New York Beat. Trump, Pipilotti Rist e l`Italia in

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New York Beat. Trump, Pipilotti Rist e l`Italia in
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New York Beat. Trump, Pipilotti Rist e l’Italia in trasferta | Artribune
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EFFETTO TRUMP
L’illusione di vivere in una sorta di città-stato dal
sapore europeo è caduta malamente con le ultime
elezioni presidenziali: per i prossimi 4 anni abitare
qui significherà ricordarsi ogni giorno che si è parte
di una società a maggioranza conservatrice, riflesso
del Midwest, incarnata dall’uomo bianco, ricco e
arrogante, che ha fatto i soldi proprio a Manhattan,
che usa un linguaggio denigratorio nei confronti delle
minoranze, che custodisce armi da fuoco in casa, e
che, tra una lampada e l’altra, rimette in discussione
il diritto delle donne a disporre del loro corpo. “New
Proteste a New York contro Donald Trump – photo credit Alexa
Hoyer
York non è L’America”...?
Io stessa, in quanto donna e immigrata (due parole abusate durante la campagna elettorale), ho visto
mutare la percezione che avevo della città in cui ho deciso di trasferirmi e vivere. Gli italiani della mia
generazione sono approdati numerosi su questa sponda del mondo non solo perché il Belpaese li aveva
privati di un lavoro. L’immigrazione per noi ha rappresentato anche, e soprattutto, un fatto politico.
Di là,
l’impossibilità di cambiare un sistema integralmente corrotto, la mancanza di informazione, il pessimismo
generale e l’inaccessibilità a posizioni di potere ci stavano logorando nell’immobilismo sociale. Di qua,
nonostante le infinite contraddizioni del sistema americano, l’inclusione e la spinta propulsiva verso il
cambiamento che Obama ha tracciato nel corso degli ultimi otto anni ci hanno reso parte attiva di questo
Nuovo Mondo molto più che a casa nostra. Sentiamo la nostra voce in mezzo al coro. E se dopo la vittoria
di Trump il primo istinto è stato quello di fare le valige e andarsene, ancora una volta, la risposta unanime e
agguerritissima della élite culturale newyorkese che cavalca il socialismo di Sanders ci ha conquistato e
travolto nuovamente.
Lo shock iniziale e il silenzio funereo per strada il giorno dopo le elezioni si
sono infatti tradotti in una diffusa presa di coscienza e responsabilizzazione
che a oggi non sembra abbassare la guardia.
Ci si scambia informazioni alle inaugurazioni, si cercano alleati sui social
media, sorgono gruppi di creativi e attivisti che preparano la resistenza di
lungo periodo. I giornali di settore, messi sotto accusa per aver esasperato,
seppur in negativo, la popolarità del candidato repubblicano (ricordiamo per
esempio la copertina Loser del New York Magazine firmata da Barbara
Kruger) non hanno cambiato i toni e continuano a fare opposizione.
Ovviamente non mancano le iniziative dei singoli in cerca di gloria. Tra i tanti,
lo street artist Hanksy ha messo a disposizione online il disegno del suo muro
Donald Trump secondo Barbara
Dumb Trump, divenuto uno dei simboli durante le proteste, Annette Lemieux
Kruger
ha chiesto di re-installare al contrario la sua opera Left Right Left Right
esposta al Whitney, Brian Andrew Whiteley ha eretto una tomba in Central Park che riporta la scritta
Make America Hate Again e il critico d’arte Jerry Saltz istiga ogni giorno alla ribellione con post su
Facebook volutamente al limite della volgarità. Mentre si aspetta il 21 gennaio per la marcia delle donne a
Washington D.C., un evento che richiama quello del 1963, quando Martin Luther King pronunciò il suo
famoso discorso “I have a dream”.
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Pipilotti Rist – Pixel Forest – exhibition view at New Museum, New York 2016
Nov 28, 2016 04:51:07PM MST
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Pipilotti Rist – Pixel Forest – exhibition view at New Museum, New York 2016
PIPILOTTI RIST AL NEW
MUSEUM
Restando in tema femminile, si entra a occhi aperti nel mondo acquatico e pixelato di Pipilotti Rist. Un
parto filmato in diretta, una foresta di luci glamour da attraversare, un movimento vorticoso di camera che
passa dalla bocca per poi uscire dall’ano, in un loop infinito; una pseudo (o psyco) Dorothy del Mago di Oz
in versione Arancia Meccanica che fracassa, con eleganza e sotto gli occhi compiacenti di una poliziotta, i
finestrini delle automobili parcheggiate per strada.
Ma “come si può unire il mondo davanti e dietro le
palpebre?” si domanda la curatrice Margot Norton nel testo della mostra Pipilotti Rist: Pixel Forest al
New Museum. Cercando di dissolvere le barriere tra esperienze esteriori e quelle interiori, individuali e
collettive, Norton sottolinea come il lavoro dell’artista svizzera sia costantemente teso verso l’elaborazione
di un linguaggio in cui la biologia possa (finalmente) sposarsi con l’elettronica e la tecnologia: corpo e
natura per raccontare, musica e una precisa tecnica video per emozionare, in un continuum
bambinesco-soave-erotico-isterico squisitamente femminile.
Pipilotti Rist – Pixel Forest – exhibition view at New Museum, New York 2016
Il climax del percorso espositivo, che raccoglie trent’anni di produzione di Pipillotti, si ritrova nell’inedito 4th
Floor To Mildness, in cui le parole di Norton sembrano trovare un corrispettivo visivo-esperienziale. Il
grande ascensore che entra direttamente nella sala espositiva, solitamente pensato da Massimiliano Gioni
come un sipario che si apre sulle opere, questa volta ci lascia in un limbo buio e stretto, in cui davanti a noi
una tenda nera impedisce la visione, mentre le scritte al neon “help me” e “trust me”, a destra e a sinistra,
indicano due opposte direzioni da percorrere per accedere all’ambiente retrostante. Qui, siamo invitati a
togliere le scarpe, sdraiarci vicino ad altri spettatori su letti singoli o matrimoniali e guardare i video
proiettati su due schermi dalla forma sinuosa, che ricorda le ninfee di Monet. Un piede, una mano
grinzosa, un capezzolo inturgidito, l’occhio celeste e le foglie verdi tra le cui fessure filtra e abbaglia la luce
del sole lontano, sopra lo schermo d’acqua e poi a pelo d’acqua, in un dentro/fuori che sovverte ogni
prospettiva razionale. Le onde rimescolano bollicine di ossigeno, vegetazione, sabbia e terra, mentre la
musica struggente di Anja Plaschg accompagna la visione collettiva e il viaggio individuale.
ORNAGHI & PRESTINARI
Primo passo allo scoperto per Magazzino, lo spazio
espositivo che, forte della Collezione Nancy Olnick e
Giorgio Spanu, il prossimo anno porterà l’arte
italiana del dopoguerra e contemporanea nel
distretto culturale in espansione dell’Hudson Valley.
Puntando sulla collaborazione con la Galleria
Continua, Magazzino si presenta al pubblico
americano con i giovanissimi Ornaghi&Prestinari
alla Casa Italiana Zerilli Marimò.
Mattino è la prima opera in mostra. Si tratta di una
Ornaghi & Prestinari, Mattino
moka in alabastro, cristallizzazione di un lavoro del
2009 nel quale una macchinetta del caffè era mantenuta in costante stato di ebollizione. Oggetto simbolo
dell’Italia e della quotidianità, è appoggiata su una libreria ripresa dal modello di Gio Ponti per la sua casa
di Via Dezzi a Milano e ci invita a cogliere tutti gli ingredienti necessari a comprendere le opere successive.
Ornaghi & Prestinari – exhibition view at Casa Italiana Zerilli Marimò, New York 2016
Inscindibili, Ornaghi&Prestinari studiano e si appropriano di tecniche differenti per elaborarle in manufatti
artistici realizzati all’interno della loro dimensione delicata e intima. In Grigio Lieve utilizzano un software
del mondo dell’architettura per creare delle sculture a partire dalle ombre degli oggetti presenti in un
quadro
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di Giorgio Morandi, mentre in Appunti risalgono al quattrocentesco Libro Dell’Arte
di Cennino
Nov 28, 2016
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del mondo dell’architettura per creare delle sculture a partire dalle ombre degli oggetti
presenti in un
quadro di Giorgio Morandi, mentre in Appunti risalgono al quattrocentesco Libro Dell’Arte di Cennino
Cennini per realizzare dei quadri con tavole di legno e foglie d’argento incise con un cacciavite a stella. “È
la loro prima mostra negli Stati Uniti, è la prima mostra off site che sponsorizziamo come Magazzino
prima dell’apertura della warehouse upstate New York”, ci spiega Vittorio Calabrese, curatore della
collezione Nancy Olnick e Giorgio Spanu. “Il tutto all’interno di un discorso di promozione dell’arte italiana
più giovane, con un intervento molto conscio di quello che è lo spazio domestico ma anche accademico
della Casa Italiana”. Solo l’inizio, dunque, di una politica culturale che si appoggia ai grandi nomi del
passato per aprire le porte al mondo degli emergenti.
Veronica Santi
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