PresseMitteilungen I

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PresseMitteilungen I
UFFICIO FEDERALE DELLA CULTURA
BUNDESAMT FÜR KULTUR
OFFICE FEDERAL DE LA CULTURE
SWISS FEDERAL OFFICE OF CULTURE
PROMOZIONE DELLA CULTURA
SEZIONE ARTI E DESIGN
Comunicato stampa, maggio 2005
51. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia,
12 giugno al 6 novembre 2005
Partecipazione ufficiale della Svizzera:
Gianni Motti, Shahryar Nashat, Marco Poloni, Pipilotti Rist, Ingrid Wildi
Su proposta della Commissione federale d’arte, la Svizzera sarà ufficialmente rappresentata alla 51. edizione
della Biennale internazionale d’arte di Venezia dalle artiste Pipilotti Rist e Ingrid Wildi e dagli artisti Gianni Motti,
Shahryar Nashat e Marco Poloni. L’Ufficio federale della cultura (UFC) curerà la presentazione dei lavori di Gianni
Motti, Shahryar Nashat, Marco Poloni e Ingrid Wildi al Padiglione svizzero ai Giardini di Castello e di una
videoinstallazione di Pipilotti Rist nella Chiesa di San Stae. Le due mostre danno un’idea dell’arte giovane del
momento in Svizzera.
Il Padiglione svizzero ai Giardini di Castello ospita la mostra Shadows Collide With People (Collisioni di
ombre con uomini), che presenta lavori recenti di Gianni Motti (Sondrio 1958), Shahryar Nashat (Teheran 1975),
Marco Poloni (Amsterdam 1962) e Ingrid Wildi (Santiago de Chile 1963). La mostra è stata concepita e allestita
da Stefan Banz, artista, curatore e membro della Commissione federale d’arte. L’installazione multimediale «The
Regulating Line» di Shahryar Nashat, il lavoro fotografico in 50 parti «Permutit» (storyboard per un film) di Marco
Poloni, la proiezione video «Portrait oblique» di Ingrid Wildi e l’installazione «Big Crunch Clock» di Gianni Motti
all’esterno del Padiglione svizzero fanno riferimento da varie angolature alla metafora nel titolo della mostra. Tutti
e quattro indagano il rapporto tra immagine e realtà, tra istituzione e pubblico, tra arte e società.
Pipilotti Rist (Grabs 1962) presenta la videoinstallazione Homo sapiens sapiens nella chiesa tardobarocca di
San Stae sul Canal Grande. Il video proiettato sull’intera superficie della volta che sovrasta la navata centrale
mostra scene del paradiso terrestre prima del peccato originale. L’artista ha girato gran parte delle sequenze a
Minas Gerais in Brasile. Lo scenario tropicale fa da sfondo alle immagini oniriche surreali, che raccontano di due
donne, di corpi umani circondati da una natura rigogliosa. Per assistere alla proiezione le visitatrici e i visitatori
possono adagiarsi sul morbido fogliame di un ramo sovraddimensionato.
In occasione della mostra al Padiglione svizzero ai Giardini, l’UFC pubblica il catalogo «Shadows Collide With
People», distribuito dalla casa editrice edition fink di Zurigo. Il volume in tedesco, francese e inglese contiene contributi di Stefan Banz, Friedrich Kittler, Stefan Heidenreich, Eveline Notter, Giovanni Carmine, Octavio Zaya,
Michael Newman e Philip Ursprung. La mostra di Pipilotti Rist nella Chiesa di San Stae è accompagnata da un
libro d’artista dal titolo «Pepperminta Homo sapiens sapiens», pubblicato per i tipi della casa editrice Lars Müller
di Baden.
Il commissario responsabile dei due contributi della Svizzera alla Biennale di Venezia è Urs Staub, capo della
Sezione arte e design dell’UFC. In questa funzione è coadiuvato dal secondo commissario Andreas Münch, responsabile del Servizio arte dell’UFC, che cura anche l’allestimento nella Chiesa di San Stae.
La stampa internazionale ha libero accesso in anteprima al Padiglione svizzero ai Giardini di Castello e alla
Chiesa di San Stae dal 9 all’ 11 giugno 2005. L’inaugurazione ufficiale si tiene il 10 giugno 2005. La Biennale di
Venezia resterà aperta al pubblico dal 12 giugno al 6 novembre 2005.
La Banca del Gottardo sostiene generosamente la partecipazione ufficiale della Svizzera alla Biennale di
Venezia e la realizzazione delle due pubblicazioni.
UFFICIO FEDERALE DELLA CULTURA
Comunicazione
Per ulteriori informazioni si rimanda al sito www.bak.admin.ch/biennale
Per informazioni:
Telefono per la stampa: ++41 79 653 83 14
dott. Urs Staub, capo della Sezione arte e design, Hallwylstrasse 15, 3003 Berna
Tel.: ++41 31 322 92 70; fax: ++41 31 322 78 34; e-mail: [email protected]
dott. Andreas Münch, responsabile del Servizio arte, Hallwylstrasse 15, 3003 Berna
Tel.: ++41 31 322 92 89; fax: ++41 31 322 78 34; e-mail: [email protected]
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SEZIONE ARTI E DESIGN
Comunicato stampa, maggio 2005
Padiglione svizzero
Shadows Collide With People:
Gianni Motti, Shahryar Nashat, Marco Poloni, Ingrid Wildi
curata da Stefan Banz
1
Il filosofo francese Jacques Derrida, recentemente scomparso, scriveva nel suo libro Il monolinguismo dell’altro o
la protesi d’origine1: «Non ho che una lingua, e non è la mia.» Questa affermazione fa riferimento alle sue origini franco-magrebine. Di famiglia ebraica, Derrida è cresciuto nell’Algeria francese. Dal 1870 il decreto
Crémieux conferiva la nazionalità francese agli ebrei residenti in Algeria. Settant’anni più tardi, tuttavia, durante
la seconda guerra mondiale, furono privati di questa cittadinanza; tre anni dopo, quando la Francia cessò di essere lo Stato francese di Pétain, la riottennero.2 Per Jacques Derrida fu un’esperienza traumatizzante. Aveva perso
e poi riottenuto qualcosa – la cittadinanza – di strettamente legato alla sua lingua. Bambino ebreo cresciuto in un
sobborgo di Algeri, la sua lingua era il francese e non l’arabo o il berbero e tantomeno l’ebraico. A casa sua si
parlava il francese, la stessa lingua usata alla scuola francese che Derrida frequentò da bambino.
Se quindi Jacques Derrida spiega, «non ho che una lingua, e non è la mia», allora intende contemporaneamente
che la sua lingua “vera e propria” è una lingua estrinseca. La sua lingua, la sola che sa parlare, è la lingua dell’altro. Proviene sempre dall’altro e ritorna di nuovo all’altro. Non è mai semplicemente innocente, propria o appropriabile. Vi è quindi un’alienazione essenziale nella lingua – che è sempre una lingua dell’altro. In effetti Jacques
Derrida non ha mai considerato il francese la sua “lingua madre”, anche se era la sola lingua che parlava.
Le osservazioni di Derrida illustrano un fenomeno fondamentale della nostra esperienza. Non esiste lingua che ci
appartenga veramente. Se una lingua appartenesse soltanto a noi, niente sarebbe comunicabile nel vero senso della
parola. D’altra parte non esiste mai una sola lingua. Anche se parliamo tutti la stessa lingua – per esempio l’italiano - parliamo sempre contemporaneamente anche un’altra lingua, più precisamente la nostra, così come esce
dalla nostra bocca. In questo senso ci troviamo in una situazione di costante paradosso: non esiste una lingua che
ci appartiene, ma quando parliamo ce ne appropriamo. Oltre a ciò nella nostra società ci troviamo di fronte a
numerose lingue e, tante più lingue parliamo, tanto meno ci sentiamo a nostro agio in una determinata lingua,
anche se si tratta della lingua che consideriamo la nostra. Viviamo costantemente questa nostalgia di appartenenza, d’identità, anche se queste non sono mai incontaminate e restano sempre in contraddizione con se stesse.
Quale lingua è la più puramente, la più rigorosamente, la più essenzialmente svizzera? In Svizzera si parlano
molte lingue: il tedesco, il francese, l’italiano, il romancio e i dialetti. Ma si parla anche lo spagnolo, il portoghese, l’inglese, l’arabo, l’ebraico e via dicendo. E la popolazione svizzero-tedesca parla in una lingua (un idioma
dialettale), ma scrive in un’altra (il tedesco standard).
Che cosa significa, quindi, essere svizzero/a, possedere la cittadinanza svizzera, rappresentare la cultura della
Svizzera, di ciò che è svizzero? Una mostra al Padiglione svizzero della Biennale di Venezia non dovrebbe forse
tematizzare anche la nascita, la nazionalità che essa conferisce, la cultura locale? È risaputo che la cittadinanza
non definisce un’appartenenza culturale, linguistica o storica in genere, non coprendo tutte queste appartenenze.
E non è nemmeno, usando le parole di Derrida, un predicato superficiale o sovrastrutturale, che galleggia sulla
superficie dell’esperienza. Il rapporto tra nascita, lingua, cultura, nazionalità e cittadinanza è quindi molto complesso e non riducibile alla questione della nazionalità.
E tuttavia il nostro tema è quello dell’identità in genere. Che cos’è l’identità, questo concetto la cui identità trasparente viene dogmaticamente presupposta per principio nei dibattiti sul monoculturalismo e sul multiculturalismo,
sulla nazionalità, sulla cittadinanza e sull’appartenenza in genere?2 O, ampliando il discorso: che cosa c’è alla
base, qual è il denominatore comune di una mostra collettiva che si propone a rappresentanza di un’identità, di
uno Stato? La rivendicazione di una sovrastruttura chiara, anche se spesso costruita solo a posteriori, è alla base
di tutto.
2
In questo senso, il progetto Shadows Collide With People non assume la forma di identità che forma un’unità, ma
piuttosto di disseminazione che forma un’unità, in cui s’incontrano, si spostano e si differenziano le posizioni artistiche più disparate. In altri termini, Shadows Collide With People è un’idea della diversità, del plurilinguismo ad
illustrazione della Svizzera, della sua identità, cittadinanza, amicizia e tolleranza. Ma questa mostra è anche il
risultato dell’incontro tra quattro artisti – Gianni Motti, Shahryar Nashat, Marco Poloni e Ingrid Wildi - e un curatore - Stefan Banz. In questo senso è l’illustrazione di un avvicinamento, di un urto, di uno scontro e di un allontanamento. È l’illustrazione di una lingua del plurilinguismo, che, pur godendo dell’ospitalità, di un’ospitalità fondata sull’amicizia, non si sente effettivamente “a casa”.
3
Gianni Motti, nato nel 1958, è cresciuto in Italia. Da anni vive a Ginevra e parla il francese, l’italiano e l’inglese. Egli si muove contemporaneamente nelle realtà e nelle lingue più diverse della politica, dello sport e della
magia, che spesso sono un’unica lingua. Gianni Motti cerca di rendere percettibile, tangibile, leggibile e sperimentabile questa eterogeneità. Lo fa nelle sue azioni e installazioni, talvolta in modo ludico e magico, talvolta in
modo inderogabile e diretto. La sua lingua non è la sua. È la lingua degli altri, che confluisce in lui e ottiene un’identità, un’immagine, un’espressione. È il suo parlare del potere e dell’impotenza, dell’apertura e dell’ignoranza,
del ludico e del serio, dell’intervento e dell’appropriazione. È la sua lingua del pingpong, della coalizione e dell’opposizione, della polarità e dell’integrità. È una lingua universale che non gli apparterrà mai, ma che gli concede ospitalità, anche se questa spesso non è particolarmente amichevole. E tuttavia lo fa sentire “a casa”, a proprio agio, in ciò che è estraneo, diverso, dall’altro e dagli altri. E questa è la sua arte. Gianni Motti è come un’ombra che urta le persone, un’ombra che appare e conferisce una forma, un corpo, un’immagine, un’idea alle cose.
E così esporrà il suo lavoro alla luce del sole nel giardino del Padiglione svizzero per dare all’ombra la valenza
che le spetta: shadows collide with people – Collisioni di ombre con uomini.
«Ciao MAMMA / Entierro / Car Touche / Restore Hope / Estamos contigo Colombia / Earthquake / Total Lunar
Eclypse / The Mad Professor / The Best for a Better World / High Commission of Human Rights / Digan lo que
digan / Psy Room / Expander / Pathfinder / Gianni Motti est innocent ...»4
4
Shahryar Nashat è nato in Iran nel 1975 ed è cresciuto in Svizzera. Da allora non è mai più tornato nel suo
Paese di origine. In famiglia, a Ginevra, parlava persiano, quindi non la lingua usata a scuola, per strada, fuori,
dove la lingua era invece il francese. Fin dall’inizio per Nashat ci sono state più lingue.
Forse per questo il linguaggio delle sue videoinstallazioni è spesso quello del non-detto, un codice che si esprime
a un livello diverso rispetto a ciò che sembra dire e che si sviluppa altrove rispetto a dove promette di farlo. La sua
lingua è un sottolinguaggio, una lingua sotto il linguaggio. È una traduzione, una promessa. Per Jacques Derrida
la traduzione è sinonimo dell’impossibile.. E Shahryar Nashat ci promette l’impossibile. Ogni volta che le sue figure parlano o che la lingua appare nelle sue installazioni, l’artista ci offre una lingua non ancora espressa, una poesia inedita: «We had the idea of repeating ourselves.» ... «She can’t keep a hold of herself, it keeps on moving.»
... «All the way back, the reconstruction»: ... «There are facts, a man running out of a room, leaving a man lying
on a bed. The man lying on a bed is lying on a clean, barely unmade bed in a gloomy room with a gloomy light.
He’s got no real reason to be lying on a bed. No more reason than the man running out of the room. Because what
just happened has no importance.» ... «And then he’s meant to disappear.»4
La lingua di Shahryar Nashat parla a un altro livello rispetto a ciò che si rivela, anche se il visibile, nei suoi lavori, possiede una presenza indelebile. Indaga strutture psicologiche e politiche della nostra esistenza al di sotto dell’evidenza di una struttura e rende tangibile l’estetica dell’imperfezione umana e la bellezza dell’architettura fascista dietro alla facciata di ciò che è visibile. La sua lingua emerge al di sotto del linguaggio e le sue immagini sono
percettibili al di sotto delle immagini. E ciò che vediamo e leggiamo provoca un senso di anticipazione di ciò che
è visibile e fa indagare ciò che è detto e mostrato prima ancora che sia stato detto o rivelato. Ci mostra la nostalgia d’identità, prima ancora che l’identità sia chiamata in causa. I suoi lavori generano una suggestione e ci prendono di mira, prima ancora che qualcosa sia emerso in superficie. Tutto è già là, presente, sotto di noi. Là dove
non vorremmo abitare pur essendo di casa.
5
Ingrid Wildi, nata in Cile nel 1963, è figlia di uno svizzero e di una cilena. È vissuta in Cile prima che Salvador
Allende fosse deposto, l’11 settembre 1973, da Pinochet con l’aiuto degli americani. Dopo alcuni anni di regime
dittatoriale, è emigrata in Svizzera insieme al padre e al fratello stabilendosi nel Cantone Argovia. La madre è
rimasta in Cile. La “lingua materna” di Ingrid Wildi è lo spagnolo, che ha lasciato in Cile. In Svizzera ha dovuto
imparare una nuova lingua – lo svizzero-tedesco - con cui non si è mai familiarizzata. Oggi che vive da oltre sei
anni a Ginevra e che quindi parla di nuovo una lingua straniera (il francese) è più che mai consapevole di cosa
significhi non possedere una lingua ma, ancora di più, sentirsi estranei nelle lingue in cui si vive.
Ingrid Wildi lo tematizza nei suoi video girati come documentari. Che cosa significa parlare una lingua straniera,
convivere e trovarsi a proprio agio con essa? I suoi lavori trattano del linguaggio, della comprensione e del fraintendimento. Riflettono l’estraneità dell’essere a casa, parlano del passato, di ciò che è perduto, della sensazione
di essere soli e abbandonati.
Nella sua vita ha superato un confine, è emigrata ed ha tematizzato proprio questa trasgressione. È l’esperienza
del superamento di un confine, dei limiti del concetto, di lingua, di frontiere nazionali, di cittadinanza attraverso i
quali torna - deformata, trasformata, riformata - in una specie di autoespressione e infine trova una forma di linguaggio.
«In ihrer Art ist sie einmalig ... / und meine Beziehung zu ihr ist auch einmalig. / Ich kenne niemanden, der ihr in
irgendeiner Art entspricht.»
«Diese Charaktereigenschaft hat nichts mit Lügen zu tun, / aber sie hat ganz einfach das Talent, die Realität zur
Fiktion zu machen.»5
6
Marco Poloni, nato ad Amsterdam nel 1962, ha trascorso i suoi primi anni di vita a Roma e a Città del Messico
fino a quando la sua famiglia si è trasferita a Ginevra. Sua madre è di origine olandese, suo padre ha radici italiane. Durante la scuola dell’obbligo a Città del Messico, oltre allo spagnolo, ha imparato anche l’inglese americano. Solo più tardi la sua lingua vera e propria è diventata il francese. Il mondo di Marco Poloni è quello del plurilinguismo e, anche se nessuna lingua gli appartiene, diverse gli sono familiari. In un certo senso Poloni vive il plurilinguismo della Svizzera. Si sente a suo agio con il francese, l’italiano, l’inglese americano, lo spagnolo, l’olandese. In un certo senso vive la vita di una traduzione o, detto con le parole di Derrida, vive l’impossibile per antonomasia.
Potrebbe essere una delle ragioni per cui nei lavori fotografici e installativi di Marco Poloni c’imbattiamo a più
riprese nel sistema della traduzione, che provoca in noi una sensazione d’incapacità di denominare ciò che abbiamo visto, letto o sentito e di distinguere tra la realtà e la finzione.
Nei suoi lavori fotografici seriali6 l’obiettivo sa più di quanto vediamo effettivamente noi, osservatori e spettatori.
Il non visibile, ciò che non percepiamo nelle sequenze di immagini, è presente solo attraverso le concise descrizioni dello storyboard che si trovano sotto le immagini. Ma anche queste descrizioni non rendono l’assente immediatamente presente, ci invitano soltanto a credere ciò che non vediamo realmente. Tuttavia in veste di osservatori di questi lavori ci veniamo a trovare nel ruolo di testimoni o di conniventi di una storia apparentemente cospirativa, di una storia, che nella nostra società si svolge evidentemente sempre nel non visibile e che qui diventa visibile come illusione o immaginazione.
Il plurilinguismo di Marco Poloni è come un’ombra che cade su di noi. Ci presenta una cosa impossibile e tuttavia
onnipresente: nel quotidiano, nelle nostre teste, una sensazione, un’illusione, una realtà tradotta, inventata. La traduzione diventa dunque reale, mentre la realtà resta ipotetica.
7
Gianni Motti, Shahryar Nashat, Marco Poloni e Ingrid Wildi vivono tutti e quattro a Ginevra, nella città della diplomazia internazionale, delle organizzazioni umanitarie globali e dei diritti umani, senza tuttavia essere a casa loro.
Ginevra è la loro città, la loro Svizzera, anche se non è di loro appartenenza ed anche se di tanto in tanto l’abbandonano. Da qualche tempo Shahryar Nashat vive a Parigi, Marco Poloni a Chicago.
8
Shadows Collide With People 7 è una metafora e fa riferimento al rapporto tra immagine e realtà, tra arte e società.
L’arte non è la società, ma ne fornisce un’immagine persistente. Anche l’ombra è sempre un’immagine di ciò che
la genera. Come l’ombra anche l’arte è realtà. Solo se le persone e le ombre, l’arte e la società si scontrano possiamo percepire il mondo con le sue forme e le sue sfaccettature. Non è pensabile che un’ombra esista indipendentemente da qualcosa. Anche se la vedessimo da sola riconosceremmo in lei la ragione della sua esistenza. Alla
stregua di una persona senz’ombra – come nella Storia straordinaria di Peter Schlemihl8 – sarebbe una semplice
ombra di sé stessa: come il povero protagonista che vende al diavolo la propria ombra in cambio di una borsa
magica sempre piena d’oro e deve rendersi conto, sbigottito, che le persone, vedendolo senz’ombra, sono prese
dal panico. Prigioniero del suo destino, vive ricco, solitario e al riparo dalla luce del sole tra le pareti domestiche.
Quando le ombre urtano le persone ne risulta realtà, mondo, vita.
Stefan Banz
1
Jacques Derrida, Il monolinguismo dell’altro o la protesi d’origine, Milano 2004
v. Stefan Banz, Serendipity, Helmhaus, Zurigo 1991, in particolare le osservazioni sul pensiero di Jacques Derrida in merito alla
“différence” e al concetto della disseminazione, pagg. 72-88
3 Questa citazione si compone dei titoli delle azioni e delle mostre di Gianni Motti tra il 1989 e il 1999, v. Gianni Motti, Cahier d’artiste,
Baden 1999
4 Questa citazione si compone dei titoli delle videoinstallazioni realizzate da Shahryar Nashat tra il 2000 e il 2003 e di un estratto dal
suo lavoro All the way back, the reconstruction, 2001, v. Shahryar Nashat, We had the idea of repeating ourselves, pubblicato dall’autore,
2003
5 Questa citazione è un estratto del video di Ingrid Wildi Si c’est elle, 2000, v. Ingrid Wildi, De palabra en palabra, Edition Fink,
Zurigo 2004, pag. 26
6 v. Shadowing the invisible Man, 2001, in: Marco Poloni, never mind the gap, Norimberga 2004, pag. 28-29 e AKA (Also known as),
2002, non pubblicato.
7 Shadows Collide With People è il titolo del CD di John Frusciante, prodotto nel gennaio 2004 da Warner Brothers. La frase dipinta è
riprodotta sulla copertina del CD e copre una foto di Vincent Gallo raffigurante una veduta estiva di Eiger, Mönch e Jungfrau.
8 Adelbert von Chamisso, Storia straordinaria di Peter Schlemihls (1813), Milano 1992
2
Nato nel 1961 a Menznau, Svizzera, Stefan Banz ha studiato storia dell’arte, letteratura tedesca (dal 1700 in poi)
e critica letteraria all’Università di Zurigo. È stato cofondatore della Kunsthalle di Lucerna, istituita nel 1989, nonché suo direttore artistico fino al 1993; successivamente, ha intrapreso una carriera di artista freelance, curatore
e autore. La sua produzione artistica è legata in particolar modo all’ambito della fotografia, delle installazioni e
della pittura. Da segnalare inoltre le sue numerose pubblicazioni sulla teoria dell’arte e le sue opere su artisti e personalità di spicco come Jacques Derrida, Muhammad Ali, Bruce Nauman e Frank Zappa. Stefan Banz vive e lavora a Lucerna.
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Swiss Pavilion
Shadows Collide With People
Gianni Motti
At 10 o’clock, on the day the fifty-first edition of the Venice Biennale opens its doors to the public, the end of the
world will be only 4,999,999,993 years, 202 days, 14 hours and a couple of seconds away. This is what the Big
Crunch Clock tells us, a digital clock with a length of 500 cm, created by Gianni Motti for the Biennale Pavilion,
which, with almost exaggerated precision, counts down towards the moment when, astrophysicists believe, the sun
will explode. At precisely that instant, as opposed to the ‘Big Bang’ which gave origin to the universe, all traces of
Gianni Motti – the artist whose works consist not so much in creating objects but in the creation of stories and
legends that become part of the real world through the most diverse channels – will disappear. At the exact moment
when the sun explodes, however, Gianni Motti will have succeeded in appropriating, thanks to his 20-digit timer,
the culminating moment of the history of the solar system, transforming it into a work of art.
Gianni Motti was born in 1958 in Sondrio, Italy. Solo exhibitions at the MAMCO in Geneva (1999), the Swiss
Institute in New York (2001), the Kunsthalle Bern (2001), the Kunst-Werke Berlin (2002), the Centre pour l’Image
Contemporaine, St. Gervais, Geneva (2003), the Migros Museum for Contemporary Art in Zurich (2004), and the
Centre Culturel Suisse in Paris (2004, with Christoph Büchel). He lives and works in Geneva.
Shahryar Nashat
The Regulating Line, 2005
Digital video, 3’40
Concept, script and editing: Shahryar Nashat
With Frédéric Dessains
With the generous support of the Musée du Louvre, Paris
The Louvre. The Life of Marie de Medici by Peter Paul Rubens: an immense baroque work in which breastplates
mingle with voluptuous naked bodies, flowing draperies with rigid ships. Inspired by classical mythology, Rubens
narrates the life of this 17th queen on an epic scale. A young man stands in the middle of this overwhelming mise
en scène. His only possible response is physical.
Shahryar Nashat was born in 1975 in Tehran. Educated in Geneva. 1999 Bachelor of Arts from the Ecole
Supérieure d’Art Visuel of Geneva. 2001–2002 artist in residence at the Rijksakademie van beeldende kunsten in
Amsterdam. 2003 artist in residence at the Swiss Institute in Rome. 2001, 2002, 2003 winner of the Swiss Art
Award of the Swiss Federal Office of Culture. Solo exhibitions include CAN, Neuchâtel (“Staatsgewalt”, 2003),
Galerie Elisabeth Kaufmann, Zurich (“Italian Studies”, 2004), Galerie Yvon Lambert, Paris (“Le Studio”, 2004) and,
together with Marc Bauer and Alexia Walther, Kunstmuseum Solothurn (“Overthrowing the King in His Own Mind”,
2005). He currently lives and works in Paris.
www.shahryarnashat.com
Marco Poloni
Permutit – Storyboard for a Film, 2005
Lambda prints, variable number, 38 x 70 cm each
The work takes the form of a storyboard for a film that depicts a few days in the lives of characters who work for
corporations or government agencies. These characters are invisible because they are ubiquitous, and powerful
because they are anonymous. They are based on people who can be found in large American cities.
Marco Poloni was born in 1962 in Amsterdam and grew up in Rome and Mexico City. Educated in Geneva.
Studied Fine Arts at the Rietveld Academy of Amsterdam and Physics at the Swiss Federal Institute of Technology
in Lausanne. Works primarily with photography and video installations. 1999, 2000, 2001 winner of the Swiss
Art Award of the Swiss Federal Office of Culture. Solo exhibitions, among others, at the Raum für aktuelle Kunst
Lucerne (2002), the Centre pour l’Image Contemporaine, St. Gervais, Geneva (2003), and the Kunstverein
Freiburg (2005). He has had two books – never mind the gap (2004) and Passengers (2005) – published by Verlag
für moderne Kunst of Nuremberg. He currently lives in Chicago, where he is Assistant Professor of Photography at
the School of the Art Institute of Chicago.
Ingrid Wildi
Portrait Oblique, 2005
Digital video, 14’
Beginning with a series of filmed interviews, the artist shows the fragmented portrait of a man on the fringes of
society. The abrupt, non-linear narrative character of the montage invites viewers to be drawn into the experience
of interviews recorded at different times, which tell the story of a man of dual citizenship, who is treated as a foreigner both in his native Chile and in Switzerland, where he now lives.
Ingrid Wildi was born in 1963 in Santiago de Chile. 1968–1981 attended primary school and grammar school
in Santiago de Chile. 1981 emigrated to Switzerland. 1985–1987 and 1995-1997 studied at the Höhere Schule
für Gestaltung, Zurich; 1998-2000 did postgraduate studies at the Ecole supérieure d’art visuel, Geneva. 19871995 a member of the studio community Spinnerei Wettingen; 1990–1991 stay in São Paulo, Brazil; 1994 stay
in a studio at the Cité Internationale des Arts, Paris (grant from the Aargauer Kuratorium); 1999, 2000, 2001 winner of the Swiss Art Award of the Swiss Federal Office of Culture; 2001 artist in residence at the Swiss Institute,
Rome; 2002 artist in residence in Berlin (grant from the Aargauer Kuratorium). 2003 Manor Art Award, Aarau.
2004 ˝De palabra en palabra˝, solo exhibition at the Kunsthaus Aarau and the Centre d’art contemporain,
Geneva (cat.). She lives and works in Geneva.
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SEZIONE ARTI E DESIGN
San Stae
Pipilotti Rist
Homo sapiens sapiens
Fin dal 1990 la chiesa tardobarocca di San Stae sul Canal Grande funge da spazio per il secondo contributo ufficiale della Svizzera alla Biennale di Venezia. In passato è servita per presentare posizioni artistiche meno note al
grande pubblico internazionale. Per la 51esima edizione della Biennale, invece, viene proposta in questa sede
un’artista svizzera da anni sulla cresta dell’onda: Pipilotti Rist.
Pipilotti Rist ha costantemente ampliato la propria sfera di attività a partire dalla metà degli anni Novanta. Oltre
ad avere presentato i propri lavori a mostre in tutta Europa, oggi è presente in particolare in Giappone e negli
Stati Uniti, dove ha anche insegnato per un anno all’University of California di Los Angeles. Inoltre i suoi lavori
vengono regolarmente esposti alle grandi mostre internazionali. Insieme ad Hannah Villiger ha rappresentato la
Svizzera alla Biennale di San Paolo, è stata più volte ospite alla sezione “Aperto” della Biennale di Venezia (1993,
1997 e 1999) ed ha partecipato alle biennali di Lione (1997), Kwangju (1997), Istanbul (1997, 1999), Sydney
(2000) e Shanghai (2002).
In Svizzera, negli ultimi anni, Pipilotti Rist ha diradato la propria presenza. È seguita una fase di ritiro, mentre l’interesse nei suoi confronti è continuamente cresciuto. In effetti nessun’altra artista prima di lei era riuscita a conquistare non solo il mondo degli appassionati d’arte, ma ad entrare anche nella consapevolezza della popolazione
svizzera. In effetti i suoi video e le sue installazioni sono conosciuti e apprezzati anche al di fuori degli ambienti
artistici. Il pubblico svizzero ricorda poi anche le sue apparizioni insieme alla rock band „Les Reines Prochaines“
o la sua temporanea funzione di direttrice artistica nell’ambito dell’esposizione nazionale „Expo 02“. Il notevole
interesse nei confronti dei suoi lavori è da ricondurre anche al fatto che con la sua arte Pipilotti Rist traccia un progetto di vita allegro, coraggioso e disinvolto, qualità decisamente poco svizzere.
Nata a Grabs, nella vallata del Reno, nel 1962, Pipilotti Rist è apparsa sulla scena artistica alla metà degli anni
Ottanta, in un’epoca in cui i giovani svizzeri aspiravano ad allargare i propri orizzonti, ad ottenere più spazio e
considerazione per i loro nuovi modelli di vita. La richiesta di “livellare” le Alpi per consentire la „vista sul
Mediterraneo“ (uno slogan caro al movimento giovanile svizzero dei primi anni Ottanta) si riferiva a una strategia
che non si proponeva di spezzare la rigida perseveranza elvetica con la dialettica, ma cercava piuttosto di sgretolare i muri con senso dell’umorismo, ironia e fantasia. Pipilotti Rist è riuscita a conservare fin nei suoi lavori più
recenti questa strategia positiva, che si serve di uno spirito illuminante e di un’ingenuità utopica.
Del resto è lo stesso atteggiamento che adotta nel trattare temi e posizioni del femminismo, con cui i suoi lavori
sono spesso messi in relazione. Pipilotti Rist, che si considera femminista, ha un interesse marcato per i ruoli femminili. Il video che meglio di tutti documenta questo suo atteggiamento è „Ever is Over All“, con cui ha ottenuto il
„Premio 2000“ della Biennale di Venezia nel 1999. La giovane donna, che come una dea passeggia spensierata per le vie della città e che, ripresa al rallentatore, manda in frantumi i finestrini delle auto parcheggiate con un
fiore, appare come una metafora di un femminismo pacato. Tuttavia Pipilotti Rist, a buona ragione, si oppone ad
essere etichettata come artista femminista. Ruoli, fisicità, effimero ed erotismo sono temi importanti nei suoi lavori.
Ma quando Pipilotti Rist mette in scena la proprie utopie fantastiche, allora si tratta di sconfinare nell’infinito, per
entrambi i sessi. Si tratta di nuove esperienze sensoriali, di nuove metafore e di rituali inediti.
Con il suo contributo per la Biennale di Venezia Pipilotti Rist non fa che confermarlo. A San Stae è presente con il
video „Homo sapiens sapiens“, un viaggio nei mondi primordiali dell’umanità, in un paradiso risalente a prima al
peccato originale. La maggior parte delle sequenze è stata girata dall’artista nella natura selvaggia del Brasile, in
un mondo che per molto tempo è stato, per gli europei, sinonimo di paradiso terrestre e meta di fughe romantiche.
Il video, attorniato nell’allestimento scenico da figure di santi, martiri e putti, è proiettato sulla volta della navata
centrale di San Stae. Per seguirlo le visitatrici e i visitatori possono adagiarsi sul morbido fogliame di un ramo
sovraddimensionato. Le proiezioni aprono un varco al cielo e rivelano scene naturalistiche opulente, immagini oniriche del corpo e dello spirito in colori intensi e forme generose. Il suono sprigionato da fonti invisibili aiuta a superare la forza di gravità e le pene terrene. A differenza di quanto ha tramandato la Bibbia, il paradiso di Pipilotti
Rist non è abitato da Adamo. Pepperminta e sua sorella Amber attraversano in due questo mondo onirico senza
sentirne, apparentemente, la mancanza.
Andreas Münch
www.pipilottirist.net
www.hauserwirth.com
./.
Pipilotti Rist
1962
21.6. born in Grabs in the Swiss Rhine valley
Since 2004 Lives and works in Zurich
Selected Solo Exhibitions
2006
Contemporary Arts Museum, curator Paola Morsiani, Houston TX/US
Fondazione Prada, curator Germano Celant, Milano/IT
2005
MUSAC – Museo de arte contemporaneo de Castilla y Leon, Pipilotti Rist, curator Rafael
Doctor Roncero, Agustin Perez Rubio, Leon/ES
Hauser & Wirth London, London/GB
Peggy Guggenheim Foundation, Inauguration of New Wing, curator Nancy Spector, Venice/IT
AROS – New Aarhus Kunstmuseum, ‘one of the 9 rooms’ curator Jens Erik Sorensen,
Anna Krogh-Nielsen, Aarhus/DK
Venice Biennial 2005, 51st International Art Exhibition, Contribution of Swiss Federal Office
of Culture BAK, San Stae Church, curator Andreas Münch, Venezia/IT
2004
OPA Oficina para Proyectos de Arte A.C., Con algo hay que empezar curator Fernando Paloma,
Gonzalo Lebrija, Liliana Zarate + [et al.], Guadalajara/MX
Luhring Augustine Gallery, Herbstzeitlose, New York NY/US
Centre of Contemporary Art – Zamek Ujazdowski Warszawa, Pipilotti Rist, curator Milada Slizinska,
Warsaw/PL
SF MOMA Museum of Contemporary Art, Stir Heart, Rinse Heart, curator Benjamin Weil,
San Francisco CA/US
2003
KIASMA Museum for Contemporary Art, Kontti Gallery 80m2, curator Maaretta Jauukuri, Helsinki/FI
2002
Shiseido Foundation, The Cake is in Flames, curator Keiko Toyoda, Tokyo/JP
2001
Museo Nacional de Arte Reina Sofia, Apricots Along the Streets, curator Rafael Doctor Roncero,
Madrid/ES
PADT (Public Art Developpement Trust), The 4th Wall Musical Theater, curator Sandra Percival,
London/GB
Centraal Museum, Pipilotti Rist 54, curator Ranti Tjan, Utrecht/NL
Tramway, Show a Leg, curator Alexia Holt, Glasgow/GB
2000
CCA Kitakyushu, Super Subjective, curator Akiko Miyake, Kitakyushu/JP
Musée des Beaux-Arts, Pipilotti Rist, curator Stephane Acquin, Montréal/CN
Public Art Fund, Times Square ‘Open My Glade’, curator Tom Eccles, New York, NY/US
Luhring Augustine, Pipilotti Rist, New York, NY/US
1999
Museum Ludwig, Wolfgang Hahn Preis, curator Jochen Pötter, Cologne/DE
Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Remake of the Weekend (french), curator Laurence Bossé,
Paris/FR
Fundaçao de Serralves, Pipilotti Rist, curator Vicente Todoli, Porto/PT
Kunsthalle Zürich, Remake of the Weekend à la zurichoise, curator Bernhard Bürgi, Zurich/CH
1998
Site Santa Fe, curator Louis Grachos, Santa Fe, NM/US
Wadsworth Atheneum, curator James Rondeau, Hartford (Connecticut), OH/US
Kunsthalle Wien, Remake of the Weekend (auf österreichisch), curator Gerald Matt & Sabine Folie,
Vienna/AT
Nationalgalerie im Hamburger Bahnhof Berlin, Museum für Gegenwart, Remake of the Weekend in
Berlin, curator Britta Schmitz, Berlin/DE
1997
Stedelijk Museum Het Domeijn Sittard, The Social Life of Roses. Or Why I’m Never Sad, © with Samir,
curator Stijn Huijts, Sittard/NL
Museum Villa Stuck München, The Social Life of Roses. Or Why I’m Never Sad, © with Samir,
curator Jo-Anne Birnie Danzker, Munich/DE
1996
Kunstmuseum Solothurn, The Social Life of Roses. Or Why I’m Never Sad, © with Samir,
curator André Kamber, Solothurn/CH
Kunsthalle Baden-Baden, The Social Life of Roses. Or Why I‘m Never Sad, © with Samir,
curator Margrit Brehm, Baden-Baden/DE
Museum of Contemporary Art Chicago, curator Dominic Molon, Chicago, IL/US
Centre d’Art Contemporain, Shooting Divas, curator Paolo Colombo, Geneva/CH
Chisenhale Gallery, Slept In, Had A Bath, Highly Motivated, curator Judith Nesbitt, London/GB
1995
Kunstverein in Hamburg, I’m Not The Girl Who Misses Much – Ausgeschlafen, frisch gebadet und
hochmotiviert, curator Stephan Schmidt-Wulffen, Hamburg/DE
Neue Galerie Graz, I’m Not The Girl Who Misses Much – Ausgeschlafen, frisch gebadet und
hochmotiviert, curator Peter Weibel, Graz/AT
1994
Musée d’art et d’histoire Geneva, 5 installations vidéo, curator Claude Ritschard, Cäsar Menz,
Geneva/CH
Kunstmuseum St.Gallen, I’m Not The Girl Who Misses Much – Ausgeschlafen, frisch gebadet und
hochmotiviert, curator Konrad Bitterli, St.Gallen/CH
22. Internationale Biennale di Sao Paulo, (Schweizerpavillon with Hannah Villiger und
Herzog/DeMeuron), Sao Paulo/BR
1993
Stampa, Schwester des Stroms, Basel/CH