LE TECN NELLA Come valutare la compet LE
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LE TECN NELLA Come valutare la compet LE
UNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE UNINETTUNO FACOLTÀ DI PSICOLOGIA Corso di Laurea in Discipline Psicosociali Elaborato finale in Didattica e nuovi media LE TECNOLOGIE NELLA SCUOLA Come valutare la competenza digitale degli alunni Relatore Prof. Luciano Di Mele Candidato Maria Rosalia Candolfo Matricola 2369HHHCLDIPSI Anno Accademico 2014/2015 INDICE INTRODUZIONE p. 3 CAPITOLO PRIMO Competenza digitale 1.1. Le nuove tecnologie nel contesto didattico p. 6 1.2. Definizione del concetto di competenza p. 8 1.3. Principi fondamentali della media education p. 11 CAPITOLO SECONDO Una nuova era 2.1. Nativi digitali p. 15 2.2. Immigrati digitali p. 18 2.3.Nuovi ambienti digitali per l’apprendimento p. 20 CAPITOLO TERZO Come valutare la competenza digitale 3.1. L’importanza della valutazione p. 24 3.2. L’iDCA p. 25 3.3. L’iDCA per la scuola primaria p. 27 3.4. L’iDCA nel contesto universitario p. 29 CONCLUSIONI p. 31 BIBLIOGRAFIA p. 33 SITOGRAFIA p. 37 2 INTRODUZIONE Le continue e complesse trasformazioni che caratterizzano la società attuale determinano un cambiamento nello stile di vita, influenzando il nostro modo di comunicare e di rapportarci agli altri. La diffusione sempre maggiore delle nuove tecnologie e l’affermarsi di una nuova cultura sempre più digitale hanno generato un progressivo mutamento delle nostre abitudini e parallelamente hanno modificato i nostri paradigmi comunicativi e cognitivi. La portata di tali cambiamenti ha anche degli effetti su tutte quelle agenzie educative deputate alla trasmissione del sapere: le scuole. I nuovi media, infatti, non sono solo delle macchine, ma veri e propri sistemi di conoscenza, caratterizzati da fluidità, contaminazione ed interattività. Obiettivo della presente tesi è ampliare la riflessione sul concetto di competenza digitale nella scuola primaria, partendo dalla consapevolezza che la competenza digitale rappresenta una sfida rilevante per i sistemi educativi del nostro secolo, venendo a profilarsi come una condizione necessaria per vivere nella società della conoscenza. Le tecnologie completano e attraversano le singole discipline, consentendo alla scuola di ampliare e diversificare le modalità didattiche ma anche i processi di apprendimento. Ciò comporta una ridefinizione delle funzioni stesse della scuola ma anche una riflessione sullo spazio che la competenza digitale trova nei vari programmi di insegnamento. In particolare il primo capitolo affronterà il tema delle nuove tecnologie nel contesto scolastico, cercando di ampliare il significato dei concetti di competenza digitale e di media education. L’interazione con gli strumenti digitali diventa essenziale per ridefinire le proprie esperienze e costruire il nuovo sapere. 3 Il secondo capitolo sarà dedicato all’identità del nativo digitale, i cui modi di comunicare si differenziano sempre di più da quelli del “migrante digitale”. E’ cruciale quindi la relazione del nativo con il migrante perché questa determina la natura della interazione di entrambi con le tecnologie digitali. Il terzo capitolo è, infine dedicato alla valutazione della competenza digitale, partendo dal presupposto che qualsiasi competenza non si può cogliere direttamente, ma se ne possono misurare le sue manifestazioni. Particolare attenzione è dedicata al modello DCA elaborato da Calvani (2010). Quando si intende sviluppare la competenza digitale nel contesto scolastico, spesso ci si imbatte in difficoltà che riguardano la definizione di obiettivi circoscrivibili e verificabili, lo strumento presentato abbraccia l’ottica della flessibilità ed integrazione, proponendosi come un mezzo rapido di verifica ed integrando conoscenze di natura tecnologica, abilità cognitive e relazionali. 4 PRIMO CAPITOLO: La Competenza digitale 5 1.1. Le nuove tecnologie nel contesto didattico La rivoluzione tecnologica cui assistiamo negli ultimi anni non poteva non coinvolgere la scuola, determinando l’utilizzo di nuove metodologie didattiche e l’affermazione di nuovi modelli di apprendimento. L’ambiente scolastico risulta particolarmente complesso e delicato contemporaneamente, perché se l’innovazione tecnologica è la protagonista dei principali cambiamenti che coinvolgono la nostra società, la scuola non può ignorare i cambiamenti del contesto sociale e considerare la tecnologia come una fonte di sapere e non solo come un insieme di competenze funzionali a qualsivoglia apprendimento. Come afferma Calvani (2000), “la storia dell'introduzione delle tecnologie nella scuola presenta uno strano paradosso: è una storia tanto densa di fallimenti quanto di esaltazioni; tanto più eccitata appare la frenesia del momento innovativo tanto più estemporanea appare la durata dell'innovazione” (p. 1). L’utilizzo delle tecnologie nel contesto scolastico si deve a Skinner che nel 1954 ha pubblicato l’articolo “The science of Learning and the art of the teaching”. Lo studioso, descrivendo la sua teoria comportamentista basata sull’utilizzo di rinforzi positivi o negativi, ha sottolineato le difficoltà dei docenti di offrire agli studenti un feedback nei vari contesti di apprendimento, impedendo in questo modo il consolidamento dei concetti. Per ovviare a tale difficoltà Skinner prevede l’utilizzo di macchine, che seguono delle azioni programmate. Le lezioni vengono suddivise in moduli, al termine di ogni modulo lo studente risponde ad una serie di domande che, se corrette, gli consentono di passare al modulo successivo. Questo articolo segnò l’inizio di una serie di studi che si sono concentrati sull’istruzione programmata e sulla possibilità di utilizzare le macchine nei vari contesti di apprendimento. In particolare nel mondo anglosassone è stato coniato 6 il termine Educational Technology per indicare il nuovo settore disciplinare, furono inventate le cosiddette teaching machines, macchine intelligenti, con l’obiettivo di giungere ad una programmazione programmata. Si trattava di software di matrice comportamentista, che enfatizzavano la partecipazione attiva, il feedback immediato, le sequenze di apprendimento. Questo modello non è stato esente da critiche, che hanno messo in evidenza come in questo modo il discente si viene a trovare in uno stato di passività, viene meno poi la relazione educativa, infine sembra che vi sia poca interiorizzazione cognitiva dei contenuti di apprendimento. Tuttavia, non si possono non sottolineare gli effetti positivi delle nuove tecnologie, infatti, come sottolinea Calvani (1995), “il computer è un utensile per l’espressione e l’organizzazione personale della conoscenza, agisce da amplificatore cognitivo, come mezzo capace di captare con più immediatezza i processi interni della prima fase creativa rispetto ad altri mezzi, rendendo altresì più agile la manipolazione successiva alla ricerca di nuove soluzioni” (p. 75). Se il modello comportamentista ha segnato l’inizio dell’utilizzo delle tecnologie nei processi di apprendimento è necessario ricordare anche i contributi di altri due modelli, quello cognitivista e quello costruttivista. La prospettiva cognitivista considera la mente umana come un elaboratore di informazioni paragonandola ad un computer. Secondo i cognitivisti nell’ambito di qualsiasi insegnamento occorre tenere presente i fattori interni all’individuo, dunque non è solo importante raggiungere gli obiettivi didattici, ma diventa fondamentale comprendere quali sono i fattori cognitivi che sono alla base dell’apprendimento. L’applicazione di queste teorie ha portato allo sviluppo della prospettiva costruttivistica, che concepisce la conoscenza come costruzione attiva di significati da parte del soggetto, mediante processi di negoziazione e collaborazione sociale e non come passaggio di nozioni dal docente o da parte 7 della macchina al discente. Secondo Jonassen (1994) “è proprio dalla collaborazione e dalla negoziazione sociale che sono favoriti i processi d’apprendimento, perché, attraverso il dialogo e l’esame delle diverse prospettive, il discente diventa ben informato, in grado di pianificare e di prendere decisioni” (p. 34). In Italia l’interesse per le tecnologie didattiche si è sviluppato a partire dagli anni Settanta, ma l’introduzione dei primi computer nel contesto scolastico è avvenuta solo negli anni Ottanta, periodo in cui si cominciava ad affermare l’importanza formativa delle tecnologie dell’informazione. Nel nostro paese rispetto ad altri paesi siamo in ritardo ma non possiamo trascurare il contributo di molti studiosi e ricercatori italiani che hanno portato allo sviluppo di diversi studi sull’importanza delle tecnologie nel contesto didattico. È stato Rinaldo Sanna a parlare per primo di Tecnologie Didattiche e a creare proprio un istituto di ricerca a Genova (Olimpo, 1993). È chiaro comunque che qualsiasi percorso di riflessione sull’applicazione delle tecnologie nell’ambiente scolastico implica una rilettura delle finalità educative e formative, al fine di comprendere come i nuovi mezzi di comunicazione non sostituiscano i metodi tradizionali piuttosto veicolano la promozione di nuove competenze. 1.2. Definizione del concetto di competenza La definizione di “Digital competence” è strettamente legata a quella di “Digital Literacy”. In realtà esistono una varietà di termini, utilizzati a livello internazionale, per riferirsi all’utilizzo delle tecnologie. 8 Gilster (1997) è stato il primo studioso ad utilizzare i termini “digital literacy”, prestando più attenzione alla componente cognitiva del pensiero più che alle abilità pratiche. Tornero (2004,) sostiene, invece, che la digital literacy integri capacità differenti, comprendendo “aspetti puramente tecnici, competenze intellettuali e anche competenze legate alla cittadinanza responsabile” (p.31). Buckingam (2007) nell’ambito degli studi sulla Media Education ha dato importanza alla comprensione critica dei media e del loro impatto a livello sociale. Calvani così scrive in un articolo del 2008 “la competenza digitale consiste nel saper esplorare ed affrontare in modo flessibile situazioni tecnologiche nuove, nel saper analizzare, selezionare e valutare criticamente dati e informazioni, nel sapersi avvalere del potenziale delle tecnologie per la rappresentazione e soluzione di problemi e per la costruzione condivisa e collaborativa della conoscenza, mantenendo la consapevolezza della responsabilità personali, del confine tra sé e gli altri e del rispetto dei diritti/doveri reciproci” (p. 122). Si comprende da queste parole come diventa particolarmente importante conoscere le nuove tecnologie, per riuscire in questo modo ad andare di pari passo con i cambiamenti che investono la società. Secondo Calvani (2008) il concetto di competenza digitale ha diverse implicazioni, infatti è: • multidimensionale: integra aspetti differenti, cognitivi, relazionali, sociali e per questo non è univoco e lineare; • complesso: essendo costituito da diversi elementi non può essere valutato con una singola prova, ma necessita di tempi lunghi per la valutazione; • interconnesso: è legato ad altre capacità, come metacognizione, induzione, deduzione, problem solving; 9 • strettamente connesso con il contesto socio-culturale: si può declinare in ambiti differenti, a livello professionale, scolastico, specialistico. La letteratura internazionale sottolinea la natura stratificata del concetto di “Digital Competence” proponendo un modello a tre dimensioni (ETS, 2002): • dimensione tecnologica: implica un insieme di capacità, nozioni e abilità che permettono di scambiare informazioni utilizzando le tecnologie più adatte per affrontare specifici problemi; • dimensione cognitiva: riguarda la capacità di saper valutare e selezionare le informazioni che sembrano più pertinenti e affidabili; • dimensione etica: coinvolge il sapersi relazionare con gli altri, manifestando un atteggiamento di rispetto ma anche di tutela da eventuali rischi. Calvani, Fini e Ranieri (2009) hanno inserito le tre dimensioni all’interno di uno schema (fig.1) che sintetizza le caratteristiche fondamentali del modello. 10 Figura 1. Digital Competence Framework (Calvani, Fini, Ranieri, 2009) Questo modello è particolarmente importante perché ha costituito la base per la costruzione di uno strumento che consente di valutare la competenza digitale nell’ambito scolastico. Del resto lo sviluppo delle tecnologie implica inevitabilmente la necessità di interrogarsi sul posto che occupano a scuola e sul modo in cui hanno modificato i processi comunicativi. 1.3. Principi fondamentali della Media Education La riflessione sulle tecnologie didattiche necessita di prendere in considerazione il rapporto tra comunicazione ed educazione, ambito che negli ultimi anni è stato affrontato dagli studi sulla Media Education, termini che vengono utilizzati per indicare tutte quelle riflessioni critiche ed operative prodotte in relazione ai media, che rappresentano una risorsa importante per il percorso formativo. Pavlic in un rapporto del 1987 scrive che per Media Education si intende “lo studio, l’insegnamento e l’apprendimento dei moderni mezzi di comunicazione ed espressione considerati come specifica ed autonoma disciplina nell’ambito della teoria e della pratica pedagogiche, in opposizione all’uso di questi mezzi come sussidi didattici per le aree consuete del sapere, come ad esempio la matematica, le scienze e la geografia” (p.32). Si comprende come la Media Education spinga a focalizzarsi sui percorsi d’educazione, con riferimento agli aspetti etici e valoriali della comunicazione mediale. Come scrive Corradini (2004) la sua funzione è quella di “costruire mentalità aperte, flessibili, problematiche, capaci di ricercare, comparare, non fermandosi alle soluzioni apparentemente più facili, di utilizzare correttamente i diversi registri del pensiero, da quello etico a quello scientifico, a quello tecnico11 operativo, a quello politico, sulla base di un consistente patrimonio di conoscenze, esperienze, testimonianze, relazioni” (p. 22). Uno dei primi principi sulla Media Education è quello di non considerarla come una tutela dagli strumenti tecnologici, bensì come un allenamento alla cultura mediale, favorendo una nuova consapevolezza sulla comunicazione e sui suoi mezzi. L’obiettivo è quello di avviare una riflessione critica sui media, sul loro utilizzo e sui loro effetti. Rivoltella (2001) a proposito della Media Education così scrive: “quel particolare ambito delle scienze dell’educazione e del lavoro educativo che consiste nel produrre riflessioni, strategie operative in ordine ai media intesi come risorsa integrale per l’intervento formativo” (p. 37). Si evince da queste parole la necessità di adattarsi ai cambiamenti che stanno investendo la nostra società, gli sviluppi tecnologici non possono essere ignorati, al contrario, i media veicolano il sapere attraverso nuovi linguaggi comunicativi. Secondo lo studioso sono, inoltre, tre gli ambiti di interesse della Media Education: • tecnologico, che riguarda il rapporto dell’educazione con i media, nello specifico le caratteristiche del loro utilizzo; • critico, inteso come ambito che cerca di educare ai media favorendo la comprensione dei messaggi, poiché spesso influenzano il comportamento. Dice Eco (2000) “l’analisi dei media non si riduce semplicemente al dictum (il messaggio), ma anche al dicĕre (atto di comunicazione), che in un processo di analisi considera non solo le strategie di costruzione del testo, ma anche l’intenzionalità del produttore e le sue attese rispetto all’ipotetico fruitore (lettore o spettatore modello)” (p. 35); • produttivo, che sottolinea la necessità di un’educazione per i media, enfatizzando le caratteristiche espressive dei media. 12 È molto importante sottolineare come la Media Education si allontani progressivamente da una visione costruttivistica della conoscenza, centrata sul soggetto che apprende, per dare maggiore enfasi non solo all’identità del soggetto ma anche al contesto socio-culturale. Secondo Caronia (2002) “lo spettatore si trasforma in un interlocutore attivo e reattivo che interiorizza e rielabora le informazioni e gli input provenienti da più cornici socioculturali attraverso continui processi di interpretazione situati. Queste stesse cornici condizionano il rapporto medium/bambino: la condivisione, infatti, ed il parlare di media in famiglia o a scuola con il linguaggio dei media consentono agli individui di costruire un lessico e un pensiero comune” (p. 98). Ancora una volta si comprende come non esista un sapere univoco, ma è sempre più interdisciplinare ed interconnesso. Per questo, obiettivo primario della Media Education è quello di avviare una riflessione critica sui nuovi sistemi di comunicazione, non cerca di sviluppare conoscenze sui media, quanto di promuovere lo sviluppo di un pensiero critico. Scrive Masterman (2004) che è opportuno promuovere un’autonomia critica ma, “autonomia critica [significa imparare a] sostenere la propria posizione critica cercando di sapere da dove vieni e di capire da dove vengono le tue interpretazioni” (p. 6). È in questo modo che si manifesta il vero valore potenziale di qualsiasi strumento tecnologico, che è quello di arricchire e migliorare l’apprendimento, realizzando un approccio didattico attivo e collaborativo. 13 SECONDO CAPITOLO: Una nuova era 14 2.1. Nativi digitali È stato Prensky (2001) a parlare per la prima volta di nativi digitali, per indicare tutti quei giovani che, crescendo con le tecnologie multimediali, hanno familiarizzato con i nuovi mezzi di comunicazione. Prensky considera gli studenti nati dopo il 1985 come la prima generazione di nativi digitali, i veri madrelingua del linguaggio mediale, generazione che ha avviato un nuovo approccio alla conoscenza, determinato dalla portabilità, fluidità, usabilità, circolarità. I nativi digitali sono nati e cresciuti in un contesto sociale completamente influenzato dalla tecnologia, computer, smartphone, tablet, e-book sono parte integrante delle loro vite e a partire dal 2007 i nuovi sistemi touch hanno reso il rapporto con la tecnologia ancora più stretto, se si considera che con i nuovi schermi multitouch tutto è più immediato e semplificato. Scrive Longo (2004) che i nativi digitali sono in simbiosi con i media, non ricorrono ad essi per svagarsi dalla vita quotidiana, ma formano un tutt’uno. Secondo Veen (2003) “questa generazione mostra comportamenti di apprendimento differenti dalle generazioni precedenti; in particolare, apprendere attraverso schermi, icone, suoni, giochi, ‘navigazioni’ virtuali e in costante contatto telematico con il gruppo dei pari significa sviluppare comportamenti di apprendimento non lineari, come quelli alfabetici e gutenberghiani” (p. 5). In Italia è stato Paolo Ferri, docente presso l’Università Bicocca di Milano, a sostenere le tesi di Prensky e a parlare di nativi digitali, proponendo una divisione in tre tipologie: • nativi digitali puri, con un’età compresa tra 0 e 12 anni, che utilizzano il web 2.0 e che hanno avuto un rapporto precoce con le nuove tecnologie; • millennials, di un’età compresa tra i 14 e i 18 anni; 15 • nativi digitali spuri, tra i 18 e i 25 anni, che possono essere rappresentati anche dagli studenti universitari che ricorrono al sistema di navigazione del tipo web 1.0 (Ferri, 2011). Ferri e Mantovani (2008) sostengono, in un loro saggio, che i nativi digitali non solo hanno dato vita ad un nuovo tipo di apprendimento, determinato dal multitasking, cioè dalla capacità di utilizzare le tecnologie contemporaneamente ad altre attività, ma anche apprendono dall’esperienza, modulando, così, le loro facoltà intellettive. Secondo Prensky (2009) per comprendere a fondo l’intelligenza dei nativi digitali è opportuno parlare anche di saggezza digitale, concetto che ha un doppio significato. Da una parte indica la facoltà di ampliare la conoscenza maggiormente rispetto a quanto le potenzialità del soggetto possano offrire, dall’altra parte si riferisce al fatto che si verifica, attraverso l’uso delle tecnologie, un miglioramento delle capacità cognitive. I nativi digitali giungono ad un potenziamento digitale, gli strumenti digitali migliorano le loro capacità, amplificano la memoria, consentono di fare scelte più pragmatiche. Sempre lo stesso studioso parla a tal proposito di Homo Sapiens Digital, che si distingue dagli altri uomini per due aspetti: accetta il miglioramento offerto dalle tecnologie come aspetto fondamentale della sua vita, giunge con tale potenziamento a delle decisioni più sagge. I nativi, come sostiene Ferri (2008), dunque sviluppano nuove modalità di apprendimento caratterizzato da alcuni aspetti: • tendenza all’espressione di sé; • sharing, cioè condivisione di informazione; • peering, rapporto con i pari; 16 • approccio ludico. Quest’ultimo aspetto non è da ritenere secondario solo perché si tratta di giochi, infatti, proprio i nuovi giochi digitali amplificano le capacità delle mente, stimolano l’attenzione selettiva, spingono a cogliere la differenziazione dei ruoli, spingono il giocatore a cercare sempre nuove soluzioni ai problemi emersi. Ma i videogiochi, secondo Ferri, rappresentano solo la parte visibile di un iceberg. I nativi hanno a disposizione blog, iPod, Msn messenger, chat, aule virtuali, facebook, utilizzano questi estensori della mente contemporaneamente, non si pongono nemmeno il problema del sovraccarico cognitivo, infatti passano da uno strumento all’altro con facilità, costruendo il loro sapere con una modalità open source. Se nel tempo diverse ricerche si sono concentrate sul costrutto di nativi digitali è anche vero che in letteratura esistono critiche sull’esistenza dei nativi digitali. Tavosanis (2011) non condivide le tesi di Prensky e di Ferri, sostiene infatti che non ci siano differenze tra nativi e non, così scrive in un recente libro, “che usino o no gli strumenti digitali, bambini e ragazzi del mondo industrializzato continuano in sostanza ad apprendere e interagire in un modo che nella sostanza è invariato – anche se in alcune manifestazioni presenta qualche novità superficiale, e a volte affascinante”. Secondo Batini (2013), il problema, non sta nel digitale quanto nella capacità di trovare delle nuove modalità per rapportarsi con i giovani nati nel mondo delle tecnologie, dice lo studioso che “ai sistemi di istruzione è richiesto allora, oggi, di modificare il proprio impianto e le proprie modalità, rimanendo immutato il loro obiettivo: consentire alle persone e alle comunità di vivere insieme in un sistema fondato sui reciproci diritti, riconosciuti a tutti, e doveri condivisi e dei quali ciascuno sia responsabile […] la loro principale virtù 17 consiste nel permettere, se correttamente intese, di porre al centro del processo di apprendimento il soggetto che apprende” (p. 8). Si comprende da queste parole come i cambiamenti tecnologici che stiamo vivendo sono utili per ampliare la crescita e l’apprendimento, ma alle nuove tecnologie dobbiamo affiancare un cambiamento del nostro atteggiamento in generale. 2.2. Immigrati digitali La riflessione sui nativi digitali resta incompleta se non si prendono in considerazione tutte quelle persone che specularmente ai nativi digitali sono stati definiti immigrati digitali. Con questi termini si indicano tutte quelle persone, che pur essendo inserite in un società sempre più tecnologica, hanno forti inerzie nell’utilizzare in maniera abile i nuovi media. I docenti e i genitori dei nativi digitali appartengono a questa categoria. Scrive Prensky (2001) che gli emigranti digitali “sono protagonisti di un processo di socializzazione differente da quello che sta investendo i loro figli; stanno imparando una nuova lingua. E un linguaggio appreso più tardi nella vita – ce lo dice la scienza – investe una parte differente del cervello” (p. 2). Una delle differenze più significative tra nativi e immigrati riguarda non solo il loro approccio alle tecnologie, ma anche il loro modo di pensare. Gli immigrati, avendo assimilato il linguaggio mediale tardivamente non riescono ad eseguire operazioni rapide ed immediate, piuttosto necessitano di pensare non con la “lingua digitale”, ma con la propria ed effettuare in un secondo momento la “traduzione”. L’immigrato, ad esempio, ha bisogno di stampare una mail o un documento per poterci lavorare sopra manualmente, atteggiamento che può essere paragonato a quello di uno straniero che arriva in un 18 nuovo paese, potrà imparare la lingua, assimilare i nuovi usi e costumi, ma manterrà sempre il proprio accento. Si tratta di una modalità di approccio alla tecnologia che non è da condannare, ma che potrebbe creare un divario tra nativi ed immigrati in molti contesti, come nelle scuole. Ferri (2008) sostiene che la rivoluzione digitale cui assistiamo abbia creato tre aree di tensione: • creazione di un gap generazionale, se al tempo di Gutenberg generazioni diverse riuscivano ad utilizzare gli stessi codici comunicativi, oggi i media hanno un effetto diverso su vecchie e nuove generazioni; • frattura culturale tra genitori e figli, tale da determinare l’impossibilità di potere condividere esperienze intergenerazionali; • difficoltà da parte dei più piccoli a sviluppare una competenza critica sui media senza la guida dei genitori o degli insegnanti. È bene sottolineare che i genitori e gli insegnanti sono sì migranti, tuttavia sono riusciti nel tempo ad avere una buona padronanza delle tecnologie, anche se in misura differente rispetto ai nativi. Ciò che li differenzia è la tipologia di utilizzo delle tecnologie. Scrive a tal proposito Rivoltella (2006) “la nostra ricerca mostra come l’opinione che gli adulti hanno dei media sia fondata principalmente su un utilizzo strumentale della tecnologia, funzionale solamente alla realizzazione di un compito preciso. La diversa cultura mediale dei genitori rispetto a quella dei figli evidenzia un gap di conoscenza che spiega l’assenza diffusa della famiglia rispetto a queste tematiche. I genitori sono poco presenti (e non solo perché gli impegni lavorativi li tengono spesso fuori casa) e quando lo sono si limitano generalmente a moderare i consumi mediali dei giovani sia dal punto di vista temporale che in particolare per i ragazzi più giovani” (p. 186). Ferri e Mantovani (2006, 2008) 19 hanno condotto diverse ricerche, che hanno preso in considerazione la relazione tra genitori (immigrati digitali) e figli (nativi digitali). I risultati hanno messo in evidenza che tra i genitori si sviluppa un sentimento di rassegnazione positiva, nell’utilizzo della tecnologia, che deve essere utilizzata anche per esigenze professionali. Anche gli insegnanti sono immigrati digitali, in quanto legati al linguaggio gutenberghiano e spesso distanti da una vera familiarità nell’utilizzo delle tecnologie. Al di là delle differenze tra nativi ed immigrati digitali, non si può non tenere conto del fatto che i media sono una parte integrante della vita di tutti i giovani, cambia la società, cambia la scuola, ma deve cambiare anche il modo di guardare le tecnologie per considerarle come un mezzo in grado di ampliare il sapere. Così scrivono Ravotto e Fulantelli (2001) “gli insegnanti devono imparare a dialogare, comunicare, scambiare significati con i loro studenti nell’ambiente in cui essi vivono, nella tecnologia digitale. E dunque è indispensabile che gli insegnanti si abituino a vivere anche loro in quell’ambiente, ad essere connessi, a fare rete…” (p. 95). 2.3. Nuovi ambienti digitali per l’apprendimento Le tecnologie sono ormai ampiamente utilizzate nel contesto scolastico, lim, registro digitale, e-book, tablet testimoniano il processo di apertura della scuola ai media. Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza che la scuola non rappresenta l’unico luogo di trasmissione del sapere, assistiamo ad un cambiamento non solo delle forme di educazione, ma anche degli ambienti di apprendimento. 20 Calvani (2000) fornisce una chiara concettualizzazione di ambiente di apprendimento, definendolo “come un luogo in cui coloro che apprendono possono lavorare aiutandosi reciprocamente, avvalendosi di una varietà di risorse e strumenti informatici, di attività di apprendimento guidato o di problem solving. Gli ambienti possono: • offrire rappresentazioni multiple della realtà; • evidenziare le relazioni e fornire così rappresentazioni che si modellano sulla complessità del reale; • focalizzare sulla produzione e non sulla riproduzione” (p. 19). Ciò che emerge da questa definizione è l’importanza della dimensione dell’interattività nel soggetto che apprende. Attraverso l’utilizzo dei media non si è più spettatori nel processo di formazione della conoscenza, ma si diventa attori nella selezione delle varie forme di sapere. Lo studente ha a disposizione una miriade di informazioni, che vanno al di là del tempo e dello spazio, il ruolo del docente è quello di coordinare i vari processi di apprendimento, fornendo feedback sistematici. Nasce, così, una forma di apprendimento di tipo immersivo, che porta al superamento della trasmissione del sapere, che va oltre la rappresentazione testuale. Un’altra caratteristica degli ambienti di apprendimento è la multimedialità, infatti così come cambiano i rapporti tra i protagonisti del processo di formazione delle conoscenze, allo stesso modo cambiano gli strumenti utilizzati. I nuovi media determinano un ambiente formativo caratterizzato da cooperazione, circolazione del sapere, iniziativa personale. Scrive Midoro (1994) che “ogni apprendimento è un tentativo di adeguamento di un individuo a un ambiente e nello stesso tempo di modifica di quell’ambiente. In ogni caso è il risultato dell’interazione 21 dell’individuo con un ambiente fisico esterno, con un contesto sociale o con se stesso” (p. 9). Si comprende da queste parole come l’ambiente digitale non si contrappone all’aula, ma fa parte di esso. La realtà virtuale diventa, così, accessibile a tutti offrendo azioni di aggiornamento e forme di apprendimento continui. L’insegnante in questo modo può utilizzare fonti differenti di sapere, creando spazi caratterizzati da una forte interazione. È molto importante che l’ambiente di apprendimento sia sostenuto da un modello metodologico che accolga gli stili cognitivi dei soggetti coinvolti, per avviare delle modalità di apprendimento caratterizzate da: • non linearità tra informazione e comunicazione; • capacità di svolgere più compiti contemporaneamente; • velocità e sintesi. Le tecnologie diventano in questo modo agenti di cambiamento, la rete scrive Rivoltella (2003) deve essere intesa “non come luogo, ma come scenario d’azione” (p. 48), la conoscenza va costruita ma anche condivisa. La natura del sapere, in questo modo, diventa sempre meno cristallizzata ma distribuita in più reti i cui nodi sono in continuo movimento. 22 TERZO CAPITOLO: Come valutare la competenza digitale 23 3.1. L’importanza della valutazione Negli ultimi anni si è assistito ad una digitalizzazione sempre più ampia di diversi settori della società, che ha spinto diversi studiosi ad interessarsi della competenza digitale. Tuttavia se le ricerche in questo campo sono molteplici, tanto che sono stati proposti modelli teorici differenti di questo costrutto, scarseggiano gli strumenti che educatori ed insegnanti potrebbero avere a disposizione per valutare la competenza digitale a scuola. Abbiamo visto, nei capitoli precedenti, come il costrutto di competenza digitale sia piuttosto complesso e non indica la semplice padronanza nell’utilizzo delle tecnologie, ma un uso critico di esse, che mette in gioco la consapevolezza etica del soggetto che le utilizza e le sue componenti relazionali. Alla luce di queste affermazioni, le certificazioni che si conseguono per acquisire le conoscenze informatiche di base come l’ECDL (European Computer driving License) diventano riduttive, perché come ha indicato Calvani (2010) “legate all’eccessivo allineamento sulla operatività dei software proprietari e all’appiattimento delle prove sulla padronanza di specifiche abilità tecnicoprocedurali” (p. 10). Si comprende come la valutazione della competenza digitale risulti particolarmente importante, perché consente di mettere in evidenza non solo le conoscenze del soggetto, ma soprattutto come è in grado di utilizzarle in maniera consapevole e coerente, in contesti e compiti differenti. Calvani e collaboratori (ibidem) hanno ideato uno strumento in grado di valutare la competenza digitale, si tratta del Digital Competence Assessment (DCA). Come per qualsiasi altro strumento di misura, prima della sua costruzione è stato necessario superare alcuni nodi problematici legati sia alla strutturazione degli item (se a risposta aperta o chiusa) sia alla capacità dello strumento di volgere la 24 giusta attenzione all’oggetto di misurazione. Se, infatti, alcuni aspetti possono essere valutati ricorrendo a domande che prevedono risposte multiple, per altri, che invece, sono rivolti a misurare capacità cognitive più complesse, questa modalità potrebbe risultare meno indicata. Anche il tempo è una dimensione da non sottovalutare, infatti, è stato osservato (Calvani, 2008) come alcune componenti della competenza digitale possano apprendersi in tempi relativamente brevi, altre, invece, richiedono tempi più lunghi, ragion per cui non ci si può soffermare ad una sola valutazione, ma si deve ricorrere a valutazioni ripetute nel tempo. I test applicabili in tempi brevi sono l’Instant DCA, il Situated DCA (test situati) e il Projective DCA (test proiettivi). Questi ultimi due sono ancora oggetto di validazione e non si utilizzano nella pratica scolastica. Brevemente possiamo dire che il Situated DCA comprende quatto prove, nella prima si chiede allo studente di relazionarsi con un’interfaccia che non conosce, nella seconda deve formulare tutte le relazioni possibili a partire da una serie di dati, nella terza è previsto che raccolga informazioni pertinenti ad un tema stabilito, nella quarta deve mostrare di essere in grado di collaborare nella gestione di un compito. Il projective DCA si basa su disegni, creati con lo scopo di indagare la consapevolezza che ha il soggetto delle sue componenti emozionali e sociali nell’interazione con la tecnologia, ma la strutturazione dello strumento non consente una proiezione effettiva, piuttosto spinge le risposte verso concetti definiti. 3.2. L’iDCA Si deve ad Antonio Calvani lo sviluppo di un progetto educativo volto alla valutazione delle competenze digitali nel contesto scolastico. Lo studioso, a 25 partire dal piano PRIN (Programmi di Ricerche di Interesse Nazionale, MIUR, DM n. 582/2006 del 24 marzo 2006) ha dato vita all’elaborazione di uno strumento, l’iDCA, di semplice somministrazione e gestione, in grado di rilevare le tre dimensioni del costrutto di competenza digitale, quella tecnologica, quella cognitiva e quella etica. Gli item sono stati costruiti a partire da indicatori con cui viene valutata ogni dimensione. Per la dimensione tecnologica sono sei gli indicatori in grado di inferire la sua presenza: 1. la capacità di comprendere la criticità delle tecnologie; 2. la capacità di identificare interfacce; 3. la capacità di selezionare; 4. la capacità di cogliere aspetti di logica; 5. la capacità di utilizzare i simboli; 6. la capacità di distinguere il reale dal virtuale. Per quanto riguarda la dimensione cognitiva, gli indicatori sono cinque: 1. la capacità di lavorare con il testo; 2. la capacità di organizzare dati e tabelle; 3. la capacità di utilizzare i grafici; 4. la capacità di valutare la pertinenza delle informazioni; 5. la capacità di valutare l’affidabilità delle informazioni. Per la dimensione etica, sono tre gli indicatori: 1. la capacità di salvaguardare la privacy; 2. mostrare rispetto per gli altri, in rete; 3. riconoscere le differenze sociali e tecnologiche. 26 A partire da questi indicatori, gli autori hanno elaborato prove differenti, ciascuna specifica per livello scolastico. Agli item sono stati, poi, aggiunte delle domande aperte, che non vengono incluse nel punteggio totale, ma che risultano valide per il docente, perché consentono di comprendere meglio i risultati della prova in generale. 3.3. L’iDCA per la scuola primaria Nel 2012 è stata predisposta una versione del test per la scuola primaria. Nello specifico è stata elaborato un formato di 48 item che coprono le tre dimensioni della competenza digitale. La prova viene somministrata a bambini che completano la quarta elementare o che hanno già iniziato la quinta classe. Le risposte sono a scelta multipla e prima di iniziare è anche possibile fornire delle indicazioni per comprendere se tutti i bambini hanno compreso le modalità di svolgimento o se presentano difficoltà di comprensione lessicale. Terminata la somministrazione si fornisce un feedback immediato sulle risposte. (Calvani, 2014). Il test è stato somministrato a 18 classi di scuole primarie della Toscana per un campione totale di 273 studenti. I bambini non sono stati scelti seguendo una procedura random, ma sulla base delle indicazioni fornite dai docenti. I risultati ottenuti consentono di fare delle riflessioni. In particolare è emerso che le maggiori difficoltà riscontrate nei bambini riguardano la dimensione cognitiva, infatti, solo il 30 % dei bambini è stato in grado di cogliere le parole chiavi di un testo, mentre il 40% mostra di sapere leggere i dati di una tabella, operando le giuste scelte, e meno del 50% riesce ad utilizzare correttamente i simboli. È emerso, inoltre, che non si ha una chiara consapevolezza delle potenzialità del computer. In compenso, però, i bambini 27 riescono a superare alcune problematiche tecnologiche legate, per esempio, ad un programma che non si avvia o ad una stampante che non funziona correttamente. Dal punto di vista etico i risultati sono più incoraggianti, perché il 70 % dei bambini mostra di sapere che non sempre le informazioni veicolate dalle tecnologie sono vere e che è necessario chiedere il consenso, prima di inserire, in rete, video o immagini che coinvolgono più persone. I risultati ottenuti permettono ai docenti di effettuare una ricognizione degli interventi da adottare nelle varie classi. Il test può essere somministrato due volte, in entrata ed in uscita e in questo modo è possibile verificare l’efficacia degli apprendimenti conseguiti. È stato osservato (Calvani, op. cit.) che per l’acquisizione di alcune abilità sono richiesti tempi lunghi, perché, essendo la competenza digitale multidimensionale, chiama in causa aspetti differenti dell’intelligenza, che hanno bisogno di interventi più integrati. Anche per quanto riguarda la dimensione etica è preferibile, alla luce dei risultai emersi, che i docenti chiariscano meglio i rischi legati all’utilizzo della tecnologia, dal momento che spesso non si conoscono. In questo modo, avviando percorsi specifici di insegnamento, è possibile migliorare i risultati della prova somministrata in uscita, con la consapevolezza che alcuni apprendimenti richiedono tempi brevi, mentre per altri sono necessari percorsi specifici. Dall’utilizzo dell’iDCA nella scuola primaria si evince come lo strumento si presti bene a valutare la competenza digitale nel contesto scolastico. È necessario, inoltre, sottolineare come lo strumento spinga i docenti a lavorare su abilità che non sono prettamente tecnologiche ma che risultano trasversali a tutti gli insegnamenti. In questo modo è possibile rivedere tutta la progettazione didattica, affinchè metta al centro della sua attenzione, la promozione di differenti abilità: 28 astrazione, gerarchizzazione, capacità di analisi, sintesi di testi, lettura di grafici e tabelle, ecc… La sfida che si trovano, così, oggi a dovere affrontare gli educatori è quella di promuovere un insegnamento sempre più interconnesso e multidisciplinare. 3.4. L’iDCA nel contesto universitario Recentemente l’iDCA è stato utilizzato anche nel contesto universitario, allo scopo di testare le competenze digitali degli studenti, per avviare una metodologia formativa che potesse migliorare le loro potenzialità (Cappuccio, 2015). Il campione era composto da 154 studenti dell’Università degli Studi di Palermo, frequentanti il corso di laurea in Educazione di Comunità. La valutazione dell’acquisizione delle competenza è stata poi effettuata seguendo il modello R-IZ-A, che ha consentito di costruire dei profili di competenza, in linea con le indicazioni fornite da Trinchero (2006). L’iDCA è stato somministrato due volte, all’inizio del corso universitario e la termine delle lezioni, allo scopo di testare gli eventuali cambiamenti. I risultati della prima somministrazione non sono stati incoraggianti. Per quanto riguarda la dimensione tecnologica, se da una parte è emersa una buona padronanza nell’utilizzo delle interfacce, dall’altra parte, però, solo il 51 % degli studenti ha mostrato una buona padronanza concettuale. I dati relativi alla dimensione cognitiva hanno messo in evidenza che soltanto la metà degli studenti raggiunge punteggi medi, le maggiori difficoltà sono emerse in item che chiedevano di mettere in relazione i dati di tabelle e fare poi delle inferenze. Sono, invece, ambigui i dati che si riferiscono alla dimensione etica, perché se gli studenti criticano comportamenti che ledono la dignità delle persone, 29 contemporaneamente appaiono confusi circa la tutela della privacy e della sicurezza (Cappuccio, 2015). Questo studio è piuttosto interessante perché lo strumento è stato applicato al termine del corso di studi e possiamo disporre di nuovi dati, che consentono di cogliere i cambiamenti che si sono verificati in itinere. In particolare dalla nuova somministrazione dell’iDCA sono emersi miglioramenti significativi, nell’ambito delle tre dimensioni esaminate dallo strumento. Sono aumentate le capacità di superare criticità tecnologiche scegliendo la strategia più idonea per risolverle, così come si è più consapevoli della distinzione tra reale e virtuale. A livello cognitivo si riscontrano cambiamenti nella capacità di utilizzare i dati forniti da tabelle, ma anche nella capacità di individuare gli elementi fondamentali di un testo ed inserirli poi in grafici o griglie. Infine per quanto riguarda la dimensione etica, gli studenti mostrano una maggiore consapevolezza nell’assumersi le conseguenze che derivano dall’essere coinvolti in un’attività mediatica. I risultai ottenuti appaiono piuttosto incoraggianti, perché mettono in evidenza l’efficacia dello strumento nel cogliere le diverse componenti della competenza digitale, inoltre, evidenziano come i risultati che si conseguono con l’utilizzo dello strumento consentono di guidare l’azione didattica. È necessario, però, sottolineare, che qualunque generalizzazione deve essere fatta con la consapevolezza che qualsiasi miglioramento, per essere ritenuto effettivamente valido, deve promuovere un apprendimento stabile nel tempo, condizione che necessità di percorsi che rinforzano le competenze acquisite. 30 Conclusioni Con il presente elaborato ho voluto mettere in luce come il cambiamento della nostra società, influenzata dalle nuove tecnologie, ha messo in discussione i sistemi educativi tradizionali, portandoli ad una riflessione sulle competenze digitali, per poter migliorare i processi di apprendimento. L’impatto con le nuove tecnologie ha sicuramente generato dei cambiamenti nel contesto scolastico, spostando il focus dell’attenzione da un insegnamento centrato sulla didattica frontale ad uno fondato sulla didattica interattiva, in cui lo studente è il fulcro del processo formativo. Attraverso un funzionale utilizzo delle nuove tecnologie si raggiungono obiettivi didattici sempre più complessi, mirati a favorire l’espressione, la creatività, l’interazione. Abbiamo visto come, in questo cambiamento o “nuova era”, entrano in gioco due figure differenti, il nativo digitale e l’immigrato digitale, che hanno due modi diversi di comunicare, ma che attraverso una collaborazione reciproca trovano la giusta misura per interagire in una società sempre più tecnologica e digitale. Non importa che sia una realtà virtuale o reale, perché quello che le nuove tecnologie mettono a disposizione è la possibilità di ampliare le proprie potenzialità cognitive, enfatizzando l’agire nel contesto scolastico e veicolando apprendimenti collaborativi che vanno ad incidere sulla motivazione degli studenti, che dimostrano con la loro attiva partecipazione, non solo di sapere essere, ma anche di sapere fare. Se questi cambiamenti possono risultare entusiasmanti, è necessario però sottolineare che nessuno di essi è fine a se stesso. Qualsiasi lavoro didattico non può essere considerato avulso dal contesto in cui è avvenuto. Come già evidenziato dagli studi che hanno utilizzato l’iDCA con studenti di diversa età, 31 solo in seguito a ripetute attività è possibile parlare di strutturazione dell’apprendimento e non dopo saltuarie frequentazioni dei media. Di sicuro la transizione in una società sempre più tecnologica richiede l’innovazione del sistema scolastico e per fare questo è necessario enfatizzare percorsi di formazione, che consentano ai docenti di acquisire strategie nei nuovi contesti tecnologici, per diventare facilitatori del processo di acquisizione delle conoscenze. Una delle sfide più significative, per la scuola di questo nuovo millennio, ruota, dunque, intorno al tema della competenza digitale. Ora più che mai si avverte la necessità di avviare un insegnamento in grado di coniugare presente e passato, ma soprattutto aperto al futuro; dopotutto le tecnologie diventano amplificatori cognitivi, quando apportano un valore aggiunto alle potenzialità dei soggetti che le utilizzano, senza trascurare l’importanza della relazione umana tra docenti e studenti. 32 Bibliografia Batini, F. (2013). Insegnare per competenze. I Quaderni della ricerca, 2, 7-36. Biondi, G. (2007). La scuola dopo le nuove tecnologie. Milano: Apogeo. Buckingham, D. (2006). Media Education. Alfabetizzazione, apprendimento e cultura contemporanea. Trento: Erickson. Buckingham, D. (2007). Digital Media Literacies: rethinking media education in the age of the Internet. Research in Comparative and International Education, 2, (1), 43-55. Calvani, A. (1995). Manuale di tecnologie dell’educazione. Pisa: ETS. Calvani, A. (2000a). L’impatto dei nuovi media nella scuola; verso una “saggezza tecnologica”. 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