Si sono messe in posa per raccontare le loro vite, le

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Si sono messe in posa per raccontare le loro vite, le
Da sinistra. Sopra, tre donne
di Johannesburg:
Ayanda Magoloza, Kwanele
South, Katlehong, 2012;
Sunday Francis Mdlankomo,
Vosloorus, 2011; Nhlanhla
Mofokeng, Katlehong, 2012.
Sotto, Bathini Dambuza,
Tembisa, Johannesburg, 2013;
Nhlanhla Langa, KwaZulu
Natal, 2011; Tinashe Wakapila,
Harare, Zimbabwe, 2011.
IO SONO IO
Si sono messe in posa per raccontare le loro vite, le loro identità
e le loro storie. A testa alta. Coraggiose. Una fotografa artista
sudafricana le ha ritratte per fare capire al mondo come ci si
senta a essere nera e omosessuale
Testo
Renata Ferri
Foto
Zanele Muholi
AMICA - 177
Da sinistra, Skye Chirape, Brighton, United Kingdom, 2010;
Nosipho Solundwana, Parktown, Johannesburg, 2007;
Amanda Mahlaba, Mt. Moriah, Edgecombe, Durban, 2011.
F
io sono io
Vittime di doppio razzismo, per la nascita e l’orientamento
sessuale. Sguardi intensi che diventano
il manifesto di un’attivista contro la discriminazione
C
he cosa hanno in comune questi volti che ci
guardano? Sono donne lesbiche e nere, oggetto
dell’“attivismo visivo” di Zanele Muholi, artista
sudafricana nata a Umlazi, un sobborgo di Durban, 42 anni fa, ultima di cinque figli. Anche lei
lesbica e nera.
Il suo lavoro Faces and Phases arriva ora a Roma
nell’ambito di Fotografia. Zanele è una fotografa famosa in tutto il mondo, consacrata da molti riconoscimenti e dall’interesse di istituzioni
pubbliche e private per le sue opere. Lo scorso
luglio, durante i Rencontres di Arles, l’appuntamento più importante per la fotografia, il suo lavoro era esposto alla mostra dedicata alla Walther Collection, la più interessante e vasta collezione
privata, che attraversa i generi, spazia nel globo e conserva il meglio di ciò
che si è prodotto ieri e oggi.
Zanele è un’attivista, una militante che nel Sudafrica post apartheid scava
nelle radici della discriminazione più profonda, quella contro le donne
nere e lesbiche. La fotografia per lei è il mezzo, potente e sfrontato, con
il quale portare alla luce ciò che in ogni moderna democrazia è ben custodito nell’oscurità quando non è osteggiato: l’omosessualità. Sebbene il
Paese sancisca nella Costituzione, rivista nel 1996, uguali diritti per gay
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e lesbiche, incluso il matrimonio, resta il fatto
che la mentalità non è cambiata: l’omosessualità è violentemente condannata e perseguitata.
Agli stupri correttivi - una pratica diffusa per far
tornare alla rassicurante eterosessualità donne
lesbiche nere - Muholi ha dedicato il suo primo
importante lavoro di ricerca. Le sue immagini
sono testimonianza di un crimine orribile - difficile da denunciare da parte di donne indifese,
spesso povere e poco istruite - di più, diventano
un manifesto di denuncia. A consacrare questa originale e coraggiosa artista è Difficult Love,
pluripremiato documentario sulla sua vita e
sulla comunità lesbica sudafricana, nel quale si
mostrano i nodi della condizione delle donne e
il doppio razzismo a cui sono sottoposte, come
lesbiche e come nere.
Nella strada, ormai tracciata, dell’impegno civile, Muholi prosegue con Faces and Phases, un
ritratto generazionale sulle donne della comu-

Da sinistra, Collen Mfazwe, August House, Johannesburg, 2012;
Rena Godlo, Nyanga East, Cape Town, 2011;
“Makhethi” Sebenzile Ndaba, Constitution Hill, Johannesburg, 2010.
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io sono io
Mostrano i loro sentimenti con orgoglio. Sono tutte
donne fiere, forti e molto dirette
nel dire: “Noi non siamo invisibili. E non lo sono
nemmeno le nostre passioni”
nità gay, che esce dai confini del suo Paese per esplorare altri luoghi del
mondo. Ritratti seriali, potenti, che ci guardano dritto negli occhi. Il progetto, iniziato nel 2006, ha acquistato nel corso degli anni la forza di un
documento straordinario: una sorta di mappatura dell’identità di genere
che affida alla visibilità la sua prova di esistenza e la necessità di diventare memoria. Sono ritratti perfetti perché incuranti del perfezionismo.
Gli abiti sono casuali, così come i fondali. Ognuna è nella sua casa, nel
cortile, all’angolo di una strada, di fronte all’ufficio, all’università. Quello
che l’artista vuole e ottiene da noi spettatori è l’attenzione su di loro, sulla
forza della loro soggettività. Per questa ragione è significativa e opportuna
la scelta di lavorare in bianco e nero, per offrire la possibilità di una maggiore concentrazione, senza distrazioni, senza voyerismi.
Ora che la osserviamo nei musei, nei festival, nelle pagine dei cataloghi
o in quelle web, questa intensa collezione diventa battaglia civile contro
la discriminazione: travalica i confini geografici e quelli sociali fino a
diventare avanguardia dell’arte che trova cittadinanza nel mondo per essere scoperta, studiata e interrogata. Guardando queste decine e decine
di ritratti siamo quasi sicuri che ci sia anche il suo occhio di artista attivista su di noi, ignari del mondo che lei non si accontenta di presentarci,
ma ne fa manifesto. Ogni sguardo è un frammento: di un tempo, di una
vita, di un’identità, di una storia. C’è qualcosa di seducente in questi
volti che deve avere a che fare con l’orgoglio di sé. Zanele lo sa e coglie
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quel lampo, quell’istante in cui affiora l’anima.
Osservando queste donne fiere, forti, dirette e
soprattutto consapevoli, l’invisibilità dell’amore omosessuale diventa trasparente scelta, dichiarazione soggettiva. Hanno nomi, cognomi,
età, professioni. Non sono estranee all’artista,
Zanele Muholi è una di loro. E ora, grazie a lei,
non sono più estranee neppure a noi.
IN MOSTRA A ROMA
Il progetto Faces and Phases
di Zanele Muholi (nella foto)
fa parte di Portrait,
la mostra più importante
tra quelle proposte dalla
tredicesima edizione
di Fotografia, al museo Macro
di Roma dal 27 settembre
all’11 gennaio 2015 (info:
fotografiafestival.it).