Dinamiche di impoverimento e strategie di contrasto
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Dinamiche di impoverimento e strategie di contrasto
Università di Pisa Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Laboratorio di Ricerca sull’Inclusione e lo Sviluppo Sociale DINAMICHE DI IMPOVERIMENTO E STRATEGIE DI CONTRASTO. PRIMI RISULTATI NELL’AMBITO DELLA RICERCA-AZIONE CONDOTTA NELLA PROVINCIA DI MASSA-CARRARA Supervisone scientifica Prof. Gabriele Tomei Prof. Matteo Villa Realizzazione delle interviste e redazione del rapporto di ricerca Dr. Elisa Matutini (Capitoli I,II,III,IV,V,VI) Dr. Rachele Benedetti (Capitolo VII) INDICE INTRODUZIONE PARTE PRIMA. LA RICERCA-AZIONE SUI PROCESSI DI IMOPOVERIMENTO CAPITOLO I I riferimenti teorico-metodologici della ricerca 1.1. Le dinamiche di impoverimento: povertà tradizionale e nuovi poveri 1.2. La ricerca-azione come strategia di conoscenza e intervento 1.3. L’intervista narrativa 1.4. Il disegno della ricerca CAPITOLO II Gli ambiti di azione dei meccanismi di impoverimento: i contenuti emersi dalle interviste 2.1. Il mercato del lavoro e la ricerca dell’occupazione 2.2. Il costo della vita e l’inadeguatezza del reddito 2.3. La questione alloggiativa 2.4. La rete informale di sostegno 2.5. Alcuni profili di impoverimento CAPITOLO III Le strategie di fronteggiamento individuali tra desiderio di reagire e sconforto 3.1. La lotta alla povertà nella vita quotidiana 3.2. I tentativi di rilancio: infaticabile ricerca di lavoro dipendente e autoimprenditorialità 3.3. I tentativi di fuoriuscita dalla povertà: le difficoltà di sopportare il ripetersi di fallimenti 3.4. La preoccupazione nei confronti dei figli: la povertà dei bambini CAPITOLO IV Il ruolo percepito, le funzioni e le risorse dei servizi sociali nella lotta alla povertà 4.1. Il ricorso ai servizi sociali tra bisogno, senso di dignità e vergogna 4.2. Il rapporto con il servizio sociale tra inadeguatezza delle risorse e consapevolezza dei limiti di intervento 4.3. La voglia di fuoriuscire dalla condizione di assistito 2 4.4. Verso l’attivazione delle competenze dei cittadini sui processi di impoverimento CAPITOLO V Alcune proposte per il miglioramento delle strategie di contrasto alla povertà presenti su territorio 5.1. Costruire nuove prospettive attraverso la riflessione congiunta di istituzioni e soggetti vittime dei processi di impoverimento 5.2. Il sistema informativo: assistenza sociale e segretariato sociale 5.3. Uno strumento per sostenere le capacità individuali nel processo di reinserimento lavorativo: le borse lavoro PARTE SECONDA APPROFONDIMENTI TEMATICI CAPITOLO VI Lotta alla povertà e servizio sociale. Alcune riflessioni a partire dai risultati della ricerca-azione sui processi di impoverimento 6.1 Dai risultati dell'indagne alle ipotesi di ricerca: possibilità e limiti degli assetti istituzionali nel fronteggiare la povertà 6.2 Dalle attività di ricerca alla costruzione di nuove prospettive per l'intervento sociale 6.3 Dall'attivazione del soggetto alla tutela dell'individuo all'interno del contesto comunitario CAPITOLO VII Impoverimento e lavoro. L'impatto della crisi sul territorio tra vecchie e nuove contraddizioni 7.1 Lavoro, crisi e dinamiche di impoverimento 7.2 Il metodo di ricerca: interviste in profondità e ruolo dei testimoni privilegiati 7.3 Le dinamiche del mercato del lavoro locale: tra condizioni strutturali e criticità emergenti 7.4 Crisi economica e nuove vulnerabilità 7.5 Contraddizioni, rischi e precarietà: la crisi vista dai lavoratori 7.6 Territorio, globalizzazione e politica: la crisi vista dalle imprese 7.7 Quali prospettive? Ipotesi, rischi e scenari possibili per la ripresa del territorio CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: DALLA CONOSCENZA ALL’AZIONE BIBLIOGRAFIA 3 Ringraziamenti Un ringraziamento sentito a tutte le persone che, con la loro partecipazione ed il loro contributo, hanno dato voce a questa ricerca, consentendone la realizzazione. In particolare, si ringraziano gli assessori, i dirigenti ed i funzionari della Provincia di Massa-Carrara, le assistenti sociali, gli operatori sociali ,i sindacati, le associazioni di categoria e gli imprenditori che, raccontandoci la loro esperienza ed esprimendo i loro punti di vista, ci hanno permesso di ricostruire lo scenario territoriale e descriverne le dinamiche nelle sue molteplici sfaccettature. Un ringraziamento speciale, inoltre, va ai lavoratori ed ai cittadini utenti dei servizi che ci hanno dedicato il loro tempo, raccontandoci le loro storie e permettendoci così di entrare nel vivo dei fenomeni analizzati: a loro, in particolare, un grazie per il contributo imprescindibile che hanno dato a questo lavoro. 4 INTRODUZIONE La comprensione del fenomeno della povertà e, più in particolare, la lettura delle dinamiche di impoverimento, pur costituendo materiale di studio e analisi sia teorica sia empirica da molto tempo, continuano a rappresentare aspetti di particolare complessità e si rivelano in grado di evidenziare elementi sempre nuovi e inaspettati. Questo è particolarmente vero alla luce delle trasformazioni socio-econimiche intervenute negli ultimi anni all’interno del panorama nazionale e internazionale, le quali hanno dato vita a nuovi percorsi di impoverimento, interessando anche individui che in passato potevano essere considerati quasi indenni dal rischio di povertà, grazie alla loro specifica collocazione all’interno della stratificazione sociale. Per tutte queste ragioni, la comprensione del fenomeno della povertà continua a rimanere un aspetto di strategica importanza nella definizione dei livelli di benessere/malessere all’interno di un dato territorio e per la pianificazione e programmazione di interventi efficaci per il suo fronteggiamento. Alla luce di quanto detto, i risultati della ricerca presentati nelle pagine che seguono si propongono l’obbiettivo di andare a leggere alcuni dei meccanismi fondamentali che incidono sulla definizione dei percorsi di impoverimento con particolare attenzione alla realtà del territorio della provincia di Massa-Carrara, ai suoi bisogni e alle richieste che da esso provengono. Alla dimensione più direttamente legata alla ricerca e alla comprensione del fenomeno se ne deve aggiungere un’altra legata all’individuazione di azioni utili a modificare, in termini migliorativi, il contesto precedentemente delineato. In altri termini, rientra tra gli obiettivi dello studio anche l’individuazione di elementi e strategie la cui realizzazione può contribuire a fronteggiare le declinazioni specifiche della condizione di malessere presenti sul territorio con riferimento al tema della povertà. Particolare attenzione è stata attribuita all’osservazione della pluralità di aspetti che caratterizzano la manifestazione del fenomeno in tempi recenti. Quest’ultimi, infatti, hanno portato a definire nuove figure di povero rispetto a quelle tradizionalmente conosciute e più comunemente diffuse. Nella prima parte l’indagine si compie una lettura delle traiettorie di impoverimento tipiche della congiuntura economica. Tale operazione viene condotta alla luce di due particolari prospettive: le strategie individuali e collettive di coping in merito alla capacità di riuscire a soddisfare i bisogni legati alle esigenze fondamentali della vita come il lavoro, il reddito, la questione abitativa, il contesto relazionale e così via; lo specifico ruolo ricoperto dagli assetti istituzionali del welfare, con particolare attenzione alla capacità di quest’ultimi di rispondere ai bisogni vecchi e nuovi emergenti dal territorio. Questo ha come obiettivo quello di permettere una riflessione sulle capacità e i limiti dell’intervento pubblico, aprendo alla possibilità di un nuovo dibattito sulle sue capacità potenziali nella lotta al fenomeno della povertà, in vista di un progressivo miglioramento dell’efficacia degli interventi. 5 Il report si apre con una breve analisi dei meccanismi comunemente individuati come strategici nella produzione della condizione di povertà e l’indicazione delle principali caratteristiche assunte dal fenomeno nelle sue recenti declinazioni. Prima di giungere alla presentazione dei risultati empirici dell’indagine, una parte del lavoro viene dedicata all’illustrazione degli aspetti di metodo che, come potrà valutare il lettore, in questo caso, più che in altri, implicano una pluralità di decisioni circa la strategia di conoscenza e la modalità di intervento, tali da incidere in maniera sostanziale sulla natura dei risultati stessi. Si tratta di alcuni riferimenti al metodo della ricerca-azione e alla scelta di utilizzare la forma dell’intervista narrativa come strumento di ascolto dei soggetti interessati dai processi di impoverimento. Dopo un breve riepilogo nel disegno complessivo della ricerca, nel secondo capitolo si passa alla presentazione vera e propria degli esiti della prima parte del lavoro. I risultati vengono riportati organizzati con riferimento ad alcune dimensioni o sfere di vita nelle quali, frequentemente e in maniera di volta in volta diversa, nascono e si sviluppano elementi che conducono il soggetto nella spirale dell’impoverimento. Talvolta carenze o incidenti di percorso in una delle sfere si intrecciano pericolosamente con elementi deficitari nelle altre dando vita a percorsi di povertà che si cronicizzano o inaspriscono nel tempo. In altri casi, la povertà è esito di una carenza di risorse strettamente legata ad un solo fattore (come ad esempio il reddito). Nella interpretazione degli elementi emersi dalle narrazioni le principali dimensioni prese in esame sono quelle del rapporto con il mercato del lavoro, la condizione abitativa e il tessuto relazionale informale. A quest’ultimo proposito, particolare attenzione viene attribuita al ruolo svolto dalla rete di sostegno parentale e amicale in caso di insorgenza di bisogni legati alla povertà economica. La condizione di povertà spesso attanaglia le persone in maniera inaspettata, a volte permane per lunghi periodi di tempo, in altri casi rappresenta una condizione ricorrente, vale a dire caratterizzata dall’alternarsi di condizioni di disponibilità di risorse a situazioni di disagio economico. Qualsiasi sia la forma con la quale il soggetto si deve confrontare, egli si trova quotidianamente a sperimentare gli effetti della deprivazione, attivando strategie di fronteggiamento volte a contrastare la condizione di disagio esistente e i potenziali meccanismi degenerativi che ne possono derivare. Gli aspetti conoscitivi relativi alle specifiche declinazioni di queste strategie e agli atteggiamenti verso il futuro delle persone intervistate sono presentati nel terzo capitolo del lavoro. Il report prosegue la sua trattazione nel quarto capitolo con l’illustrazione del ruolo svolto dalle rete di aiuto formale nel contrasto alla povertà. In altri termini, in questa parte del lavoro si cerca di osservare come e quando i servizi di aiuto istituzionali intervengono, qual’è il ruolo percepito dagli intervistati, quali risorse essi ritengono che i servizi professionali riescono ad attivare e quali invece rimangono inutilizzate o semplicemente risultano assenti. Tale lavoro viene compiuto nella convinzione che solo attraverso una osservazione congiunta del problema da parte dei diversi soggetti coinvolti (cittadini in condizione di povertà, operatori sociali e rappresentanti istituzionale) possa nascere una forma di dibattito utile per la costruzione di ipotesi di lavoro in grado di intervenire in maniera efficace e innovativa nella lotta alla povertà. Proprio in questa direzione vanno i lavori dell’ultimo capitolo del report nel quale vengono presentati i principali risultati emersi dal gruppo di lavoro allargato. In esso 6 operatori istituzionali, cittadini interessati dal problema della povertà economica e ricercatori si sono confrontati su talune criticità legate al fenomeno e sui più diffusi strumenti di intervento attualmente esistenti all’interno delle politiche di contrasto locali. Tali materiali, attraverso una attenta rielaborazione collettiva, hanno permesso anche di giungere alla formulazione di una serie di ipotesi di trasformazione, al fine renderli maggiormente efficaci. 7 CAPITOLO I I RIFERIMENTI TEORICO-METODOLOGICI DELLA RICERCA 1.1. Le dinamiche di impoverimento: povertà tradizionale e nuovi poveri La povertà può essere definita come una forma non accettabile della disuguaglianza economica. Ponendosi in una concezione relativa del termine – rinviando cioè alle condizioni materiali di vita dello specifico contesto preso in analisi (sussistenza sociale1) – la povertà può essere definita come la difficoltà o l’impossibilità, da parte di un soggetto, di soddisfare in modo adeguato i propri bisogni2. Seguendo la lezione di Amartya Sen, possiamo aggiungere che la povertà è quella condizione nella quale il soggetto non è in grado di vivere e condurre la propria vita in modo adeguato ai bisogni, alla luce delle sue capacità e aspirazioni. In questo senso essa si manifesta come una rilevante limitazione delle libertà di tradurre le capacità in funzionamenti. In altri termini possiamo affermare che la scarsità di risorse determina una condizione di limitazione delle possibilità del soggetto di tradurre le sue capacità in possibilità concrete di usufruire delle caratteristiche delle risorse presenti nel contesto in cui vive e necessarie per condurre lo stile di vita al quale egli attribuisce valore3. Uno dei fenomeni di particolare interesse, che desta grande preoccupazione negli ultimi anni, è rappresentato dall’aumento e dalla diversificazione dei fattori di vulnerabilità4. Tale ampliamento ha condotto all’estensione dei processi di impoverimento ad una parte di popolazione che, in passato, avremmo potuto definire “quasi povera”. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un graduale sprofondamento al di sotto della soglia di povertà di una cospicua parte di individui che, in passato, pur non potendosi considerare in condizione di elevato benessere, riusciva a soddisfare le esigenze fondamentali della propria vita, senza incorrere in particolari situazioni di malessere. Tale fenomenologia sembra essersi realizzata a causa di una progressiva assunzione di fluidità dei processi di impoverimento con riferimento ai fattori scatenati e quindi alla gamma di persone che possono essere potenzialmente soggette al rischio di scivolamento in condizione di povertà. Questo è valido, sia per quanto riguarda gli aspetti legati alla condizione soggettiva, sia con riferimento alle dimensioni strutturali del contesto sociale all’interno del quale la persona si trova a vivere: mercato del lavoro, situazione abitativa, garanzie di sicurezza sociale e così via. In altri termini, nell’ultimo periodo si è assistito ad un graduale inasprimento dei meccanismi di impoverimento e all’aumento delle difficoltà insorgenti all’interno delle capacità del soggetto nel riuscire ad avere un reddito adeguato, nel poter disporre di una serie di garanzie pubbliche di assistenza e previdenza e, più in generale, di forme di sostegno all’inclusione sociale. 1 2 3 4 Cfr. P. Townsend, Poverty in the United Kingdom, Penguin, Harmondsworth, 1979. Cfr. P. Dovis, C. Saraceno, I nuovi Poveri. Politiche per le disuguaglianze, Codice edizioni, Torino, 2011. Cfr. A. K. Sen, Commodities and Capabilities, Oxford University Press, Oxford, 1985. Per un approfondimento cfr. G. Tomei, M. Natilli, Dinamiche di impoverimento, Carocci, Roma, 2011. 8 Cercando di analizzare in termini sociologici quello che sta accadendo, possiamo affermare che nella società contemporanea sono andati progressivamente erodendosi aspetti legati alla solidità, definitezza e continuità del percorso di vita. Come ci ricorda Bauman,5 oggi si assiste al progressivo fenomeno della polarizzazione della ricchezza e del benessere che, sempre meno spesso, risulta frenato dalle strutture legali del welfare state e dalle principali agenzie di difesa del lavoro. In questo senso la disuguaglianza tra continenti, nazioni e in modo più approfondito, quella interna alle società, raggiunge proporzioni elevate. Il fenomeno della povertà, da un punto di vista qualitativo, si caratterizza, quindi, per una elevata eterogeneità dei soggetti che lo compongono. Questo ci porta a dire che, sempre più spesso, il tipo di formazione, lo status sociale e la tipologia di occupazione svolte sono meno rilevanti nel preservare dal rischio di scivolare in condizione di povertà e che l’ipotesi di un crollo imminente non è mai del tutto scongiurato per nessuno6. Parallelamente alle trasformazioni del mercato del lavoro si registra un progressivo indebolimento delle reti di sostegno informale basata su una molteplicità di forme di solidarietà, in grado di permettere l’accesso ad una pluralità di risorse, sia di natura strumentale, sia di natura affettiva, capaci di sostenere il soggetto nel momento in cui si trova a sperimentare una condizione di disagio, in una o più sfere della vita. Il riferimento principale, in questo senso è alle modificazioni intervenute nei legami familiari e amicali, ma anche alla pluralità di relazioni che si sviluppano all’interno della comunità di appartenenza. Davanti al panorama brevemente delineato, progetti e investimenti tradizionalmente attuati dagli individui per fronteggiare i fattori di vulnerabilità insorgenti all’interno del loro percorso di vita, sempre più spesso, si rivelano scarsamente efficaci. A questo occorre aggiungere che non tutte le persone hanno a disposizione lo stesso ventaglio di opportunità, e possiedono le risorse adeguate, per attuare le trasformazioni e innovazioni necessarie a preservare la propria condizione di benessere. Da questo deriva che una parte di esse rimane intrappolata nei gangli della macchina dell’impoverimento portando a sperimentare, anche in un breve periodo di tempo, condizioni di benessere molto diverse tra loro, fino allo stato di deprivazione economica. I meccanismi di impoverimento esercitano una funzione paragonabile a quella di un catalizzatore dal quale è difficile allontanarsi, portando all’innesco di una serie di effetti a catena nelle diverse sfere della vita del soggetto, che rendono sempre più difficile, con il passare del tempo, la possibilità di rilancio del percorso di vita. In questo senso lo sperimentare la condizione di povero all’interno del proprio percorso di vita comporta il rischio di rimanere intrappolati nella vischiosità del fenomeno e finire per soccombere ad esso, anche per lungi periodi di tempo. Un aspetto esplicativo di questa dinamica è indubbiamente rappresentato, come vedremo anche nella presentazione dei contenuti emersi dalle interviste, dalle implicazioni che la condizione di deprivazione economica ingenera in alcune dimensioni non materiali dell’esistenza, come l’accesso alla formazione e riqualificazione, oppure elementi di carattere strettamente psicologico, come la perdita di motivazione nella ricerca di percorsi per ristabilire la propria condizione di benessere, oltre alla più generica perdita di capacità e desiderio di partecipare alla vita sociale e politica della comunità di appartenenza. 5 6 Cfr. Z. Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999, pp. 61-66. Cfr. F. Cazzola, A. Cosuccia F. Ruggeri, La sicurezza come sfida sociale, Franco Angeli, Milano, 2004 9 Parallelamente a questa manifestazione del fenomeno (la povertà cronica come esito dell’invischiamento nei meccanismi di impoverimento), sempre più spesso si registra la presenza di una nuova insidiosa forma di povertà. Quest’ultima si caratterizza per la sua intermittenza, manifestandosi in momenti diversi della vita del soggetto7: periodi di relativo benessere si alternano a momenti caratterizzati da forti difficoltà economiche. Questo è sempre più vero, non solo con riferimento alle diverse tappe del percorso di vita del soggetto, ma anche in relazione a intervalli di tempo più limitati come i differenti mesi all’interno di un anno e rinvia a particolari forme di vulnerazione del soggetto legate al mercato di lavoro e alle carenze presenti all’interno del sistema di welfare. Questa seconda forma di povertà sembra caratterizzarsi per una pluralità di specificità tra le quali il fatto che, per una sua corretta analisi e fronteggiamento, il fuoco dell’attenzione non deve essere centrato solo sulle criticità presenti nelle fasi di malessere, ma anche sulle caratteristiche dei periodi di benessere economico. Più precisamente, occorre comprendere le motivazioni della permanenza dei fattori di vulnerabilità negli archi temporali caratterizzati dalla presenza di risorse economiche. In questo senso può essere utile interrogarsi sulle ragioni che fanno sì che la disponibilità di risorse monetarie non si traduca in margini maggiori di preservazione dal rischio di ricadere in situazioni di povertà. Alla luce di quanto detto sembra chiaro che il fenomeno della povertà, oggi come ieri, continua ad essere un arduo banco di prova per la programmazione e progettazione delle politiche sociali. Questo è vero, sia con riferimento alla attuale congiuntura economica, che ha contribuito a rendere più dura la condizione delle fasce tradizionalmente più esposte al rischio di impoverimento, sia con riferimento alla nascita e diffusine di nuovi profili di povero fino a qualche tempo fa quasi inesistenti. Tutto questo apre alla necessità di pensare e ripensare modelli di intervento in grado di essere maggiormente efficaci in termini di riparazione del danno, ma anche con riferimento alla capacità di prevenzione del disagio derivante dalla manifestazione della condizione di carenza di reddito. Davanti a questa situazione la stessa definizione, ormai ampiamente condivisa, di multidimensionalità della povertà e dell’intervento di contrasto, frutto di importanti e complesse analisi, sembra necessitare di un incremento di riflessione. Ad oggi, infatti, esistono povertà esito di una numerosità di fattori e per le quali occorre quindi un intervento in grado di mobilitare una gamma variegata di risorse all’interno di un contesto sinergico, ma sono presenti anche situazioni problematiche nelle quali la povertà si manifesta come frutto di una deficienza all’interno di un ambito specifico, come la mera carenza di reddito, oppure legate alla condizione abitativa. In questi casi l’intervento più opportuno è quello tempestivo e mirato al problema specifico, prima che esso determini una progressiva erosione della condizione di benessere nelle altre aree di vita del soggetto e si trasformi in un fenomeno multidimensionale più difficile da risolvere da parte dei sistema di servizi predisposto a tale funzione, oltre che più dispendioso dal punto di vista economico8. Dall’osservazione dei vecchi e nuovi profili di povero sembra quindi emergere una impossibilità di arrivare ad una manifestazione univoca della povertà. L’elemento 7 Cfr. P. Alcock, R. Siza (a cura di), La povertà oscillante, fascicolo monografico in «Sociologia e Politiche sociali», Vol. 6, n.2, 2006. 8 A. Brandolini, C. Saraceno, A. Schizzerotto, Dimensioni della disuguaglianza in Italia: povertà, salute, abitazione, Il Mulino, Bologna, 2009. 10 vincente nell’ambito della pianificazione, programmazione e attuazione delle politiche sembra quindi risiedere nella presa di coscienza di questo aspetto, interpretandolo, non come l’impossibilità di costruire interventi efficaci nei confronti di un fenomeno senza forma e dimensione precisa, ma piuttosto come punto di partenza per la costruzione di una gamma di politiche in grado di agire su fattori scatenati e manifestazioni diverse tra loro a seconda della tipologia analizzata. 1.2. La ricerca-azione come strategia di conoscenza e intervento* Nata negli anni ’40 dalle esperienze di ricerca psico-sociale di Kurt Lewin e maturata nel clima della sociologia éngagee degli anni ’70 (di cui furono pionieri e paladini tanto Alain Touraine in Francia che Orlando Fals Borda in America Latina), la ricerca azione si è presto affermata nel quadro delle nuove tendenze della sociologia contemporanea9 per la pretesa di costituire non tanto un nuovo settore di specializzazione della disciplina (né tantomeno una specifica tecnica di investigazione) quanto piuttosto una diversa concezione di scienza sociale, un paradigma nuovo e profondamente critico nei confronti della tradizione sociologica, delle procedure convenzionali della conoscenza scientifica, dell’uso pubblico della ragione applicata, del nesso fra conoscenza e potere e del ruolo della stessa scienza nella società. Tale pretesa si fondava per un verso sulla consapevolezza dei fattori di crisi della razionalità moderna e dall’altro dalla riflessione circa le interdipendenze sistemiche e strutturali tra sistemi di osservazione e contesti osservati (e quindi tra ricercatori ed attori sociali) nella produzione, nella comunicazione e nell’uso della conoscenza sociale. E quindi dell'interdipendenza tra differenti fonti e forme del sapere: saper scientifico, sapere esperto e sapere comune Sotto il primo profilo la ricerca azione raccoglie l’insieme delle critiche mosse alla pretesa della scienza sociale di rappresentare se stessa come una espressione della razionalità assoluta, svincolata e quindi libera dalle contingenze e dai vincoli del contesto (sociale e culturale) da cui si esprime e dagli stessi procedimenti (sociali) che la sua articolazione le impongono. Sull’altro fronte la ricerca azione si propone come ulteriore sviluppo della sociologia comprendente, spingendo le scienze sociali a sviluppare un'interpretazione 'relazionale' e riflessiva della socialità, dal momento che la riconosce intrinsecamente fondata sulla molteplicità e mutevolezza dei punti di vista (dei significati, delle rappresentazioni e dei valori); per questo motivo la socialità diviene ricostruibile solamente attraverso un'attenta e metodica analisi filologica delle trame di significato concretamente agite nei contesti locali dell'azione-e-osservazione e quindi attraverso l'osservazione e la comprensione della dinamica del cambiamento nel mentre la stessa è in atto. Non è tanto una differenza di strumenti e tecniche di analisi dei dati a qualificare e distinguere la ricerca-azione da altri approcci conoscitivi. Soprattutto, invece, è il modo di connettere il processo relazionale dell’indagine al contesto e all’oggetto, attraverso strutture di ricerca dialettiche e circolari, l’utilizzo di metodi e strumenti scientifici di gestione delle relazioni implicate e la possibilità di operare su interpretazioni provvisorie, * 9 Il paragrafo è stato curato da Gabriele Tomei e Matteo Villa. Si vedano anche i lavori di Whyte, negli Stati Uniti. 11 suscettibili di essere via via rimaneggiate. Particolarmente per via di quelli che Lewin definiva “sperimentazioni in contesti di vita reale”. Ciò, in particolare, dovrebbe aiutare a «superare la visione meccanicistica legata al concetto di causalità lineare che sopravvaluta la natura dell’evento fino a negare l’importanza della situazione» (Amerio, De Piccoli e Miglietta 2000 : 267), considerando invece la situazione ambientale con un’importanza almeno pari a quella dell’oggetto (Lewin 1951 : 311). E dovrebbe consentire alla costruzione di strutture partecipative di indagine, che non hanno lo scopo di confondere o rendere semplicemente o apparentemente indistinti ruoli e funzioni di ricercatori e attori, ma di mettere in relazione i processi usualmente separati della determinazione percettiva e concettuale della realtà (Cfr. Dewey 1938 : 81 sgg), migliorandone la comunicazione reciproca e il reciproco apprendimento. Permettendo, in particolare, che le domande di tipo teorico si arricchiscano dall’interazione con processi e obiettivi applicativi. Il tentativo di Lewin (1951), il primo ad adottare il termine action research10, era proprio quello di costruire un fecondo rapporto reciproco tra teoria e prassi, essendo «ben cosciente di stare teorizzando una non abituale “commistione” fra ricerca pura ed applicazione pratica» (Palmonari 1972 : VIII); e affermando che l’indagine scientifica può essere messa a disposizione della risoluzione di problemi concreti, rafforzando, attraverso sperimentazioni rigorose in contesti naturali, «quell’approccio razionale ai problemi sociali pratici che è una delle esigenze fondamentali per la loro risoluzione» (Lewin 1951: 68)11. Il potenziale della RA risiederebbe dunque in un tentativo di ripensamento del metodo scientifico, che prova a ricongiungere nella medesima struttura di indagine soggetti e oggetti, eventi e situazione, pensiero e azione, determinazione concettuale e sentita della realtà. Senza con ciò negare la necessità di una distanza critica tra scienza sociologica e senso comune, facendola piuttosto rientrare nel campo di osservazione dell’indagine stessa. In secondo luogo, risiederebbe nella possibilità di interpretare la «vita quotidiana come base della teoria» (Gouldner 1975 : 45) e quindi di investire nella vita quotidiana in quanto «fonte e […] regno di quelle esperienze ricorrenti e di quei retroterra che sono il fondamento della dimensione storica e quindi centrali per la comprensione del sé teorico» (ibid.). Che vorrebbe dire, rendere l’indagine sociologica uno strumento particolarmente attento a chiarire i propri stessi presupposti del rapporto tra scienza e società e, di qui, più efficace nel tentativo di rendere visibile e comprensibile l’invisibile, il non familiare e l’inaspettato della società (Burawoy 2005 : 812, Gouldner 1975 : 46, Pizzorno 1996 : 131), a sé e alla società stessa13. 10 Definendola come «un tipo di ricerca d'azione, una ricerca comparata sulle condizioni e gli effetti delle varie forme di azione sociale che tende a promuovere l'azione sociale stessa». E sottolineando che «se producesse soltanto dei libri, non sarebbe infatti soddisfacente» (Lewin, 2005 : 323). 11 Cfr. anche Clark (1980), Whyte (1989). 12 Non intendiamo con questo assumere il punto di vista della “organic public sociology” discussa in questa sede da Burawoy, e quindi l’idea di una relazione organica tra il ricercatore e una qualsiasi istituzione della vita quotidiana. 13 Proprio perché l’oggetto della conoscenza sociologica è diverso da quello di altre scienze, gli uomini «possono partecipare, fare proprio e condividere lo sviluppo della conoscenza. Essi non solo forniscono i “dati” ma sono loro stessi interpreti dei propri comportamenti e di quelli degli altri […], hanno le loro teorie sul loro essere collettivo e una conoscenza sostanziale di questa loro vita», una propria sociologia, «realizzata continuamente nella loro costruzione vista ma non riconosciuta della vita quotidiana» (Gouldner, 1975 : 47-8). 12 In terzo luogo, risiederebbe nel tentativo di coinvolgere effettivamente nel campo visivo dell'indagine scientifica tutti quegli aspetti dell’essere umano e dell’essere sociale che hanno il torto di rendere complicato il processo esplicativo e più incerta la chiarificazione dei presupposti, osservando, come sosteneva Lewin, fenomeni e processi individuali e collettivi nella loro totalità. Il dibattito teorico sulle possibilità e sulle modalità di tale forma della comprensione ha dunque messo a fuoco il carattere dia-logico del sociale, recuperando così alla coscienza scientifica (contro ogni realismo ingenuo) la natura comunicativa della conoscenza e della stessa socialità. In un loro recente saggio di carattere introduttivo, Peter Reason ed Hilary Bradbury definiscono la ricerca azione “una pratica per uno sviluppo sistematico del sapere e della conoscenza, ma fondati su una modalità piuttosto differente da quella della ricerca accademica tradizionale – rispetto alla quale, in alcuni casi, possono esserci obiettivi diversi, è basata su relazioni diverse ed ha un modo diverso di concepire la conoscenza e la sua relazione con la pratica”14. Tale differenza si segnala però non tanto nello statuto epistemologico quanto piuttosto nel suo specifico orientamento politico. Da questo punto di vista il padre della ricerca azione, il colombiano Orland Fals Borda, fonda lo statuto epistemologico della ricerca azione in quello specifico orientamento della disposizione pragmatica verso il mondo che Aristotele definì saggezza (phronesis)15, ovvero forma di conoscenza speculativa diversa dalla scienza pura (epistéme) e diretta invece all’agire di tipo deliberativo, con particolare riferimento alla costruzione (razionale) del bene comune. Aspetto di fondamentale importanza e che la caratterizza è l'innovatività presente, sia sul piano epistemologico, sia su quello politico; aspetti, per altro, strettamente legati tra di loro dal momento che la consapevolezza del modo della conoscenza che ne caratterizza l'approccio porta a inevitabili conseguenze in termini di ruolo politico della conoscenza e sul nesso tra conoscenza e potere. Sul primo punto comunque (l'epistemologia), per esempio, la visione lewiniana del passaggio da una scienza aristotelica a una galileiana e quindi di una scienza sociale come studio non delle essenze costanti o prevalenti individuabili negli oggetti (individui) ma dei meccanismi e delle “leggi” (né di tipo speculativo, né di tipo induttivo, ma come comprensione dei tipi genetico-condizionali) alla base dei rapporti tra oggetti e contesti (individuo/situazione). E quindi una scienza che si preoccupa di far emergere le caratteristiche genotipiche e ambientali e non solo fenotipiche dei sistemi osservati. Da ciò deriva anche un'idea (oggi poco accettata) ma piuttosto rilevante che lo studio di caso ha valore scientifico per l'indagine è comunque volta a, e in grado di, far emergere costruttivamente informazioni sui meccanismi che hanno valore e validità generale (Cassirer: “da un caso concreto a tutti i casi simili). Altra questione è il rapporto che hai già sottolineato del rapporto tra soggetto e oggetto e tra osservatore e osservato. Infine il rapporto tra determinazione sentita e concettuale della realtà (es. Dewey, Bateson, Feyerabend) 14 P.Reason-H.Bradbury, “Introduction: Inquiry and Participation in Search of a World Worthy of Human Aspiration”, in P.Reason-H.Bradbury (eds.), Handbook of Action Research. Participative Inquiry and Practice, Sage Publications, London-Thousand Oaks-New Delhi, 2001, p.1. 15 O. Fals Borda, “Participatory (action) research in social theory”, in P.Reason-H.Bradbury (eds.), Handbook of action research, cit., 2001, p.32. 13 Parallelamente ad altri percorsi della sociologia post-weberiana, la ricerca azione si qualifica quindi per la proposta di un nuovo paradigma scientifico di impianto costruttivista, sensibile alle e quindi sensibile alle dinamiche comunicative della relazione sociale ma – a differenza degli altri – ad esplicita e strategica vocazione pragmatica, per non dire esplicitamente politica. E’ nel solco di queste acquisizioni che gli stessi Reason e Bradbury qualificano la ricerca azione come “un processo partecipativo, democratico che ha a che fare con lo sviluppo del sapere pratico alla ricerca di fini umani utili, fondati nella prospettiva partecipativa che crediamo stia emergendo in questo momento storico”16, sottolineando l’accento sulla partecipazione come fuoco strategico di una radicale cambiamento di prospettiva di una scienza sociale che voglia realmente porre la questione del senso e dell’utilità della conoscenza sociale e dell’uso che ricercatori e osservatoriosservanti debbano farne nei contesti locali all’interno dei quali è stata prodotta. La prospettiva della ricerca-azione risulta perciò a nostro avviso estremamente utile e adeguata a sostenere una conoscenza critica degli attuali e complessi processi di impoverimento, data la difficoltà alla decodifica dei meccanismi della loro produzione e riproduzione, nel caso in cui ci si proponga di effettuare tale operazione senza tenere conto del contributo informativo ed interpretativo delle loro vittime, data la relativamente recente consapevolezza circa il ruolo attivo degli attori e dei contesti socio-economici di appartenenza nel co-determinare tanto le condizioni di rischio quanto le possibilità di farvi fronte17 , e data la inevitabile necessità di tradurre tali conoscenze in strumenti di intervento. 1.3. L’intervista narrativa La realizzazione del percorso di ricerca-azione sui processi di impoverimento all’interno de territorio della provincia di Massa-Carrara si è avvalsa, proprio per le sue specificità nelle premesse teoriche e di metodo, di uno strumento non-standard18: l’intervista narrativa. Se il termine intervista rinvia all’azione del chiedere delle informazioni a qualche soggetto intervistato, allo stesso tempo, per realizzare a pieno alcuni elementi costitutivi dell’indagine, quali il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti fatti partecipi, si è reso necessario il ricorso a uno strumento in grado di ridurre al minimo l’asimmetria intrinsecamente presente tra chi formula le richieste (intervistatore/ricercatore) e il rispondente. Questo si è reso ancora più necessario alla luce della specifica tipologia di soggetti coinvolti nelle interviste: 17 cittadini che negli ultimi anni si sono rivolti ai servizi sociali formulando una richiesta di aiuto in merito a aspetti problematici legati al fenomeno della povertà. Come facilmente intuibile, infatti, in questa tipologia di soggetti possono facilmente emergere elementi che inibiscono la libera espressione del proprio punto di vista a causa del fatto di essere inseriti all’interno di un percorso di assistenza fornito dalle istituzioni legate al committente della ricerca. 16 17 18 P. Reason-H.Bradbury, “Introduction”, cit., 2001, p.1. Tra i molteplici contributi su questo punto, cfr. Sen (1985), Touraine (2000). Cfr. A. Marrani, Metodologia delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna, 2007. 14 La scelta di questo tipo di strumento però risponde anche ad un’altra motivazione di carattere generale connessa alla specifica prospettiva di analisi assunta dai ricercatori. Uno dei presupposti fondamentali che spingono il ricercatore a interagire con i soggetti protagonisti dei processi di impoverimento è la possibilità di attingere elementi di conoscenza dalla loro esperienza e testimonianza che, in taluni casi, possano essere anche inaspettati o non adeguatamente valutati nell’interpretazione del fenomeno fino a quel momento19. Per muoversi in questa direzione, oltre all’abbattimento delle asimmetrie relazionali, diventa fondamentale che l’intervistatore non intervenga in maniera rilevante nella definizione delle alternative di risposta agli interrogativi sui quali intende riflettere, fare questo, infatti, equivarrebbe all’individuazione di un limite a priori nella possibilità di espressione dell’intervistato. A titolo esemplificativo si ricorda quanto succede all’interno del questionario strutturato, dove la persona intervistata nel formulare la propria risposta si trova a dover scegliere tra una gamma di modalità già precostituite e considerate significative dal ricercatore che ha definito lo strumento di rilevazione. In termini ancora più generali, occorre sottolineare che nella ricerca-azione, i cui risultati vengono presentati nelle pagine successive, la raccolta dei dati non è un processo che può essere considerato separatamente dall’analisi dei dati stessi; al contrario, la forza dei risultati della ricerca stessa risiede nella capacità di saper integrare la domanda di ricerca con la successiva fase di analisi. In definitiva, l’intervista narrativa rappresenta un dispositivo di indagine che consente si superare molte resistenze dell’intervistato, permette un modo di accesso efficace alle esperienze soggettive di un fenomeno sperimentato in maniera diretta, favorisce l’esternazione delle opinioni personali sulla specifica questione oggetto di ricerca. Essa, inoltre, permette di effettuare una lettura dei fenomeni dotata di profondità temporale e, quindi, di esplicitare il divenire processuale del fenomeno stesso, riducendo i rischi di semplificazione e opacizzazione provocati dalla standardizzazione20. Parte del pregio di una indagine qualitativa, come quella qui presentata, risiede nel buon livello di astrazione raggiunto dalla presentazione degli esiti conoscitivi. Per questa ragione si procede all’esplorazione attiva dei dati attraverso l’utilizzo delle competenze del ricercatore e della sua intuizione nei confronti delle idee emergenti dalla fase di rilevazione delle informazioni (interviste). Tale operazione è stata compiuta mediante classificazione, codifica, selezione e ricerca dei “sotto temi” estrapolabili dall’oggetto d’indagine. In questa direzione la categorizzazione è il primo passo che porta verso l’astrazione dalla quale emergono i risultati ultimi della ricerca, frutto dell’esplorazione delle categorie stesse. Per questa ragione la parte del report dedicata alla presentazione dei contenuti delle interviste si conclude proprio con l’individuazione di alcuni profili di povertà riscontrate sul territorio, che si differenziano a seconda degli elementi del profilo degli intervistati. E’ importante specificare che tale operazione rappresenta un traguardo solo temporaneo della ricerca, in quanto si propone di essere al tempo stesso un momento di arrivo e di partenza verso una seconda fase di analisi. Bisogna inoltre sempre ricordare che le categorie non possono in nessuna maniera essere confuse con i concetti ma, al tempo stesso, esse rappresentano strumenti fondamentali per passare dalla descrizione 19 20 L. Richards, J. M. Morse, Fare ricerca qualitativa, Franco Angeli, Milano, 2009. Cfr. R. Bichi, L’intervista biografica. Una proposta metodologica, Vita e Pensiero, Milano, 2002. 15 all’analisi del problema. In questo senso i contenuti emersi saranno oggetto di riflessione da parte del gruppo di pilotaggio e degli intervistati stessi nelle fasi successive dell’indagine e, per tale ragione, devono essere considerati come aperti a nuove integrazioni e rivisitazioni. Solo una volta conclusa anche questa seconda fase della ricerca sarà possibile giungere ai contenuti conoscitivi che sottostanno ai dati e alle categorie da essi costruite. 1.4. Il disegno della ricerca Lo studio delle nuove dinamiche di impoverimento, dei meccanismi di accentuazione collegati alla congiuntura economica la comprensione delle strategie di fronteggiamento attuate sono state realizzate attraverso l’individuazione di una serie di tappe di lavoro. Come già ricordato, da un punto di vista metodologico, l'indagine è proposta come studio dei mutamenti che interessano il campo di forze (Lewin, 1951) degli attori individuati nel corso della loro traiettoria di vita con particolare attenzione allo sviluppo dei fattori di rischio, dei conseguenti mutamenti di traiettoria e dei molteplici effetti individuali, di contesto e sistemici in relazione ai processi di impoverimento. L'approccio utilizzato è di tipo sperimentale, volto a produrre un'elaborazione individuale, collettiva e negoziata (riflessiva) tra attori diversi (individui coinvolti nei processi di impoverimento, operatori dei servizi, referenti delle politiche locali) intorno agli scopi sopra individuati, e volto ad includere nell'analisi il più ampio numero e la più ampia tipologia di fattori intervenenti. Il percorso di ricerca è strutturato in tre fasi. Una prima fase è stata dedicata alla negoziazione con il committente circa la definizione del contesto di indagine e delle poste in gioco: quale e quanta parte delle politiche provinciali e locali vengono messe in discussione attraverso la ricerca e quindi si rendono disponibili al confronto per una loro eventuale trasformazione in base agli esiti della ricerca; Successivamente si è proceduto con l’individuazione di un gruppo di pilotaggio composto da referenti istituzionali, assistenti sociali e ricercatori interessati a sviluppare una riflessione condivisa con altri soggetti coinvolti (cittadini intervistati) in merito ai meccanismi e ai processi di impoverimento. Al gruppo sono state assegnate tre funzioni fondamentali: monitoraggio dell’andamento della ricerca, discussione dei risultati intermedi e definizione delle modalità di organizzazione e gestione del progetto sperimentale. In una fase successiva si è proceduto all’individuazione del gruppo target composto da 17 cittadini residenti nella provincia di Massa-Carrara che nell’ultimo anno si sono rivolti ai servizi sociali territoriali formulando una richiesta di aiuto collegata alla presenza di una situazione di povertà individuale e/o del gruppo familiare di appartenenza. La parte della ricerca diretta a raccogliere sul campo le informazioni relative alle dinamiche di impoverimento è organizzata in due fasi: 16 - la prima, realizzata mediante l’utilizzo di interviste in profondità è diretta alla realizzazione di 17 interviste a cittadini-utenti che si sono rivolti ai servizi sopra indicati, con una specifica attenzione a comprendere nel collettivo di analisi anche cittadini richiedenti non risultati beneficiari in quanto immediatamente sopra soglia rispetto agli standard di ammissibilità previsti. Il campione è stato così costituito: Area di riferimento Massa Carrara Montignoso Società della Salute Lunigiana Totale Numero persone intervistate 6 4 2 5 17 - La seconda, relativa alla costruzione e attivazione del gruppo di ricerca, prevede invece l’ulteriore selezione tra gli intervistati di un sotto-gruppo di 8-10 cittadiniutenti disponibili a partecipare a sessioni di focus group necessari alla modellizzazione dei processi di impoverimento osservati. Terminata questa fase, il gruppo collaborerà con i ricercatori alla formulazione di proposte operative al committente in direzione della programmazione e realizzazione del progetto sperimentale. Il presente report di ricerca rappresenta uno strumento di presentazione dei risultato emersi dal lavoro condotto nella prima delle due fasi sopra brevemente riassunte. Oltre all’attività di ricerca attraverso l’utilizzo di gruppi omogenei (solo cittadiniutenti), i lavori vengono ulteriormente arricchiti attraverso la realizzazione di gruppi misti previsti in fase di restituzione dei risultati emersi dall’indagine. La presentazione dei contenuti, infatti, avviene mediante la realizzazione di incontri nei quali si confrontano e riflettono insieme gli esponenti del gruppo di pilotaggio (considerati testimoni privilegiati) e i cittadini sopra individuati. Questo stesso rapporto di ricerca si propone quindi di andare oltre la mera funzione di esposizione e sintesi dei risultati conoscitivi, ma di costituire strumento per la produzione degli stessi. Tale scelta risponde alla volontà di fare in modo che anche la fase di restituzione degli elementi di analisi raccolti costituisca un ulteriore momento di conoscenza, in vista della redazione del report definitivo e della individuazione delle ipotesi di trasformazione nell’ambito delle politiche e dei servizi. Tab. 1. Le tappe del disegno della ricerca Fasi della ricer Attività ca - Negoziazione con il committente del contesto Prima fase di indagine e delle poste in gioco. Definizione della parte di politiche provinciali e locali da 17 Strumenti di ricerca adottati - riunioni organizzative e di coordinamento delle attività della ricerca. - riunioni per la definizione delle poste in gioco sottoporre al confronto e alla eventuale trasformazione in base agli esiti della ricerca Seconda fase - Individuazione di un gruppo di pilotaggio (referenti istituzionali, assistenti sociali e ricercatori). In gruppo ha funzioni di: monitoraggio, discussione dei risultati intermedi, lavoro all’interno del gruppo allargato operante nella terza fase della ricerca - realizzazione delle interviste narrative - riunioni di lavoro del gruppo di pilotaggio per la condivisione dell’oggetto di ricerca e l’individuazione del campione di cittadini da intervistare. - mappa semantica e intervista narrativa Primo report di ricerca di presentazione dei materiali raccolti dalle interviste e strumento di lavoro per la terza fase della ricerca - focus grups composti da 8-10 - Attività di modellizzazione dei processi di cittadini precedentemente impoverimento e analisi delle criticità intervistati, 2 rappresentanti del Terza fase nell’ambito delle politiche e dei servizi gruppo di pilotaggio e 2 ricercatori finalizzati al contrasto della povertà con funzioni di mediatore e osservatore Rapporto di ricerca finale contenente proposte operative per il miglioramento dell'efficacia degli interventi di contrasto alla povertà 18 CAPITOLO II GLI AMBITI DI AZIONE DEI MECCANISMI DI IMPOVERIEMNTO: I CONTENUTI EMERSI DALLE INTERVISTE 2.1. Il mercato del lavoro e la ricerca dell’occupazione Come ampiamente riconosciuto in letteratura21, la condizione occupazionale costituisce uno dei fattori maggiormente rilevanti nella definizione dei livelli di benessere/malessere dell’individuo, con riferimento alla sua condizione materiale e psicologica. Non è un caso che le problematiche relative al lavoro costituiscano una delle tematiche maggiormente affrontate da parte degli intervistati. L’occupazione è infatti considerata uno degli elementi fondamentali nella valutazione dei livelli di benessere della vita, senza particolari distinzioni di genere e fascia di età analizzata. Molto alta sembra la consapevolezza che il benessere derivante dall’avere un’occupazione sia in grado di travalicare la semplice disponibilità di risorse materiali, riversando i sui effetti nella costruzione del senso di sé e sulla possibilità di sviluppare una vita relazionale soddisfacente. Essere occupati permette infatti di preservare un’opinione di sé, con sé stessi e con gli altri, tale da sentirsi adeguati al contesto sociale nel quale si vive. Emblematica è la situazione di disagio sociale manifestata da Francesco, uomo di 54 anni con alle spalle un lungo periodo di disoccupazione in seguito all’insorgenza di gravi problemi di salute, oggi superati. La sensazione di emarginazione sociale percepita sembra pesare almeno nella stessa misura della condizione di deprivazione economica. Io non ne posso più di passare tutte le mie giornate ai giardinetti. Un po’ lo sopporti e magari ti fa anche comodo. Io in tanti anni le ferie quasi non le ho fatte. Ma poi inizi a sentirti un parassita, un buono a nulla e senza nulla nelle tasche. Ti senti emarginato e pensi che anche gli altri ti vedono come tale….ad esempio le persone che passano tutte le mattine di qui e mi trovano nella stessa zona come un vagabondo. Finisci per deprimerti veramente. (Francesco, 54 anni) La condizione di malessere psicologico legati all’inattività forzata sembra manifestare i suoi effetti anche in relazione alla capacità di esternare la propria condizione di sofferenza nelle sedi istituzionali contattate, nella ricerca di ipotesi di soluzione. Si ricorda a questo proposito il caso di Giovanni che giunge a contattare le istituzioni comunali senza poi riuscire a presentarsi all’appuntamento concordato perché in preda allo sconforto e al senso di impotenza. Io ho preso anche un appuntamento con il sindaco per parlare della mia situazione, ma anche, più in generale, di quello che sta succedendo a tutta la 21 Cfr. G. Rovati, (a cura di), Povertà e lavoro, Carocci, Roma, 2007. 19 gente come me, che siamo in tanti, ma poi non ci sono andato perchè non mi sentivo bene a parlarne, ero in crisi. Pensavo che tanto non sarebbe servito a niente e che ero troppo disperato. (Giovanni, 42 anni) Più in generale, gli effetti psicologici della condizione di disoccupazione portano le persone a vedere il quadro lavorativo che gli si prospetta davanti come fosco e difficilmente risolvibile. Anche fuori da Aulla non c'è proprio niente. E' dura anche tenere il lavoro per chi ce lo ha ancora. Le fabbriche chiudono tutti i giorni e la gente è nelle strade. Il lavoro impiegatizio è quasi estinto. La situazione è tragica. Poi magari è la mia situazione interna che mi porta a vedere tutto nero, magari è un aspetto personale, però mi sembra che ascoltando la gente che passa qui dai bar dove trascorro le giornate non è che la musica cambi molto. La mia poi è una situazione più grave, ma in questo contesto è veramente un problema riuscire a rialzare la testa. (Paolo, 48 anni) La perdita del lavoro può avvenire per una pluralità di motivi che possiamo distinguere in due macro-aggregati: da una parte troviamo le interruzioni per cause di forza maggiore legate a fattori i tipo soggettivo, come ad esempio l’insorgenza di problemi di salute gravi, il fatto di essere stato coinvolto in questioni giudiziarie e così via; dall’altro, il licenziamento o il fallimento di un’attività di impresa a causa della diminuzione dell’offerta di lavoro. In entrambi i casi, per molte delle persone intervistate, la perdita del lavoro si è manifestata come un fulmine a cielo sereno lasciandole sbalordite e disorientate per le condizioni di vita nelle quali si sono repentinamente trovate. Lo smarrimento è la situazione che più di altre connota lo stato d’animo di chi si affaccia per la prima volta al fenomeno della povertà; la depressione, frutto della sofferenza psicologica legata al brusco cambiamento di vita, rappresenta uno spettro incombente. A questo proposito un esempio è costituito dalla testimonianza di un giovane imprenditore operante nel settore nautico che non aveva mai sperimentato situazioni di sofferenza economica prima del 2008, avendo, al contrario, un tenore di vita agiato. Nella sua storia l’insorgenza rapida e violenta della condizione di deprivazione economica si associa allo stupore e al malessere psicologico. Sono ritornato in Italia dalla Germania nel 2001. Le cose andavano piuttosto bene, non mi potevo lamentare. Venni in Italia perchè avevo la ditta su in Germania e mi faceva piacere tornare...poi qui c’era anche mio fratello che mi poteva dare una mano. Dopo poco le commesse hanno iniziato a scarseggiare. Con la chiusura siamo finiti nelle peste tutti e due. Tutto è successo così, quasi all’improvviso e come un lampo. Davvero in pochissimi mesi. Perché i costi fissi ci sono e sono alti. Un anno e mezzo fa avevo una ditta individuale nel settore nautico...avevo i miei operai e andava tutto abbastanza bene. Poi c'è stata questa crisi venuta tutta in un colpo. Ho dovuto chiudere la ditta e con i pochi soldi che avevo ho pagato gli operai e ho cercato di non lasciare debiti in giro. Ma mi ci sono voluti tutti. Sono rimasto senza niente. Io non avrei mai pensato di trovarmi in questa condizione qui. Ora inizio a orientarmi ma, ti giuro, ho fatto fatica a 20 capire che non si trattava di un brutto sogno. Sono rimasto quasi come inebetito. Poi sono riuscito ad andare avanti ancora per due-tre mesi convinto di riuscire a trovare un altro lavoro, qualsiasi esso fosse, per poter prendere uno stipendio. Speravo come dipendete perchè come artigiano non si trova proprio più niente. Dopo questo periodo ho toccato il fondo perchè il lavoro non lo ho trovato. I miei risparmi erano finiti, dovevo pagare l'affitto e non sapevo dove trovare i soldi tanto è vero che ho avuto lo sfratto. Non sapevo dove andare a rivolgermi. Se non bastasse, in più, avevo la moglie malata, che non ha retto molto a questi stress così brutali. E anche io non reggevo tanto bene. (Luca, 41 anni) All’interno di un numero elevato di narrazioni si rileva il fatto che le persone provengono da una carriera lavorativa, a volte anche piuttosto lunga e solida, presso una stessa realtà nella quale hanno sviluppato competenze ed esperienze. In questo senso la condizione di disoccupato sembra interessare non solo coloro che si affacciano per la prima volta nel mercato del lavoro, oppure persone che hanno nel proprio curriculum lavorativo una pluralità di esperienze dequalificate e frammentate, ma anche coloro che hanno una professionalità già acquisita. Io sono un capo cantiere. Ho iniziato come operaio quando ero giovanissimo e dopo una decina di anni ho preso questo ruolo di responsabilità. Si da il caso che sia anche uno di quelli molto competenti, ho lavorato con ingegneri che avevano bisogno della mia esperienza lavorativa ed ho insegnato il mestiere veramente a tanta gente. Dico questo perché le persone me lo riconoscono e mi fa piacere. Io avevo veramente un bello stipendio. Ho lavorato 25 anni per una ditta e poi altri 13 per quest’ultima che poi era sorella della precedente. Quindi nessuno si è mai lamentato di me, anzi. Poi sono diminuite le commesse. Prima sono dovuti andare a casa alcuni miei uomini e poi alla fine è toccato a me. Ed io adesso sono a pochi anni dalla pensione e nessuno mi riassume, e poi ad ogni modo non c’è tanto lavoro in giro. (Michele, 59 anni) Francamente io inizierei a parlare dicendo che io ho sempre lavorato. Poi mi è successo il problema di salute che mi ha fatto stare a casa dal lavoro per troppo tempo e adesso è un problema. Ma io nella mia vita ho lavorato sempre, sempre. Per la ricerca del lavoro la difficoltà principale è l'età. Tutti vogliono apprendisti. Io ho 50 anni e pur avendo molte esperienze in più campi...tutti mi parlano della crisi e che non possono pagare troppo quindi vogliono un apprendista che lo possano pagare meno. (Eugenia, 50 anni) Come già anticipato, anche negli ultimi due estratti delle interviste, il fatto di avere competenze maturate sul campo e buone referenze di qualifica del percorso lavorativo sembrano non costituire aspetti tali da rendere queste figure di disoccupati favoriti nel reclutamento di nuovi lavori. Uno dei parametri maggiormente rilevanti, invece, è costituito dalla giovane età. Questa infatti, insieme alla possibilità di inquadrare i neo lavoratori nel profilo professionale di apprendista, si configura come la soluzione più conveniente da parte dei potenziali datori di lavoro. 21 Sopratutto quelli come me iniziano a sentire questo ingranaggio della disoccupazione perchè ormai è difficilissimo inserirsi in una realtà per la prima volta se sei italiano e non sei più giovanissimo. Anche nei cantieri edili sono tutti stranieri e/o apprendisti. Io ho un mucchio di amici che lavorano o lavoravano in questo settore, magari intorno ai 40 anni, e quindi con un bel po' di esperienza sulle spalle. Anche loro sono stati mandati a casa con una scusa o un'altra e sono stati assunti dei ragazzi giovani. I giovani li inquadrano come apprendisti, oppure prendono stranieri al loro posto che lavorano in nero, molto sottopagati e permettono di avere delle riduzioni nel pagamento dei contributi. Il fatto è che costano meno, molto meno, sia assicurati sia, figuriamoci, in nero. E' un bel problema questo qui. Il lavoro in questi settori per gli italiani adulti non c'è più, punto e basta, quando finisci il periodo da apprendista ti mandano a casa e ne prendono un altro. Ma molti uomini adulti come me hanno la qualifica per lavorare in questi settori e basta. E se perdi il lavoro a 40 anni e hai sempre fatto questo, con una famiglia, con figli piccoli alle spalle, che cosa fai? Che cosa vai a fare? Continui a cercare lavoro in quel settore e non lo trovi, oppure vai a fare lavoretti in nero dove ti capita, ma non ci mangi mica! (Giovanni, 42 anni) Se tu cadi in povertà sei invisibile. Il lavoro non c’è, e se esci dal tuo posto di lavoro che hai per qualche miracolo, non rientri più! Ma più! Hai voglia di avere esperienza, voglia di lavorare e tutto quello che vuoi, quando sei fuori sei fuori. Per le persone come me è un casino grosso, perchè giovane non sono più, ma sono anche lontano dalla pensione, e se non lavoro? La pensione di invalidità o altro me la posso scordare, ma a lavorare non mi prendono perchè sono invalido. E’ un vicolo cieco. Non saprei... (Alberto, 52) Il periodo di crisi economica avviatosi a partire del 2008 ha indebolito fortemente una pluralità di profili professionali. Se da un lato l’aumento del costo della vita ha intaccato il potere d’acquisto dei percettori di reddito fisso, dall’altro ha dato origine ad una forte contrazione dell’offerta di lavoro creando, come visto nelle narrazioni precedenti, forme di disoccupazione anche in soggetti che fino ad oggi non avevano mai avuto problemi nel trovare un lavoro. La contrazione dell’occupazione legata alla diminuzione di lavoro in alcuni casi non è stata sufficiente a salvare la stabilità di alcune realtà lavorative. Ad aver risentito fortemente del periodo di crisi sembrano essere soprattutto le piccole imprese operanti nell’edilizia, nella cantieristica e nella lavorazione del marmo, in passato ampiamente diffuse sul territorio. La chiusure dell’impresa, per alcuni degli intervistati, ha rappresentato il tracollo finanziario, soprattutto in quelle situazioni in cui l’imprenditore ha provato a far sopravvivere la realtà produttiva per il maggior tempo possibile, in attesa di una ripresa all’interno del settore. Prima del 2008 io avevo un'impresa edile mia con 5-6 dipendenti.....e adesso devo andare a cercare il ferro in giro per portare qualche cosina a casa, altrimenti neanche gli alimenti riesco a portare a casa da mangiare ai miei figli. Dal 2008 a oggi io non riesco ad andare aventi. Lavoro non c'è nell'edilizia. C'è tanta concorrenza spietata di rumeni 22 e albanesi. Le istituzioni non fanno controlli a queste persone e ditte qui perché vivono nel lavoro in nero e loro si possono permettere di fare dei prezzi stracciatissimi che battono tutti gli altri. Loro fanno i prezzi e preventivi bassissimi che non si capisce come fanno a pagare i materiali, contributi e operai. Prima del 2008 io ho dovuto vendere la macchina per pagare le buste paga dei miei operai. E ho visto che da li cominciava il casino. Lavoro da dipendente anche non si trova. (Marco, 36 anni) Quando il settore andava, chi aveva una ditta come me qualche cosa riusciva a fare e alla fine ce la si faceva a scamparla, ma per il lavoro dipendente era già un problema da qualche anno. Si immagini oggi con la crisi che c'è. Non ci sono commesse, non ci sono lavori e si chiude e si licenzia. Io ho venduto tutto quello che avevo per provare a portare avanti la ditta pagando gli stipendi, nella speranza che il periodo passasse e si ritrovasse lavoro. Ma l'onda è lunga da passare e dopo un po' si affoga. Cercano persone dequalificate da pagare poco e da prendere per brevi periodi. (Giovanni, 42 anni) Il lavoro rappresenta una delle fondamentali criticità anche all’interno delle biografie degli intervistati più giovani. Dalle loro storie quello che si deduce è una forte sofferenza legata alla elevata flessibilità del lavoro che, spesso, si traduce in precarietà dell’occupazione. Tale condizione ostacola il soggetto nella costruzione di un profilo lavorativo qualificato e nell’acquisizione di conoscenze adeguate a permettere un progressivo incremento nella possibilità di aspirare a figure occupazionali che richiedono una maggiore competenza maturata sul posto di lavoro. Oltre alla precarietà e alla bassa qualifica delle occupazioni disponibili - che portano il soggetto a alternare periodi di occupazione a altri di inattività, nell’ambito di mansioni spesso inferiori alla formazione posseduta - alcuni giovani si scontrano anche con il problema del lavoro sottopagato. Tipici esempi sono rappresentati da esperienze come l’assunzione in regime di apprendistato o la prestazione d’opera tramite agenzie di lavoro interinali. Nel primo caso la forma contrattuale di fatto serve a coprire un contratto di lavoro professionale già esperto e interessa individui con competenze sviluppate in precedenza, nel secondo caso, invece, si tratta di lavori saltuari che, in alcuni casi, vincolano l’interessato a rimanere a disposizione della società per archi di tempo anche lunghi, senza garanzia di essere chiamati a lavorare e senza indennizzo dei tempi di attesa improduttivi. Io ormai per professione faccio la cercatrice di lavoro per me stessa, ovviamente senza trovare mai assolutamente niente o quasi. Il problema è questo: nella maggior parte dei casi richiedono una persona giovane, con esperienza, da assumere come apprendista. Una contraddizione in termini no? Se sono giovane non ho esperienza, se ho esperienza non sono apprendista! Alla fine mi rifiutano da tutte le parti. Alcune volte ho trovato qualche cosa come barista o addetta alle pulizie nelle cucine, ma si tratta di lavori stagionali. Il diploma di maturità ovviamente è come non averlo, ormai non vale più niente. Vivo con lavoretti così. Ma dove vado in questa situazione? Proprio non saprei, è anche degradante a lungo andare…io ad esempio negli ultimi tempi inizio ad accusare. Adesso spero nell’ottenimento della laurea [gli mancano pochi 23 esami al conseguimento del titolo], ho già iniziato a studiare per i futuri concorsi. Speriamo ce ne siano. Le spese della casa sono tante e io sono orfana di tutti e due i genitori e non ho più neanche i nonni. Me la dovrei cavare da me. Infatti sono dal servizio sociale perché è impossibile. (Alice, 31 anni) Io ho lavorato anche con le agenzie interinali ma si tratta di lavori brevissimi, per esempio ti fanno lavorare una settimana e poi basta. Magari ti richiamano dopo due mesi e ti fanno fare 15 giorni e poi basta. E poi si guadagna pochissimo. Se lo dico non ci si crede nemmeno. Io sono arrivata a prendere 30 euro in tutto per lavorare 6 ore al giorno per una settimana. Le alternative sono due: non ti chiamano, oppure se ti chiamano sono lavori così, durano poco e sono molto sottopagati. Un’agenzia mi faceva fare diversi lavori, addetta alla mensa, servizi di pulizia nelle banche ecc.. Ma i prezzi erano molto, molto ridotti. Sarà la nostra città, sarà perchè ormai è così, i prezzi sono veramente ridicoli e il costo della vita è aumentato in modo esponenziale. I lavori interinali poi sono terribili. E' buono perchè sono loro ad inserirti, ma la durata è brevissima. Una volta mi hanno chiamato per un giorno soltanto per fare 5 ore di sera e mi hanno dato pochissimo e poi non mi hanno più chiamato. (Francesca, 32 anni) Io ho cercato lavoro in tutti i modi, anche con le agenzie di lavoro interinale, ma lì è davvero l’ultima spiaggia. Ti fanno lavorare pochissimo e sempre su chiamata. Questo non è un bene….si dice la flessibilità. Lavorare su chiamata significa che tu devi rimanere a disposizione delle loro richieste, perché se una volta ti chiamano e tu per qualche motivo non puoi, non ti chiamano più. Ora loro in realtà ti chiamano poco e ti pagano pochissimo e per stare dietro alle loro esigenze finisce che perdi anche altre piccole occasioni di fare lavoretti, magari in nero, che sono sempre pagati poco, ma almeno un po’ di più. Alla fine vado avanti così, ma anche questa non è una soluzione. (Giovanna, 33 anni) La precarietà nel lavoro nella fascia giovanile si ripercuote anche nella sfera della progettualità nel proprio percorso di vita, trattenendo la persona per lungo periodo all’interno di una sorta di limbo che si caratterizza per la scarsezza di risorse materiali, in alcuni casi anche molto gravi, sopratutto per coloro che non possono usufruire di aiuti da parte della rete di relazioni informali. Questa condizione lavorativa qui di incertezza è un vero problema anche perché tu non puoi pianificare nulla. Ti tolgono anche i sogni. Io non ho un lavoro, il mio compagno lavora quando si e quando no. Dove andiamo? Che cosa progettiamo insieme? Si vive alla giornata sperando che le cose cambino e intanto passiamo i nostri anni a pensare a come pagare l’affitto a fine mese per evitare che ci buttino in mezzo ad una strada. In casa persone che ci possono aiutare non ce ne sono. Quando ce la fanno ci aiutano con la spesa, è già tanto perché molte volte anche quella è un problema serio. (Giovanna, 33 anni) 24 Oltre alle storie di disoccupazione intervenuta negli ultimi anni, in seguito alla contrazione dei posti di lavoro, c’è anche la povertà di coloro che hanno alle spalle una storia di vita piena di vicissitudini complesse nelle quali più forme di disagio e vulnerabilità si sono sommate. Un esempio è rappresentato dalla storia di un signore ormai prossimo al pensionamento che ha avuto una vita familiare turbolenta, problemi con la giustizia e ha svolto lavori scarsamente qualificati, spesso non regolari. Afferma di aver provato più volte a cambiare il proprio destino cercando di lasciarsi alle spalle gli errori commessi, ma di non esserci riuscito per vincoli estranei alla sua volontà. Io ho sbagliato ma ho pagato. Ho fatto male i calcoli e mi hanno rimandato in Italia (viveva in Olanda). Questo è il minimo dei problemi. Io sono contento di aver pagato i conti che dovevo, ma da allora ho messo la testa apposto e ho voluto avere una vita normale e onesta. Il problema è che questo non ti è permesso. Tra un anno dovrei andare in pensione. Sono alle prese per mettere insieme i contributi che ho maturato in Italia e all’estero. In caso che non bastino mi tocca la minima: 450 euro e dove vado? Io ho pagato nella vita e sono cambiato da così a così, masticando i problemi tutti i santi giorni. Ho cercato lavoro in tutti i modi per garantirmi una vita tranquilla. Vedendo che facevo questo pensavo di essere veramente forte, ma questo è quello che la società mi da come ricompensa. Non riesco a trovare uno straccio di lavoro, neanche a morire. Adesso vivo con piccoli lavoretti quando mi capitano: taglio la legna, giardinaggio ecc. Io sarei utile a tutto, a fare qualsiasi cosa pur di portare a casa qualche soldo. Io vorrei sudarmi la mia pagnotta. Quando vado in giro, anche ai servizi sociali non chiedo soldi, ma lavoro. (Maurizio, 64 anni) La permanenza della indisponibilità di risorse economiche per lungo tempo comporta anche una progressiva diminuzione degli strumenti necessari a potersi nuovamente riproporre nel mercato del lavoro. La perdita della possibilità di avere un mezzo di trasporto proprio, un abbigliamento adeguato o l’accesso ad un collegamento internet ne rappresentano degli esempi concreti. In questo senso la perdita del lavoro si ripercuote negativamente nella capacità di avere a disposizione risorse strumentali per poter esercitare nuovamente la professione nel caso fortunato in cui se ne presenti l’occasione. In questo settore [la telefonia] avevo lavorato per alcuni anni, ma anche qui non avendo i soldi per mettere la benzina nel motorino, è diventato un problema. Si è trattato di una cosa di pochi giorni. Mica mi potevano anticipare lo stipendio! E poi come andavo a lavorare dopo aver dormito per strada o quasi!? Alla fine era un problema anche ricevere le comunicazioni o farle…mica ho il computer o la mail. In questa situazione non posso fare contratti, non posso fare niente, sono sprofondato troppo giù sotto tutti i punti di vista. (Paolo, 48 anni) Io ho portato un bel po’ di curriculum in giro. Ovviamente nei posti in cui potevo andare muovendomi a piedi o quasi. Se inizi a prendere il treno e gli autobus tutti i giorni diventa una spesa. Il fatto è che da quando non ho più la macchina, nella scelta dei posti in cui andare a chiedere 25 lavoro devo stare attenta, perché è inutile andare dove poi occorre la macchina tutti i giorni per recarcisi, oppure 3 ore a piedi. Io con uno, due stipendi mi sistemerei con i trasporti, ma non è una bella presentazione per il datore di lavoro spiegargli com’è la mia situazione. E poi ci sono tante persone che il mezzo ce lo hanno subito. (Francesca, 32 anni) 2.2. Il costo della vita e l’inadeguatezza del reddito Tra le dinamiche alla base dell’impoverimento delle persone intervistate, non riconducibili a responsabilità personali oppure del gruppo familiare, devono essere inclusi anche l’insieme di meccanismi che sottostanno al fenomeno dell’indebitamento. Tale situazione, nei soggetti intervistati, non sembra legata al fatto di seguire modelli di consumo non corrispondenti al livello di reddito disponibile, ma viene connessa alla difficoltà di fuoriuscire dalla povertà, anche nel caso in cui la condizione economica subisca un miglioramento, come ad esempio nelle situazioni in cui un membro della famiglia riesca a trovare un’occupazione. Di seguito si riportano alcuni brevi estratti dai quali emergono con chiarezza le difficoltà legate alla possibilità di “rimettere in pari i conti” disponendo di uno stipendio adeguato, ma ereditando molti debiti dal precedente periodo di sofferenza economica. I pagamenti dei canoni di locazione arretrata, così come altre forme di finanziamento stipulate per far carico alle esigenze elementari del nucleo familiare, finiscono per assorbire buona parte delle risorse disponibili e non permettono di smarcarsi in maniera netta dalla condizione di povertà. La vulnerabilità dei soggetti che trovano un’occupazione, inoltre, nella maggior parte dei casi, non viene debellata, in quanto la possibilità di disporre di un’entrata finanziaria costante e adeguata ai bisogni, frequentemente, ha una durata limitata. Nello scenario dell’immediato futuro di questi nuclei, quindi, rimane lo spettro della ripetizione della condizione di sofferenza economica in seguito ad una nuova diminuzione o a una temporanea interruzione del reddito. Analizzando le testimonianze delle persone intervistate si rintracciano situazioni in cui la disponibilità di reddito rispetto ai bisogni del nucleo familiare assume un andamento oscillante, passando continuamente da un livello di adeguatezza ad uno di inadeguatezza. Tale condizione, inoltre, non sembra contribuire alla costruzione di momenti nei quali la situazione di povertà subisce un arresto, una sospensione, a causa della persistenza delle condizioni debitorie precedentemente instaurate. Testimonianze di quanto affermato si rintracciano nelle narrazioni di due donne, una italiana e una straniera, dove la condizione di affanno nel far fronte alle spese non si attenua nemmeno quando la disponibilità di denaro aumenta. Al contrario, alcuni debiti, come quelli relativi al pagamento del canone di locazione, hanno raggiunto entità talmente alte da non poter essere sanate interamente nemmeno nei mesi di maggiore disponibilità di 26 risorse. Quando lo stipendio diminuisce il nucleo familiare ha ancora sulle spalle le insolvenze dei passati momenti di sofferenza. Il mio compagno lavora, ma in inverno può stare anche tre mesi se non di più a casa per via del calo del lavoro e per il clima. Questo mette sempre la famiglia in crisi. Essendo artigiano, inoltre deve pagare le tasse che sono molto alte, anche se non lavora. Fino ad adesso non siamo riusciti ad uscirne fuori dalla povertà perchè appena prende lo stipendio c'è sempre qualche cosa da pagare. Anche per l'affitto siamo 6 mesi indietro e abbiamo dei debiti. (Maria, 33 anni) Il lavoro c'è adesso, per fortuna, ma sono rimasti anche i debiti e fino ad ora ogni volta che prendiamo i soldi occorre pagare qualche cosa di arretrato e quindi non si riesce a respirare. I servizi adesso non sono in grado di fare carico a questo tipo di emergenza. Se riuscissimo a trovare il modo di liberarci dai debiti accumulati nel passato, magari chiedendo il contributo per il pagamento dell'affitto in futuro (speriamo!) le cose inizierebbero ad andare meglio. Il fatto è che si continua ad avere l’acqua alla gola. Al di la del fatto che la situazione oggi potrebbe essere un po' migliorata, non si riesce ad alzare la testa ugualmente. Per adesso il lavoro c'è, ma bisogna considerare che quando ritorna la bassa stagione lo stipendio diminuisce e non potremo nuovamente far carico a tutte le spese….è così che aumentano i debiti. Quando arriva l'inverno le cose cambiano, ma se non avessimo i debiti vecchi potremmo riuscire a far carico a tutte le spese senza creare nuovi debiti, magari tirando un po' la corda. Con il debito sulle spalle si finisce per annegare. (Katia, 33 anni) Per la casa, ad esempio, io ci devo 13 mensilità. E come posso migliorare la mia situazione? Continuo a non avere il pane per mangiare, anche se per qualche mese trovo un lavoro. (Maurizio, 64 anni) Il problema e la preoccupazione è che tutto ricominci da capo a partire da settembre non avendo più il lavoro. Temo che ricomincerò con la spirale dell'indebitamento, la storia che ho vissuto quest’anno si ripeterà. Qui la povertà si sentirà ogni giorno di più. E’ un male. (Katia, 33 anni) Particolarmente interessante è la percezione dell’aumento del costo della vita testimoniato da una signora polacca, residente in Italia da 15 anni. Dalle sue parole si avverte una maggiore fatica, registrata in tempi recenti, a far fronte alle esigenze della propria famiglia, rispetto ai primi momenti del suo soggiorno nel nostro paese, quando le risorse a disposizione erano tutte da costruire. I rincari di tutto sono un bel problema per me. Io sono in Italia da 15 anni. Quando sono arrivata non avevo niente, ma si riusciva a campare bene con molto meno qui in Italia. Mi ricordo che trovai subito un lavoro come badante e con quel piccolo stipendio, facendo un po’ di sacrifici, riuscivo a pagare un affitto, a mangiare e con un po’ di pazienza, ho anche arredato la casa. Piccole soddisfazioni. Oggi tutto questo è impossibile. Io 27 faccio lo stesso lavoro, ma lo stipendio non basta più per pagare tutto e mi sono dovuta rivolgere all’assistente sociale. Certi mesi quando ho da pagare l’affitto e la rata del condominio devo andare a prendere la spesa alla distribuzione perché è meglio che non spenda soldi nei supermercati. Questa è la situazione oggi. Io sono lentamente finita in difficoltà dopo un bel po’ che ero in Italia. Beh questo non me lo sarei nemmeno aspettata. (Anja, 45 anni) Il costo della vita viene avvertito come un fattore di forte peso al punto da impedire alle persone di usufruire di beni e servizi di prima necessità. Questo avviene, ad esempio, per la difficoltà di avere accesso a forme di finanziamento in assenza di un lavoro legale, oppure di una pensione e della relativa documentazione che attesti la costante entrata di un reddito. Uno dei cambiamenti importanti dopo la morte della nonna, che aveva una pensione, è stato il non poter più comprare niente di importante nel caso in cui ce ne sia bisogno. Ad esempio, noi abbiamo avuto bisogno di comprare un frigorifero, perché il nostro si era definitivamente rotto, e non lo abbiamo potuto fare perchè non avevamo una busta paga per fare il finanziamento. Ovviamente il contante per pagarlo non ce lo avevamo, significava stare un mese senza mangiare. Poi con i rincari c’è tutto il resto che non si può più fare. Adesso tutto è aumentato di prezzo e nonostante una persona faccia sacrifici su sacrifici, a volte questi non bastano. (Francesca, 32 anni) L’incremento del costo della vita spesso manifesta i suoi effetti in maniera lenta ma inesorabile. In un primo momento le persone riescono a far fronte alla situazione attraverso il ricorso ai risparmi posseduti e all’aiuto della rete di relazioni personali. Nel caso in cui la situazione si prolunghi nel tempo questi tipi di ammortizzatori si erodono e si giunge alla discesa nella condizione di povertà. Il problema del rincaro del costo della vita si fa sentire, non solo nei casi più gravi di persone che non dispongono di un’entrata economica legata alla disoccupazione di breve, media o lunga durata, ma interessano una parte di soggetti che in passato potevamo definire come “quasi poveri”. Ci si riferisce alla parte di individui che fino a qualche anno fa riusciva, seppur a fatica, a far fronte a tutte le esigenze fondamentali proprie e della famiglia, ma che adesso non ci riesce più a causa dell’innalzamento dei prezzi. La situazione diviene ancora più grave nel caso in cui la persona sia interessata anche da una contrazione dell’orario di lavoro oppure, in generale, da una diminuzione della retribuzione percepita in passato. La povertà economica ho iniziato a sentirla gradualmente a partire da tre anni fa quando, non trovando grandi cose di lavoro, e guadagnando un po’ meno, ho iniziato a tirare fuori qualche cosa di quello che avevo messo da parte. D’altra parte in giro tutto è aumentato. Una volta finiti i risparmi, per un po’ mi hanno aiutato in famiglia, ma alla lunga mi sono trovata nei guai. Intanto mi sono separata, mi sono trovata con una figlia di 10 anni e un affitto da pagare. Ad un certo punto non ce l'ho fatta più e sono 28 venuta dall'assistente sociale. Ho passato dei periodi bruttissimi. Sono rimasta 10 mesi senza pagare l'affitto e due-tre mesi senza avere quasi nulla da mangiare. Poi è diminuito anche il numero di persone che ti chiamano per lavorare a causa della crisi economica e così è diventato un disastro. Prima nelle famiglie lavoravano in due, adesso in quasi tutte le famiglie è una persona sola a portare a casa lo stipendio. Io vedo molte persone che conosco da anni che prima lavoravano durate l'estate con una certa regolarità, oppure che avevano un'occupazione minima. Oggi queste persone non hanno più nulla, sono a zero. Parlo anche di italiani, non solo di stranieri. Anche gli italiani nati e cresciuti a Massa non hanno più nulla. Conosco situazioni di famiglie di italiani dove in una casa di 4-5 persone oggi lavora solo una persona, ieri lavoravano in tre. Ovviamente se c'è anche da pagare l'affitto si affoga. (Samantha, 36 anni) La condizione di malessere e sofferenza economica legata alla questione lavorativa e al rincaro del costo della vita, nell’opinione delle persone interessate, costituisce un fenomeno che va oltre la propria condizione personale. In questo senso è molto alta la consapevolezza di essere vittime di un insieme di meccanismi macrosociali legati alle caratteristiche del mercato e alla rete delle politiche di contrasto alla povertà. Spesso viene sottolineata la necessità di migliorare la capacità di intervento sui meccanismi che stanno alla base dei processi di impoverimento da realizzarsi attraverso l’attuazione di interventi più mirati e tempestivi. Mi dispiace per lei che le devo dare queste brutte notizie, ma è la realtà quella che c'è qui. Farà altre interviste e sono sicuro che loro le diranno le stesse cose. Per me il treno si è fermato a partire dal 2008, ma credo che gli altri siano più o meno sulla stessa barca, bene o male la situazione è più o meno la stessa per tanti. Il fatto è che il problema è generale. Poi anche le politiche di sostegno se ti trovi in una situazione di difficoltà sono quelle che sono. Occorrerebbe intervenire bene e soprattutto in fretta, appena uno inizia ad accusare i segni del crollo, in modo da evitare che la persona cada a picco. Alla fine così è più costoso per tutti rialzarsi. (Giovanni, 42 anni) 2.3. La questione alloggiativa Il problema della sistemazione alloggiativi costituisce, insieme al lavoro, una delle criticità fondamentali in caso di scarsezza di risorse economiche. A soffrire di più, come prevedibile, sono le persone che non dispongono di un alloggio di proprietà e che devono pagare un canone di locazione. Il pagamento della retta mensile costituisce una delle principali forme di indebitamento dalle quali frequentemente è difficile smarcarsi, anche quando la condizione delle entrate economiche subisce dei miglioramenti. Molte delle persone intervistate hanno un’elevata morosità e sono quotidianamente a rischio di ricevere lo sfratto. Una soluzione alternativa al pagamento dell’affitto, in alcuni casi praticata, è rappresentata dal ricorso alla coabitazione con altri membri della famiglia (principalmente genitori, spesso anziani) all’interno di situazioni abitative non adeguate alle esigenze di tutti i membri. Queste forme di convivenza forzata, inoltre, frequentemente creano delle 29 situazioni di tensione all’interno del contesto parentale e, se protratte per lunghi periodi di tempo, possono causare anche vere e proprie forme di conflittualità. La percezione di tale rischio è avvertita molto dagli intervistati che, non a caso, fanno ricorso a questo tipo di strategia alloggiativia solo nel momento in cui la condizione di morosità è completamente insostenibile, come ad esempio davanti ad uno sfratto esecutivo. Quando ho perso il lavoro, dopo pochi mesi ho perso anche la casa perché non riuscivo a pagare l’affitto. Quando proprio non ce la facevo più mi sono decisa a tornare dai miei genitori che sono molto anziani. La situazione abitativa è pessima. Per avere un po’ di indipendenza reciproca e mio figlio ci siamo adattati in una sorta di scantinato. I servizi sono in comune e non c’è il riscaldamento. Insomma non è la situazione ideale. Poi, come se non bastasse, i miei fratelli non sono molto felici che noi si viva in quella casa…..queste cose sono così. (Eugenio, 50 anni) Io adesso proprio non posso pagarmi un affitto. Da quasi un anno ho lasciato la casa e adesso vivo da una mia vecchia zia. Ci tengo a precisare che anche lei non ha tutta questa disponibilità di spazi e io dormo in una sedia sdraio. Comunque per me è importante perché altrimenti ero su questa panchina del giardinetto anche la notte. Il fatto è che la cosa non è vista bene, né dai parenti, né dai servizi, perché la zia vive in una casa popolare e alcuni credono che nel caso in cui lei muoia io voglia vantare dei diritti. Morale della favola: non mi ci fanno prendere la residenza e così io, di fatto, risulto un senza fissa dimora, che è un problema per un sacco di ragioni. Tutto questo perché tre anni fa ho avuto un infarto. (Francesco, 54 anni) Alcune delle persone intervistare usufruiscono, oppure sono a conoscenza, del servizio di integrazione al pagamento del canone di locazione. Si tratta di uno strumento che, quando trova attuazione, costituisce un’importante forma di sollievo alla condizione di sofferenza economica. All’interno di alcune interviste, però, viene riportata la difficoltà o l’impossibilità di ottenere il contributo a causa di una situazione di morosità nel pagamento delle rate pregresse e della necessità di avere un contratto di locazione per presentare la domanda. Anche per la casa è un problema! Il contributo per pagare l'affitto in teoria ci sarebbe ma i cavilli per riuscire ad avere i soldi sono tantissimi. Occorre essere in pari con il pagamento, avere contratto regolare, persone che ti danno la casa oneste ecc. Ma questo tipo di affitti non li danno a gente disgraziata come noi, che con il contratto paghi un casino di più. Io ad esempio ho il contratto, per puro caso, ma il proprietario se ne è andato via, è sparito perchè aveva combinato dei casini non so bene come, con lo stato. Adesso la casa in cui vivo e dove pago l'affitto regolarmente è nelle mani del tribunale. Io sono in pari con i pagamenti, ma non ho i requisiti per fare domanda per il contributo. Occorre la ricevuta dell'affitto che nella mia situazione attuale non mi danno e quindi niente. (Giovanni, 42 anni) Io non sono riuscita a ricevere il contributo in conto affitto perché quando l’ho richiesto avevo già due rate arretrate. Ma se avevo la 30 possibilità di pagare, come l’ho avuta in passato, non ricorrevo certo al contributo del comune! Possibile che tutto sia così? Morale della favola, quest’anno le rate di ritardo dell’affitto sono salite a cinque! E non si sa come fare. I soldi guadagnati non bastano. (Maria, 33 anni) 2.4. La rete informale di sostegno I fenomeno della povertà negli ultimi anni sembra aver assunto sembianze preoccupanti, non tanto e non solo per la sua dimensione quantitativa, ma per le sue caratteristiche qualitative. Proprio questo secondo aspetto solleva complessi interrogativi sui modi in cui occorrerebbe intervenire sul problema, sia con riferimento alla dimensione temporale (quando intervenire), sia per quanto riguarda le modalità specifiche dell’intervento (come intervenire). La vulnerabilità delle persone è progressivamente aumentata in relazione alla sua intensità – il passaggio da una condizione di relativo benessere a quella di povero è sempre più rapida e difficilmente contenibile, una volta che i meccanismi di impoverimento si attivano – e con riferimento alla gamma della tipologia di persone che ne possono potenzialmente essere interessate. In questo tipo di contesto gli individui aggrediti dai processi di impoverimento non sembrano assumere una posizione passiva ma, al contrario, cercano in ogni modo di arrestare il fenomeno, spesso, soprattutto in un primo momento, in maniera autonoma, vale a dire senza ricorrere all’aiuto di parenti, amici e reti istituzionali. Una volta esaurite le energie inizia una fase di ricerca di aiuto all’interno della rete di sostegno informale. Tale struttura di relazioni si rivela di fondamentale importanza e, quando presente e robusta, si dimostra in grado di svolgere una vera e propria funzione di tampone alla condizione di disagio. I contenuti delle nostre interviste contribuiscono a confermare il ruolo centrale svolto dalla famiglia nell’attutire gli effetti della congiuntura economicaa. La rete familiare, infatti, sembra aver assorbito buona parte dei traumi derivanti dalla crescente disoccupazione e dall’aumento dei cassintegrati, il calo del potere reale d’acquisto e in generale, gli effetti derivanti dall’incremento del livello delle disuguaglianze dei redditi22. All’interno di questo scenario è importante ricordare che, nel momento storico in cui la famiglia si è fatta carico di un numero crescente di difficoltà e della riduzione di risorse da parte dei suoi componenti (si ricordano ad esempio la caduta dei redditi da lavoro, la precarietà giovanile e la riduzione dei servizi sociali e sanitari) non si è assistito alla presenza di misure di sostegno da parte del sistema di protezione sociale. Ad oggi possiamo affermare che non sia ancora presente a livello nazionale una politica di protezione e sviluppo della famiglia e dei suoi membri. Tale condizione sembra aprire preoccupanti scenari circa la capacità da parte della famiglia (ribattezzata da alcuni con il nome di terza gamba del welfare state) di continuare a svolgere tale funzione di 22 Caritas - Fondazione E. Zancan, In caduta libera, Rapporto 2010 su povertà ed esclusione sociale in Italia, Il Mulino, Milano, 2010, pp. 16-17. 31 protezione, soprattutto nel momento in cui le condizioni di disagio e sofferenza economica si protraggono per lunghi intervalli di tempo. La rete di relazioni informali infatti, così come le risorse individuali del soggetto colpito dai processi di impoverimento, ha a disposizione un numero di risorse limitate che nel lungo periodo lentamente si depauperano. Il fenomeno di erosione non riguarda solo la progressiva perdita di risorse materiali, legata ad esempio all’esaurimento dei risparmi, ma anche al peso crescente della relazione d’aiuto, determinando un sovraccarico di impegni e responsabilità che spesso possono condurre ad un peggioramento della qualità dei legami sociali, arrivando anche a provocare delle fratture tra i membri della famiglia oppure nelle relazioni amicali23. A questo duplice effetto deve poi essere sommato il rischio che la rete informale di aiuto, nel corso del tempo, subisca degli incidenti dovuti alla perdita di uno o più legami significativi per cause di forza maggiore, come nel caso di decesso di uno dei soggetti ai quali era demandata buona parte delle funzioni di aiuto strumentale. Questo aspetto è da considerarsi tutt’altro che residuale in un contesto nel quale, sempre più spesso, i soggetti predisposti alla funzione di sostegno appartengono alle vecchie generazioni. Frequentemente, infatti, sono i giovani adulti a sentire gli effetti della povertà e le persone vicine al pensionamento, o addirittura ormai fuori dal mercato del lavoro, risultano le uniche in grado di intervenire in aiuto con le loro risorse a disposizione. La situazione descritta emerge con chiarezza dagli estratti sotto riportati: Io non ho avuto la famiglia e questo già è stato un bel problema, i risparmi sono finiti abbastanza in fretta senza un lavoro. Gli amici un po' mi hanno aiutato per fortuna! Anche economicamente, almeno in una prima fase, ma adesso sono tanti anni, non si può chiedere più che tanto, ad alcuni debbo dei soldi e spero di poterglieli ridare. Ma adesso è troppo tempo che sono così, anche questi piccoli aiuti non possono durare in eterno. Non è giusto e non è oggettivamente possibile. (Paolo, 48 anni) Vivo con mia madre, non sono sposata. Fino a quando c'era mia nonna si viveva abbastanza bene perchè lei percepiva una bella pensioncina. Da quando è morta la nonna siamo a tribolare perchè la mamma purtroppo non ha un reddito e non percepisce nessuna pensione. Io ho anche un fratello, ma è come se non ci fosse. Lui vive per conto suo. Ha un carattere particolare. E' bravo, ma lui fa da se. Non vuol sapere. Ha la sua famiglia e fa da se. Ogni tanto lo vedo, ma di rado. Ad ogni modo anche lui non mi può aiutare perchè ha problemi economici. Non ho un parente che mi possa aiutare. Tutti hanno problemi economici. Ora purtroppo è subentrata anche la malattia di mio zio da parte di madre al quale ero molto legata. E ad ogni modo non ho nemmeno la possibilità di uno zio che ogni tanto mi faccia una bella bustina. Non esiste. I nonni sono tutti morti. I cugini anche loro hanno i problemi.... (Francesca, 32 anni) Non ho nessuno che possa darmi una mano anche perchè dopo l'accaduto, anche prima di attendere il processo, ne niente altro, la mia 23 Cfr. E. Matutini, Impoveriemnto e contesto relazionale, in G. Tomei, M. Natilli, Dinamiche di impoverimento, Carocci, Roma, 2011. 32 famiglia mi ha voltato le spalle. Della mia famiglia mi è rimasto soltanto mio fratello con la cognata e i nipoti che non hanno voluto più sapere niente di me. Mi hanno considerato responsabile di quanto accaduto, anche se sono stato assolto… e quindi non c'è stato niente da fare. (Paolo, 48 anni) La presenza di fratture all’interno del contesto familiare si rivela un trauma di grande entità in grado di dare vita a una corsa all’impoverimento della persona. In questo senso la perdita di un familiare significativo nel procurare entrate monetarie, come nel caso di separazione, divorzio o decesso, determina l’intrecciarsi di una pluralità di aspetti di disagio, capaci di dare originare ad una sorta di “effetto a spirale”, dove ogni aspetto contribuisce ad ampliare l’effetto degli altri. In questo senso le rotture intervenute all’interno del contesto familiare si rivelano in grado di alterare profondamente gli equilibri del nucleo stesso, modificando la sua capacità di reggere le difficoltà incontrate nella vita quotidiana. Particolarmente calzante appare la situazione di una donna, riportata nelle righe successive, dove la rottura della relazione con il compagno è stata una delle prime ragioni che l’ha portata alla progressiva deriva finanziaria. Me la sono sempre cavata anche se tra alti e bassi perchè una persona sola con un figlio è un problema....pagare un affitto....ci sono difficoltà. Però me la sono cavata fino a quando ho aperto un negozio mio....anche qui tra difficoltà, però sono riuscita a tenerlo per 5 anni. Chiaramente con la crisi, essendo generale, il negozio non è andato benissimo. Nel frattempo avevo un compagno con il quale stavo economicamente abbastanza bene con mio figlio. Ci siamo lasciati. Da li è cominciano il mio percorso di retrocessione. Fino ad allora io, dopo aver chiuso il negozio, lavoravo con lui nel suo negozio. Dopo poco ho perso la casa...attualmente vivo nella cantina di mia mamma, con mio figlio con tutte le problematiche che ne conseguono. In questo momento un affitto non lo posso pagare e non ho i soldi per fare molte altre cose. (Eugenio, 50 anni) In caso di rottura di legami parentali importanti come un matrimonio le relazioni si incrinano in maniera irreversibile dando vita a vere e proprie forme di conflittualità. In questo senso viene meno la dimensione dell’aiuto, non solo affettivo, ma anche strumentale nei confronti della ex famiglia di appartenenza. Da parte del padre di mio figlio non ho avuto nessuna forma di aiuto, ne materiale ne altro. Questo mi è pesato particolarmente perchè visto il problema di mio figlio [problemi di tossicodipendenza], oltre che di un aiuto monetario c'era bisogno anche di una mano nel sostegno emotivo, perchè è stato molto difficile. Me la sono cavata perchè ho sempre fatto conto su me stessa. Ora piano piano questa cosa la stiamo superando. I miei fratelli in tutto questo non sono stati una risorsa economica per nessuna ragione, perchè tutti hanno la loro famiglia, figli, nipoti ecc. Io ho 5 fratelli, ma tra me e i miei fratelli c'è una forte differenza di età e non abbiamo mai avuto un rapporto così profondo o frequente. (Eugenia, 50 anni) 33 In questi periodi difficili per me e mia figlia in cui mancava tutto ho messo al corrente il mio ex marito, ma non ha fatto niente per aiutarmi. Lui sapeva benissimo anche perchè i suoi genitori spesso chiedevano alla bimba cosa avevo fatto da mangiare per lei e lei rispondeva che non avevo fatto niente perchè non c'era niente da mangiare. Non mi hanno aiutato in nessun modo. L'unica cosa che lui ha fatto è dare da mangiare alla bimba quando io non potevo. Lui è italiano ed ha una famiglia alle spalle. Ne ho parlato anche con l’assistente sociale. Il problema è che con lui non troviamo una soluzione, nemmeno tra avvocati. (Katia, 33 anni) In molti casi il fatto di vivere in condizioni di povertà è percepito come un elemento fonte di fatica e disagio per sé e per le persone vicine. Proprio per tale morivo nasce il desiderio di tenere al di fuori della propria problematica parenti e amici ai quali si è particolarmente legati. In questo senso si assiste ad una sorta di sacrificio personale in termini di isolamento e rinuncia a potenziali forme di aiuto economico e affettivo, per non gravare sulle spalle dei propri cari e per non diventare per questi fonte di preoccupazione. C'è anche mia figlia….. ma lei non sa niente di queste storie qua e non voglio che le sappia. Lei abita qui ad Aulla, è sposata, ha la sua vita ed è giusto così. Il marito lavora, ha un bambino di tre anni. Insomma meno ne sa e meglio è. Anche quando mi sono sentito male lo ha saputo quando sono venuto a casa dall’ospedale. Non mi va di metterla in agitazione. Poi prima aveva anche la madre che stava male, che infatti dopo è morta. Ha passato le sue, meglio lasciarla tranquilla, così sono più tranquillo anche io. (Francesco, 54 anni) Io ho i genitori in Grecia che magari potrebbero forse darmi una mano, ma anche loro non se la passano bene e per aiutare me farebbero dei sacrifici enormi. Francamente meglio che non sappiano la mia situazione com’è. (Katia, 33 anni) Io cerco ti tenere fuori tutti dalla mia situazione. Insomma certe volte è difficile perché bisogna far finta che le cose alla fine vanno abbastanza bene, ma francamente gravare su i miei figli proprio non me la sento. Per fortuna la crisi è arrivata ora e non 20 anni fa in modo che li ho potuti crescere senza fargli mancare nulla e oggi loro hanno ancora una sistemazione. Se in futuro non riuscirò più nemmeno a comprare il pane magari inizierò ad accennare qualche cosa, se non altro per non deprivare troppo mia moglie di quello di cui ha bisogno. Ma per adesso abbiamo deciso di tenerci la cosa per noi. (Michele, 59 anni) Le forme di relazionalità significative in termini di sostegno non si esauriscono all’interno della cerchia parentale ma, in alcuni casi, si estendono alle relazioni di amicizia e di vicinato. Quest’ultime possono assumere anche molta rilevanza nel percorso di vita della persona, come nel caso della giovane donna rimasta orfana di entrambi i genitori all’inizio del suo percorso universitario con un mutuo da pagare. 34 Quando è morta mia madre e sono rimasta sola avevo 23 anni. E’ stato difficile tirare avanti anche perché avevo ancora 9 anni di mutuo da pagare e io ero studente. Qualche cosa avevo da parte e i servizi mi hanno dato una mano. Una cosa che ha contato tantissimo è stata la Croce Verde dove faccio la volontaria da sempre. Quella è stata la mia seconda famiglia. Ci sono persone che per me sono quasi dei parenti. Mi sono stati vicini, mi hanno sostenuto emotivamente e dato la forza di andare avanti giorno dopo giorno. Io quando ho un problema ho delle persone dalle quali andare per appoggiarmi sulla loro spalla. E’ sempre stata una cosa che ha fatto una grande differenza pur rimanendo i problemi economici. Per affrontare le difficoltà ci vuole anche il calore e il sostegno umano. (Alice, 31 anni) La persona fidata della porta accanto in alcuni casi si rivela essere più idonea a raccogliere le confidenze e gli sfoghi relativi al disagio economico quotidiano rispetto ai membri del contesto familiare allargato, dove le implicazioni materiali e affettive sono più elevate. A 64 anni è brutto andare a prendere la borsa dalla Caritas e le dico anche che dove vivo hanno preso a cuore tutta la famiglia e stanno tentando di aiutare. Il mio vicino va a prendermi la borsa della spesa alla distribuzione e me la porta a casa perchè io rimarrei senza niente pur di non andare li. Poi quando capita si possono fare due chiacchiere, sfogarsi un po’ fa stare meglio. Con i parenti, a volte, non è il caso di parlare di queste cose. Avere qualcuno vicino che ti da una parola di comprensione. Si, quando sono con mia moglie mi piace fantasticare, che fa bene al cuore, ma i problemi veri continuo a masticarli ogni giorno e non vedo nessun miglioramento. (Maurizio, 64 anni) Ci sono casi in cui, al contrario, la rete di sostegno è costituita da maglie troppo larghe, oppure è assente. In queste situazioni vengono a mancare risorse di strategica importanza in termini di aiuto, sia per i loro effetti diretti, sia per quelli indiretti. Nel primo caso ci si riferisce alla possibilità di ricorrere a figure vicine per coprire il disagio derivante da situazioni di particolare emergenza, oppure poter avere un aiuto emotivo. Nella seconda ipotesi, invece, si rinvia alla possibilità che questo tipo di legami permetta di concentrare un numero di energie maggiori nella ricerca di un’occupazione adeguata alle esigenze della famiglia e nel poter poi esercitare l’attività lavorativa. Un esempio macroscopico a questo proposito è rappresentato dalla possibilità di disporre di parenti e amici in grado di dedicarsi alla cura dei figli, nel caso in cui il genitore debba andare al lavoro. Ho un lavoro non regolare. E il massimo che posso avere perché sono sola e non posso lasciare i bambini a nessuno. Non c'è proprio nessuno. Può trattarsi di un giorno all'anno che posso contare sulle persone presso le quali lavoro, ma è una cosa veramente eccezionale. Io lavoro ad ore facendo le pulizie anche per questa ragione. Se mi capitasse un'offerta di lavoro migliore probabilmente sarei costretta a rifiutarla perchè non posso gestirla insieme agli impegni della famiglia. (Samantha, 36 anni) 35 Io non mi sono nemmeno iscritta al Centro per l’impiego per il problema che ho con i bambini. Sono tre e in qualsiasi momento dovrei lasciare il lavoro per dedicarmi alla loro cura. In questa situazione non posso presentarmi sul mercato del lavoro reale, posso al massimo rimanere in questa parte di lavoro in nero. Alla fine starei più a casa che al lavoro. Allo stesso tempo ho guardato le liste dei Centro per l’impiego cercando se c’era qualche cosa di interessante, ma le offerte che c'erano erano tutte cose un po' fuori rispetto a dove vivo e per me spostarmi è ancora più difficile. Anche il lavoro come badante non sono disponibile a farlo perchè mi occupa troppo tempo. (Katia, 33 anni) 2.5. Alcuni profili di impoverimento Dalla molteplicità di analisi, qualitative e quantitative, condotte a livello nazionale e locale sui meccanismi di impoverimento, uno dei dati che emerge in maniera abbastanza nitida è costituito dalla assunzione di consapevolezza della difficoltà crescente di giungere alla costruzione di modelli, tipologie o percorsi definibili a priori di povertà24. Tale operazione ha costituito da sempre elemento di riflessione critica ma, negli ultimi anni, in seguito alla trasformazione del profilo classico della povertà, l’individuazione dei profili ricorrenti della povertà si è fatta ancora più complicata. In passato le situazioni di povertà avevano frequentemente una connotazione geografica ben precisa, nascevano e si sviluppavano all’interno di gruppi sociali connotati da più forme di marginalità sociale (anche di matrice intergenerazionale) e interessavano maggiormente soggetti con bassi livelli di istruzione e precarietà alloggiativa. Negli ultimi anni il quadro della povertà è molto più sfaccettato, sia per la gamma di dimensioni problematiche che lo compongono, sia per la ricorrenza e le modalità di manifestazione del disagio. In questo senso, vicino al profilo dei poveri tradizionalmente individuati, si sono andati aggiungendo nuovi volti della povertà legati a contesti nei quali i soggetti possono sperimentare gravi difficoltà economiche in modo oscillante, come ad esempio nel caso di periodi brevi ma ripetuti di disagio, oppure dove la condizione di deprivazione materiale può nascere e svilupparsi all’interno di una sola dimensione problematica, come l’insufficienza del reddito per soddisfare le esigenze del nucleo familiare. Tutto questo sembra aver fatto cadere la validità universale dell’interpretazione multidimensionale della povertà, pur rimanendo di grande pertinenza per la comprensione di molte forme di impoverimento. In generale le carriere della povertà sono diventate sempre più veloci, complesse, con frequenti uscite e ritorni da una condizione di sofferenza economica legata ad uno o più fattori scatenanti. Giunti a questo punto dell’analisi, pur consapevoli dei limiti che comporta compiere un’operazione di categorizzazione volta a circoscrivere il fenomeno in specifici 24 Cfr. N. Acocella, G. Ciccarone, M. Franzini, L. M. Milone, F. R. Pizzuti, M. Tiberi, Rapporto su povertà e disuguaglianze negli anni della globalizzazione, Pironti, Roma, 2004; Baldi, A. Lemmi, M. Sciclone, Ricchezza e povertà, condizioni di vita e politiche pubbliche in toscana, Franco Angeli, Milano, 2005. 36 orizzonti di riferimento, si è cercato di compiere un tentativo di tipizzazione dei profili di povertà emersi dalle storie di vita degli intervistati. L’obiettivo è quello di realizzare una sorta di prima astrazione di alcuni degli aspetti che si sono riscontrati in maniera ripetuta all’interno di diverse narrazioni. Questo ci aiuta a capire se è possibile giungere alla definizione di aspetti e problematiche che tendono a verificarsi con maggiore frequenza all’interno dei diversi profili individuali, definiti in base a particolari elementi ascrittivi, come l’età, il genere e la nazionalità, oppure acquisitivi, come il livello di formazione, lo status sociale e così via. Da tale operazione è stato possibile estrapolare cinque tipologie di povertà: o quelli che arrivavano “precisi” alla fine del mese: chi non riesce a sostenere i rincari legati all’aumento del costo della vita e/o la diminuzione delle retribuzioni; o i neo sperimentatori della povertà: il disoccupato di età superiore a 45 anni; o i poveri di ritorno: il cittadino straniero immigrato; o i poveri di ieri e di oggi: la famiglia numerosa che vive in affitto; o la nuova generazione di poveri: il giovane precario e sottopagato. Alcuni dei gruppi individuati sono conosciuti da lungo tempo e rinviano a criticità presenti all’interno del mercato e del sistema di welfare del nostro paese; altri, invece, evidenziano nuovi volti della povertà e differenti forme di percezione e fronteggiamento della stessa. a) Quelli che arrivavano “precisi” alla fine del mese: chi non riesce a sostenere i rincari del costo della vita e/o la diminuzione delle retribuzioni Le carriere di povertà dei soggetti che sperimentano questa condizione per la prima volta possono essere suddivisi in due macro categorie: - coloro che hanno perso improvvisamente il lavoro rimanendo in un nucleo familiare senza entrate economiche oppure con quest’ultime fortemente ridotte; - coloro che pur conservando la condizione di occupato hanno visto una parziale diminuzione della retribuzione, frequentemente in seguito ad una contrazione dell’offerta di lavoro, e contemporaneamente hanno dovuto continuare a cercare le risorse necessarie per il soddisfacimento dei loro bisogni all’interno del mercato nel quale i prezzi sono fortemente aumentati. Con riferimento a questa seconda categoria di soggetti, le storie di povertà che si sono riscontrate sono quelle di persone che in passato non avevano mai avuto problemi di natura economica, elemento che li ha portati a vivere tale nuova condizione con particolare sconforto e senso di smarrimento. 37 Questi intervistati, che appartenevano prevalentemente al ceto sociale mediobasso, dispongono di livelli di formazione scarsi e di un ricco bagaglio di competenze pratiche costruite attraverso la formazione sul campo. Dall’analisi delle narrazioni si ritrova molte volte il tema della centralità del ruolo della donna nel potenziamento delle capacità di fronteggiare i rischi di scivolamento in condizioni di povertà conseguente al rincaro del costo della vita o esito di “incidenti occupazionali” all’interno del nucleo familiare. Di fronte alla precarizzazione del lavoro, il fatto che anche la figura femminile diventi procacciatrice di reddito costituisce un elemento di strategica importanza per fronteggiare l’alternarsi di periodi di attività lavorativa a intervalli di tempo in cui si sperimenta la condizione di disoccupazione, la riduzione delle retribuzioni e l’incremento dei prezzi di beni e servizi di prima necessità. Il lavoro femminile però, secondo le testimonianze raccolte, è fortemente ostacolato dalle carenze del sistema di welfare che non sembrano essere in grado di favorire una miglire armonizzazione dei tempi di cura all’interno del contesto familiare (tradizionalmente a carico della donna) con i tempi di lavoro all’esterno di esso. Come prevedibile, la condizione lavorativa femminile assume un’importanza centrale anche nelle famiglie monogenitoriali, soprattutto nel caso in cui la donna si affacci nel mondo del lavoro con bassa qualifica professionale. Scarsa formazione professionale e impossibilità di demandare la cura dei figli a terzi per una parte della giornata lavorativa, in taluni casi, spingono le donne-madri ad accettare forme occupazionali frammentate e fortemente sottopagate, spesso in regimi lavorativi non regolari. Se la figura della donna sola con figli sembra essere uno dei profili maggiormente predisposti ai fattori di vulnerabilità tipici della attuale congiuntura economica, quest’ultima non risulta la sola. Dalle nostre interviste si evince che il rischio di povertà interessa anche le donne disoccupate coniugate. Questo è vero, sia in caso di frattura del legame coniugale, sia nella situazione in cui sopraggiunga la condizione di disoccupazione di membri del nucleo familiare. b) I neo sperimentatori della povertà: il disoccupato di età superiore a 45 anni All’interno dello sfaccettato universo di soggetti interessati dal fenomeno della povertà stanno emergendo profili di impoverimento inediti o, ad ogni modo, di entità residuale fino a qualche anno fa. In questo scenario la diffusione del fenomeno della disoccupazione, in seguito alla perdita repentina e imprevedibile del lavoro, svolge un ruolo molto importante. I massicci licenziamenti attuati in una pluralità di settori economici tradizionalmente propensi all’assorbimento di profili lavorativi poco qualificati come quelli dell’edilizia, della cantieristica e della lavorazione del marmo (attività trainanti dell’economia locale) e le difficoltà crescenti nella ricerca di una nuova occupazione, nel caso di sopraggiunta disoccupazione, hanno determinato un progressivo aumento dei cassintegrati e delle persone che non riescono più a mettere insieme uno stipendio a fine mese. Gli effetti di questa situazione del mercato del lavoro hanno riversato le loro conseguenze sulle nuove generazioni. Le testimonianze del percorso di povertà dei 38 giovani intervistati sono molto simili tra loro e si caratterizzano per la predominanza della condizione di disoccupazione, alternata a quella di elevata precarietà del lavoro. Un fenomeno che è emerso con forza negli ultimi anni e che ha portato alla nascita di situazioni di grave povertà in soggetti “nuovi” a questo tipo di problematica, è quello relativo alla massiccia incidenza della condizione di disoccupazione nelle storie di vita delle persone di età superiore ai 45 anni e con alle spalle solide carriere occupazionali. Proprio quest’ultima tipologia di soggetti sembra soffrire maggiormente il carico della attuale congiuntura economica, a causa del sommarsi di una pluralità di fattori: o la perdita dell’occupazione a tempo indeterminato crea la necessità di reinserirsi nel mercato del lavoro in tempi rapidi disponendo di qualifiche medio-basse e obsolete; o quando avviene il licenziamento il lavoratore si trova a vivere una fase della vita nella quale le risorse economiche da destinare al soddisfacimento dei bisogni fondamentali, propri e del contesto familiare, sono molto elevate. Si ricorda a titolo esemplificativo le esigenze legate al sostentamento dei figli; o la ricerca della nuova occupazione presenta un numero elevato di difficoltà legate ai meccanismi di reclutamento all’interno del mercato del lavoro. Sempre più spesso la giovane età costituisce un requisito preferenziale, mentre viene attribuita poca rilevanza all’esperienza lavorativa e alle competenze pratiche maturate sul posto di lavoro. Un altro elemento importante che emerge dalle interviste è costituito dal fatto che questa particolare condizione di disoccupazione sembra interessare in maniera pressoché indistinta maschi e femmine. In passato le difficoltà occupazionali nella seconda fase della vita lavorativa del soggetto interessavano prevalentemente le donne. Quest’ultime infatti, all’interno del nostro paese, sono state storicamente più esposte ai meccanismi di espulsione dal mercato del lavoro, a causa della scarsità di interventi a sostegno dell’occupazione femminile. Le motivazioni sono legate soprattutto ai tempi da dedicare alla costruzione dei progetti familiari, la cura dei figli nei primi anni di vita e all’accudimento delle persone più vulnerabili all’interno del nucleo familiare, come gli anziani. Tutte queste esigenze spesso si sono tradotte in una interruzione del percorso lavorativo e in una elevata difficoltà ad operare un reinserimento nel momento in cui potenzialmente si potrebbero ripresentare le possibilità di un nuovo inserimento occupazionale, in termini di tempo e di energie. Oggi la contrazione della richiesta di lavoro ha manifestato i suoi effetti anche sul lavoratore maschio, spesso unico procacciatore di reddito all’interno del nucleo familiare. Questo, per i meccanismi sopra presentati, determina situazioni di rapido passaggio da una condizione di relativo benessere a quella di sofferenza economica grave, con gli effetti negativi, anche di tipo psicologico, che da questo rapido cambiamento possono derivare. c) I poveri di ritorno: il cittadino straniero immigrato La condizione di immigrato costituisce un elemento di forte criticità rispetto ai rischi di insorgenza della povertà. Il cittadino che migra in un paese straniero, infatti si 39 trova a dover costruire un nuovo progetto di vita a partire dalle fondamenta, all’interno di un contesto sociale non conosciuto, disponendo di reti di sostegno informale lacunose, spesso legate alla solidarietà con connazionali che sperimentano la stessa condizione di fatica, e in presenza di una forte scarsità di risorse materiali legate alla difficoltà di inserirsi nel mercato lavorativo. Se da un lato quanto detto non cessa di manifestare i suoi effetti, dalle interviste realizzate all’interno della presente ricerca, nei cittadini provenienti da paesi stranieri emerge anche un tipo di disagio diverso e legato ad un differente arco temporale del progetto migratorio. Dalle interviste, infatti, si riscontrano storie di vita nelle quali la sperimentazione della povertà, legata alla prima fase di permanenza nel nostro paese ha progressivamente lasciato il passo ad una condizione di relativo benessere (ottenimento di un lavoro e di una sistemazione abitativa adeguata). Oggi tale condizione di benessere, faticosamente costruita, negli ultimi anni è andata nuovamente erodendosi facendo riemergere necessità anche gravi, di natura economica. In questo senso si tratta di una categoria che possiamo definire come “i poveri di ritorno”, vale a dire soggetti che, dopo aver sperimentato forme di povertà anche gravi, erano riusciti ad emanciparsi dalla spirale della sofferenza economica e dal ricorso ai servizi pubblici di aiuto nel contrasto alla povertà; Tali soggetti, in seguito all’inasprimento dei fattori di vulnerabilità, sono nuovamente precipitati nella spirale dell’impoverimento. La difficoltà nella conservazione del posto di lavoro, oppure l’impossibilità di proseguire l’attività in proprio e la frequente presenza di reti di sostegno informale carenti, sono tra i fattori che più frequentemente incidono nella ripetizione della carriera di povertà da parte di questi soggetti. d) I poveri di ieri e di oggi: la famiglia numerosa che vive in affitto Dall’analisi dei profili delle persone intervistate emergono elementi di conferma in merito al fenomeno, consolidato all’interno del nostro paese, della particolare condizione di disagio economico avvertita da parte delle famiglie. Più precisamente a soffrire maggiormente sembrano essere le famiglie numerose con al loro interno due o più figli. Quello della povertà all’interno di nuclei familiari numerosi costituisce una delle specificità nazionali rispetto alle manifestazioni del fenomeno in altri paesi europei nei quali non si assiste ad una proporzionalità così diretta tra numero crescente di figli e rischio di sperimentare forme di deprivazione economica25. Dalle interviste realizzate la situazione di disagio economico sembra essere legata alla inadeguatezza del reddito percepito per far fronte ad un sistema di bisogni complesso. Quest’ultimo, infatti, trova da sempre una limitata possibilità di risposta all’interno della rete dei servizi pubblici, anche a causa dei più recenti tagli finanziari. In contesti molto numerosi l’impossibilità di fuoriuscita dalla povertà non è legata soltanto alla temporanea condizione di disoccupazione. Frequentemente il nucleo non riesce ad emanciparsi dalla spirale della povertà anche in presenza di entrate economiche adeguate prevalentemente per due ragioni: 25 Cfr. Istat, Indagine europea sui redditi e le condizioni di vita delle famiglie (Eu-Silc), Metodi e Norme, 2008. 40 - la remunerazione percepita è bassa e insufficiente a rispondere alle esigenze della famiglia. Spesso si assiste alla presenza di un unico percettore di reddito a causa dell’impossibilità della donna a inserirsi nel mercato del lavoro per rispondere alle esigenze di cura dei figli; - si assiste all’alternanza di periodi di disponibilità di risorse con periodi di assenza delle stesse, durante i quali si innescano meccanismi di indebitamento. Il verificarsi di periodi di disponibilità di risorse non è sufficiente a colmare la condizione debitoria precedentemente accumulata e ad uscire dalla sofferenza economica. Ricapitolando, tra gli elementi fondamentali di questo profilo di povertà si riscontra l’impossibilità di disporre di reti di aiuto informale per la cura dei figli e la conseguente impossibilità di costruzione ipotesi occupazionali per la donna-madre. A questo collegato, deve essere aggiunta l’inadeguatezza della retribuzione e le difficoltà legate al pagamento di beni e servizi che portano all’insorgenza di condizioni di indebitamento. La nuova generazione di poveri: il giovane precario e sottopagato Le storie di povertà delle persone interviste con età inferiore ai 35 anni si caratterizzano per una elevata omogeneità. I giovani intervistai, infatti, pur provenendo da contesi sociali e esperienze di vita profondamente diverse tra di loro e disponendo di differenti livelli formativi, sembrano accomunati dalla impossibilità di trovare una forma lavorativa adeguata alle esigenze che connotano la fase di vita che stanno attraversando, come ad esempio riuscire a disporre di adeguati margini di autonomia economica. La precarietà del lavoro, più che la sua inesistenza, si rivela la molla che avvia il percorso di impoverimento. Le opportunità di lavoro, infatti, oltre ad essere poche, sono molto frammentate e poco qualificate. A quest’ultimo proposito il titolo di studio sembra aver perso parte della sua rilevanza nella individuazione di occasioni di lavoro più qualificate, a causa di una sua progressiva svalutazione. Si ricorda, a titolo esemplificativo, la situazione della giovane con diploma di scuola media superiore che non riesce a trovare occupazioni diverse da quello di lava piatti o cameriera nel fine settimana. Legato alla diminuzione di valore del titolo di studio, ma non solo, nelle testimonianze raccolte si registra una unanime percezione di essere fortemente sottopagati per le attività lavorative prestate. La continua permanenza in una situazione di ansia finanziaria porta i giovani intervistati a rinunciare, loro malgrado, ad una programmazione e pianificazione del proprio progetto di vita familiare. Effetto collaterale considerevole è anche la progressiva perdita di speranza nei confronti del futuro e la rassegnazione all’idea di essere obbligati a vivere giorno per giorno. 41 Tab. 2. Alcuni tipi di povertà emersi dall’interpretazione delle interviste Quelli che “arrivavano precisi” alla fine del mese I volti nuovi dei poveri I neo sperimentatori della povertà La nuova generazione di poveri I poveri di ritorno Le facce conosciute da tempo I poveri di ieri e di oggi 42 - sono sia italiani che stranieri - in passato riuscivano autonomamente a rispondere alle esigenze del nucleo familiare - la contrazione del lavoro e l’aumento del costo della vita hanno determinato un peggioramento delle condizioni economiche fino allo scivolamento nella povertà - sono prevalentemente cittadini italiani appartenenti al ceto medio-basso - in passato non avevano mai sperimentato condizioni di sofferenza economica - la perdita dell’occupazione è stata una delle principali cause scatenanti della repentina caduta in condizione di povertà - sono giovani di età inferiore ai 35 anni - sono stretti nella morsa della precarietà del lavoro e sono frequentemente sottopagati - vivono con sofferenza l’impossibilità di avere una progettualità familiare - sono prevalentemente immigrarti - hanno incontrato problemi nella prima fase del percorso migratorio - hanno avuto un periodo di autonomia finanziaria - hanno subito una riduzione del reddito o perdita del lavoro in tempi recenti - sono persone parti di nuclei familiari numerosi con figli piccoli oppure famiglie nelle quali sono intervenute fratture familiari - hanno pochi servizi e molte spese da sostenere. Spesso non hanno casa di proprietà - la figura femminile fatica molto ad inserirsi nel mercato lavorativo CAPITOLO III LE STRATEGIE DI FRONTEGGIAMENTO INDIVIDUALI TRA DESIDERIO DI REAGIRE E SCONFORTO 3.1. La lotta alla povertà vissuta nella vita quotidiana Nella seconda parte della mappa tematica, dedicata all’analisi dei percorsi di impoverimento che hanno interessato gli intervistati, è stato dedicato uno spazio alla comprensione delle strategie di contrasto che i soggetti attuano quotidianamente per fronteggiare la condizione di disagio derivante dalla situazione di deprivazione nella quale si trovano e per attivare percorsi di fuoriuscita dalla stessa. In questo senso, particolare attenzione è stata assegnata alla comprensione dell’importanza attribuita alla possibilità di apportare delle modifiche alla propria condizione attuale. Grande interesse ha quindi assunto la narrazione dei tentativi fatti in passato e le motivazioni di eventuali successi o fallimenti. Le informazioni raccolte, inoltre, sono un utile indicatore delle risorse residuali a disposizione dei soggetti in termini di energie mentali e materiali per l’attivazione di nuove strategie di gestione delle difficoltà e per pianificare ulteriori forme di contrasto, anche attraverso la messa in rete di risorse formali e informali, presenti, almeno in forma potenziale, nel conteso relazionale ristretto e più in generale nella comunità di appartenenza. Prima ancora di passare all’analisi delle capacità di reazione individuale, degno di attenzione è il fatto che, in alcune delle storie raccolte, l’insorgenza della condizione di povertà, a causa della rapidità e dell’estraneità di tale esperienza alla vita pregressa del soggetto, in un primo momento abbia dato luogo, oltre a tentativi di contrasto e situazioni di affanno, allo smarrimento. Il crollo economico si è manifestato in una situazione di totale imprevedibilità e questo aspetto a causato, utilizzando l’espressione di un intervistato, “un senso di pietrificazione”, di paralisi legata allo sbigottimento. Si tratta di una condizione avvertita soprattutto da individui che provengono da una condizione occupazionale a tempo indeterminato con una buona retribuzione, oppure di piccoli imprenditori. Tale forma di momentanea interdizione sembra poi lasciare il passo a pericolose forme di rassegnazione e vere e proprie sindromi depressive che limitano fortemente le capacità reattive, non solo del diretto interessato, ma anche dei suoi parenti più stretti che con lui condividono la quotidianità. In altre parole potremmo dire che si tratta di una sindrome che ha interessato soprattutto i nuovi poveri per i quali si riscontra un atteggiamento mentale nei confronti della problematica molto diverso rispetto ai soggetti tradizionalmente protagonisti dei processi di impoveriemnto. Le nuove famiglie povere fanno fatica a riconoscere e accettare la loro condizione, determinando una sorta di isolamento rispetto agli altri soggetti interessati dalle carenze di risorse. In questo senso essi vanno a costituire una 43 sorta di nuovo gruppo di individui disposti a solidarizzare solo al proprio interno, combattuti tra il senso di vergogna e il rifiuto di accettare uno status sociale così basso. Nel frattempo ho portato in giro una quantità enorme di curriculum. E' stata dura perchè mi aveva preso la depressione anche a me. E' stato proprio un periodo di quelli tosti. Pensavo di essere finito in un brutto sogno. Mi sembrava che quello che mi stava accadendo non potesse appartenermi o essermi successo davvero. Mia moglie stava sempre peggio per quello che stava accadendo e anche lei in quelle condizioni non era in grado di trovare niente. In quei momenti oltre ai soldi si ha bisogno di tutto, anche di qualcuno che ti stia a sentire e sia dalla tua parte. Io qui non ho nessuno della mia famiglia [viene dalla Campania]. E' stato un problema grosso. Io non esagero a dire che per un periodo sono rimasto come pietrificato…(Giovanni, 42 anni) Tra i neo sperimentatori della povertà si riscontra un atteggiamento mentale nei confronti della problematica molto diverso rispetto ai soggetti tradizionalmente protagonisti di queste dinamiche. Le nuove famiglie povere fanno fatica a riconoscere e accettare la loro condizione, determinando una sorta di isolamento rispetto agli altri soggetti interessati dalle carenze di risorse. Esempi sono rappresentati dalla sottolineatura fatta dagli intervistati di essere poveri e utenti dei servizi sociali “diversi” rispetto a quelli tradizionalmente presenti ai servizi. Interessante è anche il forte legame solidaristico basato sulla profonda comprensione reciproca che emerge dalle testimonianze di condivisione nei confronti di chi ha attraversato la particolare esperienza dell’impoverimento repentino, provenendo da una situazione di consolidato benessere. In fondo non capisco ancora come sia potuto succedermi tutto questo. Io sono una persona che ha sempre lavorato, e prima ancora studiato. Avevo una società che è chiusa non perché la gestivo male, oppure ho fatto qualche stupidata…io pagavo tutto e lavoravo. Dico questo per farti capire che non sono uno dei soliti disgraziati (con tutto il rispetto) che finiscono ai servizi sociali di solito. Io non capisco come può succedere in un paese come il nostro che una persona come me, nel giro di pochi mesi, possa andare a picco, arrivare così al fondo da perdere la casa. Finire ai tavoli della Caritas senza la possibilità di aiuto concreto e utile di qualsiasi natura esso sia. (Giovanni, 42 anni) Ci sono tante famiglie che magari hanno anche vergogna di venire a fare l'intervista perchè magari prima si stava bene e adesso invece si sta male. Per loro è difficile farsene una ragione, ma anche rendersene conto e accettarlo. Ogni tanto capita di trovarne in giro qualche caso e allora ci si mette a parlare. Almeno tra di noi ci si capisce. Con chi mi confronto? Con il poverino che vive per strada da anni, oppure lo straniero arrivato da poco qui? Motivo del perché sono finite tutte così? Non riesco a capire. (Marco, 36 anni) 44 3.2. I tentativi autoimprenditorialità di rilancio: infaticabile ricerca di lavoro dipendente e Per alcuni la capacità di riorganizzazione e rilancio della propria occupazione lavorativa non è del tutto esaurita e anche dopo alcuni anni di fermo occupazionale e diverse risposte negative nella ricerca di un nuovo lavoro (prevalentemente come lavoratore dipendente), si reinvesta la possibilità di creare da solo una possibilità di impiego grazie ad una segnalazione da parte di soggetti appartenenti alla rete di sostegno e alla nascita di un’alleanza con altre persone che stanno attraversando la stessa situazione problematica. Si riporta di seguito la storia di un uomo di 52 anni il quale quattro anni fa ha avuto gravi problemi di salute e per questo è stato costretto a lasciare il lavoro. Una volta risolti i problemi fisici ha fatto numerosi tentativi di reinserimento lavorativo, ma sono tutti falliti. Da quasi un anno, grazie alla segnalazione del suo medico curante, ha iniziato a costituire una cooperativa sociale per il reinserimento lavorativo insieme a un gruppo di persone che, come lui, non riuscivano a trovare lavoro. Il giorno stesso dell’intervista l’uomo aveva in programma una riunione organizzativa delle attività, e anche solo questo aspetto sembrava avere una forte significatività in termini di lotta alla rassegnazione e all’apatia frutto di una nuova pausa delle attività lavorative intervenuta negli ultimi mesi. Nella vita dell’intervistato le criticità frutto della precarietà lavorativa continuano ad essere presenti, ma l’atteggiamento reattivo individuale sembra aver subito profonde modificazioni. L'esperienza di lavoro in cooperativa è bella. Sono riuscito ad infilarmi nel movimento che si stava costruendo di un gruppo di uomini e donne disoccupati grazie all’indicazione del mio dottore. Mi ci ha mandato lui. Per me è stata una cosa importante perché non ne potevo più di stare ai giardinetti come un disgraziato, a subire e basta. Io sono tra i soci fondatori! E’ anche una bella soddisfazione tirare su una realtà così. Ti senti ancora vivo e capace di fare qualche cosa in un contesto dove ovunque vai a cercare lavoro ti dicono che ormai non sei più buono a nulla! E' una cooperativa che fa quello che trova da fare. Adesso purtroppo siamo fermi. Ora mi hanno detto che forse a settembre si riparte. Speriamo bene. Era andato perfino bene in questi due-tre mesi che avevo lavorato perchè avevo trovato una casetta tutta per me (vive con una vecchia zia), ma adesso devo lasciare l'idea perchè il lavoro è di nuovo fermo. Purtroppo anche per la cooperativa il lavoro va e viene perché c’è la crisi…. Oggi sembra che le cose non si modifichino molto. Anche dove ero a lavorare ultimamente con la cooperativa, si trattava di una ditta grossa che fa le piattaforme per l'ENI….insomma, questa ditta grande qui, invece di assumere prende gli operai dalle cooperative, come fanno tutti più o meno ormai, e aveva preso noi, ma poi si è fermato tutto. Ad ogni modo se il lavoro c'è la cosa funziona...il fatto è che molto probabilmente anche l'ENI ha avuto una qualche crisi e le piattaforme se le è riprese indietro, la grande ditta è 45 rimasta a secco lasciando gli operai della cooperativa a casa. Il meccanismo è questo. (Francesco, 52 anni) 3.3. I tentativi di fuoriuscita dalla povertà: le difficoltà nella capacità di sopportare il ripetersi di fallimenti In molte delle storie di vita raccolte si percepisce con forza la ferma volontà di non cedere alla rassegnazione e di tentare continuamente nuove strategie di rilancio della propria condizione. Ciò nonostante, quando i fallimenti delle prove iniziano ad essere numerosi, lo scoraggiamento diventa parte integrante della quotidianità. Un intervistato ha sintetizzato la situazione di sconforto che lo caratterizza nel pensare alle possibilità di trovare un lavoro che gli permetta di risolvere i suoi problemi economici dicendo: “Qui la situazione è depressa e la depressione ormai è parte integrante delle persone. Le persone non cercano più di essere creative e si abbandonano.” La situazione di sconforto però continua a non tradursi in immobilismo e la ricerca del lavoro persiste, sia attraverso l’utilizzo delle risorse personali (lettura annunci sui giornali, distribuzione capillare dei curriculum e così via), sia attraverso le istituzioni predisposte ad offrire orientamento e supporto all’occupazione come il Centro per l’impiego. Un esempio di comportamento attivo in questo senso è riscontrabile nella testimonianza riportata sotto. Si tratta di una donna straniera di 33 anni con un figlio piccolo e un affitto mensile da pagare. Io sono una persona molto vivace, che ha sempre lavorato, non sono una persona che sto ferma, mi do sempre da fare… però se non c'è nulla! Una persona ha la forza, ma se non c'è nulla? Io le occasioni di lavoro le ho cercate credo in tutti i modi. Da La Spezia fino a Viareggio ho portato centinaia di curriculum, a piedi perché non avevo più i soldi per pagarmi un mezzo. Solo in Versilia più di 100. In più sono iscritta su tutti i Centri per l'impiego. L'anno scorso qualche cosa ho trovato 3-4 mesi in estate. Quest'anno le agenzie interinali stesse dicevano che non c'è più nessun lavoro e che se vanno avanti così anche alcune di loro ridimensioneranno la loro attività. Mi è preso lo sconforto perchè ho capito che la crisi è proprio capillare. Sono le ditte stesse che non chiedono operai. La crisi è arrivata al massimo. Quest'estate ho avuto la fortuna di trovare un lavoretto fino a settembre. Prima però mi sono fatta tutta la Versilia bagno per bagno e ogni ristorante a portare il curriculum; la gente mi diceva “guarda, ce la facciamo noi in famiglia perchè c'è meno lavoro e ci arrangiamo da soli”. Si rende conto di quante persone sono rimaste a casa quest'anno? Io sono a terra sotto tutti i punti di vista!! (Katia, 33 anni) Oltre alla rassegnazione e lo sconforto, in alcuni casi prende il sopravvento la rabbia per la propria condizione, spesso frutto di un prolungato senso di impotenza nei confronti dell’intera situazione vissuta. Il caso di Marco, 36 anni, ne è una dimostrazione. L’uomo, con alle spalle una vita lavorativa come piccolo imprenditore, al momento è disoccupato e riceve un contributo economico dai servizi sociali. Nelle sue parole si legge 46 chiaramente la difficoltà ad accettare l’impossibilità di dare una svolta alla condizione di deprivazione della sua famiglia. Proprio grazie al valore attribuito alle persone del suo contesto familiare, come molti altri intervistati, trova la forza per continuare ad attivare nuove strategie di riscatto. Nel fare questo, però il senso di solitudine è molto forte e frutto della impossibilità di sentirsi supportato in maniera adeguata dall’apparato istituzionale. Sono arrabbiato a vedere la mia famiglia finita in questa situazione, con me come unica persona che può portare a casa qualche cosa con la raccolta del ferro….. è il lavoro più basso che ci sia! Non ho parole! Io avevo un’impresa edile con 5 dipendenti! Mi ero dato da fare per costruirla. Qui se hai un momento di difficoltà basta! Hai chiuso, puoi andarti anche a buttare via tanto nessuno ti considera e nonostante la tua buona volontà non riuscirai mai a rialzarti! E' davvero così! Io sono anni che provo a ripartire, non ho mai smesso di provare, anche perchè ho una famiglia sulle spalle, ma proprio sembra che non ci sia rimedio! Qui io sono solo! (Marco, 36 anni) Il fatto di trovarsi a vivere in condizione di deprivazione economica, per alcuni intervistati, soprattutto per coloro che sperimentano il fenomeno per la prima volta, equivale al sentirsi travolti e risucchiati in meccanismi che essi non sono in grado di controllare e nei confronti dei quali, nonostante i tentativi, sentono di essere destinati a sopportarne gli esiti e gli effetti patologici. Proprio con riferimento alla percezione della propria condizione in un tempo futuro, i giudizi sono tendenzialmente negativi. Tale atteggiamento sembra essere l’esito della impossibilità di introdurre trasformazioni sostanziali nei processi che hanno determinato la condizione di disagio (ad esempio il mercato del lavoro) e delle carenze del sistema formale di protezione, come vedremo meglio nel prossimo capitolo del report, nel fornire aiuti tali da permettere la pianificazione di strategie organiche, limitandosi a interventi di piccola entità e fortemente frammentati. Alberto è un uomo che ha perso il lavoro 6 anni fa per dei problemi con la giustizia in seguito ad un’accusa di furto sul posto di lavoro. Due anni dopo è stato assolto per non aver commesso il fatto, ma non è stato reintrodotto nella vecchia occupazione. Da allora non è più riuscito a trovare un lavoro, anche a causa dello stigma sociale legato agli eventi pregressi che lo hanno interessato; adesso vive quasi tutti i giorni per strada. In questo caso lo sconforto legato alla condizione di pregiudizio circa la sua serietà professionale si sommano al senso di impotenza del sistema relazionale informale (la famiglia lo ha isolato) e istituzionale (riceve un contributo santuario). Nel complesso avverte di non avere gli strumenti per tentare di attuare di modificare sua attuale situazione. Sono infilato in un mulinello allucinante che porta a tristi pensieri, passa di tutto per la testa. C'è un abbandono totale, se uno ha i soldi per poter vivere o qualche persona intorno che ti da una mano bene, altrimenti vai a fondo. Io nella mia solitudine oggi sono 4 giorni che non mangio, non ho un euro in tasca, aspetto fine mese per avere 250 euro del vecchio lavoretto e poi si vedrà. Per il momento è un vicolo cieco. Il brutto è che se penso alla possibilità di trovare qualche strategia per migliorare la situazione nella quale mi trovo al momento non saprei che 47 dire. Non saprei dove vedere uno spiraglio di luce. Io ci posso sperare che qualche cosa cambi. Questo si, la speranza ancora resiste, ma le possibilità oggettive di miglioramento al momento non ci sono, si naviga nel buio e mi sembra che la cosa al massimo vada sempre peggio. (Paolo, 48 anni) Altri tengono a sottolineare l’inevitabilità della condizione di sconforto, allontanando l’ipotesi che si tratti di una reazione esclusivamente propria e evidenziando il fatto che si tratta di uno stato d’animo che costituisce parte integrante della sofferenza di ogni persona che si trova in questa situazione. Poi le persone non sono tutte uguali, alcuni magari possono arrivare a situazioni estreme. Io non sono arrivato a quel punto li, ma ho visto persone che c'erano molto, molto vicino. Io ho visto padri di famiglia in attesa con me a cercare lavoro, dai vari servizi o alla distribuzione dei viveri che non sapevano dove sbattere la testa. Ed erano persone come me, lavoratori da sempre. Questo succede perchè non ci sono le possibilità di mettersi a sedere ad un tavolino e cercare insieme le giuste soluzioni, o almeno piccoli interventi specifici che ti possono almeno tamponare e limitare i bisogni più pesanti. (Alberto, 52 anni) In alcuni casi, dopo un primo momento di sconforto, il fatto di aver ricevuto una qualche forma di aiuto e sostegno, anche minima, sembra essere in grado di far scoprire una nuova motivazione per fronteggiare la condizione di disagio, ritrovando le energie psicologiche e fisiche per reagire alla condizione di malessere e attuare sistematiche strategie volte al reinserimento lavorativo. Un tipico esempio è rappresentato dalla speranza di un cambiamento innescata da una nuova e inaspettata relazione con il servizio sociale professionale. Io adesso me la vedo veramente male, come da un anno circa del resto…..ma adesso mi sento che magari le cose potrebbero anche migliorare. Insomma, non che ci siano molti segnali…ma un mesetto fa ho trovato il coraggio di andare dall’assistente sociale….non è che mi andava molto da fare questo passo qui….ma alla fine invece è stata una cosa giusta, e se non ero tanto citrullo c’ero andato anche prima. Certo non è che può fare grandi cose…le risorse che ha sono poche poche…ma mi ha dato qualche piccola cosina e mi ha fatto venire la voglia di riprovare a insistere a cercare lavoro. Negli ultimi mesi mi ero un po’ arreso…..a forza di ricevere no ti prende lo sconforto. Sono in questa settimana ho fatto due colloqui. Insomma vediamo….e speriamo che venga fuori qualche cosa. (Luca, 41 anni) Quando però la povertà diventa una condizione persistente le difficoltà emergono o si inaspriscono. Lo sconforto e la rassegnazione iniziale si amplificano diventando sempre più difficili da fronteggiare. Questo succede anche perché all’aumentare del periodo di permanenza in condizione di povertà le risorse materiali e non materiali a disposizione per una riqualificazione sono sempre meno. 48 Ormai sono 5 anni che sono in mezzo a questo calvario. Le ho provate tutte per trovare qualche soldo. Ma qui non ci sono mica possibilità. Adesso non ne posso veramente più, piano piano ho perso tutto. [Alla domanda dell’intervistatore circa la possibilità di cercare lavoro anche in altre città vicine, l’intervistato risponde:] Andare fuori da questo territorio qua? Non ho mai pensato a questo....sono sempre stato qui, ci sono nato, cresciuto, c’ho lavorato, sono una persona semplice… poi adesso con la mia situazione che è sempre più disastrata francamente non me la sento neanche più. Ho come perso le energie....d'altra parte la vita di strada o quasi come la faccio io fa anche questo. (Paolo, 48 anni) 3.4 La preoccupazione nei confronti dei figli: la povertà dei bambini L’attuale congiuntura economica sembra aver provocato profonde trasformazioni nei rapporti intergenerazionali, modificando l’atteggiamento di speranza da parte dei genitori di riuscire ad offrire una condizione sociale migliore per le nuove generazioni. Per gli intervistati, come prevedibile, è molto alta la preoccupazione per il destino dei figli. Tale timore rappresenta una manifestazione di disagio legata alla presenza di una importante criticità all’interno del contesto sociale. Con riferimento a questo aspetto è ormai opinione condivisa che le chance di vita di un soggetto sono legate non solo a fattori soggettivi, ma implicano anche una importante componente connessa alla struttura sociale nella quale quell’individuo vive26. In questo senso essere membri di una famiglia povera da bambini riduce fortemente le possibilità di usufruire di una gamma di opportunità uguali a quelle di un altro bambino non povero durante l’intero arco della vita27. Inoltre ciò che definisce la condizione di povertà di un minore non è solo l’assenza o presenza di un lavoro o di un’occupazione ma, al contrario, l’adeguatezza di questi ultimi alle esigenze del minore stesso. Emblematico del timore nel prospettare la vita futura dei propri figli è lo stralcio dell’intervista riportato di seguito: Io prendo 400 euro al mese. Adesso ho un piccolo contributo economico da parte del servizio sociale che mi aiuta a pagare l’affitto. Il mio ex marito di passa 300 euro al mese per la figlia ma nei periodi in cui la bambina mangia da lui mi riducono la somma. Questo io dico che è assurdo perché le spese per la bambina sono tante, non è solo il mangiare. Io quando sto con lei per non lasciarla sola o per seguirla nei compiti e così via perdo tante ore che potrei impiegare per lavorare e avere più entrate economiche. E questo nessuno lo tiene in considerazione. E poi qui non si vuol capire che le risorse economiche di fatto non le darebbero a me, ma a mia figlia che potrebbe fare una vita migliore! Ma questo certe volte non lo 26 M. Paci (a cura di), Le dimensioni della disuguaglianza, Il Mulino, Bologna, 1993. A. Schizzerotto (a cura di), Vite ineguali. Disuguaglianze e corsi di vita nell’Italia contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2002 27 49 capisce proprio nessuno. Almeno qui in Italia. Ma è un bel disastro! (Katia, 33 anni) La povertà dei bambini è un fenomeno che trova concreta manifestazione nel nostro Paese nel quale, come evidenziato dai dati statistici in materia, la povertà interessa in larga misura le famiglia con al loro interno un numero elevato di figli (e quindi bambini o adolescenti) e dove i divari cognitivi tra i ragazzi sono molto elevati rispetto alla grande maggioranza degli altri paesi europei. Le differenze sono legate sopratutto alla particolare collocazione nella stratificazione sociale e alla collocazione geografica28. Nonostante questi dati, dal punto di vista delle politiche di sostegno alla genitorialità, il quadro nazionale sembra ancora fortemente lacunoso e frammentato: l’assegno familiare è legato a particolari requisiti occupazionali e specifici livelli di reddito percepito, non sono previste politiche abitative ad hoc e neppure rilevanti riduzioni o agevolazioni all’interno del settore educativo o ricreativo. Tra i soggetti intervistati l’impossibilità di vedere concrete possibilità di fuoriuscita dalla condizione di povertà in tempi relativamente brevi desta forti preoccupazioni. Ciò che allarma è il fatto che questa situazione provochi una pericolosa riduzione delle possibilità di benessere per i propri figli, non solo nel presente, ma anche nel futuro. La condizione di deprivazione viene vista come un rischio di disagio per la prole nel presente, in quanto i bambini non riescono ad avere risorse tali da permettere un tenore di vita adeguato al contesto nel quale vivono. Si assiste così a situazioni di emarginazione da parte di terzi, ma anche di una pericolosa autoemarginazione. Non c'è niente, niente lavoro, niente stipendio, niente possibilità di fare la spesa oppure di fargli fare uno sport. Oppure di mandarli a mangiare una pizza ai compleanni dei compagni di classe. Che cosa gli offro oggi hai miei figli? E in futuro? Vengono anche loro a 18 anni dall'assistente sociale a prendere un boccone da mangiare? Non è quello che vedo pensando alla vita dei miei figli. Io faccio sacrifici per i figli....un domani i bambini vanno avanti e non restano indietro. Ma qui non c'è niente per i ragazzi. (Marco, 36 anni) Se la situazione continua così i figli di domani saranno quindi peggio di quelli di oggi, anche perchè non potranno studiare bene. Io come la seguo mi figlia che per prendere 400 euro al mese devo lavorare tutto il giorno? E poi tra qualche anno chi gli paga gli studi? Qui è tutta una catena. Se va male una cosa a te oggi è tutta una conseguenza che si rifletterà anche domani. Questa cosa qui mi fa soffrire molto perché io non vorrei che mia figlia fosse condannata a fare una vita come la mia oggi. Già non me la aspettavo per me questa vita. (Katia, 33 anni) Valutando il quadro complessivo dei contenuti emersi con riferimento alle strategie di fronteggiamento della condizione di deprivazione economica si possono individuare 3 tipi fondamentali di orientamento: 28 P. Dovis, C. Saraceno, I nuovi Poveri, op. cit., pp.50-55. 50 - - - gli attivi e combattivi: spesso si tratta di persone che sperimentano la condizione di deprivazione da poco tempo, oppure il loro processo di impoverimento è frutto della perdita di valore della retribuzione. Questi soggetti solitamente continuano ad essere inseriti all’interno del mercato del lavoro. In questo senso si tratta di soggetti non intaccati da grandi forme di esclusione sociale e le problematiche risultano strettamente legate alla dimensione economica; gli scoraggiati ma ancora in cerca di nuove motivazioni per ripartire: possono essere inseriti in questa tipologia i soggetti che si trovano in povertà già da alcuni anni. Da tempo sono attanagliati dal senso di impotenza verso alcuni aspetti della loro condizione di vita, ma questo non costituisce elemento di rassegnazione. Alcuni di loro si rivelano ancora in grado di riattivare buona parte delle loro potenzialità nel caso in cui ci siano segni e/o possibilità, anche piccole, di miglioramento della propria condizione; i rassegnati e rinunciatari: ci si riferisce prevalentemente a persone che sono in condizione di deprivazione materiale da un numero consistente di anni. Durante questo arco di tempo il senso di solitudine e rassegnazione sono andati progressivamente aumentando a causa della percezione di inefficacia delle strategie di contrasto attuate da soli o con l’aiuto del sistema istituzionale. Il senso di rinuncia e abbandono spesso è conseguenza dell’aver assistito con impotenza al progressivo depauperamento delle risorse materiali e delle relazioni affettive. Tab. 3. I tipi di orientamento nelle attività di fronteggiamento della deprivazione economica Gli attivi e combattivi Gli scoraggiati I rassegnati e rinunciatari - sperimentano la condizione di deprivazione da poco tempo - subiscono gli effetti dell’innalzamento del costo della vita e della riduzione delle possibilità di lavoro - le problematiche sono strettamente legate alla sfera economica - impegno costante nella ricerca di nuove occupazioni e attivazione di strategie di risparmio (es. coabitazione) - soggetti che si trovano in povertà da alcuni anni - spesso sono disoccupati - operano una incessante ricerca del lavoro. Lo sconforto legato ai molteplici fallimenti dei tentativi di fuoriuscita dalla povertà non si traducono in rassegnazione ad essa - persone che sono in condizione di povertà da molti anni - il passare del tempo ha contribuito alla progressiva perdita delle scarse risorse materiali e relazionali presenti nella prima fase dell’impoverimento - il senso di sconforto e di solitudine sono andati gradualmente crescendo determinando atteggiamenti di rassegnazione 51 CAPITOLO IV IL RUOLO PERCEPITO, LE FUNZIONI E LE RISORSE DEI SERVIZI SOCIALI IMPEGNATI NELLA LOTTA ALLA POVERTÀ 4.1. Il ricorso ai servizi sociali tra bisogno, senso di dignità e vergogna L’intero percorso di ricerca si basa sull’assunzione del presupposto che le persone intervistate siano soggetti “competenti”, vale a dire portatori di forme di conoscenza rilevanti per l’interpretazione dei meccanismi di impoverimento. Questo è stato assunto come valido e bisognoso di considerazione alla luce dell’importanza attribuita al fatto di essere conoscitori del fenomeno dall’interno, vale a dire mediante la sua sperimentazione durante il percorso di vita. I benefici derivanti da questa attribuzione di significatività alle storie di vita narrate rimarrebbero solo parziali nel caso in cui, agli stessi individui non si permettesse un adeguato spazio di riflessione e espressione in merito ai propri percorsi di impoverimento, con riferimento alla valutazione delle risorse istituzionali e non che sono stati in grado di attivare nella fase di deprivazione materiali. Nella parte di interviste dedicata a questi specifici aspetti, particolare attenzione è stata attribuita al ruolo esercitato dal servizio sociale professionale e alla valutazione degli eventuali benefici che le persone ne hanno ricavato. Obiettivo specifico di questa parte della ricerca è quindi la comprensione dei livelli di efficacia o meno delle forme di aiuto istituzionali presenti sul territorio e l’analisi delle motivazioni dei differenti giudizi valutativi. Parallelamente all’analisi degli atteggiamenti verso il futuro e delle strategie di fronteggiamento attuate (cfr. cap. III), una parte di attenzione è stata dedicata alle caratteristiche, ai limiti e alle risorse istituzionali in grado di incidere sulle dinamiche tipiche dei processi di impoverimento. Nelle narrazioni degli intervistati l’aggancio al servizio sociale, vale a dire la decisione di rivolgersi alla rete di aiuti istituzionali, ha assunto forme, modalità e tempi molto diversi tra di loro. Tali differenze sono legate ad una pluralità di fattori tra i quali vale la pena sottolineare la diversa percezione, da un punto di vista della propria opinione di sé, del fatto di rivolgersi ai servizi di assistenza. A questo proposito molto evidente è il differente atteggiamento mentale delle famiglie che si affacciano per la prima volta ai servizi, non avendo mai sofferto di marginalità socioeconomica in passato. Questi soggetti, infatti, mantengono più facilmente presente la necessità di preservare uno stile di vita che non vada al di sotto di particolari standard qualitativi. In questo senso c’è il rifiuto ad assumere una posizione identitaria e di appartenenza alla categoria sociale delle persone interessate dalla povertà grave. L’accettazione di una situazione simile, infatti, viene percepita come la scelta di abbandonare definitivamente la possibilità di avere nuovamente la quotidianità vissuta antecedente al tracollo. A quanto detto fino ad adesso occorre aggiungere la fatica e la resistenza di questa tipologia di nuovi poveri a identificarsi come famiglia portatrice di bisogni. Tale 52 atteggiamento conduce le persone a ritardare il più possibile l’accettazione della necessità di ricorrere ad un aiuto professionale per uscire dalla situazione di disagio. La decisione di recarsi ai servizi sociali viene presa solo nel momento in cui tutte le risorse personali sono esaurite e quindi quando la condizione di sofferenza economica ha raggiunto elevati livelli di gravità. Un esempio è costituito dalla testimonianza di Giovanni, 42 anni, ex imprenditore, che dopo la chiusura della sua attività ha subito un rapido tracollo della condizione economica ritrovandosi senza avere nemmeno i soldi per procurarsi qualche cosa da mangiare. A questo punto la mia situazione era talmente disastrata che (veramente!), non ho avuto altra soluzione che rivolgermi al servizio sociale. Ho cercato di evitarlo in tutti i modi, ma avevo veramente finito tutto. Io mai andato una volta in vita mia. Ne io ne nessuno della mia famiglia. Ho parlato con la direttrice dei servizi sociali e l’assistente sociale che si sono accorte che a livello psicologico ero abbastanza a terra e allora mi hanno dato 300 euro per fare un po' di spesa, ma poi in pochi giorni i soldi sono finiti e allora sono ritornato ed ho avuto una borsa lavoro. Sono andato a lavorare 5 ore al giorno a fare piccoli lavoretti. Più di questo però non potevano fare. Di case popolari non se ne può minimamente parlare. Su questo fronte quindi niente. La casa l'ho persa e mi sono sistemato provvisoriamente con mia moglie depressa da un amico. L'assistente sociale mi ha poi consigliato di rivolgermi al circolo alimentare di Carrara per avere qualche alimento. Io mai stato in questi ambienti qua. Mi presento in questo posto veramente brutto, bollente per il caldo e piccolissimo. Li mi hanno dato due cose in croce, come in tempo di guerra: un pacco di farina, caffè, fette biscottate, un pacco di pasta. D’altra parte non avevano di più, che cosa dovevano fare. Che umiliazione! Mi hanno detto che se volevo mangiare dovevo andare alla Caritas di Marina di Carrara. Alla Caritas non ci andrò mai perchè così in basso no. Andare a mangiare insieme ai senza fissa dimora, con tutto il rispetto per loro, ma io mi rifiuto di considerare me stesso così in basso. Se accetto questo sono finito. (Giovanni, 42 anni) Il servizio sociale in tutto questo è entrato da pochissimo tempo. Da gennaio perchè prima non mi ero mai rivolta ai servizi. Sapevo che esistevano queste possibilità di aiuto, ma non ne avevo mai fatto richiesta perchè ho provato sempre a cavarmela da sola. L'assistente sociale si è attivata subito ed ho tutt'ora il contributo. Mi hanno proposto questa cosa nella misura in cui io riesco a trovare un posto di lavoro. Questo è giusto. Io devo fare la mia parte. (Eugenia, 50 anni) Sono stato alla Caritas dietro insistenza dell'assistenza sociale. Ogni 15 giorni mi danno un panchetto con del cibo, un pezzo di formaggio, scatolette di tonno, biscotti ma… poi mi darebbero della pasta, ma non ho niente per poterla cucinare quindi è un bel problema. E' difficile. Altre associazioni non c'è niente. Sono andato alla Caritas a Spezia, ma mi hanno rimbalzato. Sono stato una notte al dormitorio, ma essere trattato alla stregua di un barbone......non me la sono sentita.....ho firmato e sono venuto via. Entrare 53 dentro quell'ambiente li, erano tutti ubriachi io sono anche astemio. Con tutto il rispetto per queste persone, ma non mi sento di essere in una condizione di malessere come quella. Io ho solo bisogno di un posto dove dormire, non sono uno psichiatrico, delirante, alcolista o altro. (Paolo, 48 anni) 4.2. Il rapporto con il servizio sociale tra inadeguatezza delle risorse e consapevolezza dei limiti di intervento Una volta avvenuto il primo contatto con i servizi, la relazione che si instaura il più delle volte è positiva. Analizzando più nello specifico tale giudizio si possono individuare due differenti valutazioni a seconda che ci si riferisca alla relazione e al lavoro di aiuto svolto dall’assistente sociale, oppure alla capacità del sistema delle politiche di intervento di contrasto alla povertà locale e nazionale. L’immagine complessiva che emerge è quella di una relazione d’aiuto nella quale chi è predisposto a definire il progetto d’aiuto e valutare le risorse potenzialmente attuabili (il servizio sociale nella figura dell’assistente sociale) compie la sua funzione in maniera completa e al massimo delle sue possibilità, alla luce della limitatezza degli strumenti in suo potere. La riflessione sulla rete di risorse a disposizione dei servizi di assistenza, al contrario, viene percepita come lacunosa e frammentaria, contribuendo a impedire la costruzione di progetti di intervento globali e personalizzati in base alle specifiche cause e manifestazioni della carenza di risorse materiali. A questo proposito la dimensione di criticità viene legata al limite, non solo del livello politico-amministrativo locale, ma rinvia a carenze macrostrutturali all’interno del sistema di welfare, anche facendo riferimenti comparativi con modelli presenti in altre realtà nazionali. Gli utenti del servizio sociale innescano un forte legame collaborativi con l’assistente sociale, che sentono figura in grado di comprendere la situazione problematica in maniera pragmatica. In questo senso si dichiarano anche molto favorevoli alla possibilità di stipulare un contratto di aiuto con assunzione reciproca di forme di responsabilità e l’individuazione di obiettivi da raggiungere. Secondo la percezione degli intervistati, la relazione d’aiuto però viene fortemente depotenziata dalla carenza di risorse e servizi collocati nella cassetta degli attrezzi dell’assistente sociale. Con riferimento a questo aspetto, paradossalmente, si verifica un atteggiamento di comprensione da parte dell’utente nei confronti delle difficoltà incontrate dell’assistente sociale nel procurarsi le risorse per costruire i progetti d’aiuto. Molti i riferimenti nella narrazione degli intervistati che evidenziano queste specificità della relazione d’aiuto: Il servizio sociale ha fatto tutto quello che si poteva fare con le risorse che ha. I servizi sociali con i loro mezzi fanno quello che possono, 54 ma i fondi sono pochi e le persone che arrivano sono tante. (Alberto, 52 anni) L'assistente sociale ha fatto anche troppo, ma quello che può fare non è tanto. Anche lui ha le mani legate. L'unica ipotesi che ho davanti a me è la casa famiglia. Francamente per adesso cerco di resistere perchè sarei a convivere con gli ottantenni soli. (Francesco, 54 anni) L'unica persona che mi è stata dietro in maniera adeguata è l'assistente sociale che però purtroppo, e non posso fargliene una colpa a lei, perchè non dipende da lei, non ha nelle mani le risorse che tutti e due sappiamo mi sarebbero state utili per provare a reagire alla spirale che mi sta assorbendo. (Giovanni, 42 anni) Al momento direi che la mia situazione è disastrata è dire poco perchè sono proprio totalmente spiantato. Qualche tempo fa ho presentato una richiesta alla Asl locale e per 2 mesi ho avuto 250 euro dall'assistente sociale ed io mi ero impegnato a cercare una casa, perchè ho fatto 6-7 mesi per le strade la notte. Ho trovato una casa ma da dicembre mi è stato sospeso il contributo e attualmente non percepisco niente. Per fortuna non ho famiglia altrimenti mettevo tutti nella strada. Per quanto riguarda i servizi sociali non posso dire niente. Il problema è che non ci sono stati più soldi. Io mi sono trovato che dal 26 maggio 2010 fino a ottobre 2010 non ho dormito una notte in un letto. Questo è quanto posso dire. Senza assistenza da nessuno, fare 4-5 giorni senza mangiare un boccone di pane. Sto sopravvivendo così. Non posso dire che l'Asl mi ha aiutato perchè mi hanno tagliato i fondi immediatamente. Non ne posso parlare tanto male però perchè la situazione è questa e non potevano fare di più. La mia è una situazione reale, toccata di mano e i servizi lo sanno. Ma a quanto pare non c'è nulla da fare e continuo così. (Paolo, 48 anni) Con i servizi sociali al momento non ho niente. Al di fuori di qualche aiuto che danno la Croce Rossa in termini di alimenti una volta al mese, non ho niente. Con l'assistente sociale non faccio niente. Ma non è colpa dell'assistente sociale, intendiamoci! Anche lei ha le mani legate. Lei vorrebbe riuscire a darmi un contributo economico, ma è tutto bloccato. In passato c'erano almeno dei buoni per andare a fare la spesa e altre piccole cose, ma adesso hanno tolto anche quelli li. Come si fa? Loro che cosa possono fare se non hanno niente da dare? Loro quello che possono fare, poverini, lo fanno e anche bene, ma se non hanno l'aiuto, se non hanno gli strumenti per lavorare che cosa possono fare? (Mario, 36 anni) Alcune volte i servizi erogati permettono la costruzione di momenti di attenuazione della condizione di sofferenza economica. Un esempio è costituito dalla testimonianza della giovane donna riportata di seguito che per due anni ha usufruito di una borsa lavoro. Una volta concluso il periodo di accompagnamento da parte del servizio sociale, però, gli effetti della contrazione dell’occupazione all’interno del mercato del lavoro si sono nuovamente materializzati, determinando l’impossibilità di tradurre l’esperienza lavorativa acquisita in una forma di occupazione, anche part-time. 55 Negli anni passati ero riuscita a trovare qualche cosa di lavoro. Con l'assistente sociale ero riuscita anche ad inserirmi in un supermercato con una borsa lavoro. Purtroppo questo supermercato essendo molto piccolo non ha potuto assumermi. All’inizio sembrava si potesse fare, ma poi le cose sono peggiorate strada facendo per la crisi. A malincuore non se ne è fatto di niente perchè ci siamo lasciati bene con i proprietari. Spesso vado a trovare la titolare, veramente un bel rapporto. Lei mi tiene in considerazione per un’assunzione. Francamente credo che sia sincera, ma adesso proprio non può. Lo vedo anche io com’è la situazione. Mi ha lasciato anche delle referenze stupende, però mi ha detto chiaramente che non mi poteva assumere. La borsa lavoro è durata due anni. E' stata un'esperienza bella perchè mi sono trovata bene e poi anche l'importo era buono (600 euro). (Francesca, 32 anni) In giro le persone spesso parlano male delle assistenti sociali e dentro un po' il timore c'era, poi ho conosciuto la mia assistente sociale ed è stata bravissima. Se non fosse stato per lei io non ce l'avrei fatta. Mi hanno staccato la luce che era già inverno. Mi sono trovata con una bimba senza acqua, riscaldamento e luce. Lei mi ha aiutato nell’emergenza con quel poco che a potuto e poi abbiamo iniziato a pianificare un programma più importante per evitare che risucceda. Oggi poi, grazie alle indicazioni dell’assistente sociale, la Croce Rossa mi passa una volta al mese un pacco alimentare che è già qualche cosa. Adesso però ci vorrebbe un lavoro, ma l’assistente sociale mica può tirarlo fuori da un cilindro il lavoro? (Samantha, 36 anni) 4.3. La voglia di fuoriuscire dalla condizione di assistito Il rapporto instaurato con il servizio sociale sembra essere molto lontano dal rischio che si traduca in una forma di assistenzialismo cronico vissuto passivamente da parte dei beneficiari degli aiuti. Le persone coinvolte nei progetti d’aiuto, infatti, tendono a vedere la relazione di sostegno fornita dall’assistente sociale come una risorsa in più per trovare nuove energie da dedicare all’attivazione delle proprie competenze. Si ricorda a questo proposito il caso, riportato nelle pagine precedenti, del cittadino che, in seguito al contatto con il servizio e alla relazione d’aiuto, ha ritrovato una nuova motivazione per ricominciare a proporsi nel mercato del lavoro, dopo aver attraversato un periodo di rassegnazione alla propria condizione di disagio. Alla luce dei contenuti delle interviste, inoltre, quello che viene richiesto ai servizi di aiuto professionale non è la possibilità di riceve un contributo economico in grado di permettere la sopravvivenza in situazione di disoccupazione o, in generale, di disagio economico. Ciò che viene domandata è la possibilità di avere un sostegno in termini di lotta alle forme di vulnerabilità avvertite, in vista di un progressivo sviluppo di competenze per riconquistare una propria autonomia. 56 Questo vale sia per i poveri di lungo periodo, sia per color che sono seguiti dai servizi sociali da minor tempo. La necessità di ricorrere al servizio sociale per tutta la vita, in seguito all’impossibilità di riconquistare una propria autonomia economica, viene considerata come un elemento fallimentare nella vita della persona, sia per se stesso, sia, soprattutto, per gli effetti che questa situazione può comportare nello stile di vita dei propri figli. Per gli intervistati la condizione di assistito, infatti, implica inevitabilmente il permanere in una situazione di disagio. A questo proposito si riportano le affermazioni emerse dalla seguente intervista: Io ho due bambini piccoli e i servizi mi passano al massimo 5-6 litri di latte al mese...mica bastano? E quel latte li costa. Come faccio io? Poi i bambini hanno bisogno di mangiare altri alimenti specifici, ce lo dice anche il pediatra ma anche quelli spesso costano tanto (parmigiano, carne scelta) e è un problema riuscire a trovarli. Io cerca di fare tutti i lavori che posso, ma in alcuni momenti mi rendo conto che proprio non ci arrivo a poter andare al supermercato a comprarli. Ci sono tante cose che purtroppo non hanno e mi passano quello che c’è. Quando c'è qualche cosa di viveri diversi me li danno però che si può fare?Io non posso andare avanti così però. Io vorrei essere aiutato a trovare di nuovo una forma di lavoro mio e chiudere con questo periodo. E poi non voglio che i miei figli un domani debbano venire qui anche loro. Per loro voglio un futuro un po’ meglio. (Luca, 41 anni) Le dimensioni dell’ascolto e della comprensione vengono considerate elementi importanti per la costruzione di una nuova riflessione sul problema. Tale punto di vista viene sottolineato in primo luogo dagli stessi intervistati che valutano positivamente il fatto che vengano attivate forme di studio e analisi dei loro percorsi di deprivazione. Molto alta è infatti la consapevolezza di essere davanti ad un periodo di forte difficoltà economica a livello macrosociale e avvertono con forza la necessità di cercare nuove forme di contrasto alle dinamiche di impoverimento che li coinvolgono. Speriamo che anche altre persone facciano questa intervista e che non si vergognino a parlare perchè è importante. Tante persone non se la sentono di raccontare la loro storia perché la trovano umiliante e magari sembra che vada tutto bene o quasi ma non è così e c’è un gran bisogno che questo malessere venga almeno ascoltato e compreso. Anche questa attività di ricerca e di analisi può essere una cosa utile, qui ci sono un mucchio di situazioni che fino a qualche anno fa erano quasi impensabili. (Alberto, 52 anni) A me fa piacere che adesso cerchino di capire da dove è iniziato questo calvario, questo è un passo importante per iniziare a fare, e a fare bene. (Anja, 45 anni) 4.4. Verso l’attivazione delle competenze dei cittadini sui processi di impoverimento 57 Le persone intervistate, anche quelle che sperimentano la condizione di povertà da lungo tempo (almeno 2-3 anni), dimostrano una buona capacità di analisi della loro condizione di poveri e una elevata riflessività costruttiva in merito ai limiti e ai margini di miglioramento dei servizi erogati. Molti hanno sperimentato in prima persona i servizi e li hanno quindi visti operare in relazione alla loro condizione di disagio, sperimentandone i benefici, i limiti e percependone le potenzialità inespresse. Il contenuti riportati in queste pagine sono l’esito del primo momento di analisi e riflessione; successivamente essi sono stati utilizzati come materiale di confronto con i professionisti (assistenti sociali e rappresentati istituzionali) coinvolti all’interno del percorso di ricerca-azione, in modo essere ulteriormente arricchiti grazie ai contributi derivanti da queste specifiche competenze professionali. Una volta effettuato tale passaggio, all’interno di un incontro appositamente organizzato con il gruppo di pilotaggio, è stato possibile individuare una piattaforma di lavoro sulla quale avviare le attività del gruppo allargato di esperti e cittadini interessati dalle dinamiche di impoverimento economico. Il gruppo, infatti, ha collaborato con i ricercatori alla formulazione di proposte operative da presentare al committente della ricerca per la promozione di un mutamento in termini migliorativi dei servizi esistenti. Tra le molteplici osservazioni e riflessioni emerse spontaneamente, oppure dietro invito dell’intervistatore a fermarsi a riflettere sull’efficacia, i limiti e gli elementi migliorativi potenzialmente attuabili dei servizi presenti sul territorio, si riportano alcuni aspetti che hanno registrato una certa ricorrenza. Ci si riferisce alla necessità di una migliore diffusione delle informazioni in merito al ruolo e alle attività dei servizi sociali, allo strumento della borsa lavoro come mezzo di promozione dell’occupazione e al contributo in conto affitto per la parziale copertura del canone di locazione rivolto a nuclei familiari con specifici parametri di reddito e patrimonio. a) La diffusione delle informazioni sul ruolo e le attività dei servizi sociali Frequentemente le persone risultano poco informate, non tanto e non solo sull’esistenza del servizio sociale, ma sui servizi da esso offerti, sulle modalità di accesso, i requisiti per essere presi in carico e le richieste da formulare per avere accesso ai servizi più utili, oltre che le relative scadenze temporali entro le quali presentare le domande. I servizi sociali non hanno grandi risorse, non è che vai e ti risolvono tutto. Ma questo non è neanche giusto. Però qualche cosa c’è. Ad esempio io ho avuto un aiuto sulla riduzione della retta del nido. Questo, unito ad un piccolo contributo economico, mi ha dato un po’ di respiro. E adesso posso cercare lavoro. Il fatto è che queste cose non si sanno mica tanto in giro. Io è il terzo anno che ho i bambini all’asilo e fino ad oggi nessuno mi aveva detto niente. Ho scoperto queste cose perché essendo con l’acqua alla gola mi sono decisa ad andare a chiedere un aiuto. Sarebbe 58 meglio che i servizi presenti fossero pubblicizzati un po’ meglio. (Valeria, 37 anni) Io non sapevo bene della possibilità del contributo per pagare l’affitto. Poi un giorno sono andata a chiedere aiuto all’assistente sociale e lei mi ha spiegato un po’ di cose. Il problema è che nel frattempo erano già scaduti i termini per fare la domanda e adesso devo aspettare un altro anno…che è lungo….questi servizi dovrebbero essere più conosciuti in giro. Tanto se poi non hai i requisiti non ti danno niente e se ci sono troppe domande faranno una selezione. Almeno i soldi vanno a chi ne ha più bisogno. (Samantha, 36 anni) Io non sapevo che cosa mi aspettava arrivando ai servizi sociali. In giro se ne sentivano di tutti i colori. Poi invece mi sono trovata bene e se c’ero andata prima forse era meglio. Ma io non sapevo neanche bene che cosa fossero i servizi sociali. In giro non si sente dire praticamente niente se non qualche articolo sulle adozioni ingiuste….io non sapevo niente…potevo andarci anche prima, mi sono fatta un mucchio di problemi. Distribuiscono volantini e pubblicità su ogni cosa, ma dei servizi sociali, chi ha mai visto niente? Quando c’è qualche cosa di utile! Fossi il comune…ci farebbe anche bella figura a presentare quello che ha. (Antonella, 41 anni) Lo stigma negativo associato ai servizi sociali tipico dei decenni passati, in alcuni soggetti, soprattutto quelli più carenti da un punto di vista culturale, sembra continuare ad esistere anche in tempi recenti. Questa tipologia di persone non riesce a capire quali servizi ci possono essere e quali risorse si possono attivare rivolgendosi ad un assistente sociale. Io ci sono andata una volta dai servizi sociali a spiegare la mia situazione. Hanno cercato di capire che cosa possono fare poi… però se ne sentono dire talmente tante…io francamente ho paura…ho anche due figli che sono ancora minorenni e sono sola [il marito se ne è andato], francamente non voglio perderli. Chi sa che cosa fanno. E poi che ci possono fare sul fatto che non lavoro? Loro mi avevano dato un nuovo appuntamento per iniziare a capire meglio la mia situazione, ma io non ci sono andata. Chi sa che cosa mi aspettava?Io non ho mai sentito dire quello che fanno di preciso… (Valeria, 45 anni) Io sono finita ai servizi sociali perché una mattina proprio non ce la facevo più e francamente non mi aspettavo mica tanto….però mi sbagliavo. Il fatto è che non si sa niente. Adesso io lo dico un po’ in giro alle persone che conosco e che navigano nelle mie stesse acque. Non ti danno certo uno stipendio ma, ti rimetti un po’ in circolazione e poi in parte ti senti anche meno solo e anche questo aiuta. Ad ogni modo io credo che dovrebbero far conoscere di più quello che fanno gli assistenti sociali. Adesso è poco, anche perché hanno poco da dare, ma è sempre qualche cosa di importante. (Luca, 41 anni) 59 Una maggiore comunicazione in merito ai servizi esistenti e alle finalità della relazione d’aiuto all’interno del servizio sociale professionale si rivela fondamentale anche per una maggiore capacità di sostegno da parte dei servizi nei confronti delle nuove figure di povero che, non essendosi mai confrontate con questo tipo di problematica, sembrano essere maggiormente disorientati nella prima fase di attuazione delle strategie di contrasto dei processi di impoverimento, soprattutto quando questi sono inaspettati e repentini. Quando cadi in povertà sei solo. Non sai niente di quello che potresti avere. Questo credo che valga tantissimo per quelli che, come me, non hanno mai avuto problemi economici e che non facevano rate nemmeno per comprare la macchina, perché riuscivano a mettere da parte i soldi necessari. Nella mia famiglia nessuno ha mai avuto bisogno di niente. I miei genitori hanno sempre lavorato, grazie a Dio. Io non mi ero mai preoccupato di che cosa ci potesse essere di aiuto se ti trovi in questa situazione qua. Sono andato ai servizi sociali quando mi hanno dato lo sfratto esecutivo. Se c’ero andato prima magari potevo provare a evitare di perdere la casa, che è stato un problema grosso. Il fatto è che queste cose dovrebbero essere conosciute di più altrimenti finiscono per usufruirne solo gli assistiti cronici, che fanno della ricerca di aiuti la loro professione e chi si vuol rialzare da solo e che magari quindi usa bene quello che il servizio pubblico gli offre, finisce per rimanere fuori. (Alberto, 52 anni) b) La borsa lavoro come strumento di sostegno all’occupazione Alcune delle persone intervistate hanno maturato un’esperienza di lavoro, oppure stanno lavorando, grazie all’attribuzione di una borsa lavoro frutto di un intervento di sostegno all’occupazione e di promozione al reinserimento lavorativo autonomo del soggetto. Il progetto è concordato con l’assistente sociale e prevede l’inserimento all’interno di una realtà lavorativa, per un periodo di tempo definito dal progetto stesso, in cambio di una retribuzione mensile di 600 euro per 30 ore settimanali di lavoro. La durata massima è di 12 mesi con passibilità di proroga per un ulteriori periodo, sempre concordato con il servizio sociale. Nel vissuto degli intervistati l’intervento è considerato come prezioso, non solo dal punto di vista economico, permettendo maggiori entrate monetarie e emancipando il soggetto dal contributo economico, ma anche per la sua opportunità di riattivare le competenze lavorative del beneficiario, il quale si sente nuovamente soggetto attivo e abile nell’esercizio di una professione. Un esempio di questa seconda specie di aiuto si evince con chiarezza dalle affermazioni di un cittadino in condizione di disoccupazione da ormai 4 anni. Io sono disoccupato da 4 anni. Sono stato uno dei primi a cadere nei licenziamenti da crollo delle commesse. E un bel problema. Preso dallo sconforto lo scorso anno mi sono rivolto al servizio sociale e insieme, visto che hanno valutato che ho voglia di lavorare e bisogno di portare a casa qualche cosa, mi hanno offerto una borsa lavoro. Per me è stata una buona 60 occasione perché finalmente mi sono sentito nuovamente buono a fare qualche cosa, la mattina potevo evitare di andare a bighellonare nelle strade per non stare di peso a mia moglie che fa dei lavoretti in casa. Che umiliazione. E’ una bella esperienza e adesso spero che le cooperative con le quali sono entrato in contatto mi prendano in considerazione. Che sono un lavoratore è chiaro anche a loro. Comunque questo è un servizio utili per chi, come me, sapeva fare poco ed era disoccupato da tanto. (Luca, 41 anni) Nonostante l’unanime valutazione positiva dello strumento della borsa lavoro, alcuni intervistati, raccontando la loro esperienza, evidenziano delle perplessità alla luce delle concrete possibilità occupazionali, una volta concluso il periodo di attività stabilito nel progetto. A questo proposito sembra che lo strumento sia particolarmente utile per coloro che, al momento del suo inizio, non avevano specifiche competenze professionali. Per i cittadini che hanno fatto ricorso alla borsa lavoro avendo alle spalle una buona formazione professionale, spesso anche fortemente specializzata, le attività lavative vengono viste come un parziale e temporaneo sollievo dalla condizione di disagio nella quale vertono ma, allo stesso tempo, non vedono in esse la possibilità di migliorare le probabilità di trovare una propria autonoma occupazione dopo la conclusione del progetto. In alcune testimonianze si colgono degli elementi che sembrano muoversi in direzione di un miglioramento dell’efficacia del reinserimento lavorativo. Tra questi si riporta la possibilità di riuscire a fare dei progetti di borsa lavoro personalizzati e, più precisamente, in grado di tenere conto, nella misura maggiore possibile, delle specifiche esperienze professionali possedute. Questa operazione, infatti, permetterebbe agli utenti del servizio di avere un numero più elevato di possibilità di riproporre le loro competenze lavorative in un settore occupazionale dove sono più numerose le possibilità di un nuovo impiego. Ho la borsa lavoro da 8 mesi. Mi trovo bene. Io però prima facevo il capomastro nei cantieri dove si lavora il marmo. Avevo un mestiere buono e di quelli che non li sanno fare tutti. Adesso con la borsa lavoro faccio dei piccoli lavori di giardinaggio. Li faccio volentieri e il piccolo stipendio già mi ha fatto risollevare la testa. Ma il problema è che quello non è il mio mestiere. Io ho già una certa età. Mi mancano 6 anni ad andare in pensione. Come faccio a maturarli. Forse le borse lavoro potrebbero essere migliorate cercando di collocare le persone a lavorare, anche pagate poco, nei settori dove hanno già tanta esperienza in modo che possono avere più possibilità di rimanere a contatto con il settore che conoscono e sperare così in una nuova occupazione. Io qui come giardiniere non sarò mai preso, lo so. C’è gente che lo fa già di mestiere da 15 anni. (Michele, 59 anni) Poi è arrivata questa borsa lavoro. Utilissima. Mi ha permesso di respirare un po’. Il fatto è che una volta finita sono stato punto e a capo con tutta la situazione. Pulivo le aiuole per il comune. L’ho fatto volentieri, ma finito questo…. a casa. Immagino sia difficile, ma magari si potrebbero costruire dei progetti di borsa lavoro divisi per settori di attività in modo che uno possa andare a lavorare facendo quello che sa fare. Io ad esempio 61 ho 20 anni di lavoro alle spalle nella cantieristica, so fare un mucchio di cose. Magari potrei essere anche più utile e redditizio, e poi così mi rimetto a girare nel mio settore. Faccio vedere quello che so faccia. Presentarsi da disoccupato con il curriculum in mano a 52 anni è un’impressione diversa, ti devono credere sulla parola, con la borsa lavoro invece ti possono mettere alla prova e hai qualche possibilità in più. (Alberto, 52 anni) c) Il contributo in conto affitto Un altro strumento di contrasto alla povertà oggetto di riflessione da parte degli intervistati è stato il contributo in conto affitto. Si tratta di una misura a sostegno delle famiglie nel pagamento di una quota variabile del canone di locazione in relazione alla dichiarazione di reddito equivalente ISEE e al rapporto esistente tra reddito disponibile e entità del canone di locazione. L’importo erogato in ogni caso non può superare i 300 euro mensili. La misura è regolamentata dalla Legge 431/98 e dalla Legge Regionale 96/96 che prevede la possibilità di attingere per l’erogazione di questo tipo di contributo dal Fondo Sociale Regionale ERP. Vale la pena soffermarsi preliminarmente sugli attuali parametri previsti per usufruire del contributo al fine di meglio comprendere gli elementi di riflessione emersi dalle interviste. Il regolamento attuativo suddivide gli aventi diritto in due categorie: - la categoria A, che racchiude i soggetti che hanno un livello di ISEE inferiore agli 11.000 euro. Gli aventi diritto percepiscono il contributo attingendo dal Fondo Sociale Regionale; - la categoria B, di parziale competenza comunale, i cui requisiti di attribuzione vengono stabiliti ogni anno sulla base di un bando ufficiale pubblicato dall’Ufficio Casa. Requisiti fondamentali per avere diritto al contributo, oltre ai parametri di reddito sopra indicati, sono: - avere un contratto di affitto regolare; - non trovarsi in condizione di morosità nel pagamento dei canoni di locazione scaduti. Tale condizione deve essere attestata mediante presentazione delle rispettive ricevute di pagamento. Il pagamento delle quote dovute avviene in due soluzioni nell’arco dell’anno solare. Proprio per questa caratteristica, la misura viene interpretata non tanto come contributo economico, ma come una sorta di rimborso spese per la gestione dei costi legati alla casa. Nell’opinione delle persone intervistate, il contributo per la copertura di una parte del costo del canone di locazione costituisce una risorsa di fondamentale importanza ed efficacia per permettere alle persone con difficoltà economica di non perdere la casa. Essi inoltre sottolineano come la possibilità di salvare la sistemazione alloggiativa sia importante per evitare l’ulteriore sprofondamento nella condizione di povertà, oppure di riemergere dalla situazione di indebitamento legata all’accumulo di canoni di locazione non pagati, che si protrae anche quando le risorse finanziarie cominciano a affluire nuovamente all’interno del contesto familiare. 62 Il problema principale che viene sollevato riguarda la possibilità di riuscire ad avere accesso alla misura. L’ottenimento del contributo, infatti, è tassativamente legato all’assenza di qualsiasi posizione debitoria nei confronti delle rate di affitto scadute. Di seguito alcune riflessioni delle persone intervistate: Il contributo in conto affitto sarebbe un aiuto importante perché ci permetterebbe di respirare evitando di accumulare rate di affitto non pagate. Adesso che poi abbiamo per qualche mese lo stipendio, avere il contributo significherebbe uscire dalla catena dei debiti e poter ripartire in pari. Il problema fondamentale è che se non hai tutte le rate pagate quando presenti la domanda questa ti viene respinta. Ora secondo me chi ha difficoltà a pagare il canone solitamente ha delle rate di debito. E’ inevitabile. Con questo requisito finisce che chi affoga di più continua ad affogare. (Katia, 33 anni) Il contributo in conto affitto è importante, ma non riesco ad avere i requisiti per fare domanda. Occorre essere in pari con il pagamento dell’affitto e io non ce la posso fare. Adesso con il servizio sociale sto cercando di rimettermi in pari, ma anche per il prossimo anno credo che rimarrò fuori. E’ un bel problema perché anche se adesso mi rimetto apposto con i debiti in futuro rischio di ritrovarmi nella stessa situazione. (Samantha, 36 anni) Io credo che questo aiuto del contributo per l’affitto meriterebbe un po’ più di attenzione in modo che sia dato a chi è più a rischio di non pagare l’affitto e rischia lo sfratto. (Giovanni, 42 anni) Tab. 4. Riepilogo degli aspetti oggetto di riflessione da parte degli intervistati Miglioramento della diffusione del ruolo e delle funzioni del servizio sociale - Costruzione di un’informazione più diffusa su ruolo funzioni e opportunità derivanti dal ricorso al servizio sociale professionale in caso di insorgenza di condizioni di deprivazione economica. - Maggiore diffusione delle informazioni relative ai servizi presenti sul territorio per avere accesso a riduzioni e benefici di vario genere nel sostenimento di costi per le esigenze legate alla casa, alla 63 famiglia ecc.. Maggiore personalizzazione del progetto per l'attribuzione della borsa lavoro - Più attenzione alla formazione professionale pregressa delle persone coinvolte nei progetti. Rivisitazione dei parametri per l'attribuzione del contributo in conto affitto - Maggiore attenzione al reale livello di disagio da parte delle famiglie nel pagamento dell’affitto (valutazione individualizzata) - Possibilità di avere accesso al contributo anche in caso di condizione di morosità, dietro apposita valutazione effettuata dall’assistente sociale 64 CAPITOLO V ALCUNE PROPOSTE PER IL MIGLIORAMENTO DELLE STRATEGIE DI CONTRASTO ALLA POVERTA’ PRESENTI SUL TERRITORIO: 5.1. Costruire nuove prospettive attraverso la riflessione congiunta di istituzioni e soggetti vittime dei processi di impoverimento Una volta concluse le operazioni di raccolta delle informazioni, mediante l’ascolto delle esperienze vissute dalle singole persone (attraverso le interviste individuali), i materiali raccolti sono stati oggetto di riflessione da parte dell’equipe multidisciplinare (gruppo di pilotaggio). I lavori di studio hanno avuto una duplice funzione: da un lato operare una prima rielaborazione delle tante sollecitazioni emerse dalle interviste; dall’altro compiere una selezionare di alcuni temi sui quali concentrare l’attenzione nel proseguo della ricerca. L’ultima parte dell’indagine prevede infatti l’osservazione delle caratteristiche dei servizi esistenti e si pone l’obiettivo di giungere alla definizione di proposte migliorative degli stessi. Il gruppo di pilotaggio ha quindi svolto un ruolo centrane nelle operazioni di cernita tra i numerosi temi potenzialmente oggetto di trattazione. L’ipotesi affrontare all’interno dei focus groups l’intero insieme degli ambiti citati dagli intervistati come bisognosi di integrazioni, vista la limitatezza numerica degli incontri è stata esclusa perché rischiava di rivelarsi eccessivamente dispersiva, rendendo difficile giungere ad un’analisi dotata di una adeguata profondità di riflessione e in grado di permettere una sintesi in termini di proposte pragmaticamente valide da presentare ai committenti dell’indagine. I focus groups sono stati condotti con un gruppo composto da operatori istituzionali (assistenti sociali, funzionari provinciali), ricercatori e cittadini che nell’ultimo periodo si sono rivolti ai servizi sociali territoriali formulando una richiesta di aiuto con riferimento al tema della povertà economica. I lavori si sono concentrati prevalentemente su due temi: • il livello e la qualità della diffusione delle informazioni in merito alle risorse e ai servizi esistenti utili per fronteggiare condizioni di deprivazione economica; • i servizi presenti sul territorio per il sostegno all’occupazione. Particolare attenzione è stata dedicata al progetto “Borse lavoro”. La circolazione delle informazioni E’ opinione facilmente condivisibile il fatto che la diffusione delle informazioni sui servizi sociali esistenti all’interno di un territorio svolga un ruolo centrale nel prevenire e fronteggiare condizioni di esclusione sociale. Essa infatti costituisce un importante strumento per raggiungere i cittadini in tempi ripidi in seguito all’insorgenza del bisogno, evitando così inutili prolungamenti della condizione di disagio da parte degli stessi. La diffusione delle informazioni inoltre, permettendo al soggetto di formulare la 65 propria richiesta di aiuto con tempestività, può contribuire in maniera sostanziale a quella che tecnicamente viene definita “riduzione del danno”. In altri termini si evita il rischio che la condizione di disagio percepita inizialmente dia avvio ad una serie di effetti a catena che contribuiscono al peggioramento dello stato di bisogno della persona, spingendola verso percorsi di cronicizzazione e facendo nascere la necessità di interventi più ampi, maggiormente costosi e spesso di durata superiore. Il fatto che il processo di aiuto prenda avvio dalla diffusione delle informazioni in merito ai servizi e le risorse esistenti sul territorio per permettere ai cittadini di potenziare le proprie strategie di fronteggiamento del disagio e dell’esclusione sociale è sancita anche dal dettato normativo e più in particolare dalla Legge quadro 328/2000, nella quale viene esplicitata l’importanza di potenziare il processo di comunicazione verso la cittadinanza sulle risorse, sui servizi e sulle funzioni svolte dal servizio sociale territoriale. Tra gli obbiettivi del legislatore rientrano una serie di esigenze quali: • rendere la popolazione consapevole delle opportunità che il proprio territorio offre in termini di servizi e di modalità nel loro utilizzo; • agevolare il lavoro degli operatori sociali che operano sul territorio attraverso prese in carico tempestive; • contribuire all’implementazione del sistema informativo interno al servizio (raccolta e studio dei dati), in modo da rappresentare un valido strumento nelle mani dei decisori politici al fine di realizzare una più efficiente programmazione del territorio che tenga conto della domanda di servizi. La Borsa lavoro Il difficile rapporto con il mercato del lavoro rappresenta uno dei fattori più importanti all’interno delle dinamiche di impoverimento. La perdita dell’occupazione frequentemente rappresenta una delle cause scatenanti a partire dalle quali si innescano una serie di effetti a catena che, come evidenziato anche all’interno delle narrazioni delle persone interviste, possono condurre a circuiti di impoverimento progressivo. Da qui è nata l’esigenza di costruire strumenti di intervento in grado di agire all’interno di questo delicato e complesso settore. Il sostegno alle capacità lavorativa dell’individuo, infatti, rappresenta un elemento importante in vista della fuoriuscita in maniera duratura dalla condizione di povertà economica. Le Borse lavoro, rivolte a soggetti in condizione di disoccupazione di età compresa tra i 18 i 55 anni, si propongono un triplice obiettivo: permettere al cittadino di avere una minima entrata economica per far fronte alle esigenze proprie e del nucleo familiare, preservando margini più ampi possibili di autonomia; contribuisce a ridurre eventuali stati di malessere psicologico derivanti dalla condizione di inattività forzata, spesso alla base di disagio anche grave e alla progressiva perdita di capacità di reinserimento all’interno del mercato del lavoro. Particolarmente importante a questo proposito è il recupero dell’autostima e la promozione di margini crescenti di inclusione all’interno del contesto comunitario; rappresenta una valida opportunità per un futuro autonomo reinserimento lavorativo del soggetto rispetto all’intervento di servizio sociale, grazie 66 alla possibilità di qualificarsi professionalmente e di coltivare una rete di rapporti lavorativi. In sintesi il progetto denominato “Borsa lavoro” si propone di promuovere margini crescenti autonomia attraverso il potenziamento delle competenze lavorative (anche attraverso la formazione teorica e sul campo), in modo da rappresentare un vero e proprio investimento sul futuro. Tale intervento si propone anche di contribuire a sottrarre le persone al rischio di dipendenza e di cronicità nei confronti dei servizi sociali, conseguente a interventi di sostegno di stampo assistenzialistico e, più in generale, basati su una relazione di aiuto nella quale il soggetto che fruisce del servizio ha un ruolo passivo e di “attesa” del beneficio. Attraverso la Borsa lavoro si intende attribuire un ruolo attivo al soggetto nella costruzione del proprio processo di crescita e di fronteggiamento dei fattori legati alle dimaniche di impoverimento e più in generale ai meccanismi di esclusione sociale. 5.2. Il sistema informativo: assistenza sociale e segretariato sociale La discussione all’interno dei focus groups sul tema della fruibilità delle informazioni da parte dei cittadini è stata avviata mediante la presentazione dei principali elementi di criticità emersi con riferimento a questo aspetto durante le diverse interviste. La sintesi dei contenuti è riportate nel riquadro sottostante. Ai partecipanti è stato chiesto da subito di manifestare la propria opinione, provvedendo a trattare in maniera più esaustiva tali elementi e/o facendo le opportune rettifiche. Costruzione di un’informazione più diffusa su ruolo Miglioram funzioni e opportunità derivanti dal ricorso al servizio sociale ento della professionale in caso di insorgenza di condizioni di diffusione del deprivazione economica. ruolo e delle Maggiore diffusione delle informazioni relative ai funzioni del servizi presenti sul territorio per avere accesso a riduzioni e servizio sociale benefici di vario genere nel sostenimento di costi per le esigenze legate alla casa, alla famiglia ecc.. Il tema della circolazione delle informazioni appare come carente con riferimento a due aspetti fondamentali che spesso rimangono poco chiari alla cittadinanza: - Che cosa sono i servizi sociali; - Che cosa fanno gli assistenti sociali; Si tratta di aspetti fortemente integrati, ma con elementi specifici di non trascurabile importanza e sui quali vale la pena soffermasi a riflettere. Per quanto riguarda il primo punto, da parte di molte delle persone intervenute nei diversi focus groups emerge la percezione, sia alla luce della propria esperienza personale, sia in base a quanto recepito dalla discussione con conoscenti e amici, che ci sia una concreta difficoltà a capire che cosa siano veramente i servizi sociali. Molti cittadini 67 continuano a pensare che negli uffici di servizio sociale ci si occupi solo di categorie particolari di individui tradizionalmente identificati come emarginati quali tossicodipendenti, portatori di handicap, persone con problemi psichiatrici e, più in generale, soggetti interessati da gravissime problematiche di esclusione sociale. Tale percezione, a detta che delle assistenti sociali presenti ai lavori, sembra rappresentare una delle maggiori cause di “ritardo” nell’arrivo della domanda di aiuto ai servizi. Molto spesso, infatti, le persone prima di presentarsi al servizio sociale formulando la propria domanda di aiuto aspettano molto tempo, cercando di utilizzare tutte le altre possibili risorse esistenti. In questo conteso quando l’operatore sociale inizia a pianificare il processo di auto la condizione del soggetto e del relativo nucleo familiare spesso è fortemente compromessa, essendo interessata da forme di disagio che potevano essere facilmente evitate con un intervento più tempestivo. In alcuni casi sembra che rimangano poco chiare anche le attività che il servizio sociale è in grado di offrire e quali siano i requisiti per avere accesso ai progetti e ai servizi erogati. Alla luce di quanto detto si comprende bene come la scarsa informazione contribuisca ad alimentare un ulteriore aspetto che spesso allontana dal servizio sociale: il senso di vergogna e di fallimento percepito nel varcare la soglia del servizio sociale. Tale sensazione è particolarmente vera per i così detti “nuovi poveri”, vale a dire per coloro che sono interessati dagli effetti della povertà per la prima volta nel proprio percorso di vita, provenendo da una situazione di stabile benessere. Gli uffici di servizio sociale, quindi, da queste categorie di soggetti non vengono percepiti come luogo di esigibilità di diritti di cittadinanza. Tra le ragioni che vengono evidenziate come determinanti della scarsa conoscenza dei servizi sociali sono molte e fortemente diversificate tra di loro. Ci possono essere casi legati a scarsi livelli culturali, alle difficoltà nell’orientarsi all’interno di un territorio straniero (come nel caso dei cittadini immigrati), ma sempre più spesso anche dal semplice senso di smarrimento legato al trovarsi in una condizione di disagio economico in tempi brevi e in maniera inaspettata. In questi ultimi casi, spesso, si tratta di persone che in passato avevano trascurato la raccolta di informazioni sulle reti di sostegno formali e informali presenti sul territorio ritenendola non pertinenti alle loro esigenze. Sono proprio questo tipo di soggetti ad essere frequentemente preda della scarsa informazione e del pregiudizio. Tra gli operatori sociali partecipanti al gruppo di lavoro è emersa quasi subito la necessità di evidenziare la presenza sul territorio di un importante luogo di divulgazione di informazioni e di valutazione della possibilità di una presa i carico immediata delle situazioni di bisogno: il segretariato sociale. Il ruolo di tale servizio è stato considerato di grande importanza e funzionalità da parte di tutti i soggetti del gruppo, anche se non sono mancate le ipotesi di intervento per renderlo più visibile ed efficace. Allo sportello di segretariato sociale attualmente presta il suo lavoro un assistente sociale professionista con funzione di orientamento e consulenza nei confronti dei cittadini con riferimento alla rete dei servizi socio-assistenziali esistenti sul territorio. In questo senso il servizio offerto non ha un’utenza definita ma, al contrario, è dedicato ad accogliere le richieste di tutti i cittadini indistintamente. Le informazioni di indirizzo per l’avvio di un percorso di aiuto e sostegno all’interno dello stesso servizio sociale o in altre 68 realtà più o meno affini vengono comunicate dall’operatore durante il colloquio, alla luce della domanda di aiuto formulata in maniera più o meno esplicita dal soggetto richiedente e rintracciabile dallo stato di bisogno emergente dalla narrazione. Tale importante servizio, secondo molti dei cittadini partecipanti al gruppo di lavoro, è però poco conosciuto dalla collettività. Sembrerebbe opportuno quindi che esso venisse pubblicizzato maggiormente all’esterno presentandolo come uno sportello di ascolto, supporto e dialogo con la cittadinanza, e non come un luogo per soggetti interessati da dinamiche di grave emarginazione. In altre parole si tratterebbe di effettuare una campagna di pubblicizzazione che contribuisse contemporaneamente a combattere lo stigma che frequentemente contrassegna questi servizi. In questo senso la lotta alla povertà sembra passare anche attraverso la lotta alla paura dei servizi sociali e al senso di vergogna per il fatto di trovarsi in una condizione di temporanea sofferenza economica. Se sono poco conosciuti i servizi erogati all’interno del territorio per far fronte alle dinamiche di impoverimento, la figura e il ruolo dell’assistente sociale lo è ancora di più. Spesso non è chiaro in che cosa si sostanzi il lavoro di questa figura professionale, frequentemente ridotta a quella di decisone nelle operazioni di erogazione di contributi economici, tralasciando completamente il ruolo svolto in termini di sostegno, di informazione e dal punto di vista educativo. In questo senso, sono proprio gli utenti del servizio sociale presenti all’interno dei gruppi di lavoro a sottolineare l’importanza di comunicare alla cittadinanza che cosa sia contenuto all’interno della relazione di aiuto tra assistete sociale e cittadino, magari anche con materiale pubblicitario semplice e diretto. Riepilogo carenze e proposte di miglioramento in merito al potenziamento del Segretariato sociale Carenze Proposte è poco conosciuto (ruolo e funzioni) potenziamento degli strumenti di comunicazione già esistenti (es. sito comunale, totem elettronici, informazioni di presentazione presso Uffici relazioni con il pubblico e presso il Centro per l'impiego) maggiore diffusione di informazioni in luoghi non istituzionali Segretariato sociale maggiore attività di rete con altri servizi deve essere ampliata la gamma dei servizi presenti sul territorio (es. Centro per erogati l'impiego, Asl ecc.) collaborazioni più strette tra servizio maggiore capacità di promuovere ipotesi di sociale e altre agenzie con riferimento lavoro basate su sinergie istituzionali alla ricerca del lavoro, la formazione, la riqualificazione ecc. Dalla riflessione complessiva su come dovrebbe essere uno sportello di segretariato sociale efficace nello svolgimento delle sue funzioni ne emerge un’immagine nella quale concetti fondamentali sono quelli di: accoglienza, 69 progettualità, informazione sulla rete territoriale dei servizi, presenza di personale competente. In latri termini, ciò che viene descritto è un ufficio non riducibile ad uno sportello di mera erogazione di informazioni, ma un luogo di accoglienza, ascolto e dialogo. Gli eventuali strumenti posti in essere per il miglioramento ulteriore del servizio dovrebbero andare quindi nella direzione di rendere sempre più significative queste dimensioni costitutive. 5.3. Uno strumento per sostenere le capacità individuali nel processo di reinserimento lavorativo: le borse lavoro Il progetto denominato “Borsa lavoro” si propone di essere un utile strumento per fronteggiare le situazioni di difficoltà incontrate dai cittadini in seguito alla perdita del lavoro o, più in generale, in caso di difficoltà di inserimento lavorativo, riducendo così il rischio di marginalità sociale. Esso si colloca all’interno delle politiche di sostegno all’occupazione e lotta all’esclusione dal mercato del lavoro previste nei Piani locali di inclusione sociale e approvati dall’Articolazione zonale della Conferenza dei Sindaci delle Apuane. Lo svolgimento di attività lavorative all’interno della borsa lavoro prevede un impegno lavorativo da parte dei soggetti interessati per un monte ore settimanali che va da 18 a 30 ore; la retribuzione può arrivare, nel caso di massima copertura oraria, a 600 euro. La durata è semestrale, eventualmente rinnovabile per un ulteriore semestre. Anche con riferimento al tema della borsa lavoro la discussione all’interno dei focus groups è stata avviata con la presentazione della sintesi dei punti di vista emersi durante le interviste individuali e di seguito riportata brevemente: Maggiore “personalizzazione” - Più attenzione alla formazione professionale del progetto per l'attribuzione pregressa delle persone coinvolte nei progetti. della borsa lavoro I nodi centrali sui quali si è sviluppata la riflessione in merito alle borse lavoro possono essere raccolti in tre gruppi di domande: 1) Chi concretamente usufruisce della borsa lavoro? (quali tipologie di soggetti). Quali altre figure ne sono escluse? Tale definizione di accessibilità può essere considerata adeguata agli obiettivi dello strumento? 2) Alla luce dell’esperienza maturata, a che cosa serve realmente la borsa lavoro? Quali sono i benefici effettivi? A che cosa non serve la borsa lavoro, ma sarebbe utile che servisse? 3) Quali benefici si riscontrano in termini di fronteggiamento del rischio povertà durante i mesi in cui si ha la borsa lavoro? Una volta conclusa la borsa lavoro che cosa succede? 1) Con riferimento al primo insieme di domande, il gruppo di lavoro evidenzia una buona capacità da parte dei servizi nelle operazioni di individuazione delle tipologie 70 di soggetti che usufruiscono del servizio. I progetti solitamente sono rivolti a persone che hanno delle capacità lavorative piuttosto elevate e che sono potenzialmente in grado di inserirsi stabilmente all’interno del mercato dello strumento. In molti casi si tratta di cittadini che hanno perso il lavoro in seguito alla grave crisi presente ormai da alcuni anni nei settori trainanti dell’economica locale, come nel caso della cantieristica, dell’edilizia, dell’artigianato e, non ultimo, nel settore lapideo. Solitamente si è in presenza di persone che dispongono di competenze professionali anche di elevata specializzazione, ma che necessitano di un processo di accompagnamento alla luce delle difficoltà intervenute all’interno del mercato del lavoro. Molte delle persone che hanno usufruito del servizio nell’ultimo periodo, alcune delle quali presenti all’interno del gruppo di lavoro, sono giovani alla ricerca della prima occupazione, oppure uomini e donne ormai adulti (dai 40 ai 60 anni), frequentemente espulsi dal mercato del lavoro in seguito a licenziamento conseguenti alla riduzione dell’organico da parte delle aziende, oppure per cessazione dell’attività produttiva. Un elemento importante che emerge dalla discussione è legato ad una terza tipologia di soggetti beneficiari del servizio. Si tratta di cittadini che hanno perso il lavoro, ma che, avendo alle spalle molti anni di attività lavorativa, sono ormai vicini al raggiungimento dei termini utili per ricorrere al pensionamento. Per questo tipo di figura da più parti viene sottolineata la necessità di individuare forme di occupazione e remunerazione alternative alla borsa lavoro. La borsa lavoro dovrebbe essere orientata sempre più verso la promozione di possibilità occupazionali di lungo periodo e quindi rivolta a soggetti che hanno davanti a sé un periodo di vita lavorativa abbastanza lungo. Per tale ragione viene suggerita l’opportunità di aprire una riflessione sulle possibili collocazioni lavorative alternative di questi soggetti. Per coloro che sono prossimi al pensionamento, ad esempio, viene ipotizzata l’idea di pensare alla realizzazione di una sorta di “scivolo verso il pensionamento” con pagamento dei contributi necessari per attenere la pensione e contemporaneo impiego della persona all’interno di lavori di utilità sociale per il numero di anni pari a quelli durante i quali egli avrebbe dovuto continuare a prestare la propria attività lavorativa. 2) Molti sono gli aspetti di utilità evidenziati nei confronti dello strumento “borsa lavoro” anche se, in più momenti della discussione si evince che tali benefici, frequentemente, non esplicano al meglio i propri effetti per ragioni legate alla particolare definizione del progetto di inserimento lavorativo. I partecipanti sottolineano come le potenzialità dello strumento siano molto superiori rispetto agli effetti concretamente raggiunti fino ad oggi. Cercando di approfondire tali affermazioni emerge che, ad oggi, la borsa di lavoro è un utile strumento per: avere una entrata economica che permette di dare un minimo di sollievo alle famiglie con riferimento ai bisogni primari e per fronteggiare la frequente condizione debitoria accumulate nel tempo in seguito alla perdita del lavoro. In questo senso è uno strumento utile per tamponare la condizione di emergenza; permette di maturare una esperienza lavorativa e di non rimanere inattivo. Essa si può rivelare particolarmente utile per chi non ha particolari qualifiche professionali e ha scarse esperienze lavorative pregresse. 71 Con riferimento a questo secondo aspetto, uno degli elementi che vengono evidenziati da subito come carenti è la scarsa considerazione del fatto che, in molti casi, le persone che ricorrono a questo strumento sono in possesso di buoni livelli di conoscenze professionali. Per quest’ultima tipologia di soggetti, forse, sarebbe opportuno che il progetto di inserimento lavorativo tenesse maggiormente in considerazione le competenze precedentemente acquisite, soprattutto nella fase di abbinamento con l’azienda ospitante. Una maggiore valorizzazione delle competenze pregresse, infatti, si potrebbe tradurre in un numero più elevato di possibilità di reinserimento autonomo nel mercato del lavoro una volta conclusa la borsa lavoro. Per muoversi in questa direzione vengono ipotizzate alcune direzioni di lavoro: avviare i progetti in settori di attività il più vicini possibile alle competenze del lavoratore. Tale caratteristica permette un maggior rendimento del soggetto agli occhi del datore di lavoro, che può quindi essere più incentivato all’assunzione, ma rappresenta anche una valida opportunità per il soggetto disoccupato per riallacciare relazioni di conoscenza e collaborazione con potenziali nuovi datori di lavoro diversi da quello dell’azienda ospitante, una volta concluso il progetto di accompagnamento da parte dei servizi sociali. definire meglio la relazione tra datore di lavoro e lavoratore e tra datore di lavoro e servizio sociale. Più in particolare, ciò che viene evidenziata è la necessità di curare maggiormente il “senso di responsabilità” di coloro che usufruiscono della possibilità di ampliare il proprio organico lavorativo accogliendo persone con la borsa lavoro. Non bisogna dimenticare infatti che ai datori di lavoro il fatto di usufruire delle borse lavoro comporta evidenti vantaggi in termini fiscali e di rendimento della produzione. Una più attenta selezione delle realtà occupazionali, con un impegno forte in termini di formazione e nell’individuazione di forme di supervisione dell’operato dei datori di lavoro, permetterebbe di ampliare le possibilità di un inserimento lavorativo duraturo nelle attività selezionate una volta concluso il progetto. 3) Le possibilità e i limiti in termini di capacità della Borsa lavoro di rappresentare un valido strumento di azione per il reinserimento lavorativo in un periodo successivo alla sua conclusione, come il lettore può constare, è un aspetto di centrale importanza che ha attraversato come un filo rosso tutti gli aspetti trattati in precedenza. Per tale ragione, affrontando esplicitamente questo aspetto, ancora una volta viene sottolineata la centralità delle operazioni di definizione del progetto e di abbinamento tra datore di lavoro e lavoratore, così come l’importanza di curare maggiormente le operazioni di definizione della lista di soggetti interessati a usufruire di lavoratori con borsa lavoro. Elemento di forte difficoltà attualmente riscontrato riguarda proprio il senso di vuoto e smarrimento che colpisce le persone una volta scaduti i termini della borsa, senza che nessuna reale proposta occupazionale, anche temporanea, si sia presentata. A questo proposito un elemento che viene sottolineato con molta insistenza è la possibilità di creare maggiori sinergie da parte del servizio sociale con altre istituzioni che operano nel settore della promozione dell’occupazione, primo tra tutti il Centro per 72 l’impiego. Una ipotesi di miglioramento concretamente realizzabile in tempi rapidi potrebbe essere la promozione di una rete di sostegno interistituzionale operante nelle fasi di definizione e supervisione del progetto Borsa lavoro. Tale sinergia potrebbe basarsi sulla costruzione di progetti di inserimento in collaborazione con il Centro per l’impiego ed altre agenzie operanti nello stesso settore, da attuarsi una volta scaduti i termini della borsa lavoro. Riepilogo carenze e proposte di miglioramento per potenziare il servizio “Borsa lavoro” Carenze Proposte poca attenzione alle qualifiche e esperienze lavorative pregresse dei beneficiari del progetto studio attento degli abbinamenti tra lavoratore e realtà lavorativa oggetto di inserimento maggiore attenzione nella selezione delle realtà lavorative alla luce degli sbocchi occupazionali post-borsa Progetto "Borsa lavoro" poca attenzione verso l'occupazione di lungo periodo "responsabilizzazione" dei datori di lavoro circa le esigenze formative e occupazionali dei borsisti bisogno di progetti in parte diversi da quello esistente da dedicare a persone vicine al raggiungimento dell’età pensionabile maggiore progettazione in rete da attuarsi con altre realtà istituzionali operanti nella promozione dell'occupazione 73 Le borse lavoro sono uno strumento che fa della “centralità” della persona e della sua capacità di autodeterminazione un elemento di primaria importanza. Per tale ragione uno degli aspetti più importanti è che tale strumento non si trasformi un una sorta di “sollievo” temporaneo dalla condizione di povertà, ma costituisca un reale momento di ripresa delle capacità occupazionali del soggetto. Occorre quindi che i meccanismi di costruzione ed erogazione di borse lavoro si potenzino ulteriormente, trasformandosi in un importante strumento di promozione dell’occupazione. Per fare questo occorrerebbe una maggiore sinergia tra Enti e Servizi coinvolti. Di fondamentale importanza è anche la rete di relazioni attivata all’interno del progetto e collocata nel contesto comunitario. A questo proposito appare importante la promozione di margini più elevati di sinergia tra le diverse risorse presenti nel territorio in modo da promuovere una reale e duratura rete di solidarietà, una cultura della sensibilità alle problematiche legate alla disoccupazione e, più in generale, al reinserimento lavorativo di soggetti a rischio di esclusione sociale. Tale attività, secondo quanto emerso dal gruppo di lavoro, necessita non solo del lavoro da parte degli assistenti sociali, che effettuano gli abbinamenti e monitorano l’andamento del progetto, ma anche e soprattutto di un impegno da parte della componente politica. Solo in questo modo infatti può essere promosso concretamente un disegno di revisione strategica. 74 CAPITOLO VI LOTTA ALLA POVERTA' E SERVIZIO SOCIALE Alcune riflessioni a partire dai risultati della ricerca-azione sui processi di impoverimento 6.1. Dai risultati dell'indagne alle ipotesi di ricerca: possibilità e limiti degli assetti istituzionali nel fronteggiare la povertà Giunti a questo punto del lavoro, fatto tesoro delle riflessioni e delle proposte emerse dalla ricerca-azione sui meccanismi di impoverimento e sulle strategie di contrasto attivate e attivabili da parte dei singoli individui, dalle istituzioni e mediante le opportune sinergie tra questi distinti attori, può essere interessante provare a raccogliere e rielaborare alcuni elementi che hanno portato alla costruzione di questa ricerca. Più in particolare pare utile cercare di presentare con maggiore chiarezza e profondità di analisi le indicazioni proposte dai partecipanti per modificare in termini migliorativi il contesto delle politiche, dei servizi e degli interventi di contrasto alla povertà presenti all'interno del territorio. Molte delle indicazioni emerse dalle interviste, così come durante i lavori dei focus groups, hanno almeno una duplice dimensione. Ad una prima osservazione, sopratutto se considerate in maniera isolata rispetto al contesto nel quale sono nate, le considerazioni possono sembrare delle proposte di carattere strettamente operativo, con forte valenza pragmatica e nel complesso di veloce integrazione nel contesto dei servizi sociali esistente. Se ci si sofferma ad analizzare il tessuto più profondo e la discussione complessiva che hanno generato le ipotesi di lavoro si possono invece individuare linee guida che vedono nel suggerimento delle migliorie elementi che possono essere paragonati alla punta di un iceberg, alla cui base vi risiedono informazioni e proposte che vanno ad impattare sulla filosofia, sulla formae mentis delle politiche e sul modo di concepire i servizi e le prestazioni a livello locale nella lotta alla povertà. Allo stesso modo, dall'ascolto dell'esperienza che le persone hanno maturato nella relazione con il sistema dei servizi sociali, prima ancora che con l'assistente sociale, vengono veicolati saperi importanti circa il ruolo che tale istituzione è in grado di esercitare nel contesto attuale con riferimento al tema della povertà; comprendere quali aspettative essa riesce a soddisfare e quali invece altre rimangono inespresse. Tutto questo apre la riflessione sui possibili differenti ruoli che il servizio sociale professionale potrebbe giocare all'interno della più generale rete dei servizi formali e nella relazione con le risorse informali, individuali e collettive, presenti sul territorio e finalizzate alla lotta alla povertà. In altre parole si tratta di costruire alcune prime riflessioni sul ruolo odierno del servizio sociale, sulle sue funzioni, sugli obiettivi, ma anche sulle potenzialità e sulle strategie, per rendere tali ipotesi elementi concreti che permettano al servizio sociale di diventare un attore realmente propulsivo nel contrasto alla povertà. 75 Per addentarci in questo tipo di analisi può essere utile provare a riepilogare, seppur per grandi linee, alcuni degli elementi di criticità e le proposte emerse dalla ricerca: 1) scarsa diffusione delle informazioni sul ruolo e le attività svolte dai servizi sociali territoriali. Le persone coinvolte nella ricerca, prima ancora di sperimentare la situazione di disagio legata alla necessità di trovarsi costretti a rivolgersi alla rete dei servizi sociali per ragioni legate alla povertà, hanno incontrato grosse difficoltà nel comprendere che cosa fossero i servizi sociali; quale ruolo avrebbe potuto giocare una terza figura come quella dell'assistente sociale all'interno della propria vita e in quella della propria famiglia. Più in particolare le aspettative riscontrate prima dell'accesso al servizio oscillano tra il fatto di poter avere a disposizione una “figura burocratica” in grado di dare un aiuto per districarsi nelle pratiche amministrative necessarie per avere un sostegno di natura economica e la paura di esporre se stessi e i propri cari ad un percorso di valutazione della propria condotta, non di tipo lavorativo ed economico; valutazione che avrebbe potuto esporre a interventi e considerazioni nella sfera relazionale e familiare. Ad esempio essere considerati genitori inadeguati perché indigenti. In questo senso gli intervistati frequentemente evidenziano il rischio che la dimensione negativa che caratterizza il problema per il quale ipotizzano di richiede aiuto si tramuti nell'attribuzione di un connotato negativo della propria identità. 2) Bisogno di reinterpretare in maniera meno burocratica alcuni interventi e servizi erogati. A questo proposito la critica di eccessiva standardizzazione non è rivolta alla relazione con l'assistente sociale che, al contrario in molti casi viene vista come figura inattesa, vale a dire come non immaginata o sperata di sostegno e di ascolto. Ciò che viene avvertito come eccessivamente burocratico è l'impianto delle prestazioni erogate. A questo proposito vi è quindi quasi una scissione tra quella che è la relazione d'aiuto fondata sulla reciproca fiducia e sull'ascolto tra utente e assistente sociale e un insieme di prestazioni che, seppur individuate all'interno di tale canale relazionale, di fatto sono poco duttili e quindi si rivelano scarsamente capaci di aderite al vissuto personale del soggetto e di intervenire in maniera veramente efficacie sul problema. Vale la pena ricordare che queste due dimensioni in molti casi sono avvertite con lucidità e in maniera consapevole non solo dagli operatori, ma anche dagli utenti stessi, che colgono la condizione di difficoltà dell'operatore e sviluppano con esso un atteggiamento di tipo solidaristico. Il riferimento principale in questo senso è ai molti passaggi nelle interviste in cui l'intervistato ribadisce che, con riferimento alle difficoltà incontrate nel processo d'aiuto e più in particolare, in relazione ad alcuni tipi di servizi, come ad esempio la borsa lavoro, “l'assistente sociale non può farci niente, è il servizio che è così”, oppure “l'assistente sociale mi comprende ma fa quello che può, si da da fare con quello che ha, con quello che gli mettono a disposizione”. 3) Un terzo aspetto fortemente legato al precedente è la scarsa possibilità di vedere il percorso realizzato con il servizio sociale professionale come un trampolino di lancio capace di rimettere in gioco le risorse del soggetto e provare ad emanciparsi dalla spirale della povertà. Spesso nelle interviste emerge la visione di un servizio sociale che può dare un sostegno minimo per sopravvivere, magari per un periodo di tempo limitato; il percorso per la eventuale fuoriuscita dal disagio non risiede nel 76 progetto di aiuto fornito dalla rete dei servizi, cosa che in parte potrebbe anche essere plausibile e nemmeno in un progetto di portata più ampia nel quale si mettono insieme risorse personali e istituzionali. I contenuti delle interviste e quelli emergenti dal lavoro con i gruppi sono molto più numerosi di quelli sopra esposti ma, per le finalità del nostro ragionamento, proviamo a soffermarci su questi primi tre macro aspetti. Rispetto a questi temi, infatti, i protagonisti della nostra ricerca, cittadini-utenti e assistenti sociali si sono confrontati a lungo, evidenziando, tra le altre cose, una reale concomitanza di interessi verso una trasformazioni della situazione esistente in direzione di una maggiore aderenza delle caratteristiche del servizio e delle attività svolte ai bisogni manifestati dall'utenza. In questo senso ai ricercatori che hanno condotto le diverse fasi dell'indagine è parsa evidente una elevata maturità e capacità di analisi di tipo riflessivo da parte di tutti gli attori coinvolti. 6.2. Dalle attività di ricerca alla costruzione di nuove prospettive per l'intervento sociale A partire dagli input che emergono da queste prime sollecitazioni si comprende molto bene come appartenga alla natura stessa del servizio sociale il fatto di essere collocato in una sorta di snodo tra i bisogni della comunità, che giungono agli operatori declinati nelle storie dei singoli e le risorse presenti e potenziali del territorio. Su entrambi questi fronti si richiede un lavoro certosino da parte dell'operatore, attività della quale il servizio in quanto istituzione deve essere consapevole per poter aiutare il lavoro professionale dei propri operatori. Da un lato i bisogni debbono essere sottoposti ad una attenta operazione di decodifica, da svilupparsi con un atteggiamento di ascolto e attenzione verso il vissuto individuale, ma anche mediante una attenta conoscenza del contesto sociale al quale tale individuo appartiene. In questo senso il riferimento è alle dinamiche si tipo socioeconomico che insistono sul territorio preso in esame. Dall'altro le risorse devono essere intercettate in varie sfere di azione dell'operatore sociale. A questo proposito occorre ricordare che sempre più spesso tale operazione deve essere compiuta facendo riferimento non solo all'organizzazione istituzionale dei servizi, ma andando ad operare nella comunità e con gli attori che in essa di muovono. Tale prospettiva di lavoro viene ampiamente auspicata dai partecipanti alla presente ricerca. Da un lato si rimarca la necessità di ascoltare e comprendere, operazione che in parte viene riconosciuta come già esistente, e dall'altro la necessità di costruire strategie di contrasto alla povertà condivide e che abbiano le loro radici all'interno del contesto societario, nello stesso luogo nel quale in passato la persona aveva uno stili di avita lontano dalla condizione di deprivazione e dove si sono maturate le condizioni che lo hanno fatto precipitare nella povertà. In questo senso gli interventi di servizio sociale devono essere pensati sempre più in modo da riuscire a fornire sostegno all'interno della comunità e non come 77 strumenti in grado di rappresentare un salvagente temporaneo che permette al soggetto di sopravvivere al confine con il contesto nel quale si trovava inserito in passato. Un altro elemento fortemente connesso con questo aspetto è costituito dalla capacità del servizio sociale di rappresentare un importante portavoce di istanze che arrivano dal basso. Si tratta della voce proveniente dalla parte di popolazione più fragile e direttamente protagonista, oltre che destinataria, degli interventi definiti dalle politiche sociali. In altri termini i Servizi si sostanziano un una sorta di connettore tra dimensione micro e dimensione macro e in questo senso le loro conoscenze debbono avere una rilevanza crescente nella definizione di nuove forme di intervento e per la progettazione dei servizi. Uno degli elementi che emerge con forza dall'analisi delle interviste è rappresentato, come già evidenziato in altre parti del report, dalla elevata consapevolezza e dalla lucida analisi delle dinamiche nelle quali i cittadini-utenti intervistati si sono trovati coinvolti in seguito alla perdita del lavoro, oppure ad altri eventi che ne hanno determinato il tracollo economico. Tale analisi frequentemente si estende alla lettura dello scenario più complesso di natura economica e sociale con il quale essi si trovano a confrontarsi. Un aspetto che si riscontra con forza delle storie dei soggetti e che viene esplicitato anche dagli intervistati è rappresentato dagli effetti devastanti derivanti dalla crisi del tessuto connettivo della società. Gli eventi stressanti, la condizione di malessere temporaneo, una frattura nel proprio contesto di relazioni informali e così via, frequentemente matura in un ambiente sociale incapace di svolgere minime funzioni di sostegno e di solidarietà. Come facilmente comprensibile questo fondamentale aspetto costituisce parte integrante del lavoro dei servizi preposti al contrasto della povertà. Le attività da sviluppare all'interno della comunità si giocano quindi in buona parte anche nella sfera comunicativa-relazionale e sono destinate a svolgere un'azione di sensibilizzazione del contesto in modo che questo si impegni nel riassorbire le condizioni di disagio dei suoi membri più deboli. Occorre quindi lavorare in modo tale da far sì che la parte “sana” della società si faccia carico del reinserimento dei suoi soggetti più deboli. Questa è la prospettiva che a più riprese viene evidenziata dalle assistenti sociali e dai cittadini utenti che hanno partecipato ai focus groups. Sempre in questo senso tali soggetti, ad esempio, propongono di operare nella fase di progettazione delle borse lavoro e, più in particolare, nella scelta della filosofia da porre alla base dell'individuazione dei soggetti privati presso i quali effettuare gli inserimenti lavorativi. La disgregazione sociale, il senso di isolamento, le difficoltà crescenti legate ad un mercato del lavoro che si rivela sempre più instabile e nel dal quale una volta espulsi è molto difficile farvi nuovamente rientro, sembrano dare luogo ad una spirale di malessere che, pur avendo inizialmente una matrice economica, si estende molto rapidamente ad altre sfere della vita del soggetto. A tale proposito occorre specificare che questa direzione di sviluppo del percorso di deprivazione non è la sola. In alcuni casi la povertà è esito di una condizione di disagio multidimensionale pregresso presente nella vita del soggetto e del suo contesto familiare. All'interno della nostra ricerca, focalizzata sulla figura dei “nuovi poveri”, ovvero su coloro che sperimentano la deprivazione per la prima volta nella vita, oppure 78 che rivivono tale condizione dopo il raggiungimento di un adeguato livello di benessere economico, vengono messi in luce alcuni elementi in base ai quali la condizione di povero opera come detonatore per una pluralità di forme correlate di disagio le quali, a loro volta, vanno ad incidere negativamente sulle capacità del soggetto di attivare strategie di fuoriuscita dall'impoverimento. In relazione a questo tema gli studi scientifici, così come i dati statistici, sono ancora molto pochi, anche a causa della difficoltà legata alla possibilità di cogliere il reale ordine dei fattori. Ciò nonostante esistono alcuni approcci teorici e metodologici all'interno delle scienze sociali che si raccolgono sotto il nome di “approccio orientato ai processi” che indicano come una serie di elementi e eventi all'interno del contesto ambientale (condizioni economiche, situazione lavorativa, presenza e possibilità di accesso ai servizi ecc.) possono assumere un peso rilevante nella nascita e nello sviluppo della condizione di malessere nell'individuo. Rientrano in questo ambito anche i fattori come le nuove forme di vulnerabilità e la disoccupazione improvvisa di uno o più membri della famiglia. Tutti questi elementi si rivelano in grado di influenzare il livello di benessere di soggetti della famiglia e possono avere un peso rilevante nella sua evoluzione, mediante l'amplificazione e la perdita delle abilità nella gestione degli elementi di rischio. Tale condizione può aprire la via all'insorgenza di nuove forme di disagio, come stati di ansia, disturbi psichici e organici, conflittualità di coppia e con altri soggetti appartenenti alla rete di relazioni affettive significativa per l'individuo. All'interno delle storie di vita delle persone intervistate questa progressiva degenerazione della condizione di disagio si rivela in grado di spingere verso una condizione di esclusione sociale che tende ad aggravarsi e a cronicizzarsi. A titolo esemplificativo si ricordano alcune storie di vita in cui dalla perdita del lavoro e dalla conseguente brusca modificazione degli stili di vita sono insorte condizioni di malessere psicologico, oppure un crescente stato di ansia e un atteggiamento passivo nei confronti degli eventi circostanti che, a loro volta, hanno incentivato l'instaurarsi di atteggiamenti di rassegnazione nei confronti della nuova condizione socio-economica. Uno degli inviti che derivano dalle riflessioni individuali e collettive dei partecipanti alla ricerca riguarda proprio la possibilità, da parte del servizio sociale, di andare ad operare in maniera lucida e tempestiva su questo tipo di dinamiche, attuando strategie di sostegno, ma anche azioni di tipo preventivo. Da un punto di vista operativo gli stessi livelli di conoscenza dei cittadini nei confronti del ruolo e del tipo di supporto che può essere trovato all'interno dei servizi sociali rappresenta un elemento importante per fare in modo che il soggetto non si rivolga alle istituzioni quando la sua condizione di malessere è ormai presente da molto tempo e in ragione di questo ha subito forme di degenerazione e di cronicizzazione. L'invito ad operare in questo diverso modo si lega al tema più ampio delle soglie temporali, di reddito e così via in base alle quali il sistema istituzionale ritiene possibile poter avviare i percorsi di presa in carico da parte dei servizi sociali. In questo senso si assiste ad un fenomeno in cui, per certi aspetti, sono proprio le istituzioni ad indicare e selezionare il tipo di utenza in base alle caratteristiche della condizione di disagio più o meno conclamate. 79 6.3. Dall'attivazione del soggetto alla tutela dell'individuo all'interno del contesto comunitario L'International Federation of Social Workers afferma che “la povertà è una condizione umana caratterizzata da una situazione di prolungata o cronica privazione di risorse, ma anche di capacità, scelte, sicurezza e potere, necessarie per il godimento di un adeguato standard di vita e di altri diritti civili, culturali, economici, politici e sociali”. A partire da questa definizione fatta oggetto di discussione all'interno dei gruppi di lavoro sono emerse un insieme di riflessioni che sembrano andare in direzione di una differente modalità di interpretazione dei concetti di attivazione e di empowerment rispetto a quelli tradizionalmente utilizzati nell'ambito della riflessione teorica e metodologica sul lavoro sociale. Negli studi di settore degli ultimi anni si è assistito ad una crescente enfasi sul tema dell'attivazione del soggetto, sulla responsabilizzazione e sulla costruzione di forme crescenti di autodeterminazione della persona. Occorre ricordare che tali concetti sono parte integrante del vocabolario e dei principi ispiratori del lavoro sociale e rappresentano un caposaldo delle più recenti teorie di stampo individualista. Ancora, all'interno del libro bianco del Ministero del welfare viene posta una grossa attenzione sulle libertà di scelta personali e sulle responsabilità individuali. Questo approccio pare almeno in parte in contrasto con le situazioni di svantaggio tipiche dei percorsi di povertà che frequentemente sono caratterizzati da capacità personali di valutare e da possibilità di scelta e di utilizzazione delle risorse, tra le quali anche quelle fornite dalla rete dei servizi, molto diverse. In sostanza quindi vi è il rischio che la dichiarazione teorica di questi principi in buona parte non trovi reale applicazione nella effettiva capacità delle persone di effettuare le scelte ad essi più vantaggiose per raggiungere la situazione di benessere desiderata. Le condizione di disagio e più in generale di svantaggio che interessano alcuni individui e contesti familiari sono accompagnati da difficoltà nel riuscire a scegliere e utilizzare le risorse a disposizione, tra di esse anche la stessa rete dei servizi sociali. E' proprio questa difficoltà a contribuire nel dare vita e ad alimentare la spirali di impoverimento. Tali percorsi sono facilmente rintracciabili anche in alcune storie di vita raccolte nella prima parte della ricerca. Se quindi da un lato i significati attribuiti all'idea di attivazione e di empowerment sono parte integrante del principi ispiratori del lavoro sociale, dall'altro occorre assumere un atteggiamento critico nei confronti di alcuni rischi che possono presentarsi all'orizzonte nel momento in cui tali concetti vengono sposati in maniera eccessivamente assiomatica. Come osserva Robert Castel nella sua opera L'insicurezza sociale, la deburocratizzazione degli interventi e l'esaltazione dell'autodeterminazione dell'individuo non costituisce di per sé un fattore negativo, ma occorre fare attenzione ad alcuni aspetti di questa prospettiva: − essa richiede che tutti i soggetti/attori si trovino su uno stesso piano in termini di potere. Tale situazione di fatto nell'ambito dei percorsi di fuoriuscita dalla povertà 80 raramente si verifica, in quanto il soggetto povero si trova sempre in una situazione di svantaggio rispetto agli altri attori con i quali si trova ad interagire. − Si presuppone che tutti gli individui siano dotati dello stesso bagaglio di risorse per uscire dalla condizione di disagio. Anche questo secondo principio viene facilmente smentito all'interno del contesto reale perché, pur considerando la parità di condizione problematica, soggetti diversi dispongono di livelli di risorse molto differenti. Comportarsi in maniera uguale nei confronti di persone diverse si traduce necessariamente in una situazione di disparità di trattamento. Occorre invece offrire a tutti i soggetti la possibilità di uscire dalla povertà mediante il riconoscimento di tempi e modalità differenti, individuati sulla base delle risorse esistenti e costruibili. A questo aspetto occorre aggiungere un secondo elemento di analisi che si lega alla effettive carenze nell'ambito sei servizi che frequentemente rendono difficile concretizzare le spinte di autodeterminazione proclamate. Tale limitazione di risorse e di possibilità di intervento, ancora una volta, possono comprimere fortemente l'effettiva libertà della persona nel riuscire ad attivare le risorse individuali e collettive. Occorre quindi fermarsi a riflettere sulla natura dei servizi e su tipo di risorse che in essi debbono essere presenti. Cercando di riepilogare alcuni elementi che sono emersi dall'ascolto dei percorsi individuali di povertà e dai lavori di gruppo con cittadini-utenti e figure professionali con competenze specifiche in relazione al contrasto della povertà, emerge un quadro di riferimento che vede il lavoro sociale come qualche cosa da realizzarsi contemporaneamente con gli individui e con la comunità. Il processo di aiuto inoltre permette l'emersione di una serie di problematiche che hanno una componente privata, soggettiva, ma anche una dimensione intrinsecamente pubblica e che come tale deve essere affrontata. Non bisogna dimenticare che il fenomeno della povertà rappresenta un problema che, nella sua natura più profonda, ha un'origine sociale. E' quindi con tale origine che si rende necessario confrontarsi quando si pensa alla definizione delle strategie di intervento per il suo contrasto. In questo senso è fondamentale che il servizio sociale si concentri sulle trasformazioni che intervengono nelle strutture sociali e sui cambiamenti sociali. Solo da questa diversa prospettiva, che allontana l'idea di servizio sociale da quella di mero erogatore di prestazioni, passa il reale assolvimento del compito principale del lavoro dell'assistente sociale: la promozione della giustizia sociale. Accade invece troppo spesso che i servizi sociali si rivelino poco consapevoli dei processi che generano la povertà e dei meccanismi in base ai quali le carenze presenti all'interno del sistema di welfare contribuiscano a determinare il modo in cui il servizio sociale progetta ed eroga i propri interventi e le strategie di risposta alla richiesta di aiuto. Il contrasto alla povertà occorre quindi che venga realizzato mediante una rete di servizi che operi in maniera sinergica e lungimirante, capace di lavorare sempre di più in un'ottica preventiva, oltre che riparativa, all'interno della comunità di riferimento e nella quale si trovano inseriti i soggetti più vulnerabili. 81 CAPITOLO VII IMPOVERIMENTO E LAVORO. L’IMPATTO DELLA CRISI SUL TERRITORIO TRA NUOVE E VECCHIE CONTRADDIZIONI 7.1 Lavoro, crisi e dinamiche di impoverimento. Il rapporto tra impoverimento e dinamiche occupazionali costituisce un binomio difficile ed oggi più che mai vischioso. Come chiaramente emerso dall’indagine sulle dinamiche di impoverimento nel territorio di Massa Carrara, la povertà si presenta infatti con modalità sempre più svincolate dalla sua immagine ‘tradizionale’, per assumere contorni sfumati, ambigui, spesso nascosti ed anche per questo più difficili da individuare, fronteggiare e, anche, conteggiare. Non a caso, il dibattito sociologico sempre più spesso negli ultimi anni ha parlato di povertà ‘nuova’, ‘diffusa’, ‘provvisoria’, proprio a sottolineare il carattere mutevole di una povertà che si insinua nelle biografie soggettive delineando percorsi incerti, vulnerabili e sempre meno prevedibili29. Esperienze di povertà improvvise e inaspettate, infatti, si alternano e si sommano a traiettorie, individuali e familiari, in cui i fattori di disagio si cumulano in percorsi caratterizzati da continue cadute e difficili riprese, determinando biografie rischiosamente frammentate, che costituiscono la faccia più nuova e purtroppo più diffusa della povertà. In questa prospettiva, sempre più l’attenzione va posta non alla povertà in quanto condizione, ma alla povertà come dinamica, vale a dire al processo di impoverimento e, quindi, all’analisi di quei fattori che (co)determinano o quanto meno contribuiscono allo scivolamento dell’individuo in questo circuito, spesso, vizioso. Tra questi fattori, un ruolo particolarmente rilevante è assunto dal lavoro, quale strumento di riconoscimento sociale e di autonomia, che costituisce il nodo centrale attorno al quale si costruisce l’identità sociale del soggetto adulto e la sua capacità di porsi nella società in maniera attiva30. Tuttavia, il lavoro ha visto in questi ultimi anni un suo progressivo indebolimento, sia per quanto riguarda gli standard qualitativi, sempre più sottoposti agli stress di una flessibilità spesso declinata come precarietà31, sia per quanto attiene ai livelli dell’occupazione, a partire dal 2008 drasticamente in calo a 29 P. Alcock e R. Siza (a cura di), Povertà diffuse e classi medie «Sociologia e politiche sociali», vol. 12, n. 3, 2009; R. Siza, Povertà provvisorie. Le nuove forme del fenomeno, Milano, Franco Angeli, 2009; P.Dovis, C. Saraceno, I nuovi poveri, Torino, Codice ed., 2011. 30 E. Goffman, Stigma. L’identità negata, Verona, Ombre Corte, 2003, (ed. orig. Stigma. Notes on the Management of Spoiled Identity, New York, Simon & Schuster Inc., 1963); R. Castel, De l’indigence a l’exclusion, la désaffiliation. Précarité du travail et vulnérabilité relationnelle, in J. Donzelot (sous la direction), Face a l’exclusion. Le modèle française, Paris, Esprit, 1991 ; Id., L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti?, Torino, Einaudi, 2004; V Borghi., Esclusione sociale, lavoro ed istituzioni: un’introduzione, in ID. (a cura di), Vulnerabilità, inclusione sociale e lavoro. Contributi per la comprensione dei processi di esclusione sociale e delle problematiche di policy, Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 9-34. 31 A. Accornero, Era il secolo del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1997; L. Gallino, L’idea di flessibilità sostenibile: prospettive e problemi in rapporto a differenti modi di lavorare, in «Quaderni di sociologia», n. 23, 2000, p. 111-128; Id., Il costo umano della flessibilità, Bari, Laterza, 2003; Id., Lavori flessibili, società flessibile e integrazione sociale, in G. Mari (a cura di), Libertà, sviluppo, lavoro, Milano, Mondadori, 2004, pp. 65-72; Id., Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Roma, Laterza, 2007. 82 causa della crisi internazionale e dei suoi effetti particolarmente drammatici proprio sul mercato del lavoro. Da un lato, infatti, la flessibilità ha inciso sul mercato del lavoro e sulla sua regolazione, sviluppando rapporti lavorativi che, soprattutto per le classi di lavoratori più giovani, si caratterizzano molto spesso per una riduzione dei livelli di protezione sociale e di autonomia, oltre a limitare drasticamente la progettualità della propria vita sociale e relazionale, come ampiamente mostrato da numerosa letteratura in materia32. Dall’altro lato, la crisi economica ha impattato su un mercato del lavoro già profondamente instabile, estendendo l’area dell’incertezza e della precarietà anche a quelle fasce di lavoratori fino a quel momento considerati più stabili e garantiti. La conseguenza di questa dinamica è perciò duplice: non solo, infatti, si dilata la sacca di quella precarietà che, considerata fino a pochi anni fa un fattore ‘temporaneo’ delle nuove generazioni di lavoratori, sta invece accumunando in maniera trasversale categorie anagrafiche diverse, divenendo un fenomeno sempre più strutturale e non passeggero; ma proprio questi cambiamenti stanno determinando un progressivo e ben visibile indebolimento anche delle famiglie e quindi della ‘tradizionale’ capacità di queste di ammortizzare la precarietà dei figli grazie alla solidità del reddito dei genitori. La perdita del lavoro, l’impossibilità di trovare o ritrovare un’occupazione, l’incertezza del proprio posto di lavoro, così come l’indebolimento dei diritti connessi al proprio status lavorativo costituiscono insomma i tratti distintivi di una crisi che coinvolge sempre più trasversalmente fasce diverse di lavoratori e di tipologie di lavoro. Speculare a tutto questo, c’è poi l’altra faccia della crisi: quella degli imprenditori che vivono la crisi della propria azienda e dei propri lavoratori, cercando di fronteggiare una situazione in cui la crisi globale si intreccia alle specifiche difficoltà del tessuto produttivo locale, acuendo ritardi e amplificando disagi che difficilmente riescono a trovare una risposta. L’impoverimento, in questo senso, diviene un processo del territorio, con ricadute che non riguardano solamente l’impatto economico, bensì anche quello sociale e culturale, svuotando progressivamente il territorio della propria identità. In questo scenario, diviene quindi ancor più necessario porsi di fronte al problema lavoro e al rapporto tra crisi, lavoro ed impoverimento con una prospettiva capace di guardare alla specifica complessità della situazione attuale, cercando di comprenderne i meccanismi che l’hanno generata, le sue conseguenze, le sue contraddizioni e particolarità, non con l’obiettivo di individuare soluzioni, ma, appunto, di comprendere la complessità del fenomeno. Nel contesto della Provincia di Massa Carrara, tale sforzo diviene particolarmente complesso, poiché si tratta di un territorio duramente colpito dalla recessione ed in cui la crisi, come si vedrà nei paragrafi successivi, si è incuneata in una pregressa difficoltà socio-economica, legata ai profondi cambiamenti della realtà industriale che hanno caratterizzato gli scenari locali degli ultimi decenni. L’obiettivo di questo approfondimento, quindi, è quello di indagare, sulla base delle emergenze messe in luce 32 A. Murgia, Dalla precarietà lavorativa alla precarietà sociale. Biografie in transito tra lavoro e non lavoro, Bologna, Emil, 2010; F. Berton, M. Richiardi, S. Sacchi (a cura di), Flex-insecurity. Perché in Italia la flessibilità diventa precarietà, Bologna, Il Mulino, 2009; G. Bresciani, M.. Franchi (a cura di), Biografie in transizione. I progetti lavorativi nell’epoca della flessibilità, Milano, Franco Angeli, 2006; L. Carrera, Viaggiare a vista. Percorsi di vita in tempi di flessibilità, Milano, Franco Angeli, 2004. 83 dalla ricerca-azione sull’impoverimento, la specifica fisionomia che la crisi ha avuto sul territorio provinciale, le sue peculiarità e i suoi effetti sui livelli di impoverimento, sia del territorio che delle famiglie, al fine di sviluppare e proporre una riflessione, condivisa con i diversi attori locali, istituzionali e non, sulle possibili direzioni da dare a questa difficile fase economica e sociale. 7.2 Il metodo di ricerca: interviste in profondità e ruolo dei testimoni privilegiati. Il percorso di ricerca sul rapporto tra crisi, lavoro ed impoverimento nella Provincia di Massa Carrara si è caratterizzato per una precisa finalità analitica, volta alla comprensione del fenomeno, piuttosto che alla quantificazione delle sue caratteristiche e tendenze. Più precisamente, i dati quantitativi sulle dinamiche del mercato del lavoro, raccolti attraverso l’utilizzo di fonti secondarie, hanno costituito lo scenario all’interno del quale contestualizzare l’analisi delle tendenze, delle caratteristiche e delle emergenze che sono emerse interagendo con e nel territorio. Per questo motivo, si è scelto di sviluppare l’indagine attraverso l’utilizzo di strumenti qualitativi, quale, in particolare, l’intervista in profondità. Differentemente dall’intervista strutturata, caratterizzata da domande strettamente codificate e con limitati spazi di autonomia per l’intervistato, l’intervista in profondità si distingue per un elevato grado di libertà data all’intervistato e per la specifica rilevanza data all’interazione che si instaura tra intervistatore, intervistato e contesto di analisi. Si tratta infatti di uno strumento dinamico e flessibile, in cui il colloquio è organizzato intorno ad alcuni nodi tematici, che si precisano e si delineano solo nel corso dell’interazione tra intervistato e intervistatore. L’elevata flessibilità di questo strumento è funzionale a ricostruire i contenuti narrati dall’intervistato seguendone il flusso di pensieri, ricostruendo cioè i suoi vissuti e le sue esperienze senza un ordine prestabilito, ma al contrario prestando attenzione alla centralità, alla rilevanza o al contrario alla marginalità con cui gli elementi raccontati si posizionano nella narrazione dell’intervistato. L’autonomia concessa all’intervistato nel modo di esporre, ricostruire ed elaborare i contenuti da lui narrati, permette infatti al ricercatore di entrare dentro al contesto analizzato, ricostruendo, attraverso la narrazione, contenuti e significati che potrebbero non emergere attraverso domande dirette. E’ infatti proprio l’elevato grado di libertà e di costruttività caratteristici di questo strumento che consente di superare la possibile resistenza che una domanda diretta può suscitare nell’intervistato, facendo sì che sia lui stesso a scegliere i modi e i tempi con cui ricostruire l’esperienza narrata. Spetta invece al ricercatore orientare e guidare la narrazione in maniera tale da non ‘evadere’ gli argomenti dell’intervista e approfondire adeguatamente i nodi tematici più forti. Nonostante la sua libertà, l’intervista non strutturata è infatti uno strumento di analisi scientifico e come tale richiede una precisa attenzione nel suo utilizzo e gestione. I contenuti raccolti, infatti, devono essere categorizzati in un processo di progressiva circoscrizione del tema principale e di individuazione dei vari sottotemi scaturisti dal tema centrale, grazie ai quali si costruisce progressivamente la conoscenza del fenomeno e la si interpreta sulla base della pluralità dei punti di vista raccolti. In questo senso, si capisce come tale strumento sia privilegiato per quelle indagini che cercano di sondare in profondità le dinamiche e le caratteristiche del fenomeno oggetto 84 di studio, e dove la conoscenza del fenomeno stesso è intesa come comprensione dei processi, individuali e collettivi, che soggiacciono all’oggetto stesso di analisi. Utilizzando le interviste in profondità, la conoscenza viene infatti generata da un processo di accumulazione di racconti, esperienze, opinioni e posizioni, che permettono al ricercatore di elaborare i dati raccolti e costruire progressivamente una visione d’insieme del fenomeno indagato. Nel contesto di Massa Carrara, il tentativo di ricostruire la complessità del fenomeno “crisi” e le sue implicazioni sul mercato del lavoro, tanto dal punto di vista dei lavoratori, quanto da quello delle imprese, ha richiesto proprio l’utilizzo di uno strumento aperto e flessibile come l’intervista in profondità. Questo ha permesso infatti di sondare voci e posizioni diverse, sulla base delle quali ricostruire uno scenario poliedrico in cui tali voci e posizioni si integrano e a volte si contrappongono. Nel percorso di ricerca sono stati quindi coinvolti testimoni privilegiati quali assessori locali, sindacalisti, associazioni di categoria ed imprenditori, ma anche lavoratori, al fine di ricostruire una descrizione il più possibile esaustiva dell’attuale complessità e, soprattutto, capace di guardare alla pluralità di interessi, bisogni ed aspettative del territorio. In questo senso, le dinamiche presentate nei paragrafi successivi non solo costituiscono un piccolo bagaglio conoscitivo aggiuntivo alla pluralità di studi sull’argomento, ma tentano anche di lanciare alcuni elementi utili per una riflessione politica a livello locale e per la progettazione di nuovi strumenti di intervento e fronteggiamento della crisi. Più precisamente, nel terzo paragrafo si descrive il contesto socio-economico emerso attraverso le interviste, insistendo sulla peculiare complessità della crisi nel territorio di Massa-Carrara, quale esito di un processo cumulativo, non imputabile esclusivamente alla crisi internazionale scaturita dal 2008. Nel quarto paragrafo, invece, si delineano le categorie più colpite dalla crisi economica, evidenziando come questa abbia impattato in maniera particolarmente forte su alcune categorie di soggetti tradizionalmente più vulnerabili, ma abbia anche determinato l’emergere di nuove fasce di vulnerabilità tra le categorie fino a pochi anni fa considerate più sicure. Da qui, si entra poi nei vissuti diretti dei ‘protagonisti’ della crisi: nel quinto paragrafo, infatti, si analizzano le storie, le esperienze e le strategie di fronteggiamento dei lavoratori colpiti dalla crisi, mentre nel sesto paragrafo l’attenzione si concentra sulle testimonianze degli imprenditori e sul modo in cui la crisi ha cambiato il sistema produttivo locale. Con riguardo a quest’ultima categoria, c’è da sottolineare come il tentativo di entrare in contatto con diversi imprenditori sia stato particolarmente difficile e non sempre si è avuta una disponibilità nel concedere l’intervista. Questo purtroppo ha fatto sì che alcuni settori produttivi particolarmente importanti nel contesto locale, come per esempio il settore nautico, siano rimasti esclusi dall’indagine, comportando inevitabilmente la costruzione di uno scenario non del tutto esaustivo. Tuttavia, gli spunti, le riflessioni e le esperienze raccolte tra gli imprenditori coinvolti nella ricerca, ha permesso di mettere a fuoco una pluralità di elementi centrali per la comprensione delle dinamiche del territorio. Infine, nell’ultimo paragrafo si tenta di fare una sintesi, sulla base della pluralità di voci ed opinioni raccolte, per capire quali siano o possano essere le prospettive del territorio, i rischi da affrontare e le possibilità di ripresa, focalizzando l’attenzione su alcuni nodi tematici forti emersi in maniera trasversale a tutti gli intervistati. 85 7.3 Le dinamiche del mercato del lavoro locale: tra condizioni strutturali e criticità emergenti Come evidenziato anche dalle statistiche regionali, nel territorio di Massa Carrara l’impatto della crisi è stato particolarmente forte, mettendo in ginocchio un mercato del lavoro già caratterizzato da numerose difficoltà. Rispetto ad altri territori della Toscana, infatti, il mercato del lavoro massese viveva una difficoltà strutturale, che la crisi ha acuito e reso ancor più complessa. Lo ‘spartiacque’ tra prima del 2008 e dopo il 2008 assume quindi in questo territorio una fisionomia particolare: prima della crisi, infatti, come sottolineato dall’assessore alle Politiche del Lavoro e della Formazione, la Provincia di Massa Carrara era riuscita a raggiungere «una soglia di disoccupazione quasi vicina alla soglia regionale e nazionale, con una ripresa produttiva su un trend nazionale positivo». Seppur all’interno di un contesto produttivo caratterizzato, come si vedrà tra breve, da importanti perdite, processi di dismissioni e delocalizzazioni, il territorio ara riuscito ad assestarsi su livelli occupazionali nella media regionale e nazionale; tuttavia, la debolezza causata dallo svuotamento di settori produttivi importanti ha fatto sì che, con l’arrivo della crisi, quella difficoltà strutturale, apparentemente superata, si acuisse più che mai. Come sottolineano unanimemente i segretari di CGIL, CISL e UIL, il territorio ha infatti vissuto negli ultimi decenni un processo di smantellamento delle grandi aree industriali che ha progressivamente indebolito le possibilità di crescita e di mantenimento della produzione sul territorio: «il territorio vive una difficoltà strutturale: a livello industriale, le grosse aziende non ci sono più, a parte la nuova Pignone e abbiamo quindi perso la gran parte delle produttività, per cui la gran parte dei lavoratori è in cassa integrazione o in mobilità. […] Si tratta però di una situazione pregressa, esistente già prima della crisi e che risale agli anni ’80-’90, quando le grandi aziende, anche quelle statali o para-statali, e i grandi gruppi del chimico – come Montedison-, sono state smantellate. Bisognava effettuare una riconversione di aziende a carattere locale, che ha creato una situazione di crisi; al termine di questo difficile percorso è intervenuta la crisi del 2008, quindi abbiamo avuto la somme di due crisi» (Segretario UIL) «Questa zone qui, è una zona che ha incrociato la crisi con maggiore difficoltà rispetto alle altre province della Toscana. Avevamo già livelli di disoccupazione più elevati, precariato, disoccupazione femminile, quindi indicatori importanti che ci davano già al 2008 una situazione di difficoltà. Come si può immaginare, la crisi ha appesantito ulteriormente perché penso che la considerazione rispetto alla crisi che ha investito tutto il nostro paese e tutti i paesi, ha toccato un po’ tutti i settori, ha salvato poco » (Segretaria CGIL) E’ proprio «la somma delle due crisi» a costituire l’elemento caratterizzante del territorio provinciale, in quanto, come chiaramente sottolineato dal segretario della UIL, la crisi internazionale è andata a impattare su un tessuto già vulnerabile e che stava con fatica rimettendosi al passo. Ne è derivato un indebolimento trasversale a tutti gli ambiti produttivi, ma che in alcuni settori ha inciso in maniera determinante, legandosi ai processi, ormai noti nel dibattito nazionale e locale, di globalizzazione e 86 delocalizzazione. E’ il caso, in particolare, del settore metalmeccanico: la chiusura della Eaton, avvenuta a settembre 2008 a seguito della decisione del gruppo multinazionale di spostare la produzione in Polonia, costituisce per molti versi l’emblema della crisi sul territorio, sia perché ha determinato la perdita dell’occupazione per più di 300 lavoratori, sia perché, come esplicitato dai lavoratori stessi, si è trattata di una scelta motivata non dall’andamento della produzione, ma soltanto dalla logica di globalizzazione e di abbattimento dei costi33. Situazione in parte simile è quella della ICA di Aulla, la cui delocalizzazione in Romania ha comportato la perdita del posto per le 100 donne che vi lavoravano, per altro in un territorio in cui i livelli di disoccupazione femminili sono da sempre più elevati rispetto alla media regionale. Il problema dei costi di produzione è stato determinante anche per il settore tradizionalmente importante dell’economia locale, vale a dire il lapideo: mentre sul territorio si mantiene ancora forte la parte legata all’escavazione ed alla vendita, è sempre più drammatica la situazione per quanto riguarda la lavorazione, ormai sviluppata con tecnologie altamente avanzate dai nuovi paesi emergenti del sud est asiatico e con costi decisamente più competitivi. Con la crisi, si è così persa in breve tempo una fetta di mercato importante legata all’export e che con difficoltà si cerca di recuperare, ben sapendo però, come afferma un imprenditore, che l’irreversibilità della crisi rende impossibile il ritorno ai livelli di fatturato antecedenti ad essa. Ne è seguito quindi un «autentico tracollo» per le filiere del marmo, particolarmente sensibile, secondo il segretario della CISL, proprio a Massa e Carrara e meno nella Versilia. Inoltre, lo stesso lavoro di escavazione non assorbe più i numeri conosciuti in passato: «le cave rimangono e il marmo viene venduto bene; gli ambiti occupazionali del passato, anche 2000 persone nelle cave, orami sono irraggiungibili: dall’Associazione industriali sento dire 200 persone…» (segretario CISL). Anche il settore della nautica ha risentito della crisi: presenza importante per il territorio, seppure «di secondo livello rispetto alla presenza più qualitativa su Viareggio, dove c’è la progettazione, il know how» (segretario CISL), ha subito negli ultimi anni un drastico ridimensionamento, provando per altro a riorganizzarsi con modalità particolari e non sempre limpide, quale in particolare la predilezione per le ditte individuali artigiane rispetto alle assunzioni. Aspetto, quest’ultimo, comune anche al settore edilizio, che ha registrato un vero e proprio boom nella costituzione di ditte individuali, recentemente tradottosi però in un flop: si tratta infatti di forme di impresa particolari, che come ricordano i sindacati «non hanno le caratteristiche proprie dell’imprenditorialità» e che sono indubbiamente le prime a risentirne quando il mercato è in difficoltà. Della crisi ha risentito fortemente anche il turismo, un settore però molo particolare e sul quale si fermano diverse voci critiche: da un lato, infatti, associazioni datoriali e imprenditori denunciano la mancanza di una vera e propria attenzione strategica al turismo, da sempre non valorizzato sul territorio e quindi ancor più vulnerabile di fronte alla crisi; dall’altro, lavoratori e, soprattutto, sindacati mettono in luce come questo settore abbia sempre fornito lavoro solo stagionale, spesso deregolamentato e in cui «il nero fa da padrone»34. Si tratta quindi di un ambito che, soprattutto in questa fase 33 V. infra, paragrafo 6. 34 Le dinamiche del settore turistico, poi, sono strettamente connesse ai processi di de industrializzazione che hanno caratterizzato sopratutto il settore chimico: la chiusura degli impianti chimici avvenuta negli anni 60-70, infatti, ha «lasciato 87 economica, può costituire una «fonte di sostegno» e una sorta di ‘tampone stagionale’ per alcuni, ma che difficilmente può rappresentare una leva sui cui far ripartire l’economia locale, mancando una precisa visione strategica sul settore. Una questione, quest’ultima, che, con motivazioni e argomentazioni diverse, viene posta tanto dalle imprese quanto dai sindacati: «Questo è un territorio incapace di valorizzare la sua vocazione turistica. Quale è la logica per cui la gente qua spende di meno? Noi dal 2007 siamo in crisi, ci rivolgiamo anche all’estero, però se noi come territorio non invogliamo la gente a venire in questa città, la gente non viene. Tutti i dipendenti pubblici che sono lì a vessare, se fossero impiegati in controlli veri e funzionali, per esempio il fiume da pulire, le strade da sistemare, il problema della prostituzione nella Versilia, tutto questo ha un impatto grosso sull’economia turistica. Io su questo non posso agire e posso agire solo sui costi e così mi devo adeguare». (Imprenditrice settore turistico) «È un turismo sulle seconde case perché gli alberghi non è che siano tanti, chi ha la casa viene però non è un turismo che incide tanto, purtroppo anche in termini di PIL non ha mai rappresentato tanto, abbiamo il mare le montagne però come dicevo a livello economico incide molto poco, è un territorio che non è stato valorizzato perché ce ne sarebbero di risorse ma probabilmente ci siamo accontentati, è sempre stato un turismo “mordi e fuggi”, un arrotondamento, perché l’importanza era l’industria, il pilastro portante, avere un’attività come quella del marmo che dal punto di vista economico era davvero importante, il porto… cioè teoricamente non ci mancherebbe nulla, però probabilmente ci manca una giusta politica a livello locale». (Segretaria CGIL) Come emerge chiaramente dalle parole dalla segretaria della CGIL, il territorio ha sempre avuto una forte vocazione industriale, che ha costituito il nucleo centrale dell’economia locale e messo ‘in secondo piano’ il settore turistico, inteso più come settore complementare dell’economia più che come risorsa in sè; la progressiva deindustrializzazione prima e la crisi internazionale ora, hanno posto però il territorio di fronte ad un cambiamento radicale, svuotandolo della propria identità industriale e lasciando spazio a potenziali nuovi ambii che tuttavia faticano ad acquisire un’effettiva, autonoma centralità. In questo senso, sottolineano trasversalmente tutti gli intervistati, il problema non è legato esclusivamente alla congiuntura economica, ma ad un particolare approccio culturale del territorio, incapace di puntare sulla ripresa con una prospettiva ampia, integrata e coesa. Emblematiche a questo proposito le parole del segretario della UIL: «Fa sorridere e crea anche amarezza che quando si fanno gli incontri pubblici tutti fanno, però quando si tratta di fare le cose, tutti ci dimentichiamo. Si guarda solo al proprio pezzetto, non c’è la capacità di fare sintesi. […] Per esempio, anni fa dovevamo fare il PASR, ma ogni Comune voleva avere il proprio pezzettino, ogni categoria voleva avere il proprio pezzetto, tutti dovevano avere il proprio contentino […] E’ necessario un passaggio più stretto col territorio invece negli ultimi 2 anni abbiamo fatto al massimo 2 tavoli. […]Altro esempio il PAL. È stato firmato con drammi ambientali enormi» che certo non giovano al turismo, così come lo smantellamento, in tempi più recenti, di numerosi impianti industriali pone il problema della bonifica e riqualificazione di ampi spazi non più utilizzati. 88 molto ritardo, però era previsto un passaggio con i sindacati e invece non l’hanno fatto». Questa frammentazione in piccoli centri d’interesse, criticata da istituzioni, associazioni di categoria, imprenditori e sindacati, rende particolarmente complesso il percorso di rilancio, anche perché rischia di tradursi molto spesso, come si vedrà, nella sterile contrapposizione di ruoli e posizioni, rafforzando ancora di più la vulnerabilità del territorio e indebolendo ulteriormente le sue risorse. Si tratta di una questione che chiaramente prescinde dalla crisi, ma che mai come ora rischia di diventare determinante, poiché incrocia pericolosamente le dinamiche della crisi con le condizioni strutturali del territorio e con i suoi approcci politici e culturali. 7.4 Crisi economica e nuove vulnerabilità Come mostrato dalla letteratura sul tema, la crisi ha colpito trasversalmente settori produttivi e categorie di lavoratori, generando nuove sacche di crescente vulnerabilità35. All’interno di queste categorie, tuttavia, alcune sono più colpite di altre: si tratta di quei gruppi considerati già più vulnerabili prima della crisi, quali le donne e i giovani, ma anche di un nuovo gruppo, considerato fino a pochi anni fa al riparo dai rischi della crescente precarizzazione del mercato del lavoro, vale a dire i lavoratori over 45. In questo scenario, la Provincia di Massa Carrara non fa eccezione: le donne, da sempre categoria particolarmente debole su questo territorio36, hanno risentito fortemente della crisi ed in molte si trovano disoccupate a causa della chiusura di aziende a prevalente occupazione femminile (è il caso della ICA di Aulla) o in situazione di precarizzazione, per la crescente difficoltà delle cooperative attive nell’ambito dei servizi sociali e socioassistenziali (soprattutto nella zona della Lunigiana), tradizionalmente bacino privilegiato per l’occupazione femminile. Per questa categoria, il reingresso nel mercato del lavoro risulta molto difficile, perché al lavoro remunerato si sommano le attività di cura familiare difficilmente conciliabili dati gli scarsi strumenti di conciliazione esistenti37, come evidenziano le interviste sotto riportate: «Per le donne è difficile ritrovare una collocazione perché magari ci sono i bimbi piccoli, quindi una questione è quando già lavori in un’azienda, ma se devi andare a cercare un nuovo lavoro diventa più difficile trovare una collocazione; anche perché magari ti devi spostare e quando ci sono bambini piccoli, magari con gli orari della scuola, l’influenza, una malattia…Fortunatamente in Italia ci sono ancor i nonni, c’è questa famiglia che regge, fortunatamente perchè dal punto di 35 P. Dovis, C. Saraceno, I nuovi poveri, Torino, Codice ed., 2011; G.B. Sgritta, Dentro la crisi. Povertà e processi di impoverimento in tre aree metropolitane, Milano, Franco Angeli 2010; R. Siza, Le povertà delle classi medie e dei “ceti popolari”, in P. Alcock e R. Siza (a cura di), Povertà diffuse e classi medie, in «Sociologia e politiche sociali», vol. 12, n. 3, 2009, pp. 25-52; R. Siza, Povertà provvisorie. Le nuove forme del fenomeno, Milano, Franco Angeli, 2009. 36 A tale proposito cfr. anche Rapporto economia Massa Carrara 2013. 37 Cfr. a tale proposito: G. Esping-Andersen, Oltre lo stato assistenziale.“Per un nuovo patto tra generazioni”, Milano, Garzanti, 2010; Id. The Incomplete Revolution. Adapting welfare states to women's new roles, Cambridge, Cambridge Polity Press, 2009; A. R. Hochschild, Per amore o per denaro. La commercializzazione della vita intima, Bologna, Il Mulino, 2006; C. Saraceno, La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia: paradossi ed equilibri imperfetti, in «Polis», n. 2, 2003, pp. 553-586; Id., Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna, Il Mulino, 2003. 89 vista del sostegno delle strutture ne trovi poche, perché le strutture, gli asili mancano. Sì, ci sono, ma sono a pagamento e quindi tutto diventa più complicato. Anche all’intero delle aziende, da noi per lo meno, non ci sono ancora gli asili all’interno delle aziende, come succede all’estero, dove anche le aziende hanno un occhio maggiore per la tutela della famiglia. Noi cerchiamo di muoverci, ma è ancora troppo complicato». (ex- lavoratrice ICA) «Diventa difficile trovare un lavoro, poi tieni conto che ci sono moltissime ragazze giovani, sui 25-26 anni, e quindi lì mettono i paletti[…] Per le ragazze giovani il problema è che magari tu vuoi mettere su famiglia, ecco che poi tu richiedi la maternità e anche se magari alcune aziende te lo dicono apertamente, altre te lo mettono tra le righe, ti fanno anche firmare i licenziamenti in bianco, purtroppo esiste anche questo. Altre invece arrivano all’età che sei sui 45, è vero c’è la professionalità, possono usufruire degli sgravi, però c’è l’età che…un ragazzo di 25 anni è visto più benevolmente, anche perché da noi è più la mamma ancora che chiede i congedi parentali, oppure anche di giorno quando il figlio è al disotto dei tre anni, per cui la mamma è la mamma ed una viene vista sempre più in maniera penalizzante». (ex- lavoratrice ICA) Dai due stralci riportati risulta evidente come per le donne si sommino diversi fattori e la ricerca di un (nuovo) posto di lavoro diventi ancor più complessa, sia perché mancano strutture e strumenti che facilitano la conciliazione tra attività di cura e lavoro, sia perché permane, almeno in alcuni contesti, una certa rigidità culturale, che vede le donne dotate di una minore affidabilità, a causa dei molteplici impegni di cura familiare che svolgono. Si tratta in effetti di un circuito vizioso da cui è difficile uscire senza la messa a punto di adeguati strumenti e tutele per la donna, e che anzi tende oggi ad aggravarsi con i sempre più frequenti casi di dimissioni in bianco in caso di maternità. In questo senso, come evidenzia una delle intervistate, «gli step anagrafici per noi donne sono più penalizzanti». Per i giovani, la situazione è ugualmente complessa: il tasso di disoccupazione giovanile nel territorio provinciale è infatti drammaticamente elevato e decisamente superiore alla media regionale38. Per questa categoria il problema è tanto la disoccupazione in sé, quanto, là dove un’occupazione c’è, l’imbrigliamento in forme di lavoro flessibili, sempre più precarie, svincolate dal riconoscimento di diritti e tutele e incapaci di conferire autonomia economica ai giovani. A queste due categorie, per le quali «la disoccupazione è schizzata» a livelli elevatissimi, si affiancano poi gli uomini nella fascia 45-55 anni, una fascia anagrafica particolarmente a rischio di esclusione dal mercato del lavoro, in quanto ancora troppo giovani per uscire dal mercato, ma non più abbastanza appetibili per questo. «C’è poi una nuova tipologia: la fascia dei 45-55enni, espulsi dai processi produttivi per la chiusura di molte aziende e che di fatto si trovano in una situazione di limbo perché troppo avanti con l’età per rientrare nel mercato del lavoro e quindi poco appetibili, ma, dal punto di vista delle riforme che ci sono state sul piano previdenziale, troppo giovani per accedere al percorso pensionistico. Questa è una fascia che si sta ingrossando in maniera consistente e che io vedo come maggiore criticità perché al momento è difficile costruire una risposta. Una persona tra i 4538 Nel 2011, il tasso di disoccupazione giovanile nella Provincia di Massa Carrara è pari al 34,5%. 90 55 anni per reinserirsi sul mercato è una sfida molto molto complicata» (exassessore al lavoro e alla formazione) «il quadro è molto fosco e nel quadro fosco i soggetti più deboli sono i giovani, che non riescono più a trovare un lavoro, le donne, che oggettivamente sono più fragili per i motivi che sappiamo, ma poi il dato drammatico secondo me è che anche i lavoratori che erano considerati tra virgolette forti, non lo sono più» (segretaria CGIL) Così come affermato dall’ex-assessore, molti degli intervistati ritengono che questa fascia sia quella che esplicita meglio l’intensità della crisi sul territorio; soprattutto perché, in un sistema di welfare ancora impostato sul modello del male breadwinner, la fuoriuscita forzata dal mercato del lavoro dei 45-55enni fa saltare quel circuito di supporto informale, basato sulla reciprocità familiare, che fino ad ora aveva costituito un ‘salvagente’ per i giovani bloccati in forme di lavoro flessibili, spesso poco garantite e sottopagate39. Nel momento in cui anche i genitori lavoratori si trovano a condividere con i figli la stessa prospettive di precarietà, sotto lavoro o mancato lavoro, la capacità familiare di fronteggiare e attutire il rischio si riduce fortemente, mentre si amplia spaventosamente quello di entrare in circuiti ricorsivi di impoverimento individuale e familiare. 7.5 Contraddizioni, rischi e precarietà: la crisi vista dai lavoratori Nei racconti dei lavoratori intervistati, la crisi assume due differenti fisionomie: da un lato c’è la crisi dovuta alla chiusura di aziende che non sono riuscite a reggere la dinamica economica attuale; è il caso, soprattutto, delle aziende più piccole, o di settori già indeboliti sul territorio per il processo di deindustrializzazione che, come si è visto, ha caratterizzato i due decenni precedenti. Dall’altro, invece, c’è la crisi determinata dai processi di globalizzazione e delocalizzazione, che, soprattutto in una fase di recessione internazionale, hanno reso ancor più competitivo lo spostamento di impianti e produzioni in altre zone d’Europa o del mondo. In questo caso, la chiusura non è motivata dal calo della produzione, ma soltanto da una scelta strategica di mercato, che caratterizza soprattutto le realtà produttive inserite in gruppi multinazionali. Anzi, come sottolineano più volte i lavoratori intervistati, in questi casi la chiusura delle aziende ha più volte coinciso con i momenti di massime produzione, determinando, ai loro occhi, una contraddizione stridente, come nel caso della Eaton a Massa e della ICA ad Aulla. «Quando noi abbiamo chiuso avevamo ancora molte commesse in mano, ma non c'era più la volontà dell'imprenditore di investire lì perchè non era più remunerativo; si potevano trovare anche nuova commesse, si poteva pensare a come re-industrializzare, anche con produzioni diverse, noi per esempio nell'ultimo anno avevamo cominciato a fare schede per strumenti di tecnologia avanzata […] o perlomeno dovevano essere più chiari con tutte le maestranze: pensa che diverse di noi non hanno fatto le ferie perchè aspettavano dei materiali e poi ai primi di 39 A tale proposito si rimanda all’ampia letteratura sul tema del welfare familista, quale in particolare i testi di G. Esping-Andersen (1990, 2000, 2002) e, con specifico riferimento al caso italiano, di M. Ferrera (1996, 1998). 91 settembre hanno chiuso, cioè è un paradosso... quello che secondo me hanno sbagliato è il non fare un passaggio con tutti i lavoratori, fare una cosa condivisa, hanno provato a farlo quando ormai era troppo tardi, quando l'azienda era già chiusa ed erano perse tutte le commesse, invece non l'hanno voluto fare quando era opportuno». (ex-lavoratrice ICA) «così è iniziata quest’avventura, che poi è finita come sappiamo, perché l’azienda ha deciso di investire nei paesi a basso costo, ha delocalizzato; in più probabilmente c’è di mezzo tutta la vicenda Fiat, perché noi lavoravamo per la componentistica auto e la Fiat aveva un peso del 50% sul nostro fatturato». (ex- lavoratore Eaton) «Ho vissuto e visto tutto il periodo di floridità dell’azienda; quando sono entrata io era fiorente, fai conto che arrivavamo ad occupare, tramite ICA e le cooperative esterne, 120 persone, un’azienda che c’era da 30 anni. L’azienda lavorava principalmente per il gruppo elettrodomestici Candy ed Elettrolux, all’inizio era quasi un fondo, poi via via in 30 anni è cresciuta, si è allargata, aveva due capannoni e le cooperative esterne […] Nel 2005-2006 hanno aperto un sito in Romania, quindi c’è stata una delocalizzazione prettamente di manovalanza (per i cablaggi), mentre le schede elettroniche, continuavano ad essere tutte in Italia, quella che richiedeva una professionalità maggiore, era rimasta in Italia, forse anche perché era più difficile portare quella lavorazione all’estero. Invece poi ad ottobre 2008 è stata firmata dai soci la liquidazione volontaria e dal dicembre 2008 siamo entrate nel procedimento di ci straordinaria» (ex-lavoratrice ICA) Nei casi delle aziende più grandi, inoltre, la delocalizzazione ha comportato anche un inevitabile effetto domino per tutto l’indotto, determinando così l’ulteriore chiusura di numerose piccole o medie imprese, che da un giorno all’altro hanno visto venir meno il proprio mercato di riferimento. Ma la crisi non ha riguardato soltanto l’industria: come rileva la segretaria della CGIL, anche tutto il settore dei servizi ne ha risentito fortemente, sia per quanto riguarda il commercio, sia per quanto riguarda il settore dei professionisti, soprattutto per i giovani e per le donne, sempre più spesso sottoposti a condizioni lavorative non tutelate e remunerate. La contrazione delle tutele e dei diritti sul lavoro è per altro un elemento che la crisi ha drammaticamente acuito, in maniera sempre più trasversale a tutte le categorie di lavoratori. Questo elemento viene messo in luce tanto dai lavoratori, quanto dai sindacati; questi ultimi, in particolare, con la crisi riscontrano una maggiore difficoltà nell'entrare in contatto con i lavoratori, sopratutto delle aziende piccole e nuove, e parallelamente una maggiore necessità di sviluppare contrattazione difensiva e servizi di tutela individuale. «Io mi sono posta questa domanda: perché non c’è sufficiente risposta a questa crisi anche in termini di lotta sociale, rispetto al passato? Ma ora i precari non possono scioperare, gli apprendisti, che hanno 4 anni di apprendistato – in una banca per esempio ora si entra con 4 anni di apprendistato – e quindi non possono scioperare, poi in tante aziende dopo la crisi si attiva il meccanismo della crisi mondiale e quindi voglio dire si va riducendo visibilmente anche la platea delle persone che possono manifestare e fare uno sciopero. La gente è anche spaventata, conosco aziende giovani nel territorio in cui come sindacato facciamo fatica a entrare, c’è una signora che ha paura di andare ad un’assemblea; sembrano cose 92 dall’altro mondo, ma è così; e queste sono cose che fino a poco tempo fa mettevamo in conto nelle piccole aziende, perché di solito il piccolo padrone non vuole in mezzo il sindacato, ma ora anche nella aziende più grandi si vivono queste cose qui. Soprattutto nelle aziende più nuove, quelle che ormai hanno una tradizione del sindacato al loro interno ormai ci sono abituati, invece aziende nuove, molto rampanti, per esempio nella nautica, queste aziende qui il sindacato non lo vogliono neanche all’uscio» (Segretaria CGIL) Nella difficile situazione economica attuale, sembra quindi prevalere l'idea del lavoro «basta che ci sia», senza vedere riconosciuti e tutelati i propri diritti, perché non ci si può permettere di rifiutare una possibilità di occupazione o pretendere di trovarne una nuova con gli stessi standard di sicurezze e garanzie goduti in passato, perché, «con la crisi che ha colpito, stai lottando solo in difesa, si stanno rimangiando tutto». Si tratta tuttavia di una dinamica pericolosa, perché rischia di legittimare, sotto la 'protezione' della crisi economica, modelli di comportamento e approcci deregolativi che tendono a consolidarsi in prassi consuete. In questo senso, la crisi del lavoro non è soltanto quantitativa (perdita del lavoro, aumento della disoccupazione etc...), ma è anche qualitativa, poiché va ad intaccare e, progressivamente, erodere le garanzie ed i sistemi di protezione definiti dallo statuto dei lavoratori. Per questi, il processo di destabilizzazione connesso alla perdita del lavoro, all'indebolimento dei propri diritti, all'incertezza di una prospettiva che al massimo può offrire solo lavori di scarsa qualità e, sopratutto, precari, alimenta un più ampio processo di destabilizzazione soggettiva, con ricadute pesanti tanto sul piano identitario, quanto sulla rete familiare. Dal punto di vista della soggettività individuale, infatti, è trasversale a tutti i disoccupati intervistati un senso di vuoto, implicato dalla repentina rottura causata dalle perdita del lavoro, fattore centrale della vita adulta, sul quale si costruisce la propria identità sociale e attraverso il quale si è riconosciuti con un ruolo nella propria collettività di riferimento:. «mentre prima avevi bene o male delle certezze, facevi dei sacrifici però avevi della certezza, quando questa non c'è più e come se ti crollasse il mondo addosso. Quando uno va a lavorare lo sa che il dieci del mese viene pagato e questo ti permette di fare delle cose, non so: per chi è giovane avere una prospettiva, poter comprare casa perchè magari lavorando in due si può accedere ad un mutuo, invece...se uno si è spostato da poco e voleva dei figli ci pensi un attimo, perchè non hai una sicurezza». (ex-impiegata ICA) «Ad oggi, il fatto di essere a casa mi ha condizionato sotto diversi aspetti: il trauma più grande l'ho avuto dopo 17 anni di lavoro continuativo andando al Centro per l'Impiego a fare la domanda di mobilità. Quello è stato il giorno più triste perchè […] avevo sempre lavorato, non avevo mai conosciuto l'assegno di disoccupazione e invece ritrovarsi dopo anni in questa situazione, non è piacevole» (ex-operaio EATON). «Io ero abituata ad avere impostata la mia giornata in una certa maniera: la casa, il lavoro, i figli, la scuola...e mi sono ritrovata ad aver perso un equilibrio, ho perso proprio il mio equilibrio e mi sono trovata doppiamente spiazzata: spiazzata perchè sapevo di non avere più il mio lavoro e quindi sapevo che sarei andata incontro a 93 delle problematiche economiche, e secondariamente mi sono trovata anche dei vuoti, delle ore vuote, anche moralmente ero, come posso spiegare, abbattuta anche moralmente perchè il mio lavoro era al centro della mia giornata». (ex-dipendente azienda settore farmaceutico) La perdita del lavoro costituisce quindi un turning point40 centrale nelle biografie degli intervistati, sia per quanto riguarda la loro quotidianità, la cui routine viene spezzata da un vuoto che si riempie di significati importanti (le problematiche economiche, la mancanza di prospettive, le preoccupazioni per il benessere familiare etc...), sia per quanto riguarda la propria collocazione identitaria: molto frequente, infatti, è il senso di isolamento causato dal vuoto della disoccupazione, la sensazione di essere messo ai margini rispetto al proprio contesto sociale, perché «il lavoro è relazioni» e quando questo viene a mancare «ti senti come abbandonato, sei in solitudine […], senti la mancanza di quello che è il tuo mondo, dove passi nove ore al giorno e dove spesso condividi parte della tua vita». In questo senso emerge chiaramente come il lavoro contribuisca fortemente a costruire non solo l'identità sociale dell'individuo, ma anche il senso di appartenenza ad un contesto e ad un gruppo. Allargando la prospettiva alle relazioni del soggetto con il proprio contesto familiare di appartenenza, si evidenzia inoltre come la perdita del lavoro costituisca spesso un elemento cruciale nel sistema di vita familiare, sia perché ne intacca l'organizzazione di ruoli e mansioni, sia perché è causa di un peggioramento dei livelli di benessere familiare. Tanto la dimensione socio-relazionale, quanto quella economica della famiglia sono perciò sottoposte ad un profondo stress, rendendo necessario il riassestamento su equilibri diversi e, spesso, più precari. «sì, abbiamo un grande supporto, ma non economico, però nella logistica sì: i figli più grandi quando escono da scuola mangiano dalla nonna e per il più piccolino mi aiutano tutte e due le nonne. Per me un supporto grande è quello: avere due persone vicine che ti aiutano molto». (lavoratrice precaria, in cassa integrazione) «Attualmente vivo in una bellissima casa, sul mare, con giardino, perché era una scelta di vita fatta con la mia compagna, magari di rinunciare ad una pizza il sabato sera e avere una casa che in qualche modo ci soddisfacesse e che mi desse la gioia di tornare a casa; purtroppo essere senza lavoro mi ha condizionato perché gli affitti sono pesanti e ho dovuto riorganizzarmi e fortunatamente abbiamo trovato un’altra casa, anche quella ci soddisfa». (ex-operaio EATON) «E’ dura. Io ho tre figli: una di 19 anni ed uno di 16 e l’ultimo di 4, perciò ho due figli alle superiori ed uno all’asilo. Con le spese della scuola, è dura, devi gestirli, è l’età in cui possono chiederti qualcosa di più, però noi siamo sempre riusciti fortunatamente ad arrivare in fondo, ci priviamo di tante cose, non esiste una cena fuori o una vacanza; però io dico: noi siamo fortunati, perché almeno viviamo in un posto sul mare, perciò in fondo la facciamo gratis la vacanza, i miei suoceri stanno vicinissimi al mare, la vacanza è sempre quella però la fai, anche per i 40 Cfr. A. Strauss, Mirrors and Masks: The Search for Identity, Glencoe, The Free Press, 1959; N. Nicholson and M. West, Transitions, Work Histories, and Careers, in M.B. Arthur et al. (eds.), Handbook of Career Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, pp. 181-201. 94 ragazzi […]. E poi giochi tutti i fattori possibili, perché ci sono le visite mediche, gli occhiali, i controlli dal dentista, è logico la spesa è subito grande essendo una famiglia numerosa, per noi è grande tutto, anche la spesa settimanale, perché siamo in cinque!». (lavoratrice precaria, in distacco da cassa integrazione) Emerge così, come un elemento dato quasi per scontato, come di fronte alla crisi si debba far affidamento sulle proprie capacità di fronteggiamento, che divengono maggiori se c'è una rete familiare capace di supportare, economicamente, ma anche affettivamente, il cambiamento vissuto. Risulta infatti chiaro che gli intervistati non abbiano delle aspettative nei confronti delle istituzioni locali o nazionali; certamente, vorrebbero vedere una maggior capacità di investire le poche risorse disponibili da destinare alla formazione in attività più adeguate e coerenti con le possibilità del territorio41. Tuttavia, sono anche consapevoli che, nonostante i tentativi della Provincia e dei Centri per l’Impiego di attivare percorsi formativi, il problema vero resta la capacità di riattivare il territorio. «La Provincia mette in atto tutto quello che ci può essere, mette a disposizione dei corsi spesso a suo carico per poter riformare delle figure professionali da reinserire in questo nuovo mondo, però nonostante tutto…certo, sono utili, però questo è un ambiente povero…Per esempio tante ragazze hanno fatto dei corsi di pc perché non sapevano usarlo, perché sono entrate a lavorare in azienda trenta anni fa quando ancora il pc non era diffuso, ceto se ci fosse che qualcuno venisse a reindustrializzare, facendo anche altre tipologie produttive, allora sarebbero tutte ben disposte a riqualificarsi, perché poi ognuno diventa abile nel lavoro che faceva, allora ci sarebbero nuove prospettive di lavoro. Ora attualmente ci sono tanti corsi OSA, alcune ragazze lo hanno fatto e sono state anche distaccate dalla c.i. e alcune sono state assunte e altre stanno tuttora facendo dei corsi attraverso la carta ILA» (ex-impiegata ICA. «L’offerta del Centro per l’Impiego per la formazione è sicuramente una vasta gamma, ma non riescono ad essere offerte mirate, vengono fatti più per adempimenti di legge». (ex-operaio EATON). In questo senso, la critica forse più forte e, come si vedrà, trasversale a molte categorie di intervistati, è quella di non riuscire a fare uno sforzo condiviso, da parte di istituzioni, imprese e politica, per riattivare il territorio, rilanciandone le potenzialità e rivitalizzando i settori tradizionalmente forti. Si tratta di una sfida importante e sicuramente non facile, ma che secondo gli intervistati deve partire dalla volontà di investire nel territorio dandogli una nuova possibilità. 7.6 Territorio, globalizzazione e politica: la crisi vista dalle imprese La sfida di investire sul territorio è sicuramente un elemento che accomuna lavoratori e imprenditori. Quello delle imprese, tuttavia, è un mondo particolarmente complesso e sfaccettato, che dal confronto con la crisi esce indebolito e, soprattutto, dotato di una consapevolezza forte: l’impossibilità di tornare ai livelli di crescita pre-crisi e la 41 Su questo aspetto cfr. anche paragrafo 7. 95 necessità, quindi, di doversi rapportare a un mondo che in pochi anni è cambiato radicalmente. Questa consapevolezza è particolarmente evidente nel settore tradizionalmente trainante l’economia del territorio, vale a dire il lapideo: «con la crisi del 2008 è finito tutto, è cambiato tutto; dalla sera alla mattina non si sentivano telefoni squillare, non arrivavano richieste, ordini, come se fosse successa una catastrofe mondiale, quale poi in effetti è stata. Siamo andati avanti con gli ordini fino a giugno 2009. Eravamo impreparati ad affrontare la crisi; abbiamo avuto una diminuzione del 50% del fatturato. Oggi la crisi persiste per tutti, comunque un po’ di progetti importanti riappaiono, un po’ di lavoro c’è. Manca però la fornitura di semilavorato che si faceva precedentemente, perché emergono paesi come Cina, India, Indonesia, che esportano direttamente i loro materiali, prima lo facevamo noi. Esportano loro perché hanno costi di lavorazione più bassi, con tecnologie di ultima generazione fornite da aziende europee. Lavorano come noi o anche meglio, però a costi che noi non possiamo permetterci. A noi resta il know-how della lavorazione di marmi importanti, quello sulla trasformazione che ancora non fanno, perché gli manca quel final touch. Però la mass production viene fatta là, in Cina e India, perché i costi sono più bassi». (imprenditore settore lapideo) «La crisi è irreversibile, non c’è soluzione se non ridurre il fatturato e lavorare materiali e prodotti italiani non è facile da fare […] La qualità ormai è un must per tutti, che non solo noi sappiamo dare. L’unico punto d’intervento quindi è il prezzo e su questo noi non possiamo competere». (imprenditore settore lapideo) L’irreversibilità della crisi, intesa come processo che ha determinato un cambiamento profondo nel modo di concepire la produzione e la crescita a livello di sistema, si lega chiaramente, anche negli scenari locali, alle dinamiche connesse alla globalizzazione ed al rafforzarsi dei nuovi paesi emergenti. Per chi vuole mantenere la produzione sul territorio, quindi, superare la crisi è ancora più difficile perché la competizione, su scala globale, si gioca su costi di produzione decisamente bassi, impossibili per le aziende del territorio. Come evidenziato chiaramente nelle interviste riportate, anche la sfida sulla qualità è in gran parte persa, poiché paesi come Cina e India si sono /si stanno dotando di elevati livelli di qualità, grazie a know-how e brevetti acquistati in Europa. Per settori come il lapideo, il vantaggio italiano resta confinato ad alcuni spazi in cui la produzione asiatica è sì sviluppata, ma non ancora abbastanza conosciuta dagli acquirenti europei, che per questo motivo continuano a preferire il prodotto italiano. Tuttavia, come evidenzia uno degli imprenditori intervistati, si tratta di un vantaggio solo temporaneo, che è destinato inevitabilmente a finire una volta che le produzioni asiatiche riusciranno a farsi conoscere meglio su tutti i mercati. «Il rischio è che nel giro di 5-6 anni siano distrutte tutte le aziende, con tutto l’indotto sul territorio. Per fortuna nel mondo c’è ancora l’architetto europeo che conosce i materiali classici e non asiatici e nei suoi progetti mette questi materiali; questo però non accade con gli architetti asiatici; faccio un esempio: il botticino classico, così come il bianco Carrara per gli architetti sono materiali classici, conosciuti da tutti; se però parlo di M605, che è un materiale cinese, nessuno qua sa cosa è. In prospettiva però quando questi materiali saranno conosciuti da tutti anche questa fascia di mercato non sarà più nostra» (imprenditore settore lapideo) 96 In questa prospettiva, la critica degli imprenditori è rivolta alla cecità ed alla mancanza di prospettive del sistema italiano, incapace di investire in ricerca e tecnologie e di svilupparne le potenzialità in termini di ricaduta sull’industria e sul paese nel suo complesso. Si tratta di una criticità evidenziata trasversalmente da tutti gli imprenditori intervistati e che investe tanto la politica locale, quanto quella nazionale. «Questo è un discorso che chiama in campo la politica locale, che dovrebbe mantenere in loco tutte le produzioni. […]Su tutto questo entra in gioco la politica: noi imprenditori non possiamo farci niente; se la politica continua così, nel territorio ci saranno meno aziende. Fino a 4-5 anni fa c’era tutto un sistema finanziario, bancario forte e capace di aiutare chi voleva intraprendere. Oggi questo sistema viene a mancare e le aziende ne soffrono; gli imprenditori del nostro territorio hanno conoscenze e competenze per produrre un Pil nel settore lapideo decisamente maggiore, quindi spetta alla politica un intervento importante e di certo non facile» (imprenditore settore lapideo) «Le prospettive del territorio le vedo difficili; il sindaco uscente, che io stimo e so che è in buona fede, non ci è riuscito, credo che sia difficile per chiunque arriva, veda il caso del governo Monti: è riuscito solo a fare il primo pezzettino, poi si è bloccato sull’onda degli interessi particolari… qui manca la buona politica, manca una visione politica del territorio, capace di dire ho queste vocazioni, questo faccio per arrivarci. Io cittadino se lo condivido resto, altrimenti me ne vado» (imprenditrice settore turistico) La politica costituisce così una sorta di macro categoria all’interno della quale confluiscono più elementi di criticità: rivolgendosi ai livelli nazionali, si denuncia la mancanza di un sistema creditizio capace di supportare e far ripartire le imprese, la mancanza di investimenti importanti in ricerca e sviluppo ed il peso degli adempimenti amministrativi e burocratici, giudicati eccessivi. A livello di politica locale, invece, si critica l’incapacità di definire la propria vocazione territoriale, la scarsa abilità nel valorizzare le risorse esistenti, come per esempio il turismo, e la tendenza ad un provincialismo che si chiude su se stesso e rende il territorio marginale rispetto alle altre aree della Regione. Con riferimento alle specificità del territorio, poi, si critica la mancanza di una cultura imprenditoriale vera e propria e la presenza, secondo alcuni imprenditori, di un atteggiamento tendenzialmente assistenzialista, che rende ancora più difficile il rilancio del territorio. «Poi se un territorio è abituato più di altri di vivere su sussidi e sistemi di welfare…qui l’Asl ha assunto più persone che in molti altri territori; siamo stati abituati ad essere foraggiati più su risorse pubbliche, relazioni amicali e familismo che su competenze proprie, questo ci porta ad avere più difficoltà a rimboccarci le maniche. Per esempio: la crisi degli anni ‘80: qui c’erano pochi imprenditori; in quella fase si sono rimboccati le maniche per ripartire, c’è stata un’ondata imprenditoriale importante in reazione alla crisi; se succederà anche per questa crisi non lo so» (Dirigente Associazione Industriali) «Qui poi c’è un problema culturale: c’è una mancata vocazione delle persone al lavoro […] Riportare la grande industria qui è impossibile perché qui non c’è 97 vocazione a lavorare delle persone; questo in molti lo spiegano come un distacco emotivo dalla grande industria e non si è riusciti a ricreare un certo tipo di fidelizzazione nei confronti del lavoro» (Imprenditrice settore turistico) Al momento, non si hanno elementi a sufficienza per convalidare la fondatezza di questa ipotesi; tuttavia, si tratta di un elemento interessante, quanto sicuramente controverso che meriterebbe un approfondimento specifico. Quello che è certo, è che in questa situazione di particolare complessità, la debolezza delle imprese, accanto alla mancata definizione di una strategia di superamento, ricade sul territorio e in particolare sui lavoratori, con operazioni di tagli sul personale: «l’impatto sull’occupazione è stato pesante, perché nel nostro settore, quello dei servizi, l’elemento di costo più pesante sul quale si incide per sopravvivere è proprio sul personale. Purtroppo a seguito del calo dei fatturati, si è dovuto ridurre il personale, perché si è calato il prezzo. Alcune categorie sono diciamo protette, quelle indotta dalla folle burocrazia messa in piedi in questi anni, perchè degli amministrativi non posso farne a meno, ma sul ricevimento posso sacrificare qualche posto, anche se questo significa dare un servizio peggiore al cliente e sacrificare qualcuno del personale. L’impatto è molto forte anche per noi e stiamo facendo una valutazione di strategia, vale a dire stiamo cercando di capire se vale la pena tenere aperto o no». (imprenditrice settore turistico) «Abbiamo ridotto il numero di dipendenti: attualmente sono una cinquantina rispetto ai novanta che erano prima della crisi. I macchinari per il granito sono stati venduti in India, perché in loco ormai questa produzione è terminata e stiamo utilizzando i capannoni dei macchinari come sala mostre per le lastre di marmo». (imprenditore settore lapideo) «Nell’estate 2008 abbiamo capito che andava male e abbiamo lavorato sul conto economico, abbiamo fatto un’analisi di cosa potevamo toccare senza creare grossi problemi ai lavoratori e all’azienda. Abbiamo fatto un’analisi di tutta la situazione: abbiamo tagliato tutti i co.co.co e tutte le situazioni di part-time volontario; su 45 persone un paio sono state accompagnate alla pensione. Nel frattempo però abbiamo trasformato un tempo determinato in un indeterminato, un ingegnere». (imprenditore settore edile) Tanto per gli imprenditori, quanto per i lavoratori, la crisi mette in luce la necessità di sviluppare una riflessione attenta e fattiva a livello di territorio: un territorio complesso e particolarmente indebolito, su cui tutti sono concordi nell’affermare la necessità e la possibilità di una sua valorizzazione, quale volano per tentare un rilancio dell’economia locale, ma che sembra faccia fatica a tradursi in uno sforzo pratico congiunto e capace di coinvolgere il sistema locale nel suo insieme. 98 7.7 Quali prospettive? Ipotesi, rischi e scenari possibili per la ripresa del territorio. Le voci e le esperienze raccolte raccontano le diverse sfaccettature della crisi e contribuiscono a definire un panorama complesso e articolato, che, rispetto ad altri territori provinciali, risente di una maggiore difficoltà pre-esistente e di una certa percezione di marginalità. Nonostante le visioni, a volte anche fortemente divergenti, espresse dalle diverse categorie di soggetti intervistati, è interessante notare come le strategie di uscita o quanto meno i nodi tematici indicati come fondamentali per tentare di uscire da questa situazione di stallo e impoverimento, tendano a coincidere in maniera trasversale tra i gruppi di soggetti intervistati. Prima fra tutte, c’è una denuncia nei confronti della politica nazionale, alla quale si imputa la responsabilità di non saper proporre un cambiamento effettivo ed efficace. Tali critiche, seppur con declinazioni e interpretazioni diverse, accomunano tanto gli imprenditori, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, quanto i lavoratori e le associazioni di categoria, come evidente nelle interviste sotto riportate. «Se fosse vero che il costo del lavoro in Italia non può reggere la concorrenza di altri paesi (uso il condizionale perché abbiamo visto che la Germania che ha un costo del lavoro più alto non ha perso tutte quelle imprese che ha perso l’Italia), ma ipotizzando che questa sia una verità, quello che più mi è dispiaciuto del non fare da parte della politica è stato il non mantenere l’intelligence dalla grande industria: perché per lo meno la tesa di ponte dell’industria, l’intelligenza attraverso lo sviluppo e la ricerca e l’innovazione va fatto in Italia, perché noi possiamo dare sotto questo aspetto; allora se il lavoro diretto, quello degli operai, potrebbe venir meno, però per lo meno assicurate un futuro ai nostri figli, mantenendo la testa delle imprese, la ricerca e lo sviluppo e invece neanche questo è stato fatto. così vengono meno anche i saperi e le nostre competenze e li lasciamo scappare». (ex-operaio Eaton) «Non sono state fatte scelte decise a sostegno dell’economia, alle attività produttive, di sostegno al reddito […] quindi a livello nazionale si deve avere in mente dei cambiamenti». (segretaria CGIL) «Per cambiare ci vorrebbe un cambiamento della classe politica dirigente, più incentivi da parte del governo, questo paese manca di quello: una politica nazionale seria e un ricambio generazionale». (Presidente Lega Coop) Se quello della politica nazionale costituisce un leitmotiv ricorrente, altrettanto forte è l’attenzione per le debolezze del territorio o, ancor meglio, per la sua incapacità di valorizzare le risorse che ha, promuovendo un cambiamento tanto a livello economicoproduttivo, quanto culturale e di mentalità. Nei confronti della dimensione territoriale, si possono infatti mettere in luce almeno quattro nodi tematici, individuati dagli intervistati come fondamentali per superare la difficoltà della crisi attuale. a. Le leve di sviluppo. Il nodo più forte su cui si concentrano tutte le voci degli intervistati, è sicuramente quello della mancata capacità/volontà di far leva sulle effettive «vocazioni del territorio». Per tutti, infatti, appare quanto mai necessario 99 riuscire a definire i settori, potenzialmente forti, dell’economica locale, valorizzarli ed investire su di essi. «Individuare 3-4 cose da fare e puntare tutti su queste. Per esempio: io ho iniziato a fare il sindacalista molti anni fa e già si parlava di fare il porto turistico, ma il problema c’è sempre e il porto non è ancora stato fatto […] Ora qualche buona possibilità ci sarebbe: per esempio, nell’industria alla Pignone e alla retro portuale usata dalla Pignone, ma anche qui bisogna puntarci, cercare di rispondere con maggiore occupazione locale e gli imprenditori dovrebbero fare maggiormente rete, anche per garantire alla nuovo Pignone un indotto migliore e più forte. Le tipologie della Pignone possono servire per diversi settori, gruppi che possono fare da volano al nostro territorio. Anche il porto è un’altra risorsa importante; ad alcune vertenze siamo riusciti a dare non una soluzione, ma un indirizzo sì, per esempio per i cantieri navali: abbiamo invertito il trend che vedeva dismissioni sul territorio». (segretario UIL) «E poi un nodo cruciale secondo me da risolvere in questo territorio…ci sarebbe da chiudersi in una stanza un po’ tutti e uscire fuori con qualche idea rispetto allo sviluppo del territorio, chiedersi dove si arriva col turismo, con l’industria, che cosa vuol dire marmo, non utilizzare il marmo solo per l’escavazione, ma valorizzare la risorsa che abbiamo, e valorizzare anche le zone di degrado perché il turismo …bisogna iniziare a ragionare che se si vuol far diventare una ricchezza il turismo, si deve essere in qualche maniera competitivi anche con la qualità dei servizi che gli altri paesi emergenti stanno offrendo. Poi ci sono dei nodi da sciogliere sulle infrastrutture, il porto: ora sembrava una situazione più tranquilla perché si erano messi d’accordo per fare un piano regolatore fra i vari comuni, la regione etc., però anche lì, il futuro del porto…ampliamento sì, ampliamento no…i collegamenti, cioè vanno definiti! Sono venti anni che stiamo a ragionare su un porto turistico, in Italia c’è da tutte le parti! Sono certa che l’indecisione sull’area abbandonata…in attesa del porto turistico allontaniamo il turismo. Si hanno poi anche problemi strutturali, mi viene in mente l’assetto idrogeologico del territorio, stanno franando i monti, stanno saltando i fossi […] se non risolviamo questi problemi qui è impossibile. Io penso che questi problemi dovrebbero essere l’obiettivo comune di tutti. (segretaria CGIL) «Noi abbiamo il marmo, è un fattore distintivo; e questo è un vantaggio. Dopodiché il settore oggi non esprime le potenzialità che potrebbe dare. Penso alla cultura del marmo, al designer, all’architettura, bisognerebbe far partire un sistema molto più creativo e non materiale come è oggi. Abbiamo poi un sistema di localizzazione industriali, il porto; l’auspicata realizzazione del porto turistico e il rafforzamento di quello commerciale potrebbe essere una leve importante. Potremmo giocare una partita interessante sul polo della meccanica dei grandi volumi. Questi sono i tre assi più importanti. Va poi mantenuto vivo il tessuto di piccole medie imprese meccaniche: questa è a vera sfida e la più difficile forse. Atre cose, la Lunigiana: dovrebbe diventare una di quelle cose tipo Montalcino, cioè questi posti dove si trova ambiente, prodotti naturali, vini, cose capaci di imporsi un po’ sui giornali. L’altra cosa che abbiamo è Carrara, una città che ha un suo fascino unico, con un centro storico straordinario, e questo dovrebbe essere valorizzato». (Direttore Associazioni Industriali) Nelle parole degli intervistati, appare chiaro come il territorio avrebbe numerose potenzialità su cui investire; sarebbe tuttavia importante riuscire a dare delle priorità, in maniera tale, come afferma il segretario della UIL, da «individuare 3-4 cose da fare e 100 puntare tutti su queste». In questa prospettiva, una difficoltà sostanziale sta nel decidere quali siano le effettive e più forti vocazioni del territorio: l’industria nautica, così come quella lapidea, il porto ed il settore turistico sono quelle maggiormente evidenziate, ma con priorità, aspettative e interessi spesso fortemente diversi, che rendono difficile convergere su scelte comuni o quanto meno condivise. Da un lato, infatti, l’industria ha costituito il polmone forte dell’economia e si evidenzia la volontà di valorizzare le risorse più tipiche, prime tra tutti il marmo; su questo fronte, l’obiettivo auspicato è quello di potenziare, accanto all’escavazione, anche la lavorazione in loco, grazie alla quale si riattiverebbe un indotto importante per tutto il territorio. Sul fronte portuale e su tutta l’area connessa all’industria nautica, invece, si evidenzia una certa ambiguità, sia per la difficoltà di scegliere tra una vocazione turistica ed una maggiormente legata all’industria ed al trasporto merci, sia per la particolare condizioni delle aziende collegate alla nautica: come mette in luce il segretario della CISL, anche per queste aziende «c’è stato un picco che però si è drasticamente ridimensionato» e, inoltre, si tratta di una «presenza di secondo livello, rispetto a quella più qualitativa di Viareggio», dove c’è la parte connessa alla progettazione ed al know how (ibidem). C’è poi la risorsa turismo, da molti vista come una leva potenzialmente molto forte, ma che non si riesce a far decollare per molti e diversi motivi, come chiaramente evidenziato tanto dai sindacati, quanto da imprenditori ed associazioni di categoria. In tutto questo, sembra giocare un ruolo importante anche la collocazione geografica e la cultura del territorio. b. La collocazione geografica e la cultura del territorio. Un elemento che incide fortemente sulla situazione del territorio è la sua collocazione geografica nel contesto regionale: rispetto alle altre province, infatti, Massa Carrara risente di una distanza e, quasi, di un isolamento, che si traduce in una percezione di marginalità rispetto alla Regione. Non si tratta, quindi, di una distanza solo geografica, ma anzi questa diviene una distanza in termini di possibilità di incidere nelle scelte e negli interventi regionali. Come afferma chiaramente il segretario della UIL, infatti «per la nostra collocazione geografica, poi, non abbiamo neanche un rapporto facile con la RT e anche questo incide perché rischiamo di prendere solo pacchetti di soluzioni già fatti da altri […] E’ necessario un passaggio più stretto col territorio […] Dalla Regione ci arrivano i pacchetti pre-confezionati: a Firenze si decide e qui non si discute!». Questa mancanza di comunicazione tra Regione e territorio amplifica anche il tendenziale «provincialismo» che secondo molti intervistati caratterizza la zona di Massa Carrara, radicando così le divisioni e le rigidità a livello locale. c. Segmentazione e rigidità. Ad ostacolare fortemente le possibilità del territorio interviene anche, secondo gli intervistati, una certa rigidità e segmentazione a livello territoriale, che rende difficile ogni ragionamento di tipo concertativo per un eccessivo radicamento alla dimensione comunale e locale. Si tratta di un atteggiamento che viene chiaramente messo in luce da diversi intervistati e, in particolare, dai sindacalisti, ma che trova riscontro anche in diverse esplicitazioni dei lavoratori. «Abbiamo due città come Massa e Carrara che sono gemelle, con due piani regolatori, un’area comune che è quella della zona industriale, consorzio insieme…e litigi continui, alla fine ci sono divisioni politiche che purtroppo 101 provocano indeterminatezza nelle scelte…queste cose qui secondo me complicano molto». (Segretaria CGIL) «La prima cosa sarebbe trovare coesione territoriale vera […] Fa sorridere e crea anche amarezza che quando si fanno gli incontri pubblici tutti fanno, però quando si tratta di fare le cose, tutti ci dimentichiamo. Si guarda solo al proprio pezzetto, non c’è la capacità di fare sintesi. Per esempio: i Comuni di Massa, Carrara e Montignoso hanno 3 momenti elettorali diversi, quindi ogni anno siamo bloccati perché o l’uno o l’altro sono in campagna elettorale e non si può fare niente, e questo ricade sul territorio». (Segretario UIL) Soprattutto in una fase di crisi come quella attuale, questa «incapacità di fare sintesi» è più che mai rischiosa, perché preclude la possibilità di una strategia condivisa, in cui le specificità e le caratteristiche locali possano costituire un valore aggiunto per il territorio nel suo complesso, piuttosto che un elemento di irrigidimento e, quindi, di ulteriore stallo e difficoltà. d. La formazione. Un ultimo elemento su cui merita prestare attenzione è infine quello della formazione: riconosciuta da tutti gli intervistati come uno strumento importante su cui investire, la formazione costituisce tuttavia un fattore estremamente critico, poiché la crisi e le difficoltà del mercato del lavoro creano una distanza sempre più ampia tra le competenze acquisite e quelle effettivamente spendibili sul mercato. Come già evidenziato nelle parole dei lavoratori, non si può imputare tale difficoltà solo alla scarsa capacità di impatto degli strumenti formativi messi a disposizione dalle istituzioni locali. Tuttavia, è pur vero che, forse, una riflessione sulle possibilità di un cambiamento e di una diversa politica formativa può più che mai trovare spazio proprio nel contesto attuale. Indubbiamente, rispetto ad altri territori, la Provincia di Massa Carrara è indebolita anche su questo fronte; come afferma il dirigente dell’Associazione Industriali, infatti, «il territorio qui è piccolo; se io devo organizzare un corso, un seminario, qui non c’è il bacino di utenza. La nostra vera, prima difficoltà è che le condizioni per fare impresa sono difficili, perciò io posso anche fare cultura d’impresa, ma poi le persone si battono contro la difficoltà della zona. Dopo di che, anche se guardo i territori più grandi, sia il sistema universitario, sia le associazioni, non mi sembra siano particolarmente efficaci per sviluppare la cultura imprenditoriale. Buona parte di questi corsi per far crescere la cultura imprenditoriale mi sembrano più di routine, più di immagine che sostanza. In fin dei conti questa cultura è un atteggiamento mentale, che deve essere diffuso, distribuito e anche condiviso con tutti i soggetti con cui entri in relazione». C’è, quindi, una prima difficoltà legata al territorio; ma a questa si sommano altri fattori di criticità, quale per esempio il mancato collegamento tra il sistema scolastico e universitario ed il mercato del lavoro. Nelle parole del direttore dell’Associazione Industriale, poi, si esplicita anche un altro rischio, vale a dire quello di una formazione svolta più per una logica dell’adempimento, che secondo un reale e sostanziale collegamento con le esigenze e/o le potenzialità del territorio. In questa stessa direzione si colloca anche l’opinione del segretario della UIL: 102 «quello della formazione è un discorso ampio… Per quanto riguarda la Nuova Pignone, per esempio, abbiamo fatto una formazione per figure specifiche che servivano alla Nuova Pignone e all’indotto per ricollocare almeno il 60-70% dei partecipanti al corso, però ora gran parte di questi, il 30-40% è formato, ma non ha trovato occupazione. Ora è stato fatto un corso dello stesso tipo e io mi chiedo: ma a cosa serve? Che senso ha? Se abbiamo già messo in campo questa risorsa, sfruttiamola. Invece l’ottica è quella “la formazione l’abbiamo fatta, punto e basata”. Si fa tanta programmazione, ma non si ha capacità di cambiarla». Si avverte cioè la tendenza, o quanto meno il rischio, di svolgere una formazione svincolata dal territorio, ma svolta più per formalità; in questo senso si muove una critica anche alla programmazione nel suo complesso, poiché si rischia di convergere tutte le energie sulla fase di programmazione, ma di non trovare poi il modo, il tempo e/o la volontà di intraprendere il processo che dalla programmazione conduce ad un cambiamento effettivo sul territorio. Al contrario, l’ex-assessore alla politiche per il lavoro e per la formazione sottolinea come lo sforzo maggiore sia stato proprio quello di «legare le politiche formative con quelle del lavoro», perché «fermamente convinto che la formazione per se stessa non serva a nulla». Il tentativo, infatti, è stato quello di legare la formazione con i motori di sviluppo del territorio; tuttavia, come esplicitato nel passaggio sotto riportato, la difficoltà è legata alla congiuntura attuale: «investire sulla formazione è non solo strategico, ma anche fondamentale in questo momento. Noi su questo territorio abbiamo cercato, in particolare dal 2008 in poi, di legare le politiche formative con quelle del lavoro […] la formazione serve se è uno strumento messo a disposizione per le politiche attive del lavoro, messa a disposizione per creare collegamento con le risorse in campo. Quello che abbiamo fatto noi in questi anni è stato quello di collegare fortemente la programmazione della formazione, in particolare quella del FSE ai motori di sviluppo del territorio, quindi abbiamo chiesto ai soggetti concertativi, quindi alle organizzazioni sindacali e alle categorie produttive, di legare la formazione ai motori di sviluppo. Quindi ci siamo concentrati su manifatturiero, lapideo, meccanica, in parte anche sul turismo…Abbiamo cercato di dedicare la formazione a questo. E quando la formazione ottiene questi risultati, cioè è legata ai motori di sviluppo, funziona, aiuta il lavoratore nel suo ingresso nel mercato del lavoro. E’ chiaro che il momento attuale è talmente difficile che....esempio, noi abbiamo fatto una grossa formazione nel biennio 2007-8 nel settore nautico, abbiamo lavorato molto per formare figure che permettessero di completare il ciclo completo. Oggi il problema è che abbiamo molte persone formate, ma le aziende non hanno commesse, non c’è lavoro. Questo vale anche per gli altri settori; però io sono convinto che la formazione molto finalizzata, molto professionale debba essere legata ai motori di sviluppo,e quindi figure professionali che non sono attinenti alla priorità di questo territorio in questi anni non le abbiamo fatte».(Ex-assessore alle politiche per il lavoro e per la formazione) Risulta evidente come le valutazioni delle associazioni di categoria divergano da quelle istituzionali e, sicuramente, contribuisce a creare una difficoltà in più per la ripresa del territorio. Comune a tutti, invece, è la volontà di sviluppare una formazione effettivamente legata al territorio e capace di attivare i lavoratori in difficoltà. In questa 103 empasse, si può forse individuare un esempio di quella difficoltà, esplicitata dal segretario della UIL, di tradurre la programmazione in una pratica effettiva di cambiamento e, ancor di più, la necessità, evidenziata da tutte le parti intervistate, di sviluppare un ragionamento condiviso, in cui non solo gli obiettivi siano trasversalmente condivisi, ma anche l’implementazione degli interventi e le loro possibilità di ricaduta. Un aspetto, quest’ultimo, che sembra incidere davvero pesantemente sul territorio e che lo penalizza ulteriormente, soprattutto in una fase di crisi come quella attuale, che richiede più che mai la messa in atto di risposte a livello di sistema. Si tratta di una difficoltà ampiamente riconosciuta dagli intervistati, ma su cui si fa fatica a promuovere il cambiamento, alimentando un circuito rischioso tra crisi, segmentazione del territorio e rigidità tra gli attori del sistema locale. 104 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: DALLA CONOSCENZA ALL’AZIONE La fotografia dei meccanismi di impoverimento che emerge dalla ricerca-azione condotta all’interno del territorio provinciale di Massa-Carrara si caratterizza per alti livelli di eterogeneità e dinamicità. Parallelamente ai percorsi di povertà tradizionalmente conosciuti ne sono emersi di nuovi. Quest’ultimi non si differenziano dai precedenti per le manifestazioni concrete della condizione di disagio (povertà come carenza di reddito), ma si distinguono per la diversa biografia delle persone coinvolte. Si pensi alle diversità emerse in merito alla capacità di estensione del raggio di azione dei fattori di vulnerabilità. Di grande interesse è anche l’eterogeneità delle caratteristiche, negli atteggiamenti e nelle capacità di risposta, dei “nuovi poveri”, che risultano fortemente disorientati e faticano ad accettare la loro condizione, in quanto tale cambiamento implica una modificazione nei delicati equilibri della propria percezione identitaria. Le narrazioni raccolte ci mostrano anche un quadro di persone che, nel complesso, sono tutt’altro che rassegnate e soggiogate dalla condizione di deprivazione. Ciò che emerge è un universo di individui che quotidianamente si adoperano per la costruzione di strategie di resistenza alla situazione di disagio e che si impegnano per aprire nuove strade verso la fuoriuscita dalla povertà. Particolarmente significativo e prezioso ai fini della presente ricerca e, in generale, per il committente istituzionale interessato ad intervenire sul sistema delle politiche di lotta alla povertà, è l’elevato grado di consapevolezza e riflessività che le persone intervistate dimostrano in relazione alla comprensione dei fattori e dei processi che incidono negativamente nella definizione dei loro livelli di benessere. Stessa cosa si può affermare con riferimento allo spirito collaborativo che emerge dal rapporto con il servizio sociale volto alla costruzione di progetti di intervento personalizzati, vale a dire in grado di andare ad agire sulle condizioni specifiche che hanno condotto all’insorgenza della condizione di deprivazione, anche attraverso l’assunzione di doveri e responsabilità reciproche. Nelle operazioni di fronteggiamento, però, le persone sembrano sentirsi piuttosto sole, sia per quanto riguarda la possibilità di fare ricorso alla rete di relazioni informali (frequentemente limitata numericamente in origine, oppure erosa dal protrarsi della condizione di disagio), sia con riferimento alla possibilità di ricevere un aiuto da parte del sistemi di protezione sociale. Particolarmente forte è la preoccupazione per l’impossibilità di percepire un cambiamento a breve della attuale congiuntura economica sfavorevole. Tale situazione di stallo desta forte inquietudine perché sembra condannare le persone, risucchiate nel vortice della povertà, alla permanenza per un periodo di tempo indeterminato nella condizione di deprivazione e assistenza da parte dei servizi sociali territoriali. Proprio il desiderio di ritrovare un’autonomia economica rappresenta infatti la più grande aspirazione per se stesi e per il futuro dei propri figli. In questo senso la possibilità di faticare molto per il suo raggiungimento non intimorisce. 105 Difficile stabilire quali delle diverse tipologie di soggetti emerse dall’analisi dei materiali raccolti avverta di più il peso della deprivazione: le famiglie numerose, i cittadini immigrati, gli uomini adulti disoccupati oppure le nuove generazioni. Possiamo invece affermare che ognuno di essi è interessato da meccanismi di impoverimento che si combinano tra di loro in maniera diversa e, per questo, necessitano di interventi di contrasto alla povertà differenti, fortemente mirati e organici, superando così i limiti derivanti dalla frammentazione. Una delle vie principali all’investigazione del fenomeno è stata la valorizzazione delle esperienze personali dei soggetti intervistati, sia per l’analisi delle manifestazioni del fenomeno della povertà, sia con riferimento all’individuazione delle possibili strategie di fuoriuscita, anche grazie al ricorso degli interventi di contrasto di natura istituzionale. Tale operazione ha rappresentato il primo passo verso la costruzione in un rapporto dialogico tra i diversi soggetti protagonisti del fenomeno studiato che ha trovato spazio per un suo ulteriore sviluppo all’interno successiva fase della ricerca. Nella seconda parte dei lavori, infatti, tutti gli attori coinvolti (cittadini, rappresentati istituzionali, assistenti sociali e ricercatori) hanno attuato un percorso di confronto e riflessione attiva. Attraverso la considerazione delle specificità tipiche delle manifestazioni più recenti dei processi di impoverimento e delle declinazioni particolari assunte dagli stessi nel territorio, è stato possibile effettuare una valutazione dei pregi, dei limiti e delle potenzialità dell’attuale sistema di servizi e per giungere alla formulazione di un primo insieme di proposte per un loro miglioramento. Grazie al lavoro riflessivo comune e condiviso, sviluppato a partire dai materiali raccolti, infatti, si è giunti alla definizione di alcune ipotesi di miglioramento con riferimento alle strategie di contrasto attualmente già attivate sul territorio. A questo punto del lavoro spetta alla componente istituzionale valutare possibilità e modalità di attuazione delle stesse. Elemento degno di nota è rappresentato dal fatto che la procedura attraverso la quale i contenuti racchiusi in questo report sono emersi può essere vista come una piccola esemplificazione di quella che possiamo definire una diversa forma mentis attraverso la quale giungere alla conoscenza dei fenomeni e progettare strategie di intervento. Attraverso la prospettiva adottata, la descrizione del problema povertà è emersa dalla partecipazione e dall’ascolto di testimoni, che hanno vissuto in prima persona gli effetti delle problematiche studiate, e si è nutrita della riflessione di figure professionali alla luce del loro ricco bagaglio di esperienze lavorative nella lotta alla povertà. Si tratta di un modo alternativo rispetto a quello tradizionalmente utilizzato, attraverso il giungere alla definizione dei migliori strumenti di intervento nelle loro diverse fasi di costruzione: programmazione, progettazione e erogazione dei servizi. 106 BIBLIOGRAFIA Accornero A., Era il secolo del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1997. Acocella N., Ciccarone G., Franzini M., Milone L. M., Pizzuti F. R., Tiberi M., Rapporto su povertà e disuguaglianze negli anni della globalizzazione, Pironti, Roma, 2004. Alcock P. e Siza R. (a cura di), Povertà diffuse e classi medie «Sociologia e politiche sociali», vol. 12, n. 3, 2009. Alcock P., Siza R. (a cura di), La povertà oscillante, fascicolo monografico in «Sociologia e Politiche sociali», Vol. 6, n.2, 2006. Alcock P., Siza R., (a cura di), Povertà diffusa e classi medie, fascicolo monografico in «Sociologia e Politiche sociali», Vol. 12, n.3, 2009. Alcock P., Undertanding Poverty, Palgrave Macmillan, New York,1993. 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