Numero 53 - Ricreatorio San Michele
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Numero 53 - Ricreatorio San Michele
ALTA UOTA Anno 12 Numero 53 edizione Gennaio-Febbraio 2016 Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005 Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121 www. fvgsolidale.regione.fvg.it Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org Direttore responsabile: Andrea Doncovio Direttore editoriale: Vanni Veronesi Redattori: Simone Bearzot, Filippo Medeot, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Vanni Veronesi, Marco Simeon, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio, Marco Giovanetti, Francesco Perusin, Michela Zanier, Federica Ermacora, Francesco Pavoni, Carolina Stabile, Luca Maggio Zanon Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org ALTA QUOTA SI EVOLVE. O MUORE. A M B I E N T E & C LI M A NON C’È PIÙ TEMPO •i livelli di diossido di zolfo e di monossido di azoto si alzerebbero rispettivamente del 90 e del 50%, causando piogge acide, smog, nuvole marroni e fuliggine e fenomeni climatici estremi più frequenti e intensi; •il 70% della popolazione mondiale vivrebbe in aree urbane - di cui 3 miliardi di persone in baraccopoli -, 3,5 milioni di persone morirebbero ogni anno a causa dell’inquinamento dell’aria e 3 miliardi vivrebbero in povertà. Ovviamente, a pagare le spese maggiori di tutto questo sarebbero i Paesi più poveri. Lo scenario apocalittico e catastrofico appena tratteggiato non è l’ambientazione di un romanzo di Philip K. Dick, ma il risultato del report recentemente realizzato dalla società DNV GL, uno dei principali enti di certificazione, prendendo in considerazione i settori su cui si concentra principalmente la sua attività e che influiscono sulla sostenibilità del globo: navale, dell’elettricità, petrolio e gas, cibo e bevande, sanità… continua a pag. 2 Sostieni anche tu le nostre iniziative con un semplice gesto che non ti costa nulla! Scrivi nella apposita casella del 5×1000 il nostro codice fiscale 90000020306 RADIOPRESENZA p. 12 e apponi la tua firma! SCOUT p. 10-11 MORENO BACCICHET p. 5 Nel 2009 la Conferenza ONU sui cambiamenti climatici di Copenaghen si risolse con un nulla di fatto. Il fine dei negoziati era quello di stipulare un nuovo accordo internazionale, in vista della scadenza del Protocollo di Kyoto nel 2012, sul tema della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, ma tutto quello a cui si arrivò fu un accordo in dodici punti il cui scopo era quello di limitare a 2 gradi l’aumento della temperatura media mondiale. Un patto in nessun modo vincolante dal punto di vista giuridico e del quale gli Stati si limitarono semplicemente a prendere atto. All’epoca si parlò di «occasione persa per il Pianeta» e di «delusione delle aspettative». Sei anni dopo i rappresentanti di 196 Paesi si riuniscono a Parigi per stipulare finalmente un accordo vincolante, in grado di far rispettare effettivamente gli impegni di taglio delle emissioni di CO2 sottoscritti dai governi. L’obiettivo è sempre quello di non superare la soglia limite dei 2 gradi. Barack Obama ha parlato di «ultima generazione in grado di salvare il pianeta»: se nulla cambiasse nei nostri stili di vita e di consumo, nel 2050 ci potremmo trovare con un aumento della temperatura media tra i 3 e i 6 gradi centigradi, con il 60% degli ecosistemi a rischio, mari più alti di un paio di metri e 200 milioni di ‘rifugiati climatici’. Saremo 9 miliardi e continuando con questo stile di vita: •ci vorrebbero tre pianeti insieme per soddisfare le nostre esigenze, dato che la domanda di energia elettrica salirebbe del 57%, la cui produzione sarebbe ancora coperta per l’81% da combustibili fossili; •produrremmo 13,2 miliardi di tonnellate di rifiuti (più o meno 1,3 milioni di Tour Eiffel di spazzatura) e anche solo con un innalzamento di temperatura di 2 gradi dovremmo spendere ogni anno tra i 70 e i 100 miliardi di dollari all’anno per l’adattamento al nuovo clima; ELISABETTA NICOLA p.4 STEFANO MICHELETTI p. 3 L’Alta Quota che vi apprestate a leggere è una scommessa. Potrebbe essere il primo di una nuova serie o l’ultimo di un tentativo fallito: lo capiremo con il tempo. Nel marzo 2005, quando questa testata vide la luce, il mondo era molto diverso da quello in cui viviamo oggi. Mancavano tre anni allo scoppio della drammatica crisi economica: un evento che avrebbe segnato nettamente un prima e un dopo. L’Occidente dava la caccia a Bin Laden e il Medio Oriente era ancora quello fissato dai trattati del Dopoguerra, mentre oggi il Califfato si allarga a macchia d’olio, dopo aver divorato le varie Primavere. Benedetto XVI guidava la Chiesa e nessuno poteva immaginare la sua futura abdicazione. In Italia c’era il secondo governo Berlusconi; dovevano ancora arrivare il Berlusconi Ter, il Prodi Bis e il Berlusconi Quater, travolto dalle inchieste eppure l’ultimo votato dai cittadini, prima dei tecnici e dei premier creati dal Capo dello Stato. YouTube nasceva nei nostri stessi giorni; Facebook era ancora sconosciuto; gli smartphone e i tablet non esistevano. Quanto a noi, eravamo un gruppo di giovanissimi entusiasti e con un futuro tutto da costruire: alcuni (me compreso) non avevano ancora finito le superiori, altri erano all’inizio o a metà del loro percorso universitario. Ricordo le riunioni di redazione dei primi anni: decidere l’argomento principale, discuterne senza censure di nessun genere (a costo di scontrarsi ferocemente, per poi tornare amici come dieci minuti prima), condividere idee per titoli e fotografie era solo una parte dell’esperienza che ruotava attorno al giornale. Al secondo piano di via Mercato 1, in quella stanza sempre troppo calda d’estate e troppo fredda d’inverno, è infatti cresciuta una generazione coraggiosa, tenace, amante delle sfide, i cui protagonisti hanno fatto molta strada anche grazie all’esperienza maturata in Alta Quota: indagare, narrare la realtà, dare voce al prossimo non può non influire sul proprio percorso di vita. Oggi quella generazione, che ha raccontato - dalla sua prospettiva solo apparentemente locale - un decennio incredibile, è divenuta adulta. C’è chi si è sposato, chi gira il globo per lavoro, chi vive a migliaia di chilometri da qui, chi si è reinventato completamente più volte: è il normale sviluppo dell’esistenza, che inevitabilmente ci dirotta verso altre priorità e raffredda i vecchi entusiasmi. Così, dopo dieci anni di pubblicazioni, a maggio 2015 il giornale ha interrotto le proprie uscite: una pausa per capire chi eravamo e cosa avremmo voluto fare veramente. Stampare una rivista, in sé e per sé, è cosa piuttosto semplice: sono sufficienti un grafico e un redattore. Pubblicare Alta Quota, invece, è una delle cose più difficili del mondo: perché Alta Quota è un’idea collettiva, un progetto culturale ma prima di tutto educativo, una occasione unica per trasformare in materia concreta ciò che altri nemmeno hanno il coraggio di pensare. Grazie all’attivo interessamento di don Moris, alla fine dell’anno appena trascorso si è avvicinato alla redazione un nuovo gruppo di giovani, quasi tutti ancora liceali. Sono loro il futuro di questa testata: rivedo nei loro occhi la stessa curiosità, la stessa voglia di mettersi in gioco, la stessa passione che avevamo noi ‘anziani’ quando iniziammo questa avventura. Ci siamo ancora, continuiamo a dare il nostro contributo, ma il passaggio di testimone è necessario: occorre un nuovo corso per non morire di routine, di ‘mestiere’, di prodotti stilisticamente perfetti ma privi di anima. Per questo, nel mio nuovo ruolo di direttore (che fu di Norman Rusin, Andrea Doncovio e Alessandro Morlacco, ai quali va la mia gratitudine per il fantastico lavoro svolto), intendo creare le basi per un progressivo trasferimento di competenze a coloro che avranno il compito di ridisegnare Alta Quota a loro immagine e somiglianza. Supportato, in questo, dal nostro decano Giuseppe Ancona, al quale va un ringraziamento particolare: lui sa perché. ◆◆ VANNI VERONESI ALTA UOTA in uotattualità 2 IL PUNTO SU… continua da pag. 1 Appare chiaro come la posta in gioco sia altissima e il tempo a nostra disposizione limitato. Basta vedere realtà come Pechino e Shangai, le maggiori città del primo inquinatore mondiale, la Cina, in cui periodicamente i livelli di smog raggiungono livelli insostenibili avvolgendo per giorni i palazzi in una fitta coltre grigia e tossica. Solo il 9 dicembre scorso i livelli di pm 2,5 – un particolare tipo di polveri fini – hanno raggiunto i 294 microgrammi per metro cubo, quando l’Oms raccomanda dei livelli non superiori ai 25 microgrammi, causando diversi casi di emicrania e nausea tra i cittadini, soprattutto più deboli, e rendendo necessaria la chiusura temporanea di scuole ed uffici. Oppure basta pensare al fatto che già oggi 79 conflitti sono determinati da cause ambientali: dalla Siria messa in ginocchio dalla siccità e dalla desertificazione tra il 2006 e il 2011, passando per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi in Nigeria, fino alla guerra civile in Darfur per il controllo dell’acqua o agli scontri legati alla costruzione della diga Sardar Sarovar sul fiume Narmada, in India. A riprova che le guerre per l’acqua non fanno solo parte di un futuro distopico. In questo contesto estremamente urgente e delicato, la Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi rappresenta un punto cruciale per la futura sostenibilità del pianeta. Purtroppo, come tutti voi sapete, la capitale francese è stata sconvolta poche settimane prima dai tragici attentati terroristici perpetrati da una cellula jihadista europea legata a Daesh, compromettendo così la giusta risonanza che la Cop21 avrebbe dovuto ottenere. L’allarme terrorismo succeduta ai fatti di Parigi ha gettato una pesante ombra sulle tematiche e sugli obiettivi della conferenza ONU, portando anche i mass media a prediligere il focus sulla sicurezza interna piuttosto che il problema ambientale e climatico. L’imponente marcia che avrebbe dovuto attraversare il centro della Villa Lumière il giorno dell’apertura del summit, pianificata dalle organizzazioni ambientaliste per chiedere ai leader mondiali un accordo deciso e vincolante, è stata annullata dal questore per il rischio di nuovi attentati e nei giorni immediatamente precedenti la polizia ha eseguito diversi fermi ed arresti a danno di attivisti legati all’organizzazione del corteo. Dunque, proprio perché i media e la politica hanno sviato l’attenzione sui problemi ambientali, noi di Alta Quota abbiamo deciso di parlane. E vogliamo farlo concentrandoci come sempre su Cervignano e sulla realtà locale. Perché se è vero che i governi devono necessariamente trovare un accordo condiviso su una politica ambientale più sostenibile, è altrettanto vero che la rivoluzione parte da noi, dal nostro piccolo, dal singolo individuo. Siamo noi che alla fine dei conti, oltre ai meeting internazionali, oltre ai grandi discorsi pubblici, oltre alle tavole rotonde, oltre alle analisi scientifiche facciamo la differenza. È indubbio che solo i nostri gesti quotidiani, le nostre abitudini, i nostri costumi, sommati a quelli di tutti gli altri possono invertire il processo autodistruttivo a cui stiamo andando incontro. Perciò ognuno di noi, per attuare quella rivoluzione culturale, quel cambio di mentalità di cui abbiamo bisogno, deve partire da ciò che più immediatamente lo circonda, dalla propria dimensione locale. Ogni azione è un tassello che alla fine compone un immenso puzzle: «think globally, act locally», «pensa globalmente, agisci localmente» recita un celebre motto ecologista. Ecco perché i livelli di mercurio delle acque dell'Ausa o dell'Isonzo, le spiagge, le strade e i parchi pieni di cartine e mozziconi di sigaretta, la cementificazione, la raccolta differenziata e il riciclaggio, il consumo d'acqua e di energia elettrica, l'efficienza dei trasporti pubblici e l'uso della bicicletta come alternativa all'automobile, le classi energetiche degli elettrodomestici, il fotovoltaico e le altre tecnologie ecosostenibili, l'educazione ambientale nelle scuole, la produzione di rifiuti, il disboscamento a favore dei campi coltivati, la costruzione di enormi complessi edilizi sono tutti fattori importanti quanto gli accordi internazionali. Buona lettura. ◆◆ FILIPPO MEDEOT CAMBIAMENTI CLIMATICI: tre generazioni a confronto Da sempre il clima e i suoi cambiamenti hanno influenzato molto la natura che ci circonda e di conseguenza tutto ciò che essa produce. Meglio di chiunque altro lo sanno FRANCO (57 anni) e ORLANDO CLEMENTIN (86), che dall’inizio degli anni ’90 hanno portato la loro impresa familiare a specializzarsi nella viticoltura, continuando oggigiorno, assieme al figlio e nipote ANTONIO (26), a produrre e vendere il loro vino. . –Un – autunno senza precipitazioni come quello appena trascorso che ripercussioni può avere? «Lo scorso anno tutto sommato è andato bene, il raccolto è stato buono. In generale il 2015 è stato migliore rispetto al 2014, molto piovoso invece. Anche quest’ultimo aspetto di troppa abbondanza non è favorevole; in questa zona infatti è capitata una situazione in cui l’acqua era ristagnata, anche se per poco, e aveva causato danni sia alle colture in atto sia a quelle da seminare». –Che – tipo di impatto ambientale ha una produzione come la vostra? –Rispetto – alla generazione del nonno, vi siete accorti di un reale cambiamento del clima? «Sicuramente - interviene Franco - il clima non è più stabile e regolare come una volta, quando a maggio si lavorava nei campi in canottiera o addirittura senza. Ora invece le estati sono fresche e gli inverni caldi, da più o meno 20 anni, e di conseguenza le colture ne risentono. Penso che questo dato spieghi bene la situazione: anni fa si iniziava a vendemmiare i primi giorni di ottobre, adesso invece già a metà agosto». –Come – vi siete attrezzati per affrontare questi cambiamenti? «In questa zona, per fortuna, in qualche modo si riesce e sopperire a questa mancanza, anche perché ci sono fiumi e scolini e le falde acquifere sono alte. Se nelle zone dove c’è più ghiaia anche una piccola variazione di temperatura si sente, qui si avverte di meno, nonostante negli ultimi 10 anni nell’agro aquileiese ci si stia attrezzando per bagnare i campi. Per quanto riguarda la vite il caldo non nuoce molto, dal momento che le radici profonde incontrano presto l’acqua delle falde; il seminativo invece, ossia mais, frumento e soia, ha bisogno di essere irrigato per essere poi raccolto». –Che – conseguenza ha sul vostro prodotto tutto ciò? «Con questo cambiamento climatico i raccolti non sono quelli dovuti per far vivere economicamente un’azienda, poiché l’acqua è fonte di vita per tutti. Non avendo produzioni industriali tali da organizzare grandi impianti di irrigazione, le aziende familiari come la nostra risentono della mancanza di acqua. Adesso la produzione del vino cambia di anno in anno, anni fa invece era più stabile». «La coltura della vite ha diversi aspetti: troppa pioggia ti porta a difenderla maggiormente, poca acqua invece ti permette di fare un migliore lavoro e anche di risparmiare. Infatti se non piove la qualità è buona o addirittura eccellente, ma la quantità è minore». –Nel – corso dei decenni, il livello delle falde acquifere è sceso o è sempre lo stesso? «Quando ero bambino - ricorda con piacere il signor Orlando - il livello dei fossi era sempre alto, tanto che si ghiacciavano e si poteva rompere un pezzetto per berlo se si aveva sete, o addirittura anche pattinarci sopra: era il mio divertimento dopo scuola. Oggi invece non c’è più ghiaccio, che pure è importantissimo poiché riduce in polvere la terra e la ripulisce dai parassiti. Una volta quindi bastavano pochi attrezzi, mentre ora si fa uso di enormi trattori con una grande energia per spaccare il terreno, in modo tale che il seme penetri meglio nel suolo, e anche se il ghiaccio può sembrare rimpiazzato senza nessun problema, è comunque di fondamentale aiuto». –Lo – stato promuove incentivi per l’energia pulita, ma ciò è sufficiente come sostegno agli agricoltori oppure si potrebbe fare di più? «Di incentivi ce ne sono, dipende però dal tipo di coltura. Se le stalle e le serre sono dotate ad esempio di pannelli fotovoltaici e stufe a pellet, la nostra azienda non ancora. Tutte queste innovazioni oggigiorno costano pochissimo, qualche anno fa invece non erano molto convenienti; inoltre adesso si hanno incentivi anche all’acquisto di attrezzi elettrici o a gasolio, trattori a risparmio energetico o a guida satellitare, impianti di irrigazione a goccia dotati di sensori; la Regione o l’Unione Europea aiutano con un piano di finanziamento per adottare questi nuovi mezzi tecnologici». ◆◆ CAROLINA STABILE L’ACCORDO DI PARIGI SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI Per raggiungere gli obiettivi (soprattutto quello dei 2 ºC) l’Accordo A 195 si propone di: ADOTTATO D E N • raggiungere il picco di emissioni globali di gas serra il più presto PAESI ALLA FI 1 DELLA COP2 possibile per poi ridurle rapidamente fino a raggiungere, nella 15) 20 E BR EM IC (D seconda metà del secolo, la parità tra emissioni prodotte e quelle assorbite. Strumento per raggiungere questi obiettivi sono i “contributi determinanti a livello nazionale”: sforzi di mitigazione proTre obiettivi principali: gressivi nel tempo e che tutti i Paesi dell’UNFCCC sono chiamati a 1. contenere l’aumento della temperatura media globale ben intraprendere e comunicare al di sotto dei 2 ºC rispetto ai livelli preindustriali e il perse• garantire sostegno e flessibilità ai Paesi in via di sviluppo, che guimento di sforzi per limitarla a 1,5 ºC in quanto questo riduravranno bisogno di più tempo prima di ridurre le emissioni (si ricorebbe significativamente i rischi e gli impatti dovuti al cambianosce che avranno bisogno di supporto finanziario e tecnologico mento climatico per l’attuazione di questi impegni) 2. accrescere la capacità di adattamento agli impatti avversi del • assegnare ai Paesi sviluppati il ruolo guida nell’azione di mitigaziocambiamento climatico, promuovere uno sviluppo a basse ne attraverso obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni a livello emissioni, in maniera che non sia minacciata la produzione nazionale (mentre i Paesi in via di sviluppo potranno aumentare alimentare le proprie emissioni, seppur contenendole e cercando nel tempo 3. creare flussi finanziari coerenti con un percorso di svilupdi ridurle) po a basse emissioni di gas serra e resiliente (ossia resistente e • chiedere a ogni Paese di aggiornare – migliorandoli – i propri conadattabile) ai cambiamenti climatici. tributi nazionali ogni cinque anni, con chiarezza e trasparenza. IL PUNTO SU… IL CLIMA È CAMBIATO e cambierà ancora Sono rimasto piacevolmente sorpreso quando ho contattato l’ARPA per ottenere un incontro e fare la mia intervista. Ho trovato cortesia, disponibilità, collaborazione. Mi sono davvero chiesto: «Ma allora è possibile?» Sì, è possibile che una Pubblica Istituzione si metta in relazione con i cittadini, in modo diretto ed informale, anche in Italia. Ho incontrato la dottoressa Federica Flapp, che con grande cordialità mi ha letteralmente sommerso di dati, grafici e statistiche, ma anche accompagnato, quasi con tenerezza, nella comprensione del linguaggio tecnico. Ed il direttore dell’OSMER (l’osservatorio meteorologico regionale) dott. STEFANO MICHELETTI, che è stato il mio interlocutore e che riconosco per averlo visto spesso alla TV. Ha il fascino del capo e la simpatia istintiva dell’amico, vive vicino Udine, è sposato ed ha tre figli tra “il giovanotto” e “l’adolescente”. –Quali – sono i segnali più evidenti del cambiamento climatico nel nostro territorio? «Ci saranno ripercussioni sui sistemi naturali e sulla società, ma non possono essere compiutamente definite perché non sappiamo quale sia la capacità di adattamento ai cambiamenti, tanto degli organismi viventi quanto della stessa società, né quanto la nostra capacità di adattamento sia in grado di mitigarne gli effetti. Sappiamo che dovremo fare i conti con una minore disponibilità di acqua e che sarà necessario adottare nuovi sistemi di irrigazione in agricoltura, così come coltivare piante maggiormente resistenti alla siccità oppure sviluppare maggior resistenza nella varietà oggi coltivate; inoltre dovranno essere meglio gestite le risorse idriche per evitarne il razionamento. È probabile un aumento dei fenomeni di dissesto idrogeologico, che richiederanno ulteriori interventi di manutenzione del territorio e, laddove necessario, di rimboschimento con nuove piantumazioni. Così come aumenterà il rischio incendi quale conseguenza del riscaldamento della biosfera. La stessa biodiversità potrà subire modifiche, con la scomparsa di alcune specie vegetali e animali e l’arrivo di altre. Le conseguenze sulla nostra società saranno condizionate dalle cosiddette ‘migrazioni climatiche’, con spostamento di grandi masse di popolazione, in fuga da zone del sud del mondo verso nord, messe in crisi da prolungate siccità che possono produrre o aggravare situazioni di difficoltà già presenti. Si è notato inoltre che il forte caldo porta ad un aumento della mortalità fra le fasce deboli della popolazione, nonché delle patologie cardio-vascolari e respiratorie. L’aumento delle temperature favorisce anche la fioritura di determinati tipi di piante (come ad esempio l’Ambrosia) e una maggiore diffusione dei relativi pollini, con conseguente incremento delle allergie respiratorie. Sta aumentando inoltre il rischio di una maggiore diffusione di malattie trasmesse da vettori sensibili alla temperatura, come per esempio alcune specie di zanzare e le zecche». –Mi – sembra di capire che la causa sia soprattutto l’attività umana. E per quanto concerne il nostro territorio? Cosa fa di sbagliato ciascuno di noi? «In buona parte la responsabilità umana sta nella emissione di gas ad effetto serra e quindi in tutte le attività che richiedono l’utilizzo di combustibili fossili: essenzialmente le attività industriali, i trasporti e la produzione di energia. C’è inoltre un errato uso del suolo con la deforestazione ai tropici e la cementificazione. Ciascuno di noi è complice di tutto questo essendo un consumatore e un fruitore dei prodotti di tali attività, ma sbagliamo tutti quando sprechiamo energia e i suoi derivati. O meglio, lo spreco in generale è un comportamento lesivo delle risorse naturali ». –Cosa – possiamo fare per dare il nostro contributo a migliorare la situazione? «Possiamo fare molto, sia come singoli individui che come collettività. Possiamo preferire i prodotti realizzati con energie rinnovabili e materiali riciclabili. Possiamo e dobbiamo evitare gli sprechi. Dobbiamo avere maggiore rispetto per l’ambiente, preferendo la produzione di energia da fotovoltaico, utilizzando di più e meglio l’energia geotermica o solare termica. Ha grande importanza inoltre l’aspetto culturale e formativo, che dovrà portare a una maggiore sensibilità, come consumatori, nella scelta dei nostri acquisti. Orientandoci verso quei prodotti o quei processi che sono rispettosi dell’ambiente. Per fare questo è fondamentale la conoscenza e l’informazione, in modo da formare una coscienza collettiva, capace di orientare la volontà politica che deve essere sensibilizzata dalla società civile. In questo senso la conferenza di Parigi è solo il primo passo ». ◆◆ GIUSEPPE ANCONA amodomio.pdf 1 12/02/2016 07:42:29 ALTA UOTA comelli.pdf 15/02/2010 13.46.30 –Che – conseguenze avrà questo cambiamento? uotattualità –In – questo scenario, quali potrebbero essere le possibili evoluzioni e conseguenze? «Anche in questo caso è opportuno spiegare che le simulazioni sono fatte su scala planetaria con alcune indicazioni di area continentale e proiezione temporale verso l’ultimo trentennio del secolo. Contemplano diversi scenari a seconda delle previsioni di sviluppo economico futuro e alla conseguente concentrazione di gas serra. Tutti gli studi concordano sul fatto che in futuro il nostro sarà un mondo più caldo. Ai ritmi attuali si ipotizza mediamente di 2 gradi centigradi, ma se il recente accordo di Parigi sarà disatteso potrebbero essere anche quattro o più gradi. Tanto per offrire un raffronto, dal punto di vista delle temperature medie a fine secolo il Friuli potrebbe assomigliare a quello che è oggi la Sicilia». in «È necessario premettere che i dati da valutare sono sempre basati su elaborazioni di lungo periodo e che non è significativo comparare un anno a quello precedente, ma vanno presi in considerazione periodi superiori ai vent’anni. Anzi, le variazioni sono tanto più significative quanto più è lungo il periodo considerato. Detto questo, l’indicatore principale è sicuramente l’aumento della temperatura. Questo fenomeno si rileva particolarmente durante l’estate. Più in dettaglio è accresciuta di qualche grado la temperatura media massima del periodo e sono aumentati i giorni con temperatura massima diurna superiore ai 30°; questo dato in particolare è più che raddoppiato nell’ultimo decennio, passando da circa 10/20 a 40/50 giorni. Il fenomeno è poco significativo nelle stagioni transitorie, mentre durante l’inverno si è notata una riduzione del numero di giorni con gelate notturne. Un altro fenomeno è sicuramente quello delle precipitazioni, dove però i dati a disposizione per le analisi comparative sono più recenti. Va notata una diversa distribuzione delle precipitazioni, con una primavera più asciutta e l’autunno che si presenta più piovoso. L’elaborazione dei dati in nostro possesso ci fa ritenere possibile un aumento delle giornate con precipitazioni intense. Va detto che gli studi scientifici dimostrano che a un innalzamento della temperatura si associa un maggiore accumulo di energia, che a sua volta aumenta la violenza dei fenomeni, così come porta ad una maggiore durata e intensità dei periodi siccitosi ». 3 4 CAMBIAMENTI CLIMATICI E 1) LE CONSEGUENZE NELLA VITA DOMESTICA «RISPARMIARE ENERGIA E LIMITARE GLI SPRECHI» ELISABETTA NICOLA vive a Cervignano del Friuli, più precisamente nella frazione di Muscoli. È madre di Leonardo, 13 anni, e ricopre il ruolo di vicepresidente della Pro Loco dal 2013 e di segretaria del circolo bocciofilo di Muscoli da circa sei anni. uotattualità GIUSEPPE ERMACORA è un coltivatore diretto di Scodovacca, frazione di Cervignano del Friuli. Nato in una famiglia di mezzadri, dal 1986 dirige in proprio un’azienda agricola intitolata a suo nome che si occupa principalmente della produzione e della vendita a km zero di ortaggi e dal 2009 anche di frutta e miele. –Come – ha influito il cambiamento climatico sulla produzione della vostra azienda? «Il clima delle singole stagioni non è più ben definito e la temperatura atmosferica, com’è stato scientificamente provato, è generalmente più alta. Ad esempio nel nostro territorio non si può più parlare di inverni rigidi e estati afose. L’inverno del 2014 è stato umido e piovoso, quindi ho dovuto utilizzare spesso l’asciugatrice e il riscaldamento elettrico, aumentando così le spese per l’elettricità. Questo inverno invece si sta rivelando più caldo e secco, nonostante alcune giornate di nebbia, e ciò comporta un risparmio a livello sia energetico sia economico». «L’aumento della temperatura ha comportato una velocizzazione della produzione e un peggioramento della qualità del prodotto. Temperature troppo alte inibiscono la crescita delle piante, che fanno maturare più velocemente il frutto senza che quest’ultimo abbia completato in toto la sua formazione, richiedendo per di più un maggior impiego dell’irrigazione artificiale. Inoltre l’instabilità del clima non permette di sapere con certezza i periodi più adatti per piantare i semi da cui nasceranno le piante. Negli ultimi anni il protrarsi delle temperature rigide e le sporadiche gelate primaverili non hanno consentito di rispettare i tradizionali calendari agricoli. La produzione della nostra azienda non risente eccessivamente degli sbalzi climatici, poiché quest’ultima è organizzata prevalentemente in serre che limitano l’influenza degli agenti atmosferici sulle coltivazioni. Inoltre produciamo solamente frutti di stagione, in modo tale da rendere i prodotti più genuini, senza l’impiego di molti ausili chimici». «Come la maggior parte dei Cervignanesi, per motivi di necessità e di comodità utilizzo spesso l’automobile, un mezzo di trasporto che senza alcun dubbio contribuisce ad aumentare l’inquinamento dell’atmosfera a causa del rilascio di CO2 e altre sostanze nocive». in «UN INDICATORE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO? LE API» –In – che modo il cambiamento climatico ha influito sulla tua vita domestica? –Ti – senti responsabile degli sbalzi del clima? –In – che modo le api risentono degli sbalzi climatici? «La nostra azienda possiede una decina di arnie che contengono da ventimila a quarantamila api ciascuna. Per la produzione del miele questi insetti prelevano il polline sia dai prati circostanti sia dalle piante da frutto durante la stagione della fioritura. Un clima piovoso e umido non permette loro di uscire dagli abitacoli per raggiungere i pistilli e raccogliere la materia prima per l’elaborazione del miele». –Avete – adottato dei metodi di concimazione che rispettino il clima e l’ambiente? «Ci serviamo prevalentemente dell’amido biologico di mais, del letame che recuperiamo dalle stalle, del compost formato con l’erba tagliata, dei frutti e gli ortaggi che non possiamo utilizzare a livello domestico o vendere perché in stato di macerazione. Non ricorriamo all’impiego di diserbanti poiché contaminerebbero la purezza del miele che viene prodotto dalle api delle nostre arnie. Inoltre lo smaltimento dei concimi chimici inutilizzati comporta una spesa non indifferente, quindi ne limitiamo l’utilizzo». –Come – smaltite i rifiuti dell’azienda? «Rispettando la convenzione per gli agricoltori AT 2000, quando necessario ci rivolgiamo telefonicamente a un consorzio che incarica degli operai di venire a recuperare i nylon utilizzati per la pacciamatura del terreno. Dopo averli raccolti ci consegnano un attestato per testimoniare che lo smaltimento dei rifiuti è avvenuto secondo le norme prestabilite». –A – suo parere quali soluzioni agricole potrebbero limitare i danni verso il clima? «Innanzitutto lo sviluppo dell’agricoltura biologica contribuirebbe notevolmente a ridurre l’impiego di concimi chimici nocivi per l’atmosfera. Inoltre una rotazione triennale o quadriennale delle coltivazioni con frumento, mais e foraggio permetterebbe di lasciare a riposo i terreni senza dover così ricorrere all’impiego di mezzi artificiali per il miglioramento della produzione». ◆◆ FEDERICA ERMACORA 3) L’OPINIONE DELLE NUOVE GENERAZIONI «PARTIRE DAI PICCOLI GESTI QUOTIDIANI» –In – famiglia avete adottato dei metodi per risparmiare energia? «Per limitare l’impiego di fonti energetiche dannose per l’ambiente abbiamo installato un impianto fotovoltaico che, nonostante l’elevato costo iniziale, nel corso degli anni permette di risparmiare economicamente e di ridurre l’utilizzo di corrente elettrica. Inoltre spesso preferiamo accendere il camino a legna al posto del riscaldamento elettrico, limitando ulteriormente le spese per l’elettricità». –Quali – insegnamenti dai a tuo figlio riguardo al rispetto verso l’ambiente? «“Non gettare la cartina per terra!” è sicuramente la prima norma di comportamento che si raccomanda a un bambino, perché in tal modo impara a rispettare sia l’ambiente domestico sia quello pubblico. “Spegni la luce quando esci!” in modo tale da limitare gli sprechi di elettricità e “Chiudi la porta!” per evitare un’eccessiva dispersione di calore all’interno della stanza sono altri consigli che frequentemente do a Leonardo, affinché si abitui a vivere risparmiando risorse energetiche». –Gli – sbalzi climatici hanno causato dei problemi alle attività della Pro Loco? «A causa delle numerose giornate di pioggia l’estate del 2014 si è rivelata fallimentare: molti eventi sono stati annullati in extremis poiché le intemperie non ne hanno permesso lo svolgimento. La scorsa estate invece abbiamo perso solamente una serata su sei, quindi il clima è stato decisamente più favorevole dell’anno precedente». ALTA UOTA 2) LE CONSEGUENZE NELL’AGRICOLTURA –Per – quanto riguarda lo svolgimento degli eventi, la Pro Loco ha adottato dei piani d’azione nel rispetto dell’ambiente? «Sì, per lo smaltimento dei rifiuti ci siamo accordati con l’amministrazione comunale di Cervignano in modo tale che dopo ogni serata gli operai della NET si occupino della raccolta. Inoltre stiamo abbozzando un progetto che prevede l’installazione presso il Parco Europa di un raccoglitore di plastica». –Cosa – ne pensi dell’abolizione dei fuochi d’artificio per Capodanno? «Come stabilito dalla Questura di Udine, il centro di Cervignano non presenta spazi adatti all’utilizzo dei fuochi artificiali poiché non è dotato di distanze di sicurezza sufficienti a non creare pericoli per la popolazione. Inoltre da qualche anno l’ENPA e molti cittadini sottolineano il problema delle reazioni negative degli animali ai tradizionali ‘botti’. L’iniziativa di quest’anno è stata apprezzata solamente da alcuni che, come me, hanno compreso Ambiente e inquinamento: cosa ne pensano i ragazzi di Cervignano? Ne abbiamo parlato con una di loro: la quindicenne MARTA PUNTIN. –Secondo – te sta cambiando qualcosa nel clima globale ed in quello locale? E nell’ambiente che ci circonda? «Sebbene sappia dai giornali che il clima globale si sta riscaldando, sono un po’ troppo giovane per poter notare se ci sono stati dei cambiamenti climatici locali tra presente e passato. Certo, posso sempre confrontare la situazione di oggi con quello che mi dicono i nonni; ad esempio ricordo che mi hanno raccontato che quando loro avevano la mia età gli inverni erano così rigidi che la neve non scioglieva appena toccava terra, ed i fossi ghiacciavano così tanto che vi si poteva pattinare. Solo in base a questo posso dire che il clima locale si stia scaldando; è anche vero, però, che in una zona circoscritta, o comunque di limitate dimensioni, è difficile notare cambiamenti su grande scala, anche per quanto riguarda l’ambiente circostante. Quello che possiamo notare, nel nostro piccolo, può essere l’Ausa inquinato come pure qualche albero tagliato per far spazio ad una strada, ma mai grandi disboscamenti come può accadere ad esempio in Amazzonia». tilizzarlo. E non sono rari i disastri ambientali causati del petrolio fuoriuscito dalle petroliere, uno dei fattori principali dell’inquinamento del mare. Anche il trasporto di merci e l’estremo uso dei mezzi di trasporto privati causano un abbondante inquinamento. Ma la causa più profonda è dovuta al tipo di impostazione che ha preso la nostra società, ossia una società “dell’usa e getta”. Infatti troppo spesso gettiamo via troppo presto quello che potremmo riutilizzare in altri ambiti. Un esempio banale e concreto? Prima di gettare via una maglia sgualcita, la si può riutilizzare come straccio. Anche lo smaltimento dei rifiuti è infatti altamente inquinante». –E – tu? Ti senti responsabile di questi cambiamenti? «Premetto che io non sono un esempio di ecologista, anzi, spesso e volentieri mi accorgo tardi di compiere azioni scorrette verso l’ambiente. Penso che sia perché spesso pure io cedo alle comodità; ad esempio, viviamo in un paese piccolo, potremmo comodamente spostarci tutti in bici, se non a piedi, eppure spesso preferisco muovermi in automobile. Tuttavia certi piccoli gesti quotidiani per preservare l’ambiente li compio, come ad esempio effettuare la raccolta differenziata o spegnere il rubinetto quando mi lavo i denti». –L’uomo – è responsabile di questi cambiamenti? –Cosa – si potrebbe fare, nel proprio piccolo? «Secondo me sì. L’uomo è diretto responsabile di questi cambiamenti, anche se spesso declina le proprie responsabilità, ritenendo che il problema non lo riguardi nel personale, ma riguardi invece le generazioni future. Dal mio punto di vista le cause sono principalmente economiche; guarda per esempio le fabbriche che fanno utilizzo di combustibile fossile! In questo caso l’inquinamento è triplo: si inquina per estrarlo, per trasportarlo e nell’u- «Come dicevo prima, l’abitudine, la pigrizia mentale e fisica, oltre che alla comodità, sono tra le principali concause dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Eppure di soluzioni ce ne sono, eccome, anche a portata di mano, ma non ce ne accorgiamo. Per cominciare, come suggerivo prima, nei piccoli paesi, e comunque quando ci si sposta su brevi direzioni, si dovrebbe preferire la bici o la camminata, come mezzi di trasporto. Oppure usufru- la situazione; molti altri hanno sottolineato il fatto che è stata spezzata una tradizione di lunga durata.». –In – che modo le scuole locali contribuiscono all’educazione dei bambini per quanto riguarda il rapporto clima/ambiente? –Quali – metodi ritieni più funzionali per la sensibilizzazione dei cittadini verso il rispetto del clima e dell’ambiente? «Senza alcun dubbio i media rivestono un ruolo fondamentale, poiché possono diffondere messaggi a livello mondiale e con notevole velocità. Inoltre insegnare a bambini e anziani il valore della raccolta differenziata, che molti per disinformazione o per pigrizia sottovalutano, contribuisce alla sensibilizzazione». «Nelle scuole di Cervignano la NET svolge annualmente delle lezioni per insegnare ai bambini i comportamenti da assumere circa lo smaltimento dei rifiuti. Quest’anno la Pro Loco, assieme al Comune e alle scuole elementari e medie di Cervignano, ha dato luogo a un’iniziativa che ha previsto la realizzazione da parte degli studenti di fiocchi di neve con materiali riciclabili». ◆◆ FEDERICA ERMACORA CONSEGUENZE NEL QUOTIDIANO IL PAESAGGIO MUTEVOLE «IL VERO PROBLEMA È L’INQUINAMENTO AGRICOLO» 5 Incontro a Venezia, più precisamente in aula N1 nel cotonificio di Santa Marta, sede dello IUAV, MORENO BACCICHET, laureato in architettura nel 1997, dal 2002 cultore della materia presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia per il settore disciplinare di Urbanistica. Oltre all’attività di professore universitario, è consulente per enti e amministrazioni pubbliche: dal 1992 al 1997 è stato infatti componente della Commissione Beni Ambientali della Regione Friuli Venezia Giulia. Iniziamo parlando di inquinamento del nostro territorio e della percezione che ognuno di noi ha riguardo al fenomeno, ma poi il discorso vira sull’inquinamento agricolo e il mondo che ci gira attorno. A causa della prolungata siccità autunnale e invernale, il livello dei fiumi è sceso drasticamente, mettendo in pericolo l’agricoltura. Come documentato da La Tribuna di Treviso, a cavallo fra Ponte di Piave e Fagarè, in Veneto, il Piave in secca ha riportato alla luce una passerella austroungarica risalente alla Prima Guerra Mondiale (foto in alto). La stessa cosa era accaduta nell’estate del 2012, quando dall’Isonzo, in località Mainizza presso Gorizia, erano riemerse le pietre del ponte romano (foto in basso). –Innanzitutto, – che cosa si intende con paesaggio e ambiente? –Possiamo – quindi parlare di inquinamento quando la popolazione che abita un determinato territorio avverte un cambiamento in quest’ultimo? –C’è – chi parla anche di alimentazione… «Ed è vero! Bisognerebbe mangiare più frutta di stagione: ridurrebbe le emissioni inquinanti prodotte nel trasportare questi alimenti dai paesi d’origine ai nostri, dove non se ne trovano. Un esempio banale sono le fragole, che sono spesso in commercio anche d’inverno, nettamente fuori stagione in Italia. Sempre per quanto riguarda frutta e verdura, secondo me, occorrerebbe preferire i prodotti a km 0, recapitati in loco, così da limitare l’inquinamento del trasporto delle merci e quello della propria auto, magari recandosi in bicicletta dal produttore. Per non parlare degli imballaggi; si risparmierebbe, recapitando dal produttore il prodotto, anche nella plastica per imballaggi, che spesso è fonte di inquinamento dei nostri mari. D’inverno sarebbe opportuno abbassare le temperature dei riscaldamenti domestici, vestendosi più pesante, ma limitando così le emissioni di gas inquinanti. E sempre per quanto riguarda i trasporti, ci sono soluzioni anche per quelli su lunga distanza». –Ad – esempio? «L'inquinamento è sempre misurabile chimicamente: parliamo di sostanze che danneggiano il nostro organismo, sono presenti nell'aria che respiriamo, negli alimenti di cui ci nutriamo o in prodotti che applichiamo sulla nostra pelle. Queste sostanze sono gli scarti e il prodotto di una economia del consumo e della produzione massiva; più la qualità della nostra vita aumenta, più inquiniamo e sprechiamo. Usiamo la macchina per fare i più piccoli spostamenti, abbiamo 20 gradi centigradi in casa quando basterebbero 17, per i più freddolosi 18, ed un maglione in più; inoltre abbiamo scoperto da pochi anni la raccolta differenziata come se fosse una grande invenzione. Possiamo definirci molto pigri, ma dobbiamo pensare che ogni volta che la nostra pigrizia ci sovrasta, inquiniamo». –Quali – attività producono più inquinamento? «Vi è l'inquinamento dovuto ai gas di scarico delle nostre auto, per cui si ricorre a targhe alterne o blocchi totali del traffico, vi è quello dovuto alla combustione di materiale organico da parte delle nostre stufe e caminetti, vi è quello delle grandi industrie e dei loro scarti di lavorazione, ma spesso sono le attività più insospettabili che producono una buona percentuale di inquinamento dell'aria e del suolo». –Ossia? – «Per esempio l'inquinamento agricolo. La lavorazione dei campi è un esempio lampante, basti pensare che, durante crogiolo.pdf 15/02/2010 «Sì, ci sono delle normative sia europee sia a livello nazionale e regionale, ma è prevalentemente a discrezione dei proprietari del terreno. Esiste la ‘carta dei veleni’ che ogni azienda agricola ha e in cui si elencano pesticidi e fertilizzanti utilizzati sui propri campi: ora si chiama – sorride – ‘Carta dei prodotti fitosanitari’ o ‘presidi sanitari’, così sembra facciano meno male...» –Quella – degli agricoltori è forse una scelta obbligata? «Certo. La colpa non è dei diretti coltivatori e possessori dei terreni agricoli ma di chi, per scopi puramente economici, produce, mette in commercio e pubblicizza tali prodotti. Gli agricoltori sono le vittime piuttosto che i 'carnefici'. Se io avessi un terreno coltivato e mi venisse detto che con una certa quantità di un prodotto fitosanitario riuscirei ad incrementare la mia produzione in modo esorbitante, in un momento di crisi agricola come quello di adesso, la scelta sarebbe quasi obbligata. E così facendo andrei a bombardare con prodotti chimici le mie piante, in modo che siano più belle esteticamente e in quantità superiori. Ma quello che non vedrei è che il mio terreno sta pian piano perdendo la sua fertilità a causa dell'impoverimento di sali e materiali organici presenti nella terra e non vedrei che l'acqua con cui ho bagnato il campo, o più semplicemente quella piovana, è inquinata e, permeando nel terreno, va a finire nelle falde acquifere per poi sgorgare dal rubinetto di casa nostra». –Come – si è arrivati a questo? «Gli insetticidi e i fertilizzanti sono sempre esistiti, la vera differenza sta nella misura in cui si utilizzano. È ormai diventato quasi un circolo vizioso, poiché ogni anno gli insetti e le malattie che colpiscono le piante si fortificano, quindi diventa necessario aumentare le quantità e la forza di questi prodotti. Non si può dire «torniamo indietro, usiamo le miscele di veleni che venivano adoperate un tempo»: sarebbe un ragionamento a mio avviso non corretto. Si tratta, semmai, di usare la tecnologia che abbiamo sviluppato in modo responsabile e meticoloso. Ovviamente, come per ogni cosa, vi sono coloro che rispettano la propria terra, hanno con essa un rapporto di lavoro e di fatica. Io punto il dito soprattutto contro le grandi aziende che con le loro monocolture e i loro veleni stanno aggredendo e inquinando pesantemente il nostro territorio, facendoci credere che la bellezza di una mela sia più importante dei benefici che essa ha sul nostro organismo». ◆◆ FRANCESCO PERUSIN 13.47.03 ALTA UOTA «Mettersi d’accordo per portare i propri figli a scuola o agli allenamenti sportivi con una sola macchina anziché con molte, ciascuno per conto proprio, potrebbe essere una soluzione: non solo limita le emissioni inquinanti, ma aiuta anche a socializzare e a risparmiare in benzina. Ecco, secondo me sono i gesti piccoli, compiuti prima con uno sforzo, e poi automaticamente, che possono aiutarci a capire quanto sia importante il nostro pianeta e quanto sia importante preservarlo». ◆◆ LUCA MAGGIO –Quando – possiamo allora parlare di inquinamento? –Non – ci sono dei controlli o dei limiti all’utilizzo di questi prodotti? uotattualità ire dei mezzi pubblici; ridurre, comunque, l’utilizzo dei mezzi privati, principali fonti d’inquinamento. «A mio parere no, bisogna stare attenti a non abusare troppo di questa parola ‘inquinamento’. La popolazione cambia assieme al paesaggio, vanno quasi di pari passo, basta pensare alla costruzione di nuove strade, di edifici e via dicendo, perciò con il susseguirsi delle generazioni cambia anche la percezione che le stesse persone hanno del proprio territorio. Per fare un esempio: immaginiamo che venga costruita, al posto di una serie di campi coltivati a vigna, una strada ad alto traffico. Io vedrei questo cambiamento come un deturpamento del mio territorio perché ho in mente quello che vi era prima, ma un ragazzo che cresce con quella strada già costruita, e che non sa cosa lì ci fosse prima, ha una percezione diversa del paesaggio e non lo avverte come un deturpamento. L’inquinamento è una cosa diversa: non si parla più di percezione della popolazione, ma di veri e propri effetti fisici e sociali sulle persone che abitano un territorio». il periodo di trattamento delle vigne, le stazioni di monitoraggio dell'aria registrano livelli di inquinamento superiori a quelli rilevati nel centro trafficato di Pordenone. La campagna coltivata, che per noi è sinonimo di natura, di aria aperta e pulita, è in verità un ricettacolo di veleni per il nostro organismo». in «Il paesaggio è l’aspetto visibile di un ambiente: la Convenzione Europea del Paesaggio, che si è tenuta il 20 ottobre del 2000, definisce quest’ultimo come una determinata parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e delle interazioni che vi sono fra essi. L’ambiente, invece, ingloba più temi: è infatti il complesso di condizioni materiali, sociali, culturali e morali, in cui una persona vive e si forma. Bisogna però aggiungere che in Italia il concetto di paesaggio ha sempre avuto una stretta relazione con un principio estetico del bello: questo aspetto ha spesso determinato una progettazione e un intervento sul territorio diverso rispetto al resto d’Europa». 6 IL LOCALE E IL GLOBALE LA NUOVA RESILIENZA COME LE CITTÀ SI ADATTANO AL CAMBIAMENTO CLIMATICO in uotattualità Per il laboratorio di progettazione urbanistica II di questo semestre, intitolato Per una Trieste città resiliente, ci è stato chiesto di realizzare un progetto per Trieste che sia rivolto a un arco di tempo che va tra i cinquanta e i cento anni a partire da ora, quando l’acqua si sarà innalzata di 70 centimetri certi, 1 metro al massimo. Il surriscaldamento globale e gli impatti dei cambiamenti climatici incidono sul bilancio qualitativo e quantitativo delle risorse naturali, aggravano la stabilità dei territori e mettono a rischio l’abitabilità. Le città risultano quindi particolarmente vulnerabili agli impatti dovuti ai cambiamenti climatici: «L’asfalto, il cemento e le altre superfici artificiali assorbono le radiazioni solari e producono isole di calore, per questo motivo la temperatura nei centri delle città risulta superiore rispetto alla campagna circostante e le aree verdi della città sono stressate dalla alta frequentazione e dalle siccità» (European Topic Centre on Air Pollution and Climate Change Mitigation, anno 2010). In merito a ciò, abbiamo seguito delle lezioni in cui ci è stato spiegato come diverse città, europee e non, stiano affrontando il tema della resilienza, ovvero la capacità di adattarsi ai vari cambiamenti che avvengono nel tempo, sia per quanto riguarda la società e la politica, sia per quanto riguarda gli eventi climatici e fisici che subiscono. Per The Oxford Handbook of Urban Planning una città resiliente è «una città capace di sopravvivere a un trauma senza che le infrastrutture fisiche, l’economia e il suo tessuto sociale smettano di funzionare». Altre lezioni, invece, si incentravano su quale fosse il ruolo dell’urbanistica nel progetto di questi nuovi scenari futuri: «Costruire scenari per un territorio significa elaborare immagini di futuri possibili, cioè formulare congetture in merito alla sua possibile evoluzione nel corso del tempo, compiendo un esercizio di immaginazione creativa che prenda le mosse dal riconoscimento delle potenzialità e delle criticità riscontrabili nel presente e dalle azioni progettuali che si ipotizza di intraprendere. […] Affinché l’urbanistica cessi di essere un semplice spettatore o una disciplina ‘applicata a posteriori’, è quindi indispensabile che recuperi la sua capacità di raccontare il futuro» (Paolo Bozzuto, Andrea Costa, Lorenzo Fabian, Paola Pellegrini, Storie del futuro. Gli scenari nella progettazione del territorio, Officina Edizioni 2009). L’innalzamento del livello del mare, i mutamenti nel regime delle piogge e l’incremento delle temperature sono cause che devono invitare a progettare il territorio urbanizzato in modo tale che sia meno vulnerabile e più resiliente. Interventi che riducono l’impatto della città sull’ambiente possono essere la riduzione del consumo energetico, la migliore gestione della mobilità, la riduzio- A questo proposito i paesi più sviluppati devono porsi in prima linea nella lotta contro i cambiamenti climatici, poiché sono responsabili di gran parte delle emissioni rilasciate in seguito alla rivoluzione industriale. Le città sono infatti responsabili del 40% delle emissioni complessive di gas serra. Parallelamente alla riduzione delle emissioni, l’Europa e il resto del mondo devono adattarsi ai cambiamenti climatici in corso e futuri. Una linea guida seguita dalla maggior parte degli studenti nell’affrontare il loro progetto è stata data dal progetto Facing up to rising-sea levels. Retreat? Defend? Attack?, nel quale vengono esposte tre diverse strategie per affrontare l’innalzamento delle acque. •La prima delle tre è l’‘Adattamento’, per la quale si è cercato un modo di convivere con il problema climatico senza apportare troppe modifiche al territorio. •La seconda è la ‘Difesa’, che propone un arretramento della linea di costa per poterne mantenere in futuro le funzioni: questo attraverso l’utilizzo di un disegno di suolo che giochi su diverse altezze – da gradinate che arrivano al mare a dune in grado di schermare il vento – e che permetta all’ambiente di restare abitabile e fruibile ai cittadini. •La terza strategia riguarda l’‘Attacco’, ovvero il ridisegno della costa mediante lunghi pontili o moli in grado di espandersi sul mare. Rotterdam, seconda città più importante dell’Olanda dopo Amsterdam, sede del più grande porto commerciale d’Europa e tra le più importanti al mondo in quanto collocata nel cuore del delta del Reno, ha affrontato il tema della resilienza urbana con un Water Program che permettesse di costruire un esemplare rapporto acqua-città fondato sulla costruzione di piazze d’acqua: spazi pubblici riqualificati dal punto di vista idrico e sociale. Uno degli obiettivi di Rotterdam è rimanere un centro di attrazione dal punto di vista socio-economico, nonostante l’80 % della città sia al di sotto del livello del mare. Il primo piano d’azione contro le alluvioni risale al 2001, ampliato poi nel 2005; il secondo è entrato in vigore nel 2007, mettendo a punto una strategia di adattamento completata nel 2013. Un altro caso analizzato attentamente dal mio gruppo di lavoro è stato quello della città di Boston, la quale ha accolto il concorso Boston living with water. Il fattore scatenante, l’uragano Sandy, ha permesso di conseguire un bando indetto nell’ottobre del 2014, il cui fine era quello di affrontare i rischi portati da problemi quali alluvioni, alte maree, esondazioni ed erosioni costiere, prefigurandosi una Boston che, nel 2100, potesse essere una città resiliente, sicura, bella e vivibile. Il bando suddivideva la città in tre luoghi: •per la zona nominata ‘Quartiere’ è stata scelta l’area vicina all’Università di Boston - soggetta a grandi allagamenti; •per le ‘Infrastrutture cittadine’ invece è stata presa in considerazione la Summer Street, la via storica di Boston, abbandonata e in degrado a causa degli allagamenti; •infine, per l’area relativa all’‘Edificio’, è stata definita una zona in prossimità del centro che avesse una possibilità di espansione per la città. Il progetto vincitore per la zona nominata ‘Quartiere’ può essere oggetto di orgoglio per il nostro paese in quanto è stato ideato dal gruppo veneziano Thetis. Ho riportato solo due esempi, perché se dovessi parlare di tutte le città che si stanno attrezzando contro il cambiamento ambientale, da Lione a Venezia, da New York a Durban, avrei bisogno dell’intero giornale. Il mondo si sta attivando, le città iniziano a proteggersi per costruire il proprio futuro e conservare gelosamente il passato. I grandi cambiamenti, dopotutto, o sono improvvisi e radicali nel tempo e nello spazio, o si dilatano in un lungo periodo, e l’uomo sta iniziando solo ora ad adattarsi alla natura che si evolve sempre più rapidamente. ◆◆ GIULIA BONIFACIO MENTI ALL’AMBIENTE Dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 Parigi è stata sede della Cop 21, ossia della Conferenza globale sul clima. Ne abbiamo parlato con CRISTIANO GILLARDI, ingegnere esperto in problematiche ambientali. –Che – cos’è la Cop 21 e chi vi ha partecipato? ALTA UOTA ne del consumo di acqua e della produzione di rifiuti, infine la promozione della biodiversità. Temi affrontati nelle diverse conferenze incentrate sul problema climatico e che hanno avuto inizio dalla Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite di Rio nel 1992. «La Cop 21 (Conference of the Parties), svoltasi a Parigi tra il 30 novembre 2015 e l’12 dicembre 2015, è stata la 21ª Conferenza indetta dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Si è trattato di una riunione a livello planetario che raccoglie tutte le nazioni partecipanti per discutere e decidere riguardo i temi della sostenibilità ambientale e anche dell’economia. All’appuntamento di Parigi prendono parte i rappresentanti di 195 stati, tra cui i 10 maggiori produttori di gas serra, e molte organizzazioni tra associazioni e istituti di ricerca, di ogni tendenza in fatto di energia e di cambiamenti climatici. A 20 anni dal Protocollo di Kyoto, la Cop 21 si è posta l’obiettivo di formalizzare un nuovo accordo al fine di risolvere i problemi ambientali». –Quali – sono le cause e le conseguenze dei mutamenti climatici? «La causa dei mutamenti climatici è l’aumento della concentrazione di anidride carbonica (biossido di carbonio, CO2) nell’aria. La concentrazione dell’anidride carbonica provoca un aumento dell’effetto serra». –Ecco, – spieghiamo una volta per tutte cosa significa. «Con l’espressione effetto serra si definisce il fenomeno per cui l’energia che viene emessa dalla superficie terrestre verso lo spazio, in prevalenza come radiazione infrarossa, per bilanciare il flusso di energia ricevuta dal Sole, è parzialmente assorbita da alcuni gas presenti nell’atmosfera, detti gas serra, e da questi rinviata nuovamente verso la Terra. In tal modo viene ritardata la dispersione di energia e s’instaura una temperatura media alla superficie terrestre maggiore di quella che si verificherebbe in assen- za di atmosfera. Finché la composizione dell’atmosfera e la quantità di radiazione solare ricevuta dalla Terra non variano, l’equilibrio tra i vari fattori fa sì che s’instauri un certo valore medio di temperatura alla superficie terrestre. Se uno dei fattori in gioco cambia, l’equilibrio si sposta. Una diminuzione di biossido di carbonio provoca un raffreddamento del pianeta, un aumento provoca invece un eccessivo riscaldamento, ed è questo il nostro caso. Il risultato di questa intensificazione dell’effetto serra potrebbe essere un aumento della temperatura media terrestre, con conseguente parziale scioglimento dei ghiacci delle calotte polari e innalzamento del livello dei mari; inoltre, potrebbero verificarsi modificazioni climatiche che attualmente sono difficilmente valutabili». –Entrando – nello specifico, qual è la situazione del Friuli Venezia Giulia? «È difficile parlare di un caso specifico perché gli effetti dei cambiamenti climatici sono molteplici, sono estremamente diversificati e si spostano sulla superficie terrestre con una casualità che ancora non è ben capita e non è facilmente prevedibile. Per cui, in linea generale, si assiste a un aumento della temperatura dell’acqua e dell’aria, che porta all’innalzamento del livello degli oceani a causa dello scioglimento dei ghiacci emersi. Il livello d’acqua del golfo di Trieste è salito di 13 centimetri da quando si è iniziato a tenere sotto controllo, circa un secolo fa. Questa misura è insignificante in condizioni normali, però diventa importante in condizioni meteo particolari, ad esempio quando soffia vento di scirocco e c’è alta marea, perché quei 13 centimetri fanno sì che ci sia l’acqua alta a Trieste, evento particolarmente raro. Questo innalzamento del livello dell’acqua potrebbe essere un problema per le lagune di Grado e Marano, che potrebbero essere sommerse da velme e barene in maniera stabile. Un al- tro problema dovuto all’innalzamento dei mari sarebbe quello della penetrazione del cuneo salino: se il livello del mare si solleva, aumenta la pressione del mare sulle probabili vie di comunicazione tra mare e sorgente dolce, per cui l’acqua salata penetra nella sorgente». –Quali – potrebbero essere le possibili soluzioni nel quotidiano? «Le possibili soluzioni sono molte: alcune comportano solamente uno sforzo mentale, altre economico. Si potrebbe cominciare dal fare correttamente la raccolta differenziata senza disperdere i rifiuti nell’ambiente. Data la presenza di apparecchi tecnologici, sarebbe utile spegnere il Wi-Fi quando si è fuori di casa e, nelle ore notturne, spegnere tutti gli stand-by e i caricabatterie. Un risparmio notevole deriverebbe dall’uscire a piedi o dall’utilizzo di biciclette invece delle automobili: oltre all’ambiente, ne beneficia anche la persona. Inoltre ci sono diversi modi per autoprodursi l’energia, come il fotovoltaico sfruttando l’energia solare, il micro idroelettrico e il micro eolico sfruttando acqua e aria». ◆◆ FRANCESCO PAVONI ULTIME NOTIZIE NEL NEL PROSSIMO PROSSIMO NUMERO NUMERO TUTTO IL BELLO DEL CINEMA 7 CERVIGNANOFILMƒESTIVAL 2016: AL LAVORO PER LA QUARTA EDIZIONE! È bastato scrivere un breve messaggio sul nostro gruppo Facebook e in poche ore un migliaio di persone hanno visualizzato la notizia: moltissimi i “mi piace”, molte le condivisioni. Due righe stringatissime, che però sono state sufficienti per destare l’entusiasmo di tutti: «12 febbraio 2016: si rimette in moto la macchina del CERVIGNANOFILMƒESTIVAL - il Cinema del Confine e del Limite. Appuntamento a settembre… seguiteci!». Dunque è ufficiale: il comitato organizzatore è al lavoro per la quarta edizione del CervignanoFilmFestival - Il cinema del confine e del limite, di cui il sottoscritto sarà direttore artistico in toto, dopo il tandem dell’anno scorso con Piero Tomaselli. Proprio a lui è rivolto il mio primo pensiero: come dico sempre, senza la preparazione, la professionalità, la cultura, la lucida follia di Piero, questo piccolo miracolo che ormai dal 2013 anima il settembre cervignanese non sarebbe mai esistito. Né sarebbe esistito senza il lavoro straordinario, faticosissimo, spesso «in direzione ostinata e contraria» del Ricreatorio San Michele: al presidente Andrea Doncovio e al coordinatore generale del CFF, il mitico Riccardo Rigonat, va dunque il mio più caldo e vivo ringraziamento, così come a tutto lo staff con cui ho la fortuna di lavorare. Ma cos’è precisamente questa manifestazione? Come recita l’ormai canonica presentazione, il Festival «nasce da è riservata anche al cinema made in FVG e a quello, solitamente invisibile, realizzato dalle scuole superiori di tutta Italia, che l’anno scorso ha riscosso un successo al di là di ogni aspettativa. Ospitato in una terra che è da sempre frontiera e incrocio di culture (fino al 1915 Cervignano era l’ultimo avamposto dell’impero asburgico e il fiume Ausa segnava il confine con l’Italia), il CervignanoFilmFestival, dedicato appunto al «limite e al confine» dei generi cinematografici, si presenta quindi come un osservatorio inedito dei movimenti sotterranei e di superficie che stanno investendo il mondo della settima arte e, più in generale, della comunicazione globale, con opere provenienti da tutto il mondo: da due anni il numero di prodotti audiovisivi arrivati in via Mercato 1 si attesta attorno alle 300 unità, toccando ogni continente. Ma per capire le ultime tendenze del cinema occorre necessariamente partire da autori ormai ‘classici’, proprio perché di dirompente novità in passato: con questa filosofia, ‘didattica’ nel senso più alto del termine, sin dalla prima edizione il CervignanoFilmFestival organizza tavole rotonde di approfondimento, matinée con film ad hoc per le scuole medie e superiori della città, nonché proiezioni speciali fuori concorso di grandi pellicole del passato ingiustamente dimenticate. Il tutto legato un argomento che fa da filo conduttore fra i vari eventi: cinema e filosofia nel 2013, cinema e musica nel 2014, cinema e arti visive nel 2015. Per l’edizione 2016 il tema è già individuato, ma ancora non possiamo svelarlo: vi diciamo solo che farà… discutere. Com’è giusto che sia, perché il compito di una rassegna culturale è quello di muovere le passioni e svegliare le coscienze. Il Festival si svolgerà da martedì 20, con la serata inaugurale, a domenica 25 settembre, con l’ormai assodata proiezione di un classico del cinema da riscoprire, in quanto ingiustamente dimenticato. L’anno scorso toccò a Il ventre dell’architetto di Peter Greenaway, in una serata rimasta scolpita nell’immaginario cervignanese: so per certo di persone che hanno rivisto l’opera altre tre volte, di ragazzi che hanno inserito la colonna sonora del film come suoneria del loro cellulare… Per l’edizione 2016 stiamo valutando due ipotesi, entrambe formidabili per quanto diversissime: fin da ora, comunque, vi garantisco qualcosa di straordinario. Tutto questo in attesa di pubblicare il bando (sarà on line in primavera) e soprattutto di scegliere la rosa dei finalisti che approderanno sul grande schermo della Sala Aurora. Appuntamento a settembre. Nel frattempo, non perdetevi i nostri aggiornamenti sul gruppo Facebook e sul sito www.cervignanofilmfestival.it. ◆◆ VANNI VERONESI ba eka ALTA UOTA 1946 – 2016: La Repubblica come ha cambiato l’Italia? Durante i cinque anni intercorsi tra il 25 luglio 1943, data della caduta del regime fascista, e il 18 aprile 1948, giorno in cui avvennero le elezioni per la prima legislatura repubblicana, l’Italia venne rivoluzionata dall’affermazione di una nuova classe dirigente, di un nuovo sistema politico e di una nuova Costituzione. Il 2 giugno 1946 il popolo italiano fu chiamato a decidere tramite un referendum istituzionale se mantenere l’assetto monarchico o dare vita alla Repubblica. In quest’occasione affluì alle urne circa il 90% degli aventi diritto di voto, percentuale senza precedenti nelle elezioni libere in Italia; il 54% di essi scelse di investire forze e fiducia nel cambiamento politico e per 12.700.000 voti su 10.700.000 decretò la fine della monarchia sabauda e la nascita della Repubblica italiana, proclamata dalla Corte di Cassazione il 10 giugno 1946. Si trattò di un avvenimento decisivo per il futuro del nostro paese: per la prima volta dopo venticinque anni di dittatura si poté parlare di consultazioni politiche incondizionate, per la prima volta anche le donne italiane godettero della possibilità di votare, per la prima volta nella Storia l’Italia si presentò agli occhi del mondo come una res publica, un bene comune, un tesoro appartenente all’intera popolazione italiana. Quest’anno ricorre il settantesimo anniversario dell’avvento della Repubblica italiana. È trascorso più di mezzo secolo, si sono succeduti dodici presidenti e numerosi partiti politici alla guida del paese. Nel corso del tempo l’Italia è mutata notevolmente: negli anni ’60 è stata il luminoso scenario di un boom economico e sociale, nel ventennio successivo si è presentata come il cruento fondale di ondate terroristiche e tensioni interne, e ora appare ai nostri occhi come l’oscuro fondale di una crisi economica e ideologica, appesantita per di più dagli scontri bellici che attanagliano gran parte dell’Europa. Che cosa è cambiato dopo settanta anni? La Repubblica si è rivelata la scelta giusta? Come si sarebbe evoluta la storia italiana se il 2 giugno 1946 la maggioranza dei voti avesse preferito l’ordinamento monarchico a quello repubblicano? Si sarebbero verificati gli stessi avvenimenti? Come vivremmo oggi? Non si tratta di vacue domande retoriche ma di quesiti volti a dare voce alle opinioni dei Cervignanesi in merito al tema scelto dalla redazione per il prossimo numero di Alta Quota. Sebbene si possa discutere a lungo riguardo alla validità e alla credibilità del nostro Stato, non si può obiettare il fatto che la nascita della Repubblica abbia permesso agli Italiani di respirare aria di libertà. E se, come cantava Giorgio Gaber, “libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”, Alta Quota v’invita a riflettere e ad esprimere i vostri pensieri in merito ai cambiamenti positivi e negativi che hanno segnato la storia del nostro paese. ◆◆ FEDERICA ERMACORA credifriuli.pdf 15/02/2010 13.46.47 un’idea del Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione Ricreatorio San Michele e dalla volontà di supportare la creatività giovanile con l’intento di valorizzare, promuovere e divulgare le forme “minori” della narrazione audiovisiva e cinematografica, protagoniste negli ultimi anni di una vera rivoluzione dei propri codici: il cortometraggio di fiction, strumento privilegiato di comunicazione sociale e politica, ma anche banco di prova per sperimentazioni tecniche e contaminazioni di linguaggi espressivi, dove spesso diventa difficile distinguere realtà e finzione (come, paradossalmente, nel mondo dell’informazione oggi); e il documentario, assurto negli ultimissimi anni al rango di opera d’arte tout court, tanto da imporsi come nuova strada da battere per un rinnovamento complessivo del cinema. A questi due generi è dedicato il concorso principale, al quale si affianca il Premio “Michel Gondry” riservato al videoclip, che da semplice accompagnamento di una canzone è diventato prodotto filmico autonomo e oggi vive una seconda giovinezza grazie all’apporto del digitale, tanto a livello pop (per esempio attraverso il canale Vevo di YouTube) quanto, e soprattutto, a livello indipendente, come strumento di promozione e mezzo per affermare la propria identità artistica». Un’attenzione particolare 8 Alta ucina i Eravamo rimasti, mesi addietro, agli spaghetti cu ‘a pummarola ‘ncoppa e ripartiamo, essendo nel frattempo cambiate molte cose, tra cui addirittura la numerazione dell’anno, dal riso: alimento sano, facilmente digeribile e di alto valore nutritivo. Ha scritto Alberto Bevilacqua: «Affondare le mani nel riso, e farselo scorrere tra le dita, è un atto che ha qualcosa di religioso, una sua simbologia cristiana». Esistono almeno cinque tipi di riso e otto tipi di cottura che ovviamente esulano da queste righe, per cui riportiamo soltanto la ricetta di qualche risotto, carpita qui e là nel mio girovagare per l’Italia e, comunque, tra le più semplici a prescindere da ingredienti sofisticati. Provata, riprovata ed eventualmente rielaborata. RISOTTO ALL’ARANCIA. Sciogliere il burro necessario unendovi la buccia tritata di un’arancia; far tostare leggermente il riso aggiungendo un bicchiere medio di vino bianco da pasto o, meglio, di prosecco. Proseguire aggiungendo, a poco a poco, un buon brodo, senza dimenticarsi di girare, e a ¾ di cottura il succo di una o due arance a seconda che piaccia più o meno aromatizzato. A fine cottura aggiungere del formaggio a dadini (va bene il taleggio), lasciarlo sciogliere e mantecare coperto per alcuni minuti e poi servire. (si fa sempre per dire) DAGLI SPAGHETTI AL RISO di Alberto Landi RISOTTO CON FRAGOLE E CALVADOS (O BRANDY O GRAPPA). Tostare il riso nel burro e bagnare con buon brodo insaporito, aggiungendolo un po’ alla volta e rimestando insieme a un etto circa di fragole. A metà cottura unire un altro etto di fragole tagliate a pezzetti. Aggiungere a fine cottura una noce di burro e mantecare con parmigiano e qualche cucchiaio di Calvados. Servire guarnendo a raggiera con altre fragole. La rielaborazione suggerisce che il Calvados può essere sostituito dal brandy o anche dalla grappa. RISOTTO CON PROVOLONE, NOCI E PISTACCHI. Rosolare uno scalogno in tre cucchiai di olio extravergine e burro, quindi tostarvi il riso bagnandolo con il solito bicchiere di vino bianco. Aggiungere poco alla volta del buon brodo bollente mescolando fino a cottura ultimata. Togliere dal fuoco e cospargere con pistacchi e noci a vostro gusto ma senza esagerare, e mantecare parzialmente con provolone anche affumicato. MITO. Torniamo alla signora Bice alla quale, durante lo scambio degli auguri per le recenti festività, ho promesso che alla ripresa di Alta Quota avrei continuato con le fatiche di Ercole (spazio permettendo). Da parte mia man- tengo la promessa con il racconto della quarta relativa al cinghiale di Erimanto, un feroce animale che spopolava sulle pendici dell’omonimo monte. Sulle creste del quale si diceva (il gossip è sempre stato di moda) che Artemide (Venere) si abbandonasse alle sue danze solitarie e cavalcasse i potenti centauri, animali metà uomo e metà cavallo. (Honny soit qui mal y pense a proposito del “solitarie” e “cavalcasse”). Si narra anche che la pudica Artemide avesse accecato il figlio di Apollo, suo fratello, perché l’aveva vista nuda e che Apollo avesse a sua volta ucciso Adone, amante ufficiale della sorella. Poiché il monte era sacro ad Artemide, Ercole svicolò per Foloe e fu ospite del centauro Folo che gli offrì una lauta cena innaffiata da buon vino. Gli odori mandarono in visibilio gli altri centauri che accorsero in massa presso Folo ma Ercole, per non smentirsi, ne fece una carneficina e altri si dispersero in varie località. La storia è lunga e complicata, un vero “reality” con intervento della nonna dei centauri, del loro re Chirone, ferito da una freccia avvelenata che, pur essendo immortale, decise di morire mentre anche Folo morì causalmente avvelenato. Ercole, dopo averlo seppellito, riprese la caccia al cinghiale, riuscì ad imprigionarlo e lo riportò vivo ad Euristeo il quale, pur avendogli commissionato la fatica, alla vista dell’animale si nascose pauroso e tremante. IL NOSTRO ARCHIVIO… PER LA TUA CURIOSITÀ! i più ALTA UOTA Visita il sito www.ricre.org nella sezione Alta Quota e scopri il nostro Archivio giornali! Troverai tutti i numeri, dall’1 a quello che stai leggendo, compresi gli speciali, da leggere e scaricare gratis! Si ringraziano Franco Nannetti e Matteo Comuzzi per le scansioni. OLTRE LO SPECCHIO Il Pianeta è il luogo che abitiamo. È uno spazio fisico di vita. Pensiamo che la vita corra solo in un corpo, attraverso il sangue, in un seme. Invece la vita è ovunque e accade. Accade in ogni istante. La creazione della Terra è la creazione di un luogo di vita. Oggi stiamo rendendo invivibile il Pianeta venuto al mondo per permetterci di esistere. Sembra che a nessuno importi cosa accadrà tra cinquanta o cento anni. I più si sentono poco partecipi visto che la loro vita sarà finita. Ma sarà dav- capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54 E uotati ✓ Ti sei perso alcuni numeri di Alta Quota? ✓ L’hai conosciuto di recente e vorresti scoprire i numeri più vecchi? ✓ Non trovi più le edizioni che avevi messo da parte? ✓ Oppure hai solo la curiosità di ripercorrere in un unico luogo la storia della nostra testata? vero così? Io credo che qualcosa di noi resti sempre. Perché è questo che fa grande l’uomo. La sua storia, il suo segno al suo passaggio, quel qualcosa che ci riporterà sempre in vita seppur non ci saremo fisicamente più. Molte battaglie sono enormi e richiedono tanto impegno. A volte non si può scendere in prima linea, non è nemmeno richiesto, ma nel proprio piccolo si può portare avanti una filosofia, una coscienza che si dimostrerà sempre essere l’arma vincente. Ecco cosa puoi fare tu: •quando puoi, usa la bici o fatti una bella camminata e lascia la macchina a casa •usa i mezzi pubblici •fai la raccolta differenziata (davvero, non è difficile separare carta da plastica) di Manuela Fraioli IL LUOGO CHE ABITIAMO •usa le buste di carta o di stoffa al sacchetto di plastica •riduci (non evitare!) cibi con imballaggi di plastica •riduci (non evitare!) il consumo di carne (gli allevamenti intensivi sono una delle maggiori cause dell’innalzamento del clima) •elimina gli sprechi (vai al supermercato e leggi le etichette di scadenza di carne e prodotti da frigo e domandati se la quantità che vedi verrà effettivamente acquistata e consumata) Altre azioni si possono fare, ma io mi sento di consigliare quelle che nella mia ordinaria vita riesco a portare avanti. Le nostre azioni quotidiane possono essere niente o possono essere il segno della nostra dignità, della nostra gratitudine e della nostra gioia di stare al mondo. klimatherm.pdf 1 05/07/2013 08:33:58 P ULP . APP UNTI DI CINEMA Cominciamo una nuova rubrica, e partiamo con il botto. La stagione invernale ha offerto molte ghiotte novità e non poche sorprese: ovviamente parliamo di cinema. Provo a riassumere in tre - forse quattro - domande quelli che sono interrogativi che in tanti, ne sono certo, ci siamo posti. STAR WARS. Le aspettative sono state appagate? Probabilmente no, ma è necessaria qualche precisazio- ne. Il 2015 è stato - indubbiamente - l’anno del ritorno al cinema di Guerre Stellari. Con Star Wars. Il risveglio della forza di J. J. Abrams, la Lucasfilm in combutta con la Disney ha tentato il colpo grosso… e ha vinto. Il film ha letteralmente fracassato il botteghino e si avvia a diventare l’opera più redditizia di sempre nel panorama della settima arte. Campagna marketing più poderosa dello sbarco in Normandia, attese dei fan che hanno raggiunto spasmi prossimi al demenziale (il sottoscritto si ascrive alla categoria): successo garantito. Quanto al film, è divertente e godibile, ma il problema sono state le aspettative troppo elevate. Il risveglio della forza, in ogni caso, funziona bene soprattutto come smaccato esercizio di nostalgia, con il ritorno in scena dei vecchi eroi della trilogia originaria. Scontati, del resto, i boati in sala a rivedere Harrison Ford nei panni del contrabbandiere Han Solo: ma c’era da aspettarselo. Quanto alle novità, poco da eccepire: comparto tecnico di prim’ordine, regia scattante dell’abile Abrams, effetti speciali corposi ma non ridondanti. Bello sì, ma purtroppo ci aspettavamo il capolavoro. Le vere pecche? Probabilmente la mancanza di spirito epico, e certamente la mancanza di un villain in grado di stare al pari con il defunto Darth Vader. CHECCO ZALONE . Chi era costui? Spendiamo poche parole, però è impossibile passarvi sopra, visto l’enorme successo. Tutto è stato detto, e il contrario di tutto. Il pugliese Luca Medici è stato alternativamente criticato e osannato da destra-sinistra-centro-sopra-sotto e in parte, che hanno cercato - come succede in Italia di intestarsene la poetica. Film natalizio di irrimediabile ignoranza? Sottile critica sociale sul malcostume del Belpaese? Dilemmi. La domanda, a mio parere, è un’altra. Il film è bello o brutto? Partiamo da un presupposto: è un film comico, una commedia sociale. Dunque, fa ridere? Sì. Fa ridere: checché se ne dica, Zalone ha i tempi comici, ha la faccia, ha le situazioni, ha le battute. Dunque il film è bello. Purché lo si collochi dove deve stare: piacevole commedia di intrattenimento che fa dell’ironia piuttosto riuscita su tipici stereotipi italiani. Stop, passo e chiudo. LEONARDO DI CAPRIO. Finalmente vincerà L’Oscar tanto agognato? Con ogni probabilità, sì. È uscito in sala a metà gennaio Revenant – Redivivo, per la regia di A.G. Inarritu, già premio Oscar l’anno scorso per Birdman. Si tratta di un film grandioso, proporzionale nelle ambizioni solo allo smisurato ego di Marco Simeon del regista messicano che ne è il padre. Troppo poco lo spazio, qui, per parlarne approfonditamente: mi limito a dire che perderselo, al cinema, equivale a peccato mortale, benché non sia un film perfetto. Tra regia e fotografia, per quello che mostra, per l’uso della macchina da presa, per le ambientazioni, la luce, equivale a un’esperienza di vita, più che alla visione di un film. Il problema è il povero Di Caprio. O meglio non lui, ma Hugh Glass, il personaggio che interpreta. Non è un personaggio scritto bene. È tutto sommato piatto, non ha evoluzione, non ha contrapposizioni dialettiche vere e proprie, pronuncia dieci battute in tutto il film. Di Caprio, infatti, per gran parte recita da solo, attraversando foreste e lande ghiacciate nel disperato tentativo di sopravvivere a ogni sorta di calamità naturale e umana. Il bel Leonardo, per l’occasione dimagrito, ferito, lacerato, denutrito, assiderato, massacrato in ogni lembo di pelle e anima, offre un’interpretazione di grandissima intensità e sforzo fisico. Una fatica che si percepisce, si sente. Ma non è - senza ombra di dubbio - il suo miglior film. A Di Caprio si attaglia bene il dialogo, la mimica facciale, la dialettica. È stato egregio in Django Unchained di Quentin Tarantino, ha lasciato briglia sciolta al suo istrionismo in The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese: per qualche arcana macumba lanciatagli dall’Academy, allora l’Oscar non l’ha vinto. Lo vincerà senza dubbio ora - dopo la vittoria del Golden Globe non può essere viatico migliore -, ma non per la sua interpretazione più riuscita. 9 CIBO, IDENTITÀ, CREATIVITÀ: IDEE PER NON SMARRIRSI di Norman Rusin del Decameron (1353) di Boccaccio. Furono gli arabi, tra l’XI e il XII secolo, a introdurre il metodo della disseccazione della pasta, per permetterne una più lunga conservazione e il trasporto. La prima ricetta per la preparazione della pasta la troviamo nel famoso L’arte di cucinare del celebre Maestro Martino, il primo chef professionista italiano, riconosciuto quale maestro dal celebre cuoco e prefetto delle biblioteche pontificie Bartolomeo Sacchi detto ‘Il Platina’. L’opera, completata nella seconda metà del 1400, rende omaggio al patriarca di Aquileia, il cardinale Trevisan. Come cucinava la pasta il Maestro Martino? Lui suggerisce di lasciarla bollire nell’acqua per almeno due ore e di condirla con formaggio e cannella: un sapore che, per noi, sarebbe probabilmente inaccettabile. E del pomodoro che ne è? Il succoso frutto rosso entra in gioco appena tre secoli più tardi. Importato dalle Americhe dai primi esploratori europei, il pomodoro viene a lungo guardato con diffidenza e coltivato soltanto come ornamento. Ci vorranno le carestie e la peste che colpirono la penisola tra il XVII e il XVIII secolo a far entrare nella dieta degli italiani non soltanto pomodori, ma anche patate, mais e altre delizie (tipiche!) delle Americhe. La pasta dura, che spopola sui banchi dei supermercati di tutto il mondo (occidentale), completa di bandierina italiana a garantirne la qualità e la genuinità, è un prodotto inventato sì sulla penisola, ma perfezionato dagli arabi e arricchito di elementi americani. E possiamo dire lo stesso per la pizza e anche per il nostro frico (con patate), i quali non avrebbero l’aspetto odierno senza questi incontri con elementi stranieri, venuti da lontano. E testimoniano un momento di profonda crisi superato soltanto grazie all’accoglienza di questi elementi stranieri. La ‘tradizione’ delle cucine locali o nazionali, dunque, ha radici piuttosto recenti - due secoli e mezzo -, si consolida, poiché ne è funzionale, con l’organizzazione e la nascita degli stati nazionali e porta in sé le tracce di questa profonda crisi economica e sociale che precedette la nascita delle nazioni contemporanee. La tavola italiana deve la propria ricchezza proprio alla creatività con cui ha incluso elementi stranieri: pensiamo al famoso risotto allo zafferano (dall’arabo za’ fran), di cui andava matto il nostro Carlo Emilio Gadda, o magari agli spinaci (isbanakh) di Braccio di Ferro, o ancora al caffè (dall’arabo qahwah) che a molti piace con lo zucchero (alsskkar) e, quindi, a tutti i dolci di Natale, ad esempio il panettone, pane addolcito con zucchero e con la frutta candita, in particolare arance (narang) e limoni (laymun). Infine, gli amanti della carne pensino che furono i barbari a arricchire la dieta dei latini introducendo le carni pesanti cacciate nella foresta (il cervo, il cinghiale, l’orso). Si tratta degli stessi barbari che, imbastardendo il latino, contribuirono a far nascere il nostro bell’italiano. Chi siamo, dunque, noi? E come vogliamo superare la crisi odierna? t ultura Diceva Jean Anthelme Brillat-Savarin nella sua Fisiologia del gusto (1859-1889), «Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei». Il filosofo francese della buona tavola, dunque, legava il cibo all’identità. Lo sanno bene tutti gli organizzatori di eventi eno-gastronomici che, nel proporre i ‘tradizionali’ frico, polenta, cotechini e gubana, piuttosto che olive ascolane, risotto allo zafferano e cassata siciliana, affermano l’appartenenza a un territorio - regionale, nazionale - e, dunque, un’identità. Il problema sorge quando all’aggettivo ‘tradizionale’ si attribuisce un valore assoluto, che trascende la nostra realtà storica e politica. Le tradizioni, ci insegna lo storico britannico Eric Hobsbawm nell’Invenzione della tradizione (1983), sono delle creazioni immaginarie, grandi narrazioni che cercano di dare senso, giustificazione e soprattutto fascino alle varie forme di aggregazione umana. Applichiamo questo discorso alla realtà italiana: che cosa emerge da quegli elementi ‘tradizionali’ della nostra cucina, ai quali leghiamo così strettamente l’identità di italiani, che proiettiamo anche all’estero? Pensiamo agli spaghetti al pomodoro, alla pizza, all’espresso e al cappuccino, per nominarne soltanto alcuni. Osserviamo bene questi piatti e chiediamoci: da dove vengono? Come sono fatti? La pasta, ad esempio, esiste da oltre un migliaio d’anni sulla penisola italiana e all’inizio aveva più o meno la forma e la consistenza di quelli che oggi chiamiamo gnocchi, che allora si chiamavano maccheroni e che compaiono già in alcune novelle IL CAFFETTIERE FILOSOFICO AMBIENTE (E INQUINAMENTO) NELLA LETTERATURA il loro ozioso menefreghismo hanno portato questi danni all’ambiente. Non abbiamo ancora nuvole di smog, ma esalazioni pestifere che naturalmente peggiorano con l’avvento della rivoluzione industriale. Portavoce simbolo di questa società industriale è lo scrittore Charles Dickens. Lo scrittore descrive una città grigia e irrimediabilmente sporca, una città con mattoni neri di fumo e cenere, maleodorante, spettrale e malinconica. La fuliggine diventa una presenza soffocante e dannosa che si unisce alle esalazioni prodotte dalle industrie, dalle ciminiere e dalle fabbriche che incombono sulla città, contaminando le sue acque e minando la salute dei cittadini. Siamo nell’Ottocento e con la rivoluzione industriale ci avviciniamo ahimè ai nostri tempi, dove dobbiamo prendere coscienza di quello che potrà accadere, usando magari La Coscienza di Zeno nella quale Italo Svevo prevede che tutto questo porterà a «un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie». Scenario catastrofico per ritornare alla purezza persa in nome del progresso. Quello che ci dice Erich Fromm e con il quale vi lascio nella riflessione: «In nome del progresso, l’uomo sta trasformando il mondo in un luogo fetido e velenoso (e questa è tutt’altro che un’immagine simbolica). Sta inquinando l’aria, l’acqua, il suolo, gli animali… e se stesso, al punto che è legittimo domandarsi se, fra un centinaio d’anni, sarà ancora possibile vivere sulla terra». luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19 ALTA UOTA La prima cosa che mi viene in mente su questo tema è l’ode La salubrità dell’aria del Parini. Nella composizione l’autore ci dà uno spaccato dettagliato di quello che è la città italiana del ’700 e parla proprio dell’inquinamento, certo molto diverso dall’odierno. Parini ci mostra una città già molto simile alla nostra. Una città definita aggressiva e superba in netta contrapposizione con l’immagine della campagna, pura e paradisiaca, che dà un profondo senso di beatitudine e serenità. Ma di quale inquinamento ci parla l’autore? Delle marcite che forniscono fieno agli equipaggi lussuosi delle casate aristocratiche e che producono fetide esalazioni che appestano non solo i campi, ma anche i centri abitati. Ci parla della presenza del letame per le strade, dei liquami buttati puntualmente giù dalle finestre e delle carogne, soprattutto quelle dei cavalli abbandonati per le vie. Tutto questo causato, secondo l’autore, da precise cause sociali: il lusso degli aristocratici, la loro influenza, il loro potere e di Marco Giovanetti 10 60 ANNI DI SCOUT UN INSERTO SPECIALE A PUNTATE: ECCO LA PRIMA Il 29 settembre 1955 qualche timido esploratore recitava la sua promessa nel nostro ricreatorio. Erano i primi scout del gruppo Cervignano 1 che prese forma pochi mesi dopo… ed è proprio da qui che comincia l’avventura! Quest’anno associativo il nostro gruppo A.G.E.S.C.I. spegne 60 candeline e allora perché non creare una sezione sul Alta Quota con le notizie, le attività, gli eventi di questo anno di festeggiamenti? È con grande entusiasmo e piacere che il reparto femminile Albatros, formato da 25 ragazze tra i 12 e i 16 anni, decide di cimentarsi in quest’impresa giornalistica e vi presenta il corriere del 60°! Inizieremo parlando della prima branca: quella degli LC (Lupetti e Coccinelle). •I bambini di questa branca hanno tra gli 8 e i 12 anni e sono immersi in un’ambiente fantastico che stimola la loro fantasia, all’apice in questa età. Per i lupetti, l’am- biente fantastico è la giungla, dove loro sono lupetti, e i capi sono i personaggi del famoso libro di Kipling, Le storie di Mowgli. C’è quindi il capo branco, Akela, che è il lupo grigio, poi c’è Bagheera la pantera, Baloo, che è l’orso e per i bambini è l’assistente ecclesiastico (don Moris), e poi c’è Kaa, il serpente. Questi sono i personaggi principali. La sede per i bambini è la Tana e ogni attività viene raccontato un pezzo delle Storie di Mowgli, dove poi si gioca sul principio che si evince dal racconto. Questo gruppo di bambini viene chiamato ‘branco’. •Per le bambine, invece, l’ambiente fantastico è il bosco e il racconto è tratto dal libro 7 punti neri. Nel libro vengono narrate le storie di Cocci che, avendo perso i suoi punti neri, parte alla ricerca di essi e ne compare uno sull’ala ogni volta che «impara qualcosa». Nel suo ri rreatorio o «LO SCOUTISMO? L’ACCOGLIENZA DEI CERVIGNANESI È STATA OTTIMA» AKELA E ARCANDA AI TEMPI DI… LELLO E LUISA Luisa e Lello in route in Costiera Amalfitana, dove si sono conosciuti e fidanzati. Enzo e la moglie in vacanza in montagna Per ripercorrere questi 60 anni non potevamo non intervistare il ‘decano’ ENZO BUIATTI, fondatore del gruppo scout ‘Cervignano 1’: una chiacchierata sulle ali dei ricordi. Ripercorriamo una parte della storia del gruppo Cervignano 1 con LELLO SENATORE e LUISA DI GIOIA, all’epoca capi scout e oggi marito e moglie, titolari della pescheria ‘Da Benito’. –Come – vi è venuta l’idea di fondare un gruppo scout? «L’11 novembre 1951 arrivò a Terzo il parroco don Rino Cocolin, assistente ecclesiastico degli scout di Cormons, che lo accompagnarono. In quell’occasione conobbi il signor Aldo Braida e parlando con lui venni a conoscenza di cos’era lo scoutismo: mi incuriosì subito». –Per – quanti anni siete stati Akela ed Arcanda? «Per tre anni, la durata di un mandato di allora». –Cosa – vi ha portato a cominciare scout? «Con don Rino e altri ragazzi ci abbiamo ragionato per un po’ di tempo. Durante l’estate andavamo a fare i campi in val Marzon (vicino ad Auronzo) e da lì andavamo in visita dagli scout di Cormons che si trovavano in Val Dongie: era la mia prima avventura tra gli Scout». Lello: «Mi ha portato un amico (con i capelli rossi) del gruppo Angri 1, nella provincia di Salerno: sono entrato direttamente in reparto che era solo maschile e facevo parte della squadriglia Antilopi. Allora il gruppo era piuttosto ‘sgangherato’». Luisa: «Mi ha portato un’amica nel gruppo Cervignano 1. Sono entrata all’ultimo anno di reparto e ho fatto la prima promessa all’età di sedici anni; ero anch’io nella squadriglia Antilopi. Trovare gli scout è stata una rivelazione che ha cambiato tutto il mio mondo». –Cosa – ti ricordi delle attività degli anni in cui eri capo e dove si svolgevano le attività? –Ricordate – un’avventura scout in particolare? «All’inizio il reparto era formato da quattro squadriglie maschili: gli Sparvieri, che si riunivano a Terzo, e a Cervignano i Lupi, le Aquile e i Castori, rispettivamente con i Capi Squadra Guido Pich, ‘Il Biri’ e Taio Giusti. Facevamo attività in una stanza del ricreatorio di Cervignano che ci aveva dato mons. Cian oppure svolgevamo grandi giochi (penso a ‘scalpo’) e tante costruzioni, magari lungo l’Ausa». Lello: «Sì, la prima uscita di squadriglia sul valico di Chiunzi! Abbiamo passato la notte in tenda e quando ci è caduta la pasta per la cena l’abbiamo sciacquata e mangiata: ero rimasto molto colpito da questo!» Luisa: «Sì, una route pasquale con il clan. Un motoscafo ci aveva portato in un’isola fuori Grado, un ragazzo aveva incendiato la tenda e la casa di appoggio era diroccata e senza finestre, dove sentivamo i topi squittire; inoltre aveva iniziato a piovere intensamente, un vero diluvio, e così abbiamo dovuto chiamare soccorso attraverso la radio, dato che non esistevano ancora i cellulari. Il motoscafo è riuscito a raggiungerci solo nel tardo pomeriggio a causa del mare mosso. È stata un’avventura disastrosa ma importante, che ci ha insegnato l’arte dell’attesa. Un’altra esperienza significativa è stata la mia prima route mobile: dovevamo scalare il monte Osternig (circa 2.000 metri) e, pur non essendo molto allenata, riuscii a salire in cima con altri tre, dandomi soddisfazione forza e coraggio». –In – quanto tempo avete fondato il gruppo? –La – comunità come ha accolto la fondazione del gruppo? «La comunità ci accolto bene, tanto che quando andavamo ai campi c’erano molte persone che ci aiutavano donandoci parte dei generi alimentari necessari. Anche il Sindaco, che era Mariuz, ci ha tanto aiutato». –Come – si svolgeva il campo? ALTA UOTA viaggio attraversa il prato e il bosco, fino ad arrivare alla montagna, dove incontra Arcanda, l’aquila. Altri personaggi sono Scotty, lo scoiattolo, la Formica Mi e il serpente Scibà (don Moris). Le bambine sono quindi coccinelle e questo gruppo si chiama ‘cerchio’. Il campo estivo si fa con i lupetti e le coccinelle, con un’ambientazione fantastica nuova (Re Artù, Robin Hood…) e questo campo viene soprannominato “Vacanze di Branco/Cerchio”. Le parole chiave di questa branca sono: gioco, racconto, ambiente fantastico. La seconda branca è quella EG (Esploratori e Guide), con ragazzi dai 12 ai 16 anni; la terza è quella RS (Rover e Scolte), con ragazzi dai 16 anni fino ai 21 anni. Ma di questi gruppi parleremo nelle prossime uscite di Alta Quota… ◆◆ LA CAPO REPARTO - ELISA SOARDO «L’organizzazione del campo era difficile: le tende erano sempre in prestito, di solito erano anche rotte. Arrivavano una dal gruppo di Cormons, una da don Barto (l’allora assistente ecclesiastico regionale) e altre dal Centro Giovanile di Udine per interessamento di don Rino Cocolin. Con l’arrivo nel gruppo di Bruno Carmine le cose sono un po’ cambiate, perché lui era un vulcano di idee ed inoltre aveva già esperienza di scuotismo perché era già stato scout a Il Cairo, dove aveva frequentato il liceo scientifico presso un collegio cattolico. Il primo campo è stato in Val Marzon, perché avevamo l’appoggio della Colonia di Aquileia che era ad Auronzo. Laggiù abbiamo fatto un campo insieme al gruppo di Ronchi, uno con il gruppo di Ceggia (VI) e uno in concomitanza con gli Alpini. Si facevano i grandi giochi, le attività di catechesi e tante camminate sui monti. Di solito quando un gruppo andava a casa e ne arrivava un altro si era soliti lasciare gli avanzi di cambusa. Un anno, inoltre, abbiamo conosciuto don Deroja che aveva organizzato un campo con i suoi bambini e ragazzi (tutti trovatelli) nella casera vicino al nostro campo; quando siamo partiti abbiamo lasciato loro quello che ci era avanzato in cambusa, che consisteva negli aiuti alimentari degli americani per la popolazione. Erano delle scatole di metallo con impressa la bandiera statunitense e la scritta “Dono del Popolo Americano”. Contenevano formaggio giallo salato, cacao in polvere, budino in scatola, gallette, formaggini, zucchero, latte in polvere…» –Qual – è il tuo più bel ricordo fra tutte le attività fatte? «Il mio ricordo più bello è la Veglia d’Armi, che abbiamo fatto nella Cripta della Basilica di Aquileia, la sera prima della promessa. Quest’ultima si svolse il giorno successivo a Gorizia sul monte Calvario, dove si festeggiava il San Giorgio, e quindi erano presenti tutti gli scout della diocesi. I primi a promettere siamo stati io, Lucio Pich, Giuliano de Colle, Fausto Moretti e due ragazzi di Grado di cui però non ricordo i nomi. Io ho promesso al commissario Ezio Bottegaro di Monfalcone. Alle promesse erano presenti tutte le autorità associative della Regione. Nel periodo precedente alla promessa siamo usciti un paio di volte sul monte Quarin, sopra Cormons, per approfondire le nostre conoscenze sullo scoutismo, i suoi valori e come si doveva viverlo. Dopo aver fatto la promessa, durante l’estate, siamo andati a Colico a fare il Campo per Capi». ◆◆ SARA BUIATTI E LUDOVICA TONCIG –Consigliereste – a un ragazzo di intraprendere il cammino scout? «Certamente: è un ambiente sano e diventi fratello di una grande famiglia, ti senti accettato, acquisisci indipendenza, apprendi l’arte dell’arrangiarsi, impari a dosare le forze, a vivere con l’essenzialità, a essere senza apparire; e soprattutto a diventare amici di tutti». –Vi – è servito lo scoutismo nella vita? «Sì, ci ha aiutato soprattutto nell’organizzazione, poiché nei campi scout preparavamo sempre tutta la giornata. Inoltre ci è servito per risolvere imprevisti e problemi, secondo il motto latino estote parati!, “siate pronti!”». –Vi – ha portato soddisfazione il percorso con i bambini? È stato faticoso? «Sì, i nostri lupetti e le nostre coccinelle ci salutano ancora e hanno circa trent’anni. Abbiamo affrontato situazioni difficili che ci hanno impegnato molto, dandoci anche tanta soddisfazione; abbiamo dovuto fare dei sacrifici, ad esempio passare il sabato sera a ripassare la storia di Akela da raccontare ai bambini la domenica. Comunque è stato divertente ed entusiasmante!». –Lo – scoutismo vi ha regalato amicizie importanti? «Lo scoutismo è stato tutto… infatti noi ci siamo conosciuti lì! Con i nostri due gruppi avevamo partecipato a una route sulla costiera amalfitana e lì ci siamo innamorati». –Vi – manca il ruolo di capobranco/capocerchio? «Purtroppo siamo fuori da quell’ottica: tornare indietro significherebbe essere di nuovo giovani. Appena abbiamo dovuto lasciare il gruppo a causa della situazione familiare (poco più di vent’anni fa) ci è mancato molto; ricordiamo con piacere lo scoutismo, ci manca l’avventura scout, la vita all’aria aperta, le camminate in montagna e lo star fuori senza pensieri. Ora avremmo più esperienza di vita da trasmettere ai ragazzi, ma all’età di vent’anni avevamo l’incoscienza giusta per fare le cose. Lo scoutismo è stato la base della nostra vita». –Un – saluto? «Semel scout, semper scout, ossia “Una volta scout sempre scout!”» ◆◆ ALICE SANTORO E VALERIA BURBA 11 1) lupetti e coccinelle 27 settembre 2015, parco Scout: apertura delle attività per il 60° anno dalla fondazione del gruppo. PICCOLO GLOSSARIO DI SCOUTESE SULLA BRANCA ‘LUPETTI E COCCINELLE’ LUCE DELLA PACE 2015: UNA GRU COME SIMBOLO DI PACE La luce della pace è una piccola fiammella proveniente direttamente da Gerusalemme, che porta un enorme messaggio che non è visibile, ma si trova dentro di noi. Il fine di questa fiammella è riuscire a mantenerla con l’olio per tutto il tragitto e anche nelle nostre stesse case, dove ognuno cerca di alimentarla. Il suo scopo è quello di far sì che non smetta mai di brillare con tutta la sua bellezza. La tradizione di portare questa luce via treno da Gerusalemme fino alle nostre case, e in molte altre città, è partita da uno scout austriaco. Il 19 dicembre l’abbiamo accolta nella nostra comunità e durante la serata ci sono state varie riflessioni. I bambini delle elementari hanno costruito e colorato un gigantesco simbolo della pace: ognuno ha colorato una parte con la fantasia, i colori e le tecniche che gli piacevano di più, come a voler dire che per fare la pace ognuno deve portare il proprio contributo! Noi ragazzi delle medie/superiori, invece, abbiamo parlato della bomba nucleare che ha colpito nel 1945 il Giappone. Ci è stata raccontata questa storia realmente accaduta: Domenica 22 novembre 2015 una ciurma di pirati è sbarcata a Cervignano, alla ricerca di una misteriosa mappa, fatta in mille pezzettini dalla scimmia del capitano. È cominciata così la Caccia al Tesoro per le vie della città, uno degli eventi organizzati in occasione del sessantesimo anniversario del nostro gruppo. A questa ricerca del tesoro erano invitati tutti i bambini dai 6 agli 11 anni ed erano circa una sessantina quelli che si sono ritrovati davanti al Duomo alle 10.30, nel tentativo di capire per quale motivo il capitano della nave e il suo fedele servitore Spugna stessero litigando. Il problema non era di facile soluzione: i pirati sapevano perfettamente di essere sbarcati sull’Isola del Tesoro, ma dovevano ricostruire la mappa per trovare il luogo esatto in cui il forziere era stato nascosto! Senza contare che l’Isola era abitata da indigeni che molto probabilmente avevano trovato alcuni pezzi dell’agognata piantina, ma non avevano intenzione di consegnarli ai corsari senza ricevere qualcosa in cambio. I bambini non hanno esitato e sono subito entrati a far parte della ciurma! Dopo essersi suddivisi, in gruppi hanno setacciato le vie di Cervignano alla ricerca di indizi e di strani personaggi, originari del luogo, che potessero aver visto i pezzi della mappa. E solo dopo aver mostrato tutto il loro coraggio, superata la fatica fisica del lancio delle noci di cocco, scoperti i feroci animali dell’Isola, insegnato agli indigeni alcune parole della nostra lingua e portati sulle spalle i propri compagni nel tentativo di recuperare la sacra bandiera indigena, i pirati sono riusciti a recuperare tutti i pezzi perduti. Grazie al contributo di ogni gruppo è stato possibile ricostruire il percorso che conduceva al Tesoro e che li ha portati nel giardino della Casa di Riposo Sarcinelli. Lì, guidata dal capitano, la ciurma ha finalmente trovato il tanto desiderato forziere, pieno zeppo di monete… di cioccolato! ◆◆ AKELA – FRANCESCA GIUSTI ALTA UOTA Il 6 agosto 1945 la città giapponese di Hiroshima venne rasa al suolo da una bomba atomica scagliata da un aereo americano. L’esplosione provocò la morte di quasi tutti i suoi abitanti. Solo pochi sopravvissero; Sadako, bimba di due anni, fu tra questi. Nel corso dell’infanzia scoprì l’arte di correre e se ne appassionò. All’età di 11 anni, durante un allenamento, Sadako cadde improvvisamente a terra senza alcun motivo apparente. Dopo essere stata visitata, il medico le diagnosticò un tumore causato dalle radiazioni delle bombe nucleari. Il mondò le crollò addosso e i suoi amici cercarono di rincuorarla raccontandole una leggenda, secondo la quale chiunque avesse costruito ben mille gru di carta con la tecnica degli origami, avrebbe potuto esprimere un desiderio. Sadako cominciò a costruire gru con qualsiasi pezzo di carta trovasse: la carta delle caramelle, il foglio dei medicinali… e i suoi amici con lei. Non si sa quante gru di carta fossero riusciti a costruire, ma si suppone più di mille... Quando Sadako morì, con lei vennero seppellite tutte le sue gru. I suoi amici organizzarono una raccolta fondi in sua memoria, e fecero costruire una statua che raffigura Sadako mentre faceva volare una gru. Sotto la statua c’è scritto: «Il tuo grido, la nostra preghiera, sia pace nel mondo!» Per il Giappone la gru è quindi diventata il simbolo per eccellenza della pace. Così, durante il pomeriggio del 19 dicembre, è stato allestito davanti al Duomo anche un set fotografico, dove ognuno poteva scattarsi #unselfieperlapace. Pubblicando la foto su Facebook o Instagram, chiunque aveva la possibilità di dire: io sto con la pace! Io sono per il disarmo nucleare! Dalla riflessione per gli adulti abbiamo capito che la pace è un bene che va ricercato nel nostro quotidiano, che comincia dal nostro piccolo. A volte forse ci sembra di essere da soli o ci sembra che tutto sia contro, ma fare qualcosa sarà pur meglio che fare niente… o no? ◆◆ SARA SELATTI L’ATTIVITÀ DEL MESE: LA CACCIA AL TESORO! ri rreatorio o • AGESCI (Associazione guide e scout Cattolici italiani): associazione che censisce gli scout italiani. È cattolica (perché esiste anche una aconfessionale) e all’interno di essa i soci vengono divisi in branche, a seconda dell’età. • LC: Lupetti e Coccinelle. • LUPETTI: bambini tra gli 8 e i 12 anni. Insieme formano il branco. • COCCINELLE: bambine tra gli 8 e i 12 anni. Insieme formano il cerchio. • GRANDE QUERCIA: sede delle coccinelle. • TANA: sede dei lupetti. • AKELA: capo branco, e quindi dei lupetti. Altri capi sono Bagheera, Kaa, Baloo, Mamma Raksha, Chil… • ARCANDA: l’aquila, nonché capo delle coccinelle. Altri capi sono Scotti, Mi, Scibà, Ughetto… • STAFF: insieme dei capi. • VACANZE DI BRANCO CERCHIO: campo estivo di una settimana in montagna. • BA: Buona Azione che viene richiesta ai bambini verso gli altri. • CUCCIOLI E COCCI: lupetti e coccinelle che devono ancora fare la promessa. • C.D.A. (Consiglio della Legge per i lupetti / Consiglio dell’Arcobaleno per le coccinelle): ne fanno parte i bambini dell’ultimo anno. 12 RITORNA RADIOPRESENZA: RITORNA ANCHE TU! Grandi novità in questo inizio 2016. Accanto al ritorno di Alta Quota, dal 1° febbraio è di nuovo sui 99 MhZ Radio Presenza, che dopo alcuni mesi di pausa è tornata in onda e in streaming sul web (www.radiopresenza.it) sotto la guida di Federica Andrian, coordinatrice dei programmi, forte della sua ventennale esperienza radiofonica. Un acquisto col botto per l’emittente cervignanese, pronta a ridare voce alla comunità con un palinsesto di tutto rispetto, da lunedì a mercoledì. Da giovedì a domenica le trasmissioni si interrompono (salvo le Messe, che Radio Presenza trasmette regolarmente), ma le repliche garantiranno il dovuto ricambio, in attesa di ampliare il palinsesto per questa nuova avventura: fra i vari protagonisti che dovrebbero andare in onda si parla anche di un grande ritorno di Luca ‘Snoop’ Di Palma, voce storica della radio. Un ringraziamento particolare ai tecnici Antonio Cerrone, Fabio Fabbrisin, Sandro Ciulla e Michele Carbonera e… buon ascolto! ◆◆ VANNI VERONESI RICRE.ORG: TUTTE LE ATTIVITÀ A PORTATA DI CLICK! MARTEDÌ 10 - 11: Focus, programma di informazione: fatti e notizie di Cervignano, con Italo Cati e Claudio Cojutti. 20.30 - 21.30: Asso nella manica, Livio Nonis dà voce alle associazioni della città. MERCOLEDÌ 10 - 11: Un libro a settimana, Loredana Marano presenta un’opera letteraria al pubblico di Radio Presenza. 11 - 11.30: Insieme si può, rubrica dell’AUSER a cura di Irio Iob 20.30 – 21.30: Reloaded on air, Luca Furios e Ljiljana Damjanovic danno voce all’attivissimo gruppo Cervignanesi Reloaded È disponibile sul nostro sito www.ricre.org il calendario aggiornato delle attività proposte dalle associazioni della nostra Parrocchia. Le associazioni che hanno piacere di condividere i propri appuntamenti possono informarci scrivendo alla casella di posta elettronica [email protected]. CINQUE × MILLE la tua firma, il nostro 90000020306 impegno. Scrivi nella apposita casella del 5×1000 il nostro codice fiscale e apponi la tua firma! ALTA UOTA © FOTO DI LUCIANO TROMBIN ri rreatorio o Sostieni anche tu le nostre iniziative con un semplice gesto che non ti costa nulla! LUNEDÌ 20.30 - 21.30: Prospettive, con Federica Andrian alla scoperta delle associazioni legate alla Parrocchia. CAMPO IN SINTETICO: VIENI A GIOCARE ANCHE TU! Il campo di calcio in sintetico del Ricreatorio San Michele può essere prenotato ogni giorno, dal lunedì al venerdì dalle 18.30 alle 22.30, per organizzare partite tra amici, con la possibilità di usufruire degli spogliatoi per le docce a fine gara. Per le prenotazioni è sufficiente contattare il responsabile del campo, Matteo Comuzzi, telefonando al numero 345 4549770.