Omosessualità specchio di pulsioni non accettate
Transcript
Omosessualità specchio di pulsioni non accettate
venerdì 10 gennaio 2014 L’approfondimento 2 L’approfondimento venerdì 10 gennaio 2014 3 di Claudio Lo Russo e Simonetta Caratti di Claudio Lo Russo e Simonetta Caratti Solo l’educazione alla tolleranza può medicare l’omofobia. E la scuola ha un ruolo centrale, ma c’è ancora molto da fare. Andrea, 17 anni, racconta la sua omosessualità, come l’ha detto ai genitori, il peso degli sguardi altrui e la solitudine in una società ‘allergica’ al diverso in amore. ‘Quel Ticino che teme i gay’ IL SONDAGGIO IN CLASSE Quando è arrivata la sua e-mail, mi sono chiesto perché a noi. Perché proprio a noi della redazione culturale? Semplice: «Perché è la cultura che sconfigge l’omofobia. È l’unica arma per abbattere il pregiudizio». Andrea non è il suo nome. Ma lo chiamerò così, perché l’omosessualità in Ticino è ancora tabù, fatto di diffidenza o ignoranza. Se non di violenza, come dimostrano alcuni recenti fatti di cronaca. E Andrea è gay. Non solo, ha 17 anni. Mi sta attendendo in una piazza di Bellinzona. Non so bene cosa aspettarmi. Mi accolgono il sorriso aperto di un adolescente, lo sguardo di un uomo che guarda dritto davanti a sé. Senza paura, né facili illusioni. Andrea è tornato in Ticino da poco, dopo una parentesi nella Svizzera tedesca, lontano «dall’omofobia che si respira qui». Ora pensa alla formazione da operatore sociosanitario: «Perché ho bisogno di aiutare. È egoistico in un certo senso, altruistico in un altro». Questo impulso al momento lo mette al servizio di un’associazione locale, Zonaprotetta, e del portale gayticino.com: «Cerco di fare qualcosa». Come detto, è anche una questione di cultura. Andrea ne è certo. Perché, mi dice, c’è chi crede che l’omosessualità sia una scelta, se non una malattia. In fondo, che amare «un uomo significa essere gay», lui lo ha scoperto da poco: «Non te ne accorgi perché per te è istintivo. Prima mi obbligavo a guardare le ragazze. Però non mi riusciva mai come agli altri». Sentirlo è naturale, dirlo non sempre. Eppure, dice Andrea, «quando senti il bisogno di farlo, lo fai, non puoi andare contro questa cosa. Senti il bisogno che le persone sappiano chi sei». ∑ L’omosessualità è... una scelta per il 40% dei 630 studenti intervistati (237 delle medie e 393 delle superiori) in Ticino da Aiuto Aids Ticino. ‘È un modo d’essere’ per il 26%, un ‘atto contro natura’ per il 21%. Mentre per il 5% è un ‘peccato’ ∑ ‘Sento dire frocio in tono spesso offensivo’ Confida il 57% degli alunni, solo ‘talvolta’ il 28% ∑ Nessuno difende la vittima Solo 26 studenti su 630 dichiarano che davanti a queste offese ‘qualcuno interviene sempre’. Per il 45%, ‘nessuno interviene’. La metà dichiara ‘alcune volte qualcuno interviene’ a difesa della vittima ∑ Sono commenti che fanno male Il 73% degli alunni ritiene che chi viene additato come ‘finocchio’ o ‘lesbica’ ci rimanga male ∑ Quando succede sto zitto Il 44% degli alunni ammette di stare zitto quando un compagno viene molestato. Il 40% interviene ‘alcune volte’, il 6% ‘sempre’, il 10% ‘il più delle volte’ È una questione di cultura perché in Ticino c’è ancora chi crede che l’omosessualità sia una malattia da curare Confidarsi, appunto, rivelare chi sei a chi ti sta attorno, ogni giorno. E magari ti guarda senza vedere, o non volendo vedere. Il primo a cui lo ha detto? «La mia matrigna. Le ho parlato di un amico che aveva una relazione con un ragazzo. Un giorno mi ha visto giù e le ho detto che l’ex del mio amico ero io». Risultato? «Cinque minuti di shock, ma dopo superato. Poi l’ho detto a mio padre, mia zia, mio cugino. E a mia madre, e lì sono iniziati i drammi». E gli amici? «In tre mi hanno mandato a fanc...». Ecco, Andrea voleva raccontare la sua storia. Perché certi preconcetti «ogni volta che torno qui li sento sulle spalle». In che forma? «Quello con cui mi confronto è l’ignoranza, un’omofobia di sottofondo». In Ticino manca, secondo Andrea, la possibilità di una vera libertà di scelta, perché l’immaginario comune non contempla ancora la possibilità di fare diversamente dalla “norma”: «Infatti qui non In Svizzera possono registrare la loro unione, ma in Ticino chi è omosessuale, di regola, lo nasconde perché esprimerlo può farti perdere il lavoro o finire picchiato si vedono mai due ragazzi baciarsi in pubblico». Andrea vorrebbe vivere queste cose con naturalezza: «Me ne frego. Chi mi vuole insultare mi insulti, lo denuncio, se posso...». Gli occhi si accendono d’ironia, si è ricordato un episodio: «Un giorno con un amico etero abbiamo camminato tenendoci per mano sul lungolago a Lugano». E... «Diversi sguardi negativi e due insulti». Ne ha un’altra da raccontare: «Una volta, sul treno, ho dato un bacio ‘a stampo’ a un ragazzo. Niente di scabroso. Però un signore di fronte a noi si è alzato e se ne è andato». In quei momenti cosa si sente? Il sorriso di Andrea si fa incerto, gli occhi umidi: «Ti senti solo. Anche se sei con qualcuno ti senti solo, diverso. Non fa male subito. Arrivi a casa, ci pensi e lì fa male». Fregarsene è uno sforzo? «Sì...». Stavamo parlando di libertà di scelta negata a priori. Come dire di mentalità. Come vede Andrea quella ticinese? «Accettiamo l’omosessuale, non l’omosessualità. Escludono da te quella parte, so che molti genitori fanno questo. Accettano il figlio ma non l’idea di lui con un altro uomo; dovrebbe sposarsi e farsi una famiglia, poi nel letto fa quello che vuole». Un problema diffuso, non proprio solo degli eterosessuali: «Gli stessi gay hanno questa omofobia interiorizzata che a me fa paura. Sono andato due volte a delle feste ma non c’era scritto da nessuna parte che si trattava di un party ‘gay friendly’. È importante metterlo in vista, far sapere che esistiamo». Andrea allude alle iniziative di Imbarco Immediato. Ma scriverlo non sarebbe ghettizzante? «No, ‘gay friendly’ è per tutti. Se vado in discoteca e bacio un ragazzo, probabilmente vengo picchiato». Quindi c’è bisogno di ritrovi appositi? «Sì». Finché l’omosessualità non sarà cosa “normale”. Andrea, 17 anni, gay: cosa vede nel suo futuro? «Una famiglia, con mio marito e i miei figli. Nomi indifferenti, sesso anche, orientamento sessuale: quel che vogliono». Però? «Non adotterei un bambino qui soltanto per l’idea di ciò che la gente potrebbe fargli, non vorrei dargli quel peso da sopportare. In Svizzera tedesca non avrei problemi». Cultura, non folclore ‘Andrei nelle scuole a parlare di omosessuali e trans’ In Svizzera quasi seimila bimbi vivono in famiglie arcobaleno te. Anche da parte delle associazioni omosessuali locali, troppo chiuse su se stesse: «Nella Svizzera tedesca sono arrivati a un tale livello di accettazione non con questa politica». Dunque, che fare? «In Ticino c’è una forte omofobia interiorizzata, le persone non capiscono che cosa sia. Andrebbero organizzate diverse giornate nelle scuole, non una all’anno». ‘La scuola fa troppo poco’ Regolarmente vengono promosse delle feste, nelle quali la comunità omosessuale può ritrovarsi. Andrea non è però convinto del modello: «Ci va chi ha già capito che nascondersi è inutile. Chi ha paura teme di essere visto, di essere deriso». Per Andrea si dovrebbe agire su più vasta scala: «Servirebbe l’educazione, portare dei ragazzi come me nelle scuole a raccontare la loro storia. È importante». Con mia madre non è sempre facile Nessun problema ad esporsi con dei coetanei? «No. Si dovrebbe parlare di chi è un omosessuale, un transessuale, un bisessuale e di che cosa li rende normali». Andrea tiene a dire una cosa, forse a tutti i genitori: «Mia madre mi vuole tanto bene, ma lo stereotipo sta rovinando quello che c’è tra me e lei. È soltanto che io non posso vivere negli stereotipi, non lo voglio», conclude. Omosessualità specchio di pulsioni non accettate A parole sono tutti tolleranti, ma poi la vista di una coppia omosessuale che si tiene per mano sul lungolago di Locarno o si bacia in piazza Riforma, può infastidire alcuni o far prudere le mani ad altri. E spesso ci scappa l’insulto o peggio ancora le botte. Eppure in Svizzera le coppie omosessuali hanno da anni il diritto di registrare la loro unione. Siamo una società moderna in teoria, ma in pratica fatichiamo ad accogliere modi diversi di vivere la propria affettività. Una tolleranza che si impara fin da piccoli, prima in famiglia, poi a scuola. Perché allora tanto fastidio verso le coppie gay? Che cosa significa per un adolescente svelare la propria omosessualità? Qual è il ruolo dei genitori e della scuola? Ci aiuta a capire le radici dell’omofobia e il percorso degli adolescenti che fanno ‘coming out’, lo psicoterapeuta Gregorio Loverso, medico, professore di psicologia clinica all’Università di Firenze, saggista (ha scritto ‘Narciso e i due volti di Eros’). Il dottor Loverso lavora da alcuni mesi alla clinica Varini di Orselina. Dottore, perché alcune persone sono talmente infastidite dalle coppie omosessuali da diventare violente? «Ci sono due aspetti da considerare, il primo è di carattere psicologico personale e mi spiego: chi è omofobico considera l’omosessuale una sorta di contenitore entro cui proiettare le proprie pulsioni omosessuali inconsce e inaccettabili. Mentre il secondo aspetto è più di natura psicosociale: chi punta il dito contro un omosessuale lancia un messaggio chiaro al suo gruppo di riferimento, sottolinea che ‘lui non è così, ma è eterosessuale’. Lei ha avuto in terapia diversi adolescenti alle prese con la propria omosessualità. Che cosa significa fare coming out? All’inizio ci può essere confusione sulla propria sessualità, ma già attorno ai 13-15 anni il giovane capisce se ha tendenze omosessuali e di regola le accetta. Il problema è comunicarlo agli altri, poter esprimere se stesso senza venir rifiutato. La sofferenza nasce dalla percezione di non essere accettato, di doversi nascondere. È spesso un percorso difficile, fatto in solitudine. Senza un valido aiuto, può insorgere la depressione. Ma con tanti mezzi di informazione e scambio, un giovane vive ancora l’omosessualità in solitudine? Certo, il primo nucleo di solitudine può essere la famiglia, dove il giovane non riesce a comunicare chi è veramente. Inizia a sentirsi emarginato. Reprimere la propria omosessualità significa amputare una parte di se stessi, aprendo le porte a tanta sofferenza. Poi c’è la società dove i pregiudizi e la discriminazione verso gli omosessuali abbondano. Per un genitore può essere una doccia gelida che apre le porte a mille dubbi: c’è chi si chiede dove ha sbagliato, se è una malattia ereditaria, se si può curare... Lei che cosa consiglia? Non ha alcun senso colpevolizzarsi, non ci sono responsabilità, perché l’omosessualità non è una malattia o un disturbo mentale, come pensano alcuni genitori. È semplicemente un modo diverso di essere e di vivere la propria sessualità. Ai genitori ricordo che i loro figli non vanno giudicati per come fanno l’amore. E la scuola, potrebbe fare di più per abbattere questi pregiudizi? La scuola dovrebbe essere per eccellenza il luogo dove si combattono i pregiudizi, si costruisce una cultura della tolleranza, dell’accettazione e dell’integrazione di chi è diverso. Ma purtroppo non sempre è così. LO STUDIO NELLA SCUOLA TICINESE PROGETTI TRA MEDIE E LICEO LA PROPOSTA Andrea ha 17 anni, è da poco uscito dalla scuola dell’obbligo. Al suo orientamento sessuale, ci dice, ha dato un nome chiaro non molto tempo fa. Anche se ciò che sentiva, ciò che era davvero, è sempre stato chiaro in lui: «Sono sempre stato con le ragazze, con i maschi parlavo il meno possibile. Nessuno mi ha mai deriso perché pensavano che fossi gay». Ma perché, aggiunge, «non ho atteggiamenti stereotipati». Altrimenti... Al di là dei recenti fatti di cronaca – alcune aggressioni in Ticino a coppie omosessuali e, ad esempio in Italia, i suicidi di giovani gay o lesbiche vessati a scuola – l’omofobia per Andrea va affrontata da un punto di vista culturale. Quindi a scuola. Dove però, dice, si fa poco o nien- TI-PRESS Per informazioni www.zonaprotetta.ch www.imbarcoimmediato.ch www.pinkcross.ch LO PSICOTERAPEUTA Docenti a lezione di… omofobia ‘Sei un frocio’ e nessuno lo difende Gli allievi studiano i docenti, li osservano, li giudicano, a volte li imitano. E, se l’esempio non viene dall’alto, discriminare il più debole può diventare lo sport preferito a scuola, dove la reazione del docente, come i suoi silenzi, sono decisivi per correggere pregiudizi e prevenire il bullismo, anche quello omofobico. Lo hanno capito alcune sedi scolastiche (purtroppo, non molte!) che coraggiosamente affrontano temi tabù come l’omofobia, invitando esperti a parlare con gli allievi per promuovere una cultura della tolleranza e dell’integrazione. Ecco qualche esempio. Alla scuola media di Stabio, è il terzo anno consecutivo che alle classi di terza (di regola a scienze) viene proposto un incontro con i consulenti di Zonaprotetta per discutere di omosessualità e omofobia. «Si guarda un film sull’affettività, anche omosessuale, poi c’è una discussione moderata dal professionista di Zonaprotetta. A questo punto il docente lascia l’aula così gli allievi possono dibattere più liberamente. L’esperienza è positiva, ai ragazzi ha giovato poter parlare di un tema tabù, ponendo domande, tanti hanno realizzato quanto possono essere umilianti alcune offese», spiega Sara Haeuptli, docente di scienze e matematica. Anche il corpo docente ha avuto un momento di sensibilizzazione: «Ci siamo confrontati sul tema dell’omofobia con uno specialista, per riflettere sui segnali che il docente può inviare agli allievi, anche involontariamente, soprattutto quando non prende posizione», conclude. Rispetto è la parola d’ordine al liceo di A scuola succede spesso che il compagno più debole venga preso di mira, lo prendono in giro, additandolo come ‘finocchio’. Nessuno o quasi lo difende, per paura di fare la stessa fine. Così, grazie ai silenzi complici dei compagni, il bullo della classe afferma la sua forza. E la vittima sprofonda sempre più e viene isolata. «Il bullismo omofobico esiste dentro la scuola, docenti e allievi dovrebbero intervenire maggiormente, ma c’è una carenza di informazione sulla omosessualità, che alimenta falsi pregiudizi», spiega Marco Coppola. Responsabile del progetto ‘Benessere senza omofobia’ di Zonaprotetta, è consulente di Aiuto Aids Ticino ed ha misurato, due anni fa, nelle scuole ticinesi il bullismo omofobico. È l’unico studio sul tema nella scuola ticinese ed ha coinvolto 630 studenti (237 delle medie e 393 delle superiori). «Abbiamo incontrato molta resistenza nella scuola per poter realizzare il sondaggio con gli allievi. Alla fine hanno accettato 5 sedi delle scuole medie e sei scuole post obbligatorie», spiega Coppola. In seconda battuta, cinque scuole in tutto hanno accettato di organizzare un momento di discussione in classe dedicato all’omosessualità e all’omofobia. «Abbiamo guardato un video e poi la discussione è stata vivace. Siamo soddisfatti, ma c’è ancora molto da fare dentro la scuola per promuovere una cultura della tolleranza», dice Coppola. Se le ragazze sono più coraggiose e pronte a difendere il compagno preso di mira, non si può dire lo stesso per i maschi. Se scoprono che l’amico e com- Lugano 1, dove da sei anni si organizzano giornate dedicate al tema del rispetto di sé, degli altri e dell’ambiente. Tra i temi affrontati c’è anche il bullismo omofobico. «I consulenti di Zonaprotetta hanno incontrato classi di seconda liceo, una alla volta, per parlare di omosessualità, tra rispetto e pregiudizi, informando gli allievi che spesso al riguardo sono piuttosto confusi. Un’esperienza che ha dato i suoi frutti e riproporremo perché è interessante», spiega Luca Paltrinieri, docente di biologia e tra i responsabili di queste giornate. Sessualità tra scuola e famiglia Se un tempo il bullismo iniziava e finiva nel cortile della scuola, ora può venire amplificato dai social media. E la scuola deve tenere alta la guardia anche sul bullismo omofobico. «È un tema importante, ma molto delicato, perché può aprire discussioni con le famiglie, che non sempre condividono come la scuola gestisce l’educazione sessuale», dice Francesco Vanetta. Dirige l’Ufficio dell’insegnamento medio alla Divisione della scuola e ci spiega che in terza media si tengono le lezioni di educazione sessuale, spaziando dalla biologia all’affettività: «Ed è in questo contesto che si possono affrontare queste tematiche soprattutto se sollecitate dagli allievi. Comunque stiamo elaborando nuove schede e materiale di supporto per i docenti che si occupano di educazione sessuale nei 35 istituti di scuola media», conclude. pagno di banco è omosessuale, un buon 20% chiude la porta (“può fare quello che vuole, ma se è così non lo voglio più vedere. È malato e deve curarsi”), mentre un altro 20%, soprattutto le femmine, è più tollerante (“lo aiuto, non vedo che cosa ci sia di male, siamo tutti esseri umani, l’amore non ha discriminazione”). Sempre più adolescenti in crisi “Sei un frocio, sei una lesbicona”, sono commenti che girano spesso tra gli alunni, secondo il 57% degli studenti ticinesi intervistati da Aiuto Aids Ticino. Quando succede, raramente qualcuno alza un dito: il 45% degli alunni ammette di restare un osservatore silenzioso. Davanti a queste offese pochi difendono la vittima. E se qualcuno si mette di mezzo, di regola è un adulto. Se a farlo è un docente, studi hanno dimostrato che il bullismo diminuisce. Comunque il 57% degli allievi dichiara di sapere che questi commenti possono fare molto male a chi è preso di mira. «Tutte le settimane vediamo adolescenti in crisi che faticano ad accettare la propria omosessualità, non sanno come dirlo ai genitori, agli amici, hanno paura di restare soli. C’è chi sceglie di restare invisibile, di fare una doppia vita, a causa dei molti pregiudizi attorno al tema dell’omosessualità», spiega Coppola. Da un anno, nei locali di Zonaprotetta ci vanno anche i genitori alle prese con un figlio adolescente omosessuale. I NUMERI ∑ Dei casi, la scuola è il luogo dove studenti gay e lesbiche hanno riportato maggiori episodi di discriminazione (studio IlgaEurope) 61% ∑ Dal 5 al 10% della popolazione elvetica ha tendenze omosessuali 10% ∑ È il momento in cui avviene il coming out (tra i 12 e i 17 anni) 17 anni