CORSI UNIVERSITARI DI GIURISPRUDENZA – ASMARA

Transcript

CORSI UNIVERSITARI DI GIURISPRUDENZA – ASMARA
CORSI UNIVERSITARI DI GIURISPRUDENZA – ASMARA
PROLUSIONE
al Corso di Diritto Consuetudinario comparato
(Avv. F. Ostini)
LE FONTI DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO DELL’ERITREA CON SPECIALE
RIFERIMENTO AGLI STATUTI DELL’HAMASIEN.
Asmara, li 18 Febbraio 1951
I°
Nell’iniziare questo corso, che è di Diritto consuetudinario Eritreo, occorre innanzi tutto
precisare che cosa si intenda per Diritto Consuetudinario in genere e, in ispecie, quali siano i
limiti della materia in questo corso trattata.
E’ ben noto che tra le varie fonti del diritto esistono “le consuetudini”; ma la materia di
cui ci occupiamo non si riferisce alle consuetudini “secundum legem”, che della legge sono un
accessorio, come possono essere, ad esempio, gli usi mercantili, previsti dall’art.1 del Codice di
Commercio Italiano. Noi dobbiamo occuparci del Diritto Consuetudinario, tradizionale delle
popolazioni native dell’Eritrea: cioè non di consuetudini ed usi che esistono
contemporaneamente ad una legge codificata, ma di quel complesso tradizionale che costituisce
la norma giuridica che regola l’intiera vita di un popolo e che è prevalentemente affidata alla
tradizione orale che, di essa, ha il popolo stesso.
Il Diritto Consuetudinario è pertanto come una sorgente perenne nella coscienza e nella
memoria di un popolo, nelle quali la tradizione fissa gli istituti giuridici con una precisione
1
meravigliosa, che ha il solo difetto di essere tremendamente statica: il Diritto Consuetudinario,
almeno Eritreo e cioè delle popolazioni nord Etiopiche, è statico e cristallizzato da secoli, per
quanto si riferisce soprattutto al diritto di famiglia, al diritto successorio, all’ordinamento della
proprietà terriera e ai diritti reali.
Ho detto che questa possente tradizione si trova nella coscienza generale del popolo,
anche nei più umili ghebbar. Soltanto in una lunga pratica professionale, durata più decenni, mi
è stato concesso di poter raccogliere gli elementi fondamentali di questa tradizione giuridica e
separarla dalle manipolazioni casistiche dei mestieranti legali e dalle incerte alterazioni dei
defter.
Occorre altresì precisare che la materia del nostro corso sarà per quest’anno e per ragioni
di tempo, limitata al solo diritto Consuetudinario delle popolazioni cristiano-copte
dell’altipiano Eritreo, lasciando da parte lo studio sulle consuetudini delle popolazioni eritree
non etiopiche e di quelle che, pur allacciandosi alla grande famiglia etiopica, hanno
consuetudini diverse, dovute ad una diversa organizzazione sociale e alla mancanza di un
effettivo ordinamento della proprietà terriera. Esula inoltre dal nostro corso qualsiasi studio del
diritto islamico, che non è un diritto consuetudinario, ma un diritto perfetto, con una dottrina ed
una giurisprudenza non inferiore a quelle dei diritti Europei o Americani.
Nella legislazione coloniale italiana il diritto consuetudinario delle popolazioni native,
come anche il diritto islamico, costituiscono un vero e proprio “jus receptum” nella legislazione
stessa, in quanto sia la legge organica per l’Africa Orientale, all’art. 50, sia l’ordinamento
Giudiziario per l’Eritrea, attualmente vigente, agli art. 86 e 91, stabiliscono che le cause in cui
siano interessati esclusivamente sudditi coloniali e assimilati, vengano giudicate secondo le
norme del diritto consuetudinario indigeno e del diritto musulmano, mentre per i reati
commessi dai sudditi coloniali ed assimilati il giudice è tenuto a valutare le circostanze, che
aggravano o escludono la responsabilità, tenendo il maggior conto delle consuetudini e delle
tradizioni locali.
Non è facile lo studio del diritto consuetudinario delle popolazioni cristiano-copte
dell’altopiano Eritreo a differenza di quelle delle popolazioni del bassopiano occidentale, per le
quali esistono gli ottimi studi del Munzinger, di alcuni missionari svedesi, del Pollera. Non è
facile perché la maggior parte delle persone che lo hanno conosciuto, reso noto e studiato,
soprattutto nei primi decenni dell’occupazione italiana, sono stati i funzionari chiamati da
Ferdinando Martini a costituire il primo nucleo dell’amministrazione civile dell’Eritrea e, quasi
tutti, distintissimi ufficiali dell’Esercito in servizio attivo permanente (basti ricordare Ruffilio
Perini, Alberto Pollera e Luigi Talamonti) ma privi di ogni preparazione giuridica. Ad ogni
modo essi han fornito un materiale grezzo preziosissimo (alcune monografie di Alberto Pollera
costituiscono anche oggi una messe formidabile di notizie) e dobbiamo essere ad essi molto
riconoscenti. Né possiamo d’altra parte, per una reale interpretazione del diritto
consuetudinario, affidarci alle personalità eccellenti, che han pur studiato questo diritto
consuetudinario, per un motivo del tutto diverso da quello per cui non possiamo troppo basarci
sugli studiosi predetti. Un profondo studioso e conoscitore di cose etiopiche, ad esempio, un
vero maestro quale è Carlo Conti Rossini, ha studiato il Diritto Consuetudinario dell’Eritrea
con la eccessiva preoccupazione di compararlo al diritto barbarico medioevale, riuscendo così
molto spesso ad alterare profondamente la realtà effettuale delle norme consuetudinarie.
2
Sembra a noi che il diritto consuetudinario etiopico, possa essere utilmente comparato,
anziché agli istituti barbarici medievali, ai diritti arcaici di quasi tutti i popoli, ariani e non
ariani, e non inutilmente al diritto romano arcaico. Somiglianze formidabili esistono certo tra il
diritto consuetudinario Eritreo e il diritto delle popolazioni semitiche sud arabiche, anteriori
all’Islam, per quanto di queste istituzioni la scienza non ha che scarse cognizioni. Ma se noi
esaminiamo la natura giuridica dell’enda e delle famiglie, che compongono le stirpi,
discendenti da un unico capostipite, nel diritto consuetudinario delle popolazioni nord etiopiche
e che confrontiamo tale costituzione con quelle della società italica pre romana e cioè con la
gens e con la famiglia, noi troviamo punti di contatto interessantissimi. La gens, come l’enda, è
l’organismo nazionale e politico primigenio presso i popoli italici, vale a dire un’aggregazione
naturale e territoriale di famiglie, ordinata a ente autonomo e sovrano, innanzi alla formazione
della civica, come il vicus dei popoli germanici, il clan celtico, la fara dei longobardi, gli
highlanders scozzeri, il vic iranico, il villaggio indiano, il mir russo. E la familia pre-romana
corrisponde in molti particolari della sua costituzione al ghebbar nord etiopico.
Né possiamo trarre troppi elementi dagli scritti degli insigni magistrati italiani che,
soprattutto nei primi tempi dell’occupazione, si occuparono di giustizia, quali Mariano
Damelio, Caffarel etc. perché troppo preoccupati della formazione di quei codici, i quali non
poterono mai avere attuazione pratica. Pertanto per la conoscenza effettiva del diritto
consuetudinario locale è molto più utile ricorrere empiricamente alle cause trattate innanzi ai
giudici di costume e innanzi ai commissari e residenti, molti dei quali, giovani modesti ed
intelligenti, hanno lasciato, nelle loro sentenze, una massa preziosissima di accertamenti
consuetudinari, molto utili agli studiosi. Ricordo pertanto la modesta e utile opera di giudici,
svolta da funzionari intelligenti quali il Dott. Avolio, il Dott. Chiti, il Dott. Lauro, il Dott.
Dionisio, senza che con questi pochi nomi voglia dimenticare quelli di moltissimi altri. E non
posso non ricordare l’opera svolta per molti anni, quale capo dell’Ufficio di Giudicatura, da
Giovanni Tornari, persona coltissima e profondo conoscitore del Diritto Consuetudinario, da
Massimo Colucci, oggi primo Presidente della Corte di Appello di Bari, da Orazio Di Mascio,
oggi Consigliere di Cassazione in Italia, che per molti anni, occupandosi della revisione delle
sentenze commissariali, con grande laboriosità e modestia, ha contribuito fortemente a creare
una vera e propria giurisprudenza organica in materia di diritto consuetudinario.
II°
La materia giuridica, che costituisce il diritto consuetudinario in Eritrea, è stata
generalmente accertata e precisata in riunioni o accordi di stirpi, che hanno portato alla
formazione degli statuti locali. Giova rilevar subito che queste riunioni han fissato i principi di
diritto sempre oralmente e che gli statuti scritti risalgono a periodi storicamente molto recenti.
Il Conti Rossini, che ha potuto esaminare migliaia di documenti originali etiopici, non ha
trovato che un solo statuto scritto, ed eccezionalmente in lingua tigrai, e cioè il breve statuto dei
Loggo Sarda che regola un patto fra le sette stirpi del Sarda e il cui originale è scritto sui
margini di due pagine degli evangeli posseduti dalla chiesa di Sarda. Possiamo affermare che la
sola, effettiva depositaria del diritto consuetudinario è la memoria di coloro che sono
intervenuti all’assemblea delle stirpi, tramandata oralmente dai notabili dei paesi “Uogghi”, che
sono intervenuti all’assemblea stessa.
3
E’ strano che uno stato come l’Etiopia, la quale da millenni è sottoposta al potere
imperiale, sia quasi completamente priva di leggi formate dai suoi Re, pur essendo il Sovrano
normalmente l’ultimo Giudice di tutte le controversie. Ma il diritto etiopico non è opera di
sovrani e di principi, fatte rarissime eccezioni, come vedremo per l’Eritrea con l’editto noto con
i nomi di Habsellus e Ghebrecristos.
La ragione per qui l’Etiopia non ha mai avuto una legislazione regale si trova facilmente
nel fatto della costituzione organica della sua popolazione raggruppata in importantissime
costituzioni di genti (l’enda), persona giuridica di una importanza vitale, arbitra, essa stessa,
delle due leggi per un principio di democrazia essenziale, che è proprio della razza camitica.
La maniera con cui il diritto si precisa negli statuti locali è quella dell’accordo o del patto
delle varie stirpi che popolano una determinata regione e che si riconoscono un comune
progenitore. A tale proposito occorre rilevare che meravigliosa è la lucidità mnemonica con cui
dei semplici ed ignoranti Ghebbar riescono a risalire geneologicamente le generazioni
numerose che le ricollegano al progenitore comune a loro ed a altre famiglie: si può dire che
ogni Ghebbar sia una consulta araldica vivente.
Per accertare dunque la consuetudine e precisare il diritto, i rappresentanti delle stirpi si
riuniscono normalmente presso un corso di acqua, che darà il nome all’accordo concluso,
quando questo non lo prenda dal progenitore o da una delle stirpi più importanti.
Questi statuti che raccolgono l’adesione di molte stirpi sono dal Conti Rossini raffrontati
ai “patti” delle genti barbariche quali il pactus alamannorum o il pactus Baiuwariorum, ma la
comparazione non ci convince: più importanti statuti in Eritrea sono certamente la legge degli
Atchemè Melgà del Seraè e lo statuto di Mien Mahza nell’Acchelè Cusai.
Credo che il più antico sia quello degli Atchemè Melgà, raccolto nella seconda metà del
secolo XV, quando i rami principali degli Atchemè Melgà del Tacalà, di Arresa e di Mai Lahan
inviarono i loro delegati ad una assemblea, tenuta in Mai Ghif, per precisare il diritto in uso
presso la loro stirpe: assemblea che, prima di giungere alle sue conclusioni, impiegò circa 7
anni.
I paesi che parteciparono ad una tale assemblea son chiamati paesi “Heggi”, quelli che
discutono e da forma alle norme giuridiche dello statuto, mentre son chiamati paesi “Uogghi”
quelli che sono, per così dire, i depositari effettivi della tradizione.
La legge degli Atchemè Melgà, nel corso dei secoli, ha avuto molte modificazioni,
apportate da successive assemblee, tenute più che altro per ricordare le norme seguite perché,
come già rilevato, il diritto consuetudinario in Eritrea, nelle sue linee essenziali, è rimasto
statico e cristallizzato.
Il Capomazza, che ha pubblicato una raccolta della legge degli Atchemè Melgà ha potuto
avere conoscenza delle norme da parecchi notabili che parteciparono all’assemblea tenuta nel
1873, regnando in Etiopia il Negus Giovanni IV. Una molto recente pubblicazione si ha, in
lingua tigrai, della legge dell’ Atchemè Melgà, quale sarebbe stata revisionata in tempi molto
recenti da una assemblea delle stirpi interessate: ma tale pubblicazione non riscuote la
universale approvazione e non possono esprimere alcun parere sulla sua effettiva
corrispondenza alla tradizione accartata.
La materia di tutti gli statuti, affidati alla tradizione orale, è pressoché uguale per quanto
riguarda le norme di diritto accertate. I principali statuti, esistenti in Eritrea e rispecchianti la
tradizione orale del diritto consuetudinario, oltre ai due già accennati, sono quelli degli
4
Hadegtì, dei Loggo Sardà (del quale come già detto, si ha un’antica relazione scritta), del Mai
Adghì, di Zeban Seraù e di Ennadoco, di Enda Fegrai e del Liban.
III°
Non ci soffermiamo sul Fethà Negast, e cioè sul “Libro della legislazione dei Re”, perché
come è noto, non ha origine etiopica e fu compilato in arabo, verso la metà del secolo XIII da
uno scrittore arabo-copto in lingua araba e tradotto, successivamente in Gheez.
Si tratta di una raccolta di canoni ecclesiastici e di disposizioni relative alla vita civile di
cui esisteva in Eritrea qualche rarissimo manoscritto e che ha avuto una certa diffusione dopo
che il Governo Italiano ne fece curare, da Ignazio Guidi, la nota monumentale edizione e
traduzione. Esistono altri scritti di carattere giuridico, come il Seratè Menghist di origine
etiopica ma tutti di scarsa importanza per la materia che trattiamo.
Venendo invece ad occuparci, in modo particolare, degli statuti scritti, aventi vigore
nell’Hamasien dobbiamo soffermarci innanzitutto sulla legge conosciuta sotto il nome di
“Editto di Habsellus e Ghebrecristus, due Degiacc, che sul finire del secolo XVII, costituirono
nell’Hamasien, il principato delle case di Zazzega e di Hazzega. Tale editto ha avuto per molto
tempo una importanza prevalente in tutto l’Hamasien; ed infatti fino a tempi relativamente
recenti, non esistevano nell’Hamasien altri statuti.
Il Conti Rossini mette l’editto di Habsellus addirittura tra le leggi emanate dai principi, ma
tale editto, come gli altri statuti, fu originariamente approvato e discusso, nelle forme
tradizionali, dagli anziani del Decchi Atescim e furono nell’assemblea paesi “Uogghi” quelli
Zazzega, Tecchelè e Agghbì con un rappresentante; di Hazzegà e Zerai con un rappresentante;
di Zada Cristian e Ghebrecristus con un rappresentante. L’edizione scritta originaria, vecchia di
quasi tre secoli, è rarissima. La personalità storicamente grande, dei degiacc Habsellus e
Ghebrecristus e il grande potere avuto dalla casa di Zazzega, han fatto attribuire senz’altro la
paternità di questo editto ai due principi. Vi è però chi sostiene che tale statuto degli Atescim
sia stato compilato addirittura dopo la morte di degiacc Habsellus e di degiacc Ghebrecristus,
ma ciò contrasta con la tradizione locale che pur riconoscendo l’origine dello statuto in
un’assemblea degli anziani dei Decchi Atescim, attribuisce l’editto ai due celebri signori di
Zazzega i quali avrebbero partecipato personalmente all’assemblea di formazione e avrebbero
avuto l’approvazione dello statuto dal Negus Fasilides.
Così ritiene anche Joannes Koimodin nelle sue “Tradizioni di Zazzega ed Hazzega”. Ad
ogni modo questo statuto, che si differenzia dagli statuti affidati alla tradizione orale, per avere
un’origine certa e una redazione scritta assai antica, nella materia che tratta non è
sostanzialmente diverso dagli altri statuti orali delle popolazioni nord etiopiche, si che
possiamo ritenere che qualunque sia la sua origine effettiva, è espressione della mentalità
giuridica tradizionale, comune a tutte le popolazioni del Mareb Mellaso e dell’Etiopiaq
settentrionale. Come abbiamo già rilevato questo statuto è fondamentale per le genti
dell’Hamasien e gli statuti che, in tempi molto recenti, si sono formati derivano da esso e nulla
apportano di nuovo.
La ragione per cui si sono formati nell’Hamasien questi nuovi statuti deve ricercarsi
innanzi tutto nel fatto che nei primi tempi dell’occupazione italiana avendo il Governo chiesto
5
ai notabili del Decchi Atescim di poter prendere conoscenza del testo ufficiale dell’editto di
Habsellus-Ghebrescristus, i notabili del Decchi Tescim, Tecchelè Agghebà e Menabè Zerai si
riunirono per commentare, prima di presentare al Governo, la vecchia consuetudine dei padri
senza richiedere l’intervento dei rappresentanti degli altri distretti. Questi ne trassero occasione
per chiedere al Governo Italiano l’autorizzazione di conservare statuti indipendenti da quelli
degli Atescim e così nacquero molti di questi statuti nuovi, formulati su vecchie tradizioni
locali, ma sempre sulle linee essenziali dell’editto, l’interpretazione del quale, essendo rimasti
pochi documenti scritti e mal ridotti dal lungo uso del testo originale, veniva richiesto ai paesi
Hegghi e Uogghi che avevano partecipato alle revisioni del vecchio statuto. Così in tempi
relativamente recenti – quasi tutti nell’ultimo trentennio - sono sorti gli statuti dei Loggo Cinà,
degli Scicattè Ansebà, del Sahartì, dei Lamza, del Seleste Uoccherti e del Dambà e dei due
Carnescim.
Molti di questi nuovi statuti hanno una redazione scritta, la quale è conosciuta col nome di
“Defter”.
Per la pratica professionale devo purtroppo dire che il ricorso, nei giudizi a questi defter o
statuti scritti, costituisce un grave intralcio al vero diritto consuetudinario affidato alla memoria
dei partecipanti alle assemblee di formazioni e da essi tramandati. In molti giudizi innanzi ai
commissari regionali e ai residenti, sempre assistiti da un consiglio di notabili, mi è avvenuto
più volte di sostenere una tesi di diritto consuetudinario, soprattutto in materia di diritto
famigliare o successorio. Quando il giudice si rivolgeva ai notabili perché esprimessero il loro
parere sulla tesi ed alcuni di questi avevan cominciato ad esporre il loro giudizio, da parte di
alcuni ammirevole per precisione e senso giuridico, la parte in causa che si sentiva
soccombente si sollevava eccezione perché la norma fosse accertata presso un determinato
defter, custodito nella chiesa di un determinato paese. Di fronte a questa eccezione di ricorso
alla norma scritta, nulla si può fare. Il giudice deve nominare una commissione di notabili che
vada a prendere conoscenza di quanto scritto nel defter e quando la commissione ritorna o non
ha trovato nel defter le indicazioni ricercate ovvero ne riporta delle idee così confuse, che non è
più possibile accertare la realtà del diritto in esame secondo la tradizione orale.
Ritengo pertanto, per quella che è la mia personale esperienza, che questi defter non siano
stati sempre compilati con molta esattezza e costituiscano un grave ostacolo al formarsi di una
giurisprudenza in materia di diritto consuetudinario.
IV°
Quale è la materia giuridica propria del diritto consuetudinario Eritreo, sia nella forma
classica tradizionale orale che nelle forme assunte negli statuti scritti? Possiamo rispondere a
questa domanda che materia giuridica del diritto consuetudinario sono tutti i rapporti che
interessano la vita famigliare di un popolo. Il diritto consuetudinario Eritreo si riferisce quindi
al diritto di famiglia, al diritto successorio, ai diritti reali, ai diritti delle obbligazioni e al diritto
penale.
Prima di entrare nelle future lezioni, nel merito delle singole discipline dobbiamo porre a
base del nostro studio alcuni rilievi di carattere essenziale. Non ci occupiamo per le gravi
difficoltà dell’indagine, delle popolazioni originarie autoctone dell’Etiopia. Gli Eritrei, come
gli abissini del nord, sono l’incrocio di due preponderanti elementi etnici. Sopra una
6
popolazione immigrata di camiti africani si impose una ristretta oligarchia di semiti,
provenienti dall’Arabia del sud, i quali, per circa un millennio, mantennero la loro egemonia:
ma quando nuovi elementi camitici vennero a rinforzare il fondo etnico, preesistente camitico,
l’elemento camitico prese il sopravvento. Abbiamo quindi nell’Etiopia del nord e in particolare
in Eritrea, un popolo che parla lingue semitiche, ma che sostanzialmente, è di razza camitica.
Questa osservazione ha importanza grandissima per la valutazione degli istituto giuridici
fondamentali delle popolazioni nord etiopiche in genere ed eritree in particolare. Una
prevalenza camitica si ravvisa negli ordinamenti famigliari, per quanto influenzati
dall’elemento semitico; mentre la prevalenza camitica appare certa e sicura nei diritti reali e
dell’ordinamento della proprietà terriera, che tanta parte è nella vita delle popolazioni nord
etiopiche. Non vi è dubbio che una prevalenza dell’elemento semitico sia rimasta nel diritto
delle obbligazioni e del diritto commerciale in genere.
Ad ogni modo non è facile poter sceverare nel diritto consuetudinario eritreo quanto
debba attribuirsi all’elemento semitico, quanto debba attribuirsi all’elemento camitico, anche
per la scarsissima conoscenza che ancora abbiamo sul diritto degli antichi semiti d’Abissinia e
dei loro progenitori sud arabici. Ad ogni modo, nel diritto familiare etiopico, vi sono tracce
caratteristiche di istituzioni giuridiche arabe preislamiche, quali il matrimonio per mercede, la
facilità del divorzio, l’istituzione del garante.
Il cristianesimo, apparso in Abissinia all’inizio del IV° secolo e diffusosi rapidamente con
il sorgere della dinastia salomonide, ha certamente anche portato un contributo notevole nella
formazione del diritto consuetudinario, soprattutto nell’eliminare molte asprezze e nel condurre
alla desuetudine molte istituzioni di carattere essenzialmente barbarico, soprattutto nel diritto
penale.
In questo corso non ci occuperemo del diritto delle obbligazioni e del diritto commerciale
perché questa materia o trova pratica soluzione, per le piccole controversie, nelle decisioni dei
capi mercato o, da anni, è sfociata nel diritto delle obbligazioni e soprattutto nel diritto
commerciale italiano, ai quali si ispirano i rapporti di affari e i rapporti commerciali, nonché
una grande parte di ciò che costituisce il diritto delle obbligazioni. Oggi il ceto commerciante
eritreo, applica ai propri rapporti il diritto commerciale italiano e per la risoluzione delle
controversie si rivolge all’autorità giudiziaria ordinaria, in modo che questi rapporti non
trovano più riferimento nel diritto consuetudinario.
Ci occuperemo del diritto penale, soltanto perché nel diritto consuetudinario e negli
statuti, ad esso è riservata ampia parte, ma non vi è dubbio che il diritto penale tradizionale sia
in via di completo esaurimento, in quanto oggi anche le Corti Native applicano il diritto penale
italiano o il diritto dei proclami dell’Amministrazione Britannica.
Materia essenziale del nostro corso sarà quindi il diritto famigliare, il diritto successorio, i
diritti reali con speciale riferimento all’ordinamento delle proprietà terriere. E ci occuperemo
anche del diritto processuale, in quanto conserva tutt’ora forme caratteristiche consuetudinarie,
dalle quali non si può ancora prescindere e che sono utili a conoscere per l’esatta comprensione
dello stesso diritto sostanziale.
Un grave problema s’impone oggi, nell’imminenza della creazione di uno Stato autonomo
Eritreo e cioè che questo Stato, oltre ad avere, come avrà certamente, un codice per il diritto
delle obbligazioni e per il diritto commerciale e come avrà certamente un proprio codice per il
diritto penale, i quali trarranno ispirazione dalle più recenti legislazioni, debba egualmente
7
avere un vero e proprio codice civile, i cui principi derivino dalle legislazioni più progredite
d’Europa o d’America.
Io non credo che ciò possa realizzarsi, in quanto i principi del diritto consuetudinario di
famiglia, delle successioni e dei diritti reali hanno caratteristiche tali che un codice, il quale
prescindesse da esse, non potrebbe avere applicazione pratica.
Il nuovo Stato Eritreo avrà i suoi capaci legislatori: ma questi avranno l’accortezza di
adeguare un diritto, che da secoli è rimasto statico alle nuove forme delle legislazioni più
evolute: ma non bisognerà introdurre il vin nuovo in un otre nuovo: il nuovo diritto che i
legislatori formuleranno, dovrà essere contenuto nell’otre vecchio e cioè, parlando senza
similitudini, le nuove istituzioni giuridiche dovranno plasmarsi sulle istituzioni consuetudinarie
e tradizionali che riposano sopra un fondo etnico e storico, che non può né deve essere
dimenticato o distrutto.
Il diritto consuetudinario civile delle popolazioni nord etiopiche e quindi delle popolazioni
eritree, benché statico da secoli, ha un contenuto etico ed un profondo senso di rigorosa
giustizia che sono caratteristici dell’antica e gloriosa civiltà camitica. Questo diritto
consuetudinario, che noi studieremo ed analizzeremo nel nostro corso, ha tutte le possibilità per
evolversi verso le forme più recenti delle legislazioni moderne, pur mantenendo quella
concezione umana e giustamente severa della vita, che i camiti ebbero ed han conservata
traverso i secoli della loro tormentata storia.
Pertanto, coloro che seguiranno questo corso, avendo la necessaria preparazione giuridica,
vi troveranno il raro interesse scientifico di studiare istituzioni fisiologicamente in atto di vita
reale, mentre altrove, non potrebbero studiarle che sul freddo tavolo anatomico della storia del
diritto.
Asmara, 18 febbraio 1951
8
CORSO DI DIRITTO CONSUETUDINARIO COMPARATO
Lezione IIa
ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA SOCIETA’ NORD ETIOPICA
L’enda e i Ghebbar
Come ho detto nella prolusione, questo corso di diritto consuetudinario sarà limitato al
diritto consuetudinario civile delle popolazioni cristiano copte dell’altipiano Eritreo, con brevi
accenni al diritto processuale civile e penale e al diritto penale tradizionale.
Le popolazioni cristiano copte dell’altipiano Eritreo sono quelle che abitano al di qua del
Mareb, in quella regione storicamente conosciuta come il medrì baar, cioè come il territorio del
mare. Queste regioni dell’altipiano (Hamasien, Seraè,Acchelè Guzai) pur avendo avuto una
vita storicamente spesso indipendente dal resto dell’Etiopia e dallo stato Tigrai, etnicamente e
geograficamente fan parte dell’Etiopia del nord, della quale han comune la formazione
antropologica e linguistica.
L’Africa, secondo una divisione linguistica, può considerarsi costituita da tre grandi zone.
Una è quella che si estende dall’equatore al sud ed è abitata da popolazioni che parlano
prevalentemente la lingua bantù; la seconda è costituita da quella regione che si estende
dall’equatore al Sahara, nella parte occidentale ed ha come confine verso oriente il Nilo: essa è
abitata da popolazioni di razza mista ed incerte: sono popolazioni a carattere prevalentemente
negroidi, misti a caratteri di razza camitica ed il cui linguaggio ha elementi camitici, ma è
abbondantemente caratterizzato da elementi bantù; la terza zona, che è quella che ci interessa,
si estende dal nord del Sahara fino al Mediterraneo e a nord est comprende la valle del Nilo
fino alla Somalia. Mentre la prima zona presenta popolazioni di probabile sopravvivenza
autoctona, la terza zona è popolata di stirpi prevalentemente camitiche, originariamente
emigrate dall’Asia, come le razze semitiche ed ariane.
Secondo il capitolo decimo della Genesi, Cam, figlio di Noè, ebbe 4 figli: Misrain, Cusch,
Cut e Canahan. Da Misraim, discendono gli antichi Egiziani, da Cusch gli Etiopici, da Cut
forse coloro che popolarono la misteriosa terra di Punt. Per i discendenti di Canhan è nota la
maledizione di Noè.
Il ceppo delle lingue camitiche è costituito dall’antico egiziano e copto; dalle lingue
berbere o libiche parlate dalle popolazioni berbere di tutta l’Africa del nord fino alle isole
Canarie; dalle lingue più propriamente cuscite e cioè dalle lingue Begià, Sahc, Agaù, Galla,
Dancala e Somala, nonché dall’antico Abissino anteriore al Gheez e quindi dal Tigrino, dal
Tigrè, dall’Aramaico.
Il carattere prevalentemente semitico delle lingue parlate dagli etiopi non esclude che gli
etiopi siano formalmente cusciti. I filosofi ed i glossologi hanno rilevato nel gheez e nelle
lingue che ne sono derivate il persistere di elementi così nettamente camitici, che trovano
spiegazione nella storia politica dell’Etiopia. Ad ogni popolazione autonoma, di difficile
identificazione etnica ed antropologica, della quale forse sussistono in Eritrea casi di grande
9
importanza, quali quelle dei Baria e dei Cunama, si è certo sovrapposta, alcuni millenni fa, una
emigrazione di razze nettamente cuscite, provenienti dal nord.
E’ poi storicamente noto che più di mille anni avanti Cristo una emigrazione sabaica,
quindi di pura razza semitica, è avvenuta dall’Arabia del sud e questa emigrazione sabaica di
cui possiamo seguire il cammino da Zula ad Axum, di civiltà grandemente superiore a quella
delle popolazioni cuscite residenti nel territorio, assoggettò queste ed impose loro la lingua
semitica, che è rimasta con prevalenza su i nascosti caratteri linguistici conservati, di origine
camitica.
Successivamente, caduta la dominazione semitica e per il prevalere di altre imponenti
emigrazioni camitiche quali quelle degli Agaù, dei Begia e ultimamente dei Galla, il carattere
camitico delle popolazioni Etiopiche è prevalso, sì che oggi noi possiamo dire che l’Etiopia è
popolata da razze cuscite, con soprastrutture di elementi semitiche, soprattutto nell’Etiopia del
nord e in modo particolare in Eritrea e che han conservato lingue semitiche.
Questi rilievi hanno grande importanza nello studio del diritto consuetudinario Eritreo,
che è il diritto delle popolazioni nord Etiopiche, per quanto si riferisce alle popolazioni
dell’altipiano, in quanto nelle istituzioni giuridiche che studieremo, noi troveremo elementi
fondamentali di natura camitica ed elementi persistenti caratteristici delle popolazioni sud
Arabiche preislamiche.
Come sapete, gli Etiopici e soprattutto gli Eritrei, amano ricollegare la loro origine ad una
emigrazione di Tribù ebraiche e soprattutto della tribù Beniamino, della tribù di Levi, della
tribù di Giuda, in quanto Salomone avrebbe voluto che i primo-geniti di queste tribù
accompagnassero in Etiopia il figlio da lui avuto con la leggendaria Regina di Saba, Menelik
I°, che la dinastia salomonica riconosce come suo fondatore.
Si tratta probabilmente di una leggenda, come tutti i popoli ne hanno, quando han voluto
nobilitare la propria origine. Non dobbiamo però essere troppo diffidenti contro le leggende in
quanto abbiamo visto come le leggende che circondano l’origine di Roma e che Mommsen e la
critica storica del secolo XIX avevano distrutte sono state in parte riabilitate da successive
scoperte, soprattutto archeologiche.
Soprattutto in Eritrea esistono tracce formidabili che si ricollegano a questa leggenda della
Regina di Saba, nel nome di molte località e nel nome di molte stirpi.
I Decchi Menab, che costituiscono stirpi estese dell’Hamasien e dell’Acchele Guzai
sarebbero i figli di Beniamino cioè, i discendenti di quegli ebrei che, appartenendo alla tribù di
Beniamino seguirono Menelik I°. Questa leggenda è molto comune nell’Arabia del sud e per
quanto possa giustificarsi con l’avvenimento storico e certo della emigrazione Sabaica in
Etiopia, fa ritenere che un’antica civiltà semitica, che seguiva le leggi e la religione ebraica, si
sia effettivamente stabilita nell’Etiopia del nord soprattutto nell’Eritrea. Con i guerrieri ed i
legislatori ebraici, che seguirono Menelik I° da Gerusalemme, vennero anche operai, orefici
artigiani ai quali ricollegano la loro origine i numerosi Falascià che, abitando gli alti monti del
Semien, il Dembeià ed il Quorà, hanno conservato, per secoli in Etiopia, le leggi di Mosè. A tal
proposito giova ricordare anche un’altra leggenda e che cioè i primogeniti delle tribù ebraiche,
mal contenti di lasciare Gerusalemme, abbiano nascostamente trasportato e nascosto in Axum
le tavole della Legge, già custodite nel Tempio.
Venendo ora a parlare degli elementi costitutivi della società nord etiopica noi diremo che
questa è organizzata a tipo patriarcale come una società completamente dedita all’agricoltura, sì
10
che l’ordinamento della proprietà terriera e l’ordinamento delle famiglie sono strettamenta
collegati.
A prescindere dalle varie forme che può assumere la proprietà terriera noi diremo che
l’organizzazione fondamentale terriera è costituita dal restì, cioè da un complesso di terre che
appartiene indiviso all’Enda, la quale è l’organismo in cui si assommano le famiglie
discendenti da un comune capostipite. Queste numerose famiglie, discendenti da un unico
capostipite e che vivono in uno stesso villaggio o in più villaggi si chiamano con il prenome
“Decchi” al quale segue normalmente il nome del progenitore o dei progenitori. Abbiamo così i
Decchi Atescim, nucleo di famiglie importantissimo dell’Hamasien; abbiamo i Decchi
Adcheme Melegà del Seraè i quali sono costituiti dai discendenti di due fratelli Adchemè e
Melgà, venuti dal Lasta; i Decchi Acchelè Guzai, discendenti anch’essi da due fratelli Acchelè
e Guzai.
Decchi numerosi occupano intiere regioni, ma l’importanza quantitativa dell’Enda è oggi
assai diversa secondo le vicende storiche subite dall’Enda stessa.
L’Enda etiopica trova in tutte le società arcaiche semitiche e non semitiche e cioè anche
ariane, forme corrispondenti nelle società patriarcali dedite all’agricoltura, simili all’Enda quale
la gens pre romana, il vicus germanico, il clan celtico, la fara longobarda, gli Highlanders
scozzesi, il vic iranico, i villaggi indiani, il mir russo.
La definizione che i romani danno della gens latina si adatta perfettamente alla definizione
della gens etiopica. Scrive infatti ilo Bonfante: “La gens è l’organismo nazionale e politico
primigenio presso i popoli italici vale a dire una aggregazione naturale e territoriale di famiglie,
ordinate a comune autonomo e sovrano”.
Non saprei dare una più precisa definizione dell’Enda etiopica, in quanto in uno stato, che
pure da millenni è retto da monarchia, l’Enda, come la gens costituisce identità della famiglia e
dello Stato.
Come scrive lo Jehring (Esprit du droit romain), per la gens anche l’Enda è “identità della
famiglia e dello stato: una famiglia con carattere politico, in cui il carattere politico reagisce
sull’elemento famigliare, come questo scolorisce l’elemento politico”. Il capo del villaggio, che
è il capo dell’Enda, è in se assistito dal consiglio degli anziani, poteri che hanno assai oltre a
quello sulla famiglia, come semplici aggregati naturali e riveste poteri amministrativi, giudiziali
e politici innanzi ai quali si arresta l’autorità dello stato e del Sovrano, mentre dalle riunioni
delle genti, che popolano un determinato territorio, nasce l’ordinamento giudiziario e la legge
che regola l’intiera vita delle stirpi ed al quale il potere Sovrano è rimasto sempre indifferente
ed estraneo.
La definizione di Paolo Diacono può bene attribuirsi ad ogni ghebbar: “gentilis diciture t
ex ecdem genere ortus et is cui simili nomine appellatur”. L’enda può suddividersi, secondo le
coincidenze tra l’estensione territoriale e il numero delle famiglie, in varie stirpi, le quali
localmente vengono designate con il prefisso “addi” al nome della località abitata.
Naturalmente dell’Enda possono venire a far parte anche stranieri dell’Enda stessa, che
han trovato ospitalità nel villaggio pur discendendo da capostipite diverso. Su ciò torberemo
quando ci occuperemo dell’organizzazione della proprietà terriera e dei diritti dei restegnà, i
quali sono i capi dei diversi ghebbar, cioè delle famiglie che pagano il tributo per le terre del
restì, che hanno in assegnazione temporanea.
11
L’organizzazione politica etiopica è a fondo essenzialmente democratico, a differenza
delle popolazioni del bassopiano occidentale, cui eventi storici han dato una organizzazione
nettamente aristocratica. I diritti dei ghebbar sono identici per tutti, nell’agglomerato dell’Enda.
Ciò non impedisce che nella regione esistano famiglie di nobili, i quali posseggano
territorialmente il gultì ed esercitino sul restante della popolazione un diritto politico che ad
essi proviene dal sovrano, ma che trova, come il potere di questo, limitazione perentoria al
nucleo politico costituito dall’Enda. Il carattere fondamentalmente democratico della società
etiopica non impedisce che esistano delle classi inferiori. Alcuni artigiani, tra i quali gli orefici
o i fabbri ferrai, sono considerati come appartenenti a classi inferiori di fronte alla distinzione
innata di coloro che esercitano invece l’agricoltura e che sono nobilitati dalla proprietà terriera.
Queste distinzioni di classe vanno sparendo, ma bisogna pur tuttavia segnalarle in quanto
hanno ancora tracce che notevolmente permangono nei sentimenti profondi ed inconsci della
popolazione. In tempi ancora recenti io mi son dovuto occupare di processi per diffamazione o
per ingiurie promossi da orefici o da fabbri, che si ritenevano offesi dal persistere delle
manifestazioni su superstizioni, tutt’ora vive nei loro riguardi.
La schiavitù è completamente scomparsa dall’Eritrea e pertanto non esiste classe di
persone che per essere pervenute più o meno recentemente alla libertà per una emancipazione
dallo stato servile, costituisca una classe a sé stante o comunque inferiore di fronte alle altre
classi della popolazione.
Rileviamo, infine, a titolo storico, che la situazione degli schiavi in Etiopia non è stata mai
così gravemente lesiva dei diritti della persona come la schiavitù nella società Romana e che lo
schiavo ha fatto spesso parte della famiglia etiopica come un aggregato alla stessa.
Edizione a cura dell’Associazione Italo-Eritrei
Come vedremo in seguito il pagamento del prezzo del sangue è il guidrigildo, cioè il
prezzo che l’omicida o i parenti dell’omicida pagano alla famiglia dell’ucciso per conciliare la
vendetta di sangue che nasce dall’omicidio ed estinguere il diritto degli offesi alla vendetta
stessa.
Questa parificazione della violazione del fetzmì all’omicidio è logica perché la formula
del fetzmì: “menghestì mut” “Negus mut” e cioè “muoia il governo o il sovrano, se io non
osservo la decisione”, trasferisce l’obbligazione assunta da una sfera meramente privata, ad una
sfera di diritto pubblico, mettendo di fronte il sovrano od il governo al prestatore del fetzmì e
facendo considerare l’inevasione al fetzmì come una decisione simbolica del Re.
Tutte le controversie in materia civile, senza esclusioni, possono essere oggetto di
compromesso arbitrale e di evoluzione alla decisione degli sciumagallè, i quali, come i nostri
arbitri amichevoli compositori, decidono a maggioranza di voti e secondo i principi di equità,
inappellabilmente.
Il giudizio civile in primo grado si svolge, come abbiamo già detto innanzi al dagna,
assistito da un consiglio di notabili, che han voto soltanto consultivo e il dagna è giudice unico.
Tradizionalmente il giudizio si svolge in luogo pubblico (baitò), possibilmente sotto un grande
albero, come ogni riunione del mahaber, l’assemblea amministrativa del villaggio.
12
Il processo civile consuetudinario si inizia, come il nostro processo civile, con un atto di
parte di evocazione del contenuto in giudizio e che consiste in una intimazione, fatta
direttamente dall’attore, adoperando una formula, detta ghezzì, in nome del Re o del Governo:
zeban negus, zeban menghistì.
L’intimazione del ghezzì non è un istituto soltanto processuale, ma può essere fatto ed è
fatto, per i più diversi motivi.
Il ghezzì, è pertanto talvolta gravemente abusivo e come tale deve essere severamente
punito.
Il Pollera, nella sua monografia, sull’Ordinamento Giudiziale e la procedura in Etiopia,
racconta molti esempi di ghezzì abusivo, tra i quali l’intimazione a qualcuno di non parlare, di
non mangiare, etc.; intimazioni alle quali, secondo consuetudine, l’intimato deve obbedire e
non può sciogliersene, se non ricorrendo al Giudice.
27 Febbraio 1951
Edizione a cura dell’Associazione Italo-Eritrei
13