Comportamento ciclico-sperimentale di un nodo trave

Transcript

Comportamento ciclico-sperimentale di un nodo trave
Comportamento ciclico-sperimentale di un nodo trave-pilastro estratto da
una struttura esistente in c.a.
Mauro Dolce1, Angelo Masi1, Claudio Moroni1, Domenico Nigro1, Giuseppe Santarsiero1, Maurizio Ferrini2
1
Dipartimento di Strutture, Geotecnica, Geologia applicata all’Ingegneria, Università degli Studi della Basilicata, via dell’Ateneo
Lucano 10, 85100 Potenza
2
Regione Toscana
Keywords: cemento armato, edifici esistenti, nodi trave-pilastro, pannello nodale, prove cicliche
ABSTRACT:
Nella valutazione degli edifici esistenti in c.a. progettati in epoche prive di normative antisismiche, com’era
in gran parte del territorio nazionale sino ai primi anni ‘80, uno degli aspetti più rilevanti è costituito dalla
stima della capacità resistente e duttile delle zone di collegamento trave-pilastro. Numerose indagini sperimentali hanno dimostrato, infatti, come gli elementi nodali possano notevolmente influenzare il comportamento strutturale sotto sisma. Le prove sono normalmente effettuate su modelli appositamente costruiti in
laboratorio, cercando di riprodurre le usuali caratteristiche presenti nelle strutture reali. Nel presente articolo, invece, viene preso in esame un nodo trave-pilastro estratto da una struttura esistente, descrivendo le fasi
di estrazione di un assemblaggio trave-pilastro da una struttura reale adibita a scuola nel comune di Aulla
ed i principali risultati relativi alle prove cicliche quasi statiche effettuate al fine di valutarne la risposta in
campo post-elastico.
I test, effettuati presso il Laboratorio di Strutture dell’Università della Basilicata, hanno mostrato le tipiche
debolezze dei sottoassemblaggi trave-pilastro non antisismici aventi pilastri dotati di scarsa armatura trasversale e longitudinale, e calcestruzzo di bassa resistenza. Estese plasticizzazione hanno interessato principalmente i pilastri, molto deboli rispetto alle travi. Il collasso si è manifestato per schiacciamento del calcestruzzo nel pilastro inferiore e conseguente instabilità delle barre di armatura.
A causa dell’inversione della gerarchia delle resistenze (travi forti e pilastri deboli) e dell’effetto confinante di un moncone di trave ortogonale al piano del nodo non si sono registrati danni apprezzabili al pannello
nodale ed alle travi che hanno subito fessurazioni molto contenute.
Il nodo ha, inoltre, mostrato una notevole riduzione di rigidezza fin da bassi livelli di drift, causata da una
estesa fessurazione che ha interessato i pilastri. Importante è stato anche il ruolo della cattiva ripresa del getto
tra la testa del pilastro inferiore e la trave.
1
INTRODUZIONE
L’osservazione dei danni provocati da forti terremoti
su edifici in c.a. progettati per resistere ai soli carichi
gravitazionali ha evidenziato che i principali meccanismi caratterizzanti collassi strutturali sono identificabili in: (i) plasticizzazioni diffuse dei pilastri in testa ed al piede con formazione del piano soffice, (ii)
plasticizzazione e/o rotture a taglio nelle travi, (iii)
perdita di aderenza delle barre longitudinali sia dei
pilastri che delle travi e (iv) rotture per taglio dei
nodi trave-pilastro.
Sulla base di queste osservazioni e di estese campagne sperimentali sia su sottoassemblaggi strutturali che su intere strutture in scala, le normative tecniche si sono evolute imponendo in Italia criteri
prestazionali per la progettazione di nuove strutture
in c.a. in zona sismica. Il capacity design contemplato dalla attuale normativa (OPCM 3274/2003) tende
infatti a scongiurare meccanismi di rottura fragili nei
nodi, travi e pilastri, oltre a fare in modo che un eventuale collasso globale avvenga nella modalità
travi deboli – pilastri forti, più favorevole in termini
di duttilità globale. Anche senza l’applicazione del
capacity design è prescritta la cura dei dettagli costruttivi che contribuisce ad aumentare la duttilità
locale degli elementi strutturali e la resistenza nei
confronti di meccanismi fragili aumentando le prestazioni sismiche.
Per le strutture esistenti in c.a., realizzate in assenza di principi antisismici sia in termini di calcolo
che di particolari costruttivi, si pone il problema di
una affidabile valutazione della resistenza alle azioni
orizzontali al fine di individuare gli interventi di rafforzamento più efficaci (Vona & Masi 2004).
Molti autori italiani e stranieri hanno seguito la
strada sperimentale per meglio comprendere il reale
comportamento dei sottoassemblaggi strutturali trave-pilastro (Pampanin et al. 2002, Lehman et al.
2004).
Diversi possono essere gli obiettivi perseguiti nella sperimentazione di nodi appartenenti a strutture
esistenti in c.a.. Il primo obiettivo possibile può essere la valutazione di tali elementi strutturali nelle
condizioni attuali. Questo obiettivo si concretizza
nel valutare le prestazioni di nodi al variare di una
serie di parametri, in modo da poter mettere a punto
accurati modelli di capacità in campo non lineare,
che consentano di schematizzare il comportamento
dei nodi all’interno della struttura globale.
In altri casi, invece, i test di laboratorio si focalizzano sulla valutazione degli effetti generati da diversi sistemi di rinforzo in modo da compararne il comportamento rispetto agli stessi elementi non
rinforzati, per verificare l’efficacia di tali tecniche.
Queste sperimentazioni servono a quantificare gli
incrementi di capacità determinati dalle diverse tecniche di rinforzo, ed a scegliere quelle più convenienti sul piano sia tecnico che economico, nonché
in termini di applicabilità ai casi reali.
Per quanto riguarda il primo obiettivo, gli aspetti
principali riportati in letteratura sono i seguenti:
a) valutare il contributo di deformabilità del pannello nodale al drift totale, in modo da ottenere informazioni precise circa la possibilità di danneggiamento strutturale e non strutturale, nonché valutare
in modo più affidabile l’entità dell’effetto P-Δ. In alcuni casi (Shin et al. 2004) queste sperimentazioni
sono state alla base dello sviluppo di modelli da inserire in software di calcolo per l’analisi non lineare
di strutture intelaiate in c.a.;
b) stabilire la modalità di collasso del nodo ed il
comportamento meccanico in termini di resistenza e
duttilità, nonché verificare la gerarchia di danneggiamento. E’ interessante poi correlare tali informazioni alle caratteristiche del sottoassemblaggio in
termini di livello di progettazione antisismica, tipo
di barre adottate (lisce o ad a.m.), dettagli costruttivi,
resistenza dei materiali, entità dello sforzo normale.
Il fine ultimo è sempre il miglioramento
dell’affidabilità delle procedure di calcolo atte a valutare la vulnerabilità sismica delle costruzioni;
c) studiare le differenze di comportamento tra nodi realizzati conformemente a sottoassemblaggi di
strutture progettate secondo criteri non antisismici,
con nodi identici realizzati insieme a parti di solaio e
di travi ortogonali in modo da correggere alcune informazioni derivanti da test su nodi privi di solaio
(Li et al.2002). In questi casi si può valutare il ruolo
svolto dal solaio in termini di rigidezza e resistenza
del nodo, dall’armatura metallica presente
all’interno della soletta e dall’effetto di confinamento dovuto alla presenza delle travi ortogonali.
Il presente lavoro nasce dall’occasione in generale molto rara di poter provare sperimentalmente un
nodo trave-pilastro “a croce”, estratto da una struttura esistente, in particolare una scuola del comune di
Aulla (MS). progettata e realizzata negli anni ’50
considerando i soli carichi gravitazionali, e demolita
recentemente, principalmente per la scarsa qualità
del calcestruzzo. Proprio in occasione della demolizione sono stati estratti, con modalità che ne preservassero l’integrità, alcuni elementi strutturali tra i
quali il nodo trave-pilastro oggetto del presente lavoro.
La possibilità di operare su un sottoassemblaggio
di struttura reale, non permette, ovviamente, di valutare in maniera parametrica l’influenza di singoli fattori che possono influenzare il comportamento ciclico di un nodo, ma consente di confrontarsi con la
realtà tipica delle costruzioni in c.a. di una certa epoca, con i difetti reali, quali scarsa resistenza del
calcestruzzo, differenziata nelle diverse parti, imprecisioni geometriche complessive e nella disposizione
delle armature, inadeguate lunghezze di ancoraggio
e di sovrapposizione, riprese di getto, etc.
2
ESTRAZIONE DEL NODO
Il nodo di estremità (a tre vie), indicato nelle figure 1
(nodo B) e 2, è stato estratto dal primo impalcato ed
è costituito da travi emergenti di dimensioni nominali 40 x 60 cm, pilastro del piano inferiore di dimensioni 40 x 40 cm, pilastro del piano superiore 40 x
30 cm.
Figura 1. Pianta dell’edificio da cui è stato estratto il nodo
Di particolare delicatezza è stata la fase di estrazione del nodo. Infatti, era importante recare il minore danno possibile all’assemblaggio strutturale al
fine di non condizionare i risultati delle successive
prove sperimentali.
Figura 2. Prospetto dell’edificio da cui è stato estratto il nodo
L’edificio di riferimento era composto da tre impalcati con pianta di forma piuttosto regolare, con
due vani scale in posizioni non simmetriche rispetto
al centro geometrico dell’impalcato tipo (vedi figura
1).
Le fasi di estrazione sono consistite in:
i)
messa a nudo della struttura dalle opere di
finitura, quali tamponamenti, tramezzi,
pavimenti ed impianti, e conseguente puntellamento della stessa;
ii)
separazione dal solaio dalle travi appartenenti al nodo, tramite taglio con sega circolare a corona diamantata;
iii)
rinforzo del nodo mediante una robusta
incamiciatura in acciaio costituita da angolari, calastrelli e piastre, al fine di evitare deformazioni e conseguenti danni al
nodo durante le fasi di estrazione, movimentazione e trasporto.
Figura 3. Rinforzo temporaneo del nodo con incamiciatura in
acciaio
Gli angolari ed i calastrelli utilizzati avevano dimensioni, rispettivamente, di 100x100x8 mm e 100x5
mm. Il sistema era inoltre munito di maniglie costituite da ferri tondi saldati ad alcuni elementi di rinforzo allo scopo di costituire punto di aggancio per
la movimentazione con gru.
Gli ingombri massimi della porzione di struttura
prelevata sono stati imposti dai limiti geometrici necessari ad evitare, sia per problemi logistici che di
contenimento dei costi, un trasporto eccezionale. La
larghezza massima, quindi, è risultata di 220 cm,
mentre non vi erano di fatto limitazioni in termini di
lunghezza. Gli elementi la cui estensione è stata
maggiormente condizionata sono risultati essere i pilastri, il cui ingombro totale è stato di 220 cm, aspetto di cui si è poi tenuto conto nell’apparato di prova.
3
MATERIALI E DETTAGLI COSTRUTTIVI
Prima di progettare ed effettuare i test sul nodo trave-pilastro si è proceduto a caratterizzare il calcestruzzo costituente gli elementi strutturali. Insieme al
nodo, come detto, erano stati prelevati dalla struttura, e poi trasportati presso il Laboratorio di strutture
dell’Università della Basilicata, alcuni monconi dei
pilastri e delle travi adiacenti al nodo.
Figura 4. Trave sottoposta a carotaggi
Un’ampia campagna di prove distruttive e non distruttive ha interessato sia la trave mostrata in figura
4 (Masi et al. 2005), che un pilastro da cui sono state
estratte numerose carote, in direzione orizzontale e
verticale, successivamente sottoposte a prova di
schiacciamento. La resistenza media fcm derivante
dalle prove distruttive (carotaggi) eseguite sui campioni estratti dalla trave è risultata pari a 22.5 MPa.
Il valor medio della resistenza cilindrica rilevato
sui campioni prelevati dal pilastro è risultato pari a
fcm = 7.53 MPa.
È emersa, pertanto, una notevole differenza tra la
resistenza del calcestruzzo nelle due tipologie di elemento, cosa di cui si è tenuto conto nelle successive analisi dei risultati.
solo 4 φ18 negli spigoli. Tutte le armature sono costituite da barre lisce e gli ancoraggi sono realizzati
mediante sagomatura ad uncino. Su 5 barre, estratte
dai pilastri, sono state compiute prove di trazione
che hanno restituito una tensione media di snervamento pari a 330 MPa.
Le travi sono armate nella zona di incastro,
all’interfaccia con il nodo, con 3 φ16 + 1 φ14 nella
zona inferiore, e con 3 φ 16 + 2 φ 14 + 2 φ 10 nella
zona superiore. Le staffe nelle travi hanno diametro
6 mm con passo di circa 10 cm, in prossimità
dell’appoggio.
4
Figura 5. Pilastro sottoposta a carotaggi
Va ricordato che la normativa vigente al tempo
della progettazione e realizzazione della struttura
(RD 2229/39) prevedeva l’utilizzo di un calcestruzzo di resistenza media Rcm almeno pari a 12.0 MPa.
I dettagli costruttivi dell’assemblaggio in esame
sono tipici degli edifici progettati e costruiti negli
anni ’50, in assenza di criteri antisismici.
Nei pilastri sono presenti staffe di diametro 6
mm, disposte ad interasse costante di 20 cm e assenti
all’interno del pannello nodale. Le armature longitudinali sono costituite da 4 φ20 disposti agli spigoli e
da 2 φ18 sui lati. Il pilastro superiore presenta invece
APPARATO DI PROVA
La progettazione dell’apparato di prova sul nodo è
legata al tipo di nodo (a croce) ed al tipo di sperimentazione che si è inteso eseguire (ciclica quasi
statica con sforzo normale costante, senza effetto PΔ). Volendo riprodurre il comportamento del nodo
in una struttura con interpiano di 3,00 m, ed avendo
contenuto per problemi di trasporto la lunghezza totale dei due pilastri, è stato necessario prevedere dei
prolungamenti in acciaio (protesi) alle estremità degli stessi.
Le protesi sono costituite da profilati del tipo
UPN aventi dimensioni tali da garantire una rigidezza simile a quella dei pilastri in c.a.. Tale requisito,
nella direzione di applicazione dell’azione orizzontale, è garantito dalla condizione (EI)acciaio = (EI)c.a.. In
tal modo si ottengono sezioni differenti per le porzioni di pilastro poste inferiormente e superiormente
al nodo.
In figura 6 è riportato lo schema geometrico del
nodo con le relative sezioni. Alle estremità dei profili UPN, in corrispondenza dell’interfaccia con il calcestruzzo, sono fissate delle piastre con spessore 40
mm, opportunamente forate per consentire il passaggio dell’armatura dei pilastri, successivamente saldata alle stesse.
L’interfaccia tra le piastre metalliche e le sezioni
in c.a. è riempita con malta a ritiro controllato al fine
di regolarizzare le superfici di contatto e migliorare
la trasmissione degli sforzi al calcestruzzo.
L’apparato di prova è mostrato in fig. 7.
L’applicazione dello sforzo normale avviene mediante un martinetto idraulico con capacità di 1500
kN, collocato alla sommità del pilastro superiore.
Esso è contrastato da una piastra in acciaio collegata,
mediante quattro tiranti metallici, alla piastra posta
alla base del pilastro inferiore, a sua volta collegata
ad una sottostante cerniera cilindrica la cui finalità è
quella di riprodurre lo stesso regime di sollecitazioni
flessionali che gli elementi hanno all’interno della
struttura in presenza di azione orizzontale (momento
flettente con punto di nullo a metà dell’interpiano).
I tiranti metallici, essendo collegati alla piastra
posta sopra la cerniera, sono liberi di ruotare quando
il nodo si deforma e, quindi, riescono a mantenere il
carico in posizione assiale rispetto al nodo, evitando
la formazione di effetti del secondo ordine (P-Δ).
Trascurando lievi effetti del secondo ordine, il vincolo si può considerare come un carrello perfetto.
Sia l’attuatore che le bielle laterali sono vincolate al
sistema di reazione costituito da una parete in c.a. e
da un solettone dello spessore di 1.6 m.
Figura 6. Schema del nodo con le “protesi” in acciaio.
Figura 8. Strumentazione per la misura delle deformazioni
Figura 7. Apparato di prova
Gli spostamenti orizzontali sono imposti a livello
dell’estremità del pilastro superiore con un attuatore
MTS avente capacità 490 kN in spinta e 290 kN in
trazione. L’asse dell’attuatore è imposto ad una quota tale da far si che la distanza dalla cerniera inferiore fosse pari a 300 cm, ovvero all’interpiano desiderato.
Le travi sono vincolate alle estremità tramite bielle in acciaio formate da profili UPN100 accoppiati.
Tali elementi sono muniti di fori ad interasse costante che consentono il fissaggio dei sistemi di vincolo degli attuatori e dei provini da sottoporre a test.
La strumentazione è costituita da celle dinamometriche atte a misurare forze applicate e reazioni, e
da trasduttori di spostamento per la rilevazione delle
deformazioni e degli spostamenti. In particolare due
celle di carico, poste sulle bielle laterali, misuravano
le variazioni di sforzo normale nelle stesse e, quindi,
di taglio nelle travi, mentre altre due celle registravano lo sforzo assiale e la forza orizzontale applicati
al nodo.
Nella figura 8 è mostrata la strumentazione utilizzata durante le prove sperimentali per il monitoraggio delle deformazioni degli elementi strutturali.
Le deformazioni del pannello nodale sono state
acquisite tramite 7 trasduttori potenziometrici rettilinei ed altri 16 trasduttori dello stesso tipo sono stati
impiegati per strumentare travi e pilastri.
Altri 4 trasduttori a filo sono serviti per
l’acquisizione degli spostamenti orizzontali delle
travi, della rotazione in corrispondenza della cerniera inferiore e dello spostamento impresso
dall’attuatore. In tabella 1 sono riportate le basi di
lettura (ovvero le lunghezze iniziali) degli strumenti
con riferimento ai nodi mostrati e numerati in figura
8.
Nella foto di figura 9 è mostrato il nodo completo
di tutta la strumentazione pronto per essere sottoposto al test.
N.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
Nodo
iniziale
1
2
4
5
7
8
10
11
13
14
16
17
19
20
22
23
25
26
29
28
25
22
32
Nodo
finale
2
3
5
6
8
9
11
12
14
15
17
18
20
21
23
24
26
27
30
31
32
33
33
Base di lettura
(mm)
320
320
320
320
320
320
320
320
320
125
125
320
320
125
125
320
125
125
540
540
540
540
320
Figura 9. Nodo strumentato prima dell’inizio dei test.
5
PROGRAMMA SPERIMENTALE
Il programma sperimentale aveva l’obiettivo principale di valutare le prestazioni sotto azioni sismiche
orizzontali crescenti fino al raggiungimento delle
capacità ultime. Come già accennato le prove sono
state condotte in controllo di spostamento, in modalità ciclica quasi statica, mantenendo costante la velocità di avanzamento del martinetto pari a circa 2
mm/s. Alcune prove sono state condotte con fre-
quenze più elevate onde rilevare le differenze di risposta rispetto alle azioni quasi statiche. In particolare, le prove effettuate in modalità lenta hanno avuto
una frequenza dei cicli di spostamento variabile tra
0.005 Hz e 0.033 Hz, mentre le prove più rapide
hanno avuto frequenze variabili tra 0.15 e 0.40 Hz.
In figura 10 è mostrata l’intera storia degli spostamenti applicati dall’attuatore.
Al termine di ogni test, composto da 3 cicli completi di spostamento, si è effettuata una ricognizione
visiva e fotografica del nodo in tutte le sue componenti osservando la progressione del danneggiamento al fine di adattare i passi successivi del programma sperimentale alla risposta del nodo.
90
75
60
Spostamento totale (mm)
Tabella 1. Trasduttori per l’acquisizione delle deformazioni
45
30
15
0
-15 0
100
200
300
400
500
600
-30
-45
-60
-75
-90
t (s)
Figura 10. Storia degli spostamenti applicata
I test effettuati sono i riportati in tabella 2. Il drift
percentuale calcolato sulla base di un’altezza di interpiano di 300 cm, è stato fatto variare tra un valore
minimo di 0.25 ed un massimo del 3.0%, in corrispondenza del quale lo stato di danneggiamento del
nodo era talmente elevato da imporre l’interruzione
della serie di test.
Tabella 2. Serie dei test effettuati
Spostamento
Test
Drift
in testa
N.
(%)
(mm)
1
7.5
0.25
2
30.0
1.00
3
30.0
1.00
4
45.0
1.50
5
60.0
2.00
6
60.0
2.00
7
75.0
2.50
8
90.0
3.00
9
90.0
3.00
N. cicli
Frequenza
(Hz)
3
3
3
3
3
3
3
3
1
0.033
0.016
0.400
0.011
0.083
0.200
0.006
0.005
0.150
Il numero di cicli per ogni ampiezza degli spostamenti è stato in generale pari a 3, tranne che per
la prova a 90 mm di spostamento con frequenza di
0.15 Hz (test n. 9), in cui, a causa della repentina evoluzione del danno, si è preferito arrestare il test al
termine del primo ciclo.
Oltre ai test sopra riportati sono state effettuate
alcune prove iniziali a livelli di spostamento molto
bassi al fine di verificare la funzionalità di tutta la
strumentazione installata e dell’apparato in generale.
Dalle registrazioni effettuate durante le prove si è
verificata l’efficacia del sistema di applicazione del
carico assiale che si è mantenuto sostanzialmente
costante (N = 330 kN) con variazioni non superiori
al 3%. A titolo esemplificativo in figura 11 è mostrata la variazione dello sforzo assiale applicato durante
il test con drift = 1.5%.
400
350
N (kN)
300
250
200
150
100
50
0
0
50
100
150
t(s)
200
250
300
Figura 11. Storia dello sforzo assiale durante il test n. 4.
6
PRINCIPALI RISULTATI
L’elevato numero di strumenti installati ha consentito di rilevare diverse grandezze caratterizzanti il
comportamento sismico dell’assemblaggio. Molti
dei dati acquisiti sono tuttora in fase di elaborazione.
Per esigenze di sintesi nel presente lavoro vengono
riportati solo i principali risultati ottenuti.
Le prime osservazioni riguardano l’evoluzione
del danneggiamento in funzione dei livelli di drift
impressi. Visivamente si è riscontrata la quasi totale
assenza di danni al pannello nodale ed alle travi;
mentre si è osservato un notevole degrado della zona
di interfaccia tra la sommità del pilastro inferiore e
lo stesso pannello nodale.
Queste indicazioni visive sono state confermate
dalle registrazioni strumentali. Infatti, mettendo a
confronto le deformazioni sulle sezioni di interfaccia
di pilastri e travi con il pannello nodale, relative alla
prova con drift 1.5% (test n. 4), emergono deformazioni nettamente minori nelle travi. Nella figura 12 è
riportata la storia delle deformazioni acquisite tramite i trasduttori sistemati tra i punti 14-15 (pilastro,
fig. 8) e 8-9 (trave, fig. 8). Si può notare che le massime deformazioni del pilastro (pari a circa 2.5 mm)
sono di gran lunga superiori a quelle della trave (circa 0.5 mm).
L’assenza di danni nel pannello nodale e nelle
travi può essere attribuita fondamentalmente a tre
fattori nel seguito descritti. Innanzitutto la presenza
del moncone di trave ortogonale al piano del nodo
che esercita una non trascurabile azione di confinamento sul pannello. In secondo luogo va tenuto conto del fatto che l’assemblaggio è stato estratto da un
telaio in c.a. con travi forti (sezione 40 x 65 cm) e
pilastri deboli (sezioni 40x40 e 40x30 cm con debole armatura longitudinale), il che ha favorito la concentrazione delle deformazioni, e quindi del danno,
nelle colonne. Infine, un ruolo importante, forse decisivo, è stato esercitato dal grande divario di resistenza tra il calcestruzzo delle travi (fcm = 22.5 MPa)
e quello dei pilastri (fcm = 7.5 MPa).
Nel corso dei test il copriferro del pilastro inferiore è stato progressivamente espulso al crescere del
drift, sino al danneggiamento del nucleo di calcestruzzo immediatamente adiacente al nodo, che ha
subito vistosi fenomeni di schiacciamento, come
mostrato nelle figure 13 e 14 e nel dettaglio di figura
15.
Figura 13. Il nodo al termine del test con drift 2.5%
Figura 12. Storia delle deformazioni di trave e pilastro nella
prova con drift 1.5%
In definitiva, il meccanismo che ha portato al collasso il nodo è certamente l’estesa plasticizzazione del
pilastro inferiore il cui calcestruzzo si è gradualmente disgregato. Contemporaneamente, sotto l’azione
del carico verticale, si sono instabilizzate le armature
longitudinali cui mancava l’effetto di confinamento
offerto dal copriferro ormai espulso.
Benché in minore misura, anche sul pilastro superiore si è manifestato il distacco del copriferro, come
mostrato in figura 16.
L’analisi quantitativa del comportamento del nodo è proseguita poi con la ricostruzione della risposta in termini di forza-spostamento, il cui andamento
è riportato in figura 17.
In ascissa è posto lo spostamento applicato
dall’attuatore alla testa del pilastro superiore (espresso in termini di drift %) ed in ordinata la forza
esplicata dallo stesso. Si noti come la soglia di snervamento del nodo sia collocabile attorno ai 78 kN,
ottenuta al primo dei tre cicli effettuati con drift =
1.5% (test n. 4). Incrementando il drift sino al 2% si
registra un calo di resistenza contenuto e pari circa al
11%.
Raggiungendo il 3% di drift, invece, già al primo
ciclo la perdita di resistenza totale risulta pari a circa
il 45%.
Nell’ambito di ogni singolo test la ripetizione dei
cicli, a parità di drift, provoca un apprezzabile degrado della resistenza come si può osservare dal grafico di figura 18, in cui è riportata la prova con drift
1.5%.
Tra il primo ed il secondo ciclo si osserva infatti
un calo di resistenza del 9% circa, mentre tra il secondo ed il terzo risulta del 6% circa.
Figura 14. Il nodo al termine della serie di test
\
Figura 16. Base del pilastro superiore al termine della serie di
test.
Figura 15. Dettaglio della testa del pilastro inferiore al termine
della serie di test.
alla massima resistenza ottenuta per drift=1.5%, si
osserva quanto riportato nella figura 20: la caduta di
resistenza cresce in maniera considerevole all’aumentare del drift.
Oltre al degrado di resistenza si è valutata anche
l’evoluzione della rigidezza posseduta dal nodo in
funzione del livello di drift applicato e della ripetitività delle azioni.
Figura 17. Inviluppo dei grafici forza spostamento.
Nel grafico in figura 19 è mostrata la caduta di
resistenza tra il primo ed il terzo ciclo di ogni test in
funzione del drift. Nel test con drift = 1.0% il degrado è circa pari all’11%, mentre nel test al 3.0% si arriva al 26% circa, con una crescita pressoché lineare.
Il degrado è quindi correlato non soltanto al livello di drift impresso, ma anche, in maniera significativa, alla ciclicità e dunque alla durata dell’azione sismica. Questo è spiegabile con la scarsa qualità del
calcestruzzo, in particolare per i pilastri, oltre che
con l’inefficace effetto di confinamento fornito dalle
armature trasversali presenti in quantità piuttosto ridotta.
Figura 20. Degrado di resistenza tra test consecutivi.
Come ci si poteva attendere, gran parte della perdita di rigidezza è concentrata a bassi livelli di drift
allorquando il provino passa da una condizione non
fessurata alla condizione fessurata per effetto delle
azioni impresse. Superata questa prima fase i cali di
rigidezza sono più contenuti ed imputabili principalmente alla progressiva apertura delle fessure.
Nella prova con drift 0.25% non vi è degrado ciclico della rigidezza (figura 21), stante la bassa entità delle deformazioni impresse: il sottoassemblaggio
si può ritenere in fase elastica.
Passando dallo 0.25% all’1% di drift si perde circa il 50% della rigidezza secante.
Figura 18. Prova con drift 1.5%
Figura 21. Rigidezza secante in funzione del drift.
Figura 19. Degrado di resistenza 1°-3° ciclo in ogni test.
Valutando la caduta di resistenza tra i primi cicli
di test successivi con drift = 2, 2.5 e 3.0% rispetto
Si è ritenuto opportuno valutare, infine, la capacità di rotazione rispetto alla corda in condizioni di
collasso θ u . La normativa OPCM 3274, nella parte
relativa agli edifici esistenti in c.a., fornisce la seguente espressione di origine sperimentale (11.A.1):
Lpl
⎡ max(0,01;ω' ) ⎤
θu = 0,016⋅ (0,3 )⎢
fc ⎥
γ el
⎣ max(0,01;ω ) ⎦
f yw ⎞
⎛
⎜⎜ αρsx f ⎟⎟
c ⎠
⎝
25
ν
100 ρd
(1,25
0,35
⎛ LV ⎞
⎜ ⎟
⎝ h ⎠
⎞⎛
s
⎟⎜1 − h
⎟⎜ 2h
o
⎠⎝
b2
⎞⎛⎜
⎟ 1− ∑ i
⎟⎜ 6h b
o o
⎠⎝
⎞
⎟
⎟
⎠
(bo e ho dimensioni della nucleo confinato, bi
distanze delle barre longitudinali trattenute da tiranti o staffe presenti sul perimetro).
Applicando la (11.A.1) al caso in esame si ottiene
un valore della rotazione ultima pari a circa il 3.1%,
sia per il pilastro inferiore che per quello superiore.
La normativa fornisce anche una seconda espressione (11.A.3) per il calcolo di θ u
⎛ 0,5 Lpl ⎞ ⎞
1 ⎛⎜
⎜⎜1 −
⎟⎟ ⎟
(
)
L
θu =
θ
φ
φ
+
−
y
u
y
pl
⎟
L
γ el ⎜⎝
V
⎝
⎠⎠
dove
θ y è la rotazione rispetto alla corda allo snervamento
φ u è la curvatura ultima valutata considerando le
deformazioni ultime del conglomerato (tenuto conto
del confinamento) e dell’acciaio (da stimare sulla
base dell’allungamento uniforme al carico massimo,
in mancanza di informazioni si può assumere che la
deformazione ultima dell’acciaio sia pari al 4%),
φy
è la curvatura a snervamento valutata considerando l’acciaio alla deformazione di snervamento
ε sy
,
è la lunghezza di cerniera plastica valutabile
L pl = 0,1L V + 0,17 h + 0,24
)
dove
γel = 1.5 per gli elementi primari ed 1.0 per gli
elementi secondari
h è l’altezza della sezione,
ν = N /( A c f c ) è lo sforzo assiale normalizzato
di compressione agente su tutta la sezione
Ac, ω = A s f y /( bhf c ) e ω′ = A ′s f y /( bhf c ) percentuali meccaniche di armatura longitudinale in
trazione e compressione con b, h = base ed altezza della sezione), rispettivamente,
fc , fy e fyw sono la resistenza a compressione
del calcestruzzo e la resistenza a snervamento
dell’acciaio, longitudinale e trasversale,
ρ sx = A sx b w s h la percentuale di armatura trasversale ( sh = interasse delle staffe nella zona
critica),
ρ d la percentuale di eventuali armature diagonali in ciascuna direzione,
α è un fattore di efficienza del confinamento
dato da:
⎛
s
α = ⎜⎜1 − h
2
bo
⎝
come:
li,
d bL f y
fc
dove
h è l’altezza della sezione,
dbL è il diametro (medio) delle barre longitudina-
fc e fy sono rispettivamente la resistenza a compressione del calcestruzzo e la resistenza a snervamento dell’acciaio longitudinale (in MPa)
Applicando l’espressione (11.A.3) si ottiene un
valore di θ u =2.3%.
Per come è definita la rotazione rispetto alla corda, in questo caso tale valore coincide, a meno della
rotazione del pannello nodale, con il drift sopportabile in condizioni ultime dai pilastri.
La sperimentazione ha mostrato che il valore del
drift di collasso, come mostrato in precedenza, è valutabile attorno al 3%.
Pertanto, nel caso in esame, vi è una sostanziale
corrispondenza tra il valore teorico di normativa fornito dall’espressione 11.A.1 e quello trovato sperimentalmente, mentre l’espressione 11.A.3 risulta eccessivamente cautelativa.
Questo risultato, se da un lato, appare confortante
in quanto i valori teorici di normativa per la valutazione della rotazione ultima degli elementi in c.a.
sono prossimi al dato sperimentale o(11.A.2)
comunque conservativi, dall’altro richiede ulteriori sforzi finalizzati ad ottenere previsioni analitiche coerenti anche se
effettuate con diversi metodi.
0.45
0.40
0.35
0.30
Drift
1
0.225
0.25
0.20
0.15
0.10
0.05
0.00
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
Drift(%)
Figura 22. Rapporto tra deformazione nodale e drift totale
L’ultimo aspetto indagato, riguarda la deformabilità del pannello nodale in rapporto alla deformabilità globale dell’assemblaggio. Tramite i trasduttori
posizionati tra i punti 32-22 e 33-25 (vedi fig. 8) si è
valutata la deformazione tagliante del pannello γ che
è stata poi rapportata al drift totale impresso
all’assemblaggio in ogni test effettuato.
Esaminando il rapporto tra le due grandezze anzidette, mostrato nel grafico in figura 22, emergono
alcune interessanti osservazioni.
Si nota che a bassi livelli deformativi, quando il
comportamento dell’assemblaggio è praticamente
elastico, la deformazione nodale costituisce una aliquota importante di quella totale, superando il 40%
di quest’ultima. Al crescere del drift, con l’attivarsi
di fenomeni non lineari di fessurazione e plasticizzazione che, nel caso in esame, hanno interessato essenzialmente i pilastri, il contributo del pannello alle
deformazioni complessive diminuisce progressivamente, fino ad arrivare a valori inferiori al 15% in
condizioni ultime, ovvero per un drift totale del
3.0%.
7
CONCLUSIONI
Nel presente lavoro sono descritti i risultati delle
prove sperimentali effettuate, presso il Laboratorio
Prove Materiali e Strutture dell’Università della Basilicata, su un nodo trave-pilastro prelevato da un edificio scolastico della regione Toscana, in demolizione. L’edificio, con struttura portante in c.a., era
situato nel comune di Aulla, e possedeva caratteristiche di costruzione tipiche degli anni ‘50, epoca in
cui era stato costruito.
L’estrazione del nodo ha richiesto una serie di
precauzioni, volte da un lato a garantire la sicurezza
degli operatori, dall’altro a preservare l’integrità del
nodo. Le attività sul campo hanno previsto un puntellamento precauzionale dell’edificio, precedentemente privato di tutte le finiture, e un rinforzo reversibile del nodo, mediante angolari e calastrelli
metallici, finalizzato a preservare lo stesso durante le
successive operazioni di estrazione, movimentazione
e trasporto presso il Laboratorio.
I materiali presenti nel nodo sono stati caratterizzati tramite prove su campioni di calcestruzzo e di
acciaio estratti dalla stessa struttura. Dalle prove di
schiacciamento compiute sulle carote di calcestruzzo
si sono ottenute resistenze fcm molto diverse in funzione della tipologia di elemento, trave o pilastro, da
cui erano state prelevate. Le caratteristiche medie rilevate forniscono valori di resistenza pari a 22.5
MPa e 7.5 MPa, rispettivamente per il calcestruzzo
delle travi e dei pilastri, e 330 MPa, come valore di
snervamento a trazione dell’acciaio.
Il nodo trave-pilastro, opportunamente strumentato, è stato sottoposto a test ciclici in controllo di spostamento, al fine di valutarne le prestazioni sotto azioni sismiche di intensità crescente, in presenza di
uno sforzo normale costante durante le prove.
I valori di drift impressi al nodo sono variati da
un minimo dello 0.25% fino al 3.0%. Per tale valore
si sono raggiunte le condizioni di collasso determinate dallo schiacciamento del calcestruzzo della zona di testa del pilastro inferiore, indebolita da una
cattiva ripresa di getto e dalla conseguente instabilità
delle barre di armatura. Danni minori si sono verifi-
cati per il pilastro superiore che ha mostrato ampie
zone affette da espulsioni del copriferro.
Lievi danni si sono registrati nelle travi ed il pannello nodale che hanno beneficiato dell’effetto di
confinamento fornito dal moncone di trave presente
nella direzione ortogonale al piano del nodo, nonché
della gerarchia delle resistenze, nettamente a favore
delle travi, più resistenti dei pilastri.
La totale assenza di dettagli antisismici ha limitato la duttilità del nodo. Il calcestruzzo dei pilastri,
già di qualità molto scarsa, non ha potuto beneficiare
dell’effetto di confinamento dalle staffe presenti che
erano non chiuse e costituite da barre lisce di diametro 6 mm, disposte ad interasse di 200 mm.
L’inviluppo dei grafici forza-spostamento ha permesso di rilevare che le cadute di resistenza
dell’assemblaggio nodale sono correlate al drift impresso, ma che significative riduzioni di resistenza si
manifestano anche per azioni ripetute della stessa
entità.
Rilevanti perdite di rigidezza si verificano già per
valori limitati del drift, ossia valori per i quali non si
manifestano significative riduzioni di resistenza. Infatti più del 50% della caduta di rigidezza secante totale avviene in corrispondenza di un drift pari al
1.0%, allorquando nel nodo si verificano le prime
significative fessurazioni. Oltre tale valore, in termini assoluti, all’aumentare del drift gli abbattimenti
della rigidezza sono più contenuti e vanno attribuiti,
principalmente, al progressivo allargamento delle
fessure durante i cicli di apertura e chiusura delle
stesse. In corrispondenza delle condizioni ultime
(drift = 3%) la rigidezza risulta pari a circa 1/10 del
valore iniziale.
Il comportamento in termini di duttilità globale
dell’assemblaggio è migliore di quanto ci si potesse
aspettare da un nodo appartenente ad una struttura
non antisismica, peraltro realizzato con materiali e
dettagli costruttivi di scarsa qualità.
Il confronto tra i valori sperimentali delle rotazioni ultime e quelli forniti da due espressioni di normativa ha mostrato in un caso (espressione 11.A.1)
una sostanziale coincidenza, nell’altro (espressione
11.A.3) una differenza rilevante ma a vantaggio di
sicurezza.
È emerso, inoltre, un significativo contributo della deformazione propria del pannello nodale per bassi valori di drift totale, ossia quando il comportamento dell’assemblaggio è praticamente elastico,
contributo che va riducendosi al crescere del drift, in
quanto, in questo caso, i fenomeni di plasticizzazione hanno interessato essenzialmente i pilastri.
Va rilevata, infine, l’assenza di fenomeni fragili
dovuti alla fessurazione del pannello nodale, determinata anche dalla presenza di un moncone di trave
ortogonale. Questo aspetto evidenzia che, anche nelle strutture non antisismiche, i nodi trave-pilastro
possono presentare non trascurabili risorse duttili,
pur se con perdite di resistenza rilevanti al crescere
del numero di cicli.
BIBLIOGRAFIA
Lehman D., Stanton J., Anderson M., Alire, D., Walker, S. Seismic performance of older beam-column joint, 13th
World Conference On Earthquake Engineering, Vancouver,
Canada 2004.
Li B., Pan T.C., Tan HY - Earthquake resistance of lightly reinforced concrete interior beam-column joints including floor
slabs. 12th European Conference on Earthquake Engineering, London 2002.
Masi A., Dolce M., Chiauzzi L., Nigro D, Ferrini M.- Indagini
sperimentali sulla variabilità della resistenza del calcestruzzo negli elementi strutturali di edifici esistenti in c.a., Conferenza Nazionale sulle Prove Non Distruttive Monitoraggio Diagnostica Milano, 13-15 ottobre 2005
OPCM 3274/2003 e s.m.i. - Allegato 2, Norme tecniche per il
progetto, la valutazione e l’adeguamento sismico degli edifici.
Pampanin S., Calvi G.M., Moratti M. - Seismic behaviour of
r.c. beam-column joints designed for gravity loads, 12th
European Conference on earthquake engineering, London
2002.
Regio Decreto n. 2229/1939: Norme per l’esecuzione delle opere in conglomerato cementazione semplice o armato
Shin M., Lafave M. - Testing and modelling for cyclic joint
shear deformations in rc beam-column connections, 13th
World Conference On Earthquake Engineering, Vancouver,
Canada 2004.
Vona M., Masi A. - Resistenza sismica di telai in c.a. progettati
con il R.D. 2229/39, Atti del XI Congresso Nazionale
L’ingegneria Sismica in Italia, Genova, 2004