Numero 53 - Ricreatorio San Michele

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Numero 53 - Ricreatorio San Michele
ALTA UOTA
Anno 12 Numero 53 edizione Gennaio-Febbraio 2016
Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005
Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro
Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121
www. fvgsolidale.regione.fvg.it
Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org
Direttore responsabile: Andrea Doncovio Direttore editoriale: Vanni Veronesi Redattori: Simone Bearzot, Filippo
Medeot, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Vanni Veronesi, Marco Simeon, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio, Marco
Giovanetti, Francesco Perusin, Michela Zanier, Federica Ermacora, Francesco Pavoni, Carolina Stabile, Luca Maggio Zanon
Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa
Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org
ALTA QUOTA SI EVOLVE.
O MUORE.
A M B I E N T E & C LI M A
NON C’È PIÙ TEMPO
•i livelli di diossido di zolfo e di monossido di azoto si alzerebbero
rispettivamente del 90 e del 50%, causando piogge acide, smog, nuvole marroni e fuliggine e fenomeni climatici estremi più frequenti
e intensi;
•il 70% della popolazione mondiale vivrebbe in aree urbane - di cui 3
miliardi di persone in baraccopoli -, 3,5 milioni di persone morirebbero ogni anno a causa dell’inquinamento dell’aria e 3 miliardi vivrebbero in povertà. Ovviamente, a pagare le spese maggiori di tutto
questo sarebbero i Paesi più poveri.
Lo scenario apocalittico e catastrofico appena tratteggiato non è l’ambientazione di un romanzo di Philip K. Dick, ma il risultato del report
recentemente realizzato dalla società DNV GL, uno dei principali enti
di certificazione, prendendo in considerazione i settori su cui si concentra principalmente la sua attività e che influiscono sulla sostenibilità del
globo: navale, dell’elettricità, petrolio e gas, cibo e bevande, sanità…
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RADIOPRESENZA p. 12
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SCOUT p. 10-11
MORENO BACCICHET p. 5
Nel 2009 la Conferenza ONU sui cambiamenti climatici
di Copenaghen si risolse con un nulla di fatto. Il fine dei
negoziati era quello di stipulare un nuovo accordo internazionale, in vista della scadenza del Protocollo di Kyoto
nel 2012, sul tema della riduzione delle emissioni di gas
ad effetto serra, ma tutto quello a cui si arrivò fu un accordo in dodici punti il cui scopo era quello di limitare
a 2 gradi l’aumento della temperatura media mondiale.
Un patto in nessun modo vincolante dal punto di vista
giuridico e del quale gli Stati si limitarono semplicemente
a prendere atto. All’epoca si parlò di «occasione persa per
il Pianeta» e di «delusione delle aspettative».
Sei anni dopo i rappresentanti di 196 Paesi si riuniscono a
Parigi per stipulare finalmente un accordo vincolante, in
grado di far rispettare effettivamente gli impegni di taglio
delle emissioni di CO2 sottoscritti dai governi. L’obiettivo
è sempre quello di non superare la soglia limite dei 2 gradi.
Barack Obama ha parlato di «ultima generazione in grado
di salvare il pianeta»: se nulla cambiasse nei nostri stili di
vita e di consumo, nel 2050 ci potremmo trovare con un
aumento della temperatura media tra i 3 e i 6 gradi centigradi, con il 60% degli ecosistemi a rischio, mari più alti
di un paio di metri e 200 milioni di ‘rifugiati climatici’.
Saremo 9 miliardi e continuando con questo stile di vita:
•ci vorrebbero tre pianeti insieme per soddisfare le nostre esigenze, dato che la domanda di energia elettrica
salirebbe del 57%, la cui produzione sarebbe ancora coperta per l’81% da combustibili fossili;
•produrremmo 13,2 miliardi di tonnellate di rifiuti (più
o meno 1,3 milioni di Tour Eiffel di spazzatura) e anche
solo con un innalzamento di temperatura di 2 gradi dovremmo spendere ogni anno tra i 70 e i 100 miliardi di
dollari all’anno per l’adattamento al nuovo clima;
ELISABETTA NICOLA p.4
STEFANO MICHELETTI p. 3
L’Alta Quota che vi apprestate a leggere è una scommessa.
Potrebbe essere il primo di una nuova serie o l’ultimo di un
tentativo fallito: lo capiremo con il tempo.
Nel marzo 2005, quando questa testata vide la luce, il mondo
era molto diverso da quello in cui viviamo oggi. Mancavano
tre anni allo scoppio della drammatica crisi economica: un
evento che avrebbe segnato nettamente un prima e un dopo.
L’Occidente dava la caccia a Bin Laden e il Medio Oriente era
ancora quello fissato dai trattati del Dopoguerra, mentre oggi
il Califfato si allarga a macchia d’olio, dopo aver divorato le
varie Primavere. Benedetto XVI guidava la Chiesa e nessuno
poteva immaginare la sua futura abdicazione. In Italia c’era il
secondo governo Berlusconi; dovevano ancora arrivare il Berlusconi Ter, il Prodi Bis e il Berlusconi Quater, travolto dalle
inchieste eppure l’ultimo votato dai cittadini, prima dei tecnici e dei premier creati dal Capo dello Stato. YouTube nasceva
nei nostri stessi giorni; Facebook era ancora sconosciuto; gli
smartphone e i tablet non esistevano. Quanto a noi, eravamo
un gruppo di giovanissimi entusiasti e con un futuro tutto da
costruire: alcuni (me compreso) non avevano ancora finito
le superiori, altri erano all’inizio o a metà del loro percorso
universitario. Ricordo le riunioni di redazione dei primi anni:
decidere l’argomento principale, discuterne senza censure
di nessun genere (a costo di scontrarsi ferocemente, per poi
tornare amici come dieci minuti prima), condividere idee per
titoli e fotografie era solo una parte dell’esperienza che ruotava attorno al giornale. Al secondo piano di via Mercato 1,
in quella stanza sempre troppo calda d’estate e troppo fredda
d’inverno, è infatti cresciuta una generazione coraggiosa, tenace, amante delle sfide, i cui protagonisti hanno fatto molta
strada anche grazie all’esperienza maturata in Alta Quota:
indagare, narrare la realtà, dare voce al prossimo non può non
influire sul proprio percorso di vita.
Oggi quella generazione, che ha raccontato - dalla sua prospettiva solo apparentemente locale - un decennio incredibile, è divenuta adulta. C’è chi si è sposato, chi gira il globo
per lavoro, chi vive a migliaia di chilometri da qui, chi si è
reinventato completamente più volte: è il normale sviluppo
dell’esistenza, che inevitabilmente ci dirotta verso altre priorità e raffredda i vecchi entusiasmi. Così, dopo dieci anni di
pubblicazioni, a maggio 2015 il giornale ha interrotto le proprie uscite: una pausa per capire chi eravamo e cosa avremmo
voluto fare veramente. Stampare una rivista, in sé e per sé,
è cosa piuttosto semplice: sono sufficienti un grafico e un redattore. Pubblicare Alta Quota, invece, è una delle cose più
difficili del mondo: perché Alta Quota è un’idea collettiva, un
progetto culturale ma prima di tutto educativo, una occasione
unica per trasformare in materia concreta ciò che altri nemmeno hanno il coraggio di pensare. Grazie all’attivo interessamento di don Moris, alla fine dell’anno appena trascorso si
è avvicinato alla redazione un nuovo gruppo di giovani, quasi
tutti ancora liceali. Sono loro il futuro di questa testata: rivedo
nei loro occhi la stessa curiosità, la stessa voglia di mettersi
in gioco, la stessa passione che avevamo noi ‘anziani’ quando
iniziammo questa avventura. Ci siamo ancora, continuiamo
a dare il nostro contributo, ma il passaggio di testimone è necessario: occorre un nuovo corso per non morire di routine,
di ‘mestiere’, di prodotti stilisticamente perfetti ma privi di
anima. Per questo, nel mio nuovo ruolo di direttore (che fu di
Norman Rusin, Andrea Doncovio e Alessandro Morlacco, ai
quali va la mia gratitudine per il fantastico lavoro svolto), intendo creare le basi per un progressivo trasferimento di competenze a coloro che avranno il compito di ridisegnare Alta
Quota a loro immagine e somiglianza. Supportato, in questo,
dal nostro decano Giuseppe Ancona, al quale va un ringraziamento particolare: lui sa perché.
◆◆ VANNI VERONESI
ALTA UOTA
in
uotattualità
2
IL PUNTO SU…
continua da pag. 1
Appare chiaro come la posta in gioco sia altissima e il
tempo a nostra disposizione limitato. Basta vedere realtà come Pechino e Shangai, le maggiori città del primo
inquinatore mondiale, la Cina, in cui periodicamente i
livelli di smog raggiungono livelli insostenibili avvolgendo per giorni i palazzi in una fitta coltre grigia e tossica.
Solo il 9 dicembre scorso i livelli di pm 2,5 – un particolare tipo di polveri fini – hanno raggiunto i 294 microgrammi per metro cubo, quando l’Oms raccomanda
dei livelli non superiori ai 25 microgrammi, causando
diversi casi di emicrania e nausea tra i cittadini, soprattutto più deboli, e rendendo necessaria la chiusura
temporanea di scuole ed uffici. Oppure basta pensare al
fatto che già oggi 79 conflitti sono determinati da cause
ambientali: dalla Siria messa in ginocchio dalla siccità e
dalla desertificazione tra il 2006 e il 2011, passando per
lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi in Nigeria, fino
alla guerra civile in Darfur per il controllo dell’acqua o
agli scontri legati alla costruzione della diga Sardar Sarovar sul fiume Narmada, in India. A riprova che le guerre
per l’acqua non fanno solo parte di un futuro distopico.
In questo contesto estremamente urgente e delicato, la
Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi rappresenta un punto cruciale per la futura sostenibilità del pianeta. Purtroppo, come tutti voi sapete, la capitale francese è stata sconvolta poche settimane prima dai tragici
attentati terroristici perpetrati da una cellula jihadista
europea legata a Daesh, compromettendo così la giusta
risonanza che la Cop21 avrebbe dovuto ottenere. L’allarme terrorismo succeduta ai fatti di Parigi ha gettato una
pesante ombra sulle tematiche e sugli obiettivi della conferenza ONU, portando anche i mass media a prediligere
il focus sulla sicurezza interna piuttosto che il problema
ambientale e climatico. L’imponente marcia che avrebbe
dovuto attraversare il centro della Villa Lumière il giorno
dell’apertura del summit, pianificata dalle organizzazioni
ambientaliste per chiedere ai leader mondiali un accordo deciso e vincolante, è stata annullata dal questore per
il rischio di nuovi attentati e nei giorni immediatamente
precedenti la polizia ha eseguito diversi fermi ed arresti a
danno di attivisti legati all’organizzazione del corteo.
Dunque, proprio perché i media e la politica hanno sviato
l’attenzione sui problemi ambientali, noi di Alta Quota abbiamo deciso di parlane. E vogliamo farlo concentrandoci
come sempre su Cervignano e sulla realtà locale. Perché
se è vero che i governi devono necessariamente trovare un
accordo condiviso su una politica ambientale più sostenibile, è altrettanto vero che la rivoluzione parte da noi, dal
nostro piccolo, dal singolo individuo. Siamo noi che alla
fine dei conti, oltre ai meeting internazionali, oltre ai grandi discorsi pubblici, oltre alle tavole rotonde, oltre alle analisi scientifiche facciamo la differenza. È indubbio che solo
i nostri gesti quotidiani, le nostre abitudini, i nostri costumi, sommati a quelli di tutti gli altri possono invertire il
processo autodistruttivo a cui stiamo andando incontro.
Perciò ognuno di noi, per attuare quella rivoluzione culturale, quel cambio di mentalità di cui abbiamo bisogno,
deve partire da ciò che più immediatamente lo circonda,
dalla propria dimensione locale. Ogni azione è un tassello che alla fine compone un immenso puzzle: «think globally, act locally», «pensa globalmente, agisci localmente»
recita un celebre motto ecologista. Ecco perché i livelli di
mercurio delle acque dell'Ausa o dell'Isonzo, le spiagge, le
strade e i parchi pieni di cartine e mozziconi di sigaretta,
la cementificazione, la raccolta differenziata e il riciclaggio,
il consumo d'acqua e di energia elettrica, l'efficienza dei
trasporti pubblici e l'uso della bicicletta come alternativa
all'automobile, le classi energetiche degli elettrodomestici,
il fotovoltaico e le altre tecnologie ecosostenibili, l'educazione ambientale nelle scuole, la produzione di rifiuti, il
disboscamento a favore dei campi coltivati, la costruzione
di enormi complessi edilizi sono tutti fattori importanti
quanto gli accordi internazionali.
Buona lettura.
◆◆ FILIPPO MEDEOT
CAMBIAMENTI
CLIMATICI:
tre generazioni a confronto
Da sempre il clima e i suoi cambiamenti hanno influenzato molto la natura che ci circonda e di conseguenza tutto ciò
che essa produce. Meglio di chiunque altro lo sanno FRANCO (57 anni) e ORLANDO CLEMENTIN (86), che dall’inizio
degli anni ’90 hanno portato la loro impresa familiare a specializzarsi nella viticoltura, continuando oggigiorno, assieme
al figlio e nipote ANTONIO (26), a produrre e vendere il loro vino. .
–Un
– autunno senza precipitazioni come quello appena trascorso
che ripercussioni può avere?
«Lo scorso anno tutto sommato è andato bene, il raccolto
è stato buono. In generale il 2015 è stato migliore rispetto
al 2014, molto piovoso invece. Anche quest’ultimo aspetto di troppa abbondanza non è favorevole; in questa zona
infatti è capitata una situazione in cui l’acqua era ristagnata, anche se per poco, e aveva causato danni sia alle
colture in atto sia a quelle da seminare».
–Che
–
tipo di impatto ambientale ha una produzione come la vostra?
–Rispetto
–
alla generazione del nonno, vi siete accorti di un reale
cambiamento del clima?
«Sicuramente - interviene Franco - il clima non è più
stabile e regolare come una volta, quando a maggio si lavorava nei campi in canottiera o addirittura senza. Ora
invece le estati sono fresche e gli inverni caldi, da più o
meno 20 anni, e di conseguenza le colture ne risentono.
Penso che questo dato spieghi bene la situazione: anni fa
si iniziava a vendemmiare i primi giorni di ottobre, adesso invece già a metà agosto».
–Come
–
vi siete attrezzati per affrontare questi cambiamenti?
«In questa zona, per fortuna, in qualche modo si riesce e
sopperire a questa mancanza, anche perché ci sono fiumi
e scolini e le falde acquifere sono alte. Se nelle zone dove
c’è più ghiaia anche una piccola variazione di temperatura si sente, qui si avverte di meno, nonostante negli
ultimi 10 anni nell’agro aquileiese ci si stia attrezzando
per bagnare i campi. Per quanto riguarda la vite il caldo
non nuoce molto, dal momento che le radici profonde incontrano presto l’acqua delle falde; il seminativo invece,
ossia mais, frumento e soia, ha bisogno di essere irrigato
per essere poi raccolto».
–Che
–
conseguenza ha sul vostro prodotto tutto ciò?
«Con questo cambiamento climatico i raccolti non sono
quelli dovuti per far vivere economicamente un’azienda,
poiché l’acqua è fonte di vita per tutti. Non avendo produzioni industriali tali da organizzare grandi impianti di
irrigazione, le aziende familiari come la nostra risentono
della mancanza di acqua. Adesso la produzione del vino
cambia di anno in anno, anni fa invece era più stabile».
«La coltura della vite ha diversi aspetti: troppa pioggia ti
porta a difenderla maggiormente, poca acqua invece ti
permette di fare un migliore lavoro e anche di risparmiare. Infatti se non piove la qualità è buona o addirittura
eccellente, ma la quantità è minore».
–Nel
– corso dei decenni, il livello delle falde acquifere è sceso o è
sempre lo stesso?
«Quando ero bambino - ricorda con piacere il signor
Orlando - il livello dei fossi era sempre alto, tanto che si
ghiacciavano e si poteva rompere un pezzetto per berlo se si aveva sete, o addirittura anche pattinarci sopra:
era il mio divertimento dopo scuola. Oggi invece non c’è
più ghiaccio, che pure è importantissimo poiché riduce
in polvere la terra e la ripulisce dai parassiti. Una volta
quindi bastavano pochi attrezzi, mentre ora si fa uso di
enormi trattori con una grande energia per spaccare il
terreno, in modo tale che il seme penetri meglio nel suolo, e anche se il ghiaccio può sembrare rimpiazzato senza
nessun problema, è comunque di fondamentale aiuto».
–Lo
– stato promuove incentivi per l’energia pulita, ma ciò è sufficiente come sostegno agli agricoltori oppure si potrebbe fare
di più?
«Di incentivi ce ne sono, dipende però dal tipo di coltura.
Se le stalle e le serre sono dotate ad esempio di pannelli
fotovoltaici e stufe a pellet, la nostra azienda non ancora.
Tutte queste innovazioni oggigiorno costano pochissimo, qualche anno fa invece non erano molto convenienti; inoltre adesso si hanno incentivi anche all’acquisto di
attrezzi elettrici o a gasolio, trattori a risparmio energetico o a guida satellitare, impianti di irrigazione a goccia
dotati di sensori; la Regione o l’Unione Europea aiutano
con un piano di finanziamento per adottare questi nuovi
mezzi tecnologici».
◆◆ CAROLINA STABILE
L’ACCORDO DI PARIGI SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Per raggiungere gli obiettivi (soprattutto quello dei 2 ºC) l’Accordo
A 195
si propone di:
ADOTTATO D E
N
• raggiungere il picco di emissioni globali di gas serra il più presto
PAESI ALLA FI
1
DELLA COP2
possibile per poi ridurle rapidamente fino a raggiungere, nella
15)
20
E
BR
EM
IC
(D
seconda metà del secolo, la parità tra emissioni prodotte e quelle
assorbite. Strumento per raggiungere questi obiettivi sono i “contributi determinanti a livello nazionale”: sforzi di mitigazione proTre obiettivi principali:
gressivi nel tempo e che tutti i Paesi dell’UNFCCC sono chiamati a
1. contenere l’aumento della temperatura media globale ben
intraprendere e comunicare
al di sotto dei 2 ºC rispetto ai livelli preindustriali e il perse• garantire sostegno e flessibilità ai Paesi in via di sviluppo, che
guimento di sforzi per limitarla a 1,5 ºC in quanto questo riduravranno bisogno di più tempo prima di ridurre le emissioni (si ricorebbe significativamente i rischi e gli impatti dovuti al cambianosce che avranno bisogno di supporto finanziario e tecnologico
mento climatico
per l’attuazione di questi impegni)
2. accrescere la capacità di adattamento agli impatti avversi del
• assegnare ai Paesi sviluppati il ruolo guida nell’azione di mitigaziocambiamento climatico, promuovere uno sviluppo a basse
ne attraverso obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni a livello
emissioni, in maniera che non sia minacciata la produzione
nazionale (mentre i Paesi in via di sviluppo potranno aumentare
alimentare
le proprie emissioni, seppur contenendole e cercando nel tempo
3. creare flussi finanziari coerenti con un percorso di svilupdi ridurle)
po a basse emissioni di gas serra e resiliente (ossia resistente e
• chiedere a ogni Paese di aggiornare – migliorandoli – i propri conadattabile) ai cambiamenti climatici.
tributi nazionali ogni cinque anni, con chiarezza e trasparenza.
IL PUNTO SU…
IL CLIMA È
CAMBIATO
e cambierà ancora
Sono rimasto piacevolmente sorpreso quando ho contattato l’ARPA per ottenere un incontro e fare la mia intervista. Ho trovato cortesia, disponibilità, collaborazione.
Mi sono davvero chiesto: «Ma allora è possibile?» Sì, è
possibile che una Pubblica Istituzione si metta in relazione con i cittadini, in modo diretto ed informale, anche in
Italia. Ho incontrato la dottoressa Federica Flapp, che
con grande cordialità mi ha letteralmente sommerso di
dati, grafici e statistiche, ma anche accompagnato, quasi
con tenerezza, nella comprensione del linguaggio tecnico. Ed il direttore dell’OSMER (l’osservatorio meteorologico regionale) dott. STEFANO MICHELETTI, che è
stato il mio interlocutore e che riconosco per averlo visto
spesso alla TV. Ha il fascino del capo e la simpatia istintiva dell’amico, vive vicino Udine, è sposato ed ha tre
figli tra “il giovanotto” e “l’adolescente”.
–Quali
–
sono i segnali più evidenti del cambiamento climatico nel
nostro territorio?
«Ci saranno ripercussioni sui sistemi naturali e sulla società, ma non possono essere compiutamente definite perché non sappiamo quale sia la capacità di adattamento ai
cambiamenti, tanto degli organismi viventi quanto della
stessa società, né quanto la nostra capacità di adattamento
sia in grado di mitigarne gli effetti. Sappiamo che dovremo fare i conti con una minore disponibilità di acqua e
che sarà necessario adottare nuovi sistemi di irrigazione
in agricoltura, così come coltivare piante maggiormente
resistenti alla siccità oppure sviluppare maggior resistenza nella varietà oggi coltivate; inoltre dovranno essere meglio gestite le risorse idriche per evitarne il razionamento.
È probabile un aumento dei fenomeni di dissesto idrogeologico, che richiederanno ulteriori interventi di manutenzione del territorio e, laddove necessario, di rimboschimento con nuove piantumazioni. Così come aumenterà
il rischio incendi quale conseguenza del riscaldamento
della biosfera. La stessa biodiversità potrà subire modifiche, con la scomparsa di alcune specie vegetali e animali
e l’arrivo di altre. Le conseguenze sulla nostra società saranno condizionate dalle cosiddette ‘migrazioni climatiche’, con spostamento di grandi masse di popolazione, in
fuga da zone del sud del mondo verso nord, messe in crisi
da prolungate siccità che possono produrre o aggravare
situazioni di difficoltà già presenti. Si è notato inoltre che
il forte caldo porta ad un aumento della mortalità fra le
fasce deboli della popolazione, nonché delle patologie cardio-vascolari e respiratorie. L’aumento delle temperature
favorisce anche la fioritura di determinati tipi di piante
(come ad esempio l’Ambrosia) e una maggiore diffusione dei relativi pollini, con conseguente incremento delle
allergie respiratorie. Sta aumentando inoltre il rischio di
una maggiore diffusione di malattie trasmesse da vettori
sensibili alla temperatura, come per esempio alcune specie di zanzare e le zecche».
–Mi
– sembra di capire che la causa sia soprattutto l’attività umana. E per quanto concerne il nostro territorio? Cosa fa di sbagliato
ciascuno di noi?
«In buona parte la responsabilità umana sta nella emissione di gas ad effetto serra e quindi in tutte le attività che
richiedono l’utilizzo di combustibili fossili: essenzialmente le attività industriali, i trasporti e la produzione di
energia. C’è inoltre un errato uso del suolo con la deforestazione ai tropici e la cementificazione. Ciascuno di noi
è complice di tutto questo essendo un consumatore e un
fruitore dei prodotti di tali attività, ma sbagliamo tutti
quando sprechiamo energia e i suoi derivati. O meglio,
lo spreco in generale è un comportamento lesivo delle risorse naturali ».
–Cosa
–
possiamo fare per dare il nostro contributo a migliorare
la situazione?
«Possiamo fare molto, sia come singoli individui che
come collettività. Possiamo preferire i prodotti realizzati
con energie rinnovabili e materiali riciclabili. Possiamo e
dobbiamo evitare gli sprechi. Dobbiamo avere maggiore
rispetto per l’ambiente, preferendo la produzione di energia da fotovoltaico, utilizzando di più e meglio l’energia
geotermica o solare termica. Ha grande importanza
inoltre l’aspetto culturale e formativo, che dovrà portare
a una maggiore sensibilità, come consumatori, nella scelta dei nostri acquisti. Orientandoci verso quei prodotti o
quei processi che sono rispettosi dell’ambiente. Per fare
questo è fondamentale la conoscenza e l’informazione,
in modo da formare una coscienza collettiva, capace di
orientare la volontà politica che deve essere sensibilizzata
dalla società civile. In questo senso la conferenza di Parigi è solo il primo passo ».
◆◆ GIUSEPPE ANCONA
amodomio.pdf 1 12/02/2016 07:42:29
ALTA UOTA
comelli.pdf 15/02/2010 13.46.30
–Che
–
conseguenze avrà questo cambiamento?
uotattualità
–In
– questo scenario, quali potrebbero essere le possibili evoluzioni e conseguenze?
«Anche in questo caso è opportuno spiegare che le simulazioni sono fatte su scala planetaria con alcune indicazioni di area continentale e proiezione temporale verso
l’ultimo trentennio del secolo. Contemplano diversi scenari a seconda delle previsioni di sviluppo economico futuro e alla conseguente concentrazione di gas serra. Tutti
gli studi concordano sul fatto che in futuro il nostro sarà
un mondo più caldo. Ai ritmi attuali si ipotizza mediamente di 2 gradi centigradi, ma se il recente accordo di
Parigi sarà disatteso potrebbero essere anche quattro o
più gradi. Tanto per offrire un raffronto, dal punto di vista delle temperature medie a fine secolo il Friuli potrebbe assomigliare a quello che è oggi la Sicilia».
in
«È necessario premettere che i dati da valutare sono sempre basati su elaborazioni di lungo periodo e che non è
significativo comparare un anno a quello precedente,
ma vanno presi in considerazione periodi superiori ai
vent’anni. Anzi, le variazioni sono tanto più significative
quanto più è lungo il periodo considerato. Detto questo,
l’indicatore principale è sicuramente l’aumento della
temperatura. Questo fenomeno si rileva particolarmente
durante l’estate. Più in dettaglio è accresciuta di qualche
grado la temperatura media massima del periodo e sono
aumentati i giorni con temperatura massima diurna superiore ai 30°; questo dato in particolare è più che raddoppiato nell’ultimo decennio, passando da circa 10/20
a 40/50 giorni. Il fenomeno è poco significativo nelle
stagioni transitorie, mentre durante l’inverno si è notata
una riduzione del numero di giorni con gelate notturne.
Un altro fenomeno è sicuramente quello delle precipitazioni, dove però i dati a disposizione per le analisi comparative sono più recenti. Va notata una diversa distribuzione delle precipitazioni, con una primavera più asciutta
e l’autunno che si presenta più piovoso. L’elaborazione dei
dati in nostro possesso ci fa ritenere possibile un aumento delle giornate con precipitazioni intense. Va detto che
gli studi scientifici dimostrano che a un innalzamento
della temperatura si associa un maggiore accumulo di
energia, che a sua volta aumenta la violenza dei fenomeni, così come porta ad una maggiore durata e intensità
dei periodi siccitosi ».
3
4
CAMBIAMENTI CLIMATICI E
1) LE CONSEGUENZE NELLA
VITA DOMESTICA
«RISPARMIARE ENERGIA E LIMITARE GLI SPRECHI»
ELISABETTA NICOLA vive a Cervignano del Friuli, più
precisamente nella frazione di Muscoli. È madre di Leonardo, 13 anni, e ricopre il ruolo di vicepresidente della
Pro Loco dal 2013 e di segretaria del circolo bocciofilo di
Muscoli da circa sei anni.
uotattualità
GIUSEPPE ERMACORA è un coltivatore diretto di
Scodovacca, frazione di Cervignano del Friuli. Nato
in una famiglia di mezzadri, dal 1986 dirige in proprio
un’azienda agricola intitolata a suo nome che si occupa
principalmente della produzione e della vendita a km zero
di ortaggi e dal 2009 anche di frutta e miele.
–Come
–
ha influito il cambiamento climatico sulla produzione della vostra azienda?
«Il clima delle singole stagioni non è più ben definito e
la temperatura atmosferica, com’è stato scientificamente
provato, è generalmente più alta. Ad esempio nel nostro
territorio non si può più parlare di inverni rigidi e estati
afose. L’inverno del 2014 è stato umido e piovoso, quindi
ho dovuto utilizzare spesso l’asciugatrice e il riscaldamento elettrico, aumentando così le spese per l’elettricità.
Questo inverno invece si sta rivelando più caldo e secco,
nonostante alcune giornate di nebbia, e ciò comporta un
risparmio a livello sia energetico sia economico».
«L’aumento della temperatura ha comportato una velocizzazione della produzione e un peggioramento della qualità
del prodotto. Temperature troppo alte inibiscono la crescita delle piante, che fanno maturare più velocemente il
frutto senza che quest’ultimo abbia completato in toto la
sua formazione, richiedendo per di più un maggior impiego dell’irrigazione artificiale. Inoltre l’instabilità del clima
non permette di sapere con certezza i periodi più adatti per
piantare i semi da cui nasceranno le piante. Negli ultimi
anni il protrarsi delle temperature rigide e le sporadiche
gelate primaverili non hanno consentito di rispettare i
tradizionali calendari agricoli. La produzione della nostra
azienda non risente eccessivamente degli sbalzi climatici, poiché quest’ultima è organizzata prevalentemente
in serre che limitano l’influenza degli agenti atmosferici
sulle coltivazioni. Inoltre produciamo solamente frutti di
stagione, in modo tale da rendere i prodotti più genuini,
senza l’impiego di molti ausili chimici».
«Come la maggior parte dei Cervignanesi, per motivi di
necessità e di comodità utilizzo spesso l’automobile, un
mezzo di trasporto che senza alcun dubbio contribuisce
ad aumentare l’inquinamento dell’atmosfera a causa del
rilascio di CO2 e altre sostanze nocive».
in
«UN INDICATORE DEL CAMBIAMENTO
CLIMATICO? LE API»
–In
– che modo il cambiamento climatico ha influito sulla tua vita
domestica?
–Ti
– senti responsabile degli sbalzi del clima?
–In
– che modo le api risentono degli sbalzi climatici?
«La nostra azienda possiede una decina di arnie che contengono da ventimila a quarantamila api ciascuna. Per la
produzione del miele questi insetti prelevano il polline sia
dai prati circostanti sia dalle piante da frutto durante la stagione della fioritura. Un clima piovoso e umido non permette loro di uscire dagli abitacoli per raggiungere i pistilli
e raccogliere la materia prima per l’elaborazione del miele».
–Avete
–
adottato dei metodi di concimazione che rispettino il clima e l’ambiente?
«Ci serviamo prevalentemente dell’amido biologico di
mais, del letame che recuperiamo dalle stalle, del compost
formato con l’erba tagliata, dei frutti e gli ortaggi che non
possiamo utilizzare a livello domestico o vendere perché
in stato di macerazione. Non ricorriamo all’impiego di
diserbanti poiché contaminerebbero la purezza del miele
che viene prodotto dalle api delle nostre arnie. Inoltre lo
smaltimento dei concimi chimici inutilizzati comporta
una spesa non indifferente, quindi ne limitiamo l’utilizzo».
–Come
–
smaltite i rifiuti dell’azienda?
«Rispettando la convenzione per gli agricoltori AT 2000,
quando necessario ci rivolgiamo telefonicamente a un
consorzio che incarica degli operai di venire a recuperare
i nylon utilizzati per la pacciamatura del terreno. Dopo
averli raccolti ci consegnano un attestato per testimoniare
che lo smaltimento dei rifiuti è avvenuto secondo le norme
prestabilite».
–A
– suo parere quali soluzioni agricole potrebbero limitare i danni
verso il clima?
«Innanzitutto lo sviluppo dell’agricoltura biologica contribuirebbe notevolmente a ridurre l’impiego di concimi chimici nocivi per l’atmosfera. Inoltre una rotazione
triennale o quadriennale delle coltivazioni con frumento,
mais e foraggio permetterebbe di lasciare a riposo i terreni senza dover così ricorrere all’impiego di mezzi artificiali per il miglioramento della produzione».
◆◆ FEDERICA ERMACORA
3) L’OPINIONE DELLE NUOVE GENERAZIONI
«PARTIRE DAI PICCOLI GESTI QUOTIDIANI»
–In
– famiglia avete adottato dei metodi per risparmiare energia?
«Per limitare l’impiego di fonti energetiche dannose per
l’ambiente abbiamo installato un impianto fotovoltaico
che, nonostante l’elevato costo iniziale, nel corso degli
anni permette di risparmiare economicamente e di ridurre l’utilizzo di corrente elettrica. Inoltre spesso preferiamo
accendere il camino a legna al posto del riscaldamento
elettrico, limitando ulteriormente le spese per l’elettricità».
–Quali
–
insegnamenti dai a tuo figlio riguardo al rispetto verso
l’ambiente?
«“Non gettare la cartina per terra!” è sicuramente la
prima norma di comportamento che si raccomanda a
un bambino, perché in tal modo impara a rispettare
sia l’ambiente domestico sia quello pubblico. “Spegni la
luce quando esci!” in modo tale da limitare gli sprechi
di elettricità e “Chiudi la porta!” per evitare un’eccessiva
dispersione di calore all’interno della stanza sono altri
consigli che frequentemente do a Leonardo, affinché si
abitui a vivere risparmiando risorse energetiche».
–Gli
– sbalzi climatici hanno causato dei problemi alle attività della
Pro Loco?
«A causa delle numerose giornate di pioggia l’estate del
2014 si è rivelata fallimentare: molti eventi sono stati annullati in extremis poiché le intemperie non ne hanno
permesso lo svolgimento. La scorsa estate invece abbiamo perso solamente una serata su sei, quindi il clima è
stato decisamente più favorevole dell’anno precedente».
ALTA UOTA
2) LE CONSEGUENZE
NELL’AGRICOLTURA
–Per
– quanto riguarda lo svolgimento degli eventi, la Pro Loco ha
adottato dei piani d’azione nel rispetto dell’ambiente?
«Sì, per lo smaltimento dei rifiuti ci siamo accordati con
l’amministrazione comunale di Cervignano in modo
tale che dopo ogni serata gli operai della NET si occupino della raccolta. Inoltre stiamo abbozzando un progetto
che prevede l’installazione presso il Parco Europa di un
raccoglitore di plastica».
–Cosa
–
ne pensi dell’abolizione dei fuochi d’artificio per Capodanno?
«Come stabilito dalla Questura di Udine, il centro di
Cervignano non presenta spazi adatti all’utilizzo dei fuochi artificiali poiché non è dotato di distanze di sicurezza
sufficienti a non creare pericoli per la popolazione. Inoltre da qualche anno l’ENPA e molti cittadini sottolineano
il problema delle reazioni negative degli animali ai tradizionali ‘botti’. L’iniziativa di quest’anno è stata apprezzata solamente da alcuni che, come me, hanno compreso
Ambiente e inquinamento: cosa ne pensano i ragazzi di
Cervignano? Ne abbiamo parlato con una di loro: la quindicenne MARTA PUNTIN.
–Secondo
–
te sta cambiando qualcosa nel clima globale ed in
quello locale? E nell’ambiente che ci circonda?
«Sebbene sappia dai giornali che il clima globale si sta
riscaldando, sono un po’ troppo giovane per poter notare se ci sono stati dei cambiamenti climatici locali tra
presente e passato. Certo, posso sempre confrontare la
situazione di oggi con quello che mi dicono i nonni; ad
esempio ricordo che mi hanno raccontato che quando
loro avevano la mia età gli inverni erano così rigidi che
la neve non scioglieva appena toccava terra, ed i fossi
ghiacciavano così tanto che vi si poteva pattinare. Solo
in base a questo posso dire che il clima locale si stia scaldando; è anche vero, però, che in una zona circoscritta,
o comunque di limitate dimensioni, è difficile notare
cambiamenti su grande scala, anche per quanto riguarda
l’ambiente circostante. Quello che possiamo notare, nel
nostro piccolo, può essere l’Ausa inquinato come pure
qualche albero tagliato per far spazio ad una strada, ma
mai grandi disboscamenti come può accadere ad esempio in Amazzonia».
tilizzarlo. E non sono rari i disastri ambientali causati
del petrolio fuoriuscito dalle petroliere, uno dei fattori
principali dell’inquinamento del mare. Anche il trasporto di merci e l’estremo uso dei mezzi di trasporto privati
causano un abbondante inquinamento. Ma la causa più
profonda è dovuta al tipo di impostazione che ha preso la
nostra società, ossia una società “dell’usa e getta”. Infatti
troppo spesso gettiamo via troppo presto quello che potremmo riutilizzare in altri ambiti. Un esempio banale e
concreto? Prima di gettare via una maglia sgualcita, la si
può riutilizzare come straccio. Anche lo smaltimento dei
rifiuti è infatti altamente inquinante».
–E
– tu? Ti senti responsabile di questi cambiamenti?
«Premetto che io non sono un esempio di ecologista,
anzi, spesso e volentieri mi accorgo tardi di compiere
azioni scorrette verso l’ambiente. Penso che sia perché
spesso pure io cedo alle comodità; ad esempio, viviamo
in un paese piccolo, potremmo comodamente spostarci
tutti in bici, se non a piedi, eppure spesso preferisco muovermi in automobile. Tuttavia certi piccoli gesti quotidiani per preservare l’ambiente li compio, come ad esempio
effettuare la raccolta differenziata o spegnere il rubinetto
quando mi lavo i denti».
–L’uomo
–
è responsabile di questi cambiamenti?
–Cosa
–
si potrebbe fare, nel proprio piccolo?
«Secondo me sì. L’uomo è diretto responsabile di questi
cambiamenti, anche se spesso declina le proprie responsabilità, ritenendo che il problema non lo riguardi nel
personale, ma riguardi invece le generazioni future. Dal
mio punto di vista le cause sono principalmente economiche; guarda per esempio le fabbriche che fanno utilizzo di combustibile fossile! In questo caso l’inquinamento
è triplo: si inquina per estrarlo, per trasportarlo e nell’u-
«Come dicevo prima, l’abitudine, la pigrizia mentale e
fisica, oltre che alla comodità, sono tra le principali concause dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Eppure di soluzioni ce ne sono, eccome, anche a portata di
mano, ma non ce ne accorgiamo. Per cominciare, come
suggerivo prima, nei piccoli paesi, e comunque quando ci
si sposta su brevi direzioni, si dovrebbe preferire la bici o
la camminata, come mezzi di trasporto. Oppure usufru-
la situazione; molti altri hanno sottolineato il fatto che è
stata spezzata una tradizione di lunga durata.».
–In
– che modo le scuole locali contribuiscono all’educazione dei
bambini per quanto riguarda il rapporto clima/ambiente?
–Quali
–
metodi ritieni più funzionali per la sensibilizzazione dei
cittadini verso il rispetto del clima e dell’ambiente?
«Senza alcun dubbio i media rivestono un ruolo fondamentale, poiché possono diffondere messaggi a livello
mondiale e con notevole velocità. Inoltre insegnare a
bambini e anziani il valore della raccolta differenziata,
che molti per disinformazione o per pigrizia sottovalutano, contribuisce alla sensibilizzazione».
«Nelle scuole di Cervignano la NET svolge annualmente
delle lezioni per insegnare ai bambini i comportamenti
da assumere circa lo smaltimento dei rifiuti. Quest’anno
la Pro Loco, assieme al Comune e alle scuole elementari e medie di Cervignano, ha dato luogo a un’iniziativa
che ha previsto la realizzazione da parte degli studenti di
fiocchi di neve con materiali riciclabili».
◆◆ FEDERICA ERMACORA
CONSEGUENZE NEL QUOTIDIANO
IL PAESAGGIO MUTEVOLE
«IL VERO PROBLEMA È
L’INQUINAMENTO AGRICOLO»
5
Incontro a Venezia, più precisamente in aula N1 nel cotonificio di Santa Marta, sede dello IUAV, MORENO
BACCICHET, laureato in architettura nel 1997, dal 2002
cultore della materia presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia per il settore disciplinare di Urbanistica. Oltre all’attività di professore universitario, è consulente per enti e amministrazioni pubbliche: dal 1992 al
1997 è stato infatti componente della Commissione Beni
Ambientali della Regione Friuli Venezia Giulia. Iniziamo
parlando di inquinamento del nostro territorio e della percezione che ognuno di noi ha riguardo al fenomeno, ma
poi il discorso vira sull’inquinamento agricolo e il mondo
che ci gira attorno.
A causa della prolungata siccità autunnale e invernale, il
livello dei fiumi è sceso drasticamente, mettendo in pericolo l’agricoltura. Come documentato da La Tribuna di
Treviso, a cavallo fra Ponte di Piave e Fagarè, in Veneto,
il Piave in secca ha riportato alla luce una passerella austroungarica risalente alla Prima Guerra Mondiale (foto
in alto). La stessa cosa era accaduta nell’estate del 2012,
quando dall’Isonzo, in località Mainizza presso Gorizia,
erano riemerse le pietre del ponte romano (foto in basso).
–Innanzitutto,
–
che cosa si intende con paesaggio e ambiente?
–Possiamo
–
quindi parlare di inquinamento quando la popolazione che abita un determinato territorio avverte un cambiamento
in quest’ultimo?
–C’è
– chi parla anche di alimentazione…
«Ed è vero! Bisognerebbe mangiare più frutta di stagione:
ridurrebbe le emissioni inquinanti prodotte nel trasportare questi alimenti dai paesi d’origine ai nostri, dove
non se ne trovano. Un esempio banale sono le fragole,
che sono spesso in commercio anche d’inverno, nettamente fuori stagione in Italia. Sempre per quanto riguarda frutta e verdura, secondo me, occorrerebbe preferire i
prodotti a km 0, recapitati in loco, così da limitare l’inquinamento del trasporto delle merci e quello della propria auto, magari recandosi in bicicletta dal produttore.
Per non parlare degli imballaggi; si risparmierebbe, recapitando dal produttore il prodotto, anche nella plastica
per imballaggi, che spesso è fonte di inquinamento dei
nostri mari. D’inverno sarebbe opportuno abbassare le
temperature dei riscaldamenti domestici, vestendosi più
pesante, ma limitando così le emissioni di gas inquinanti.
E sempre per quanto riguarda i trasporti, ci sono soluzioni anche per quelli su lunga distanza».
–Ad
– esempio?
«L'inquinamento è sempre misurabile chimicamente:
parliamo di sostanze che danneggiano il nostro organismo, sono presenti nell'aria che respiriamo, negli alimenti di cui ci nutriamo o in prodotti che applichiamo
sulla nostra pelle. Queste sostanze sono gli scarti e il
prodotto di una economia del consumo e della produzione massiva; più la qualità della nostra vita aumenta, più
inquiniamo e sprechiamo. Usiamo la macchina per fare
i più piccoli spostamenti, abbiamo 20 gradi centigradi in
casa quando basterebbero 17, per i più freddolosi 18, ed
un maglione in più; inoltre abbiamo scoperto da pochi
anni la raccolta differenziata come se fosse una grande
invenzione. Possiamo definirci molto pigri, ma dobbiamo pensare che ogni volta che la nostra pigrizia ci sovrasta, inquiniamo».
–Quali
–
attività producono più inquinamento?
«Vi è l'inquinamento dovuto ai gas di scarico delle nostre
auto, per cui si ricorre a targhe alterne o blocchi totali del
traffico, vi è quello dovuto alla combustione di materiale
organico da parte delle nostre stufe e caminetti, vi è quello delle grandi industrie e dei loro scarti di lavorazione,
ma spesso sono le attività più insospettabili che producono una buona percentuale di inquinamento dell'aria e
del suolo».
–Ossia?
–
«Per esempio l'inquinamento agricolo. La lavorazione dei
campi è un esempio lampante, basti pensare
che, durante
crogiolo.pdf
15/02/2010
«Sì, ci sono delle normative sia europee sia a livello nazionale e regionale, ma è prevalentemente a discrezione dei
proprietari del terreno. Esiste la ‘carta dei veleni’ che ogni
azienda agricola ha e in cui si elencano pesticidi e fertilizzanti utilizzati sui propri campi: ora si chiama – sorride
– ‘Carta dei prodotti fitosanitari’ o ‘presidi sanitari’, così
sembra facciano meno male...»
–Quella
–
degli agricoltori è forse una scelta obbligata?
«Certo. La colpa non è dei diretti coltivatori e possessori
dei terreni agricoli ma di chi, per scopi puramente economici, produce, mette in commercio e pubblicizza tali
prodotti. Gli agricoltori sono le vittime piuttosto che i
'carnefici'. Se io avessi un terreno coltivato e mi venisse
detto che con una certa quantità di un prodotto fitosanitario riuscirei ad incrementare la mia produzione in
modo esorbitante, in un momento di crisi agricola come
quello di adesso, la scelta sarebbe quasi obbligata. E così
facendo andrei a bombardare con prodotti chimici le mie
piante, in modo che siano più belle esteticamente e in
quantità superiori. Ma quello che non vedrei è che il mio
terreno sta pian piano perdendo la sua fertilità a causa
dell'impoverimento di sali e materiali organici presenti
nella terra e non vedrei che l'acqua con cui ho bagnato il
campo, o più semplicemente quella piovana, è inquinata
e, permeando nel terreno, va a finire nelle falde acquifere
per poi sgorgare dal rubinetto di casa nostra».
–Come
–
si è arrivati a questo?
«Gli insetticidi e i fertilizzanti sono sempre esistiti, la vera
differenza sta nella misura in cui si utilizzano. È ormai
diventato quasi un circolo vizioso, poiché ogni anno gli
insetti e le malattie che colpiscono le piante si fortificano,
quindi diventa necessario aumentare le quantità e la forza di questi prodotti. Non si può dire «torniamo indietro,
usiamo le miscele di veleni che venivano adoperate un tempo»: sarebbe un ragionamento a mio avviso non corretto.
Si tratta, semmai, di usare la tecnologia che abbiamo sviluppato in modo responsabile e meticoloso. Ovviamente,
come per ogni cosa, vi sono coloro che rispettano la propria terra, hanno con essa un rapporto di lavoro e di fatica.
Io punto il dito soprattutto contro le grandi aziende che
con le loro monocolture e i loro veleni stanno aggredendo
e inquinando pesantemente il nostro territorio, facendoci
credere che la bellezza di una mela sia più importante dei
benefici che essa ha sul nostro organismo».
◆◆ FRANCESCO PERUSIN
13.47.03
ALTA UOTA
«Mettersi d’accordo per portare i propri figli a scuola o
agli allenamenti sportivi con una sola macchina anziché
con molte, ciascuno per conto proprio, potrebbe essere
una soluzione: non solo limita le emissioni inquinanti,
ma aiuta anche a socializzare e a risparmiare in benzina. Ecco, secondo me sono i gesti piccoli, compiuti prima
con uno sforzo, e poi automaticamente, che possono aiutarci a capire quanto sia importante il nostro pianeta e
quanto sia importante preservarlo».
◆◆ LUCA MAGGIO
–Quando
–
possiamo allora parlare di inquinamento?
–Non
–
ci sono dei controlli o dei limiti all’utilizzo di questi prodotti?
uotattualità
ire dei mezzi pubblici; ridurre, comunque, l’utilizzo dei
mezzi privati, principali fonti d’inquinamento.
«A mio parere no, bisogna stare attenti a non abusare
troppo di questa parola ‘inquinamento’. La popolazione
cambia assieme al paesaggio, vanno quasi di pari passo,
basta pensare alla costruzione di nuove strade, di edifici
e via dicendo, perciò con il susseguirsi delle generazioni
cambia anche la percezione che le stesse persone hanno
del proprio territorio. Per fare un esempio: immaginiamo che venga costruita, al posto di una serie di campi
coltivati a vigna, una strada ad alto traffico. Io vedrei
questo cambiamento come un deturpamento del mio territorio perché ho in mente quello che vi era prima, ma un
ragazzo che cresce con quella strada già costruita, e che
non sa cosa lì ci fosse prima, ha una percezione diversa
del paesaggio e non lo avverte come un deturpamento.
L’inquinamento è una cosa diversa: non si parla più di
percezione della popolazione, ma di veri e propri effetti
fisici e sociali sulle persone che abitano un territorio».
il periodo di trattamento delle vigne, le stazioni di monitoraggio dell'aria registrano livelli di inquinamento superiori a quelli rilevati nel centro trafficato di Pordenone.
La campagna coltivata, che per noi è sinonimo di natura,
di aria aperta e pulita, è in verità un ricettacolo di veleni
per il nostro organismo».
in
«Il paesaggio è l’aspetto visibile di un ambiente: la Convenzione Europea del Paesaggio, che si è tenuta il 20 ottobre del 2000, definisce quest’ultimo come una determinata
parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o
umani e delle interazioni che vi sono fra essi. L’ambiente,
invece, ingloba più temi: è infatti il complesso di condizioni materiali, sociali, culturali e morali, in cui una persona vive e si forma. Bisogna però aggiungere che in Italia
il concetto di paesaggio ha sempre avuto una stretta relazione con un principio estetico del bello: questo aspetto ha
spesso determinato una progettazione e un intervento sul
territorio diverso rispetto al resto d’Europa».
6
IL LOCALE E IL GLOBALE
LA
NUOVA
RESILIENZA
COME LE CITTÀ SI ADATTANO AL CAMBIAMENTO CLIMATICO
in
uotattualità
Per il laboratorio di progettazione urbanistica II di questo semestre, intitolato Per una Trieste città resiliente, ci
è stato chiesto di realizzare un progetto per Trieste che
sia rivolto a un arco di tempo che va tra i cinquanta e i
cento anni a partire da ora, quando l’acqua si sarà innalzata di 70 centimetri certi, 1 metro al massimo.
Il surriscaldamento globale e gli impatti dei cambiamenti
climatici incidono sul bilancio qualitativo e quantitativo
delle risorse naturali, aggravano la stabilità dei territori
e mettono a rischio l’abitabilità. Le città risultano quindi
particolarmente vulnerabili agli impatti dovuti ai cambiamenti climatici: «L’asfalto, il cemento e le altre superfici artificiali assorbono le radiazioni solari e producono
isole di calore, per questo motivo la temperatura nei centri delle città risulta superiore rispetto alla campagna circostante e le aree verdi della città sono stressate dalla alta
frequentazione e dalle siccità» (European Topic Centre on
Air Pollution and Climate Change Mitigation, anno 2010).
In merito a ciò, abbiamo seguito delle lezioni in cui ci è
stato spiegato come diverse città, europee e non, stiano
affrontando il tema della resilienza, ovvero la capacità di
adattarsi ai vari cambiamenti che avvengono nel tempo, sia
per quanto riguarda la società e la politica, sia per quanto
riguarda gli eventi climatici e fisici che subiscono. Per The
Oxford Handbook of Urban Planning una città resiliente è
«una città capace di sopravvivere a un trauma senza che
le infrastrutture fisiche, l’economia e il suo tessuto sociale
smettano di funzionare». Altre lezioni, invece, si incentravano su quale fosse il ruolo dell’urbanistica nel progetto di questi nuovi scenari futuri: «Costruire scenari per
un territorio significa elaborare immagini di futuri
possibili, cioè formulare congetture in merito alla sua
possibile evoluzione nel corso del tempo, compiendo un
esercizio di immaginazione creativa che prenda le mosse dal riconoscimento delle potenzialità e delle criticità
riscontrabili nel presente e dalle azioni progettuali che si
ipotizza di intraprendere. […] Affinché l’urbanistica cessi
di essere un semplice spettatore o una disciplina ‘applicata a posteriori’, è quindi indispensabile che recuperi la sua
capacità di raccontare il futuro» (Paolo Bozzuto, Andrea
Costa, Lorenzo Fabian, Paola Pellegrini, Storie del futuro.
Gli scenari nella progettazione del territorio, Officina Edizioni 2009).
L’innalzamento del livello del mare, i mutamenti nel regime delle piogge e l’incremento delle temperature sono
cause che devono invitare a progettare il territorio urbanizzato in modo tale che sia meno vulnerabile e più
resiliente. Interventi che riducono l’impatto della città
sull’ambiente possono essere la riduzione del consumo
energetico, la migliore gestione della mobilità, la riduzio-
A questo proposito i paesi più sviluppati devono porsi in
prima linea nella lotta contro i cambiamenti climatici,
poiché sono responsabili di gran parte delle emissioni
rilasciate in seguito alla rivoluzione industriale. Le città
sono infatti responsabili del 40% delle emissioni complessive di gas serra. Parallelamente alla riduzione delle
emissioni, l’Europa e il resto del mondo devono adattarsi
ai cambiamenti climatici in corso e futuri.
Una linea guida seguita dalla maggior parte degli studenti nell’affrontare il loro progetto è stata data dal progetto Facing up to rising-sea levels. Retreat? Defend? Attack?, nel quale vengono esposte tre diverse strategie per
affrontare l’innalzamento delle acque.
•La prima delle tre è l’‘Adattamento’, per la quale si è cercato un modo di convivere con il problema climatico
senza apportare troppe modifiche al territorio.
•La seconda è la ‘Difesa’, che propone un arretramento
della linea di costa per poterne mantenere in futuro le
funzioni: questo attraverso l’utilizzo di un disegno di
suolo che giochi su diverse altezze – da gradinate che
arrivano al mare a dune in grado di schermare il vento – e che permetta all’ambiente di restare abitabile e
fruibile ai cittadini.
•La terza strategia riguarda l’‘Attacco’, ovvero il ridisegno della costa mediante lunghi pontili o moli in grado
di espandersi sul mare.
Rotterdam, seconda città più importante dell’Olanda dopo
Amsterdam, sede del più grande porto commerciale d’Europa e tra le più importanti al mondo in quanto collocata
nel cuore del delta del Reno, ha affrontato il tema della resilienza urbana con un Water Program che permettesse di
costruire un esemplare rapporto acqua-città fondato sulla
costruzione di piazze d’acqua: spazi pubblici riqualificati
dal punto di vista idrico e sociale. Uno degli obiettivi di
Rotterdam è rimanere un centro di attrazione dal punto di
vista socio-economico, nonostante l’80 % della città sia al
di sotto del livello del mare. Il primo piano d’azione contro
le alluvioni risale al 2001, ampliato poi nel 2005; il secondo
è entrato in vigore nel 2007, mettendo a punto una strategia di adattamento completata nel 2013.
Un altro caso analizzato attentamente dal mio gruppo di
lavoro è stato quello della città di Boston, la quale ha accolto
il concorso Boston living with water. Il fattore scatenante,
l’uragano Sandy, ha permesso di conseguire un bando indetto nell’ottobre del 2014, il cui fine era quello di affrontare i rischi portati da problemi quali alluvioni, alte maree,
esondazioni ed erosioni costiere, prefigurandosi una Boston che, nel 2100, potesse essere una città resiliente, sicura,
bella e vivibile. Il bando suddivideva la città in tre luoghi:
•per la zona nominata ‘Quartiere’ è stata scelta l’area vicina all’Università di Boston - soggetta a grandi allagamenti;
•per le ‘Infrastrutture cittadine’ invece è stata presa in
considerazione la Summer Street, la via storica di Boston,
abbandonata e in degrado a causa degli allagamenti;
•infine, per l’area relativa all’‘Edificio’, è stata definita
una zona in prossimità del centro che avesse una possibilità di espansione per la città.
Il progetto vincitore per la zona nominata ‘Quartiere’ può
essere oggetto di orgoglio per il nostro paese in quanto è
stato ideato dal gruppo veneziano Thetis.
Ho riportato solo due esempi, perché se dovessi parlare
di tutte le città che si stanno attrezzando contro il cambiamento ambientale, da Lione a Venezia, da New York a
Durban, avrei bisogno dell’intero giornale. Il mondo si
sta attivando, le città iniziano a proteggersi per costruire
il proprio futuro e conservare gelosamente il passato. I
grandi cambiamenti, dopotutto, o sono improvvisi e radicali nel tempo e nello spazio, o si dilatano in un lungo
periodo, e l’uomo sta iniziando solo ora ad adattarsi alla
natura che si evolve sempre più rapidamente.
◆◆ GIULIA BONIFACIO
MENTI ALL’AMBIENTE
Dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 Parigi è stata sede
della Cop 21, ossia della Conferenza globale sul clima. Ne
abbiamo parlato con CRISTIANO GILLARDI, ingegnere
esperto in problematiche ambientali.
–Che
–
cos’è la Cop 21 e chi vi ha partecipato?
ALTA UOTA
ne del consumo di acqua e della produzione di rifiuti, infine la promozione della biodiversità. Temi affrontati nelle diverse conferenze incentrate sul problema climatico e
che hanno avuto inizio dalla Conferenza sull’Ambiente e
lo Sviluppo delle Nazioni Unite di Rio nel 1992.
«La Cop 21 (Conference of the Parties), svoltasi a Parigi
tra il 30 novembre 2015 e l’12 dicembre 2015, è stata la 21ª
Conferenza indetta dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Si è trattato di una
riunione a livello planetario che raccoglie tutte le nazioni
partecipanti per discutere e decidere riguardo i temi della sostenibilità ambientale e anche dell’economia. All’appuntamento di Parigi prendono parte i rappresentanti di
195 stati, tra cui i 10 maggiori produttori di gas serra, e
molte organizzazioni tra associazioni e istituti di ricerca,
di ogni tendenza in fatto di energia e di cambiamenti climatici. A 20 anni dal Protocollo di Kyoto, la Cop 21 si è
posta l’obiettivo di formalizzare un nuovo accordo al fine
di risolvere i problemi ambientali».
–Quali
–
sono le cause e le conseguenze dei mutamenti climatici?
«La causa dei mutamenti climatici è l’aumento della concentrazione di anidride carbonica (biossido di carbonio,
CO2) nell’aria. La concentrazione dell’anidride carbonica provoca un aumento dell’effetto serra».
–Ecco,
–
spieghiamo una volta per tutte cosa significa.
«Con l’espressione effetto serra si definisce il fenomeno
per cui l’energia che viene emessa dalla superficie terrestre verso lo spazio, in prevalenza come radiazione infrarossa, per bilanciare il flusso di energia ricevuta dal Sole,
è parzialmente assorbita da alcuni gas presenti nell’atmosfera, detti gas serra, e da questi rinviata nuovamente verso la Terra. In tal modo viene ritardata la dispersione di
energia e s’instaura una temperatura media alla superficie
terrestre maggiore di quella che si verificherebbe in assen-
za di atmosfera. Finché la composizione dell’atmosfera e
la quantità di radiazione solare ricevuta dalla Terra non
variano, l’equilibrio tra i vari fattori fa sì che s’instauri un
certo valore medio di temperatura alla superficie terrestre. Se uno dei fattori in gioco cambia, l’equilibrio si sposta. Una diminuzione di biossido di carbonio provoca un
raffreddamento del pianeta, un aumento provoca invece
un eccessivo riscaldamento, ed è questo il nostro caso. Il
risultato di questa intensificazione dell’effetto serra potrebbe essere un aumento della temperatura media terrestre, con conseguente parziale scioglimento dei ghiacci
delle calotte polari e innalzamento del livello dei mari;
inoltre, potrebbero verificarsi modificazioni climatiche
che attualmente sono difficilmente valutabili».
–Entrando
–
nello specifico, qual è la situazione del Friuli Venezia
Giulia?
«È difficile parlare di un caso specifico perché gli effetti
dei cambiamenti climatici sono molteplici, sono estremamente diversificati e si spostano sulla superficie terrestre con una casualità che ancora non è ben capita e non
è facilmente prevedibile. Per cui, in linea generale, si assiste a un aumento della temperatura dell’acqua e dell’aria,
che porta all’innalzamento del livello degli oceani a causa dello scioglimento dei ghiacci emersi. Il livello d’acqua
del golfo di Trieste è salito di 13 centimetri da quando si
è iniziato a tenere sotto controllo, circa un secolo fa. Questa misura è insignificante in condizioni normali, però
diventa importante in condizioni meteo particolari, ad
esempio quando soffia vento di scirocco e c’è alta marea,
perché quei 13 centimetri fanno sì che ci sia l’acqua alta
a Trieste, evento particolarmente raro. Questo innalzamento del livello dell’acqua potrebbe essere un problema
per le lagune di Grado e Marano, che potrebbero essere
sommerse da velme e barene in maniera stabile. Un al-
tro problema dovuto all’innalzamento dei mari sarebbe
quello della penetrazione del cuneo salino: se il livello del
mare si solleva, aumenta la pressione del mare sulle probabili vie di comunicazione tra mare e sorgente dolce, per
cui l’acqua salata penetra nella sorgente».
–Quali
–
potrebbero essere le possibili soluzioni nel quotidiano?
«Le possibili soluzioni sono molte: alcune comportano
solamente uno sforzo mentale, altre economico. Si potrebbe cominciare dal fare correttamente la raccolta differenziata senza disperdere i rifiuti nell’ambiente. Data la
presenza di apparecchi tecnologici, sarebbe utile spegnere il Wi-Fi quando si è fuori di casa e, nelle ore notturne,
spegnere tutti gli stand-by e i caricabatterie. Un risparmio notevole deriverebbe dall’uscire a piedi o dall’utilizzo di biciclette invece delle automobili: oltre all’ambiente, ne beneficia anche la persona. Inoltre ci sono diversi
modi per autoprodursi l’energia, come il fotovoltaico
sfruttando l’energia solare, il micro idroelettrico e il micro eolico sfruttando acqua e aria».
◆◆ FRANCESCO PAVONI
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NUMERO
TUTTO IL BELLO DEL CINEMA
7
CERVIGNANOFILMƒESTIVAL 2016: AL LAVORO
PER LA QUARTA EDIZIONE!
È bastato scrivere un breve messaggio sul nostro gruppo Facebook e in poche ore un
migliaio di persone hanno visualizzato la notizia: moltissimi i “mi piace”, molte le
condivisioni. Due righe stringatissime, che però sono state sufficienti per destare l’entusiasmo di tutti:
«12 febbraio 2016: si rimette in moto la macchina del CERVIGNANOFILMƒESTIVAL - il Cinema del Confine e del
Limite. Appuntamento a settembre… seguiteci!».
Dunque è ufficiale: il comitato organizzatore è al lavoro per la quarta edizione del CervignanoFilmFestival - Il cinema del confine e del limite, di cui il sottoscritto sarà direttore artistico in toto, dopo il tandem dell’anno scorso con Piero Tomaselli. Proprio a lui è rivolto il mio primo pensiero: come dico sempre, senza la preparazione, la
professionalità, la cultura, la lucida follia di Piero, questo piccolo miracolo che ormai dal 2013 anima il settembre
cervignanese non sarebbe mai esistito. Né sarebbe esistito senza il lavoro straordinario, faticosissimo, spesso «in
direzione ostinata e contraria» del Ricreatorio San Michele: al presidente Andrea Doncovio e al coordinatore
generale del CFF, il mitico Riccardo Rigonat, va dunque il mio più caldo e vivo ringraziamento, così come a tutto
lo staff con cui ho la fortuna di lavorare.
Ma cos’è precisamente questa manifestazione? Come recita l’ormai canonica presentazione, il Festival «nasce da
è riservata anche al cinema made in FVG e a quello, solitamente invisibile, realizzato dalle scuole superiori di
tutta Italia, che l’anno scorso ha riscosso un successo al di là di ogni aspettativa.
Ospitato in una terra che è da sempre frontiera e incrocio di culture (fino al 1915 Cervignano era l’ultimo avamposto dell’impero asburgico e il fiume Ausa segnava il confine con l’Italia), il CervignanoFilmFestival, dedicato
appunto al «limite e al confine» dei generi cinematografici, si presenta quindi come un osservatorio inedito dei
movimenti sotterranei e di superficie che stanno investendo il mondo della settima arte e, più in generale, della
comunicazione globale, con opere provenienti da tutto il mondo: da due anni il numero di prodotti audiovisivi
arrivati in via Mercato 1 si attesta attorno alle 300 unità, toccando ogni continente. Ma per capire le ultime
tendenze del cinema occorre necessariamente partire da autori ormai ‘classici’, proprio perché di dirompente
novità in passato: con questa filosofia, ‘didattica’ nel senso più alto del termine, sin dalla prima edizione il CervignanoFilmFestival organizza tavole rotonde di approfondimento, matinée con film ad hoc per le scuole medie
e superiori della città, nonché proiezioni speciali fuori concorso di grandi pellicole del passato ingiustamente
dimenticate. Il tutto legato un argomento che fa da filo conduttore fra i vari eventi: cinema e filosofia nel 2013,
cinema e musica nel 2014, cinema e arti visive nel 2015. Per l’edizione 2016 il tema è già individuato, ma ancora
non possiamo svelarlo: vi diciamo solo che farà… discutere. Com’è giusto che sia, perché il compito di una rassegna culturale è quello di muovere le passioni e svegliare le coscienze.
Il Festival si svolgerà da martedì 20, con la serata inaugurale, a domenica 25 settembre, con l’ormai assodata
proiezione di un classico del cinema da riscoprire, in quanto ingiustamente dimenticato. L’anno scorso toccò
a Il ventre dell’architetto di Peter Greenaway, in una serata rimasta scolpita nell’immaginario cervignanese: so
per certo di persone che hanno rivisto l’opera altre tre volte, di ragazzi che hanno inserito la colonna sonora del
film come suoneria del loro cellulare… Per l’edizione 2016 stiamo valutando due ipotesi, entrambe formidabili
per quanto diversissime: fin da ora, comunque, vi garantisco qualcosa di straordinario. Tutto questo in attesa di
pubblicare il bando (sarà on line in primavera) e soprattutto di scegliere la rosa dei finalisti che approderanno
sul grande schermo della Sala Aurora.
Appuntamento a settembre. Nel frattempo, non perdetevi i nostri aggiornamenti sul gruppo Facebook e sul sito
www.cervignanofilmfestival.it.
◆◆ VANNI VERONESI
ba eka
ALTA UOTA
1946 – 2016: La Repubblica come ha cambiato l’Italia?
Durante i cinque anni intercorsi tra il 25 luglio 1943, data
della caduta del regime fascista, e il 18 aprile 1948, giorno in cui avvennero le elezioni per la prima legislatura
repubblicana, l’Italia venne rivoluzionata dall’affermazione di una nuova classe dirigente, di un nuovo sistema
politico e di una nuova Costituzione.
Il 2 giugno 1946 il popolo italiano fu chiamato a decidere
tramite un referendum istituzionale se mantenere l’assetto monarchico o dare vita alla Repubblica. In quest’occasione affluì alle urne circa il 90% degli aventi diritto di
voto, percentuale senza precedenti nelle elezioni libere in
Italia; il 54% di essi scelse di investire forze e fiducia nel
cambiamento politico e per 12.700.000 voti su 10.700.000
decretò la fine della monarchia sabauda e la nascita della
Repubblica italiana, proclamata dalla Corte di Cassazione il 10 giugno 1946. Si trattò di un avvenimento decisivo
per il futuro del nostro paese: per la prima volta dopo
venticinque anni di dittatura si poté parlare di consultazioni politiche incondizionate, per la prima volta anche le
donne italiane godettero della possibilità di votare, per la
prima volta nella Storia l’Italia si presentò agli occhi del
mondo come una res publica, un bene comune, un tesoro
appartenente all’intera popolazione italiana.
Quest’anno ricorre il settantesimo anniversario dell’avvento della Repubblica italiana. È trascorso più di mezzo
secolo, si sono succeduti dodici presidenti e numerosi partiti politici alla guida del paese. Nel corso del tempo l’Italia
è mutata notevolmente: negli anni ’60 è stata il luminoso
scenario di un boom economico e sociale, nel ventennio
successivo si è presentata come il cruento fondale di ondate
terroristiche e tensioni interne, e ora appare ai nostri occhi
come l’oscuro fondale di una crisi economica e ideologica,
appesantita per di più dagli scontri bellici che attanagliano
gran parte dell’Europa. Che cosa è cambiato dopo settanta anni? La Repubblica si è rivelata la scelta giusta? Come
si sarebbe evoluta la storia italiana se il 2 giugno 1946 la
maggioranza dei voti avesse preferito l’ordinamento monarchico a quello repubblicano? Si sarebbero verificati gli
stessi avvenimenti? Come vivremmo oggi? Non si tratta
di vacue domande retoriche ma di quesiti volti a dare voce
alle opinioni dei Cervignanesi in merito al tema scelto dalla redazione per il prossimo numero di Alta Quota. Sebbene si possa discutere a lungo riguardo alla validità e alla
credibilità del nostro Stato, non si può obiettare il fatto che
la nascita della Repubblica abbia permesso agli Italiani di
respirare aria di libertà. E se, come cantava Giorgio Gaber,
“libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”,
Alta Quota v’invita a riflettere e ad esprimere i vostri pensieri in merito ai cambiamenti positivi e negativi che hanno segnato la storia del nostro paese.
◆◆ FEDERICA ERMACORA
credifriuli.pdf 15/02/2010 13.46.47
un’idea del Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione Ricreatorio San Michele e dalla volontà di supportare la creatività
giovanile con l’intento di valorizzare, promuovere e divulgare le forme “minori” della narrazione audiovisiva e cinematografica, protagoniste negli ultimi anni di una vera rivoluzione dei propri codici: il cortometraggio di fiction, strumento
privilegiato di comunicazione sociale e politica, ma anche banco di prova per sperimentazioni tecniche e contaminazioni
di linguaggi espressivi, dove spesso diventa difficile distinguere realtà e finzione (come, paradossalmente, nel mondo
dell’informazione oggi); e il documentario, assurto negli ultimissimi anni al rango di opera d’arte tout court, tanto da
imporsi come nuova strada da battere per un rinnovamento complessivo del cinema. A questi due generi è dedicato il
concorso principale, al quale si affianca il Premio “Michel Gondry” riservato al videoclip, che da semplice accompagnamento di una canzone è diventato prodotto filmico autonomo e oggi vive una seconda giovinezza grazie all’apporto
del digitale, tanto a livello pop (per esempio attraverso il canale Vevo di YouTube) quanto, e soprattutto, a livello indipendente, come strumento di promozione e mezzo per affermare la propria identità artistica». Un’attenzione particolare
8
Alta ucina
i
Eravamo rimasti, mesi addietro, agli spaghetti cu ‘a
pummarola ‘ncoppa e ripartiamo, essendo nel frattempo
cambiate molte cose, tra cui addirittura la numerazione
dell’anno, dal riso: alimento sano, facilmente digeribile
e di alto valore nutritivo. Ha scritto Alberto Bevilacqua:
«Affondare le mani nel riso, e farselo scorrere tra le dita,
è un atto che ha qualcosa di religioso, una sua simbologia
cristiana». Esistono almeno cinque tipi di riso e otto tipi
di cottura che ovviamente esulano da queste righe, per
cui riportiamo soltanto la ricetta di qualche risotto, carpita qui e là nel mio girovagare per l’Italia e, comunque,
tra le più semplici a prescindere da ingredienti sofisticati.
Provata, riprovata ed eventualmente rielaborata.
RISOTTO ALL’ARANCIA. Sciogliere il burro necessario unendovi la buccia tritata di un’arancia; far tostare
leggermente il riso aggiungendo un bicchiere medio di
vino bianco da pasto o, meglio, di prosecco. Proseguire
aggiungendo, a poco a poco, un buon brodo, senza dimenticarsi di girare, e a ¾ di cottura il succo di una o due
arance a seconda che piaccia più o meno aromatizzato. A
fine cottura aggiungere del formaggio a dadini (va bene
il taleggio), lasciarlo sciogliere e mantecare coperto per
alcuni minuti e poi servire.
(si fa sempre per dire)
DAGLI SPAGHETTI AL RISO
di Alberto Landi
RISOTTO CON FRAGOLE E CALVADOS (O BRANDY O GRAPPA). Tostare il riso nel burro e bagnare con
buon brodo insaporito, aggiungendolo un po’ alla volta
e rimestando insieme a un etto circa di fragole. A metà
cottura unire un altro etto di fragole tagliate a pezzetti.
Aggiungere a fine cottura una noce di burro e mantecare
con parmigiano e qualche cucchiaio di Calvados. Servire
guarnendo a raggiera con altre fragole. La rielaborazione
suggerisce che il Calvados può essere sostituito dal brandy o anche dalla grappa.
RISOTTO CON PROVOLONE, NOCI E PISTACCHI.
Rosolare uno scalogno in tre cucchiai di olio extravergine e burro, quindi tostarvi il riso bagnandolo con il solito
bicchiere di vino bianco. Aggiungere poco alla volta del
buon brodo bollente mescolando fino a cottura ultimata.
Togliere dal fuoco e cospargere con pistacchi e noci a vostro gusto ma senza esagerare, e mantecare parzialmente
con provolone anche affumicato.
MITO. Torniamo alla signora Bice alla quale, durante lo
scambio degli auguri per le recenti festività, ho promesso che alla ripresa di Alta Quota avrei continuato con le
fatiche di Ercole (spazio permettendo). Da parte mia man-
tengo la promessa con il racconto della quarta relativa al
cinghiale di Erimanto, un feroce animale che spopolava
sulle pendici dell’omonimo monte. Sulle creste del quale
si diceva (il gossip è sempre stato di moda) che Artemide
(Venere) si abbandonasse alle sue danze solitarie e cavalcasse i potenti centauri, animali metà uomo e metà cavallo. (Honny soit qui mal y pense a proposito del “solitarie” e
“cavalcasse”). Si narra anche che la pudica Artemide avesse accecato il figlio di Apollo, suo fratello, perché l’aveva
vista nuda e che Apollo avesse a sua volta ucciso Adone,
amante ufficiale della sorella. Poiché il monte era sacro ad
Artemide, Ercole svicolò per Foloe e fu ospite del centauro
Folo che gli offrì una lauta cena innaffiata da buon vino.
Gli odori mandarono in visibilio gli altri centauri che accorsero in massa presso Folo ma Ercole, per non smentirsi,
ne fece una carneficina e altri si dispersero in varie località. La storia è lunga e complicata, un vero “reality” con
intervento della nonna dei centauri, del loro re Chirone,
ferito da una freccia avvelenata che, pur essendo immortale, decise di morire mentre anche Folo morì causalmente
avvelenato. Ercole, dopo averlo seppellito, riprese la caccia
al cinghiale, riuscì ad imprigionarlo e lo riportò vivo ad
Euristeo il quale, pur avendogli commissionato la fatica,
alla vista dell’animale si nascose pauroso e tremante.
IL NOSTRO ARCHIVIO… PER LA TUA CURIOSITÀ!
i più
ALTA UOTA
Visita il sito www.ricre.org nella sezione Alta Quota e scopri il nostro Archivio giornali!
Troverai tutti i numeri, dall’1 a quello che stai leggendo, compresi gli speciali, da leggere e scaricare gratis!
Si ringraziano Franco Nannetti e Matteo Comuzzi per le scansioni.
OLTRE LO SPECCHIO
Il Pianeta è il luogo che
abitiamo. È uno spazio fisico di vita. Pensiamo che la
vita corra solo in un corpo,
attraverso il sangue, in un
seme. Invece la vita è ovunque e accade. Accade in
ogni istante. La creazione
della Terra è la creazione di
un luogo di vita.
Oggi stiamo rendendo invivibile il Pianeta venuto al mondo
per permetterci di esistere. Sembra che a nessuno importi
cosa accadrà tra cinquanta o cento anni. I più si sentono
poco partecipi visto che la loro vita sarà finita. Ma sarà dav-
capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54
E
uotati
✓ Ti sei perso alcuni numeri di Alta Quota? ✓ L’hai conosciuto di recente e vorresti scoprire i numeri più vecchi?
✓ Non trovi più le edizioni che avevi messo da parte? ✓ Oppure hai solo la curiosità di ripercorrere in un unico luogo la storia della nostra testata?
vero così? Io credo che qualcosa di noi resti sempre. Perché
è questo che fa grande l’uomo. La sua storia, il suo segno
al suo passaggio, quel qualcosa che ci riporterà sempre in
vita seppur non ci saremo fisicamente più. Molte battaglie
sono enormi e richiedono tanto impegno. A volte non si
può scendere in prima linea, non è nemmeno richiesto, ma
nel proprio piccolo si può portare avanti una filosofia, una
coscienza che si dimostrerà sempre essere l’arma vincente.
Ecco cosa puoi fare tu:
•quando puoi, usa la bici o fatti una bella camminata e
lascia la macchina a casa
•usa i mezzi pubblici
•fai la raccolta differenziata (davvero, non è difficile separare carta da plastica)
di Manuela Fraioli
IL LUOGO
CHE ABITIAMO
•usa le buste di carta o di stoffa al sacchetto di plastica
•riduci (non evitare!) cibi con imballaggi di plastica
•riduci (non evitare!) il consumo di carne (gli allevamenti intensivi sono una delle maggiori cause dell’innalzamento del clima)
•elimina gli sprechi (vai al supermercato e leggi le etichette di scadenza di carne e prodotti da frigo e domandati se la quantità che vedi verrà effettivamente acquistata e consumata)
Altre azioni si possono fare, ma io mi sento di consigliare
quelle che nella mia ordinaria vita riesco a portare avanti. Le nostre azioni quotidiane possono essere niente o
possono essere il segno della nostra dignità, della nostra
gratitudine e della nostra gioia di stare al mondo.
klimatherm.pdf 1 05/07/2013 08:33:58
P ULP . APP UNTI DI CINEMA
Cominciamo una nuova rubrica, e partiamo con il botto. La stagione invernale ha offerto molte ghiotte novità
e non poche sorprese: ovviamente parliamo di cinema.
Provo a riassumere in tre - forse quattro - domande quelli che sono interrogativi che in tanti, ne sono certo, ci siamo posti.
STAR
WARS. Le aspettative sono state appagate?
Probabilmente no, ma è necessaria qualche precisazio-
ne. Il 2015 è stato - indubbiamente - l’anno del ritorno
al cinema di Guerre Stellari. Con Star Wars. Il risveglio
della forza di J. J. Abrams, la Lucasfilm in combutta con
la Disney ha tentato il colpo grosso… e ha vinto. Il film
ha letteralmente fracassato il botteghino e si avvia a diventare l’opera più redditizia di sempre nel panorama
della settima arte. Campagna marketing più poderosa dello sbarco in Normandia, attese dei fan che hanno
raggiunto spasmi prossimi al demenziale (il sottoscritto
si ascrive alla categoria): successo garantito. Quanto al
film, è divertente e godibile, ma il problema sono state le
aspettative troppo elevate. Il risveglio della forza, in ogni
caso, funziona bene soprattutto come smaccato esercizio
di nostalgia, con il ritorno in scena dei vecchi eroi della trilogia originaria. Scontati, del resto, i boati in sala
a rivedere Harrison Ford nei panni del contrabbandiere
Han Solo: ma c’era da aspettarselo. Quanto alle novità,
poco da eccepire: comparto tecnico di prim’ordine, regia
scattante dell’abile Abrams, effetti speciali corposi ma
non ridondanti. Bello sì, ma purtroppo ci aspettavamo il
capolavoro. Le vere pecche? Probabilmente la mancanza
di spirito epico, e certamente la mancanza di un villain
in grado di stare al pari con il defunto Darth Vader.
CHECCO ZALONE
. Chi era costui? Spendiamo poche parole, però è impossibile passarvi sopra, visto
l’enorme successo. Tutto è stato detto, e il contrario di
tutto. Il pugliese Luca Medici è stato alternativamente
criticato e osannato da destra-sinistra-centro-sopra-sotto e in parte, che hanno cercato - come succede in Italia di intestarsene la poetica. Film natalizio di irrimediabile
ignoranza? Sottile critica sociale sul malcostume del Belpaese? Dilemmi. La domanda, a mio parere, è un’altra. Il
film è bello o brutto? Partiamo da un presupposto: è un
film comico, una commedia sociale. Dunque, fa ridere?
Sì. Fa ridere: checché se ne dica, Zalone ha i tempi comici,
ha la faccia, ha le situazioni, ha le battute. Dunque il film
è bello. Purché lo si collochi dove deve stare: piacevole
commedia di intrattenimento che fa dell’ironia piuttosto
riuscita su tipici stereotipi italiani. Stop, passo e chiudo.
LEONARDO DI CAPRIO.
Finalmente
vincerà L’Oscar tanto agognato? Con ogni probabilità,
sì. È uscito in sala a metà gennaio Revenant – Redivivo, per la regia di A.G. Inarritu, già premio Oscar l’anno scorso per Birdman. Si tratta di un film grandioso,
proporzionale nelle ambizioni solo allo smisurato ego
di Marco Simeon
del regista messicano che ne è il padre. Troppo poco lo
spazio, qui, per parlarne approfonditamente: mi limito a
dire che perderselo, al cinema, equivale a peccato mortale, benché non sia un film perfetto. Tra regia e fotografia,
per quello che mostra, per l’uso della macchina da presa,
per le ambientazioni, la luce, equivale a un’esperienza
di vita, più che alla visione di un film. Il problema è il
povero Di Caprio. O meglio non lui, ma Hugh Glass, il
personaggio che interpreta. Non è un personaggio scritto bene. È tutto sommato piatto, non ha evoluzione, non
ha contrapposizioni dialettiche vere e proprie, pronuncia dieci battute in tutto il film. Di Caprio, infatti, per
gran parte recita da solo, attraversando foreste e lande
ghiacciate nel disperato tentativo di sopravvivere a ogni
sorta di calamità naturale e umana. Il bel Leonardo, per
l’occasione dimagrito, ferito, lacerato, denutrito, assiderato, massacrato in ogni lembo di pelle e anima, offre
un’interpretazione di grandissima intensità e sforzo fisico. Una fatica che si percepisce, si sente. Ma non è - senza ombra di dubbio - il suo miglior film. A Di Caprio si
attaglia bene il dialogo, la mimica facciale, la dialettica.
È stato egregio in Django Unchained di Quentin Tarantino, ha lasciato briglia sciolta al suo istrionismo in The
Wolf of Wall Street di Martin Scorsese: per qualche arcana macumba lanciatagli dall’Academy, allora l’Oscar
non l’ha vinto. Lo vincerà senza dubbio ora - dopo la vittoria del Golden Globe non può essere viatico migliore -,
ma non per la sua interpretazione più riuscita.
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CIBO, IDENTITÀ, CREATIVITÀ:
IDEE PER NON SMARRIRSI
di Norman Rusin
del Decameron (1353) di Boccaccio. Furono gli arabi, tra
l’XI e il XII secolo, a introdurre il metodo della disseccazione della pasta, per permetterne una più lunga conservazione e il trasporto. La prima ricetta per la preparazione
della pasta la troviamo nel famoso L’arte di cucinare del
celebre Maestro Martino, il primo chef professionista italiano, riconosciuto quale maestro dal celebre cuoco e prefetto delle biblioteche pontificie Bartolomeo Sacchi detto
‘Il Platina’. L’opera, completata nella seconda metà del
1400, rende omaggio al patriarca di Aquileia, il cardinale Trevisan. Come cucinava la pasta il Maestro Martino?
Lui suggerisce di lasciarla bollire nell’acqua per almeno
due ore e di condirla con formaggio e cannella: un sapore
che, per noi, sarebbe probabilmente inaccettabile. E del
pomodoro che ne è? Il succoso frutto rosso entra in gioco appena tre secoli più tardi. Importato dalle Americhe
dai primi esploratori europei, il pomodoro viene a lungo
guardato con diffidenza e coltivato soltanto come ornamento. Ci vorranno le carestie e la peste che colpirono la
penisola tra il XVII e il XVIII secolo a far entrare nella
dieta degli italiani non soltanto pomodori, ma anche patate, mais e altre delizie (tipiche!) delle Americhe.
La pasta dura, che spopola sui banchi dei supermercati
di tutto il mondo (occidentale), completa di bandierina
italiana a garantirne la qualità e la genuinità, è un prodotto inventato sì sulla penisola, ma perfezionato dagli
arabi e arricchito di elementi americani. E possiamo dire
lo stesso per la pizza e anche per il nostro frico (con patate), i quali non avrebbero l’aspetto odierno senza questi
incontri con elementi stranieri, venuti da lontano. E testimoniano un momento di profonda crisi superato soltanto grazie all’accoglienza di questi elementi stranieri.
La ‘tradizione’ delle cucine locali o nazionali, dunque,
ha radici piuttosto recenti - due secoli e mezzo -, si consolida, poiché ne è funzionale, con l’organizzazione e la
nascita degli stati nazionali e porta in sé le tracce di questa profonda crisi economica e sociale che precedette la
nascita delle nazioni contemporanee.
La tavola italiana deve la propria ricchezza proprio alla
creatività con cui ha incluso elementi stranieri: pensiamo
al famoso risotto allo zafferano (dall’arabo za’ fran), di cui
andava matto il nostro Carlo Emilio Gadda, o magari agli
spinaci (isbanakh) di Braccio di Ferro, o ancora al caffè
(dall’arabo qahwah) che a molti piace con lo zucchero
(alsskkar) e, quindi, a tutti i dolci di Natale, ad esempio
il panettone, pane addolcito con zucchero e con la frutta
candita, in particolare arance (narang) e limoni (laymun).
Infine, gli amanti della carne pensino che furono i barbari a arricchire la dieta dei latini introducendo le carni
pesanti cacciate nella foresta (il cervo, il cinghiale, l’orso).
Si tratta degli stessi barbari che, imbastardendo il latino,
contribuirono a far nascere il nostro bell’italiano. Chi
siamo, dunque, noi? E come vogliamo superare la crisi
odierna?
t
ultura
Diceva Jean Anthelme Brillat-Savarin nella sua Fisiologia
del gusto (1859-1889), «Dimmi cosa mangi e ti dirò chi
sei». Il filosofo francese della buona tavola, dunque, legava il cibo all’identità. Lo sanno bene tutti gli organizzatori di eventi eno-gastronomici che, nel proporre i ‘tradizionali’ frico, polenta, cotechini e gubana, piuttosto che
olive ascolane, risotto allo zafferano e cassata siciliana,
affermano l’appartenenza a un territorio - regionale, nazionale - e, dunque, un’identità. Il problema sorge quando all’aggettivo ‘tradizionale’ si attribuisce un valore
assoluto, che trascende la nostra realtà storica e politica.
Le tradizioni, ci insegna lo storico britannico Eric
Hobsbawm nell’Invenzione della tradizione (1983), sono
delle creazioni immaginarie, grandi narrazioni che cercano di dare senso, giustificazione e soprattutto fascino alle
varie forme di aggregazione umana. Applichiamo questo
discorso alla realtà italiana: che cosa emerge da quegli elementi ‘tradizionali’ della nostra cucina, ai quali leghiamo
così strettamente l’identità di italiani, che proiettiamo anche all’estero? Pensiamo agli spaghetti al pomodoro, alla
pizza, all’espresso e al cappuccino, per nominarne soltanto alcuni. Osserviamo bene questi piatti e chiediamoci:
da dove vengono? Come sono fatti? La pasta, ad esempio,
esiste da oltre un migliaio d’anni sulla penisola italiana
e all’inizio aveva più o meno la forma e la consistenza di
quelli che oggi chiamiamo gnocchi, che allora si chiamavano maccheroni e che compaiono già in alcune novelle
IL CAFFETTIERE FILOSOFICO
AMBIENTE (E INQUINAMENTO) NELLA LETTERATURA
il loro ozioso menefreghismo hanno portato questi danni
all’ambiente.
Non abbiamo ancora nuvole di smog, ma esalazioni pestifere che naturalmente peggiorano con l’avvento della
rivoluzione industriale. Portavoce simbolo di questa società industriale è lo scrittore Charles Dickens. Lo scrittore descrive una città grigia e irrimediabilmente sporca,
una città con mattoni neri di fumo e cenere, maleodorante, spettrale e malinconica. La fuliggine diventa una presenza soffocante e dannosa che si unisce alle esalazioni
prodotte dalle industrie, dalle ciminiere e dalle fabbriche
che incombono sulla città, contaminando le sue acque
e minando la salute dei cittadini. Siamo nell’Ottocento
e con la rivoluzione industriale ci avviciniamo ahimè
ai nostri tempi, dove dobbiamo prendere coscienza di
quello che potrà accadere, usando magari La Coscienza
di Zeno nella quale Italo Svevo prevede che tutto questo
porterà a «un’esplosione enorme che nessuno udrà e la
terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie». Scenario catastrofico per
ritornare alla purezza persa in nome del progresso. Quello che ci dice Erich Fromm e con il quale vi lascio nella
riflessione: «In nome del progresso, l’uomo sta trasformando il mondo in un luogo fetido e velenoso (e questa
è tutt’altro che un’immagine simbolica). Sta inquinando
l’aria, l’acqua, il suolo, gli animali… e se stesso, al punto
che è legittimo domandarsi se, fra un centinaio d’anni,
sarà ancora possibile vivere sulla terra».
luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19
ALTA UOTA
La prima cosa che mi viene in mente su questo tema è
l’ode La salubrità dell’aria del Parini. Nella composizione l’autore ci dà uno spaccato dettagliato di quello che
è la città italiana del ’700 e parla proprio dell’inquinamento, certo molto diverso dall’odierno. Parini ci mostra
una città già molto simile alla nostra. Una città definita
aggressiva e superba in netta contrapposizione con l’immagine della campagna, pura e paradisiaca, che dà un
profondo senso di beatitudine e serenità. Ma di quale
inquinamento ci parla l’autore? Delle marcite che forniscono fieno agli equipaggi lussuosi delle casate aristocratiche e che producono fetide esalazioni che appestano
non solo i campi, ma anche i centri abitati. Ci parla della presenza del letame per le strade, dei liquami buttati
puntualmente giù dalle finestre e delle carogne, soprattutto quelle dei cavalli abbandonati per le vie. Tutto questo causato, secondo l’autore, da precise cause sociali: il
lusso degli aristocratici, la loro influenza, il loro potere e
di Marco Giovanetti
10
60 ANNI DI SCOUT
UN INSERTO SPECIALE A PUNTATE: ECCO LA PRIMA
Il 29 settembre 1955 qualche timido esploratore recitava la sua promessa nel nostro ricreatorio. Erano i primi
scout del gruppo Cervignano 1 che prese forma pochi
mesi dopo… ed è proprio da qui che comincia l’avventura! Quest’anno associativo il nostro gruppo A.G.E.S.C.I.
spegne 60 candeline e allora perché non creare una sezione sul Alta Quota con le notizie, le attività, gli eventi di
questo anno di festeggiamenti?
È con grande entusiasmo e piacere che il reparto femminile Albatros, formato da 25 ragazze tra i 12 e i 16 anni,
decide di cimentarsi in quest’impresa giornalistica e vi
presenta il corriere del 60°! Inizieremo parlando della
prima branca: quella degli LC (Lupetti e Coccinelle).
•I bambini di questa branca hanno tra gli 8 e i 12 anni e
sono immersi in un’ambiente fantastico che stimola la
loro fantasia, all’apice in questa età. Per i lupetti, l’am-
biente fantastico è la giungla, dove loro sono lupetti, e
i capi sono i personaggi del famoso libro di Kipling, Le
storie di Mowgli. C’è quindi il capo branco, Akela, che
è il lupo grigio, poi c’è Bagheera la pantera, Baloo, che
è l’orso e per i bambini è l’assistente ecclesiastico (don
Moris), e poi c’è Kaa, il serpente. Questi sono i personaggi principali. La sede per i bambini è la Tana e
ogni attività viene raccontato un pezzo delle Storie di
Mowgli, dove poi si gioca sul principio che si evince dal
racconto. Questo gruppo di bambini viene chiamato
‘branco’.
•Per le bambine, invece, l’ambiente fantastico è il bosco
e il racconto è tratto dal libro 7 punti neri. Nel libro
vengono narrate le storie di Cocci che, avendo perso i
suoi punti neri, parte alla ricerca di essi e ne compare
uno sull’ala ogni volta che «impara qualcosa». Nel suo
ri rreatorio
o
«LO SCOUTISMO? L’ACCOGLIENZA
DEI CERVIGNANESI È STATA OTTIMA»
AKELA E ARCANDA AI TEMPI DI…
LELLO E LUISA
Luisa e Lello in route in Costiera Amalfitana,
dove si sono conosciuti e fidanzati.
Enzo e la moglie in vacanza in montagna
Per ripercorrere questi 60 anni non potevamo non intervistare il ‘decano’ ENZO BUIATTI, fondatore del gruppo scout ‘Cervignano 1’: una chiacchierata sulle ali dei ricordi.
Ripercorriamo una parte della storia del gruppo Cervignano 1 con LELLO SENATORE
e LUISA DI GIOIA, all’epoca capi scout e oggi marito e moglie, titolari della pescheria
‘Da Benito’.
–Come
–
vi è venuta l’idea di fondare un gruppo scout?
«L’11 novembre 1951 arrivò a Terzo il parroco don Rino Cocolin, assistente ecclesiastico degli scout di Cormons, che lo accompagnarono. In quell’occasione conobbi il
signor Aldo Braida e parlando con lui venni a conoscenza di cos’era lo scoutismo: mi
incuriosì subito».
–Per
– quanti anni siete stati Akela ed Arcanda?
«Per tre anni, la durata di un mandato di allora».
–Cosa
–
vi ha portato a cominciare scout?
«Con don Rino e altri ragazzi ci abbiamo ragionato per un po’ di tempo. Durante
l’estate andavamo a fare i campi in val Marzon (vicino ad Auronzo) e da lì andavamo
in visita dagli scout di Cormons che si trovavano in Val Dongie: era la mia prima avventura tra gli Scout».
Lello: «Mi ha portato un amico (con i capelli rossi) del gruppo Angri 1, nella provincia
di Salerno: sono entrato direttamente in reparto che era solo maschile e facevo parte
della squadriglia Antilopi. Allora il gruppo era piuttosto ‘sgangherato’».
Luisa: «Mi ha portato un’amica nel gruppo Cervignano 1. Sono entrata all’ultimo anno
di reparto e ho fatto la prima promessa all’età di sedici anni; ero anch’io nella squadriglia
Antilopi. Trovare gli scout è stata una rivelazione che ha cambiato tutto il mio mondo».
–Cosa
–
ti ricordi delle attività degli anni in cui eri capo e dove si svolgevano le attività?
–Ricordate
–
un’avventura scout in particolare?
«All’inizio il reparto era formato da quattro squadriglie maschili: gli Sparvieri, che si
riunivano a Terzo, e a Cervignano i Lupi, le Aquile e i Castori, rispettivamente con i
Capi Squadra Guido Pich, ‘Il Biri’ e Taio Giusti. Facevamo attività in una stanza del
ricreatorio di Cervignano che ci aveva dato mons. Cian oppure svolgevamo grandi
giochi (penso a ‘scalpo’) e tante costruzioni, magari lungo l’Ausa».
Lello: «Sì, la prima uscita di squadriglia sul valico di Chiunzi! Abbiamo passato la notte
in tenda e quando ci è caduta la pasta per la cena l’abbiamo sciacquata e mangiata: ero
rimasto molto colpito da questo!»
Luisa: «Sì, una route pasquale con il clan. Un motoscafo ci aveva portato in un’isola fuori
Grado, un ragazzo aveva incendiato la tenda e la casa di appoggio era diroccata e senza
finestre, dove sentivamo i topi squittire; inoltre aveva iniziato a piovere intensamente,
un vero diluvio, e così abbiamo dovuto chiamare soccorso attraverso la radio, dato che
non esistevano ancora i cellulari. Il motoscafo è riuscito a raggiungerci solo nel tardo pomeriggio a causa del mare mosso. È stata un’avventura disastrosa ma importante, che ci
ha insegnato l’arte dell’attesa. Un’altra esperienza significativa è stata la mia prima route
mobile: dovevamo scalare il monte Osternig (circa 2.000 metri) e, pur non essendo molto
allenata, riuscii a salire in cima con altri tre, dandomi soddisfazione forza e coraggio».
–In
– quanto tempo avete fondato il gruppo?
–La
– comunità come ha accolto la fondazione del gruppo?
«La comunità ci accolto bene, tanto che quando andavamo ai campi c’erano molte
persone che ci aiutavano donandoci parte dei generi alimentari necessari. Anche il
Sindaco, che era Mariuz, ci ha tanto aiutato».
–Come
–
si svolgeva il campo?
ALTA UOTA
viaggio attraversa il prato e il bosco, fino ad arrivare
alla montagna, dove incontra Arcanda, l’aquila. Altri
personaggi sono Scotty, lo scoiattolo, la Formica Mi e
il serpente Scibà (don Moris). Le bambine sono quindi
coccinelle e questo gruppo si chiama ‘cerchio’.
Il campo estivo si fa con i lupetti e le coccinelle, con
un’ambientazione fantastica nuova (Re Artù, Robin
Hood…) e questo campo viene soprannominato “Vacanze di Branco/Cerchio”. Le parole chiave di questa branca
sono: gioco, racconto, ambiente fantastico.
La seconda branca è quella EG (Esploratori e Guide),
con ragazzi dai 12 ai 16 anni; la terza è quella RS (Rover e Scolte), con ragazzi dai 16 anni fino ai 21 anni. Ma
di questi gruppi parleremo nelle prossime uscite di Alta
Quota…
◆◆ LA CAPO REPARTO - ELISA SOARDO
«L’organizzazione del campo era difficile: le tende erano sempre in prestito, di solito
erano anche rotte. Arrivavano una dal gruppo di Cormons, una da don Barto (l’allora
assistente ecclesiastico regionale) e altre dal Centro Giovanile di Udine per interessamento di don Rino Cocolin. Con l’arrivo nel gruppo di Bruno Carmine le cose sono
un po’ cambiate, perché lui era un vulcano di idee ed inoltre aveva già esperienza di
scuotismo perché era già stato scout a Il Cairo, dove aveva frequentato il liceo scientifico presso un collegio cattolico. Il primo campo è stato in Val Marzon, perché avevamo l’appoggio della Colonia di Aquileia che era ad Auronzo. Laggiù abbiamo fatto
un campo insieme al gruppo di Ronchi, uno con il gruppo di Ceggia (VI) e uno in
concomitanza con gli Alpini. Si facevano i grandi giochi, le attività di catechesi e tante
camminate sui monti. Di solito quando un gruppo andava a casa e ne arrivava un altro
si era soliti lasciare gli avanzi di cambusa. Un anno, inoltre, abbiamo conosciuto don
Deroja che aveva organizzato un campo con i suoi bambini e ragazzi (tutti trovatelli)
nella casera vicino al nostro campo; quando siamo partiti abbiamo lasciato loro quello
che ci era avanzato in cambusa, che consisteva negli aiuti alimentari degli americani
per la popolazione. Erano delle scatole di metallo con impressa la bandiera statunitense e la scritta “Dono del Popolo Americano”. Contenevano formaggio giallo salato,
cacao in polvere, budino in scatola, gallette, formaggini, zucchero, latte in polvere…»
–Qual
–
è il tuo più bel ricordo fra tutte le attività fatte?
«Il mio ricordo più bello è la Veglia d’Armi, che abbiamo fatto nella Cripta della Basilica di Aquileia, la sera prima della promessa. Quest’ultima si svolse il giorno successivo
a Gorizia sul monte Calvario, dove si festeggiava il San Giorgio, e quindi erano presenti
tutti gli scout della diocesi. I primi a promettere siamo stati io, Lucio Pich, Giuliano
de Colle, Fausto Moretti e due ragazzi di Grado di cui però non ricordo i nomi. Io ho
promesso al commissario Ezio Bottegaro di Monfalcone. Alle promesse erano presenti
tutte le autorità associative della Regione. Nel periodo precedente alla promessa siamo
usciti un paio di volte sul monte Quarin, sopra Cormons, per approfondire le nostre
conoscenze sullo scoutismo, i suoi valori e come si doveva viverlo. Dopo aver fatto la
promessa, durante l’estate, siamo andati a Colico a fare il Campo per Capi».
◆◆ SARA BUIATTI E LUDOVICA TONCIG
–Consigliereste
–
a un ragazzo di intraprendere il cammino scout?
«Certamente: è un ambiente sano e diventi fratello di una grande famiglia, ti senti accettato, acquisisci indipendenza, apprendi l’arte dell’arrangiarsi, impari a dosare le forze, a
vivere con l’essenzialità, a essere senza apparire; e soprattutto a diventare amici di tutti».
–Vi
– è servito lo scoutismo nella vita?
«Sì, ci ha aiutato soprattutto nell’organizzazione, poiché nei campi scout preparavamo
sempre tutta la giornata. Inoltre ci è servito per risolvere imprevisti e problemi, secondo
il motto latino estote parati!, “siate pronti!”».
–Vi
– ha portato soddisfazione il percorso con i bambini? È stato faticoso?
«Sì, i nostri lupetti e le nostre coccinelle ci salutano ancora e hanno circa trent’anni.
Abbiamo affrontato situazioni difficili che ci hanno impegnato molto, dandoci anche
tanta soddisfazione; abbiamo dovuto fare dei sacrifici, ad esempio passare il sabato sera
a ripassare la storia di Akela da raccontare ai bambini la domenica. Comunque è stato
divertente ed entusiasmante!».
–Lo
– scoutismo vi ha regalato amicizie importanti?
«Lo scoutismo è stato tutto… infatti noi ci siamo conosciuti lì! Con i nostri due gruppi
avevamo partecipato a una route sulla costiera amalfitana e lì ci siamo innamorati».
–Vi
– manca il ruolo di capobranco/capocerchio?
«Purtroppo siamo fuori da quell’ottica: tornare indietro significherebbe essere di nuovo
giovani. Appena abbiamo dovuto lasciare il gruppo a causa della situazione familiare
(poco più di vent’anni fa) ci è mancato molto; ricordiamo con piacere lo scoutismo, ci
manca l’avventura scout, la vita all’aria aperta, le camminate in montagna e lo star fuori
senza pensieri. Ora avremmo più esperienza di vita da trasmettere ai ragazzi, ma all’età
di vent’anni avevamo l’incoscienza giusta per fare le cose. Lo scoutismo è stato la base
della nostra vita».
–Un
– saluto?
«Semel scout, semper scout, ossia “Una volta scout sempre scout!”»
◆◆ ALICE SANTORO E VALERIA BURBA
11
1) lupetti e coccinelle
27 settembre 2015, parco Scout: apertura delle attività per il 60° anno dalla fondazione del gruppo.
PICCOLO GLOSSARIO DI SCOUTESE SULLA BRANCA ‘LUPETTI E COCCINELLE’ 
LUCE DELLA PACE 2015: UNA GRU COME SIMBOLO DI PACE
La luce della pace è una piccola fiammella proveniente
direttamente da Gerusalemme, che porta un enorme
messaggio che non è visibile, ma si trova dentro di noi. Il
fine di questa fiammella è riuscire a mantenerla con l’olio
per tutto il tragitto e anche nelle nostre stesse case, dove
ognuno cerca di alimentarla. Il suo scopo è quello di far
sì che non smetta mai di brillare con tutta la sua bellezza.
La tradizione di portare questa luce via treno da Gerusalemme fino alle nostre case, e in molte altre città, è partita
da uno scout austriaco. Il 19 dicembre l’abbiamo accolta
nella nostra comunità e durante la serata ci sono state varie riflessioni. I bambini delle elementari hanno costruito
e colorato un gigantesco simbolo della pace: ognuno ha
colorato una parte con la fantasia, i colori e le tecniche
che gli piacevano di più, come a voler dire che per fare la
pace ognuno deve portare il proprio contributo! Noi ragazzi delle medie/superiori, invece, abbiamo parlato della
bomba nucleare che ha colpito nel 1945 il Giappone. Ci è
stata raccontata questa storia realmente accaduta:
Domenica 22 novembre 2015 una ciurma di pirati è sbarcata a Cervignano, alla ricerca di una misteriosa mappa,
fatta in mille pezzettini dalla scimmia del capitano. È cominciata così la Caccia al Tesoro per le vie della città, uno
degli eventi organizzati in occasione del sessantesimo anniversario del nostro gruppo. A questa ricerca del tesoro
erano invitati tutti i bambini dai 6 agli 11 anni ed erano
circa una sessantina quelli che si sono ritrovati davanti al
Duomo alle 10.30, nel tentativo di capire per quale motivo il capitano della nave e il suo fedele servitore Spugna
stessero litigando. Il problema non era di facile soluzione:
i pirati sapevano perfettamente di essere sbarcati sull’Isola
del Tesoro, ma dovevano ricostruire la mappa per trovare
il luogo esatto in cui il forziere era stato nascosto! Senza
contare che l’Isola era abitata da indigeni che molto probabilmente avevano trovato alcuni pezzi dell’agognata piantina, ma non avevano intenzione di consegnarli ai corsari
senza ricevere qualcosa in cambio. I bambini non hanno
esitato e sono subito entrati a far parte della ciurma! Dopo
essersi suddivisi, in gruppi hanno setacciato le vie di Cervignano alla ricerca di indizi e di strani personaggi, originari del luogo, che potessero aver visto i pezzi della mappa.
E solo dopo aver mostrato tutto il loro coraggio, superata
la fatica fisica del lancio delle noci di cocco, scoperti i feroci animali dell’Isola, insegnato agli indigeni alcune parole
della nostra lingua e portati sulle spalle i propri compagni
nel tentativo di recuperare la sacra bandiera indigena, i pirati sono riusciti a recuperare tutti i pezzi perduti.
Grazie al contributo di ogni gruppo è stato possibile ricostruire il percorso che conduceva al Tesoro e che li ha portati nel giardino della Casa di Riposo Sarcinelli. Lì, guidata
dal capitano, la ciurma ha finalmente trovato il tanto desiderato forziere, pieno zeppo di monete… di cioccolato!
◆◆ AKELA – FRANCESCA GIUSTI
ALTA UOTA
Il 6 agosto 1945 la città giapponese di Hiroshima venne
rasa al suolo da una bomba atomica scagliata da un aereo
americano. L’esplosione provocò la morte di quasi tutti i
suoi abitanti. Solo pochi sopravvissero; Sadako, bimba di
due anni, fu tra questi. Nel corso dell’infanzia scoprì l’arte
di correre e se ne appassionò. All’età di 11 anni, durante
un allenamento, Sadako cadde improvvisamente a terra
senza alcun motivo apparente. Dopo essere stata visitata,
il medico le diagnosticò un tumore causato dalle radiazioni delle bombe nucleari. Il mondò le crollò addosso e i suoi
amici cercarono di rincuorarla raccontandole una leggenda, secondo la quale chiunque avesse costruito ben mille
gru di carta con la tecnica degli origami, avrebbe potuto
esprimere un desiderio. Sadako cominciò a costruire gru
con qualsiasi pezzo di carta trovasse: la carta delle caramelle, il foglio dei medicinali… e i suoi amici con lei. Non
si sa quante gru di carta fossero riusciti a costruire, ma si
suppone più di mille... Quando Sadako morì, con lei vennero seppellite tutte le sue gru. I suoi amici organizzarono
una raccolta fondi in sua memoria, e fecero costruire una
statua che raffigura Sadako mentre faceva volare una gru.
Sotto la statua c’è scritto: «Il tuo grido, la nostra preghiera, sia pace nel mondo!»
Per il Giappone la gru è quindi diventata il simbolo
per eccellenza della pace. Così, durante il pomeriggio del 19 dicembre, è stato allestito davanti al Duomo
anche un set fotografico, dove ognuno poteva scattarsi
#unselfieperlapace. Pubblicando la foto su Facebook o Instagram, chiunque aveva la possibilità di dire: io sto con
la pace! Io sono per il disarmo nucleare!
Dalla riflessione per gli adulti abbiamo capito che la pace
è un bene che va ricercato nel nostro quotidiano, che
comincia dal nostro piccolo. A volte forse ci sembra di
essere da soli o ci sembra che tutto sia contro, ma fare
qualcosa sarà pur meglio che fare niente… o no?
◆◆ SARA SELATTI
L’ATTIVITÀ DEL MESE:
LA CACCIA AL TESORO!
ri rreatorio
o
• AGESCI (Associazione guide e scout Cattolici italiani): associazione che censisce gli scout italiani. È
cattolica (perché esiste anche una aconfessionale) e
all’interno di essa i soci vengono divisi in branche, a
seconda dell’età.
• LC: Lupetti e Coccinelle.
• LUPETTI: bambini tra gli 8 e i 12 anni. Insieme formano il branco.
• COCCINELLE: bambine tra gli 8 e i 12 anni. Insieme
formano il cerchio.
• GRANDE QUERCIA: sede delle coccinelle.
• TANA: sede dei lupetti.
• AKELA: capo branco, e quindi dei lupetti. Altri capi
sono Bagheera, Kaa, Baloo, Mamma Raksha, Chil…
• ARCANDA: l’aquila, nonché capo delle coccinelle.
Altri capi sono Scotti, Mi, Scibà, Ughetto…
• STAFF: insieme dei capi.
• VACANZE DI BRANCO CERCHIO: campo estivo di
una settimana in montagna.
• BA: Buona Azione che viene richiesta ai bambini
verso gli altri.
• CUCCIOLI E COCCI: lupetti e coccinelle che devono
ancora fare la promessa.
• C.D.A. (Consiglio della Legge per i lupetti / Consiglio dell’Arcobaleno per le coccinelle): ne fanno
parte i bambini dell’ultimo anno.
12
RITORNA RADIOPRESENZA: RITORNA ANCHE TU!
Grandi novità in questo inizio 2016. Accanto al ritorno di
Alta Quota, dal 1° febbraio è di nuovo sui 99 MhZ Radio
Presenza, che dopo alcuni mesi di pausa è tornata in onda
e in streaming sul web (www.radiopresenza.it) sotto la
guida di Federica Andrian, coordinatrice dei programmi,
forte della sua ventennale esperienza radiofonica. Un acquisto col botto per l’emittente cervignanese, pronta a ridare voce alla comunità con un palinsesto di tutto rispetto,
da lunedì a mercoledì.
Da giovedì a domenica le trasmissioni si interrompono
(salvo le Messe, che Radio Presenza trasmette regolarmente), ma le repliche garantiranno il dovuto ricambio,
in attesa di ampliare il palinsesto per questa nuova avventura: fra i vari protagonisti che dovrebbero andare in
onda si parla anche di un grande ritorno di Luca ‘Snoop’
Di Palma, voce storica della radio.
Un ringraziamento particolare ai tecnici Antonio Cerrone, Fabio Fabbrisin, Sandro Ciulla e Michele Carbonera
e… buon ascolto!
◆◆ VANNI VERONESI
RICRE.ORG:
TUTTE LE ATTIVITÀ
A PORTATA DI CLICK!
MARTEDÌ
10 - 11: Focus, programma di informazione: fatti e notizie di Cervignano, con Italo Cati e Claudio Cojutti.
20.30 - 21.30: Asso nella manica, Livio Nonis dà voce
alle associazioni della città.
MERCOLEDÌ
10 - 11: Un libro a settimana, Loredana Marano presenta un’opera letteraria al pubblico di Radio Presenza.
11 - 11.30: Insieme si può, rubrica dell’AUSER a cura
di Irio Iob
20.30 – 21.30: Reloaded on air, Luca Furios e Ljiljana
Damjanovic danno voce all’attivissimo gruppo Cervignanesi Reloaded
È disponibile sul nostro sito
www.ricre.org
il calendario aggiornato delle attività proposte dalle associazioni della nostra Parrocchia.
Le associazioni che hanno piacere di condividere i propri appuntamenti possono informarci scrivendo alla
casella di posta elettronica
[email protected].
CINQUE × MILLE
la tua
firma,
il
nostro
90000020306
impegno.
Scrivi nella apposita casella del 5×1000
il nostro codice fiscale
e apponi la tua firma!
ALTA UOTA
© FOTO DI LUCIANO TROMBIN
ri rreatorio
o
Sostieni anche tu le nostre iniziative con un
semplice gesto che non ti costa nulla!
LUNEDÌ
20.30 - 21.30: Prospettive, con Federica Andrian alla
scoperta delle associazioni legate alla Parrocchia.
CAMPO IN SINTETICO: VIENI A GIOCARE ANCHE TU!
Il campo di calcio in sintetico del Ricreatorio San Michele
può essere prenotato ogni giorno, dal lunedì al venerdì
dalle 18.30 alle 22.30, per organizzare partite tra amici,
con la possibilità di usufruire degli spogliatoi per le
docce a fine gara. Per le prenotazioni è sufficiente
contattare il responsabile del campo, Matteo
Comuzzi, telefonando al numero 345 4549770.