sue condizioni di possibilità da un lato nel «culto del dialogo», dall’altro nella «diffidenza», nel «timore del dogmatismo e di colui che, credendosi possessore della verità, pretende d’imporla».48 Nella premessa al volume Società civile e società religiosa del 1959 questi concetti erano più distesamente enunciati: «So bene che forse in ogni tempo, certamente nel nostro, si avverte un grande bisogno di certezze, di punti accantonati, e sui quali più non si debba discutere. La grande forza delle Chiese e dei partiti sta proprio nell’avere, anche nelle cose terrene, un gran numero di questi assiomi intorno a cui non c’è più nulla da dire. Ma per mio conto, dove c’è posto per la ragione non si può mai considerare chiusa l’indagine, chiuso il dialogo con i dissenzienti, anche con gl’imprevedibili dissenzienti che a un tratto sorgessero». E riprendendo un’osservazione di Carlo Bo sulla crisi dell’uomo contemporaneo che rifugge dal dubbio e dall’inquietudine, così concludeva: «Non aspiro a dare ad alcuno certezze, ma l’unica cosa cui miro è di esortare a ripensare, a rivedere i propri punti di arrivo».49 In questa posizione «dialogica» e «problematica» si può intravedere l’influsso del pensiero antidogmatico che in quegli anni veniva proposto in Italia da due angolazioni diverse, quella di Ugo Spirito e quella di Guido Calogero, dei quali Jemolo recensisce brevemente i contributi confluiti nel volume collettaneo Lacismo e non-laicismo del 1955.50 Tanto Spirito quanto Calogero partono dal presupposto che la mancanza di dogma è, nella filosofia e nella prassi, un valore. Mentre Spirito estremizza la CCII sua posizione nei termini di un insuperabile «problematicismo», «cioè una concezione della vita come ricerca, che non ha scetticamente rinunciato alla verità (...), ma che non s’illude di averla già in suo possesso»,51 la liberazione da ogni teoria gnoseologica forte conduce Calogero all’affermazione, sul piano morale, del dovere del dialogo come assoluto. Ma per Spirito tale imperativo è colpito da un’intrinseca insufficienza e, per non scadere in un rinnovato moralismo, deve fondarsi esclusivamente sul metodo scientifico. Alla visione positivista di Spirito, Calogero replica che il dialogo non è un metodo argomentativo bensì una disposizione intellettuale radicata nell’interiorità morale.52 Si potrebbe dire che Jemolo accolga le premesse della pars destruens della posizione di Spirito, rivolta a evidenziare il dilemma filosofico della verità, ma sviluppi la pars construens della posizione di Calogero. Con lui Jemolo condivide l’idea che i rapporti tra le entità dello stato e della Chiesa non vanno analizzati a partire dalla diversità della loro essenza, ma 40 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 69 e A.C. JE«Il cattolicesimo nel costume italiano», in La filosofia contemporanea in Italia. Società e filosofia di oggi in Italia, Arethusa – Società filosofica romana, Asti-Roma 1958, 503. 41 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 95-107. Jemolo ha sempre guardato con attenzione all’editoria e alle riviste cattoliche francesi (in specie alla Quinzaine e alla Vie intellectuelle), dove avvertiva «una passione religiosa» che mancava nell’opinione pubblica del nostro paese (cf. A.C. JEMOLO, Società civile e società religiosa, Einaudi, Torino 1959, 466-473, 492-496). 42 Sull’analisi della società italiana come «una delle meno clericalizzate» nonostante la quasi totalità dei cittadini fosse battezzata nella Chiesa cattolica cf. JEMOLO, Il cattolicesimo nel costume italiano, 499-507. Per un utile raffronto con la situazione odierna cf. F. GARELLI, G. GUIZZARDI, E. PACE (a cura di), Un singolare pluralismo. Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani, Il Mulino, Bologna 2003. 43 Com’è noto il grande storico del diritto canonico e sociologo Gabriel Le Bras aveva classificato differenti tipologie di credenti cattolici: devoti, osservanti, conformisti stagionali, staccati. Cf. G. LE BRAS, Introduction à l’histoire de la pratique religieuse en France, 2 voll., Paris 1942-1945. 44 Un profilo biografico complessivo di Jemolo è stato tracciato dal suo allievo P. MARGIOTTA BROGLIO in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 62, Istituto dell’enciclopedia italiana, Roma 2004, 196-200. Per una ricostruzione cronologica dettagliata si veda G. CASSANDRO, A. LEONI, P. VECCHI (a cura di), Arturo Carlo Jemolo: vita ed opere di un italiano illustre. Un professore dell’Università di Roma, Jovene, Napoli 2007. Per i rapporti con Buonaiuti, cf. C. FANTAPPIÈ (a cura di), Lettere di Ernesto Buonaiuti ad Arturo Carlo JemoMOLO, CCIII nella mutevole contingenza storica; che stato e Chiesa non esistono «come individualità pensanti e agenti», mentre esistono «sempre e soltanto singole personalità», le quali si collocheranno in relazione alle rispettive comunità di appartenenza; che il criterio comune per la regola di condotta del singolo non potrà essere che la coscienza morale, la quale indicherà «volta a volta, quando e come egli deve agire quale fedele della comunità ecclesiastica, e quale cittadino della comunità politica»;53 che il laicismo «non è tanto una dottrina o una religione, quanto una regola di convivenza per tutte le dottrine e per tutte le religioni» ossia «non è tanto un carattere della dottrina propria, quanto una regola di comportamento di fronte alle dottrine altrui».54 Co m p re n d e re nella differenza Con Calogero e con Capitini sicuramente lo Jemolo avrebbe anche condiviso il principio per cui il fondamento della regola della coesistenza delle culture risiede nel «dovere di comprendere lo (1921-1941), Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma 1997; C. FANTAPPIÈ, «Arturo Carlo Jemolo e il modernismo», in Il diritto ecclesiastico 110(1999), 83-110. 45 Nelle elezioni politiche del 18 aprile del 1948 Jemolo votò per il Fronte popolare; in quelle del giugno del 1953, si candidò per Unità popolare. 46 Emblematiche le critiche nei confronti di don Milani e, in generale, dei «cattolici del dissenso»; cf. C. FANTAPPIÈ, «Arturo Carlo Jemolo tra riforma religiosa e laicità dello stato», in R. BERTOLINO, L. ZUANAZZI (a cura di), La lezione di un maestro. Atti del convegno in memoria di A.C. Jemolo, Torino, 8 giugno 2001, Giappichelli, Torino 2005, 90-94; VALBUSA, I pensieri di un mal pensante, 196-199. L’unico interlocutore ecclesiastico che abbia goduto della simpatia di Jemolo sembra essere stato il futuro papa Montini. Alla sua figura dedicherà un ampio saggio introduttivo al volume Anni e opere di Paolo VI, curato da N. VIAN (Istituto dell’enciclopedia italiana, Roma 1978). 47 Cf. A.C. JEMOLO, «Muoia Sansone con tutti i Filistei», in Il Ponte 5(1949), 807. 48 Cf. JEMOLO, Coscienza laica, 93. Inutile osservare che la tradizione liberale cui si richiama Jemolo è tipicamente quella risorgimentale e non quella neo-liberale di oggi, incline al riconoscimento di «valori» cattolici. 49 JEMOLO, Società civile e società religiosa, 14. 50 In esso appaiono anticipati alcuni temi o filoni oggi attualizzati in forme più radicali. Si pensi alle analogie del «problematicismo» di Spirito con il «nichilismo» di certi filosofi italiani contemporanei oppure alla polarizzazione «libertà»/«spirito dogmatico» ripresa da diversi autori negli interventi sul rapporto tra Chiesa e politica. Cf. U. SPIRITO, «Laicismo e non-laicismo», in AA. VV., Laicismo e non-laicismo, Edizioni di comunità, Mi- gli altri nelle loro differenze». Molto probabilmente non avrebbe però accolto la premessa filosofica secondo cui ciò obbligherebbe ad andare «sempre al di là di ciò che noi già possediamo: al di là della nostra religione, della nostra fede, della nostra filosofia, della nostra ideologia».55 L’atteggiamento di mitezza intellettuale che traspare dalle pagine di Jemolo è forse la migliore conferma di questa forma mentis dialogica. Come ha osservato Bobbio, Jemolo suole evitare affermazioni di tipo apodittico; nel formulare giudizi su persone e cose tende a sottolinearne il carattere opinabile; perfino nella prosa lascia trasparire – con l’uso frequente del verbo al condizionale – il sentimento della propria fallibilità. «Ha un’immensa cultura storica, giuridica e anche letteraria, ma protesta sempre la propria insufficienza, la pochezza del proprio sapere, gli errori di previsione commessi».56 Nei grandi maestri la lezione di metodo è sempre associata alla lezione di stile. Carlo Fantappiè * lano 1950, in part. 87. Sulla filosofia di Spirito si rinvia alla raccolta di contributi contenuta in Il pensiero di Ugo Spirito, 2 voll., Istituto della enciclopedia italiana, Roma 1988, segnatamente al saggio di A. DEL NOCE, «Il positivismo di Ugo Spirito e il “soggetto come male”», 21-28. 51 U. SPIRITO, Significato del nostro tempo, Sansoni, Firenze 1955, 227. 52 Sulla polemica tra Spirito e Calogero si rinvia alle pagine introduttive di E. Buissière premesse alla traduzione francese di alcuni testi del filosofo italiano: G. CALOGERO, Laïcisme et dialogue. Textes réunis, traduits et présentés par E. Buissière, Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve d’Ascq 2007, 7-108, in part. 87-94. 53 G. CALOGERO, «Laicismo, Chiesa e stato», 1950, in ID., Filosofia del dialogo, 131. 54 G. CALOGERO, Il principio del laicismo, 1959, in ivi, 305. 55 G. CALOGERO, Pluralità delle culture e coesistenza umana, 1959, ivi, 422. Per capire quanto Jemolo fosse distante da posizioni radicalmente storiciste alla Calogero o neo-religiose alla Capitini, si veda FANTAPPIÈ, Arturo Carlo Jemolo tra riforma religiosa e laicità dello stato, 82-89. 56 N. BOBBIO, «Anni di prova», in Giornata lincea nel centenario della nascita, cit., 27. * Il testo a firma di Carlo Fantappiè, docente di Storia delle istituzioni ecclesiastiche all’Università di Urbino, costituisce l’Introduzione al volume di A.C. JEMOLO, Coscienza laica, (pp. 109) appena pubblicato dall’editrice Morcelliana di Brescia che ringraziamo per la concessione. Sottotitoli redazionali. A p. 759: JUSTUS SUSTERMANS, Ritratto di Galileo Galilei (part.), 1597-1681; Firenze, Galleria degli Uffizi. IL REGNO - AT T UA L I T À 22/2008 765