Dinamiche di impoverimento e strategie di contrasto

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Dinamiche di impoverimento e strategie di contrasto
Università di Pisa
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Laboratorio di Ricerca sull’Inclusione e lo Sviluppo Sociale
DINAMICHE DI IMPOVERIMENTO E STRATEGIE DI CONTRASTO.
PRIMI RISULTATI NELL’AMBITO DELLA
RICERCA-AZIONE
CONDOTTA NELLA PROVINCIA DI MASSA-CARRARA
Supervisone scientifica
Prof. Gabriele Tomei
Prof. Matteo Villa
Realizzazione delle interviste e redazione del rapporto di ricerca
Dr. Elisa Matutini (Capitoli I,II,III,IV,V,VI)
Dr. Rachele Benedetti (Capitolo VII)
INDICE
INTRODUZIONE
PARTE PRIMA. LA RICERCA-AZIONE SUI PROCESSI DI IMOPOVERIMENTO
CAPITOLO I
I riferimenti teorico-metodologici della ricerca
1.1. Le dinamiche di impoverimento: povertà tradizionale e nuovi poveri
1.2. La ricerca-azione come strategia di conoscenza e intervento
1.3. L’intervista narrativa
1.4. Il disegno della ricerca
CAPITOLO II
Gli ambiti di azione dei meccanismi di impoverimento: i contenuti emersi dalle interviste
2.1. Il mercato del lavoro e la ricerca dell’occupazione
2.2. Il costo della vita e l’inadeguatezza del reddito
2.3. La questione alloggiativa
2.4. La rete informale di sostegno
2.5. Alcuni profili di impoverimento
CAPITOLO III
Le strategie di fronteggiamento individuali tra desiderio di reagire e sconforto
3.1. La lotta alla povertà nella vita quotidiana
3.2. I tentativi di rilancio: infaticabile ricerca di lavoro dipendente e autoimprenditorialità
3.3. I tentativi di fuoriuscita dalla povertà: le difficoltà di sopportare il ripetersi di
fallimenti
3.4. La preoccupazione nei confronti dei figli: la povertà dei bambini
CAPITOLO IV
Il ruolo percepito, le funzioni e le risorse dei servizi sociali nella lotta alla povertà
4.1. Il ricorso ai servizi sociali tra bisogno, senso di dignità e vergogna
4.2. Il rapporto con il servizio sociale tra inadeguatezza delle risorse e consapevolezza dei
limiti di intervento
4.3. La voglia di fuoriuscire dalla condizione di assistito
2
4.4. Verso l’attivazione delle competenze dei cittadini sui processi di impoverimento
CAPITOLO V
Alcune proposte per il miglioramento delle strategie di contrasto alla povertà presenti su
territorio
5.1. Costruire nuove prospettive attraverso la riflessione congiunta di istituzioni e soggetti
vittime dei processi di impoverimento
5.2. Il sistema informativo: assistenza sociale e segretariato sociale
5.3. Uno strumento per sostenere le capacità individuali nel processo di reinserimento
lavorativo: le borse lavoro
PARTE SECONDA APPROFONDIMENTI TEMATICI
CAPITOLO VI
Lotta alla povertà e servizio sociale. Alcune riflessioni a partire dai risultati della
ricerca-azione sui processi di impoverimento
6.1 Dai risultati dell'indagne alle ipotesi di ricerca: possibilità e limiti degli assetti
istituzionali nel fronteggiare la povertà
6.2 Dalle attività di ricerca alla costruzione di nuove prospettive per l'intervento sociale
6.3 Dall'attivazione del soggetto alla tutela dell'individuo all'interno del contesto
comunitario
CAPITOLO VII
Impoverimento e lavoro. L'impatto della crisi sul territorio tra vecchie e nuove
contraddizioni
7.1 Lavoro, crisi e dinamiche di impoverimento
7.2 Il metodo di ricerca: interviste in profondità e ruolo dei testimoni privilegiati
7.3 Le dinamiche del mercato del lavoro locale: tra condizioni strutturali e criticità
emergenti
7.4 Crisi economica e nuove vulnerabilità
7.5 Contraddizioni, rischi e precarietà: la crisi vista dai lavoratori
7.6 Territorio, globalizzazione e politica: la crisi vista dalle imprese
7.7 Quali prospettive? Ipotesi, rischi e scenari possibili per la ripresa del territorio
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: DALLA CONOSCENZA ALL’AZIONE
BIBLIOGRAFIA
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Ringraziamenti
Un ringraziamento sentito a tutte le persone che, con la loro partecipazione ed il loro
contributo, hanno dato voce a questa ricerca, consentendone la realizzazione.
In particolare, si ringraziano gli assessori, i dirigenti ed i funzionari della Provincia di
Massa-Carrara, le assistenti sociali, gli operatori sociali ,i sindacati, le associazioni di
categoria e gli imprenditori che, raccontandoci la loro esperienza ed esprimendo i loro punti
di vista, ci hanno permesso di ricostruire lo scenario territoriale e descriverne le dinamiche
nelle sue molteplici sfaccettature.
Un ringraziamento speciale, inoltre, va ai lavoratori ed ai cittadini utenti dei servizi che ci
hanno dedicato il loro tempo, raccontandoci le loro storie e permettendoci così di entrare nel
vivo dei fenomeni analizzati: a loro, in particolare, un grazie per il contributo imprescindibile
che hanno dato a questo lavoro.
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INTRODUZIONE
La comprensione del fenomeno della povertà e, più in particolare, la lettura delle
dinamiche di impoverimento, pur costituendo materiale di studio e analisi sia teorica sia
empirica da molto tempo, continuano a rappresentare aspetti di particolare complessità e si
rivelano in grado di evidenziare elementi sempre nuovi e inaspettati.
Questo è particolarmente vero alla luce delle trasformazioni socio-econimiche
intervenute negli ultimi anni all’interno del panorama nazionale e internazionale, le quali
hanno dato vita a nuovi percorsi di impoverimento, interessando anche individui che in
passato potevano essere considerati quasi indenni dal rischio di povertà, grazie alla loro
specifica collocazione all’interno della stratificazione sociale.
Per tutte queste ragioni, la comprensione del fenomeno della povertà continua a
rimanere un aspetto di strategica importanza nella definizione dei livelli di
benessere/malessere all’interno di un dato territorio e per la pianificazione e
programmazione di interventi efficaci per il suo fronteggiamento.
Alla luce di quanto detto, i risultati della ricerca presentati nelle pagine che
seguono si propongono l’obbiettivo di andare a leggere alcuni dei meccanismi
fondamentali che incidono sulla definizione dei percorsi di impoverimento con particolare
attenzione alla realtà del territorio della provincia di Massa-Carrara, ai suoi bisogni e alle
richieste che da esso provengono. Alla dimensione più direttamente legata alla ricerca e
alla comprensione del fenomeno se ne deve aggiungere un’altra legata all’individuazione
di azioni utili a modificare, in termini migliorativi, il contesto precedentemente delineato.
In altri termini, rientra tra gli obiettivi dello studio anche l’individuazione di elementi e
strategie la cui realizzazione può contribuire a fronteggiare le declinazioni specifiche della
condizione di malessere presenti sul territorio con riferimento al tema della povertà.
Particolare attenzione è stata attribuita all’osservazione della pluralità di aspetti
che caratterizzano la manifestazione del fenomeno in tempi recenti. Quest’ultimi, infatti,
hanno portato a definire nuove figure di povero rispetto a quelle tradizionalmente
conosciute e più comunemente diffuse.
Nella prima parte l’indagine si compie una lettura delle traiettorie di
impoverimento tipiche della congiuntura economica. Tale operazione viene condotta alla
luce di due particolari prospettive:
le strategie individuali e collettive di coping in merito alla capacità di
riuscire a soddisfare i bisogni legati alle esigenze fondamentali della vita
come il lavoro, il reddito, la questione abitativa, il contesto relazionale e
così via;
lo specifico ruolo ricoperto dagli assetti istituzionali del welfare, con
particolare attenzione alla capacità di quest’ultimi di rispondere ai
bisogni vecchi e nuovi emergenti dal territorio. Questo ha come
obiettivo quello di permettere una riflessione sulle capacità e i limiti
dell’intervento pubblico, aprendo alla possibilità di un nuovo dibattito
sulle sue capacità potenziali nella lotta al fenomeno della povertà, in
vista di un progressivo miglioramento dell’efficacia degli interventi.
5
Il report si apre con una breve analisi dei meccanismi comunemente individuati
come strategici nella produzione della condizione di povertà e l’indicazione delle
principali caratteristiche assunte dal fenomeno nelle sue recenti declinazioni.
Prima di giungere alla presentazione dei risultati empirici dell’indagine, una parte
del lavoro viene dedicata all’illustrazione degli aspetti di metodo che, come potrà valutare
il lettore, in questo caso, più che in altri, implicano una pluralità di decisioni circa la
strategia di conoscenza e la modalità di intervento, tali da incidere in maniera sostanziale
sulla natura dei risultati stessi. Si tratta di alcuni riferimenti al metodo della ricerca-azione
e alla scelta di utilizzare la forma dell’intervista narrativa come strumento di ascolto dei
soggetti interessati dai processi di impoverimento.
Dopo un breve riepilogo nel disegno complessivo della ricerca, nel secondo
capitolo si passa alla presentazione vera e propria degli esiti della prima parte del lavoro.
I risultati vengono riportati organizzati con riferimento ad alcune dimensioni o
sfere di vita nelle quali, frequentemente e in maniera di volta in volta diversa, nascono e si
sviluppano elementi che conducono il soggetto nella spirale dell’impoverimento. Talvolta
carenze o incidenti di percorso in una delle sfere si intrecciano pericolosamente con
elementi deficitari nelle altre dando vita a percorsi di povertà che si cronicizzano o
inaspriscono nel tempo. In altri casi, la povertà è esito di una carenza di risorse
strettamente legata ad un solo fattore (come ad esempio il reddito).
Nella interpretazione degli elementi emersi dalle narrazioni le principali
dimensioni prese in esame sono quelle del rapporto con il mercato del lavoro, la
condizione abitativa e il tessuto relazionale informale. A quest’ultimo proposito,
particolare attenzione viene attribuita al ruolo svolto dalla rete di sostegno parentale e
amicale in caso di insorgenza di bisogni legati alla povertà economica.
La condizione di povertà spesso attanaglia le persone in maniera inaspettata, a
volte permane per lunghi periodi di tempo, in altri casi rappresenta una condizione
ricorrente, vale a dire caratterizzata dall’alternarsi di condizioni di disponibilità di risorse
a situazioni di disagio economico. Qualsiasi sia la forma con la quale il soggetto si deve
confrontare, egli si trova quotidianamente a sperimentare gli effetti della deprivazione,
attivando strategie di fronteggiamento volte a contrastare la condizione di disagio esistente
e i potenziali meccanismi degenerativi che ne possono derivare. Gli aspetti conoscitivi
relativi alle specifiche declinazioni di queste strategie e agli atteggiamenti verso il futuro
delle persone intervistate sono presentati nel terzo capitolo del lavoro.
Il report prosegue la sua trattazione nel quarto capitolo con l’illustrazione del ruolo
svolto dalle rete di aiuto formale nel contrasto alla povertà. In altri termini, in questa parte
del lavoro si cerca di osservare come e quando i servizi di aiuto istituzionali intervengono,
qual’è il ruolo percepito dagli intervistati, quali risorse essi ritengono che i servizi
professionali riescono ad attivare e quali invece rimangono inutilizzate o semplicemente
risultano assenti.
Tale lavoro viene compiuto nella convinzione che solo attraverso una
osservazione congiunta del problema da parte dei diversi soggetti coinvolti (cittadini in
condizione di povertà, operatori sociali e rappresentanti istituzionale) possa nascere una
forma di dibattito utile per la costruzione di ipotesi di lavoro in grado di intervenire in
maniera efficace e innovativa nella lotta alla povertà.
Proprio in questa direzione vanno i lavori dell’ultimo capitolo del report nel quale
vengono presentati i principali risultati emersi dal gruppo di lavoro allargato. In esso
6
operatori istituzionali, cittadini interessati dal problema della povertà economica e
ricercatori si sono confrontati su talune criticità legate al fenomeno e sui più diffusi
strumenti di intervento attualmente esistenti all’interno delle politiche di contrasto locali.
Tali materiali, attraverso una attenta rielaborazione collettiva, hanno permesso anche di
giungere alla formulazione di una serie di ipotesi di trasformazione, al fine renderli
maggiormente efficaci.
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CAPITOLO I
I RIFERIMENTI TEORICO-METODOLOGICI DELLA RICERCA
1.1. Le dinamiche di impoverimento: povertà tradizionale e nuovi poveri
La povertà può essere definita come una forma
non accettabile della
disuguaglianza economica. Ponendosi in una concezione relativa del termine – rinviando
cioè alle condizioni materiali di vita dello specifico contesto preso in analisi (sussistenza
sociale1) – la povertà può essere definita come la difficoltà o l’impossibilità, da parte di un
soggetto, di soddisfare in modo adeguato i propri bisogni2.
Seguendo la lezione di Amartya Sen, possiamo aggiungere che la povertà è quella
condizione nella quale il soggetto non è in grado di vivere e condurre la propria vita in
modo adeguato ai bisogni, alla luce delle sue capacità e aspirazioni. In questo senso essa si
manifesta come una rilevante limitazione delle libertà di tradurre le capacità in
funzionamenti.
In altri termini possiamo affermare che la scarsità di risorse determina una
condizione di limitazione delle possibilità del soggetto di tradurre le sue capacità in
possibilità concrete di usufruire delle caratteristiche delle risorse presenti nel contesto in
cui vive e necessarie per condurre lo stile di vita al quale egli attribuisce valore3.
Uno dei fenomeni di particolare interesse, che desta grande preoccupazione negli
ultimi anni, è rappresentato dall’aumento e dalla diversificazione dei fattori di
vulnerabilità4. Tale ampliamento ha condotto all’estensione dei processi di impoverimento
ad una parte di popolazione che, in passato, avremmo potuto definire “quasi povera”.
Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un graduale sprofondamento al di sotto della
soglia di povertà di una cospicua parte di individui che, in passato, pur non potendosi
considerare in condizione di elevato benessere, riusciva a soddisfare le esigenze
fondamentali della propria vita, senza incorrere in particolari situazioni di malessere.
Tale fenomenologia sembra essersi realizzata a causa di una progressiva
assunzione di fluidità dei processi di impoverimento con riferimento ai fattori scatenati e
quindi alla gamma di persone che possono essere potenzialmente soggette al rischio di
scivolamento in condizione di povertà. Questo è valido, sia per quanto riguarda gli aspetti
legati alla condizione soggettiva, sia con riferimento alle dimensioni strutturali del
contesto sociale all’interno del quale la persona si trova a vivere: mercato del lavoro,
situazione abitativa, garanzie di sicurezza sociale e così via.
In altri termini, nell’ultimo periodo si è assistito ad un graduale inasprimento dei
meccanismi di impoverimento e all’aumento delle difficoltà insorgenti all’interno delle
capacità del soggetto nel riuscire ad avere un reddito adeguato, nel poter disporre di una
serie di garanzie pubbliche di assistenza e previdenza e, più in generale, di forme di
sostegno all’inclusione sociale.
1
2
3
4
Cfr. P. Townsend, Poverty in the United Kingdom, Penguin, Harmondsworth, 1979.
Cfr. P. Dovis, C. Saraceno, I nuovi Poveri. Politiche per le disuguaglianze, Codice edizioni, Torino, 2011.
Cfr. A. K. Sen, Commodities and Capabilities, Oxford University Press, Oxford, 1985.
Per un approfondimento cfr. G. Tomei, M. Natilli, Dinamiche di impoverimento, Carocci, Roma, 2011.
8
Cercando di analizzare in termini sociologici quello che sta accadendo, possiamo
affermare che nella società contemporanea sono andati progressivamente erodendosi
aspetti legati alla solidità, definitezza e continuità del percorso di vita.
Come ci ricorda Bauman,5 oggi si assiste al progressivo fenomeno della
polarizzazione della ricchezza e del benessere che, sempre meno spesso, risulta frenato
dalle strutture legali del welfare state e dalle principali agenzie di difesa del lavoro. In
questo senso la disuguaglianza tra continenti, nazioni e in modo più approfondito, quella
interna alle società, raggiunge proporzioni elevate.
Il fenomeno della povertà, da un punto di vista qualitativo, si caratterizza, quindi,
per una elevata eterogeneità dei soggetti che lo compongono. Questo ci porta a dire che,
sempre più spesso, il tipo di formazione, lo status sociale e la tipologia di occupazione
svolte sono meno rilevanti nel preservare dal rischio di scivolare in condizione di povertà
e che l’ipotesi di un crollo imminente non è mai del tutto scongiurato per nessuno6.
Parallelamente alle trasformazioni del mercato del lavoro si registra un progressivo
indebolimento delle reti di sostegno informale basata su una molteplicità di forme di
solidarietà, in grado di permettere l’accesso ad una pluralità di risorse, sia di natura
strumentale, sia di natura affettiva, capaci di sostenere il soggetto nel momento in cui si
trova a sperimentare una condizione di disagio, in una o più sfere della vita. Il riferimento
principale, in questo senso è alle modificazioni intervenute nei legami familiari e amicali,
ma anche alla pluralità di relazioni che si sviluppano all’interno della comunità di
appartenenza.
Davanti al panorama brevemente delineato, progetti e investimenti
tradizionalmente attuati dagli individui per fronteggiare i fattori di vulnerabilità insorgenti
all’interno del loro percorso di vita, sempre più spesso, si rivelano scarsamente efficaci. A
questo occorre aggiungere che non tutte le persone hanno a disposizione lo stesso
ventaglio di opportunità, e possiedono le risorse adeguate, per attuare le trasformazioni e
innovazioni necessarie a preservare la propria condizione di benessere. Da questo deriva
che una parte di esse rimane intrappolata nei gangli della macchina dell’impoverimento
portando a sperimentare, anche in un breve periodo di tempo, condizioni di benessere
molto diverse tra loro, fino allo stato di deprivazione economica.
I meccanismi di impoverimento esercitano una funzione paragonabile a quella di
un catalizzatore dal quale è difficile allontanarsi, portando all’innesco di una serie di
effetti a catena nelle diverse sfere della vita del soggetto, che rendono sempre più difficile,
con il passare del tempo, la possibilità di rilancio del percorso di vita. In questo senso lo
sperimentare la condizione di povero all’interno del proprio percorso di vita comporta il
rischio di rimanere intrappolati nella vischiosità del fenomeno e finire per soccombere ad
esso, anche per lungi periodi di tempo.
Un aspetto esplicativo di questa dinamica è indubbiamente rappresentato, come
vedremo anche nella presentazione dei contenuti emersi dalle interviste, dalle implicazioni
che la condizione di deprivazione economica ingenera in alcune dimensioni non materiali
dell’esistenza, come l’accesso alla formazione e riqualificazione, oppure elementi di
carattere strettamente psicologico, come la perdita di motivazione nella ricerca di percorsi
per ristabilire la propria condizione di benessere, oltre alla più generica perdita di capacità
e desiderio di partecipare alla vita sociale e politica della comunità di appartenenza.
5
6
Cfr. Z. Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999, pp. 61-66.
Cfr. F. Cazzola, A. Cosuccia F. Ruggeri, La sicurezza come sfida sociale, Franco Angeli, Milano, 2004
9
Parallelamente a questa manifestazione del fenomeno (la povertà cronica come
esito dell’invischiamento nei meccanismi di impoverimento), sempre più spesso si registra
la presenza di una nuova insidiosa forma di povertà. Quest’ultima si caratterizza per la sua
intermittenza, manifestandosi in momenti diversi della vita del soggetto7: periodi di
relativo benessere si alternano a momenti caratterizzati da forti difficoltà economiche.
Questo è sempre più vero, non solo con riferimento alle diverse tappe del percorso di vita
del soggetto, ma anche in relazione a intervalli di tempo più limitati come i differenti mesi
all’interno di un anno e rinvia a particolari forme di vulnerazione del soggetto legate al
mercato di lavoro e alle carenze presenti all’interno del sistema di welfare.
Questa seconda forma di povertà sembra caratterizzarsi per una pluralità di
specificità tra le quali il fatto che, per una sua corretta analisi e fronteggiamento, il fuoco
dell’attenzione non deve essere centrato solo sulle criticità presenti nelle fasi di malessere,
ma anche sulle caratteristiche dei periodi di benessere economico. Più precisamente,
occorre comprendere le motivazioni della permanenza dei fattori di vulnerabilità negli
archi temporali caratterizzati dalla presenza di risorse economiche. In questo senso può
essere utile interrogarsi sulle ragioni che fanno sì che la disponibilità di risorse monetarie
non si traduca in margini maggiori di preservazione dal rischio di ricadere in situazioni di
povertà.
Alla luce di quanto detto sembra chiaro che il fenomeno della povertà, oggi come
ieri, continua ad essere un arduo banco di prova per la programmazione e progettazione
delle politiche sociali. Questo è vero, sia con riferimento alla attuale congiuntura
economica, che ha contribuito a rendere più dura la condizione delle fasce
tradizionalmente più esposte al rischio di impoverimento, sia con riferimento alla nascita e
diffusine di nuovi profili di povero fino a qualche tempo fa quasi inesistenti.
Tutto questo apre alla necessità di pensare e ripensare modelli di intervento in
grado di essere maggiormente efficaci in termini di riparazione del danno, ma anche con
riferimento alla capacità di prevenzione del disagio derivante dalla manifestazione della
condizione di carenza di reddito. Davanti a questa situazione la stessa definizione, ormai
ampiamente condivisa, di multidimensionalità della povertà e dell’intervento di contrasto,
frutto di importanti e complesse analisi, sembra necessitare di un incremento di
riflessione. Ad oggi, infatti, esistono povertà esito di una numerosità di fattori e per le
quali occorre quindi un intervento in grado di mobilitare una gamma variegata di risorse
all’interno di un contesto sinergico, ma sono presenti anche situazioni problematiche nelle
quali la povertà si manifesta come frutto di una deficienza all’interno di un ambito
specifico, come la mera carenza di reddito, oppure legate alla condizione abitativa. In
questi casi l’intervento più opportuno è quello tempestivo e mirato al problema specifico,
prima che esso determini una progressiva erosione della condizione di benessere nelle
altre aree di vita del soggetto e si trasformi in un fenomeno multidimensionale più difficile
da risolvere da parte dei sistema di servizi predisposto a tale funzione, oltre che più
dispendioso dal punto di vista economico8.
Dall’osservazione dei vecchi e nuovi profili di povero sembra quindi emergere una
impossibilità di arrivare ad una manifestazione univoca della povertà. L’elemento
7
Cfr. P. Alcock, R. Siza (a cura di), La povertà oscillante, fascicolo monografico in «Sociologia e Politiche sociali»,
Vol. 6, n.2, 2006.
8
A. Brandolini, C. Saraceno, A. Schizzerotto, Dimensioni della disuguaglianza in Italia: povertà, salute, abitazione,
Il Mulino, Bologna, 2009.
10
vincente nell’ambito della pianificazione, programmazione e attuazione delle politiche
sembra quindi risiedere nella presa di coscienza di questo aspetto, interpretandolo, non
come l’impossibilità di costruire interventi efficaci nei confronti di un fenomeno senza
forma e dimensione precisa, ma piuttosto come punto di partenza per la costruzione di una
gamma di politiche in grado di agire su fattori scatenati e manifestazioni diverse tra loro a
seconda della tipologia analizzata.
1.2. La ricerca-azione come strategia di conoscenza e intervento*
Nata negli anni ’40 dalle esperienze di ricerca psico-sociale di Kurt Lewin e
maturata nel clima della sociologia éngagee degli anni ’70 (di cui furono pionieri e
paladini tanto Alain Touraine in Francia che Orlando Fals Borda in America Latina), la
ricerca azione si è presto affermata nel quadro delle nuove tendenze della sociologia
contemporanea9 per la pretesa di costituire non tanto un nuovo settore di specializzazione
della disciplina (né tantomeno una specifica tecnica di investigazione) quanto piuttosto
una diversa concezione di scienza sociale, un paradigma nuovo e profondamente critico
nei confronti della tradizione sociologica, delle procedure convenzionali della conoscenza
scientifica, dell’uso pubblico della ragione applicata, del nesso fra conoscenza e potere e
del ruolo della stessa scienza nella società.
Tale pretesa si fondava per un verso sulla consapevolezza dei fattori di crisi della
razionalità moderna e dall’altro dalla riflessione circa le interdipendenze sistemiche e
strutturali tra sistemi di osservazione e contesti osservati (e quindi tra ricercatori ed attori
sociali) nella produzione, nella comunicazione e nell’uso della conoscenza sociale. E
quindi dell'interdipendenza tra differenti fonti e forme del sapere: saper scientifico, sapere
esperto e sapere comune
Sotto il primo profilo la ricerca azione raccoglie l’insieme delle critiche mosse alla
pretesa della scienza sociale di rappresentare se stessa come una espressione della
razionalità assoluta, svincolata e quindi libera dalle contingenze e dai vincoli del contesto
(sociale e culturale) da cui si esprime e dagli stessi procedimenti (sociali) che la sua
articolazione le impongono. Sull’altro fronte la ricerca azione si propone come ulteriore
sviluppo della sociologia comprendente, spingendo le scienze sociali a sviluppare
un'interpretazione 'relazionale' e riflessiva della socialità, dal momento che la riconosce
intrinsecamente fondata sulla molteplicità e mutevolezza dei punti di vista (dei significati,
delle rappresentazioni e dei valori); per questo motivo la socialità diviene ricostruibile
solamente attraverso un'attenta e metodica analisi filologica delle trame di significato
concretamente agite nei contesti locali dell'azione-e-osservazione e quindi attraverso
l'osservazione e la comprensione della dinamica del cambiamento nel mentre la stessa è in
atto.
Non è tanto una differenza di strumenti e tecniche di analisi dei dati a qualificare e
distinguere la ricerca-azione da altri approcci conoscitivi. Soprattutto, invece, è il modo di
connettere il processo relazionale dell’indagine al contesto e all’oggetto, attraverso
strutture di ricerca dialettiche e circolari, l’utilizzo di metodi e strumenti scientifici di
gestione delle relazioni implicate e la possibilità di operare su interpretazioni provvisorie,
*
9
Il paragrafo è stato curato da Gabriele Tomei e Matteo Villa.
Si vedano anche i lavori di Whyte, negli Stati Uniti.
11
suscettibili di essere via via rimaneggiate. Particolarmente per via di quelli che Lewin
definiva “sperimentazioni in contesti di vita reale”.
Ciò, in particolare, dovrebbe aiutare a «superare la visione meccanicistica legata al
concetto di causalità lineare che sopravvaluta la natura dell’evento fino a negare
l’importanza della situazione» (Amerio, De Piccoli e Miglietta 2000 : 267), considerando
invece la situazione ambientale con un’importanza almeno pari a quella dell’oggetto
(Lewin 1951 : 311). E dovrebbe consentire alla costruzione di strutture partecipative di
indagine, che non hanno lo scopo di confondere o rendere semplicemente o
apparentemente indistinti ruoli e funzioni di ricercatori e attori, ma di mettere in relazione
i processi usualmente separati della determinazione percettiva e concettuale della realtà
(Cfr. Dewey 1938 : 81 sgg), migliorandone la comunicazione reciproca e il reciproco
apprendimento. Permettendo, in particolare, che le domande di tipo teorico si
arricchiscano dall’interazione con processi e obiettivi applicativi.
Il tentativo di Lewin (1951), il primo ad adottare il termine action research10, era
proprio quello di costruire un fecondo rapporto reciproco tra teoria e prassi, essendo «ben
cosciente di stare teorizzando una non abituale “commistione” fra ricerca pura ed
applicazione pratica» (Palmonari 1972 : VIII); e affermando che l’indagine scientifica può
essere messa a disposizione della risoluzione di problemi concreti, rafforzando, attraverso
sperimentazioni rigorose in contesti naturali, «quell’approccio razionale ai problemi
sociali pratici che è una delle esigenze fondamentali per la loro risoluzione» (Lewin 1951:
68)11.
Il potenziale della RA risiederebbe dunque in un tentativo di ripensamento del
metodo scientifico, che prova a ricongiungere nella medesima struttura di indagine
soggetti e oggetti, eventi e situazione, pensiero e azione, determinazione concettuale e
sentita della realtà. Senza con ciò negare la necessità di una distanza critica tra scienza
sociologica e senso comune, facendola piuttosto rientrare nel campo di osservazione
dell’indagine stessa.
In secondo luogo, risiederebbe nella possibilità di interpretare la «vita quotidiana
come base della teoria» (Gouldner 1975 : 45) e quindi di investire nella vita quotidiana in
quanto «fonte e […] regno di quelle esperienze ricorrenti e di quei retroterra che sono il
fondamento della dimensione storica e quindi centrali per la comprensione del sé teorico»
(ibid.). Che vorrebbe dire, rendere l’indagine sociologica uno strumento particolarmente
attento a chiarire i propri stessi presupposti del rapporto tra scienza e società e, di qui, più
efficace nel tentativo di rendere visibile e comprensibile l’invisibile, il non familiare e
l’inaspettato della società (Burawoy 2005 : 812, Gouldner 1975 : 46, Pizzorno 1996 : 131),
a sé e alla società stessa13.
10
Definendola come «un tipo di ricerca d'azione, una ricerca comparata sulle condizioni e gli effetti delle varie forme
di azione sociale che tende a promuovere l'azione sociale stessa». E sottolineando che «se producesse soltanto dei libri,
non sarebbe infatti soddisfacente» (Lewin, 2005 : 323).
11
Cfr. anche Clark (1980), Whyte (1989).
12
Non intendiamo con questo assumere il punto di vista della “organic public sociology” discussa in questa sede da
Burawoy, e quindi l’idea di una relazione organica tra il ricercatore e una qualsiasi istituzione della vita quotidiana.
13
Proprio perché l’oggetto della conoscenza sociologica è diverso da quello di altre scienze, gli uomini «possono
partecipare, fare proprio e condividere lo sviluppo della conoscenza. Essi non solo forniscono i “dati” ma sono loro
stessi interpreti dei propri comportamenti e di quelli degli altri […], hanno le loro teorie sul loro essere collettivo e una
conoscenza sostanziale di questa loro vita», una propria sociologia, «realizzata continuamente nella loro costruzione
vista ma non riconosciuta della vita quotidiana» (Gouldner, 1975 : 47-8).
12
In terzo luogo, risiederebbe nel tentativo di coinvolgere effettivamente nel campo
visivo dell'indagine scientifica tutti quegli aspetti dell’essere umano e dell’essere sociale
che hanno il torto di rendere complicato il processo esplicativo e più incerta la
chiarificazione dei presupposti, osservando, come sosteneva Lewin, fenomeni e processi
individuali e collettivi nella loro totalità.
Il dibattito teorico sulle possibilità e sulle modalità di tale forma della
comprensione ha dunque messo a fuoco il carattere dia-logico del sociale, recuperando
così alla coscienza scientifica (contro ogni realismo ingenuo) la natura comunicativa della
conoscenza e della stessa socialità. In un loro recente saggio di carattere introduttivo,
Peter Reason ed Hilary Bradbury definiscono la ricerca azione “una pratica per uno
sviluppo sistematico del sapere e della conoscenza, ma fondati su una modalità piuttosto
differente da quella della ricerca accademica tradizionale – rispetto alla quale, in alcuni
casi, possono esserci obiettivi diversi, è basata su relazioni diverse ed ha un modo diverso
di concepire la conoscenza e la sua relazione con la pratica”14. Tale differenza si segnala
però non tanto nello statuto epistemologico quanto piuttosto nel suo specifico
orientamento politico. Da questo punto di vista il padre della ricerca azione, il colombiano
Orland Fals Borda, fonda lo statuto epistemologico della ricerca azione in quello specifico
orientamento della disposizione pragmatica verso il mondo che Aristotele definì saggezza
(phronesis)15, ovvero forma di conoscenza speculativa diversa dalla scienza pura
(epistéme) e diretta invece all’agire di tipo deliberativo, con particolare riferimento alla
costruzione (razionale) del bene comune.
Aspetto di fondamentale importanza e che la caratterizza è l'innovatività presente,
sia sul piano epistemologico, sia su quello politico; aspetti, per altro, strettamente legati
tra di loro dal momento che la consapevolezza del modo della conoscenza che ne
caratterizza l'approccio porta a inevitabili conseguenze in termini di ruolo politico della
conoscenza e sul nesso tra conoscenza e potere.
Sul primo punto comunque (l'epistemologia), per esempio, la visione lewiniana del
passaggio da una scienza aristotelica a una galileiana e quindi di una scienza sociale come
studio non delle essenze costanti o prevalenti individuabili negli oggetti (individui) ma dei
meccanismi e delle “leggi” (né di tipo speculativo, né di tipo induttivo, ma come
comprensione dei tipi genetico-condizionali) alla base dei rapporti tra oggetti e contesti
(individuo/situazione). E quindi una scienza che si preoccupa di far emergere le
caratteristiche genotipiche e ambientali e non solo fenotipiche dei sistemi osservati.
Da ciò deriva anche un'idea (oggi poco accettata) ma piuttosto rilevante che lo
studio di caso ha valore scientifico per l'indagine è comunque volta a, e in grado di, far
emergere costruttivamente informazioni sui meccanismi che hanno valore e validità
generale (Cassirer: “da un caso concreto a tutti i casi simili).
Altra questione è il rapporto che hai già sottolineato del rapporto tra soggetto e oggetto e
tra osservatore e osservato. Infine il rapporto tra determinazione sentita e concettuale della
realtà (es. Dewey, Bateson, Feyerabend)
14
P.Reason-H.Bradbury, “Introduction: Inquiry and Participation in Search of a World Worthy of Human
Aspiration”, in P.Reason-H.Bradbury (eds.), Handbook of Action Research. Participative Inquiry and Practice, Sage
Publications, London-Thousand Oaks-New Delhi, 2001, p.1.
15
O. Fals Borda, “Participatory (action) research in social theory”, in P.Reason-H.Bradbury (eds.), Handbook of
action research, cit., 2001, p.32.
13
Parallelamente ad altri percorsi della sociologia post-weberiana, la ricerca azione si
qualifica quindi per la proposta di un nuovo paradigma scientifico di impianto
costruttivista, sensibile alle e quindi sensibile alle dinamiche comunicative della relazione
sociale ma – a differenza degli altri – ad esplicita e strategica vocazione pragmatica, per
non dire esplicitamente politica. E’ nel solco di queste acquisizioni che gli stessi Reason e
Bradbury qualificano la ricerca azione come “un processo partecipativo, democratico che
ha a che fare con lo sviluppo del sapere pratico alla ricerca di fini umani utili, fondati nella
prospettiva partecipativa che crediamo stia emergendo in questo momento storico”16,
sottolineando l’accento sulla partecipazione come fuoco strategico di una radicale
cambiamento di prospettiva di una scienza sociale che voglia realmente porre la questione
del senso e dell’utilità della conoscenza sociale e dell’uso che ricercatori e osservatoriosservanti debbano farne nei contesti locali all’interno dei quali è stata prodotta.
La prospettiva della ricerca-azione risulta perciò a nostro avviso estremamente
utile e adeguata a sostenere una conoscenza critica degli attuali e complessi processi di
impoverimento, data la difficoltà alla decodifica dei meccanismi della loro produzione e
riproduzione, nel caso in cui ci si proponga di effettuare tale operazione senza tenere
conto del contributo informativo ed interpretativo delle loro vittime, data la relativamente
recente consapevolezza circa il ruolo attivo degli attori e dei contesti socio-economici di
appartenenza nel co-determinare tanto le condizioni di rischio quanto le possibilità di farvi
fronte17 , e data la inevitabile necessità di tradurre tali conoscenze in strumenti di
intervento.
1.3. L’intervista narrativa
La realizzazione del percorso di ricerca-azione sui processi di impoverimento
all’interno de territorio della provincia di Massa-Carrara si è avvalsa, proprio per le sue
specificità nelle premesse teoriche e di metodo, di uno strumento non-standard18:
l’intervista narrativa.
Se il termine intervista rinvia all’azione del chiedere delle informazioni a qualche
soggetto intervistato, allo stesso tempo, per realizzare a pieno alcuni elementi costitutivi
dell’indagine, quali il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti fatti partecipi, si è reso
necessario il ricorso a uno strumento in grado di ridurre al minimo l’asimmetria
intrinsecamente presente tra chi formula le richieste (intervistatore/ricercatore) e il
rispondente. Questo si è reso ancora più necessario alla luce della specifica tipologia di
soggetti coinvolti nelle interviste: 17 cittadini che negli ultimi anni si sono rivolti ai
servizi sociali formulando una richiesta di aiuto in merito a aspetti problematici legati al
fenomeno della povertà. Come facilmente intuibile, infatti, in questa tipologia di soggetti
possono facilmente emergere elementi che inibiscono la libera espressione del proprio
punto di vista a causa del fatto di essere inseriti all’interno di un percorso di assistenza
fornito dalle istituzioni legate al committente della ricerca.
16
17
18
P. Reason-H.Bradbury, “Introduction”, cit., 2001, p.1.
Tra i molteplici contributi su questo punto, cfr. Sen (1985), Touraine (2000).
Cfr. A. Marrani, Metodologia delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna, 2007.
14
La scelta di questo tipo di strumento però risponde anche ad un’altra motivazione
di carattere generale connessa alla specifica prospettiva di analisi assunta dai ricercatori.
Uno dei presupposti fondamentali che spingono il ricercatore a interagire con i soggetti
protagonisti dei processi di impoverimento è la possibilità di attingere elementi di
conoscenza dalla loro esperienza e testimonianza che, in taluni casi, possano essere anche
inaspettati o non adeguatamente valutati nell’interpretazione del fenomeno fino a quel
momento19. Per muoversi in questa direzione, oltre all’abbattimento delle asimmetrie
relazionali, diventa fondamentale che l’intervistatore non intervenga in maniera rilevante
nella definizione delle alternative di risposta agli interrogativi sui quali intende riflettere,
fare questo, infatti, equivarrebbe all’individuazione di un limite a priori nella possibilità di
espressione dell’intervistato. A titolo esemplificativo si ricorda quanto succede all’interno
del questionario strutturato, dove la persona intervistata nel formulare la propria risposta si
trova a dover scegliere tra una gamma di modalità già precostituite e considerate
significative dal ricercatore che ha definito lo strumento di rilevazione.
In termini ancora più generali, occorre sottolineare che nella ricerca-azione, i cui
risultati vengono presentati nelle pagine successive, la raccolta dei dati non è un processo
che può essere considerato separatamente dall’analisi dei dati stessi; al contrario, la forza
dei risultati della ricerca stessa risiede nella capacità di saper integrare la domanda di
ricerca con la successiva fase di analisi.
In definitiva, l’intervista narrativa rappresenta un dispositivo di indagine che
consente si superare molte resistenze dell’intervistato, permette un modo di accesso
efficace alle esperienze soggettive di un fenomeno sperimentato in maniera diretta,
favorisce l’esternazione delle opinioni personali sulla specifica questione oggetto di
ricerca. Essa, inoltre, permette di effettuare una lettura dei fenomeni dotata di profondità
temporale e, quindi, di esplicitare il divenire processuale del fenomeno stesso, riducendo i
rischi di semplificazione e opacizzazione provocati dalla standardizzazione20.
Parte del pregio di una indagine qualitativa, come quella qui presentata, risiede nel
buon livello di astrazione raggiunto dalla presentazione degli esiti conoscitivi. Per questa
ragione si procede all’esplorazione attiva dei dati attraverso l’utilizzo delle competenze
del ricercatore e della sua intuizione nei confronti delle idee emergenti dalla fase di
rilevazione delle informazioni (interviste). Tale operazione è stata compiuta mediante
classificazione, codifica, selezione e ricerca dei “sotto temi” estrapolabili dall’oggetto
d’indagine.
In questa direzione la categorizzazione è il primo passo che porta verso
l’astrazione dalla quale emergono i risultati ultimi della ricerca, frutto dell’esplorazione
delle categorie stesse.
Per questa ragione la parte del report dedicata alla presentazione dei contenuti
delle interviste si conclude proprio con l’individuazione di alcuni profili di povertà
riscontrate sul territorio, che si differenziano a seconda degli elementi del profilo degli
intervistati. E’ importante specificare che tale operazione rappresenta un traguardo solo
temporaneo della ricerca, in quanto si propone di essere al tempo stesso un momento di
arrivo e di partenza verso una seconda fase di analisi. Bisogna inoltre sempre ricordare
che le categorie non possono in nessuna maniera essere confuse con i concetti ma, al
tempo stesso, esse rappresentano strumenti fondamentali per passare dalla descrizione
19
20
L. Richards, J. M. Morse, Fare ricerca qualitativa, Franco Angeli, Milano, 2009.
Cfr. R. Bichi, L’intervista biografica. Una proposta metodologica, Vita e Pensiero, Milano, 2002.
15
all’analisi del problema. In questo senso i contenuti emersi saranno oggetto di riflessione
da parte del gruppo di pilotaggio e degli intervistati stessi nelle fasi successive
dell’indagine e, per tale ragione, devono essere considerati come aperti a nuove
integrazioni e rivisitazioni.
Solo una volta conclusa anche questa seconda fase della ricerca sarà possibile
giungere ai contenuti conoscitivi che sottostanno ai dati e alle categorie da essi costruite.
1.4. Il disegno della ricerca
Lo studio delle nuove dinamiche di impoverimento, dei meccanismi di
accentuazione collegati alla congiuntura economica la comprensione delle strategie di
fronteggiamento attuate sono state realizzate attraverso l’individuazione di una serie di
tappe di lavoro.
Come già ricordato, da un punto di vista metodologico, l'indagine è proposta come
studio dei mutamenti che interessano il campo di forze (Lewin, 1951) degli attori
individuati nel corso della loro traiettoria di vita con particolare attenzione allo sviluppo
dei fattori di rischio, dei conseguenti mutamenti di traiettoria e dei molteplici effetti
individuali, di contesto e sistemici in relazione ai processi di impoverimento.
L'approccio utilizzato è di tipo sperimentale, volto a produrre un'elaborazione
individuale, collettiva e negoziata (riflessiva) tra attori diversi (individui coinvolti nei
processi di impoverimento, operatori dei servizi, referenti delle politiche locali) intorno
agli scopi sopra individuati, e volto ad includere nell'analisi il più ampio numero e la più
ampia tipologia di fattori intervenenti.
Il percorso di ricerca è strutturato in tre fasi.
Una prima fase è stata dedicata alla negoziazione con il committente circa la
definizione del contesto di indagine e delle poste in gioco: quale e quanta parte delle
politiche provinciali e locali vengono messe in discussione attraverso la ricerca e quindi si
rendono disponibili al confronto per una loro eventuale trasformazione in base agli esiti
della ricerca;
Successivamente si è proceduto con l’individuazione di un gruppo di pilotaggio
composto da referenti istituzionali, assistenti sociali e ricercatori interessati a sviluppare
una riflessione condivisa con altri soggetti coinvolti (cittadini intervistati) in merito ai
meccanismi e ai processi di impoverimento. Al gruppo sono state assegnate tre funzioni
fondamentali: monitoraggio dell’andamento della ricerca, discussione dei risultati
intermedi e definizione delle modalità di organizzazione e gestione del progetto
sperimentale.
In una fase successiva si è proceduto all’individuazione del gruppo target
composto da 17 cittadini residenti nella provincia di Massa-Carrara che nell’ultimo anno
si sono rivolti ai servizi sociali territoriali formulando una richiesta di aiuto collegata alla
presenza di una situazione di povertà individuale e/o del gruppo familiare di appartenenza.
La parte della ricerca diretta a raccogliere sul campo le informazioni relative alle
dinamiche di impoverimento è organizzata in due fasi:
16
- la prima, realizzata mediante l’utilizzo di interviste in profondità è diretta alla
realizzazione di 17 interviste a cittadini-utenti che si sono rivolti ai servizi sopra indicati,
con una specifica attenzione a comprendere nel collettivo di analisi anche cittadini
richiedenti non risultati beneficiari in quanto immediatamente sopra soglia rispetto agli
standard di ammissibilità previsti.
Il campione è stato così costituito:
Area di
riferimento
Massa
Carrara
Montignoso
Società della
Salute Lunigiana
Totale
Numero persone intervistate
6
4
2
5
17
- La seconda, relativa alla costruzione e attivazione del gruppo di ricerca,
prevede invece l’ulteriore selezione tra gli intervistati di un sotto-gruppo di 8-10 cittadiniutenti disponibili a partecipare a sessioni di focus group necessari alla modellizzazione dei
processi di impoverimento osservati. Terminata questa fase, il gruppo collaborerà con i
ricercatori alla formulazione di proposte operative al committente in direzione della
programmazione e realizzazione del progetto sperimentale.
Il presente report di ricerca rappresenta uno strumento di presentazione dei
risultato emersi dal lavoro condotto nella prima delle due fasi sopra brevemente riassunte.
Oltre all’attività di ricerca attraverso l’utilizzo di gruppi omogenei (solo cittadiniutenti), i lavori vengono ulteriormente arricchiti attraverso la realizzazione di gruppi misti
previsti in fase di restituzione dei risultati emersi dall’indagine. La presentazione dei
contenuti, infatti, avviene mediante la realizzazione di incontri nei quali si confrontano e
riflettono insieme gli esponenti del gruppo di pilotaggio (considerati testimoni privilegiati)
e i cittadini sopra individuati. Questo stesso rapporto di ricerca si propone quindi di andare
oltre la mera funzione di esposizione e sintesi dei risultati conoscitivi, ma di costituire
strumento per la produzione degli stessi.
Tale scelta risponde alla volontà di fare in modo che anche la fase di restituzione
degli elementi di analisi raccolti costituisca un ulteriore momento di conoscenza, in vista
della redazione del report definitivo e della individuazione delle ipotesi di trasformazione
nell’ambito delle politiche e dei servizi.
Tab. 1. Le tappe del disegno della ricerca
Fasi della
ricer
Attività
ca
- Negoziazione con il committente del
contesto
Prima fase
di indagine e delle poste in gioco.
Definizione della parte di politiche
provinciali e locali da
17
Strumenti di ricerca adottati
- riunioni organizzative e
di coordinamento delle attività della
ricerca.
- riunioni per la definizione delle
poste in gioco
sottoporre al confronto e alla eventuale
trasformazione
in base agli esiti della ricerca
Seconda fase
- Individuazione di un gruppo di pilotaggio
(referenti istituzionali, assistenti sociali e
ricercatori).
In gruppo ha funzioni di: monitoraggio,
discussione dei risultati intermedi, lavoro
all’interno del gruppo allargato operante
nella terza fase della ricerca
- realizzazione delle interviste narrative
- riunioni di lavoro del gruppo di
pilotaggio per la condivisione
dell’oggetto di ricerca e
l’individuazione del campione di
cittadini da intervistare.
- mappa semantica e intervista
narrativa
Primo report di ricerca di presentazione dei materiali raccolti dalle interviste
e strumento di lavoro per la terza fase della ricerca
- focus grups composti da 8-10
- Attività di modellizzazione dei processi di
cittadini precedentemente
impoverimento e analisi delle criticità
intervistati, 2 rappresentanti del
Terza fase
nell’ambito delle politiche e dei servizi
gruppo di pilotaggio e 2 ricercatori
finalizzati al contrasto della povertà
con funzioni di mediatore e
osservatore
Rapporto di ricerca finale contenente proposte operative per il miglioramento dell'efficacia degli
interventi di contrasto alla povertà
18
CAPITOLO II
GLI AMBITI DI AZIONE DEI MECCANISMI DI IMPOVERIEMNTO:
I CONTENUTI EMERSI DALLE INTERVISTE
2.1. Il mercato del lavoro e la ricerca dell’occupazione
Come ampiamente riconosciuto in letteratura21, la condizione occupazionale
costituisce uno dei fattori maggiormente rilevanti nella definizione dei livelli di
benessere/malessere dell’individuo, con riferimento alla sua condizione materiale e
psicologica.
Non è un caso che le problematiche relative al lavoro costituiscano una delle
tematiche maggiormente affrontate da parte degli intervistati. L’occupazione è infatti
considerata uno degli elementi fondamentali nella valutazione dei livelli di benessere della
vita, senza particolari distinzioni di genere e fascia di età analizzata. Molto alta sembra la
consapevolezza che il benessere derivante dall’avere un’occupazione sia in grado di
travalicare la semplice disponibilità di risorse materiali, riversando i sui effetti nella
costruzione del senso di sé e sulla possibilità di sviluppare una vita relazionale
soddisfacente.
Essere occupati permette infatti di preservare un’opinione di sé, con sé stessi e con
gli altri, tale da sentirsi adeguati al contesto sociale nel quale si vive.
Emblematica è la situazione di disagio sociale manifestata da Francesco, uomo di
54 anni con alle spalle un lungo periodo di disoccupazione in seguito all’insorgenza di
gravi problemi di salute, oggi superati. La sensazione di emarginazione sociale percepita
sembra pesare almeno nella stessa misura della condizione di deprivazione economica.
Io non ne posso più di passare tutte le mie giornate ai giardinetti.
Un po’ lo sopporti e magari ti fa anche comodo. Io in tanti anni le ferie
quasi non le ho fatte. Ma poi inizi a sentirti un parassita, un buono a nulla e
senza nulla nelle tasche. Ti senti emarginato e pensi che anche gli altri ti
vedono come tale….ad esempio le persone che passano tutte le mattine di
qui e mi trovano nella stessa zona come un vagabondo. Finisci per
deprimerti veramente. (Francesco, 54 anni)
La condizione di malessere psicologico legati all’inattività forzata sembra
manifestare i suoi effetti anche in relazione alla capacità di esternare la propria condizione
di sofferenza nelle sedi istituzionali contattate, nella ricerca di ipotesi di soluzione. Si
ricorda a questo proposito il caso di Giovanni che giunge a contattare le istituzioni
comunali senza poi riuscire a presentarsi all’appuntamento concordato perché in preda
allo sconforto e al senso di impotenza.
Io ho preso anche un appuntamento con il sindaco per parlare della mia
situazione, ma anche, più in generale, di quello che sta succedendo a tutta la
21
Cfr. G. Rovati, (a cura di), Povertà e lavoro, Carocci, Roma, 2007.
19
gente come me, che siamo in tanti, ma poi non ci sono andato perchè non mi
sentivo bene a parlarne, ero in crisi. Pensavo che tanto non sarebbe servito
a niente e che ero troppo disperato. (Giovanni, 42 anni)
Più in generale, gli effetti psicologici della condizione di disoccupazione portano
le persone a vedere il quadro lavorativo che gli si prospetta davanti come fosco e
difficilmente risolvibile.
Anche fuori da Aulla non c'è proprio niente. E' dura anche tenere il
lavoro per chi ce lo ha ancora. Le fabbriche chiudono tutti i giorni e la
gente è nelle strade. Il lavoro impiegatizio è quasi estinto. La situazione è
tragica. Poi magari è la mia situazione interna che mi porta a vedere tutto
nero, magari è un aspetto personale, però mi sembra che ascoltando la
gente che passa qui dai bar dove trascorro le giornate non è che la musica
cambi molto. La mia poi è una situazione più grave, ma in questo contesto è
veramente un problema riuscire a rialzare la testa. (Paolo, 48 anni)
La perdita del lavoro può avvenire per una pluralità di motivi che possiamo
distinguere in due macro-aggregati: da una parte troviamo le interruzioni per cause di
forza maggiore legate a fattori i tipo soggettivo, come ad esempio l’insorgenza di
problemi di salute gravi, il fatto di essere stato coinvolto in questioni giudiziarie e così
via; dall’altro, il licenziamento o il fallimento di un’attività di impresa a causa della
diminuzione dell’offerta di lavoro.
In entrambi i casi, per molte delle persone intervistate, la perdita del lavoro si è
manifestata come un fulmine a cielo sereno lasciandole sbalordite e disorientate per le
condizioni di vita nelle quali si sono repentinamente trovate. Lo smarrimento è la
situazione che più di altre connota lo stato d’animo di chi si affaccia per la prima volta al
fenomeno della povertà; la depressione, frutto della sofferenza psicologica legata al
brusco cambiamento di vita, rappresenta uno spettro incombente.
A questo proposito un esempio è costituito dalla testimonianza di un giovane
imprenditore operante nel settore nautico che non aveva mai sperimentato situazioni di
sofferenza economica prima del 2008, avendo, al contrario, un tenore di vita agiato. Nella
sua storia l’insorgenza rapida e violenta della condizione di deprivazione economica si
associa allo stupore e al malessere psicologico.
Sono ritornato in Italia dalla Germania nel 2001. Le cose andavano
piuttosto bene, non mi potevo lamentare. Venni in Italia perchè avevo la
ditta su in Germania e mi faceva piacere tornare...poi qui c’era anche mio
fratello che mi poteva dare una mano. Dopo poco le commesse hanno
iniziato a scarseggiare. Con la chiusura siamo finiti nelle peste tutti e due.
Tutto è successo così, quasi all’improvviso e come un lampo. Davvero in
pochissimi mesi. Perché i costi fissi ci sono e sono alti. Un anno e mezzo fa
avevo una ditta individuale nel settore nautico...avevo i miei operai e
andava tutto abbastanza bene. Poi c'è stata questa crisi venuta tutta in un
colpo. Ho dovuto chiudere la ditta e con i pochi soldi che avevo ho pagato
gli operai e ho cercato di non lasciare debiti in giro. Ma mi ci sono voluti
tutti. Sono rimasto senza niente. Io non avrei mai pensato di trovarmi in
questa condizione qui. Ora inizio a orientarmi ma, ti giuro, ho fatto fatica a
20
capire che non si trattava di un brutto sogno. Sono rimasto quasi come
inebetito. Poi sono riuscito ad andare avanti ancora per due-tre mesi
convinto di riuscire a trovare un altro lavoro, qualsiasi esso fosse, per poter
prendere uno stipendio. Speravo come dipendete perchè come artigiano non
si trova proprio più niente.
Dopo questo periodo ho toccato il fondo perchè il lavoro non lo ho
trovato. I miei risparmi erano finiti, dovevo pagare l'affitto e non sapevo
dove trovare i soldi tanto è vero che ho avuto lo sfratto. Non sapevo dove
andare a rivolgermi. Se non bastasse, in più, avevo la moglie malata, che
non ha retto molto a questi stress così brutali. E anche io non reggevo tanto
bene. (Luca, 41 anni)
All’interno di un numero elevato di narrazioni si rileva il fatto che le persone
provengono da una carriera lavorativa, a volte anche piuttosto lunga e solida, presso una
stessa realtà nella quale hanno sviluppato competenze ed esperienze. In questo senso la
condizione di disoccupato sembra interessare non solo coloro che si affacciano per la
prima volta nel mercato del lavoro, oppure persone che hanno nel proprio curriculum
lavorativo una pluralità di esperienze dequalificate e frammentate, ma anche coloro che
hanno una professionalità già acquisita.
Io sono un capo cantiere. Ho iniziato come operaio quando ero
giovanissimo e dopo una decina di anni ho preso questo ruolo di
responsabilità. Si da il caso che sia anche uno di quelli molto competenti, ho
lavorato con ingegneri che avevano bisogno della mia esperienza lavorativa
ed ho insegnato il mestiere veramente a tanta gente. Dico questo perché le
persone me lo riconoscono e mi fa piacere. Io avevo veramente un bello
stipendio. Ho lavorato 25 anni per una ditta e poi altri 13 per quest’ultima
che poi era sorella della precedente. Quindi nessuno si è mai lamentato di
me, anzi. Poi sono diminuite le commesse. Prima sono dovuti andare a casa
alcuni miei uomini e poi alla fine è toccato a me. Ed io adesso sono a pochi
anni dalla pensione e nessuno mi riassume, e poi ad ogni modo non c’è tanto
lavoro in giro. (Michele, 59 anni)
Francamente io inizierei a parlare dicendo che io ho sempre
lavorato. Poi mi è successo il problema di salute che mi ha fatto stare a casa
dal lavoro per troppo tempo e adesso è un problema. Ma io nella mia vita ho
lavorato sempre, sempre. Per la ricerca del lavoro la difficoltà principale è
l'età. Tutti vogliono apprendisti. Io ho 50 anni e pur avendo molte
esperienze in più campi...tutti mi parlano della crisi e che non possono
pagare troppo quindi vogliono un apprendista che lo possano pagare meno.
(Eugenia, 50 anni)
Come già anticipato, anche negli ultimi due estratti delle interviste, il fatto di avere
competenze maturate sul campo e buone referenze di qualifica del percorso lavorativo
sembrano non costituire aspetti tali da rendere queste figure di disoccupati favoriti nel
reclutamento di nuovi lavori. Uno dei parametri maggiormente rilevanti, invece, è
costituito dalla giovane età. Questa infatti, insieme alla possibilità di inquadrare i neo
lavoratori nel profilo professionale di apprendista, si configura come la soluzione più
conveniente da parte dei potenziali datori di lavoro.
21
Sopratutto quelli come me iniziano a sentire questo ingranaggio
della disoccupazione perchè ormai è difficilissimo inserirsi in una realtà per
la prima volta se sei italiano e non sei più giovanissimo. Anche nei cantieri
edili sono tutti stranieri e/o apprendisti. Io ho un mucchio di amici che
lavorano o lavoravano in questo settore, magari intorno ai 40 anni, e quindi
con un bel po' di esperienza sulle spalle. Anche loro sono stati mandati a
casa con una scusa o un'altra e sono stati assunti dei ragazzi giovani. I
giovani li inquadrano come apprendisti, oppure prendono stranieri al loro
posto che lavorano in nero, molto sottopagati e permettono di avere delle
riduzioni nel pagamento dei contributi. Il fatto è che costano meno, molto
meno, sia assicurati sia, figuriamoci, in nero. E' un bel problema questo qui.
Il lavoro in questi settori per gli italiani adulti non c'è più, punto e basta,
quando finisci il periodo da apprendista ti mandano a casa e ne prendono
un altro. Ma molti uomini adulti come me hanno la qualifica per lavorare in
questi settori e basta. E se perdi il lavoro a 40 anni e hai sempre fatto
questo, con una famiglia, con figli piccoli alle spalle, che cosa fai? Che cosa
vai a fare? Continui a cercare lavoro in quel settore e non lo trovi, oppure
vai a fare lavoretti in nero dove ti capita, ma non ci mangi mica! (Giovanni,
42 anni)
Se tu cadi in povertà sei invisibile. Il lavoro non c’è, e se esci dal tuo
posto di lavoro che hai per qualche miracolo, non rientri più! Ma più! Hai
voglia di avere esperienza, voglia di lavorare e tutto quello che vuoi, quando
sei fuori sei fuori. Per le persone come me è un casino grosso, perchè
giovane non sono più, ma sono anche lontano dalla pensione, e se non
lavoro? La pensione di invalidità o altro me la posso scordare, ma a
lavorare non mi prendono perchè sono invalido. E’ un vicolo cieco. Non
saprei... (Alberto, 52)
Il periodo di crisi economica avviatosi a partire del 2008 ha indebolito fortemente
una pluralità di profili professionali. Se da un lato l’aumento del costo della vita ha
intaccato il potere d’acquisto dei percettori di reddito fisso, dall’altro ha dato origine ad
una forte contrazione dell’offerta di lavoro creando, come visto nelle narrazioni
precedenti, forme di disoccupazione anche in soggetti che fino ad oggi non avevano mai
avuto problemi nel trovare un lavoro. La contrazione dell’occupazione legata alla
diminuzione di lavoro in alcuni casi non è stata sufficiente a salvare la stabilità di alcune
realtà lavorative. Ad aver risentito fortemente del periodo di crisi sembrano essere
soprattutto le piccole imprese operanti nell’edilizia, nella cantieristica e nella lavorazione
del marmo, in passato ampiamente diffuse sul territorio. La chiusure dell’impresa, per
alcuni degli intervistati, ha rappresentato il tracollo finanziario, soprattutto in quelle
situazioni in cui l’imprenditore ha provato a far sopravvivere la realtà produttiva per il
maggior tempo possibile, in attesa di una ripresa all’interno del settore.
Prima del 2008 io avevo un'impresa edile mia con 5-6
dipendenti.....e adesso devo andare a cercare il ferro in giro per portare
qualche cosina a casa, altrimenti neanche gli alimenti riesco a portare a
casa da mangiare ai miei figli. Dal 2008 a oggi io non riesco ad andare
aventi. Lavoro non c'è nell'edilizia. C'è tanta concorrenza spietata di rumeni
22
e albanesi. Le istituzioni non fanno controlli a queste persone e ditte qui
perché vivono nel lavoro in nero e loro si possono permettere di fare dei
prezzi stracciatissimi che battono tutti gli altri. Loro fanno i prezzi e
preventivi bassissimi che non si capisce come fanno a pagare i materiali,
contributi e operai. Prima del 2008 io ho dovuto vendere la macchina per
pagare le buste paga dei miei operai. E ho visto che da li cominciava il
casino. Lavoro da dipendente anche non si trova. (Marco, 36 anni)
Quando il settore andava, chi aveva una ditta come me qualche cosa
riusciva a fare e alla fine ce la si faceva a scamparla, ma per il lavoro
dipendente era già un problema da qualche anno. Si immagini oggi con la
crisi che c'è. Non ci sono commesse, non ci sono lavori e si chiude e si
licenzia. Io ho venduto tutto quello che avevo per provare a portare avanti
la ditta pagando gli stipendi, nella speranza che il periodo passasse e si
ritrovasse lavoro. Ma l'onda è lunga da passare e dopo un po' si affoga.
Cercano persone dequalificate da pagare poco e da prendere per brevi
periodi. (Giovanni, 42 anni)
Il lavoro rappresenta una delle fondamentali criticità anche all’interno delle
biografie degli intervistati più giovani. Dalle loro storie quello che si deduce è una forte
sofferenza legata alla elevata flessibilità del lavoro che, spesso, si traduce in precarietà
dell’occupazione. Tale condizione ostacola il soggetto nella costruzione di un profilo
lavorativo qualificato e nell’acquisizione di conoscenze adeguate a permettere un
progressivo incremento nella possibilità di aspirare a figure occupazionali che richiedono
una maggiore competenza maturata sul posto di lavoro.
Oltre alla precarietà e alla bassa qualifica delle occupazioni disponibili - che
portano il soggetto a alternare periodi di occupazione a altri di inattività, nell’ambito di
mansioni spesso inferiori alla formazione posseduta - alcuni giovani si scontrano anche
con il problema del lavoro sottopagato. Tipici esempi sono rappresentati da esperienze
come l’assunzione in regime di apprendistato o la prestazione d’opera tramite agenzie di
lavoro interinali. Nel primo caso la forma contrattuale di fatto serve a coprire un contratto
di lavoro professionale già esperto e interessa individui con competenze sviluppate in
precedenza, nel secondo caso, invece, si tratta di lavori saltuari che, in alcuni casi,
vincolano l’interessato a rimanere a disposizione della società per archi di tempo anche
lunghi, senza garanzia di essere chiamati a lavorare e senza indennizzo dei tempi di attesa
improduttivi.
Io ormai per professione faccio la cercatrice di lavoro per me
stessa, ovviamente senza trovare mai assolutamente niente o quasi. Il
problema è questo: nella maggior parte dei casi richiedono una persona
giovane, con esperienza, da assumere come apprendista. Una
contraddizione in termini no? Se sono giovane non ho esperienza, se ho
esperienza non sono apprendista! Alla fine mi rifiutano da tutte le parti.
Alcune volte ho trovato qualche cosa come barista o addetta alle pulizie
nelle cucine, ma si tratta di lavori stagionali. Il diploma di maturità
ovviamente è come non averlo, ormai non vale più niente. Vivo con lavoretti
così. Ma dove vado in questa situazione? Proprio non saprei, è anche
degradante a lungo andare…io ad esempio negli ultimi tempi inizio ad
accusare. Adesso spero nell’ottenimento della laurea [gli mancano pochi
23
esami al conseguimento del titolo], ho già iniziato a studiare per i futuri
concorsi. Speriamo ce ne siano. Le spese della casa sono tante e io sono
orfana di tutti e due i genitori e non ho più neanche i nonni. Me la dovrei
cavare da me. Infatti sono dal servizio sociale perché è impossibile. (Alice,
31 anni)
Io ho lavorato anche con le agenzie interinali ma si tratta di lavori
brevissimi, per esempio ti fanno lavorare una settimana e poi basta. Magari
ti richiamano dopo due mesi e ti fanno fare 15 giorni e poi basta. E poi si
guadagna pochissimo. Se lo dico non ci si crede nemmeno. Io sono arrivata
a prendere 30 euro in tutto per lavorare 6 ore al giorno per una settimana.
Le alternative sono due: non ti chiamano, oppure se ti chiamano sono
lavori così, durano poco e sono molto sottopagati.
Un’agenzia mi faceva fare diversi lavori, addetta alla mensa, servizi
di pulizia nelle banche ecc.. Ma i prezzi erano molto, molto ridotti. Sarà la
nostra città, sarà perchè ormai è così, i prezzi sono veramente ridicoli e il
costo della vita è aumentato in modo esponenziale. I lavori interinali poi
sono terribili. E' buono perchè sono loro ad inserirti, ma la durata è
brevissima. Una volta mi hanno chiamato per un giorno soltanto per fare 5
ore di sera e mi hanno dato pochissimo e poi non mi hanno più chiamato.
(Francesca, 32 anni)
Io ho cercato lavoro in tutti i modi, anche con le agenzie di lavoro
interinale, ma lì è davvero l’ultima spiaggia. Ti fanno lavorare pochissimo e
sempre su chiamata. Questo non è un bene….si dice la flessibilità. Lavorare
su chiamata significa che tu devi rimanere a disposizione delle loro
richieste, perché se una volta ti chiamano e tu per qualche motivo non puoi,
non ti chiamano più. Ora loro in realtà ti chiamano poco e ti pagano
pochissimo e per stare dietro alle loro esigenze finisce che perdi anche altre
piccole occasioni di fare lavoretti, magari in nero, che sono sempre pagati
poco, ma almeno un po’ di più. Alla fine vado avanti così, ma anche questa
non è una soluzione. (Giovanna, 33 anni)
La precarietà nel lavoro nella fascia giovanile si ripercuote anche nella sfera della
progettualità nel proprio percorso di vita, trattenendo la persona per lungo periodo
all’interno di una sorta di limbo che si caratterizza per la scarsezza di risorse materiali, in
alcuni casi anche molto gravi, sopratutto per coloro che non possono usufruire di aiuti da
parte della rete di relazioni informali.
Questa condizione lavorativa qui di incertezza è un vero problema
anche perché tu non puoi pianificare nulla. Ti tolgono anche i sogni. Io non
ho un lavoro, il mio compagno lavora quando si e quando no. Dove
andiamo? Che cosa progettiamo insieme? Si vive alla giornata sperando che
le cose cambino e intanto passiamo i nostri anni a pensare a come pagare
l’affitto a fine mese per evitare che ci buttino in mezzo ad una strada. In
casa persone che ci possono aiutare non ce ne sono. Quando ce la fanno ci
aiutano con la spesa, è già tanto perché molte volte anche quella è un
problema serio. (Giovanna, 33 anni)
24
Oltre alle storie di disoccupazione intervenuta negli ultimi anni, in seguito alla
contrazione dei posti di lavoro, c’è anche la povertà di coloro che hanno alle spalle una
storia di vita piena di vicissitudini complesse nelle quali più forme di disagio e
vulnerabilità si sono sommate. Un esempio è rappresentato dalla storia di un signore
ormai prossimo al pensionamento che ha avuto una vita familiare turbolenta, problemi con
la giustizia e ha svolto lavori scarsamente qualificati, spesso non regolari.
Afferma di aver provato più volte a cambiare il proprio destino cercando di
lasciarsi alle spalle gli errori commessi, ma di non esserci riuscito per vincoli estranei alla
sua volontà.
Io ho sbagliato ma ho pagato. Ho fatto male i calcoli e mi hanno
rimandato in Italia (viveva in Olanda). Questo è il minimo dei problemi. Io
sono contento di aver pagato i conti che dovevo, ma da allora ho messo la
testa apposto e ho voluto avere una vita normale e onesta. Il problema è che
questo non ti è permesso. Tra un anno dovrei andare in pensione. Sono alle
prese per mettere insieme i contributi che ho maturato in Italia e all’estero.
In caso che non bastino mi tocca la minima: 450 euro e dove vado? Io ho
pagato nella vita e sono cambiato da così a così, masticando i problemi tutti
i santi giorni. Ho cercato lavoro in tutti i modi per garantirmi una vita
tranquilla. Vedendo che facevo questo pensavo di essere veramente forte,
ma questo è quello che la società mi da come ricompensa. Non riesco a
trovare uno straccio di lavoro, neanche a morire. Adesso vivo con piccoli
lavoretti quando mi capitano: taglio la legna, giardinaggio ecc. Io sarei
utile a tutto, a fare qualsiasi cosa pur di portare a casa qualche soldo. Io
vorrei sudarmi la mia pagnotta. Quando vado in giro, anche ai servizi
sociali non chiedo soldi, ma lavoro. (Maurizio, 64 anni)
La permanenza della indisponibilità di risorse economiche per lungo tempo
comporta anche una progressiva diminuzione degli strumenti necessari a potersi
nuovamente riproporre nel mercato del lavoro. La perdita della possibilità di avere un
mezzo di trasporto proprio, un abbigliamento adeguato o l’accesso ad un collegamento
internet ne rappresentano degli esempi concreti. In questo senso la perdita del lavoro si
ripercuote negativamente nella capacità di avere a disposizione risorse strumentali per
poter esercitare nuovamente la professione nel caso fortunato in cui se ne presenti
l’occasione.
In questo settore [la telefonia] avevo lavorato per alcuni anni, ma
anche qui non avendo i soldi per mettere la benzina nel motorino, è
diventato un problema. Si è trattato di una cosa di pochi giorni. Mica mi
potevano anticipare lo stipendio! E poi come andavo a lavorare dopo aver
dormito per strada o quasi!? Alla fine era un problema anche ricevere le
comunicazioni o farle…mica ho il computer o la mail. In questa situazione
non posso fare contratti, non posso fare niente, sono sprofondato troppo giù
sotto tutti i punti di vista. (Paolo, 48 anni)
Io ho portato un bel po’ di curriculum in giro. Ovviamente nei posti
in cui potevo andare muovendomi a piedi o quasi. Se inizi a prendere il
treno e gli autobus tutti i giorni diventa una spesa. Il fatto è che da quando
non ho più la macchina, nella scelta dei posti in cui andare a chiedere
25
lavoro devo stare attenta, perché è inutile andare dove poi occorre la
macchina tutti i giorni per recarcisi, oppure 3 ore a piedi. Io con uno, due
stipendi mi sistemerei con i trasporti, ma non è una bella presentazione per
il datore di lavoro spiegargli com’è la mia situazione. E poi ci sono tante
persone che il mezzo ce lo hanno subito. (Francesca, 32 anni)
2.2. Il costo della vita e l’inadeguatezza del reddito
Tra le dinamiche alla base dell’impoverimento delle persone intervistate, non
riconducibili a responsabilità personali oppure del gruppo familiare, devono essere inclusi
anche l’insieme di meccanismi che sottostanno al fenomeno dell’indebitamento. Tale
situazione, nei soggetti intervistati, non sembra legata al fatto di seguire modelli di
consumo non corrispondenti al livello di reddito disponibile, ma viene connessa alla
difficoltà di fuoriuscire dalla povertà, anche nel caso in cui la condizione economica
subisca un miglioramento, come ad esempio nelle situazioni in cui un membro della
famiglia riesca a trovare un’occupazione.
Di seguito si riportano alcuni brevi estratti dai quali emergono con chiarezza le
difficoltà legate alla possibilità di “rimettere in pari i conti” disponendo di uno stipendio
adeguato, ma ereditando molti debiti dal precedente periodo di sofferenza economica. I
pagamenti dei canoni di locazione arretrata, così come altre forme di finanziamento
stipulate per far carico alle esigenze elementari del nucleo familiare, finiscono per
assorbire buona parte delle risorse disponibili e non permettono di smarcarsi in maniera
netta dalla condizione di povertà.
La vulnerabilità dei soggetti che trovano un’occupazione, inoltre, nella maggior
parte dei casi, non viene debellata, in quanto la possibilità di disporre di un’entrata
finanziaria costante e adeguata ai bisogni, frequentemente, ha una durata limitata. Nello
scenario dell’immediato futuro di questi nuclei, quindi, rimane lo spettro della ripetizione
della condizione di sofferenza economica in seguito ad una nuova diminuzione o a una
temporanea interruzione del reddito.
Analizzando le testimonianze delle persone intervistate si rintracciano situazioni
in cui la disponibilità di reddito rispetto ai bisogni del nucleo familiare assume un
andamento oscillante, passando continuamente da un livello di adeguatezza ad uno di
inadeguatezza. Tale condizione, inoltre, non sembra contribuire alla costruzione di
momenti nei quali la situazione di povertà subisce un arresto, una sospensione, a causa
della persistenza delle condizioni debitorie precedentemente instaurate.
Testimonianze di quanto affermato si rintracciano nelle narrazioni di due donne,
una italiana e una straniera, dove la condizione di affanno nel far fronte alle spese non si
attenua nemmeno quando la disponibilità di denaro aumenta. Al contrario, alcuni debiti,
come quelli relativi al pagamento del canone di locazione, hanno raggiunto entità talmente
alte da non poter essere sanate interamente nemmeno nei mesi di maggiore disponibilità di
26
risorse. Quando lo stipendio diminuisce il nucleo familiare ha ancora sulle spalle le
insolvenze dei passati momenti di sofferenza.
Il mio compagno lavora, ma in inverno può stare anche tre mesi se
non di più a casa per via del calo del lavoro e per il clima. Questo mette
sempre la famiglia in crisi. Essendo artigiano, inoltre deve pagare le tasse
che sono molto alte, anche se non lavora. Fino ad adesso non siamo riusciti
ad uscirne fuori dalla povertà perchè appena prende lo stipendio c'è sempre
qualche cosa da pagare. Anche per l'affitto siamo 6 mesi indietro e abbiamo
dei debiti. (Maria, 33 anni)
Il lavoro c'è adesso, per fortuna, ma sono rimasti anche i debiti e
fino ad ora ogni volta che prendiamo i soldi occorre pagare qualche cosa di
arretrato e quindi non si riesce a respirare. I servizi adesso non sono in
grado di fare carico a questo tipo di emergenza. Se riuscissimo a trovare il
modo di liberarci dai debiti accumulati nel passato, magari chiedendo il
contributo per il pagamento dell'affitto in futuro (speriamo!) le cose
inizierebbero ad andare meglio. Il fatto è che si continua ad avere l’acqua
alla gola. Al di la del fatto che la situazione oggi potrebbe essere un po'
migliorata, non si riesce ad alzare la testa ugualmente. Per adesso il lavoro
c'è, ma bisogna considerare che quando ritorna la bassa stagione lo
stipendio diminuisce e non potremo nuovamente far carico a tutte le
spese….è così che aumentano i debiti. Quando arriva l'inverno le cose
cambiano, ma se non avessimo i debiti vecchi potremmo riuscire a far carico
a tutte le spese senza creare nuovi debiti, magari tirando un po' la corda.
Con il debito sulle spalle si finisce per annegare. (Katia, 33 anni)
Per la casa, ad esempio, io ci devo 13 mensilità. E come posso
migliorare la mia situazione? Continuo a non avere il pane per mangiare,
anche se per qualche mese trovo un lavoro. (Maurizio, 64 anni)
Il problema e la preoccupazione è che tutto ricominci da capo a
partire da settembre non avendo più il lavoro. Temo che ricomincerò con la
spirale dell'indebitamento, la storia che ho vissuto quest’anno si ripeterà.
Qui la povertà si sentirà ogni giorno di più. E’ un male. (Katia, 33 anni)
Particolarmente interessante è la percezione dell’aumento del costo della vita
testimoniato da una signora polacca, residente in Italia da 15 anni. Dalle sue parole si
avverte una maggiore fatica, registrata in tempi recenti, a far fronte alle esigenze della
propria famiglia, rispetto ai primi momenti del suo soggiorno nel nostro paese, quando le
risorse a disposizione erano tutte da costruire.
I rincari di tutto sono un bel problema per me. Io sono in Italia da
15 anni. Quando sono arrivata non avevo niente, ma si riusciva a campare
bene con molto meno qui in Italia. Mi ricordo che trovai subito un lavoro
come badante e con quel piccolo stipendio, facendo un po’ di sacrifici,
riuscivo a pagare un affitto, a mangiare e con un po’ di pazienza, ho anche
arredato la casa. Piccole soddisfazioni. Oggi tutto questo è impossibile. Io
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faccio lo stesso lavoro, ma lo stipendio non basta più per pagare tutto e mi
sono dovuta rivolgere all’assistente sociale. Certi mesi quando ho da pagare
l’affitto e la rata del condominio devo andare a prendere la spesa alla
distribuzione perché è meglio che non spenda soldi nei supermercati. Questa
è la situazione oggi. Io sono lentamente finita in difficoltà dopo un bel po’
che ero in Italia. Beh questo non me lo sarei nemmeno aspettata. (Anja, 45
anni)
Il costo della vita viene avvertito come un fattore di forte peso al punto da
impedire alle persone di usufruire di beni e servizi di prima necessità. Questo avviene, ad
esempio, per la difficoltà di avere accesso a forme di finanziamento in assenza di un
lavoro legale, oppure di una pensione e della relativa documentazione che attesti la
costante entrata di un reddito.
Uno dei cambiamenti importanti dopo la morte della nonna, che
aveva una pensione, è stato il non poter più comprare niente di importante
nel caso in cui ce ne sia bisogno. Ad esempio, noi abbiamo avuto bisogno di
comprare un frigorifero, perché il nostro si era definitivamente rotto, e non
lo abbiamo potuto fare perchè non avevamo una busta paga per fare il
finanziamento. Ovviamente il contante per pagarlo non ce lo avevamo,
significava stare un mese senza mangiare. Poi con i rincari c’è tutto il resto
che non si può più fare. Adesso tutto è aumentato di prezzo e nonostante una
persona faccia sacrifici su sacrifici, a volte questi non bastano. (Francesca,
32 anni)
L’incremento del costo della vita spesso manifesta i suoi effetti in maniera lenta
ma inesorabile. In un primo momento le persone riescono a far fronte alla situazione
attraverso il ricorso ai risparmi posseduti e all’aiuto della rete di relazioni personali. Nel
caso in cui la situazione si prolunghi nel tempo questi tipi di ammortizzatori si erodono e
si giunge alla discesa nella condizione di povertà.
Il problema del rincaro del costo della vita si fa sentire, non solo nei casi più gravi
di persone che non dispongono di un’entrata economica legata alla disoccupazione di
breve, media o lunga durata, ma interessano una parte di soggetti che in passato potevamo
definire come “quasi poveri”. Ci si riferisce alla parte di individui che fino a qualche anno
fa riusciva, seppur a fatica, a far fronte a tutte le esigenze fondamentali proprie e della
famiglia, ma che adesso non ci riesce più a causa dell’innalzamento dei prezzi.
La situazione diviene ancora più grave nel caso in cui la persona sia interessata
anche da una contrazione dell’orario di lavoro oppure, in generale, da una diminuzione
della retribuzione percepita in passato.
La povertà economica ho iniziato a sentirla gradualmente a partire
da tre anni fa quando, non trovando grandi cose di lavoro, e guadagnando
un po’ meno, ho iniziato a tirare fuori qualche cosa di quello che avevo
messo da parte. D’altra parte in giro tutto è aumentato. Una volta finiti i
risparmi, per un po’ mi hanno aiutato in famiglia, ma alla lunga mi sono
trovata nei guai. Intanto mi sono separata, mi sono trovata con una figlia di
10 anni e un affitto da pagare. Ad un certo punto non ce l'ho fatta più e sono
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venuta dall'assistente sociale. Ho passato dei periodi bruttissimi. Sono
rimasta 10 mesi senza pagare l'affitto e due-tre mesi senza avere quasi nulla
da mangiare. Poi è diminuito anche il numero di persone che ti chiamano
per lavorare a causa della crisi economica e così è diventato un disastro.
Prima nelle famiglie lavoravano in due, adesso in quasi tutte le famiglie è
una persona sola a portare a casa lo stipendio. Io vedo molte persone che
conosco da anni che prima lavoravano durate l'estate con una certa
regolarità, oppure che avevano un'occupazione minima. Oggi queste
persone non hanno più nulla, sono a zero. Parlo anche di italiani, non solo
di stranieri. Anche gli italiani nati e cresciuti a Massa non hanno più nulla.
Conosco situazioni di famiglie di italiani dove in una casa di 4-5 persone
oggi lavora solo una persona, ieri lavoravano in tre. Ovviamente se c'è
anche da pagare l'affitto si affoga. (Samantha, 36 anni)
La condizione di malessere e sofferenza economica legata alla questione lavorativa
e al rincaro del costo della vita, nell’opinione delle persone interessate, costituisce un
fenomeno che va oltre la propria condizione personale. In questo senso è molto alta la
consapevolezza di essere vittime di un insieme di meccanismi macrosociali legati alle
caratteristiche del mercato e alla rete delle politiche di contrasto alla povertà. Spesso viene
sottolineata la necessità di migliorare la capacità di intervento sui meccanismi che stanno
alla base dei processi di impoverimento da realizzarsi attraverso l’attuazione di interventi
più mirati e tempestivi.
Mi dispiace per lei che le devo dare queste brutte notizie, ma è la
realtà quella che c'è qui. Farà altre interviste e sono sicuro che loro le
diranno le stesse cose. Per me il treno si è fermato a partire dal 2008, ma
credo che gli altri siano più o meno sulla stessa barca, bene o male la
situazione è più o meno la stessa per tanti. Il fatto è che il problema è
generale. Poi anche le politiche di sostegno se ti trovi in una situazione di
difficoltà sono quelle che sono. Occorrerebbe intervenire bene e soprattutto
in fretta, appena uno inizia ad accusare i segni del crollo, in modo da
evitare che la persona cada a picco. Alla fine così è più costoso per tutti
rialzarsi. (Giovanni, 42 anni)
2.3. La questione alloggiativa
Il problema della sistemazione alloggiativi costituisce, insieme al lavoro, una delle
criticità fondamentali in caso di scarsezza di risorse economiche. A soffrire di più, come
prevedibile, sono le persone che non dispongono di un alloggio di proprietà e che devono
pagare un canone di locazione. Il pagamento della retta mensile costituisce una delle
principali forme di indebitamento dalle quali frequentemente è difficile smarcarsi, anche
quando la condizione delle entrate economiche subisce dei miglioramenti.
Molte delle persone intervistate hanno un’elevata morosità e sono quotidianamente
a rischio di ricevere lo sfratto.
Una soluzione alternativa al pagamento dell’affitto, in alcuni casi praticata, è
rappresentata dal ricorso alla coabitazione con altri membri della famiglia (principalmente
genitori, spesso anziani) all’interno di situazioni abitative non adeguate alle esigenze di
tutti i membri. Queste forme di convivenza forzata, inoltre, frequentemente creano delle
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situazioni di tensione all’interno del contesto parentale e, se protratte per lunghi periodi di
tempo, possono causare anche vere e proprie forme di conflittualità. La percezione di tale
rischio è avvertita molto dagli intervistati che, non a caso, fanno ricorso a questo tipo di
strategia alloggiativia solo nel momento in cui la condizione di morosità è completamente
insostenibile, come ad esempio davanti ad uno sfratto esecutivo.
Quando ho perso il lavoro, dopo pochi mesi ho perso anche la casa
perché non riuscivo a pagare l’affitto. Quando proprio non ce la facevo più
mi sono decisa a tornare dai miei genitori che sono molto anziani. La
situazione abitativa è pessima. Per avere un po’ di indipendenza reciproca e
mio figlio ci siamo adattati in una sorta di scantinato. I servizi sono in
comune e non c’è il riscaldamento. Insomma non è la situazione ideale. Poi,
come se non bastasse, i miei fratelli non sono molto felici che noi si viva in
quella casa…..queste cose sono così. (Eugenio, 50 anni)
Io adesso proprio non posso pagarmi un affitto. Da quasi un anno
ho lasciato la casa e adesso vivo da una mia vecchia zia. Ci tengo a
precisare che anche lei non ha tutta questa disponibilità di spazi e io dormo
in una sedia sdraio. Comunque per me è importante perché altrimenti ero su
questa panchina del giardinetto anche la notte. Il fatto è che la cosa non è
vista bene, né dai parenti, né dai servizi, perché la zia vive in una casa
popolare e alcuni credono che nel caso in cui lei muoia io voglia vantare dei
diritti. Morale della favola: non mi ci fanno prendere la residenza e così io,
di fatto, risulto un senza fissa dimora, che è un problema per un sacco di
ragioni. Tutto questo perché tre anni fa ho avuto un infarto. (Francesco, 54
anni)
Alcune delle persone intervistare usufruiscono, oppure sono a conoscenza, del
servizio di integrazione al pagamento del canone di locazione. Si tratta di uno strumento
che, quando trova attuazione, costituisce un’importante forma di sollievo alla condizione
di sofferenza economica. All’interno di alcune interviste, però, viene riportata la difficoltà
o l’impossibilità di ottenere il contributo a causa di una situazione di morosità nel
pagamento delle rate pregresse e della necessità di avere un contratto di locazione per
presentare la domanda.
Anche per la casa è un problema! Il contributo per pagare l'affitto in
teoria ci sarebbe ma i cavilli per riuscire ad avere i soldi sono tantissimi.
Occorre essere in pari con il pagamento, avere contratto regolare, persone
che ti danno la casa oneste ecc. Ma questo tipo di affitti non li danno a gente
disgraziata come noi, che con il contratto paghi un casino di più. Io ad
esempio ho il contratto, per puro caso, ma il proprietario se ne è andato via,
è sparito perchè aveva combinato dei casini non so bene come, con lo stato.
Adesso la casa in cui vivo e dove pago l'affitto regolarmente è nelle mani del
tribunale. Io sono in pari con i pagamenti, ma non ho i requisiti per fare
domanda per il contributo. Occorre la ricevuta dell'affitto che nella mia
situazione attuale non mi danno e quindi niente. (Giovanni, 42 anni)
Io non sono riuscita a ricevere il contributo in conto affitto perché
quando l’ho richiesto avevo già due rate arretrate. Ma se avevo la
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possibilità di pagare, come l’ho avuta in passato, non ricorrevo certo al
contributo del comune! Possibile che tutto sia così? Morale della favola,
quest’anno le rate di ritardo dell’affitto sono salite a cinque! E non si sa
come fare. I soldi guadagnati non bastano. (Maria, 33 anni)
2.4. La rete informale di sostegno
I fenomeno della povertà negli ultimi anni sembra aver assunto sembianze
preoccupanti, non tanto e non solo per la sua dimensione quantitativa, ma per le sue
caratteristiche qualitative. Proprio questo secondo aspetto solleva complessi interrogativi
sui modi in cui occorrerebbe intervenire sul problema, sia con riferimento alla dimensione
temporale (quando intervenire), sia per quanto riguarda le modalità specifiche
dell’intervento (come intervenire).
La vulnerabilità delle persone è progressivamente aumentata in relazione alla sua
intensità – il passaggio da una condizione di relativo benessere a quella di povero è
sempre più rapida e difficilmente contenibile, una volta che i meccanismi di
impoverimento si attivano – e con riferimento alla gamma della tipologia di persone che
ne possono potenzialmente essere interessate.
In questo tipo di contesto gli individui aggrediti dai processi di impoverimento non
sembrano assumere una posizione passiva ma, al contrario, cercano in ogni modo di
arrestare il fenomeno, spesso, soprattutto in un primo momento, in maniera autonoma,
vale a dire senza ricorrere all’aiuto di parenti, amici e reti istituzionali. Una volta esaurite
le energie inizia una fase di ricerca di aiuto all’interno della rete di sostegno informale.
Tale struttura di relazioni si rivela di fondamentale importanza e, quando presente e
robusta, si dimostra in grado di svolgere una vera e propria funzione di tampone alla
condizione di disagio.
I contenuti delle nostre interviste contribuiscono a confermare il ruolo centrale
svolto dalla famiglia nell’attutire gli effetti della congiuntura economicaa. La rete
familiare, infatti, sembra aver assorbito buona parte dei traumi derivanti dalla crescente
disoccupazione e dall’aumento dei cassintegrati, il calo del potere reale d’acquisto e in
generale, gli effetti derivanti dall’incremento del livello delle disuguaglianze dei redditi22.
All’interno di questo scenario è importante ricordare che, nel momento storico in
cui la famiglia si è fatta carico di un numero crescente di difficoltà e della riduzione di
risorse da parte dei suoi componenti (si ricordano ad esempio la caduta dei redditi da
lavoro, la precarietà giovanile e la riduzione dei servizi sociali e sanitari) non si è assistito
alla presenza di misure di sostegno da parte del sistema di protezione sociale.
Ad oggi possiamo affermare che non sia ancora presente a livello nazionale una
politica di protezione e sviluppo della famiglia e dei suoi membri. Tale condizione sembra
aprire preoccupanti scenari circa la capacità da parte della famiglia (ribattezzata da alcuni
con il nome di terza gamba del welfare state) di continuare a svolgere tale funzione di
22
Caritas - Fondazione E. Zancan, In caduta libera, Rapporto 2010 su povertà ed esclusione sociale in Italia, Il
Mulino, Milano, 2010, pp. 16-17.
31
protezione, soprattutto nel momento in cui le condizioni di disagio e sofferenza economica
si protraggono per lunghi intervalli di tempo.
La rete di relazioni informali infatti, così come le risorse individuali del soggetto
colpito dai processi di impoverimento, ha a disposizione un numero di risorse limitate che
nel lungo periodo lentamente si depauperano.
Il fenomeno di erosione non riguarda solo la progressiva perdita di risorse
materiali, legata ad esempio all’esaurimento dei risparmi, ma anche al peso crescente della
relazione d’aiuto, determinando un sovraccarico di impegni e responsabilità che spesso
possono condurre ad un peggioramento della qualità dei legami sociali, arrivando anche a
provocare delle fratture tra i membri della famiglia oppure nelle relazioni amicali23.
A questo duplice effetto deve poi essere sommato il rischio che la rete informale di
aiuto, nel corso del tempo, subisca degli incidenti dovuti alla perdita di uno o più legami
significativi per cause di forza maggiore, come nel caso di decesso di uno dei soggetti ai
quali era demandata buona parte delle funzioni di aiuto strumentale. Questo aspetto è da
considerarsi tutt’altro che residuale in un contesto nel quale, sempre più spesso, i soggetti
predisposti alla funzione di sostegno appartengono alle
vecchie generazioni.
Frequentemente, infatti, sono i giovani adulti a sentire gli effetti della povertà e le persone
vicine al pensionamento, o addirittura ormai fuori dal mercato del lavoro, risultano le
uniche in grado di intervenire in aiuto con le loro risorse a disposizione.
La situazione descritta emerge con chiarezza dagli estratti sotto riportati:
Io non ho avuto la famiglia e questo già è stato un bel problema, i
risparmi sono finiti abbastanza in fretta senza un lavoro. Gli amici un po' mi
hanno aiutato per fortuna! Anche economicamente, almeno in una prima
fase, ma adesso sono tanti anni, non si può chiedere più che tanto, ad alcuni
debbo dei soldi e spero di poterglieli ridare. Ma adesso è troppo tempo che
sono così, anche questi piccoli aiuti non possono durare in eterno. Non è
giusto e non è oggettivamente possibile. (Paolo, 48 anni)
Vivo con mia madre, non sono sposata. Fino a quando c'era mia
nonna si viveva abbastanza bene perchè lei percepiva una bella pensioncina.
Da quando è morta la nonna siamo a tribolare perchè la mamma purtroppo
non ha un reddito e non percepisce nessuna pensione. Io ho anche un
fratello, ma è come se non ci fosse. Lui vive per conto suo. Ha un carattere
particolare. E' bravo, ma lui fa da se. Non vuol sapere. Ha la sua famiglia e
fa da se. Ogni tanto lo vedo, ma di rado. Ad ogni modo anche lui non mi può
aiutare perchè ha problemi economici. Non ho un parente che mi possa
aiutare. Tutti hanno problemi economici. Ora purtroppo è subentrata anche
la malattia di mio zio da parte di madre al quale ero molto legata. E ad ogni
modo non ho nemmeno la possibilità di uno zio che ogni tanto mi faccia una
bella bustina. Non esiste. I nonni sono tutti morti. I cugini anche loro hanno
i problemi.... (Francesca, 32 anni)
Non ho nessuno che possa darmi una mano anche perchè dopo
l'accaduto, anche prima di attendere il processo, ne niente altro, la mia
23
Cfr. E. Matutini, Impoveriemnto e contesto relazionale, in G. Tomei, M. Natilli, Dinamiche di impoverimento,
Carocci, Roma, 2011.
32
famiglia mi ha voltato le spalle. Della mia famiglia mi è rimasto soltanto
mio fratello con la cognata e i nipoti che non hanno voluto più sapere niente
di me. Mi hanno considerato responsabile di quanto accaduto, anche se
sono stato assolto… e quindi non c'è stato niente da fare. (Paolo, 48 anni)
La presenza di fratture all’interno del contesto familiare si rivela un trauma di
grande entità in grado di dare vita a una corsa all’impoverimento della persona. In questo
senso la perdita di un familiare significativo nel procurare entrate monetarie, come nel
caso di separazione, divorzio o decesso, determina l’intrecciarsi di una pluralità di aspetti
di disagio, capaci di dare originare ad una sorta di “effetto a spirale”, dove ogni aspetto
contribuisce ad ampliare l’effetto degli altri. In questo senso le rotture intervenute
all’interno del contesto familiare si rivelano in grado di alterare profondamente gli
equilibri del nucleo stesso, modificando la sua capacità di reggere le difficoltà incontrate
nella vita quotidiana. Particolarmente calzante appare la situazione di una donna, riportata
nelle righe successive, dove la rottura della relazione con il compagno è stata una delle
prime ragioni che l’ha portata alla progressiva deriva finanziaria.
Me la sono sempre cavata anche se tra alti e bassi perchè una
persona sola con un figlio è un problema....pagare un affitto....ci sono
difficoltà. Però me la sono cavata fino a quando ho aperto un negozio
mio....anche qui tra difficoltà, però sono riuscita a tenerlo per 5 anni.
Chiaramente con la crisi, essendo generale, il negozio non è andato
benissimo. Nel frattempo avevo un compagno con il quale stavo
economicamente abbastanza bene con mio figlio. Ci siamo lasciati.
Da li è cominciano il mio percorso di retrocessione. Fino ad allora
io, dopo aver chiuso il negozio, lavoravo con lui nel suo negozio. Dopo poco
ho perso la casa...attualmente vivo nella cantina di mia mamma, con mio
figlio con tutte le problematiche che ne conseguono. In questo momento un
affitto non lo posso pagare e non ho i soldi per fare molte altre cose.
(Eugenio, 50 anni)
In caso di rottura di legami parentali importanti come un matrimonio le relazioni si
incrinano in maniera irreversibile dando vita a vere e proprie forme di conflittualità. In
questo senso viene meno la dimensione dell’aiuto, non solo affettivo, ma anche
strumentale nei confronti della ex famiglia di appartenenza.
Da parte del padre di mio figlio non ho avuto nessuna forma di
aiuto, ne materiale ne altro. Questo mi è pesato particolarmente perchè visto
il problema di mio figlio [problemi di tossicodipendenza], oltre che di un
aiuto monetario c'era bisogno anche di una mano nel sostegno emotivo,
perchè è stato molto difficile. Me la sono cavata perchè ho sempre fatto
conto su me stessa. Ora piano piano questa cosa la stiamo superando. I miei
fratelli in tutto questo non sono stati una risorsa economica per nessuna
ragione, perchè tutti hanno la loro famiglia, figli, nipoti ecc. Io ho 5 fratelli,
ma tra me e i miei fratelli c'è una forte differenza di età e non abbiamo mai
avuto un rapporto così profondo o frequente. (Eugenia, 50 anni)
33
In questi periodi difficili per me e mia figlia in cui mancava tutto ho
messo al corrente il mio ex marito, ma non ha fatto niente per aiutarmi. Lui
sapeva benissimo anche perchè i suoi genitori spesso chiedevano alla bimba
cosa avevo fatto da mangiare per lei e lei rispondeva che non avevo fatto
niente perchè non c'era niente da mangiare. Non mi hanno aiutato in nessun
modo. L'unica cosa che lui ha fatto è dare da mangiare alla bimba quando
io non potevo. Lui è italiano ed ha una famiglia alle spalle. Ne ho parlato
anche con l’assistente sociale. Il problema è che con lui non troviamo una
soluzione, nemmeno tra avvocati. (Katia, 33 anni)
In molti casi il fatto di vivere in condizioni di povertà è percepito come un
elemento fonte di fatica e disagio per sé e per le persone vicine. Proprio per tale morivo
nasce il desiderio di tenere al di fuori della propria problematica parenti e amici ai quali si
è particolarmente legati. In questo senso si assiste ad una sorta di sacrificio personale in
termini di isolamento e rinuncia a potenziali forme di aiuto economico e affettivo, per non
gravare sulle spalle dei propri cari e per non diventare per questi fonte di preoccupazione.
C'è anche mia figlia….. ma lei non sa niente di queste storie qua e
non voglio che le sappia. Lei abita qui ad Aulla, è sposata, ha la sua vita ed
è giusto così. Il marito lavora, ha un bambino di tre anni. Insomma meno ne
sa e meglio è. Anche quando mi sono sentito male lo ha saputo quando sono
venuto a casa dall’ospedale. Non mi va di metterla in agitazione. Poi prima
aveva anche la madre che stava male, che infatti dopo è morta. Ha passato
le sue, meglio lasciarla tranquilla, così sono più tranquillo anche io.
(Francesco, 54 anni)
Io ho i genitori in Grecia che magari potrebbero forse darmi una
mano, ma anche loro non se la passano bene e per aiutare me farebbero dei
sacrifici enormi. Francamente meglio che non sappiano la mia situazione
com’è. (Katia, 33 anni)
Io cerco ti tenere fuori tutti dalla mia situazione. Insomma certe
volte è difficile perché bisogna far finta che le cose alla fine vanno
abbastanza bene, ma francamente gravare su i miei figli proprio non me la
sento. Per fortuna la crisi è arrivata ora e non 20 anni fa in modo che li ho
potuti crescere senza fargli mancare nulla e oggi loro hanno ancora una
sistemazione. Se in futuro non riuscirò più nemmeno a comprare il pane
magari inizierò ad accennare qualche cosa, se non altro per non deprivare
troppo mia moglie di quello di cui ha bisogno. Ma per adesso abbiamo
deciso di tenerci la cosa per noi. (Michele, 59 anni)
Le forme di relazionalità significative in termini di sostegno non si esauriscono
all’interno della cerchia parentale ma, in alcuni casi, si estendono alle relazioni di amicizia
e di vicinato. Quest’ultime possono assumere anche molta rilevanza nel percorso di vita
della persona, come nel caso della giovane donna rimasta orfana di entrambi i genitori
all’inizio del suo percorso universitario con un mutuo da pagare.
34
Quando è morta mia madre e sono rimasta sola avevo 23 anni. E’
stato difficile tirare avanti anche perché avevo ancora 9 anni di mutuo da
pagare e io ero studente. Qualche cosa avevo da parte e i servizi mi hanno
dato una mano. Una cosa che ha contato tantissimo è stata la Croce Verde
dove faccio la volontaria da sempre. Quella è stata la mia seconda famiglia.
Ci sono persone che per me sono quasi dei parenti. Mi sono stati vicini, mi
hanno sostenuto emotivamente e dato la forza di andare avanti giorno dopo
giorno. Io quando ho un problema ho delle persone dalle quali andare per
appoggiarmi sulla loro spalla. E’ sempre stata una cosa che ha fatto una
grande differenza pur rimanendo i problemi economici. Per affrontare le
difficoltà ci vuole anche il calore e il sostegno umano. (Alice, 31 anni)
La persona fidata della porta accanto in alcuni casi si rivela essere più idonea a
raccogliere le confidenze e gli sfoghi relativi al disagio economico quotidiano rispetto ai
membri del contesto familiare allargato, dove le implicazioni materiali e affettive sono più
elevate.
A 64 anni è brutto andare a prendere la borsa dalla Caritas e le
dico anche che dove vivo hanno preso a cuore tutta la famiglia e stanno
tentando di aiutare. Il mio vicino va a prendermi la borsa della spesa alla
distribuzione e me la porta a casa perchè io rimarrei senza niente pur di
non andare li. Poi quando capita si possono fare due chiacchiere, sfogarsi
un po’ fa stare meglio. Con i parenti, a volte, non è il caso di parlare di
queste cose. Avere qualcuno vicino che ti da una parola di comprensione.
Si, quando sono con mia moglie mi piace fantasticare, che fa bene al cuore,
ma i problemi veri continuo a masticarli ogni giorno e non vedo nessun
miglioramento. (Maurizio, 64 anni)
Ci sono casi in cui, al contrario, la rete di sostegno è costituita da maglie troppo
larghe, oppure è assente. In queste situazioni vengono a mancare risorse di strategica
importanza in termini di aiuto, sia per i loro effetti diretti, sia per quelli indiretti. Nel
primo caso ci si riferisce alla possibilità di ricorrere a figure vicine per coprire il disagio
derivante da situazioni di particolare emergenza, oppure poter avere un aiuto emotivo.
Nella seconda ipotesi, invece, si rinvia alla possibilità che questo tipo di legami
permetta di concentrare un numero di energie maggiori nella ricerca di un’occupazione
adeguata alle esigenze della famiglia e nel poter poi esercitare l’attività lavorativa. Un
esempio macroscopico a questo proposito è rappresentato dalla possibilità di disporre di
parenti e amici in grado di dedicarsi alla cura dei figli, nel caso in cui il genitore debba
andare al lavoro.
Ho un lavoro non regolare. E il massimo che posso avere perché
sono sola e non posso lasciare i bambini a nessuno. Non c'è proprio
nessuno. Può trattarsi di un giorno all'anno che posso contare sulle persone
presso le quali lavoro, ma è una cosa veramente eccezionale. Io lavoro ad
ore facendo le pulizie anche per questa ragione. Se mi capitasse un'offerta di
lavoro migliore probabilmente sarei costretta a rifiutarla perchè non posso
gestirla insieme agli impegni della famiglia. (Samantha, 36 anni)
35
Io non mi sono nemmeno iscritta al Centro per l’impiego per il
problema che ho con i bambini. Sono tre e in qualsiasi momento dovrei
lasciare il lavoro per dedicarmi alla loro cura. In questa situazione non
posso presentarmi sul mercato del lavoro reale, posso al massimo rimanere
in questa parte di lavoro in nero. Alla fine starei più a casa che al lavoro.
Allo stesso tempo ho guardato le liste dei Centro per l’impiego cercando se
c’era qualche cosa di interessante, ma le offerte che c'erano erano tutte cose
un po' fuori rispetto a dove vivo e per me spostarmi è ancora più difficile.
Anche il lavoro come badante non sono disponibile a farlo perchè mi occupa
troppo tempo.
(Katia, 33 anni)
2.5. Alcuni profili di impoverimento
Dalla molteplicità di analisi, qualitative e quantitative, condotte a livello nazionale
e locale sui meccanismi di impoverimento, uno dei dati che emerge in maniera abbastanza
nitida è costituito dalla assunzione di consapevolezza della difficoltà crescente di giungere
alla costruzione di modelli, tipologie o percorsi definibili a priori di povertà24.
Tale operazione ha costituito da sempre elemento di riflessione critica ma, negli
ultimi anni, in seguito alla trasformazione del profilo classico della povertà,
l’individuazione dei profili ricorrenti della povertà si è fatta ancora più complicata. In
passato le situazioni di povertà avevano frequentemente una connotazione geografica ben
precisa, nascevano e si sviluppavano all’interno di gruppi sociali connotati da più forme di
marginalità sociale (anche di matrice intergenerazionale) e interessavano maggiormente
soggetti con bassi livelli di istruzione e precarietà alloggiativa.
Negli ultimi anni il quadro della povertà è molto più sfaccettato, sia per la gamma
di dimensioni problematiche che lo compongono, sia per la ricorrenza e le modalità di
manifestazione del disagio.
In questo senso, vicino al profilo dei poveri tradizionalmente individuati, si sono
andati aggiungendo nuovi volti della povertà legati a contesti nei quali i soggetti possono
sperimentare gravi difficoltà economiche in modo oscillante, come ad esempio nel caso di
periodi brevi ma ripetuti di disagio, oppure dove la condizione di deprivazione materiale
può nascere e svilupparsi all’interno di una sola dimensione problematica, come
l’insufficienza del reddito per soddisfare le esigenze del nucleo familiare. Tutto questo
sembra aver fatto cadere la validità universale dell’interpretazione multidimensionale
della povertà, pur rimanendo di grande pertinenza per la comprensione di molte forme di
impoverimento.
In generale le carriere della povertà sono diventate sempre più veloci, complesse,
con frequenti uscite e ritorni da una condizione di sofferenza economica legata ad uno o
più fattori scatenanti.
Giunti a questo punto dell’analisi, pur consapevoli dei limiti che comporta
compiere un’operazione di categorizzazione volta a circoscrivere il fenomeno in specifici
24
Cfr. N. Acocella, G. Ciccarone, M. Franzini, L. M. Milone, F. R. Pizzuti, M. Tiberi, Rapporto su povertà e
disuguaglianze negli anni della globalizzazione, Pironti, Roma, 2004; Baldi, A. Lemmi, M. Sciclone, Ricchezza e
povertà, condizioni di vita e politiche pubbliche in toscana, Franco Angeli, Milano, 2005.
36
orizzonti di riferimento, si è cercato di compiere un tentativo di tipizzazione dei profili di
povertà emersi dalle storie di vita degli intervistati. L’obiettivo è quello di realizzare una
sorta di prima astrazione di alcuni degli aspetti che si sono riscontrati in maniera ripetuta
all’interno di diverse narrazioni. Questo ci aiuta a capire se è possibile giungere alla
definizione di aspetti e problematiche che tendono a verificarsi con maggiore frequenza
all’interno dei diversi profili individuali, definiti in base a particolari elementi ascrittivi,
come l’età, il genere e la nazionalità, oppure acquisitivi, come il livello di formazione, lo
status sociale e così via.
Da tale operazione è stato possibile estrapolare cinque tipologie di povertà:
o quelli che arrivavano “precisi” alla fine del mese: chi non riesce a sostenere i
rincari legati all’aumento del costo della vita e/o la diminuzione delle
retribuzioni;
o i neo sperimentatori della povertà: il disoccupato di età superiore a 45 anni;
o i poveri di ritorno: il cittadino straniero immigrato;
o i poveri di ieri e di oggi: la famiglia numerosa che vive in affitto;
o la nuova generazione di poveri: il giovane precario e sottopagato.
Alcuni dei gruppi individuati sono conosciuti da lungo tempo e rinviano a criticità
presenti all’interno del mercato e del sistema di welfare del nostro paese; altri, invece,
evidenziano nuovi volti della povertà e differenti forme di percezione e fronteggiamento
della stessa.
a) Quelli che arrivavano “precisi” alla fine del mese: chi non riesce a sostenere i
rincari del costo della vita e/o la diminuzione delle retribuzioni
Le carriere di povertà dei soggetti che sperimentano questa condizione per la prima
volta possono essere suddivisi in due macro categorie:
- coloro che hanno perso improvvisamente il lavoro rimanendo in un nucleo familiare
senza entrate economiche oppure con quest’ultime fortemente ridotte;
- coloro che pur conservando la condizione di occupato hanno visto una parziale
diminuzione della retribuzione, frequentemente in seguito ad una contrazione
dell’offerta di lavoro, e contemporaneamente hanno dovuto continuare a cercare le
risorse necessarie per il soddisfacimento dei loro bisogni all’interno del mercato nel
quale i prezzi sono fortemente aumentati.
Con riferimento a questa seconda categoria di soggetti, le storie di povertà che si
sono riscontrate sono quelle di persone che in passato non avevano mai avuto problemi di
natura economica, elemento che li ha portati a vivere tale nuova condizione con
particolare sconforto e senso di smarrimento.
37
Questi intervistati, che appartenevano prevalentemente al ceto sociale mediobasso, dispongono di livelli di formazione scarsi e di un ricco bagaglio di competenze
pratiche costruite attraverso la formazione sul campo.
Dall’analisi delle narrazioni si ritrova molte volte il tema della centralità del ruolo
della donna nel potenziamento delle capacità di fronteggiare i rischi di scivolamento in
condizioni di povertà conseguente al rincaro del costo della vita o esito di “incidenti
occupazionali” all’interno del nucleo familiare.
Di fronte alla precarizzazione del lavoro, il fatto che anche la figura femminile
diventi procacciatrice di reddito costituisce un elemento di strategica importanza per
fronteggiare l’alternarsi di periodi di attività lavorativa a intervalli di tempo in cui si
sperimenta la condizione di disoccupazione, la riduzione delle retribuzioni e l’incremento
dei prezzi di beni e servizi di prima necessità.
Il lavoro femminile però, secondo le testimonianze raccolte, è fortemente
ostacolato dalle carenze del sistema di welfare che non sembrano essere in grado di
favorire una miglire armonizzazione dei tempi di cura all’interno del contesto familiare
(tradizionalmente a carico della donna) con i tempi di lavoro all’esterno di esso.
Come prevedibile, la condizione lavorativa femminile assume un’importanza
centrale anche nelle famiglie monogenitoriali, soprattutto nel caso in cui la donna si
affacci nel mondo del lavoro con bassa qualifica professionale. Scarsa formazione
professionale e impossibilità di demandare la cura dei figli a terzi per una parte della
giornata lavorativa, in taluni casi, spingono le donne-madri ad accettare forme
occupazionali frammentate e fortemente sottopagate, spesso in regimi lavorativi non
regolari.
Se la figura della donna sola con figli sembra essere uno dei profili maggiormente
predisposti ai fattori di vulnerabilità tipici della attuale congiuntura economica,
quest’ultima non risulta la sola. Dalle nostre interviste si evince che il rischio di povertà
interessa anche le donne disoccupate coniugate. Questo è vero, sia in caso di frattura del
legame coniugale, sia nella situazione in cui sopraggiunga la condizione di
disoccupazione di membri del nucleo familiare.
b) I neo sperimentatori della povertà: il disoccupato di età superiore a 45 anni
All’interno dello sfaccettato universo di soggetti interessati dal fenomeno della
povertà stanno emergendo profili di impoverimento inediti o, ad ogni modo, di entità
residuale fino a qualche anno fa. In questo scenario la diffusione del fenomeno della
disoccupazione, in seguito alla perdita repentina e imprevedibile del lavoro, svolge un
ruolo molto importante. I massicci licenziamenti attuati in una pluralità di settori
economici tradizionalmente propensi all’assorbimento di profili lavorativi poco qualificati
come quelli dell’edilizia, della cantieristica e della lavorazione del marmo (attività
trainanti dell’economia locale) e le difficoltà crescenti nella ricerca di una nuova
occupazione, nel caso di sopraggiunta disoccupazione, hanno determinato un progressivo
aumento dei cassintegrati e delle persone che non riescono più a mettere insieme uno
stipendio a fine mese.
Gli effetti di questa situazione del mercato del lavoro hanno riversato le loro
conseguenze sulle nuove generazioni. Le testimonianze del percorso di povertà dei
38
giovani intervistati sono molto simili tra loro e si caratterizzano per la predominanza della
condizione di disoccupazione, alternata a quella di elevata precarietà del lavoro.
Un fenomeno che è emerso con forza negli ultimi anni e che ha portato alla nascita
di situazioni di grave povertà in soggetti “nuovi” a questo tipo di problematica, è quello
relativo alla massiccia incidenza della condizione di disoccupazione nelle storie di vita
delle persone di età superiore ai 45 anni e con alle spalle solide carriere occupazionali.
Proprio quest’ultima tipologia di soggetti sembra soffrire maggiormente il carico della
attuale congiuntura economica, a causa del sommarsi di una pluralità di fattori:
o la perdita dell’occupazione a tempo indeterminato crea la necessità di
reinserirsi nel mercato del lavoro in tempi rapidi disponendo di qualifiche
medio-basse e obsolete;
o quando avviene il licenziamento il lavoratore si trova a vivere una fase della
vita nella quale le risorse economiche da destinare al soddisfacimento dei
bisogni fondamentali, propri e del contesto familiare, sono molto elevate. Si
ricorda a titolo esemplificativo le esigenze legate al sostentamento dei figli;
o la ricerca della nuova occupazione presenta un numero elevato di difficoltà
legate ai meccanismi di reclutamento all’interno del mercato del lavoro.
Sempre più spesso la giovane età costituisce un requisito preferenziale, mentre
viene attribuita poca rilevanza all’esperienza lavorativa e alle competenze
pratiche maturate sul posto di lavoro.
Un altro elemento importante che emerge dalle interviste è costituito dal fatto che
questa particolare condizione di disoccupazione sembra interessare in maniera pressoché
indistinta maschi e femmine. In passato le difficoltà occupazionali nella seconda fase della
vita lavorativa del soggetto interessavano prevalentemente le donne. Quest’ultime infatti,
all’interno del nostro paese, sono state storicamente più esposte ai meccanismi di
espulsione dal mercato del lavoro, a causa della scarsità di interventi a sostegno
dell’occupazione femminile. Le motivazioni sono legate soprattutto ai tempi da dedicare
alla costruzione dei progetti familiari, la cura dei figli nei primi anni di vita e
all’accudimento delle persone più vulnerabili all’interno del nucleo familiare, come gli
anziani. Tutte queste esigenze spesso si sono tradotte in una interruzione del percorso
lavorativo e in una elevata difficoltà ad operare un reinserimento nel momento in cui
potenzialmente si potrebbero ripresentare le possibilità di un nuovo inserimento
occupazionale, in termini di tempo e di energie.
Oggi la contrazione della richiesta di lavoro ha manifestato i suoi effetti anche sul
lavoratore maschio, spesso unico procacciatore di reddito all’interno del nucleo familiare.
Questo, per i meccanismi sopra presentati, determina situazioni di rapido passaggio da una
condizione di relativo benessere a quella di sofferenza economica grave, con gli effetti
negativi, anche di tipo psicologico, che da questo rapido cambiamento possono derivare.
c) I poveri di ritorno: il cittadino straniero immigrato
La condizione di immigrato costituisce un elemento di forte criticità rispetto ai
rischi di insorgenza della povertà. Il cittadino che migra in un paese straniero, infatti si
39
trova a dover costruire un nuovo progetto di vita a partire dalle fondamenta, all’interno di
un contesto sociale non conosciuto, disponendo di reti di sostegno informale lacunose,
spesso legate alla solidarietà con connazionali che sperimentano la stessa condizione di
fatica, e in presenza di una forte scarsità di risorse materiali legate alla difficoltà di
inserirsi nel mercato lavorativo.
Se da un lato quanto detto non cessa di manifestare i suoi effetti, dalle interviste
realizzate all’interno della presente ricerca, nei cittadini provenienti da paesi stranieri
emerge anche un tipo di disagio diverso e legato ad un differente arco temporale del
progetto migratorio. Dalle interviste, infatti, si riscontrano storie di vita nelle quali la
sperimentazione della povertà, legata alla prima fase di permanenza nel nostro paese ha
progressivamente lasciato il passo ad una condizione di relativo benessere (ottenimento di
un lavoro e di una sistemazione abitativa adeguata). Oggi tale condizione di benessere,
faticosamente costruita, negli ultimi anni è andata nuovamente erodendosi facendo
riemergere necessità anche gravi, di natura economica. In questo senso si tratta di una
categoria che possiamo definire come “i poveri di ritorno”, vale a dire soggetti che, dopo
aver sperimentato forme di povertà anche gravi, erano riusciti ad emanciparsi dalla spirale
della sofferenza economica e dal ricorso ai servizi pubblici di aiuto nel contrasto alla
povertà; Tali soggetti, in seguito all’inasprimento dei fattori di vulnerabilità, sono
nuovamente precipitati nella spirale dell’impoverimento.
La difficoltà nella conservazione del posto di lavoro, oppure l’impossibilità di
proseguire l’attività in proprio e la frequente presenza di reti di sostegno informale carenti,
sono tra i fattori che più frequentemente incidono nella ripetizione della carriera di povertà
da parte di questi soggetti.
d) I poveri di ieri e di oggi: la famiglia numerosa che vive in affitto
Dall’analisi dei profili delle persone intervistate emergono elementi di conferma in
merito al fenomeno, consolidato all’interno del nostro paese, della particolare condizione
di disagio economico avvertita da parte delle famiglie. Più precisamente a soffrire
maggiormente sembrano essere le famiglie numerose con al loro interno due o più figli.
Quello della povertà all’interno di nuclei familiari numerosi costituisce una delle
specificità nazionali rispetto alle manifestazioni del fenomeno in altri paesi europei nei
quali non si assiste ad una proporzionalità così diretta tra numero crescente di figli e
rischio di sperimentare forme di deprivazione economica25.
Dalle interviste realizzate la situazione di disagio economico sembra essere legata
alla inadeguatezza del reddito percepito per far fronte ad un sistema di bisogni complesso.
Quest’ultimo, infatti, trova da sempre una limitata possibilità di risposta all’interno della
rete dei servizi pubblici, anche a causa dei più recenti tagli finanziari.
In contesti molto numerosi l’impossibilità di fuoriuscita dalla povertà non è legata
soltanto alla temporanea condizione di disoccupazione. Frequentemente il nucleo non
riesce ad emanciparsi dalla spirale della povertà anche in presenza di entrate economiche
adeguate prevalentemente per due ragioni:
25
Cfr. Istat, Indagine europea sui redditi e le condizioni di vita delle famiglie (Eu-Silc), Metodi e Norme, 2008.
40
- la remunerazione percepita è bassa e insufficiente a rispondere alle esigenze
della famiglia. Spesso si assiste alla presenza di un unico percettore di reddito a causa
dell’impossibilità della donna a inserirsi nel mercato del lavoro per rispondere alle
esigenze di cura dei figli;
- si assiste all’alternanza di periodi di disponibilità di risorse con periodi di
assenza delle stesse, durante i quali si innescano meccanismi di indebitamento. Il
verificarsi di periodi di disponibilità di risorse non è sufficiente a colmare la condizione
debitoria precedentemente accumulata e ad uscire dalla sofferenza economica.
Ricapitolando, tra gli elementi fondamentali di questo profilo di povertà si
riscontra l’impossibilità di disporre di reti di aiuto informale per la cura dei figli e la
conseguente impossibilità di costruzione ipotesi occupazionali per la donna-madre. A
questo collegato, deve essere aggiunta l’inadeguatezza della retribuzione e le difficoltà
legate al pagamento di beni e servizi che portano all’insorgenza di condizioni di
indebitamento.
La nuova generazione di poveri: il giovane precario e sottopagato
Le storie di povertà delle persone interviste con età inferiore ai 35 anni si
caratterizzano per una elevata omogeneità. I giovani intervistai, infatti, pur provenendo da
contesi sociali e esperienze di vita profondamente diverse tra di loro e disponendo di
differenti livelli formativi, sembrano accomunati dalla impossibilità di trovare una forma
lavorativa adeguata alle esigenze che connotano la fase di vita che stanno attraversando,
come ad esempio riuscire a disporre di adeguati margini di autonomia economica.
La precarietà del lavoro, più che la sua inesistenza, si rivela la molla che avvia il
percorso di impoverimento. Le opportunità di lavoro, infatti, oltre ad essere poche, sono
molto frammentate e poco qualificate. A quest’ultimo proposito il titolo di studio sembra
aver perso parte della sua rilevanza nella individuazione di occasioni di lavoro più
qualificate, a causa di una sua progressiva svalutazione. Si ricorda, a titolo
esemplificativo, la situazione della giovane con diploma di scuola media superiore che
non riesce a trovare occupazioni diverse da quello di lava piatti o cameriera nel fine
settimana.
Legato alla diminuzione di valore del titolo di studio, ma non solo, nelle
testimonianze raccolte si registra una unanime percezione di essere fortemente sottopagati
per le attività lavorative prestate.
La continua permanenza in una situazione di ansia finanziaria porta i giovani
intervistati a rinunciare, loro malgrado, ad una programmazione e pianificazione del
proprio progetto di vita familiare. Effetto collaterale considerevole è anche la progressiva
perdita di speranza nei confronti del futuro e la rassegnazione all’idea di essere obbligati a
vivere giorno per giorno.
41
Tab. 2. Alcuni tipi di povertà emersi dall’interpretazione delle interviste
Quelli che “arrivavano precisi”
alla fine del mese
I volti nuovi dei poveri
I neo sperimentatori della
povertà
La nuova generazione di poveri
I poveri di ritorno
Le facce conosciute da tempo
I poveri di ieri e di oggi
42
- sono sia italiani che stranieri
- in passato riuscivano
autonomamente a rispondere alle
esigenze del nucleo familiare
- la contrazione del lavoro e
l’aumento del costo della vita hanno
determinato un peggioramento delle
condizioni economiche fino allo
scivolamento nella povertà
- sono prevalentemente cittadini italiani
appartenenti al ceto medio-basso
- in passato non avevano mai
sperimentato condizioni di sofferenza
economica
- la perdita dell’occupazione è stata una
delle principali cause scatenanti della
repentina caduta in condizione di
povertà
- sono giovani di età inferiore ai 35 anni
- sono stretti nella morsa della precarietà
del lavoro e sono frequentemente
sottopagati
- vivono con sofferenza l’impossibilità
di avere una progettualità familiare
- sono prevalentemente
immigrarti
- hanno incontrato problemi nella
prima fase del percorso migratorio
- hanno avuto un periodo di
autonomia finanziaria
- hanno subito una riduzione del
reddito o perdita del lavoro in tempi
recenti
- sono persone parti di nuclei familiari
numerosi con figli piccoli oppure
famiglie nelle quali sono intervenute
fratture familiari
- hanno pochi servizi e molte spese da
sostenere. Spesso non hanno casa di
proprietà
- la figura femminile fatica molto ad
inserirsi nel mercato lavorativo
CAPITOLO III
LE STRATEGIE DI FRONTEGGIAMENTO INDIVIDUALI
TRA DESIDERIO DI REAGIRE E SCONFORTO
3.1. La lotta alla povertà vissuta nella vita quotidiana
Nella seconda parte della mappa tematica, dedicata all’analisi dei percorsi di
impoverimento che hanno interessato gli intervistati, è stato dedicato uno spazio alla
comprensione delle strategie di contrasto che i soggetti attuano quotidianamente per
fronteggiare la condizione di disagio derivante dalla situazione di deprivazione nella quale
si trovano e per attivare percorsi di fuoriuscita dalla stessa.
In questo senso, particolare attenzione è stata assegnata alla comprensione
dell’importanza attribuita alla possibilità di apportare delle modifiche alla propria
condizione attuale. Grande interesse ha quindi assunto la narrazione dei tentativi fatti in
passato e le motivazioni di eventuali successi o fallimenti.
Le informazioni raccolte, inoltre, sono un utile indicatore delle risorse residuali a
disposizione dei soggetti in termini di energie mentali e materiali per l’attivazione di
nuove strategie di gestione delle difficoltà e per pianificare ulteriori forme di contrasto,
anche attraverso la messa in rete di risorse formali e informali, presenti, almeno in forma
potenziale, nel conteso relazionale ristretto e più in generale nella comunità di
appartenenza.
Prima ancora di passare all’analisi delle capacità di reazione individuale, degno di
attenzione è il fatto che, in alcune delle storie raccolte, l’insorgenza della condizione di
povertà, a causa della rapidità e dell’estraneità di tale esperienza alla vita pregressa del
soggetto, in un primo momento abbia dato luogo, oltre a tentativi di contrasto e situazioni
di affanno, allo smarrimento. Il crollo economico si è manifestato in una situazione di
totale imprevedibilità e questo aspetto a causato, utilizzando l’espressione di un
intervistato, “un senso di pietrificazione”, di paralisi legata allo sbigottimento.
Si tratta di una condizione avvertita soprattutto da individui che provengono da
una condizione occupazionale a tempo indeterminato con una buona retribuzione, oppure
di piccoli imprenditori. Tale forma di momentanea interdizione sembra poi lasciare il
passo a pericolose forme di rassegnazione e vere e proprie sindromi depressive che
limitano fortemente le capacità reattive, non solo del diretto interessato, ma anche dei suoi
parenti più stretti che con lui condividono la quotidianità.
In altre parole potremmo dire che si tratta di una sindrome che ha interessato
soprattutto i nuovi poveri per i quali si riscontra un atteggiamento mentale nei confronti
della problematica molto diverso rispetto ai soggetti tradizionalmente protagonisti dei
processi di impoveriemnto. Le nuove famiglie povere fanno fatica a riconoscere e
accettare la loro condizione, determinando una sorta di isolamento rispetto agli altri
soggetti interessati dalle carenze di risorse. In questo senso essi vanno a costituire una
43
sorta di nuovo gruppo di individui disposti a solidarizzare solo al proprio interno,
combattuti tra il senso di vergogna e il rifiuto di accettare uno status sociale così basso.
Nel frattempo ho portato in giro una quantità enorme di curriculum.
E' stata dura perchè mi aveva preso la depressione anche a me. E' stato
proprio un periodo di quelli tosti. Pensavo di essere finito in un brutto
sogno. Mi sembrava che quello che mi stava accadendo non potesse
appartenermi o essermi successo davvero. Mia moglie stava sempre peggio
per quello che stava accadendo e anche lei in quelle condizioni non era in
grado di trovare niente. In quei momenti oltre ai soldi si ha bisogno di tutto,
anche di qualcuno che ti stia a sentire e sia dalla tua parte. Io qui non ho
nessuno della mia famiglia [viene dalla Campania]. E' stato un problema
grosso. Io non esagero a dire che per un periodo sono rimasto come
pietrificato…(Giovanni, 42 anni)
Tra i neo sperimentatori della povertà si riscontra un atteggiamento mentale nei
confronti della problematica molto diverso rispetto ai soggetti tradizionalmente
protagonisti di queste dinamiche. Le nuove famiglie povere fanno fatica a riconoscere e
accettare la loro condizione, determinando una sorta di isolamento rispetto agli altri
soggetti interessati dalle carenze di risorse.
Esempi sono rappresentati dalla sottolineatura fatta dagli intervistati di essere
poveri e utenti dei servizi sociali “diversi” rispetto a quelli tradizionalmente presenti ai
servizi. Interessante è anche il forte legame solidaristico basato sulla profonda
comprensione reciproca che emerge dalle testimonianze di condivisione nei confronti di
chi ha attraversato la particolare esperienza dell’impoverimento repentino, provenendo da
una situazione di consolidato benessere.
In fondo non capisco ancora come sia potuto succedermi tutto
questo. Io sono una persona che ha sempre lavorato, e prima ancora
studiato. Avevo una società che è chiusa non perché la gestivo male, oppure
ho fatto qualche stupidata…io pagavo tutto e lavoravo. Dico questo per farti
capire che non sono uno dei soliti disgraziati (con tutto il rispetto) che
finiscono ai servizi sociali di solito. Io non capisco come può succedere in
un paese come il nostro che una persona come me, nel giro di pochi mesi,
possa andare a picco, arrivare così al fondo da perdere la casa. Finire ai
tavoli della Caritas senza la possibilità di aiuto concreto e utile di qualsiasi
natura esso sia. (Giovanni, 42 anni)
Ci sono tante famiglie che magari hanno anche vergogna di venire a
fare l'intervista perchè magari prima si stava bene e adesso invece si sta
male. Per loro è difficile farsene una ragione, ma anche rendersene conto e
accettarlo. Ogni tanto capita di trovarne in giro qualche caso e allora ci si
mette a parlare. Almeno tra di noi ci si capisce. Con chi mi confronto? Con
il poverino che vive per strada da anni, oppure lo straniero arrivato da poco
qui? Motivo del perché sono finite tutte così? Non riesco a capire. (Marco,
36 anni)
44
3.2. I tentativi
autoimprenditorialità
di
rilancio:
infaticabile
ricerca
di
lavoro
dipendente
e
Per alcuni la capacità di riorganizzazione e rilancio della propria occupazione
lavorativa non è del tutto esaurita e anche dopo alcuni anni di fermo occupazionale e
diverse risposte negative nella ricerca di un nuovo lavoro (prevalentemente come
lavoratore dipendente), si reinvesta la possibilità di creare da solo una possibilità di
impiego grazie ad una segnalazione da parte di soggetti appartenenti alla rete di sostegno e
alla nascita di un’alleanza con altre persone che stanno attraversando la stessa situazione
problematica.
Si riporta di seguito la storia di un uomo di 52 anni il quale quattro anni fa ha
avuto gravi problemi di salute e per questo è stato costretto a lasciare il lavoro. Una volta
risolti i problemi fisici ha fatto numerosi tentativi di reinserimento lavorativo, ma sono
tutti falliti. Da quasi un anno, grazie alla segnalazione del suo medico curante, ha iniziato
a costituire una cooperativa sociale per il reinserimento lavorativo insieme a un gruppo di
persone che, come lui, non riuscivano a trovare lavoro.
Il giorno stesso dell’intervista l’uomo aveva in programma una riunione
organizzativa delle attività, e anche solo questo aspetto sembrava avere una forte
significatività in termini di lotta alla rassegnazione e all’apatia frutto di una nuova pausa
delle attività lavorative intervenuta negli ultimi mesi. Nella vita dell’intervistato le criticità
frutto della precarietà lavorativa continuano ad essere presenti, ma l’atteggiamento
reattivo individuale sembra aver subito profonde modificazioni.
L'esperienza di lavoro in cooperativa è bella. Sono riuscito ad
infilarmi nel movimento che si stava costruendo di un gruppo di uomini e
donne disoccupati grazie all’indicazione del mio dottore. Mi ci ha mandato
lui. Per me è stata una cosa importante perché non ne potevo più di stare ai
giardinetti come un disgraziato, a subire e basta. Io sono tra i soci
fondatori! E’ anche una bella soddisfazione tirare su una realtà così. Ti
senti ancora vivo e capace di fare qualche cosa in un contesto dove ovunque
vai a cercare lavoro ti dicono che ormai non sei più buono a nulla! E' una
cooperativa che fa quello che trova da fare. Adesso purtroppo siamo fermi.
Ora mi hanno detto che forse a settembre si riparte. Speriamo bene. Era
andato perfino bene in questi due-tre mesi che avevo lavorato perchè avevo
trovato una casetta tutta per me (vive con una vecchia zia), ma adesso devo
lasciare l'idea perchè il lavoro è di nuovo fermo. Purtroppo anche per la
cooperativa il lavoro va e viene perché c’è la crisi…. Oggi sembra che le
cose non si modifichino molto. Anche dove ero a lavorare ultimamente con
la cooperativa, si trattava di una ditta grossa che fa le piattaforme per
l'ENI….insomma, questa ditta grande qui, invece di assumere prende gli
operai dalle cooperative, come fanno tutti più o meno ormai, e aveva preso
noi, ma poi si è fermato tutto. Ad ogni modo se il lavoro c'è la cosa
funziona...il fatto è che molto probabilmente anche l'ENI ha avuto una
qualche crisi e le piattaforme se le è riprese indietro, la grande ditta è
45
rimasta a secco lasciando gli operai della cooperativa a casa. Il
meccanismo è questo. (Francesco, 52 anni)
3.3. I tentativi di fuoriuscita dalla povertà: le difficoltà nella capacità di sopportare il
ripetersi di fallimenti
In molte delle storie di vita raccolte si percepisce con forza la ferma volontà di non
cedere alla rassegnazione e di tentare continuamente nuove strategie di rilancio della
propria condizione. Ciò nonostante, quando i fallimenti delle prove iniziano ad essere
numerosi, lo scoraggiamento diventa parte integrante della quotidianità. Un intervistato ha
sintetizzato la situazione di sconforto che lo caratterizza nel pensare alle possibilità di
trovare un lavoro che gli permetta di risolvere i suoi problemi economici dicendo: “Qui la
situazione è depressa e la depressione ormai è parte integrante delle persone. Le persone
non cercano più di essere creative e si abbandonano.” La situazione di sconforto però
continua a non tradursi in immobilismo e la ricerca del lavoro persiste, sia attraverso
l’utilizzo delle risorse personali (lettura annunci sui giornali, distribuzione capillare dei
curriculum e così via), sia attraverso le istituzioni predisposte ad offrire orientamento e
supporto all’occupazione come il Centro per l’impiego. Un esempio di comportamento
attivo in questo senso è riscontrabile nella testimonianza riportata sotto. Si tratta di una
donna straniera di 33 anni con un figlio piccolo e un affitto mensile da pagare.
Io sono una persona molto vivace, che ha sempre lavorato, non sono
una persona che sto ferma, mi do sempre da fare… però se non c'è nulla!
Una persona ha la forza, ma se non c'è nulla? Io le occasioni di lavoro le ho
cercate credo in tutti i modi. Da La Spezia fino a Viareggio ho portato
centinaia di curriculum, a piedi perché non avevo più i soldi per pagarmi un
mezzo. Solo in Versilia più di 100. In più sono iscritta su tutti i Centri per
l'impiego. L'anno scorso qualche cosa ho trovato 3-4 mesi in estate.
Quest'anno le agenzie interinali stesse dicevano che non c'è più nessun
lavoro e che se vanno avanti così anche alcune di loro ridimensioneranno la
loro attività. Mi è preso lo sconforto perchè ho capito che la crisi è proprio
capillare. Sono le ditte stesse che non chiedono operai. La crisi è arrivata al
massimo. Quest'estate ho avuto la fortuna di trovare un lavoretto fino a
settembre. Prima però mi sono fatta tutta la Versilia bagno per bagno e ogni
ristorante a portare il curriculum; la gente mi diceva “guarda, ce la
facciamo noi in famiglia perchè c'è meno lavoro e ci arrangiamo da soli”. Si
rende conto di quante persone sono rimaste a casa quest'anno? Io sono a
terra sotto tutti i punti di vista!! (Katia, 33 anni)
Oltre alla rassegnazione e lo sconforto, in alcuni casi prende il sopravvento la
rabbia per la propria condizione, spesso frutto di un prolungato senso di impotenza nei
confronti dell’intera situazione vissuta. Il caso di Marco, 36 anni, ne è una dimostrazione.
L’uomo, con alle spalle una vita lavorativa come piccolo imprenditore, al momento è
disoccupato e riceve un contributo economico dai servizi sociali. Nelle sue parole si legge
46
chiaramente la difficoltà ad accettare l’impossibilità di dare una svolta alla condizione di
deprivazione della sua famiglia. Proprio grazie al valore attribuito alle persone del suo
contesto familiare, come molti altri intervistati, trova la forza per continuare ad attivare
nuove strategie di riscatto. Nel fare questo, però il senso di solitudine è molto forte e frutto
della impossibilità di sentirsi supportato in maniera adeguata dall’apparato istituzionale.
Sono arrabbiato a vedere la mia famiglia finita in questa situazione,
con me come unica persona che può portare a casa qualche cosa con la
raccolta del ferro….. è il lavoro più basso che ci sia! Non ho parole! Io
avevo un’impresa edile con 5 dipendenti! Mi ero dato da fare per costruirla.
Qui se hai un momento di difficoltà basta! Hai chiuso, puoi andarti
anche a buttare via tanto nessuno ti considera e nonostante la tua buona
volontà non riuscirai mai a rialzarti! E' davvero così! Io sono anni che
provo a ripartire, non ho mai smesso di provare, anche perchè ho una
famiglia sulle spalle, ma proprio sembra che non ci sia rimedio! Qui io sono
solo! (Marco, 36 anni)
Il fatto di trovarsi a vivere in condizione di deprivazione economica, per alcuni
intervistati, soprattutto per coloro che sperimentano il fenomeno per la prima volta,
equivale al sentirsi travolti e risucchiati in meccanismi che essi non sono in grado di
controllare e nei confronti dei quali, nonostante i tentativi, sentono di essere destinati a
sopportarne gli esiti e gli effetti patologici.
Proprio con riferimento alla percezione della propria condizione in un tempo
futuro, i giudizi sono tendenzialmente negativi. Tale atteggiamento sembra essere l’esito
della impossibilità di introdurre trasformazioni sostanziali nei processi che hanno
determinato la condizione di disagio (ad esempio il mercato del lavoro) e delle carenze del
sistema formale di protezione, come vedremo meglio nel prossimo capitolo del report, nel
fornire aiuti tali da permettere la pianificazione di strategie organiche, limitandosi a
interventi di piccola entità e fortemente frammentati.
Alberto è un uomo che ha perso il lavoro 6 anni fa per dei problemi con la giustizia
in seguito ad un’accusa di furto sul posto di lavoro. Due anni dopo è stato assolto per non
aver commesso il fatto, ma non è stato reintrodotto nella vecchia occupazione. Da allora
non è più riuscito a trovare un lavoro, anche a causa dello stigma sociale legato agli eventi
pregressi che lo hanno interessato; adesso vive quasi tutti i giorni per strada. In questo
caso lo sconforto legato alla condizione di pregiudizio circa la sua serietà professionale si
sommano al senso di impotenza del sistema relazionale informale (la famiglia lo ha
isolato) e istituzionale (riceve un contributo santuario). Nel complesso avverte di non
avere gli strumenti per tentare di attuare di modificare sua attuale situazione.
Sono infilato in un mulinello allucinante che porta a tristi pensieri,
passa di tutto per la testa. C'è un abbandono totale, se uno ha i soldi per
poter vivere o qualche persona intorno che ti da una mano bene, altrimenti
vai a fondo. Io nella mia solitudine oggi sono 4 giorni che non mangio, non
ho un euro in tasca, aspetto fine mese per avere 250 euro del vecchio
lavoretto e poi si vedrà. Per il momento è un vicolo cieco.
Il brutto è che se penso alla possibilità di trovare qualche strategia
per migliorare la situazione nella quale mi trovo al momento non saprei che
47
dire. Non saprei dove vedere uno spiraglio di luce. Io ci posso sperare che
qualche cosa cambi. Questo si, la speranza ancora resiste, ma le possibilità
oggettive di miglioramento al momento non ci sono, si naviga nel buio e mi
sembra che la cosa al massimo vada sempre peggio. (Paolo, 48 anni)
Altri tengono a sottolineare l’inevitabilità della condizione di sconforto,
allontanando l’ipotesi che si tratti di una reazione esclusivamente propria e evidenziando
il fatto che si tratta di uno stato d’animo che costituisce parte integrante della sofferenza di
ogni persona che si trova in questa situazione.
Poi le persone non sono tutte uguali, alcuni magari possono
arrivare a situazioni estreme. Io non sono arrivato a quel punto li, ma ho
visto persone che c'erano molto, molto vicino. Io ho visto padri di famiglia
in attesa con me a cercare lavoro, dai vari servizi o alla distribuzione dei
viveri che non sapevano dove sbattere la testa. Ed erano persone come me,
lavoratori da sempre. Questo succede perchè non ci sono le possibilità di
mettersi a sedere ad un tavolino e cercare insieme le giuste soluzioni, o
almeno piccoli interventi specifici che ti possono almeno tamponare e
limitare i bisogni più pesanti. (Alberto, 52 anni)
In alcuni casi, dopo un primo momento di sconforto, il fatto di aver ricevuto una
qualche forma di aiuto e sostegno, anche minima, sembra essere in grado di far scoprire
una nuova motivazione per fronteggiare la condizione di disagio, ritrovando le energie
psicologiche e fisiche per reagire alla condizione di malessere e attuare sistematiche
strategie volte al reinserimento lavorativo.
Un tipico esempio è rappresentato dalla speranza di un cambiamento innescata da
una nuova e inaspettata relazione con il servizio sociale professionale.
Io adesso me la vedo veramente male, come da un anno circa del
resto…..ma adesso mi sento che magari le cose potrebbero anche
migliorare. Insomma, non che ci siano molti segnali…ma un mesetto fa ho
trovato il coraggio di andare dall’assistente sociale….non è che mi andava
molto da fare questo passo qui….ma alla fine invece è stata una cosa giusta,
e se non ero tanto citrullo c’ero andato anche prima. Certo non è che può
fare grandi cose…le risorse che ha sono poche poche…ma mi ha dato
qualche piccola cosina e mi ha fatto venire la voglia di riprovare a insistere
a cercare lavoro. Negli ultimi mesi mi ero un po’ arreso…..a forza di
ricevere no ti prende lo sconforto. Sono in questa settimana ho fatto due
colloqui. Insomma vediamo….e speriamo che venga fuori qualche cosa.
(Luca, 41 anni)
Quando però la povertà diventa una condizione persistente le difficoltà emergono o
si inaspriscono. Lo sconforto e la rassegnazione iniziale si amplificano diventando sempre
più difficili da fronteggiare. Questo succede anche perché all’aumentare del periodo di
permanenza in condizione di povertà le risorse materiali e non materiali a disposizione per
una riqualificazione sono sempre meno.
48
Ormai sono 5 anni che sono in mezzo a questo calvario. Le ho
provate tutte per trovare qualche soldo. Ma qui non ci sono mica possibilità.
Adesso non ne posso veramente più, piano piano ho perso tutto.
[Alla domanda dell’intervistatore circa la possibilità di cercare
lavoro anche in altre città vicine, l’intervistato risponde:]
Andare fuori da questo territorio qua? Non ho mai pensato a
questo....sono sempre stato qui, ci sono nato, cresciuto, c’ho lavorato, sono
una persona semplice… poi adesso con la mia situazione che è sempre più
disastrata francamente non me la sento neanche più. Ho come perso le
energie....d'altra parte la vita di strada o quasi come la faccio io fa anche
questo. (Paolo, 48 anni)
3.4 La preoccupazione nei confronti dei figli: la povertà dei bambini
L’attuale congiuntura economica sembra aver provocato profonde trasformazioni
nei rapporti intergenerazionali, modificando l’atteggiamento di speranza da parte dei
genitori di riuscire ad offrire una condizione sociale migliore per le nuove generazioni.
Per gli intervistati, come prevedibile, è molto alta la preoccupazione per il destino
dei figli. Tale timore rappresenta una manifestazione di disagio legata alla presenza di una
importante criticità all’interno del contesto sociale.
Con riferimento a questo aspetto è ormai opinione condivisa che le chance di vita
di un soggetto sono legate non solo a fattori soggettivi, ma implicano anche una
importante componente connessa alla struttura sociale nella quale quell’individuo vive26.
In questo senso essere membri di una famiglia povera da bambini riduce
fortemente le possibilità di usufruire di una gamma di opportunità uguali a quelle di un
altro bambino non povero durante l’intero arco della vita27. Inoltre ciò che definisce la
condizione di povertà di un minore non è solo l’assenza o presenza di un lavoro o di
un’occupazione ma, al contrario, l’adeguatezza di questi ultimi alle esigenze del minore
stesso. Emblematico del timore nel prospettare la vita futura dei propri figli è lo stralcio
dell’intervista riportato di seguito:
Io prendo 400 euro al mese. Adesso ho un piccolo contributo
economico da parte del servizio sociale che mi aiuta a pagare l’affitto. Il
mio ex marito di passa 300 euro al mese per la figlia ma nei periodi in cui la
bambina mangia da lui mi riducono la somma. Questo io dico che è assurdo
perché le spese per la bambina sono tante, non è solo il mangiare. Io
quando sto con lei per non lasciarla sola o per seguirla nei compiti e così
via perdo tante ore che potrei impiegare per lavorare e avere più entrate
economiche. E questo nessuno lo tiene in considerazione. E poi qui non si
vuol capire che le risorse economiche di fatto non le darebbero a me, ma a
mia figlia che potrebbe fare una vita migliore! Ma questo certe volte non lo
26
M. Paci (a cura di), Le dimensioni della disuguaglianza, Il Mulino, Bologna, 1993.
A. Schizzerotto (a cura di), Vite ineguali. Disuguaglianze e corsi di vita nell’Italia contemporanea, Il Mulino,
Bologna, 2002
27
49
capisce proprio nessuno. Almeno qui in Italia. Ma è un bel disastro! (Katia,
33 anni)
La povertà dei bambini è un fenomeno che trova concreta manifestazione nel
nostro Paese nel quale, come evidenziato dai dati statistici in materia, la povertà interessa
in larga misura le famiglia con al loro interno un numero elevato di figli (e quindi bambini
o adolescenti) e dove i divari cognitivi tra i ragazzi sono molto elevati rispetto alla grande
maggioranza degli altri paesi europei. Le differenze sono legate sopratutto alla particolare
collocazione nella stratificazione sociale e alla collocazione geografica28. Nonostante
questi dati, dal punto di vista delle politiche di sostegno alla genitorialità, il quadro
nazionale sembra ancora fortemente lacunoso e frammentato: l’assegno familiare è legato
a particolari requisiti occupazionali e specifici livelli di reddito percepito, non sono
previste politiche abitative ad hoc e neppure rilevanti riduzioni o agevolazioni all’interno
del settore educativo o ricreativo.
Tra i soggetti intervistati l’impossibilità di vedere concrete possibilità di
fuoriuscita dalla condizione di povertà in tempi relativamente brevi desta forti
preoccupazioni. Ciò che allarma è il fatto che questa situazione provochi una pericolosa
riduzione delle possibilità di benessere per i propri figli, non solo nel presente, ma anche
nel futuro.
La condizione di deprivazione viene vista come un rischio di disagio per la prole
nel presente, in quanto i bambini non riescono ad avere risorse tali da permettere un tenore
di vita adeguato al contesto nel quale vivono. Si assiste così a situazioni di emarginazione
da parte di terzi, ma anche di una pericolosa autoemarginazione.
Non c'è niente, niente lavoro, niente stipendio, niente possibilità di
fare la spesa oppure di fargli fare uno sport. Oppure di mandarli a
mangiare una pizza ai compleanni dei compagni di classe. Che cosa gli offro
oggi hai miei figli? E in futuro? Vengono anche loro a 18 anni
dall'assistente sociale a prendere un boccone da mangiare? Non è quello
che vedo pensando alla vita dei miei figli. Io faccio sacrifici per i figli....un
domani i bambini vanno avanti e non restano indietro. Ma qui non c'è niente
per i ragazzi. (Marco, 36 anni)
Se la situazione continua così i figli di domani saranno quindi
peggio di quelli di oggi, anche perchè non potranno studiare bene. Io come
la seguo mi figlia che per prendere 400 euro al mese devo lavorare tutto il
giorno? E poi tra qualche anno chi gli paga gli studi? Qui è tutta una
catena. Se va male una cosa a te oggi è tutta una conseguenza che si
rifletterà anche domani. Questa cosa qui mi fa soffrire molto perché io non
vorrei che mia figlia fosse condannata a fare una vita come la mia oggi. Già
non me la aspettavo per me questa vita. (Katia, 33 anni)
Valutando il quadro complessivo dei contenuti emersi con riferimento alle
strategie di fronteggiamento della condizione di deprivazione economica si possono
individuare 3 tipi fondamentali di orientamento:
28
P. Dovis, C. Saraceno, I nuovi Poveri, op. cit., pp.50-55.
50
-
-
-
gli attivi e combattivi: spesso si tratta di persone che sperimentano la condizione di
deprivazione da poco tempo, oppure il loro processo di impoverimento è frutto della
perdita di valore della retribuzione. Questi soggetti solitamente continuano ad essere
inseriti all’interno del mercato del lavoro. In questo senso si tratta di soggetti non
intaccati da grandi forme di esclusione sociale e le problematiche risultano
strettamente legate alla dimensione economica;
gli scoraggiati ma ancora in cerca di nuove motivazioni per ripartire: possono essere
inseriti in questa tipologia i soggetti che si trovano in povertà già da alcuni anni. Da
tempo sono attanagliati dal senso di impotenza verso alcuni aspetti della loro
condizione di vita, ma questo non costituisce elemento di rassegnazione. Alcuni di
loro si rivelano ancora in grado di riattivare buona parte delle loro potenzialità nel
caso in cui ci siano segni e/o possibilità, anche piccole, di miglioramento della propria
condizione;
i rassegnati e rinunciatari: ci si riferisce prevalentemente a persone che sono in
condizione di deprivazione materiale da un numero consistente di anni. Durante
questo arco di tempo il senso di solitudine e rassegnazione sono andati
progressivamente aumentando a causa della percezione di inefficacia delle strategie di
contrasto attuate da soli o con l’aiuto del sistema istituzionale. Il senso di rinuncia e
abbandono spesso è conseguenza dell’aver assistito con impotenza al progressivo
depauperamento delle risorse materiali e delle relazioni affettive.
Tab. 3. I tipi di orientamento nelle attività di fronteggiamento della deprivazione economica
Gli attivi e combattivi
Gli scoraggiati
I rassegnati e rinunciatari
- sperimentano la condizione di deprivazione da poco tempo
- subiscono gli effetti dell’innalzamento del costo della vita e della riduzione delle
possibilità di lavoro
- le problematiche sono strettamente legate alla sfera economica
- impegno costante nella ricerca di nuove occupazioni e attivazione di strategie di
risparmio (es. coabitazione)
- soggetti che si trovano in povertà da alcuni anni
- spesso sono disoccupati
- operano una incessante ricerca del lavoro. Lo sconforto legato ai
molteplici fallimenti dei tentativi di fuoriuscita dalla povertà non si traducono
in rassegnazione ad essa
- persone che sono in condizione di povertà da molti anni
- il passare del tempo ha contribuito alla progressiva perdita delle scarse risorse
materiali e relazionali presenti nella prima fase dell’impoverimento
- il senso di sconforto e di solitudine sono andati gradualmente crescendo
determinando atteggiamenti di rassegnazione
51
CAPITOLO IV
IL RUOLO PERCEPITO, LE FUNZIONI E LE RISORSE DEI SERVIZI
SOCIALI IMPEGNATI NELLA LOTTA ALLA POVERTÀ
4.1. Il ricorso ai servizi sociali tra bisogno, senso di dignità e vergogna
L’intero percorso di ricerca si basa sull’assunzione del presupposto che le persone
intervistate siano soggetti “competenti”, vale a dire portatori di forme di conoscenza
rilevanti per l’interpretazione dei meccanismi di impoverimento. Questo è stato assunto
come valido e bisognoso di considerazione alla luce dell’importanza attribuita al fatto di
essere conoscitori del fenomeno dall’interno, vale a dire mediante la sua sperimentazione
durante il percorso di vita.
I benefici derivanti da questa attribuzione di significatività alle storie di vita
narrate rimarrebbero solo parziali nel caso in cui, agli stessi individui non si permettesse
un adeguato spazio di riflessione e espressione in merito ai propri percorsi di
impoverimento, con riferimento alla valutazione delle risorse istituzionali e non che sono
stati in grado di attivare nella fase di deprivazione materiali.
Nella parte di interviste dedicata a questi specifici aspetti, particolare attenzione è
stata attribuita al ruolo esercitato dal servizio sociale professionale e alla valutazione degli
eventuali benefici che le persone ne hanno ricavato. Obiettivo specifico di questa parte
della ricerca è quindi la comprensione dei livelli di efficacia o meno delle forme di aiuto
istituzionali presenti sul territorio e l’analisi delle motivazioni dei differenti giudizi
valutativi.
Parallelamente all’analisi degli atteggiamenti verso il futuro e delle strategie di
fronteggiamento attuate (cfr. cap. III), una parte di attenzione è stata dedicata alle
caratteristiche, ai limiti e alle risorse istituzionali in grado di incidere sulle dinamiche
tipiche dei processi di impoverimento.
Nelle narrazioni degli intervistati l’aggancio al servizio sociale, vale a dire la
decisione di rivolgersi alla rete di aiuti istituzionali, ha assunto forme, modalità e tempi
molto diversi tra di loro. Tali differenze sono legate ad una pluralità di fattori tra i quali
vale la pena sottolineare la diversa percezione, da un punto di vista della propria opinione
di sé, del fatto di rivolgersi ai servizi di assistenza.
A questo proposito molto evidente è il differente atteggiamento mentale delle
famiglie che si affacciano per la prima volta ai servizi, non avendo mai sofferto di
marginalità socioeconomica in passato. Questi soggetti, infatti, mantengono più
facilmente presente la necessità di preservare uno stile di vita che non vada al di sotto di
particolari standard qualitativi. In questo senso c’è il rifiuto ad assumere una posizione
identitaria e di appartenenza alla categoria sociale delle persone interessate dalla povertà
grave.
L’accettazione di una situazione simile, infatti, viene percepita come la scelta di
abbandonare definitivamente la possibilità di avere nuovamente la quotidianità vissuta
antecedente al tracollo.
A quanto detto fino ad adesso occorre aggiungere la fatica e la resistenza di questa
tipologia di nuovi poveri a identificarsi come famiglia portatrice di bisogni. Tale
52
atteggiamento conduce le persone a ritardare il più possibile l’accettazione della necessità
di ricorrere ad un aiuto professionale per uscire dalla situazione di disagio. La decisione di
recarsi ai servizi sociali viene presa solo nel momento in cui tutte le risorse personali sono
esaurite e quindi quando la condizione di sofferenza economica ha raggiunto elevati livelli
di gravità.
Un esempio è costituito dalla testimonianza di Giovanni, 42 anni, ex imprenditore,
che dopo la chiusura della sua attività ha subito un rapido tracollo della condizione
economica ritrovandosi senza avere nemmeno i soldi per procurarsi qualche cosa da
mangiare.
A questo punto la mia situazione era talmente disastrata che
(veramente!), non ho avuto altra soluzione che rivolgermi al servizio
sociale. Ho cercato di evitarlo in tutti i modi, ma avevo veramente finito
tutto. Io mai andato una volta in vita mia. Ne io ne nessuno della mia
famiglia. Ho parlato con la direttrice dei servizi sociali e l’assistente sociale
che si sono accorte che a livello psicologico ero abbastanza a terra e allora
mi hanno dato 300 euro per fare un po' di spesa, ma poi in pochi giorni i
soldi sono finiti e allora sono ritornato ed ho avuto una borsa lavoro. Sono
andato a lavorare 5 ore al giorno a fare piccoli lavoretti. Più di questo però
non potevano fare. Di case popolari non se ne può minimamente parlare. Su
questo fronte quindi niente. La casa l'ho persa e mi sono sistemato
provvisoriamente con mia moglie depressa da un amico.
L'assistente sociale mi ha poi consigliato di rivolgermi al circolo
alimentare di Carrara per avere qualche alimento. Io mai stato in questi
ambienti qua. Mi presento in questo posto veramente brutto, bollente per il
caldo e piccolissimo. Li mi hanno dato due cose in croce, come in tempo di
guerra: un pacco di farina, caffè, fette biscottate, un pacco di pasta. D’altra
parte non avevano di più, che cosa dovevano fare. Che umiliazione! Mi
hanno detto che se volevo mangiare dovevo andare alla Caritas di Marina
di Carrara. Alla Caritas non ci andrò mai perchè così in basso no. Andare a
mangiare insieme ai senza fissa dimora, con tutto il rispetto per loro, ma io
mi rifiuto di considerare me stesso così in basso. Se accetto questo sono
finito. (Giovanni, 42 anni)
Il servizio sociale in tutto questo è entrato da pochissimo tempo. Da
gennaio perchè prima non mi ero mai rivolta ai servizi. Sapevo che
esistevano queste possibilità di aiuto, ma non ne avevo mai fatto richiesta
perchè ho provato sempre a cavarmela da sola. L'assistente sociale si è
attivata subito ed ho tutt'ora il contributo. Mi hanno proposto questa cosa
nella misura in cui io riesco a trovare un posto di lavoro. Questo è giusto. Io
devo fare la mia parte. (Eugenia, 50 anni)
Sono stato alla Caritas dietro insistenza dell'assistenza sociale. Ogni
15 giorni mi danno un panchetto con del cibo, un pezzo di formaggio,
scatolette di tonno, biscotti ma… poi mi darebbero della pasta, ma non ho
niente per poterla cucinare quindi è un bel problema. E' difficile. Altre
associazioni non c'è niente.
Sono andato alla Caritas a Spezia, ma mi hanno rimbalzato. Sono
stato una notte al dormitorio, ma essere trattato alla stregua di un
barbone......non me la sono sentita.....ho firmato e sono venuto via. Entrare
53
dentro quell'ambiente li, erano tutti ubriachi io sono anche astemio. Con
tutto il rispetto per queste persone, ma non mi sento di essere in una
condizione di malessere come quella. Io ho solo bisogno di un posto dove
dormire, non sono uno psichiatrico, delirante, alcolista o altro. (Paolo, 48
anni)
4.2. Il rapporto con il servizio sociale tra inadeguatezza delle risorse e consapevolezza
dei limiti di intervento
Una volta avvenuto il primo contatto con i servizi, la relazione che si instaura il più
delle volte è positiva. Analizzando più nello specifico tale giudizio si possono individuare
due differenti valutazioni a seconda che ci si riferisca alla relazione e al lavoro di aiuto
svolto dall’assistente sociale, oppure alla capacità del sistema delle politiche di intervento
di contrasto alla povertà locale e nazionale.
L’immagine complessiva che emerge è quella di una relazione d’aiuto nella quale
chi è predisposto a definire il progetto d’aiuto e valutare le risorse potenzialmente attuabili
(il servizio sociale nella figura dell’assistente sociale) compie la sua funzione in maniera
completa e al massimo delle sue possibilità, alla luce della limitatezza degli strumenti in
suo potere.
La riflessione sulla rete di risorse a disposizione dei servizi di assistenza, al
contrario, viene percepita come lacunosa e frammentaria, contribuendo a impedire la
costruzione di progetti di intervento globali e personalizzati in base alle specifiche cause e
manifestazioni della carenza di risorse materiali.
A questo proposito la dimensione di criticità viene legata al limite, non solo del
livello politico-amministrativo locale, ma rinvia a carenze macrostrutturali all’interno del
sistema di welfare, anche facendo riferimenti comparativi con modelli presenti in altre
realtà nazionali.
Gli utenti del servizio sociale innescano un forte legame collaborativi con
l’assistente sociale, che sentono figura in grado di comprendere la situazione problematica
in maniera pragmatica. In questo senso si dichiarano anche molto favorevoli alla
possibilità di stipulare un contratto di aiuto con assunzione reciproca di forme di
responsabilità e l’individuazione di obiettivi da raggiungere.
Secondo la percezione degli intervistati, la relazione d’aiuto però viene fortemente
depotenziata dalla carenza di risorse e servizi collocati nella cassetta degli attrezzi
dell’assistente sociale. Con riferimento a questo aspetto, paradossalmente, si verifica un
atteggiamento di comprensione da parte dell’utente nei confronti delle difficoltà incontrate
dell’assistente sociale nel procurarsi le risorse per costruire i progetti d’aiuto.
Molti i riferimenti nella narrazione degli intervistati che evidenziano queste
specificità della relazione d’aiuto:
Il servizio sociale ha fatto tutto quello che si poteva fare con le
risorse che ha. I servizi sociali con i loro mezzi fanno quello che possono,
54
ma i fondi sono pochi e le persone che arrivano sono tante. (Alberto, 52
anni)
L'assistente sociale ha fatto anche troppo, ma quello che può fare
non è tanto. Anche lui ha le mani legate. L'unica ipotesi che ho davanti a me
è la casa famiglia. Francamente per adesso cerco di resistere perchè sarei a
convivere con gli ottantenni soli. (Francesco, 54 anni)
L'unica persona che mi è stata dietro in maniera adeguata è
l'assistente sociale che però purtroppo, e non posso fargliene una colpa a
lei, perchè non dipende da lei, non ha nelle mani le risorse che tutti e due
sappiamo mi sarebbero state utili per provare a reagire alla spirale che mi
sta assorbendo. (Giovanni, 42 anni)
Al momento direi che la mia situazione è disastrata è dire poco
perchè sono proprio totalmente spiantato. Qualche tempo fa ho presentato
una richiesta alla Asl locale e per 2 mesi ho avuto 250 euro dall'assistente
sociale ed io mi ero impegnato a cercare una casa, perchè ho fatto 6-7 mesi
per le strade la notte. Ho trovato una casa ma da dicembre mi è stato
sospeso il contributo e attualmente non percepisco niente. Per fortuna non
ho famiglia altrimenti mettevo tutti nella strada. Per quanto riguarda i
servizi sociali non posso dire niente. Il problema è che non ci sono stati più
soldi. Io mi sono trovato che dal 26 maggio 2010 fino a ottobre 2010 non ho
dormito una notte in un letto. Questo è quanto posso dire. Senza assistenza
da nessuno, fare 4-5 giorni senza mangiare un boccone di pane. Sto
sopravvivendo così. Non posso dire che l'Asl mi ha aiutato perchè mi hanno
tagliato i fondi immediatamente. Non ne posso parlare tanto male però
perchè la situazione è questa e non potevano fare di più. La mia è una
situazione reale, toccata di mano e i servizi lo sanno. Ma a quanto pare non
c'è nulla da fare e continuo così. (Paolo, 48 anni)
Con i servizi sociali al momento non ho niente. Al di fuori di qualche
aiuto che danno la Croce Rossa in termini di alimenti una volta al mese, non
ho niente. Con l'assistente sociale non faccio niente. Ma non è colpa
dell'assistente sociale, intendiamoci! Anche lei ha le mani legate. Lei
vorrebbe riuscire a darmi un contributo economico, ma è tutto bloccato. In
passato c'erano almeno dei buoni per andare a fare la spesa e altre piccole
cose, ma adesso hanno tolto anche quelli li. Come si fa? Loro che cosa
possono fare se non hanno niente da dare? Loro quello che possono fare,
poverini, lo fanno e anche bene, ma se non hanno l'aiuto, se non hanno gli
strumenti per lavorare che cosa possono fare? (Mario, 36 anni)
Alcune volte i servizi erogati permettono la costruzione di momenti di
attenuazione della condizione di sofferenza economica. Un esempio è costituito dalla
testimonianza della giovane donna riportata di seguito che per due anni ha usufruito di una
borsa lavoro. Una volta concluso il periodo di accompagnamento da parte del servizio
sociale, però, gli effetti della contrazione dell’occupazione all’interno del mercato del
lavoro si sono nuovamente materializzati, determinando l’impossibilità di tradurre
l’esperienza lavorativa acquisita in una forma di occupazione, anche part-time.
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Negli anni passati ero riuscita a trovare qualche cosa di lavoro. Con
l'assistente sociale ero riuscita anche ad inserirmi in un supermercato con
una borsa lavoro. Purtroppo questo supermercato essendo molto piccolo
non ha potuto assumermi. All’inizio sembrava si potesse fare, ma poi le cose
sono peggiorate strada facendo per la crisi. A malincuore non se ne è fatto
di niente perchè ci siamo lasciati bene con i proprietari. Spesso vado a
trovare la titolare, veramente un bel rapporto. Lei mi tiene in considerazione
per un’assunzione. Francamente credo che sia sincera, ma adesso proprio
non può. Lo vedo anche io com’è la situazione. Mi ha lasciato anche delle
referenze stupende, però mi ha detto chiaramente che non mi poteva
assumere. La borsa lavoro è durata due anni. E' stata un'esperienza bella
perchè mi sono trovata bene e poi anche l'importo era buono (600 euro).
(Francesca, 32 anni)
In giro le persone spesso parlano male delle assistenti sociali e
dentro un po' il timore c'era, poi ho conosciuto la mia assistente sociale ed è
stata bravissima. Se non fosse stato per lei io non ce l'avrei fatta. Mi hanno
staccato la luce che era già inverno. Mi sono trovata con una bimba senza
acqua, riscaldamento e luce. Lei mi ha aiutato nell’emergenza con quel poco
che a potuto e poi abbiamo iniziato a pianificare un programma più
importante per evitare che risucceda. Oggi poi, grazie alle indicazioni
dell’assistente sociale, la Croce Rossa mi passa una volta al mese un pacco
alimentare che è già qualche cosa. Adesso però ci vorrebbe un lavoro, ma
l’assistente sociale mica può tirarlo fuori da un cilindro il lavoro?
(Samantha, 36 anni)
4.3. La voglia di fuoriuscire dalla condizione di assistito
Il rapporto instaurato con il servizio sociale sembra essere molto lontano dal
rischio che si traduca in una forma di assistenzialismo cronico vissuto passivamente da
parte dei beneficiari degli aiuti.
Le persone coinvolte nei progetti d’aiuto, infatti, tendono a vedere la relazione di
sostegno fornita dall’assistente sociale come una risorsa in più per trovare nuove energie
da dedicare all’attivazione delle proprie competenze. Si ricorda a questo proposito il caso,
riportato nelle pagine precedenti, del cittadino che, in seguito al contatto con il servizio e
alla relazione d’aiuto, ha ritrovato una nuova motivazione per ricominciare a proporsi nel
mercato del lavoro, dopo aver attraversato un periodo di rassegnazione alla propria
condizione di disagio.
Alla luce dei contenuti delle interviste, inoltre, quello che viene richiesto ai servizi
di aiuto professionale non è la possibilità di riceve un contributo economico in grado di
permettere la sopravvivenza in situazione di disoccupazione o, in generale, di disagio
economico. Ciò che viene domandata è la possibilità di avere un sostegno in termini di
lotta alle forme di vulnerabilità avvertite, in vista di un progressivo sviluppo di
competenze per riconquistare una propria autonomia.
56
Questo vale sia per i poveri di lungo periodo, sia per color che sono seguiti dai
servizi sociali da minor tempo.
La necessità di ricorrere al servizio sociale per tutta la vita, in seguito
all’impossibilità di riconquistare una propria autonomia economica, viene considerata
come un elemento fallimentare nella vita della persona, sia per se stesso, sia, soprattutto,
per gli effetti che questa situazione può comportare nello stile di vita dei propri figli. Per
gli intervistati la condizione di assistito, infatti, implica inevitabilmente il permanere in
una situazione di disagio. A questo proposito si riportano le affermazioni emerse dalla
seguente intervista:
Io ho due bambini piccoli e i servizi mi passano al massimo 5-6 litri
di latte al mese...mica bastano? E quel latte li costa. Come faccio io? Poi i
bambini hanno bisogno di mangiare altri alimenti specifici, ce lo dice anche
il pediatra ma anche quelli spesso costano tanto (parmigiano, carne scelta)
e è un problema riuscire a trovarli. Io cerca di fare tutti i lavori che posso,
ma in alcuni momenti mi rendo conto che proprio non ci arrivo a poter
andare al supermercato a comprarli. Ci sono tante cose che purtroppo non
hanno e mi passano quello che c’è. Quando c'è qualche cosa di viveri
diversi me li danno però che si può fare?Io non posso andare avanti così
però. Io vorrei essere aiutato a trovare di nuovo una forma di lavoro mio e
chiudere con questo periodo. E poi non voglio che i miei figli un domani
debbano venire qui anche loro. Per loro voglio un futuro un po’ meglio.
(Luca, 41 anni)
Le dimensioni dell’ascolto e della comprensione vengono considerate elementi
importanti per la costruzione di una nuova riflessione sul problema. Tale punto di vista
viene sottolineato in primo luogo dagli stessi intervistati che valutano positivamente il
fatto che vengano attivate forme di studio e analisi dei loro percorsi di deprivazione.
Molto alta è infatti la consapevolezza di essere davanti ad un periodo di forte difficoltà
economica a livello macrosociale e avvertono con forza la necessità di cercare nuove
forme di contrasto alle dinamiche di impoverimento che li coinvolgono.
Speriamo che anche altre persone facciano questa intervista e che
non si vergognino a parlare perchè è importante. Tante persone non se la
sentono di raccontare la loro storia perché la trovano umiliante e magari
sembra che vada tutto bene o quasi ma non è così e c’è un gran bisogno che
questo malessere venga almeno ascoltato e compreso. Anche questa attività
di ricerca e di analisi può essere una cosa utile, qui ci sono un mucchio di
situazioni che fino a qualche anno fa erano quasi impensabili. (Alberto, 52
anni)
A me fa piacere che adesso cerchino di capire da dove è iniziato
questo calvario, questo è un passo importante per iniziare a fare, e a fare
bene. (Anja, 45 anni)
4.4. Verso l’attivazione delle competenze dei cittadini sui processi di impoverimento
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Le persone intervistate, anche quelle che sperimentano la condizione di povertà da
lungo tempo (almeno 2-3 anni), dimostrano una buona capacità di analisi della loro
condizione di poveri e una elevata riflessività costruttiva in merito ai limiti e ai margini di
miglioramento dei servizi erogati. Molti hanno sperimentato in prima persona i servizi e li
hanno quindi visti operare in relazione alla loro condizione di disagio, sperimentandone i
benefici, i limiti e percependone le potenzialità inespresse.
Il contenuti riportati in queste pagine sono l’esito del primo momento di analisi e
riflessione; successivamente essi sono stati utilizzati come materiale di confronto con i
professionisti (assistenti sociali e rappresentati istituzionali) coinvolti all’interno del
percorso di ricerca-azione, in modo essere ulteriormente arricchiti grazie ai contributi
derivanti da queste specifiche competenze professionali.
Una volta effettuato tale passaggio, all’interno di un incontro appositamente
organizzato con il gruppo di pilotaggio, è stato possibile individuare una piattaforma di
lavoro sulla quale avviare le attività del gruppo allargato di esperti e cittadini interessati
dalle dinamiche di impoverimento economico. Il gruppo, infatti, ha collaborato con i
ricercatori alla formulazione di proposte operative da presentare al committente della
ricerca per la promozione di un mutamento in termini migliorativi dei servizi esistenti.
Tra le molteplici osservazioni e riflessioni emerse spontaneamente, oppure dietro
invito dell’intervistatore a fermarsi a riflettere sull’efficacia, i limiti e gli elementi
migliorativi potenzialmente attuabili dei servizi presenti sul territorio, si riportano alcuni
aspetti che hanno registrato una certa ricorrenza.
Ci si riferisce alla necessità di una migliore diffusione delle informazioni in merito
al ruolo e alle attività dei servizi sociali, allo strumento della borsa lavoro come mezzo di
promozione dell’occupazione e al contributo in conto affitto per la parziale copertura del
canone di locazione rivolto a nuclei familiari con specifici parametri di reddito e
patrimonio.
a) La diffusione delle informazioni sul ruolo e le attività dei servizi sociali
Frequentemente le persone risultano poco informate, non tanto e non solo
sull’esistenza del servizio sociale, ma sui servizi da esso offerti, sulle modalità di accesso,
i requisiti per essere presi in carico e le richieste da formulare per avere accesso ai servizi
più utili, oltre che le relative scadenze temporali entro le quali presentare le domande.
I servizi sociali non hanno grandi risorse, non è che vai e ti
risolvono tutto. Ma questo non è neanche giusto. Però qualche cosa c’è. Ad
esempio io ho avuto un aiuto sulla riduzione della retta del nido. Questo,
unito ad un piccolo contributo economico, mi ha dato un po’ di respiro. E
adesso posso cercare lavoro. Il fatto è che queste cose non si sanno mica
tanto in giro. Io è il terzo anno che ho i bambini all’asilo e fino ad oggi
nessuno mi aveva detto niente. Ho scoperto queste cose perché essendo con
l’acqua alla gola mi sono decisa ad andare a chiedere un aiuto. Sarebbe
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meglio che i servizi presenti fossero pubblicizzati un po’ meglio. (Valeria, 37
anni)
Io non sapevo bene della possibilità del contributo per pagare
l’affitto. Poi un giorno sono andata a chiedere aiuto all’assistente sociale e
lei mi ha spiegato un po’ di cose. Il problema è che nel frattempo erano già
scaduti i termini per fare la domanda e adesso devo aspettare un altro
anno…che è lungo….questi servizi dovrebbero essere più conosciuti in giro.
Tanto se poi non hai i requisiti non ti danno niente e se ci sono troppe
domande faranno una selezione. Almeno i soldi vanno a chi ne ha più
bisogno. (Samantha, 36 anni)
Io non sapevo che cosa mi aspettava arrivando ai servizi sociali. In
giro se ne sentivano di tutti i colori. Poi invece mi sono trovata bene e se
c’ero andata prima forse era meglio. Ma io non sapevo neanche bene che
cosa fossero i servizi sociali. In giro non si sente dire praticamente niente se
non qualche articolo sulle adozioni ingiuste….io non sapevo niente…potevo
andarci anche prima, mi sono fatta un mucchio di problemi. Distribuiscono
volantini e pubblicità su ogni cosa, ma dei servizi sociali, chi ha mai visto
niente? Quando c’è qualche cosa di utile! Fossi il comune…ci farebbe anche
bella figura a presentare quello che ha. (Antonella, 41 anni)
Lo stigma negativo associato ai servizi sociali tipico dei decenni passati, in alcuni
soggetti, soprattutto quelli più carenti da un punto di vista culturale, sembra continuare ad
esistere anche in tempi recenti. Questa tipologia di persone non riesce a capire quali
servizi ci possono essere e quali risorse si possono attivare rivolgendosi ad un assistente
sociale.
Io ci sono andata una volta dai servizi sociali a spiegare la mia
situazione. Hanno cercato di capire che cosa possono fare poi… però se ne
sentono dire talmente tante…io francamente ho paura…ho anche due figli
che sono ancora minorenni e sono sola [il marito se ne è andato],
francamente non voglio perderli. Chi sa che cosa fanno. E poi che ci
possono fare sul fatto che non lavoro? Loro mi avevano dato un nuovo
appuntamento per iniziare a capire meglio la mia situazione, ma io non ci
sono andata. Chi sa che cosa mi aspettava?Io non ho mai sentito dire quello
che fanno di preciso… (Valeria, 45 anni)
Io sono finita ai servizi sociali perché una mattina proprio non ce la
facevo più e francamente non mi aspettavo mica tanto….però mi sbagliavo.
Il fatto è che non si sa niente. Adesso io lo dico un po’ in giro alle persone
che conosco e che navigano nelle mie stesse acque. Non ti danno certo uno
stipendio ma, ti rimetti un po’ in circolazione e poi in parte ti senti anche
meno solo e anche questo aiuta. Ad ogni modo io credo che dovrebbero far
conoscere di più quello che fanno gli assistenti sociali. Adesso è poco, anche
perché hanno poco da dare, ma è sempre qualche cosa di importante. (Luca,
41 anni)
59
Una maggiore comunicazione in merito ai servizi esistenti e alle finalità della
relazione d’aiuto all’interno del servizio sociale professionale si rivela fondamentale
anche per una maggiore capacità di sostegno da parte dei servizi nei confronti delle nuove
figure di povero che, non essendosi mai confrontate con questo tipo di problematica,
sembrano essere maggiormente disorientati nella prima fase di attuazione delle strategie di
contrasto dei processi di impoverimento, soprattutto quando questi sono inaspettati e
repentini.
Quando cadi in povertà sei solo. Non sai niente di quello che
potresti avere. Questo credo che valga tantissimo per quelli che, come me,
non hanno mai avuto problemi economici e che non facevano rate nemmeno
per comprare la macchina, perché riuscivano a mettere da parte i soldi
necessari. Nella mia famiglia nessuno ha mai avuto bisogno di niente. I miei
genitori hanno sempre lavorato, grazie a Dio. Io non mi ero mai
preoccupato di che cosa ci potesse essere di aiuto se ti trovi in questa
situazione qua. Sono andato ai servizi sociali quando mi hanno dato lo
sfratto esecutivo. Se c’ero andato prima magari potevo provare a evitare di
perdere la casa, che è stato un problema grosso. Il fatto è che queste cose
dovrebbero essere conosciute di più altrimenti finiscono per usufruirne solo
gli assistiti cronici, che fanno della ricerca di aiuti la loro professione e chi
si vuol rialzare da solo e che magari quindi usa bene quello che il servizio
pubblico gli offre, finisce per rimanere fuori. (Alberto, 52 anni)
b) La borsa lavoro come strumento di sostegno all’occupazione
Alcune delle persone intervistate hanno maturato un’esperienza di lavoro, oppure
stanno lavorando, grazie all’attribuzione di una borsa lavoro frutto di un intervento di
sostegno all’occupazione e di promozione al reinserimento lavorativo autonomo del
soggetto. Il progetto è concordato con l’assistente sociale e prevede l’inserimento
all’interno di una realtà lavorativa, per un periodo di tempo definito dal progetto stesso, in
cambio di una retribuzione mensile di 600 euro per 30 ore settimanali di lavoro. La durata
massima è di 12 mesi con passibilità di proroga per un ulteriori periodo, sempre
concordato con il servizio sociale.
Nel vissuto degli intervistati l’intervento è considerato come prezioso, non solo dal
punto di vista economico, permettendo maggiori entrate monetarie e emancipando il
soggetto dal contributo economico, ma anche per la sua opportunità di riattivare le
competenze lavorative del beneficiario, il quale si sente nuovamente soggetto attivo e
abile nell’esercizio di una professione. Un esempio di questa seconda specie di aiuto si
evince con chiarezza dalle affermazioni di un cittadino in condizione di disoccupazione da
ormai 4 anni.
Io sono disoccupato da 4 anni. Sono stato uno dei primi a cadere nei
licenziamenti da crollo delle commesse. E un bel problema. Preso dallo
sconforto lo scorso anno mi sono rivolto al servizio sociale e insieme, visto
che hanno valutato che ho voglia di lavorare e bisogno di portare a casa
qualche cosa, mi hanno offerto una borsa lavoro. Per me è stata una buona
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occasione perché finalmente mi sono sentito nuovamente buono a fare
qualche cosa, la mattina potevo evitare di andare a bighellonare nelle
strade per non stare di peso a mia moglie che fa dei lavoretti in casa. Che
umiliazione. E’ una bella esperienza e adesso spero che le cooperative con
le quali sono entrato in contatto mi prendano in considerazione. Che sono
un lavoratore è chiaro anche a loro. Comunque questo è un servizio utili per
chi, come me, sapeva fare poco ed era disoccupato da tanto. (Luca, 41 anni)
Nonostante l’unanime valutazione positiva dello strumento della borsa lavoro,
alcuni intervistati, raccontando la loro esperienza, evidenziano delle perplessità alla luce
delle concrete possibilità occupazionali, una volta concluso il periodo di attività stabilito
nel progetto. A questo proposito sembra che lo strumento sia particolarmente utile per
coloro che, al momento del suo inizio, non avevano specifiche competenze professionali.
Per i cittadini che hanno fatto ricorso alla borsa lavoro avendo alle spalle una
buona formazione professionale, spesso anche fortemente specializzata, le attività lavative
vengono viste come un parziale e temporaneo sollievo dalla condizione di disagio nella
quale vertono ma, allo stesso tempo, non vedono in esse la possibilità di migliorare le
probabilità di trovare una propria autonoma occupazione dopo la conclusione del progetto.
In alcune testimonianze si colgono degli elementi che sembrano muoversi in
direzione di un miglioramento dell’efficacia del reinserimento lavorativo. Tra questi si
riporta la possibilità di riuscire a fare dei progetti di borsa lavoro personalizzati e, più
precisamente, in grado di tenere conto, nella misura maggiore possibile, delle specifiche
esperienze professionali possedute. Questa operazione, infatti, permetterebbe agli utenti
del servizio di avere un numero più elevato di possibilità di riproporre le loro competenze
lavorative in un settore occupazionale dove sono più numerose le possibilità di un nuovo
impiego.
Ho la borsa lavoro da 8 mesi. Mi trovo bene. Io però prima facevo il
capomastro nei cantieri dove si lavora il marmo. Avevo un mestiere buono e
di quelli che non li sanno fare tutti. Adesso con la borsa lavoro faccio dei
piccoli lavori di giardinaggio. Li faccio volentieri e il piccolo stipendio già
mi ha fatto risollevare la testa. Ma il problema è che quello non è il mio
mestiere. Io ho già una certa età. Mi mancano 6 anni ad andare in pensione.
Come faccio a maturarli. Forse le borse lavoro potrebbero essere migliorate
cercando di collocare le persone a lavorare, anche pagate poco, nei settori
dove hanno già tanta esperienza in modo che possono avere più possibilità
di rimanere a contatto con il settore che conoscono e sperare così in una
nuova occupazione. Io qui come giardiniere non sarò mai preso, lo so. C’è
gente che lo fa già di mestiere da 15 anni. (Michele, 59 anni)
Poi è arrivata questa borsa lavoro. Utilissima. Mi ha permesso di
respirare un po’. Il fatto è che una volta finita sono stato punto e a capo con
tutta la situazione. Pulivo le aiuole per il comune. L’ho fatto volentieri, ma
finito questo…. a casa. Immagino sia difficile, ma magari si potrebbero
costruire dei progetti di borsa lavoro divisi per settori di attività in modo
che uno possa andare a lavorare facendo quello che sa fare. Io ad esempio
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ho 20 anni di lavoro alle spalle nella cantieristica, so fare un mucchio di
cose. Magari potrei essere anche più utile e redditizio, e poi così mi rimetto
a girare nel mio settore. Faccio vedere quello che so faccia. Presentarsi da
disoccupato con il curriculum in mano a 52 anni è un’impressione diversa, ti
devono credere sulla parola, con la borsa lavoro invece ti possono mettere
alla prova e hai qualche possibilità in più. (Alberto, 52 anni)
c) Il contributo in conto affitto
Un altro strumento di contrasto alla povertà oggetto di riflessione da parte degli
intervistati è stato il contributo in conto affitto. Si tratta di una misura a sostegno delle
famiglie nel pagamento di una quota variabile del canone di locazione in relazione alla
dichiarazione di reddito equivalente ISEE e al rapporto esistente tra reddito disponibile e
entità del canone di locazione. L’importo erogato in ogni caso non può superare i 300 euro
mensili.
La misura è regolamentata dalla Legge 431/98 e dalla Legge Regionale 96/96 che
prevede la possibilità di attingere per l’erogazione di questo tipo di contributo dal Fondo
Sociale Regionale ERP. Vale la pena soffermarsi preliminarmente sugli attuali parametri
previsti per usufruire del contributo al fine di meglio comprendere gli elementi di
riflessione emersi dalle interviste.
Il regolamento attuativo suddivide gli aventi diritto in due categorie:
- la categoria A, che racchiude i soggetti che hanno un livello di ISEE inferiore
agli 11.000 euro. Gli aventi diritto percepiscono il contributo attingendo dal
Fondo Sociale Regionale;
- la categoria B, di parziale competenza comunale, i cui requisiti di attribuzione
vengono stabiliti ogni anno sulla base di un bando ufficiale pubblicato
dall’Ufficio Casa.
Requisiti fondamentali per avere diritto al contributo, oltre ai parametri di reddito
sopra indicati, sono:
- avere un contratto di affitto regolare;
- non trovarsi in condizione di morosità nel pagamento dei canoni di locazione
scaduti. Tale condizione deve essere attestata mediante presentazione delle
rispettive ricevute di pagamento.
Il pagamento delle quote dovute avviene in due soluzioni nell’arco dell’anno
solare. Proprio per questa caratteristica, la misura viene interpretata non tanto come
contributo economico, ma come una sorta di rimborso spese per la gestione dei costi legati
alla casa.
Nell’opinione delle persone intervistate, il contributo per la copertura di una parte
del costo del canone di locazione costituisce una risorsa di fondamentale importanza ed
efficacia per permettere alle persone con difficoltà economica di non perdere la casa. Essi
inoltre sottolineano come la possibilità di salvare la sistemazione alloggiativa sia
importante per evitare l’ulteriore sprofondamento nella condizione di povertà, oppure di
riemergere dalla situazione di indebitamento legata all’accumulo di canoni di locazione
non pagati, che si protrae anche quando le risorse finanziarie cominciano a affluire
nuovamente all’interno del contesto familiare.
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Il problema principale che viene sollevato riguarda la possibilità di riuscire ad
avere accesso alla misura. L’ottenimento del contributo, infatti, è tassativamente legato
all’assenza di qualsiasi posizione debitoria nei confronti delle rate di affitto scadute.
Di seguito alcune riflessioni delle persone intervistate:
Il contributo in conto affitto sarebbe un aiuto importante
perché ci permetterebbe di respirare evitando di accumulare rate di
affitto non pagate. Adesso che poi abbiamo per qualche mese lo
stipendio, avere il contributo significherebbe uscire dalla catena dei
debiti e poter ripartire in pari. Il problema fondamentale è che se non
hai tutte le rate pagate quando presenti la domanda questa ti viene
respinta. Ora secondo me chi ha difficoltà a pagare il canone
solitamente ha delle rate di debito. E’ inevitabile. Con questo
requisito finisce che chi affoga di più continua ad affogare. (Katia, 33
anni)
Il contributo in conto affitto è importante, ma non riesco ad
avere i requisiti per fare domanda. Occorre essere in pari con il
pagamento dell’affitto e io non ce la posso fare. Adesso con il servizio
sociale sto cercando di rimettermi in pari, ma anche per il prossimo
anno credo che rimarrò fuori. E’ un bel problema perché anche se
adesso mi rimetto apposto con i debiti in futuro rischio di ritrovarmi
nella stessa situazione. (Samantha, 36 anni)
Io credo che questo aiuto del contributo per l’affitto
meriterebbe un po’ più di attenzione in modo che sia dato a chi è più
a rischio di non pagare l’affitto e rischia lo sfratto. (Giovanni, 42
anni)
Tab. 4. Riepilogo degli aspetti oggetto di riflessione da parte degli intervistati
Miglioramento della
diffusione del ruolo e delle
funzioni del servizio sociale
- Costruzione di un’informazione
più diffusa su ruolo funzioni e opportunità
derivanti dal ricorso al servizio sociale
professionale in caso di insorgenza di
condizioni di deprivazione economica.
- Maggiore diffusione delle
informazioni relative ai servizi presenti sul
territorio per avere accesso a riduzioni e
benefici di vario genere nel sostenimento di
costi per le esigenze legate alla casa, alla
63
famiglia ecc..
Maggiore
personalizzazione del progetto
per l'attribuzione della borsa
lavoro
- Più attenzione alla formazione
professionale pregressa delle persone
coinvolte nei progetti.
Rivisitazione dei
parametri per l'attribuzione del
contributo in conto affitto
- Maggiore attenzione al reale
livello di disagio da parte delle famiglie nel
pagamento dell’affitto (valutazione
individualizzata)
- Possibilità di avere accesso al
contributo anche in caso di condizione di
morosità, dietro apposita valutazione
effettuata dall’assistente sociale
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CAPITOLO V
ALCUNE PROPOSTE PER IL MIGLIORAMENTO DELLE STRATEGIE DI
CONTRASTO ALLA POVERTA’ PRESENTI SUL TERRITORIO:
5.1. Costruire nuove prospettive attraverso la riflessione congiunta di istituzioni
e soggetti vittime dei processi di impoverimento
Una volta concluse le operazioni di raccolta delle informazioni, mediante l’ascolto
delle esperienze vissute dalle singole persone (attraverso le interviste individuali), i
materiali raccolti sono stati oggetto di riflessione da parte dell’equipe multidisciplinare
(gruppo di pilotaggio). I lavori di studio hanno avuto una duplice funzione: da un lato
operare una prima rielaborazione delle tante sollecitazioni emerse dalle interviste;
dall’altro compiere una selezionare di alcuni temi sui quali concentrare l’attenzione nel
proseguo della ricerca. L’ultima parte dell’indagine prevede infatti l’osservazione delle
caratteristiche dei servizi esistenti e si pone l’obiettivo di giungere alla definizione di
proposte migliorative degli stessi. Il gruppo di pilotaggio ha quindi svolto un ruolo
centrane nelle operazioni di cernita tra i numerosi temi potenzialmente oggetto di
trattazione.
L’ipotesi affrontare all’interno dei focus groups l’intero insieme degli ambiti citati
dagli intervistati come bisognosi di integrazioni, vista la limitatezza numerica degli
incontri è stata esclusa perché rischiava di rivelarsi eccessivamente dispersiva, rendendo
difficile giungere ad un’analisi dotata di una adeguata profondità di riflessione e in grado
di permettere una sintesi in termini di proposte pragmaticamente valide da presentare ai
committenti dell’indagine.
I focus groups sono stati condotti con un gruppo composto da operatori
istituzionali (assistenti sociali, funzionari provinciali), ricercatori e cittadini che
nell’ultimo periodo si sono rivolti ai servizi sociali territoriali formulando una richiesta di
aiuto con riferimento al tema della povertà economica. I lavori si sono concentrati
prevalentemente su due temi:
• il livello e la qualità della diffusione delle informazioni in merito alle
risorse e ai servizi esistenti utili per fronteggiare condizioni di deprivazione
economica;
• i servizi presenti sul territorio per il sostegno all’occupazione.
Particolare attenzione è stata dedicata al progetto “Borse lavoro”.
La circolazione delle informazioni
E’ opinione facilmente condivisibile il fatto che la diffusione delle informazioni
sui servizi sociali esistenti all’interno di un territorio svolga un ruolo centrale nel
prevenire e fronteggiare condizioni di esclusione sociale. Essa infatti costituisce un
importante strumento per raggiungere i cittadini in tempi ripidi in seguito all’insorgenza
del bisogno, evitando così inutili prolungamenti della condizione di disagio da parte degli
stessi. La diffusione delle informazioni inoltre, permettendo al soggetto di formulare la
65
propria richiesta di aiuto con tempestività, può contribuire in maniera sostanziale a quella
che tecnicamente viene definita “riduzione del danno”. In altri termini si evita il rischio
che la condizione di disagio percepita inizialmente dia avvio ad una serie di effetti a
catena che contribuiscono al peggioramento dello stato di bisogno della persona,
spingendola verso percorsi di cronicizzazione e facendo nascere la necessità di interventi
più ampi, maggiormente costosi e spesso di durata superiore.
Il fatto che il processo di aiuto prenda avvio dalla diffusione delle informazioni in
merito ai servizi e le risorse esistenti sul territorio per permettere ai cittadini di potenziare
le proprie strategie di fronteggiamento del disagio e dell’esclusione sociale è sancita anche
dal dettato normativo e più in particolare dalla Legge quadro 328/2000, nella quale viene
esplicitata l’importanza di potenziare il processo di comunicazione verso la cittadinanza
sulle risorse, sui servizi e sulle funzioni svolte dal servizio sociale territoriale. Tra gli
obbiettivi del legislatore rientrano una serie di esigenze quali:
• rendere la popolazione consapevole delle opportunità che il proprio
territorio offre in termini di servizi e di modalità nel loro utilizzo;
• agevolare il lavoro degli operatori sociali che operano sul territorio
attraverso prese in carico tempestive;
• contribuire all’implementazione del sistema informativo interno al
servizio (raccolta e studio dei dati), in modo da rappresentare un valido strumento
nelle mani dei decisori politici al fine di realizzare una più efficiente
programmazione del territorio che tenga conto della domanda di servizi.
La Borsa lavoro
Il difficile rapporto con il mercato del lavoro rappresenta uno dei fattori più
importanti all’interno delle dinamiche di impoverimento. La perdita dell’occupazione
frequentemente rappresenta una delle cause scatenanti a partire dalle quali si innescano
una serie di effetti a catena che, come evidenziato anche all’interno delle narrazioni delle
persone interviste, possono condurre a circuiti di impoverimento progressivo. Da qui è
nata l’esigenza di costruire strumenti di intervento in grado di agire all’interno di questo
delicato e complesso settore. Il sostegno alle capacità lavorativa dell’individuo, infatti,
rappresenta un elemento importante in vista della fuoriuscita in maniera duratura dalla
condizione di povertà economica.
Le Borse lavoro, rivolte a soggetti in condizione di disoccupazione di età compresa
tra i 18 i 55 anni, si propongono un triplice obiettivo:
permettere al cittadino di avere una minima entrata economica per far
fronte alle esigenze proprie e del nucleo familiare, preservando margini più ampi
possibili di autonomia;
contribuisce a ridurre eventuali stati di malessere psicologico derivanti
dalla condizione di inattività forzata, spesso alla base di disagio anche grave e alla
progressiva perdita di capacità di reinserimento all’interno del mercato del lavoro.
Particolarmente importante a questo proposito è il recupero dell’autostima e la
promozione di margini crescenti di inclusione all’interno del contesto comunitario;
rappresenta una valida opportunità per un futuro autonomo
reinserimento lavorativo del soggetto rispetto all’intervento di servizio sociale, grazie
66
alla possibilità di qualificarsi professionalmente e di coltivare una rete di rapporti
lavorativi.
In sintesi il progetto denominato “Borsa lavoro” si propone di promuovere margini
crescenti autonomia attraverso il potenziamento delle competenze lavorative (anche
attraverso la formazione teorica e sul campo), in modo da rappresentare un vero e proprio
investimento sul futuro. Tale intervento si propone anche di contribuire a sottrarre le
persone al rischio di dipendenza e di cronicità nei confronti dei servizi sociali,
conseguente a interventi di sostegno di stampo assistenzialistico e, più in generale, basati
su una relazione di aiuto nella quale il soggetto che fruisce del servizio ha un ruolo
passivo e di “attesa” del beneficio. Attraverso la Borsa lavoro si intende attribuire un
ruolo attivo al soggetto nella costruzione del proprio processo di crescita e di
fronteggiamento dei fattori legati alle dimaniche di impoverimento e più in generale ai
meccanismi di esclusione sociale.
5.2. Il sistema informativo: assistenza sociale e segretariato sociale
La discussione all’interno dei focus groups sul tema della fruibilità delle
informazioni da parte dei cittadini è stata avviata mediante la presentazione dei principali
elementi di criticità emersi con riferimento a questo aspetto durante le diverse interviste.
La sintesi dei contenuti è riportate nel riquadro sottostante. Ai partecipanti è stato chiesto
da subito di manifestare la propria opinione, provvedendo a trattare in maniera più
esaustiva tali elementi e/o facendo le opportune rettifiche.
Costruzione di un’informazione più diffusa su ruolo
Miglioram funzioni e opportunità derivanti dal ricorso al servizio sociale
ento della
professionale in caso di insorgenza di condizioni di
diffusione del
deprivazione economica.
ruolo e delle
Maggiore diffusione delle informazioni relative ai
funzioni del
servizi presenti sul territorio per avere accesso a riduzioni e
servizio sociale benefici di vario genere nel sostenimento di costi per le
esigenze legate alla casa, alla famiglia ecc..
Il tema della circolazione delle informazioni appare come carente con riferimento
a due aspetti fondamentali che spesso rimangono poco chiari alla cittadinanza:
- Che cosa sono i servizi sociali;
- Che cosa fanno gli assistenti sociali;
Si tratta di aspetti fortemente integrati, ma con elementi specifici di non
trascurabile importanza e sui quali vale la pena soffermasi a riflettere.
Per quanto riguarda il primo punto, da parte di molte delle persone intervenute nei
diversi focus groups emerge la percezione, sia alla luce della propria esperienza personale,
sia in base a quanto recepito dalla discussione con conoscenti e amici, che ci sia una
concreta difficoltà a capire che cosa siano veramente i servizi sociali. Molti cittadini
67
continuano a pensare che negli uffici di servizio sociale ci si occupi solo di categorie
particolari di individui tradizionalmente identificati come emarginati quali
tossicodipendenti, portatori di handicap, persone con problemi psichiatrici e, più in
generale, soggetti interessati da gravissime problematiche di esclusione sociale.
Tale percezione, a detta che delle assistenti sociali presenti ai lavori, sembra
rappresentare una delle maggiori cause di “ritardo” nell’arrivo della domanda di aiuto ai
servizi. Molto spesso, infatti, le persone prima di presentarsi al servizio sociale
formulando la propria domanda di aiuto aspettano molto tempo, cercando di utilizzare
tutte le altre possibili risorse esistenti. In questo conteso quando l’operatore sociale inizia
a pianificare il processo di auto la condizione del soggetto e del relativo nucleo familiare
spesso è fortemente compromessa, essendo interessata da forme di disagio che potevano
essere facilmente evitate con un intervento più tempestivo.
In alcuni casi sembra che rimangano poco chiare anche le attività che il servizio
sociale è in grado di offrire e quali siano i requisiti per avere accesso ai progetti e ai
servizi erogati.
Alla luce di quanto detto si comprende bene come la scarsa informazione
contribuisca ad alimentare un ulteriore aspetto che spesso allontana dal servizio sociale: il
senso di vergogna e di fallimento percepito nel varcare la soglia del servizio sociale. Tale
sensazione è particolarmente vera per i così detti “nuovi poveri”, vale a dire per coloro
che sono interessati dagli effetti della povertà per la prima volta nel proprio percorso di
vita, provenendo da una situazione di stabile benessere. Gli uffici di servizio sociale,
quindi, da queste categorie di soggetti non vengono percepiti come luogo di esigibilità di
diritti di cittadinanza.
Tra le ragioni che vengono evidenziate come determinanti della scarsa conoscenza
dei servizi sociali sono molte e fortemente diversificate tra di loro. Ci possono essere casi
legati a scarsi livelli culturali, alle difficoltà nell’orientarsi all’interno di un territorio
straniero (come nel caso dei cittadini immigrati), ma sempre più spesso anche dal
semplice senso di smarrimento legato al trovarsi in una condizione di disagio economico
in tempi brevi e in maniera inaspettata. In questi ultimi casi, spesso, si tratta di persone
che in passato avevano trascurato la raccolta di informazioni sulle reti di sostegno formali
e informali presenti sul territorio ritenendola non pertinenti alle loro esigenze. Sono
proprio questo tipo di soggetti ad essere frequentemente preda della scarsa informazione e
del pregiudizio.
Tra gli operatori sociali partecipanti al gruppo di lavoro è emersa quasi subito la
necessità di evidenziare la presenza sul territorio di un importante luogo di divulgazione
di informazioni e di valutazione della possibilità di una presa i carico immediata delle
situazioni di bisogno: il segretariato sociale.
Il ruolo di tale servizio è stato considerato di grande importanza e funzionalità da
parte di tutti i soggetti del gruppo, anche se non sono mancate le ipotesi di intervento per
renderlo più visibile ed efficace.
Allo sportello di segretariato sociale attualmente presta il suo lavoro un assistente
sociale professionista con funzione di orientamento e consulenza nei confronti dei
cittadini con riferimento alla rete dei servizi socio-assistenziali esistenti sul territorio. In
questo senso il servizio offerto non ha un’utenza definita ma, al contrario, è dedicato ad
accogliere le richieste di tutti i cittadini indistintamente. Le informazioni di indirizzo per
l’avvio di un percorso di aiuto e sostegno all’interno dello stesso servizio sociale o in altre
68
realtà più o meno affini vengono comunicate dall’operatore durante il colloquio, alla luce
della domanda di aiuto formulata in maniera più o meno esplicita dal soggetto richiedente
e rintracciabile dallo stato di bisogno emergente dalla narrazione.
Tale importante servizio, secondo molti dei cittadini partecipanti al gruppo di
lavoro, è però poco conosciuto dalla collettività. Sembrerebbe opportuno quindi che esso
venisse pubblicizzato maggiormente all’esterno presentandolo come uno sportello di
ascolto, supporto e dialogo con la cittadinanza, e non come un luogo per soggetti
interessati da dinamiche di grave emarginazione. In altre parole si tratterebbe di effettuare
una campagna di pubblicizzazione che contribuisse contemporaneamente a combattere lo
stigma che frequentemente contrassegna questi servizi.
In questo senso la lotta alla povertà sembra passare anche attraverso la lotta alla
paura dei servizi sociali e al senso di vergogna per il fatto di trovarsi in una condizione
di temporanea sofferenza economica.
Se sono poco conosciuti i servizi erogati all’interno del territorio per far fronte
alle dinamiche di impoverimento, la figura e il ruolo dell’assistente sociale lo è ancora di
più. Spesso non è chiaro in che cosa si sostanzi il lavoro di questa figura professionale,
frequentemente ridotta a quella di decisone nelle operazioni di erogazione di contributi
economici, tralasciando completamente il ruolo svolto in termini di sostegno, di
informazione e dal punto di vista educativo. In questo senso, sono proprio gli utenti del
servizio sociale presenti all’interno dei gruppi di lavoro a sottolineare l’importanza di
comunicare alla cittadinanza che cosa sia contenuto all’interno della relazione di aiuto tra
assistete sociale e cittadino, magari anche con materiale pubblicitario semplice e diretto.
Riepilogo carenze e proposte di miglioramento in merito al potenziamento del
Segretariato sociale
Carenze
Proposte
è poco conosciuto (ruolo e funzioni)
potenziamento degli strumenti di
comunicazione già esistenti (es. sito
comunale, totem elettronici, informazioni
di presentazione presso Uffici relazioni
con il pubblico e presso il Centro per
l'impiego)
maggiore diffusione di informazioni in
luoghi non istituzionali
Segretariato sociale
maggiore attività di rete con altri servizi
deve essere ampliata la gamma dei servizi
presenti sul territorio (es. Centro per
erogati
l'impiego, Asl ecc.)
collaborazioni più strette tra servizio
maggiore capacità di promuovere ipotesi di sociale e altre agenzie con riferimento
lavoro basate su sinergie istituzionali
alla ricerca del lavoro, la formazione, la
riqualificazione ecc.
Dalla riflessione complessiva su come dovrebbe essere uno sportello di
segretariato sociale efficace nello svolgimento delle sue funzioni ne emerge
un’immagine nella quale concetti fondamentali sono quelli di: accoglienza,
69
progettualità, informazione sulla rete territoriale dei servizi, presenza di personale
competente. In latri termini, ciò che viene descritto è un ufficio non riducibile ad uno
sportello di mera erogazione di informazioni, ma un luogo di accoglienza, ascolto e
dialogo. Gli eventuali strumenti posti in essere per il miglioramento ulteriore del
servizio dovrebbero andare quindi nella direzione di rendere sempre più significative
queste dimensioni costitutive.
5.3. Uno strumento per sostenere le capacità individuali nel processo di
reinserimento lavorativo: le borse lavoro
Il progetto denominato “Borsa lavoro” si propone di essere un utile strumento
per fronteggiare le situazioni di difficoltà incontrate dai cittadini in seguito alla perdita
del lavoro o, più in generale, in caso di difficoltà di inserimento lavorativo, riducendo
così il rischio di marginalità sociale. Esso si colloca all’interno delle politiche di
sostegno all’occupazione e lotta all’esclusione dal mercato del lavoro previste nei Piani
locali di inclusione sociale e approvati dall’Articolazione zonale della Conferenza dei
Sindaci delle Apuane. Lo svolgimento di attività lavorative all’interno della borsa
lavoro prevede un impegno lavorativo da parte dei soggetti interessati per un monte ore
settimanali che va da 18 a 30 ore; la retribuzione può arrivare, nel caso di massima
copertura oraria, a 600 euro. La durata è semestrale, eventualmente rinnovabile per un
ulteriore semestre.
Anche con riferimento al tema della borsa lavoro la discussione all’interno dei
focus groups è stata avviata con la presentazione della sintesi dei punti di vista emersi
durante le interviste individuali e di seguito riportata brevemente:
Maggiore “personalizzazione”
- Più attenzione alla formazione professionale
del progetto per l'attribuzione
pregressa delle persone coinvolte nei progetti.
della borsa lavoro
I nodi centrali sui quali si è sviluppata la riflessione in merito alle borse lavoro
possono essere raccolti in tre gruppi di domande:
1)
Chi concretamente usufruisce della borsa lavoro? (quali tipologie di
soggetti). Quali altre figure ne sono escluse? Tale definizione di accessibilità può
essere considerata adeguata agli obiettivi dello strumento?
2)
Alla luce dell’esperienza maturata, a che cosa serve realmente la borsa
lavoro? Quali sono i benefici effettivi? A che cosa non serve la borsa lavoro, ma
sarebbe utile che servisse?
3)
Quali benefici si riscontrano in termini di fronteggiamento del rischio
povertà durante i mesi in cui si ha la borsa lavoro? Una volta conclusa la borsa
lavoro che cosa succede?
1) Con riferimento al primo insieme di domande, il gruppo di lavoro evidenzia
una buona capacità da parte dei servizi nelle operazioni di individuazione delle tipologie
70
di soggetti che usufruiscono del servizio. I progetti solitamente sono rivolti a persone
che hanno delle capacità lavorative piuttosto elevate e che sono potenzialmente in grado
di inserirsi stabilmente all’interno del mercato dello strumento. In molti casi si tratta di
cittadini che hanno perso il lavoro in seguito alla grave crisi presente ormai da alcuni
anni nei settori trainanti dell’economica locale, come nel caso della cantieristica,
dell’edilizia, dell’artigianato e, non ultimo, nel settore lapideo.
Solitamente si è in presenza di persone che dispongono di competenze
professionali anche di elevata specializzazione, ma che necessitano di un processo di
accompagnamento alla luce delle difficoltà intervenute all’interno del mercato del
lavoro. Molte delle persone che hanno usufruito del servizio nell’ultimo periodo, alcune
delle quali presenti all’interno del gruppo di lavoro, sono giovani alla ricerca della prima
occupazione, oppure uomini e donne ormai adulti (dai 40 ai 60 anni), frequentemente
espulsi dal mercato del lavoro in seguito a licenziamento conseguenti alla riduzione
dell’organico da parte delle aziende, oppure per cessazione dell’attività produttiva.
Un elemento importante che emerge dalla discussione è legato ad una terza
tipologia di soggetti beneficiari del servizio. Si tratta di cittadini che hanno perso il
lavoro, ma che, avendo alle spalle molti anni di attività lavorativa, sono ormai vicini al
raggiungimento dei termini utili per ricorrere al pensionamento. Per questo tipo di figura
da più parti viene sottolineata la necessità di individuare forme di occupazione e
remunerazione alternative alla borsa lavoro.
La borsa lavoro dovrebbe essere orientata sempre più verso la promozione di
possibilità occupazionali di lungo periodo e quindi rivolta a soggetti che hanno davanti a
sé un periodo di vita lavorativa abbastanza lungo. Per tale ragione viene suggerita
l’opportunità di aprire una riflessione sulle possibili collocazioni lavorative alternative
di questi soggetti. Per coloro che sono prossimi al pensionamento, ad esempio, viene
ipotizzata l’idea di pensare alla realizzazione di una sorta di “scivolo verso il
pensionamento” con pagamento dei contributi necessari per attenere la pensione e
contemporaneo impiego della persona all’interno di lavori di utilità sociale per il
numero di anni pari a quelli durante i quali egli avrebbe dovuto continuare a prestare la
propria attività lavorativa.
2) Molti sono gli aspetti di utilità evidenziati nei confronti dello strumento
“borsa lavoro” anche se, in più momenti della discussione si evince che tali benefici,
frequentemente, non esplicano al meglio i propri effetti per ragioni legate alla
particolare definizione del progetto di inserimento lavorativo. I partecipanti sottolineano
come le potenzialità dello strumento siano molto superiori rispetto agli effetti
concretamente raggiunti fino ad oggi.
Cercando di approfondire tali affermazioni emerge che, ad oggi, la borsa di
lavoro è un utile strumento per:
avere una entrata economica che permette di dare un minimo di
sollievo alle famiglie con riferimento ai bisogni primari e per fronteggiare la
frequente condizione debitoria accumulate nel tempo in seguito alla perdita del lavoro.
In questo senso è uno strumento utile per tamponare la condizione di emergenza;
permette di maturare una esperienza lavorativa e di non rimanere
inattivo. Essa si può rivelare particolarmente utile per chi non ha particolari qualifiche
professionali e ha scarse esperienze lavorative pregresse.
71
Con riferimento a questo secondo aspetto, uno degli elementi che vengono
evidenziati da subito come carenti è la scarsa considerazione del fatto che, in molti
casi, le persone che ricorrono a questo strumento sono in possesso di buoni livelli di
conoscenze professionali. Per quest’ultima tipologia di soggetti, forse, sarebbe
opportuno che il progetto di inserimento lavorativo tenesse maggiormente in
considerazione le competenze precedentemente acquisite, soprattutto nella fase di
abbinamento con l’azienda ospitante. Una maggiore valorizzazione delle competenze
pregresse, infatti, si potrebbe tradurre in un numero più elevato di possibilità di
reinserimento autonomo nel mercato del lavoro una volta conclusa la borsa lavoro.
Per muoversi in questa direzione vengono ipotizzate alcune direzioni di lavoro:
avviare i progetti in settori di attività il più vicini possibile alle
competenze del lavoratore. Tale caratteristica permette un maggior rendimento del
soggetto agli occhi del datore di lavoro, che può quindi essere più incentivato
all’assunzione, ma rappresenta anche una valida opportunità per il soggetto
disoccupato per riallacciare relazioni di conoscenza e collaborazione con potenziali
nuovi datori di lavoro diversi da quello dell’azienda ospitante, una volta concluso il
progetto di accompagnamento da parte dei servizi sociali.
definire meglio la relazione tra datore di lavoro e lavoratore e tra
datore di lavoro e servizio sociale. Più in particolare, ciò che viene evidenziata è la
necessità di curare maggiormente il “senso di responsabilità” di coloro che
usufruiscono della possibilità di ampliare il proprio organico lavorativo accogliendo
persone con la borsa lavoro. Non bisogna dimenticare infatti che ai datori di lavoro il
fatto di usufruire delle borse lavoro comporta evidenti vantaggi in termini fiscali e di
rendimento della produzione. Una più attenta selezione delle realtà occupazionali, con
un impegno forte in termini di formazione e nell’individuazione di forme di
supervisione dell’operato dei datori di lavoro, permetterebbe di ampliare le possibilità
di un inserimento lavorativo duraturo nelle attività selezionate una volta concluso il
progetto.
3) Le possibilità e i limiti in termini di capacità della Borsa lavoro di
rappresentare un valido strumento di azione per il reinserimento lavorativo in un periodo
successivo alla sua conclusione, come il lettore può constare, è un aspetto di centrale
importanza che ha attraversato come un filo rosso tutti gli aspetti trattati in precedenza.
Per tale ragione, affrontando esplicitamente questo aspetto, ancora una volta viene
sottolineata la centralità delle operazioni di definizione del progetto e di abbinamento tra
datore di lavoro e lavoratore, così come l’importanza di curare maggiormente le
operazioni di definizione della lista di soggetti interessati a usufruire di lavoratori con
borsa lavoro.
Elemento di forte difficoltà attualmente riscontrato riguarda proprio il senso di
vuoto e smarrimento che colpisce le persone una volta scaduti i termini della borsa,
senza che nessuna reale proposta occupazionale, anche temporanea, si sia presentata.
A questo proposito un elemento che viene sottolineato con molta insistenza è la
possibilità di creare maggiori sinergie da parte del servizio sociale con altre istituzioni
che operano nel settore della promozione dell’occupazione, primo tra tutti il Centro per
72
l’impiego. Una ipotesi di miglioramento concretamente realizzabile in tempi rapidi
potrebbe essere la promozione di una rete di sostegno interistituzionale operante nelle
fasi di definizione e supervisione del progetto Borsa lavoro. Tale sinergia potrebbe
basarsi sulla costruzione di progetti di inserimento in collaborazione con il Centro per
l’impiego ed altre agenzie operanti nello stesso settore, da attuarsi una volta scaduti i
termini della borsa lavoro.
Riepilogo carenze e proposte di miglioramento per potenziare il servizio
“Borsa lavoro”
Carenze
Proposte
poca attenzione alle
qualifiche e esperienze
lavorative pregresse dei
beneficiari del progetto
studio attento degli
abbinamenti tra
lavoratore e realtà
lavorativa oggetto di
inserimento
maggiore attenzione
nella selezione delle
realtà lavorative alla luce
degli sbocchi
occupazionali post-borsa
Progetto "Borsa lavoro"
poca attenzione verso
l'occupazione di lungo
periodo
"responsabilizzazione"
dei datori di lavoro circa
le esigenze formative e
occupazionali dei borsisti
bisogno di progetti in
parte diversi da quello
esistente da dedicare a
persone vicine al
raggiungimento dell’età
pensionabile
maggiore progettazione
in rete da attuarsi con
altre realtà istituzionali
operanti nella
promozione
dell'occupazione
73
Le borse lavoro sono uno strumento che fa della “centralità” della persona e della
sua capacità di autodeterminazione un elemento di primaria importanza. Per tale ragione
uno degli aspetti più importanti è che tale strumento non si trasformi un una sorta di
“sollievo” temporaneo dalla condizione di povertà, ma costituisca un reale momento di
ripresa delle capacità occupazionali del soggetto.
Occorre quindi che i meccanismi di costruzione ed erogazione di borse lavoro si
potenzino ulteriormente, trasformandosi in un importante strumento di promozione
dell’occupazione. Per fare questo occorrerebbe una maggiore sinergia tra Enti e Servizi
coinvolti. Di fondamentale importanza è anche la rete di relazioni attivata all’interno del
progetto e collocata nel contesto comunitario. A questo proposito appare importante la
promozione di margini più elevati di sinergia tra le diverse risorse presenti nel territorio
in modo da promuovere una reale e duratura rete di solidarietà, una cultura della
sensibilità alle problematiche legate alla disoccupazione e, più in generale, al
reinserimento lavorativo di soggetti a rischio di esclusione sociale. Tale attività, secondo
quanto emerso dal gruppo di lavoro, necessita non solo del lavoro da parte degli
assistenti sociali, che effettuano gli abbinamenti e monitorano l’andamento del progetto,
ma anche e soprattutto di un impegno da parte della componente politica. Solo in questo
modo infatti può essere promosso concretamente un disegno di revisione strategica.
74
CAPITOLO VI
LOTTA ALLA POVERTA' E SERVIZIO SOCIALE
Alcune riflessioni a partire dai risultati della ricerca-azione
sui processi di impoverimento
6.1.
Dai risultati dell'indagne alle ipotesi di ricerca: possibilità e limiti
degli assetti istituzionali nel fronteggiare la povertà
Giunti a questo punto del lavoro, fatto tesoro delle riflessioni e delle proposte
emerse dalla ricerca-azione sui meccanismi di impoverimento e sulle strategie di
contrasto attivate e attivabili da parte dei singoli individui, dalle istituzioni e mediante le
opportune sinergie tra questi distinti attori, può essere interessante provare a raccogliere
e rielaborare alcuni elementi che hanno portato alla costruzione di questa ricerca.
Più in particolare pare utile cercare di presentare con maggiore chiarezza e
profondità di analisi le indicazioni proposte dai partecipanti per modificare in termini
migliorativi il contesto delle politiche, dei servizi e degli interventi di contrasto alla
povertà presenti all'interno del territorio. Molte delle indicazioni emerse dalle interviste,
così come durante i lavori dei focus groups, hanno almeno una duplice dimensione.
Ad una prima osservazione, sopratutto se considerate in maniera isolata rispetto
al contesto nel quale sono nate, le considerazioni possono sembrare delle proposte di
carattere strettamente operativo, con forte valenza pragmatica e nel complesso di veloce
integrazione nel contesto dei servizi sociali esistente.
Se ci si sofferma ad analizzare il tessuto più profondo e la discussione
complessiva che hanno generato le ipotesi di lavoro si possono invece individuare linee
guida che vedono nel suggerimento delle migliorie elementi che possono essere
paragonati alla punta di un iceberg, alla cui base vi risiedono informazioni e proposte
che vanno ad impattare sulla filosofia, sulla formae mentis delle politiche e sul modo di
concepire i servizi e le prestazioni a livello locale nella lotta alla povertà.
Allo stesso modo, dall'ascolto dell'esperienza che le persone hanno maturato
nella relazione con il sistema dei servizi sociali, prima ancora che con l'assistente
sociale, vengono veicolati saperi importanti circa il ruolo che tale istituzione è in grado
di esercitare nel contesto attuale con riferimento al tema della povertà; comprendere
quali aspettative essa riesce a soddisfare e quali invece altre rimangono inespresse. Tutto
questo apre la riflessione sui possibili differenti ruoli che il servizio sociale
professionale potrebbe giocare all'interno della più generale rete dei servizi formali e
nella relazione con le risorse informali, individuali e collettive, presenti sul territorio e
finalizzate alla lotta alla povertà.
In altre parole si tratta di costruire alcune prime riflessioni sul ruolo odierno del
servizio sociale, sulle sue funzioni, sugli obiettivi, ma anche sulle potenzialità e sulle
strategie, per rendere tali ipotesi elementi concreti che permettano al servizio sociale di
diventare un attore realmente propulsivo nel contrasto alla povertà.
75
Per addentarci in questo tipo di analisi può essere utile provare a riepilogare,
seppur per grandi linee, alcuni degli elementi di criticità e le proposte emerse dalla
ricerca:
1)
scarsa diffusione delle informazioni sul ruolo e le attività svolte dai
servizi sociali territoriali. Le persone coinvolte nella ricerca, prima ancora di
sperimentare la situazione di disagio legata alla necessità di trovarsi costretti a rivolgersi
alla rete dei servizi sociali per ragioni legate alla povertà, hanno incontrato grosse
difficoltà nel comprendere che cosa fossero i servizi sociali; quale ruolo avrebbe potuto
giocare una terza figura come quella dell'assistente sociale all'interno della propria vita
e in quella della propria famiglia.
Più in particolare le aspettative riscontrate prima dell'accesso al servizio
oscillano tra il fatto di poter avere a disposizione una “figura burocratica” in grado di
dare un aiuto per districarsi nelle pratiche amministrative necessarie per avere un
sostegno di natura economica e la paura di esporre se stessi e i propri cari ad un
percorso di valutazione della propria condotta, non di tipo lavorativo ed economico;
valutazione che avrebbe potuto esporre a interventi e considerazioni nella sfera
relazionale e familiare. Ad esempio essere considerati genitori inadeguati perché
indigenti. In questo senso gli intervistati frequentemente evidenziano il rischio che la
dimensione negativa che caratterizza il problema per il quale ipotizzano di richiede aiuto
si tramuti nell'attribuzione di un connotato negativo della propria identità.
2)
Bisogno di reinterpretare in maniera meno burocratica alcuni interventi
e servizi erogati. A questo proposito la critica di eccessiva standardizzazione non è
rivolta alla relazione con l'assistente sociale che, al contrario in molti casi viene vista
come figura inattesa, vale a dire come non immaginata o sperata di sostegno e di
ascolto.
Ciò che viene avvertito come eccessivamente burocratico è l'impianto delle
prestazioni erogate. A questo proposito vi è quindi quasi una scissione tra quella che è la
relazione d'aiuto fondata sulla reciproca fiducia e sull'ascolto tra utente e assistente
sociale e un insieme di prestazioni che, seppur individuate all'interno di tale canale
relazionale, di fatto sono poco duttili e quindi si rivelano scarsamente capaci di aderite
al vissuto personale del soggetto e di intervenire in maniera veramente efficacie sul
problema. Vale la pena ricordare che queste due dimensioni in molti casi sono avvertite
con lucidità e in maniera consapevole non solo dagli operatori, ma anche dagli utenti
stessi, che colgono la condizione di difficoltà dell'operatore e sviluppano con esso un
atteggiamento di tipo solidaristico. Il riferimento principale in questo senso è ai molti
passaggi nelle interviste in cui l'intervistato ribadisce che, con riferimento alle difficoltà
incontrate nel processo d'aiuto e più in particolare, in relazione ad alcuni tipi di servizi,
come ad esempio la borsa lavoro, “l'assistente sociale non può farci niente, è il servizio
che è così”, oppure “l'assistente sociale mi comprende ma fa quello che può, si da da
fare con quello che ha, con quello che gli mettono a disposizione”.
3)
Un terzo aspetto fortemente legato al precedente è la scarsa possibilità
di vedere il percorso realizzato con il servizio sociale professionale come un trampolino
di lancio capace di rimettere in gioco le risorse del soggetto e provare ad emanciparsi
dalla spirale della povertà. Spesso nelle interviste emerge la visione di un servizio
sociale che può dare un sostegno minimo per sopravvivere, magari per un periodo di
tempo limitato; il percorso per la eventuale fuoriuscita dal disagio non risiede nel
76
progetto di aiuto fornito dalla rete dei servizi, cosa che in parte potrebbe anche essere
plausibile e nemmeno in un progetto di portata più ampia nel quale si mettono insieme
risorse personali e istituzionali.
I contenuti delle interviste e quelli emergenti dal lavoro con i gruppi sono molto
più numerosi di quelli sopra esposti ma, per le finalità del nostro ragionamento,
proviamo a soffermarci su questi primi tre macro aspetti. Rispetto a questi temi, infatti, i
protagonisti della nostra ricerca, cittadini-utenti e assistenti sociali si sono confrontati a
lungo, evidenziando, tra le altre cose, una reale concomitanza di interessi verso una
trasformazioni della situazione esistente in direzione di una maggiore aderenza delle
caratteristiche del servizio e delle attività svolte ai bisogni manifestati dall'utenza.
In questo senso ai ricercatori che hanno condotto le diverse fasi dell'indagine è
parsa evidente una elevata maturità e capacità di analisi di tipo riflessivo da parte di tutti
gli attori coinvolti.
6.2.
Dalle attività di ricerca alla costruzione di nuove prospettive per
l'intervento sociale
A partire dagli input che emergono da queste prime sollecitazioni si comprende
molto bene come appartenga alla natura stessa del servizio sociale il fatto di essere
collocato in una sorta di snodo tra i bisogni della comunità, che giungono agli operatori
declinati nelle storie dei singoli e le risorse presenti e potenziali del territorio. Su
entrambi questi fronti si richiede un lavoro certosino da parte dell'operatore, attività
della quale il servizio in quanto istituzione deve essere consapevole per poter aiutare il
lavoro professionale dei propri operatori.
Da un lato i bisogni debbono essere sottoposti ad una attenta operazione di
decodifica, da svilupparsi con un atteggiamento di ascolto e attenzione verso il vissuto
individuale, ma anche mediante una attenta conoscenza del contesto sociale al quale tale
individuo appartiene. In questo senso il riferimento è alle dinamiche si tipo socioeconomico che insistono sul territorio preso in esame.
Dall'altro le risorse devono essere intercettate in varie sfere di azione
dell'operatore sociale. A questo proposito occorre ricordare che sempre più spesso tale
operazione deve essere compiuta facendo riferimento non solo all'organizzazione
istituzionale dei servizi, ma andando ad operare nella comunità e con gli attori che in
essa di muovono.
Tale prospettiva di lavoro viene ampiamente auspicata dai partecipanti alla
presente ricerca. Da un lato si rimarca la necessità di ascoltare e comprendere,
operazione che in parte viene riconosciuta come già esistente, e dall'altro la necessità di
costruire strategie di contrasto alla povertà condivide e che abbiano le loro radici
all'interno del contesto societario, nello stesso luogo nel quale in passato la persona
aveva uno stili di avita lontano dalla condizione di deprivazione e dove si sono maturate
le condizioni che lo hanno fatto precipitare nella povertà.
In questo senso gli interventi di servizio sociale devono essere pensati sempre
più in modo da riuscire a fornire sostegno all'interno della comunità e non come
77
strumenti in grado di rappresentare un salvagente temporaneo che permette al soggetto
di sopravvivere al confine con il contesto nel quale si trovava inserito in passato.
Un altro elemento fortemente connesso con questo aspetto è costituito dalla
capacità del servizio sociale di rappresentare un importante portavoce di istanze che
arrivano dal basso. Si tratta della voce proveniente dalla parte di popolazione più fragile
e direttamente protagonista, oltre che destinataria, degli interventi definiti dalle politiche
sociali. In altri termini i Servizi si sostanziano un una sorta di connettore tra dimensione
micro e dimensione macro e in questo senso le loro conoscenze debbono avere una
rilevanza crescente nella definizione di nuove forme di intervento e per la progettazione
dei servizi.
Uno degli elementi che emerge con forza dall'analisi delle interviste è
rappresentato, come già evidenziato in altre parti del report, dalla elevata
consapevolezza e dalla lucida analisi delle dinamiche nelle quali i cittadini-utenti
intervistati si sono trovati coinvolti in seguito alla perdita del lavoro, oppure ad altri
eventi che ne hanno determinato il tracollo economico. Tale analisi frequentemente si
estende alla lettura dello scenario più complesso di natura economica e sociale con il
quale essi si trovano a confrontarsi.
Un aspetto che si riscontra con forza delle storie dei soggetti e che viene
esplicitato anche dagli intervistati è rappresentato dagli effetti devastanti derivanti dalla
crisi del tessuto connettivo della società. Gli eventi stressanti, la condizione di malessere
temporaneo, una frattura nel proprio contesto di relazioni informali e così via,
frequentemente matura in un ambiente sociale incapace di svolgere minime funzioni di
sostegno e di solidarietà.
Come facilmente comprensibile questo fondamentale aspetto costituisce parte
integrante del lavoro dei servizi preposti al contrasto della povertà. Le attività da
sviluppare all'interno della comunità si giocano quindi in buona parte anche nella sfera
comunicativa-relazionale e sono destinate a svolgere un'azione di sensibilizzazione del
contesto in modo che questo si impegni nel riassorbire le condizioni di disagio dei suoi
membri più deboli.
Occorre quindi lavorare in modo tale da far sì che la parte “sana” della società si
faccia carico del reinserimento dei suoi soggetti più deboli. Questa è la prospettiva che a
più riprese viene evidenziata dalle assistenti sociali e dai cittadini utenti che hanno
partecipato ai focus groups. Sempre in questo senso tali soggetti, ad esempio,
propongono di operare nella fase di progettazione delle borse lavoro e, più in
particolare, nella scelta della filosofia da porre alla base dell'individuazione dei soggetti
privati presso i quali effettuare gli inserimenti lavorativi.
La disgregazione sociale, il senso di isolamento, le difficoltà crescenti legate ad
un mercato del lavoro che si rivela sempre più instabile e nel dal quale una volta espulsi
è molto difficile farvi nuovamente rientro, sembrano dare luogo ad una spirale di
malessere che, pur avendo inizialmente una matrice economica, si estende molto
rapidamente ad altre sfere della vita del soggetto. A tale proposito occorre specificare
che questa direzione di sviluppo del percorso di deprivazione non è la sola. In alcuni
casi la povertà è esito di una condizione di disagio multidimensionale pregresso presente
nella vita del soggetto e del suo contesto familiare.
All'interno della nostra ricerca, focalizzata sulla figura dei “nuovi poveri”,
ovvero su coloro che sperimentano la deprivazione per la prima volta nella vita, oppure
78
che rivivono tale condizione dopo il raggiungimento di un adeguato livello di benessere
economico, vengono messi in luce alcuni elementi in base ai quali la condizione di
povero opera come detonatore per una pluralità di forme correlate di disagio le quali, a
loro volta, vanno ad incidere negativamente sulle capacità del soggetto di attivare
strategie di fuoriuscita dall'impoverimento.
In relazione a questo tema gli studi scientifici, così come i dati statistici, sono
ancora molto pochi, anche a causa della difficoltà legata alla possibilità di cogliere il
reale ordine dei fattori. Ciò nonostante esistono alcuni approcci teorici e metodologici
all'interno delle scienze sociali che si raccolgono sotto il nome di “approccio orientato ai
processi” che indicano come una serie di elementi e eventi all'interno del contesto
ambientale (condizioni economiche, situazione lavorativa, presenza e possibilità di
accesso ai servizi ecc.) possono assumere un peso rilevante nella nascita e nello
sviluppo della condizione di malessere nell'individuo. Rientrano in questo ambito anche
i fattori come le nuove forme di vulnerabilità e la disoccupazione improvvisa di uno o
più membri della famiglia. Tutti questi elementi si rivelano in grado di influenzare il
livello di benessere di soggetti della famiglia e possono avere un peso rilevante nella sua
evoluzione, mediante l'amplificazione e la perdita delle abilità nella gestione degli
elementi di rischio. Tale condizione può aprire la via all'insorgenza di nuove forme di
disagio, come stati di ansia, disturbi psichici e organici, conflittualità di coppia e con
altri soggetti appartenenti alla rete di relazioni affettive significativa per l'individuo.
All'interno delle storie di vita delle persone intervistate questa progressiva
degenerazione della condizione di disagio si rivela in grado di spingere verso una
condizione di esclusione sociale che tende ad aggravarsi e a cronicizzarsi. A titolo
esemplificativo si ricordano alcune storie di vita in cui dalla perdita del lavoro e dalla
conseguente brusca modificazione degli stili di vita sono insorte condizioni di malessere
psicologico, oppure un crescente stato di ansia e un atteggiamento passivo nei confronti
degli eventi circostanti che, a loro volta, hanno incentivato l'instaurarsi di atteggiamenti
di rassegnazione nei confronti della nuova condizione socio-economica. Uno degli
inviti che derivano dalle riflessioni individuali e collettive dei partecipanti alla ricerca
riguarda proprio la possibilità, da parte del servizio sociale, di andare ad operare in
maniera lucida e tempestiva su questo tipo di dinamiche, attuando strategie di sostegno,
ma anche azioni di tipo preventivo. Da un punto di vista operativo gli stessi livelli di
conoscenza dei cittadini nei confronti del ruolo e del tipo di supporto che può essere
trovato all'interno dei servizi sociali rappresenta un elemento importante per fare in
modo che il soggetto non si rivolga alle istituzioni quando la sua condizione di
malessere è ormai presente da molto tempo e in ragione di questo ha subito forme di
degenerazione e di cronicizzazione.
L'invito ad operare in questo diverso modo si lega al tema più ampio delle soglie
temporali, di reddito e così via in base alle quali il sistema istituzionale ritiene possibile
poter avviare i percorsi di presa in carico da parte dei servizi sociali. In questo senso si
assiste ad un fenomeno in cui, per certi aspetti, sono proprio le istituzioni ad indicare e
selezionare il tipo di utenza in base alle caratteristiche della condizione di disagio più o
meno conclamate.
79
6.3. Dall'attivazione del soggetto alla tutela dell'individuo all'interno del
contesto comunitario
L'International Federation of Social Workers afferma che “la povertà è una
condizione umana caratterizzata da una situazione di prolungata o cronica privazione di
risorse, ma anche di capacità, scelte, sicurezza e potere, necessarie per il godimento di
un adeguato standard di vita e di altri diritti civili, culturali, economici, politici e
sociali”.
A partire da questa definizione fatta oggetto di discussione all'interno dei gruppi
di lavoro sono emerse un insieme di riflessioni che sembrano andare in direzione di una
differente modalità di interpretazione dei concetti di attivazione e di empowerment
rispetto a quelli tradizionalmente utilizzati nell'ambito della riflessione teorica e
metodologica sul lavoro sociale.
Negli studi di settore degli ultimi anni si è assistito ad una crescente enfasi sul
tema dell'attivazione del soggetto, sulla responsabilizzazione e sulla costruzione di
forme crescenti di autodeterminazione della persona. Occorre ricordare che tali concetti
sono parte integrante del vocabolario e dei principi ispiratori del lavoro sociale e
rappresentano un caposaldo delle più recenti teorie di stampo individualista.
Ancora, all'interno del libro bianco del Ministero del welfare viene posta una
grossa attenzione sulle libertà di scelta personali e sulle responsabilità individuali.
Questo approccio pare almeno in parte in contrasto con le situazioni di svantaggio
tipiche dei percorsi di povertà che frequentemente sono caratterizzati da capacità
personali di valutare e da possibilità di scelta e di utilizzazione delle risorse, tra le quali
anche quelle fornite dalla rete dei servizi, molto diverse.
In sostanza quindi vi è il rischio che la dichiarazione teorica di questi principi in
buona parte non trovi reale applicazione nella effettiva capacità delle persone di
effettuare le scelte ad essi più vantaggiose per raggiungere la situazione di benessere
desiderata.
Le condizione di disagio e più in generale di svantaggio che interessano alcuni
individui e contesti familiari sono accompagnati da difficoltà nel riuscire a scegliere e
utilizzare le risorse a disposizione, tra di esse anche la stessa rete dei servizi sociali. E'
proprio questa difficoltà a contribuire nel dare vita e ad alimentare la spirali di
impoverimento. Tali percorsi sono facilmente rintracciabili anche in alcune storie di vita
raccolte nella prima parte della ricerca.
Se quindi da un lato i significati attribuiti all'idea di attivazione e di
empowerment sono parte integrante del principi ispiratori del lavoro sociale, dall'altro
occorre assumere un atteggiamento critico nei confronti di alcuni rischi che possono
presentarsi all'orizzonte nel momento in cui tali concetti vengono sposati in maniera
eccessivamente assiomatica. Come osserva Robert Castel nella sua opera L'insicurezza
sociale, la deburocratizzazione degli interventi e l'esaltazione dell'autodeterminazione
dell'individuo non costituisce di per sé un fattore negativo, ma occorre fare attenzione ad
alcuni aspetti di questa prospettiva:
− essa richiede che tutti i soggetti/attori si trovino su uno stesso piano in termini
di potere. Tale situazione di fatto nell'ambito dei percorsi di fuoriuscita dalla povertà
80
raramente si verifica, in quanto il soggetto povero si trova sempre in una situazione di
svantaggio rispetto agli altri attori con i quali si trova ad interagire.
− Si presuppone che tutti gli individui siano dotati dello stesso bagaglio di risorse
per uscire dalla condizione di disagio. Anche questo secondo principio viene facilmente
smentito all'interno del contesto reale perché, pur considerando la parità di condizione
problematica, soggetti diversi dispongono di livelli di risorse molto differenti.
Comportarsi in maniera uguale nei confronti di persone diverse si traduce
necessariamente in una situazione di disparità di trattamento.
Occorre invece offrire a tutti i soggetti la possibilità di uscire dalla povertà
mediante il riconoscimento di tempi e modalità differenti, individuati sulla base delle
risorse esistenti e costruibili.
A questo aspetto occorre aggiungere un secondo elemento di analisi che si lega
alla effettive carenze nell'ambito sei servizi che frequentemente rendono difficile
concretizzare le spinte di autodeterminazione proclamate. Tale limitazione di risorse e di
possibilità di intervento, ancora una volta, possono comprimere fortemente l'effettiva
libertà della persona nel riuscire ad attivare le risorse individuali e collettive. Occorre
quindi fermarsi a riflettere sulla natura dei servizi e su tipo di risorse che in essi debbono
essere presenti.
Cercando di riepilogare alcuni elementi che sono emersi dall'ascolto dei percorsi
individuali di povertà e dai lavori di gruppo con cittadini-utenti e figure professionali
con competenze specifiche in relazione al contrasto della povertà, emerge un quadro di
riferimento che vede il lavoro sociale come qualche cosa da realizzarsi
contemporaneamente con gli individui e con la comunità. Il processo di aiuto inoltre
permette l'emersione di una serie di problematiche che hanno una componente privata,
soggettiva, ma anche una dimensione intrinsecamente pubblica e che come tale deve
essere affrontata. Non bisogna dimenticare che il fenomeno della povertà rappresenta un
problema che, nella sua natura più profonda, ha un'origine sociale. E' quindi con tale
origine che si rende necessario confrontarsi quando si pensa alla definizione delle
strategie di intervento per il suo contrasto.
In questo senso è fondamentale che il servizio sociale si concentri sulle
trasformazioni che intervengono nelle strutture sociali e sui cambiamenti sociali. Solo
da questa diversa prospettiva, che allontana l'idea di servizio sociale da quella di mero
erogatore di prestazioni, passa il reale assolvimento del compito principale del lavoro
dell'assistente sociale: la promozione della giustizia sociale.
Accade invece troppo spesso che i servizi sociali si rivelino poco consapevoli dei
processi che generano la povertà e dei meccanismi in base ai quali le carenze presenti
all'interno del sistema di welfare contribuiscano a determinare il modo in cui il servizio
sociale progetta ed eroga i propri interventi e le strategie di risposta alla richiesta di
aiuto.
Il contrasto alla povertà occorre quindi che venga realizzato mediante una rete di servizi
che operi in maniera sinergica e lungimirante, capace di lavorare sempre di più in
un'ottica preventiva, oltre che riparativa, all'interno della comunità di riferimento e nella
quale si trovano inseriti i soggetti più vulnerabili.
81
CAPITOLO VII
IMPOVERIMENTO E LAVORO. L’IMPATTO DELLA CRISI SUL
TERRITORIO TRA NUOVE E VECCHIE CONTRADDIZIONI
7.1 Lavoro, crisi e dinamiche di impoverimento.
Il rapporto tra impoverimento e dinamiche occupazionali costituisce un binomio
difficile ed oggi più che mai vischioso. Come chiaramente emerso dall’indagine sulle
dinamiche di impoverimento nel territorio di Massa Carrara, la povertà si presenta infatti
con modalità sempre più svincolate dalla sua immagine ‘tradizionale’, per assumere
contorni sfumati, ambigui, spesso nascosti ed anche per questo più difficili da
individuare, fronteggiare e, anche, conteggiare. Non a caso, il dibattito sociologico
sempre più spesso negli ultimi anni ha parlato di povertà ‘nuova’, ‘diffusa’,
‘provvisoria’, proprio a sottolineare il carattere mutevole di una povertà che si insinua
nelle biografie soggettive delineando percorsi incerti, vulnerabili e sempre meno
prevedibili29. Esperienze di povertà improvvise e inaspettate, infatti, si alternano e si
sommano a traiettorie, individuali e familiari, in cui i fattori di disagio si cumulano in
percorsi caratterizzati da continue cadute e difficili riprese, determinando biografie
rischiosamente frammentate, che costituiscono la faccia più nuova e purtroppo più
diffusa della povertà.
In questa prospettiva, sempre più l’attenzione va posta non alla povertà in quanto
condizione, ma alla povertà come dinamica, vale a dire al processo di impoverimento e,
quindi, all’analisi di quei fattori che (co)determinano o quanto meno contribuiscono allo
scivolamento dell’individuo in questo circuito, spesso, vizioso.
Tra questi fattori, un ruolo particolarmente rilevante è assunto dal lavoro, quale
strumento di riconoscimento sociale e di autonomia, che costituisce il nodo centrale
attorno al quale si costruisce l’identità sociale del soggetto adulto e la sua capacità di
porsi nella società in maniera attiva30. Tuttavia, il lavoro ha visto in questi ultimi anni
un suo progressivo indebolimento, sia per quanto riguarda gli standard qualitativi,
sempre più sottoposti agli stress di una flessibilità spesso declinata come precarietà31, sia
per quanto attiene ai livelli dell’occupazione, a partire dal 2008 drasticamente in calo a
29
P. Alcock e R. Siza (a cura di), Povertà diffuse e classi medie «Sociologia e politiche sociali», vol. 12, n. 3, 2009;
R. Siza, Povertà provvisorie. Le nuove forme del fenomeno, Milano, Franco Angeli, 2009; P.Dovis, C. Saraceno, I nuovi
poveri, Torino, Codice ed., 2011.
30
E. Goffman, Stigma. L’identità negata, Verona, Ombre Corte, 2003, (ed. orig. Stigma. Notes on the Management
of Spoiled Identity, New York, Simon & Schuster Inc., 1963); R. Castel, De l’indigence a l’exclusion, la désaffiliation.
Précarité du travail et vulnérabilité relationnelle, in J. Donzelot (sous la direction), Face a l’exclusion. Le modèle française,
Paris, Esprit, 1991 ; Id., L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti?, Torino, Einaudi, 2004; V Borghi., Esclusione
sociale, lavoro ed istituzioni: un’introduzione, in ID. (a cura di), Vulnerabilità, inclusione sociale e lavoro. Contributi per la
comprensione dei processi di esclusione sociale e delle problematiche di policy, Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 9-34.
31
A. Accornero, Era il secolo del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1997; L. Gallino, L’idea di flessibilità sostenibile:
prospettive e problemi in rapporto a differenti modi di lavorare, in «Quaderni di sociologia», n. 23, 2000, p. 111-128; Id., Il
costo umano della flessibilità, Bari, Laterza, 2003; Id., Lavori flessibili, società flessibile e integrazione sociale, in G. Mari (a
cura di), Libertà, sviluppo, lavoro, Milano, Mondadori, 2004, pp. 65-72; Id., Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità,
Roma, Laterza, 2007.
82
causa della crisi internazionale e dei suoi effetti particolarmente drammatici proprio sul
mercato del lavoro.
Da un lato, infatti, la flessibilità ha inciso sul mercato del lavoro e sulla sua regolazione,
sviluppando rapporti lavorativi che, soprattutto per le classi di lavoratori più giovani, si
caratterizzano molto spesso per una riduzione dei livelli di protezione sociale e di
autonomia, oltre a limitare drasticamente la progettualità della propria vita sociale e
relazionale, come ampiamente mostrato da numerosa letteratura in materia32.
Dall’altro lato, la crisi economica ha impattato su un mercato del lavoro già
profondamente instabile, estendendo l’area dell’incertezza e della precarietà anche a
quelle fasce di lavoratori fino a quel momento considerati più stabili e garantiti. La
conseguenza di questa dinamica è perciò duplice: non solo, infatti, si dilata la sacca di
quella precarietà che, considerata fino a pochi anni fa un fattore ‘temporaneo’ delle
nuove generazioni di lavoratori, sta invece accumunando in maniera trasversale
categorie anagrafiche diverse, divenendo un fenomeno sempre più strutturale e non
passeggero; ma proprio questi cambiamenti stanno determinando un progressivo e ben
visibile indebolimento anche delle famiglie e quindi della ‘tradizionale’ capacità di
queste di ammortizzare la precarietà dei figli grazie alla solidità del reddito dei genitori.
La perdita del lavoro, l’impossibilità di trovare o ritrovare un’occupazione, l’incertezza
del proprio posto di lavoro, così come l’indebolimento dei diritti connessi al proprio
status lavorativo costituiscono insomma i tratti distintivi di una crisi che coinvolge
sempre più trasversalmente fasce diverse di lavoratori e di tipologie di lavoro.
Speculare a tutto questo, c’è poi l’altra faccia della crisi: quella degli imprenditori che
vivono la crisi della propria azienda e dei propri lavoratori, cercando di fronteggiare una
situazione in cui la crisi globale si intreccia alle specifiche difficoltà del tessuto
produttivo locale, acuendo ritardi e amplificando disagi che difficilmente riescono a
trovare una risposta. L’impoverimento, in questo senso, diviene un processo del
territorio, con ricadute che non riguardano solamente l’impatto economico, bensì anche
quello sociale e culturale, svuotando progressivamente il territorio della propria identità.
In questo scenario, diviene quindi ancor più necessario porsi di fronte al problema
lavoro e al rapporto tra crisi, lavoro ed impoverimento con una prospettiva capace di
guardare alla specifica complessità della situazione attuale, cercando di comprenderne i
meccanismi che l’hanno generata, le sue conseguenze, le sue contraddizioni e
particolarità, non con l’obiettivo di individuare soluzioni, ma, appunto, di comprendere
la complessità del fenomeno.
Nel contesto della Provincia di Massa Carrara, tale sforzo diviene particolarmente
complesso, poiché si tratta di un territorio duramente colpito dalla recessione ed in cui la
crisi, come si vedrà nei paragrafi successivi, si è incuneata in una pregressa difficoltà
socio-economica, legata ai profondi cambiamenti della realtà industriale che hanno
caratterizzato gli scenari locali degli ultimi decenni. L’obiettivo di questo
approfondimento, quindi, è quello di indagare, sulla base delle emergenze messe in luce
32
A. Murgia, Dalla precarietà lavorativa alla precarietà sociale. Biografie in transito tra lavoro e non lavoro,
Bologna, Emil, 2010; F. Berton, M. Richiardi, S. Sacchi (a cura di), Flex-insecurity. Perché in Italia la flessibilità diventa
precarietà, Bologna, Il Mulino, 2009; G. Bresciani, M.. Franchi (a cura di), Biografie in transizione. I progetti lavorativi
nell’epoca della flessibilità, Milano, Franco Angeli, 2006; L. Carrera, Viaggiare a vista. Percorsi di vita in tempi di flessibilità,
Milano, Franco Angeli, 2004.
83
dalla ricerca-azione sull’impoverimento, la specifica fisionomia che la crisi ha avuto sul
territorio provinciale, le sue peculiarità e i suoi effetti sui livelli di impoverimento, sia
del territorio che delle famiglie, al fine di sviluppare e proporre una riflessione,
condivisa con i diversi attori locali, istituzionali e non, sulle possibili direzioni da dare a
questa difficile fase economica e sociale.
7.2 Il metodo di ricerca: interviste in profondità e ruolo dei testimoni privilegiati.
Il percorso di ricerca sul rapporto tra crisi, lavoro ed impoverimento nella Provincia di
Massa Carrara si è caratterizzato per una precisa finalità analitica, volta alla
comprensione del fenomeno, piuttosto che alla quantificazione delle sue caratteristiche e
tendenze. Più precisamente, i dati quantitativi sulle dinamiche del mercato del lavoro,
raccolti attraverso l’utilizzo di fonti secondarie, hanno costituito lo scenario all’interno
del quale contestualizzare l’analisi delle tendenze, delle caratteristiche e delle
emergenze che sono emerse interagendo con e nel territorio. Per questo motivo, si è
scelto di sviluppare l’indagine attraverso l’utilizzo di strumenti qualitativi, quale, in
particolare, l’intervista in profondità. Differentemente dall’intervista strutturata,
caratterizzata da domande strettamente codificate e con limitati spazi di autonomia per
l’intervistato, l’intervista in profondità si distingue per un elevato grado di libertà data
all’intervistato e per la specifica rilevanza data all’interazione che si instaura tra
intervistatore, intervistato e contesto di analisi. Si tratta infatti di uno strumento
dinamico e flessibile, in cui il colloquio è organizzato intorno ad alcuni nodi tematici,
che si precisano e si delineano solo nel corso dell’interazione tra intervistato e
intervistatore. L’elevata flessibilità di questo strumento è funzionale a ricostruire i
contenuti narrati dall’intervistato seguendone il flusso di pensieri, ricostruendo cioè i
suoi vissuti e le sue esperienze senza un ordine prestabilito, ma al contrario prestando
attenzione alla centralità, alla rilevanza o al contrario alla marginalità con cui gli
elementi raccontati si posizionano nella narrazione dell’intervistato. L’autonomia
concessa all’intervistato nel modo di esporre, ricostruire ed elaborare i contenuti da lui
narrati, permette infatti al ricercatore di entrare dentro al contesto analizzato,
ricostruendo, attraverso la narrazione, contenuti e significati che potrebbero non
emergere attraverso domande dirette. E’ infatti proprio l’elevato grado di libertà e di
costruttività caratteristici di questo strumento che consente di superare la possibile
resistenza che una domanda diretta può suscitare nell’intervistato, facendo sì che sia lui
stesso a scegliere i modi e i tempi con cui ricostruire l’esperienza narrata. Spetta invece
al ricercatore orientare e guidare la narrazione in maniera tale da non ‘evadere’ gli
argomenti dell’intervista e approfondire adeguatamente i nodi tematici più forti.
Nonostante la sua libertà, l’intervista non strutturata è infatti uno strumento di analisi
scientifico e come tale richiede una precisa attenzione nel suo utilizzo e gestione. I
contenuti raccolti, infatti, devono essere categorizzati in un processo di progressiva
circoscrizione del tema principale e di individuazione dei vari sottotemi scaturisti dal
tema centrale, grazie ai quali si costruisce progressivamente la conoscenza del
fenomeno e la si interpreta sulla base della pluralità dei punti di vista raccolti.
In questo senso, si capisce come tale strumento sia privilegiato per quelle indagini che
cercano di sondare in profondità le dinamiche e le caratteristiche del fenomeno oggetto
84
di studio, e dove la conoscenza del fenomeno stesso è intesa come comprensione dei
processi, individuali e collettivi, che soggiacciono all’oggetto stesso di analisi.
Utilizzando le interviste in profondità, la conoscenza viene infatti generata da un
processo di accumulazione di racconti, esperienze, opinioni e posizioni, che permettono
al ricercatore di elaborare i dati raccolti e costruire progressivamente una visione
d’insieme del fenomeno indagato.
Nel contesto di Massa Carrara, il tentativo di ricostruire la complessità del fenomeno
“crisi” e le sue implicazioni sul mercato del lavoro, tanto dal punto di vista dei
lavoratori, quanto da quello delle imprese, ha richiesto proprio l’utilizzo di uno
strumento aperto e flessibile come l’intervista in profondità. Questo ha permesso infatti
di sondare voci e posizioni diverse, sulla base delle quali ricostruire uno scenario
poliedrico in cui tali voci e posizioni si integrano e a volte si contrappongono. Nel
percorso di ricerca sono stati quindi coinvolti testimoni privilegiati quali assessori locali,
sindacalisti, associazioni di categoria ed imprenditori, ma anche lavoratori, al fine di
ricostruire una descrizione il più possibile esaustiva dell’attuale complessità e,
soprattutto, capace di guardare alla pluralità di interessi, bisogni ed aspettative del
territorio. In questo senso, le dinamiche presentate nei paragrafi successivi non solo
costituiscono un piccolo bagaglio conoscitivo aggiuntivo alla pluralità di studi
sull’argomento, ma tentano anche di lanciare alcuni elementi utili per una riflessione
politica a livello locale e per la progettazione di nuovi strumenti di intervento e
fronteggiamento della crisi.
Più precisamente, nel terzo paragrafo si descrive il contesto socio-economico emerso
attraverso le interviste, insistendo sulla peculiare complessità della crisi nel territorio di
Massa-Carrara, quale esito di un processo cumulativo, non imputabile esclusivamente
alla crisi internazionale scaturita dal 2008. Nel quarto paragrafo, invece, si delineano le
categorie più colpite dalla crisi economica, evidenziando come questa abbia impattato in
maniera particolarmente forte su alcune categorie di soggetti tradizionalmente più
vulnerabili, ma abbia anche determinato l’emergere di nuove fasce di vulnerabilità tra le
categorie fino a pochi anni fa considerate più sicure. Da qui, si entra poi nei vissuti
diretti dei ‘protagonisti’ della crisi: nel quinto paragrafo, infatti, si analizzano le storie,
le esperienze e le strategie di fronteggiamento dei lavoratori colpiti dalla crisi, mentre
nel sesto paragrafo l’attenzione si concentra sulle testimonianze degli imprenditori e sul
modo in cui la crisi ha cambiato il sistema produttivo locale. Con riguardo a
quest’ultima categoria, c’è da sottolineare come il tentativo di entrare in contatto con
diversi imprenditori sia stato particolarmente difficile e non sempre si è avuta una
disponibilità nel concedere l’intervista. Questo purtroppo ha fatto sì che alcuni settori
produttivi particolarmente importanti nel contesto locale, come per esempio il settore
nautico, siano rimasti esclusi dall’indagine, comportando inevitabilmente la costruzione
di uno scenario non del tutto esaustivo. Tuttavia, gli spunti, le riflessioni e le esperienze
raccolte tra gli imprenditori coinvolti nella ricerca, ha permesso di mettere a fuoco una
pluralità di elementi centrali per la comprensione delle dinamiche del territorio.
Infine, nell’ultimo paragrafo si tenta di fare una sintesi, sulla base della pluralità di voci
ed opinioni raccolte, per capire quali siano o possano essere le prospettive del territorio,
i rischi da affrontare e le possibilità di ripresa, focalizzando l’attenzione su alcuni nodi
tematici forti emersi in maniera trasversale a tutti gli intervistati.
85
7.3 Le dinamiche del mercato del lavoro locale: tra condizioni strutturali e criticità
emergenti
Come evidenziato anche dalle statistiche regionali, nel territorio di Massa Carrara
l’impatto della crisi è stato particolarmente forte, mettendo in ginocchio un mercato del
lavoro già caratterizzato da numerose difficoltà. Rispetto ad altri territori della Toscana,
infatti, il mercato del lavoro massese viveva una difficoltà strutturale, che la crisi ha
acuito e reso ancor più complessa. Lo ‘spartiacque’ tra prima del 2008 e dopo il 2008
assume quindi in questo territorio una fisionomia particolare: prima della crisi, infatti,
come sottolineato dall’assessore alle Politiche del Lavoro e della Formazione, la
Provincia di Massa Carrara era riuscita a raggiungere «una soglia di disoccupazione
quasi vicina alla soglia regionale e nazionale, con una ripresa produttiva su un trend
nazionale positivo». Seppur all’interno di un contesto produttivo caratterizzato, come si
vedrà tra breve, da importanti perdite, processi di dismissioni e delocalizzazioni, il
territorio ara riuscito ad assestarsi su livelli occupazionali nella media regionale e
nazionale; tuttavia, la debolezza causata dallo svuotamento di settori produttivi
importanti ha fatto sì che, con l’arrivo della crisi, quella difficoltà strutturale,
apparentemente superata, si acuisse più che mai. Come sottolineano unanimemente i
segretari di CGIL, CISL e UIL, il territorio ha infatti vissuto negli ultimi decenni un
processo di smantellamento delle grandi aree industriali che ha progressivamente
indebolito le possibilità di crescita e di mantenimento della produzione sul territorio:
«il territorio vive una difficoltà strutturale: a livello industriale, le grosse aziende
non ci sono più, a parte la nuova Pignone e abbiamo quindi perso la gran parte
delle produttività, per cui la gran parte dei lavoratori è in cassa integrazione o in
mobilità. […] Si tratta però di una situazione pregressa, esistente già prima della
crisi e che risale agli anni ’80-’90, quando le grandi aziende, anche quelle statali o
para-statali, e i grandi gruppi del chimico – come Montedison-, sono state
smantellate. Bisognava effettuare una riconversione di aziende a carattere locale,
che ha creato una situazione di crisi; al termine di questo difficile percorso è
intervenuta la crisi del 2008, quindi abbiamo avuto la somme di due crisi»
(Segretario UIL)
«Questa zone qui, è una zona che ha incrociato la crisi con maggiore difficoltà
rispetto alle altre province della Toscana. Avevamo già livelli di disoccupazione
più elevati, precariato, disoccupazione femminile, quindi indicatori importanti che
ci davano già al 2008 una situazione di difficoltà. Come si può immaginare, la
crisi ha appesantito ulteriormente perché penso che la considerazione rispetto alla
crisi che ha investito tutto il nostro paese e tutti i paesi, ha toccato un po’ tutti i
settori, ha salvato poco » (Segretaria CGIL)
E’ proprio «la somma delle due crisi» a costituire l’elemento caratterizzante del
territorio provinciale, in quanto, come chiaramente sottolineato dal segretario della UIL,
la crisi internazionale è andata a impattare su un tessuto già vulnerabile e che stava con
fatica rimettendosi al passo. Ne è derivato un indebolimento trasversale a tutti gli ambiti
produttivi, ma che in alcuni settori ha inciso in maniera determinante, legandosi ai
processi, ormai noti nel dibattito nazionale e locale, di globalizzazione e
86
delocalizzazione. E’ il caso, in particolare, del settore metalmeccanico: la chiusura della
Eaton, avvenuta a settembre 2008 a seguito della decisione del gruppo multinazionale di
spostare la produzione in Polonia, costituisce per molti versi l’emblema della crisi sul
territorio, sia perché ha determinato la perdita dell’occupazione per più di 300
lavoratori, sia perché, come esplicitato dai lavoratori stessi, si è trattata di una scelta
motivata non dall’andamento della produzione, ma soltanto dalla logica di
globalizzazione e di abbattimento dei costi33. Situazione in parte simile è quella della
ICA di Aulla, la cui delocalizzazione in Romania ha comportato la perdita del posto per
le 100 donne che vi lavoravano, per altro in un territorio in cui i livelli di disoccupazione
femminili sono da sempre più elevati rispetto alla media regionale.
Il problema dei costi di produzione è stato determinante anche per il settore
tradizionalmente importante dell’economia locale, vale a dire il lapideo: mentre sul
territorio si mantiene ancora forte la parte legata all’escavazione ed alla vendita, è
sempre più drammatica la situazione per quanto riguarda la lavorazione, ormai
sviluppata con tecnologie altamente avanzate dai nuovi paesi emergenti del sud est
asiatico e con costi decisamente più competitivi. Con la crisi, si è così persa in breve
tempo una fetta di mercato importante legata all’export e che con difficoltà si cerca di
recuperare, ben sapendo però, come afferma un imprenditore, che l’irreversibilità della
crisi rende impossibile il ritorno ai livelli di fatturato antecedenti ad essa. Ne è seguito
quindi un «autentico tracollo» per le filiere del marmo, particolarmente sensibile,
secondo il segretario della CISL, proprio a Massa e Carrara e meno nella Versilia.
Inoltre, lo stesso lavoro di escavazione non assorbe più i numeri conosciuti in passato:
«le cave rimangono e il marmo viene venduto bene; gli ambiti occupazionali del
passato, anche 2000 persone nelle cave, orami sono irraggiungibili: dall’Associazione
industriali sento dire 200 persone…» (segretario CISL). Anche il settore della nautica ha
risentito della crisi: presenza importante per il territorio, seppure «di secondo livello
rispetto alla presenza più qualitativa su Viareggio, dove c’è la progettazione, il know
how» (segretario CISL), ha subito negli ultimi anni un drastico ridimensionamento,
provando per altro a riorganizzarsi con modalità particolari e non sempre limpide, quale
in particolare la predilezione per le ditte individuali artigiane rispetto alle assunzioni.
Aspetto, quest’ultimo, comune anche al settore edilizio, che ha registrato un vero e
proprio boom nella costituzione di ditte individuali, recentemente tradottosi però in un
flop: si tratta infatti di forme di impresa particolari, che come ricordano i sindacati «non
hanno le caratteristiche proprie dell’imprenditorialità» e che sono indubbiamente le
prime a risentirne quando il mercato è in difficoltà.
Della crisi ha risentito fortemente anche il turismo, un settore però molo particolare e sul
quale si fermano diverse voci critiche: da un lato, infatti, associazioni datoriali e
imprenditori denunciano la mancanza di una vera e propria attenzione strategica al
turismo, da sempre non valorizzato sul territorio e quindi ancor più vulnerabile di fronte
alla crisi; dall’altro, lavoratori e, soprattutto, sindacati mettono in luce come questo
settore abbia sempre fornito lavoro solo stagionale, spesso deregolamentato e in cui «il
nero fa da padrone»34. Si tratta quindi di un ambito che, soprattutto in questa fase
33
V. infra, paragrafo 6.
34
Le dinamiche del settore turistico, poi, sono strettamente connesse ai processi di de industrializzazione che hanno
caratterizzato sopratutto il settore chimico: la chiusura degli impianti chimici avvenuta negli anni 60-70, infatti, ha «lasciato
87
economica, può costituire una «fonte di sostegno» e una sorta di ‘tampone stagionale’
per alcuni, ma che difficilmente può rappresentare una leva sui cui far ripartire
l’economia locale, mancando una precisa visione strategica sul settore. Una questione,
quest’ultima, che, con motivazioni e argomentazioni diverse, viene posta tanto dalle
imprese quanto dai sindacati:
«Questo è un territorio incapace di valorizzare la sua vocazione turistica. Quale è la
logica per cui la gente qua spende di meno? Noi dal 2007 siamo in crisi, ci rivolgiamo
anche all’estero, però se noi come territorio non invogliamo la gente a venire in
questa città, la gente non viene. Tutti i dipendenti pubblici che sono lì a vessare, se
fossero impiegati in controlli veri e funzionali, per esempio il fiume da pulire, le
strade da sistemare, il problema della prostituzione nella Versilia, tutto questo ha un
impatto grosso sull’economia turistica. Io su questo non posso agire e posso agire
solo sui costi e così mi devo adeguare». (Imprenditrice settore turistico)
«È un turismo sulle seconde case perché gli alberghi non è che siano tanti, chi ha la
casa viene però non è un turismo che incide tanto, purtroppo anche in termini di PIL
non ha mai rappresentato tanto, abbiamo il mare le montagne però come dicevo a
livello economico incide molto poco, è un territorio che non è stato valorizzato perché
ce ne sarebbero di risorse ma probabilmente ci siamo accontentati, è sempre stato un
turismo “mordi e fuggi”, un arrotondamento, perché l’importanza era l’industria, il
pilastro portante, avere un’attività come quella del marmo che dal punto di vista
economico era davvero importante, il porto… cioè teoricamente non ci mancherebbe
nulla, però probabilmente ci manca una giusta politica a livello locale». (Segretaria
CGIL)
Come emerge chiaramente dalle parole dalla segretaria della CGIL, il territorio ha
sempre avuto una forte vocazione industriale, che ha costituito il nucleo centrale
dell’economia locale e messo ‘in secondo piano’ il settore turistico, inteso più come
settore complementare dell’economia più che come risorsa in sè; la progressiva
deindustrializzazione prima e la crisi internazionale ora, hanno posto però il territorio di
fronte ad un cambiamento radicale, svuotandolo della propria identità industriale e
lasciando spazio a potenziali nuovi ambii che tuttavia faticano ad acquisire un’effettiva,
autonoma centralità. In questo senso, sottolineano trasversalmente tutti gli intervistati, il
problema non è legato esclusivamente alla congiuntura economica, ma ad un particolare
approccio culturale del territorio, incapace di puntare sulla ripresa con una prospettiva
ampia, integrata e coesa. Emblematiche a questo proposito le parole del segretario della
UIL:
«Fa sorridere e crea anche amarezza che quando si fanno gli incontri pubblici tutti
fanno, però quando si tratta di fare le cose, tutti ci dimentichiamo. Si guarda solo al
proprio pezzetto, non c’è la capacità di fare sintesi. […] Per esempio, anni fa
dovevamo fare il PASR, ma ogni Comune voleva avere il proprio pezzettino, ogni
categoria voleva avere il proprio pezzetto, tutti dovevano avere il proprio contentino
[…] E’ necessario un passaggio più stretto col territorio invece negli ultimi 2 anni
abbiamo fatto al massimo 2 tavoli. […]Altro esempio il PAL. È stato firmato con
drammi ambientali enormi» che certo non giovano al turismo, così come lo smantellamento, in tempi più recenti, di numerosi
impianti industriali pone il problema della bonifica e riqualificazione di ampi spazi non più utilizzati.
88
molto ritardo, però era previsto un passaggio con i sindacati e invece non l’hanno
fatto».
Questa frammentazione in piccoli centri d’interesse, criticata da istituzioni, associazioni
di categoria, imprenditori e sindacati, rende particolarmente complesso il percorso di
rilancio, anche perché rischia di tradursi molto spesso, come si vedrà, nella sterile
contrapposizione di ruoli e posizioni, rafforzando ancora di più la vulnerabilità del
territorio e indebolendo ulteriormente le sue risorse. Si tratta di una questione che
chiaramente prescinde dalla crisi, ma che mai come ora rischia di diventare
determinante, poiché incrocia pericolosamente le dinamiche della crisi con le condizioni
strutturali del territorio e con i suoi approcci politici e culturali.
7.4 Crisi economica e nuove vulnerabilità
Come mostrato dalla letteratura sul tema, la crisi ha colpito trasversalmente settori
produttivi e categorie di lavoratori, generando nuove sacche di crescente vulnerabilità35.
All’interno di queste categorie, tuttavia, alcune sono più colpite di altre: si tratta di quei
gruppi considerati già più vulnerabili prima della crisi, quali le donne e i giovani, ma
anche di un nuovo gruppo, considerato fino a pochi anni fa al riparo dai rischi della
crescente precarizzazione del mercato del lavoro, vale a dire i lavoratori over 45.
In questo scenario, la Provincia di Massa Carrara non fa eccezione: le donne, da sempre
categoria particolarmente debole su questo territorio36, hanno risentito fortemente della
crisi ed in molte si trovano disoccupate a causa della chiusura di aziende a prevalente
occupazione femminile (è il caso della ICA di Aulla) o in situazione di precarizzazione,
per la crescente difficoltà delle cooperative attive nell’ambito dei servizi sociali e socioassistenziali (soprattutto nella zona della Lunigiana), tradizionalmente bacino
privilegiato per l’occupazione femminile. Per questa categoria, il reingresso nel mercato
del lavoro risulta molto difficile, perché al lavoro remunerato si sommano le attività di
cura familiare difficilmente conciliabili dati gli scarsi strumenti di conciliazione
esistenti37, come evidenziano le interviste sotto riportate:
«Per le donne è difficile ritrovare una collocazione perché magari ci sono i bimbi
piccoli, quindi una questione è quando già lavori in un’azienda, ma se devi andare
a cercare un nuovo lavoro diventa più difficile trovare una collocazione; anche
perché magari ti devi spostare e quando ci sono bambini piccoli, magari con gli
orari della scuola, l’influenza, una malattia…Fortunatamente in Italia ci sono
ancor i nonni, c’è questa famiglia che regge, fortunatamente perchè dal punto di
35
P. Dovis, C. Saraceno, I nuovi poveri, Torino, Codice ed., 2011; G.B. Sgritta, Dentro la crisi. Povertà e processi
di impoverimento in tre aree metropolitane, Milano, Franco Angeli 2010; R. Siza, Le povertà delle classi medie e dei “ceti
popolari”, in P. Alcock e R. Siza (a cura di), Povertà diffuse e classi medie, in «Sociologia e politiche sociali», vol. 12, n. 3,
2009, pp. 25-52; R. Siza, Povertà provvisorie. Le nuove forme del fenomeno, Milano, Franco Angeli, 2009.
36
A tale proposito cfr. anche Rapporto economia Massa Carrara 2013.
37
Cfr. a tale proposito: G. Esping-Andersen, Oltre lo stato assistenziale.“Per un nuovo patto tra generazioni”,
Milano, Garzanti, 2010; Id. The Incomplete Revolution. Adapting welfare states to women's new roles, Cambridge,
Cambridge Polity Press, 2009; A. R. Hochschild, Per amore o per denaro. La commercializzazione della vita intima,
Bologna, Il Mulino, 2006; C. Saraceno, La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia: paradossi
ed equilibri imperfetti, in «Polis», n. 2, 2003, pp. 553-586; Id., Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna,
Il Mulino, 2003.
89
vista del sostegno delle strutture ne trovi poche, perché le strutture, gli asili
mancano. Sì, ci sono, ma sono a pagamento e quindi tutto diventa più complicato.
Anche all’intero delle aziende, da noi per lo meno, non ci sono ancora gli asili
all’interno delle aziende, come succede all’estero, dove anche le aziende hanno un
occhio maggiore per la tutela della famiglia. Noi cerchiamo di muoverci, ma è
ancora troppo complicato». (ex- lavoratrice ICA)
«Diventa difficile trovare un lavoro, poi tieni conto che ci sono moltissime ragazze
giovani, sui 25-26 anni, e quindi lì mettono i paletti[…] Per le ragazze giovani il
problema è che magari tu vuoi mettere su famiglia, ecco che poi tu richiedi la
maternità e anche se magari alcune aziende te lo dicono apertamente, altre te lo
mettono tra le righe, ti fanno anche firmare i licenziamenti in bianco, purtroppo
esiste anche questo. Altre invece arrivano all’età che sei sui 45, è vero c’è la
professionalità, possono usufruire degli sgravi, però c’è l’età che…un ragazzo di
25 anni è visto più benevolmente, anche perché da noi è più la mamma ancora che
chiede i congedi parentali, oppure anche di giorno quando il figlio è al disotto dei
tre anni, per cui la mamma è la mamma ed una viene vista sempre più in maniera
penalizzante». (ex- lavoratrice ICA)
Dai due stralci riportati risulta evidente come per le donne si sommino diversi fattori e la
ricerca di un (nuovo) posto di lavoro diventi ancor più complessa, sia perché mancano
strutture e strumenti che facilitano la conciliazione tra attività di cura e lavoro, sia
perché permane, almeno in alcuni contesti, una certa rigidità culturale, che vede le
donne dotate di una minore affidabilità, a causa dei molteplici impegni di cura familiare
che svolgono. Si tratta in effetti di un circuito vizioso da cui è difficile uscire senza la
messa a punto di adeguati strumenti e tutele per la donna, e che anzi tende oggi ad
aggravarsi con i sempre più frequenti casi di dimissioni in bianco in caso di maternità.
In questo senso, come evidenzia una delle intervistate, «gli step anagrafici per noi donne
sono più penalizzanti».
Per i giovani, la situazione è ugualmente complessa: il tasso di disoccupazione giovanile
nel territorio provinciale è infatti drammaticamente elevato e decisamente superiore alla
media regionale38. Per questa categoria il problema è tanto la disoccupazione in sé,
quanto, là dove un’occupazione c’è, l’imbrigliamento in forme di lavoro flessibili,
sempre più precarie, svincolate dal riconoscimento di diritti e tutele e incapaci di
conferire autonomia economica ai giovani.
A queste due categorie, per le quali «la disoccupazione è schizzata» a livelli
elevatissimi, si affiancano poi gli uomini nella fascia 45-55 anni, una fascia anagrafica
particolarmente a rischio di esclusione dal mercato del lavoro, in quanto ancora troppo
giovani per uscire dal mercato, ma non più abbastanza appetibili per questo.
«C’è poi una nuova tipologia: la fascia dei 45-55enni, espulsi dai processi produttivi
per la chiusura di molte aziende e che di fatto si trovano in una situazione di limbo
perché troppo avanti con l’età per rientrare nel mercato del lavoro e quindi poco
appetibili, ma, dal punto di vista delle riforme che ci sono state sul piano
previdenziale, troppo giovani per accedere al percorso pensionistico. Questa è una
fascia che si sta ingrossando in maniera consistente e che io vedo come maggiore
criticità perché al momento è difficile costruire una risposta. Una persona tra i 4538
Nel 2011, il tasso di disoccupazione giovanile nella Provincia di Massa Carrara è pari al 34,5%.
90
55 anni per reinserirsi sul mercato è una sfida molto molto complicata» (exassessore al lavoro e alla formazione)
«il quadro è molto fosco e nel quadro fosco i soggetti più deboli sono i giovani, che
non riescono più a trovare un lavoro, le donne, che oggettivamente sono più fragili
per i motivi che sappiamo, ma poi il dato drammatico secondo me è che anche i
lavoratori che erano considerati tra virgolette forti, non lo sono più» (segretaria
CGIL)
Così come affermato dall’ex-assessore, molti degli intervistati ritengono che questa
fascia sia quella che esplicita meglio l’intensità della crisi sul territorio; soprattutto
perché, in un sistema di welfare ancora impostato sul modello del male breadwinner, la
fuoriuscita forzata dal mercato del lavoro dei 45-55enni fa saltare quel circuito di
supporto informale, basato sulla reciprocità familiare, che fino ad ora aveva costituito un
‘salvagente’ per i giovani bloccati in forme di lavoro flessibili, spesso poco garantite e
sottopagate39. Nel momento in cui anche i genitori lavoratori si trovano a condividere
con i figli la stessa prospettive di precarietà, sotto lavoro o mancato lavoro, la capacità
familiare di fronteggiare e attutire il rischio si riduce fortemente, mentre si amplia
spaventosamente quello di entrare in circuiti ricorsivi di impoverimento individuale e
familiare.
7.5 Contraddizioni, rischi e precarietà: la crisi vista dai lavoratori
Nei racconti dei lavoratori intervistati, la crisi assume due differenti fisionomie: da un
lato c’è la crisi dovuta alla chiusura di aziende che non sono riuscite a reggere la
dinamica economica attuale; è il caso, soprattutto, delle aziende più piccole, o di settori
già indeboliti sul territorio per il processo di deindustrializzazione che, come si è visto,
ha caratterizzato i due decenni precedenti. Dall’altro, invece, c’è la crisi determinata dai
processi di globalizzazione e delocalizzazione, che, soprattutto in una fase di recessione
internazionale, hanno reso ancor più competitivo lo spostamento di impianti e
produzioni in altre zone d’Europa o del mondo. In questo caso, la chiusura non è
motivata dal calo della produzione, ma soltanto da una scelta strategica di mercato, che
caratterizza soprattutto le realtà produttive inserite in gruppi multinazionali. Anzi, come
sottolineano più volte i lavoratori intervistati, in questi casi la chiusura delle aziende ha
più volte coinciso con i momenti di massime produzione, determinando, ai loro occhi,
una contraddizione stridente, come nel caso della Eaton a Massa e della ICA ad Aulla.
«Quando noi abbiamo chiuso avevamo ancora molte commesse in mano, ma non
c'era più la volontà dell'imprenditore di investire lì perchè non era più
remunerativo; si potevano trovare anche nuova commesse, si poteva pensare a come
re-industrializzare, anche con produzioni diverse, noi per esempio nell'ultimo anno
avevamo cominciato a fare schede per strumenti di tecnologia avanzata […] o
perlomeno dovevano essere più chiari con tutte le maestranze: pensa che diverse di
noi non hanno fatto le ferie perchè aspettavano dei materiali e poi ai primi di
39
A tale proposito si rimanda all’ampia letteratura sul tema del welfare familista, quale in particolare i testi di G.
Esping-Andersen (1990, 2000, 2002) e, con specifico riferimento al caso italiano, di M. Ferrera (1996, 1998).
91
settembre hanno chiuso, cioè è un paradosso... quello che secondo me hanno
sbagliato è il non fare un passaggio con tutti i lavoratori, fare una cosa condivisa,
hanno provato a farlo quando ormai era troppo tardi, quando l'azienda era già
chiusa ed erano perse tutte le commesse, invece non l'hanno voluto fare quando era
opportuno». (ex-lavoratrice ICA)
«così è iniziata quest’avventura, che poi è finita come sappiamo, perché l’azienda
ha deciso di investire nei paesi a basso costo, ha delocalizzato; in più probabilmente
c’è di mezzo tutta la vicenda Fiat, perché noi lavoravamo per la componentistica
auto e la Fiat aveva un peso del 50% sul nostro fatturato». (ex- lavoratore Eaton)
«Ho vissuto e visto tutto il periodo di floridità dell’azienda; quando sono entrata io
era fiorente, fai conto che arrivavamo ad occupare, tramite ICA e le cooperative
esterne, 120 persone, un’azienda che c’era da 30 anni. L’azienda lavorava
principalmente per il gruppo elettrodomestici Candy ed Elettrolux, all’inizio era
quasi un fondo, poi via via in 30 anni è cresciuta, si è allargata, aveva due
capannoni e le cooperative esterne […] Nel 2005-2006 hanno aperto un sito in
Romania, quindi c’è stata una delocalizzazione prettamente di manovalanza (per i
cablaggi), mentre le schede elettroniche, continuavano ad essere tutte in Italia,
quella che richiedeva una professionalità maggiore, era rimasta in Italia, forse
anche perché era più difficile portare quella lavorazione all’estero. Invece poi ad
ottobre 2008 è stata firmata dai soci la liquidazione volontaria e dal dicembre 2008
siamo entrate nel procedimento di ci straordinaria» (ex-lavoratrice ICA)
Nei casi delle aziende più grandi, inoltre, la delocalizzazione ha comportato anche un
inevitabile effetto domino per tutto l’indotto, determinando così l’ulteriore chiusura di
numerose piccole o medie imprese, che da un giorno all’altro hanno visto venir meno il
proprio mercato di riferimento.
Ma la crisi non ha riguardato soltanto l’industria: come rileva la segretaria della CGIL,
anche tutto il settore dei servizi ne ha risentito fortemente, sia per quanto riguarda il
commercio, sia per quanto riguarda il settore dei professionisti, soprattutto per i giovani
e per le donne, sempre più spesso sottoposti a condizioni lavorative non tutelate e
remunerate. La contrazione delle tutele e dei diritti sul lavoro è per altro un elemento
che la crisi ha drammaticamente acuito, in maniera sempre più trasversale a tutte le
categorie di lavoratori. Questo elemento viene messo in luce tanto dai lavoratori, quanto
dai sindacati; questi ultimi, in particolare, con la crisi riscontrano una maggiore
difficoltà nell'entrare in contatto con i lavoratori, sopratutto delle aziende piccole e
nuove, e parallelamente una maggiore necessità di sviluppare contrattazione difensiva e
servizi di tutela individuale.
«Io mi sono posta questa domanda: perché non c’è sufficiente risposta a questa
crisi anche in termini di lotta sociale, rispetto al passato? Ma ora i precari non
possono scioperare, gli apprendisti, che hanno 4 anni di apprendistato – in una
banca per esempio ora si entra con 4 anni di apprendistato – e quindi non possono
scioperare, poi in tante aziende dopo la crisi si attiva il meccanismo della crisi
mondiale e quindi voglio dire si va riducendo visibilmente anche la platea delle
persone che possono manifestare e fare uno sciopero. La gente è anche spaventata,
conosco aziende giovani nel territorio in cui come sindacato facciamo fatica a
entrare, c’è una signora che ha paura di andare ad un’assemblea; sembrano cose
92
dall’altro mondo, ma è così; e queste sono cose che fino a poco tempo fa
mettevamo in conto nelle piccole aziende, perché di solito il piccolo padrone non
vuole in mezzo il sindacato, ma ora anche nella aziende più grandi si vivono queste
cose qui. Soprattutto nelle aziende più nuove, quelle che ormai hanno una
tradizione del sindacato al loro interno ormai ci sono abituati, invece aziende
nuove, molto rampanti, per esempio nella nautica, queste aziende qui il sindacato
non lo vogliono neanche all’uscio» (Segretaria CGIL)
Nella difficile situazione economica attuale, sembra quindi prevalere l'idea del lavoro
«basta che ci sia», senza vedere riconosciuti e tutelati i propri diritti, perché non ci si
può permettere di rifiutare una possibilità di occupazione o pretendere di trovarne una
nuova con gli stessi standard di sicurezze e garanzie goduti in passato, perché, «con la
crisi che ha colpito, stai lottando solo in difesa, si stanno rimangiando tutto».
Si tratta tuttavia di una dinamica pericolosa, perché rischia di legittimare, sotto la
'protezione' della crisi economica, modelli di comportamento e approcci deregolativi che
tendono a consolidarsi in prassi consuete. In questo senso, la crisi del lavoro non è
soltanto quantitativa (perdita del lavoro, aumento della disoccupazione etc...), ma è
anche qualitativa, poiché va ad intaccare e, progressivamente, erodere le garanzie ed i
sistemi di protezione definiti dallo statuto dei lavoratori. Per questi, il processo di
destabilizzazione connesso alla perdita del lavoro, all'indebolimento dei propri diritti,
all'incertezza di una prospettiva che al massimo può offrire solo lavori di scarsa qualità
e, sopratutto, precari, alimenta un più ampio processo di destabilizzazione soggettiva,
con ricadute pesanti tanto sul piano identitario, quanto sulla rete familiare.
Dal punto di vista della soggettività individuale, infatti, è trasversale a tutti i disoccupati
intervistati un senso di vuoto, implicato dalla repentina rottura causata dalle perdita del
lavoro, fattore centrale della vita adulta, sul quale si costruisce la propria identità sociale
e attraverso il quale si è riconosciuti con un ruolo nella propria collettività di
riferimento:.
«mentre prima avevi bene o male delle certezze, facevi dei sacrifici però avevi della
certezza, quando questa non c'è più e come se ti crollasse il mondo addosso. Quando
uno va a lavorare lo sa che il dieci del mese viene pagato e questo ti permette di fare
delle cose, non so: per chi è giovane avere una prospettiva, poter comprare casa
perchè magari lavorando in due si può accedere ad un mutuo, invece...se uno si è
spostato da poco e voleva dei figli ci pensi un attimo, perchè non hai una sicurezza».
(ex-impiegata ICA)
«Ad oggi, il fatto di essere a casa mi ha condizionato sotto diversi aspetti: il trauma
più grande l'ho avuto dopo 17 anni di lavoro continuativo andando al Centro per
l'Impiego a fare la domanda di mobilità. Quello è stato il giorno più triste perchè
[…] avevo sempre lavorato, non avevo mai conosciuto l'assegno di disoccupazione e
invece ritrovarsi dopo anni in questa situazione, non è piacevole» (ex-operaio
EATON).
«Io ero abituata ad avere impostata la mia giornata in una certa maniera: la casa, il
lavoro, i figli, la scuola...e mi sono ritrovata ad aver perso un equilibrio, ho perso
proprio il mio equilibrio e mi sono trovata doppiamente spiazzata: spiazzata perchè
sapevo di non avere più il mio lavoro e quindi sapevo che sarei andata incontro a
93
delle problematiche economiche, e secondariamente mi sono trovata anche dei
vuoti, delle ore vuote, anche moralmente ero, come posso spiegare, abbattuta anche
moralmente perchè il mio lavoro era al centro della mia giornata». (ex-dipendente
azienda settore farmaceutico)
La perdita del lavoro costituisce quindi un turning point40 centrale nelle biografie degli
intervistati, sia per quanto riguarda la loro quotidianità, la cui routine viene spezzata da
un vuoto che si riempie di significati importanti (le problematiche economiche, la
mancanza di prospettive, le preoccupazioni per il benessere familiare etc...), sia per
quanto riguarda la propria collocazione identitaria: molto frequente, infatti, è il senso di
isolamento causato dal vuoto della disoccupazione, la sensazione di essere messo ai
margini rispetto al proprio contesto sociale, perché «il lavoro è relazioni» e quando
questo viene a mancare «ti senti come abbandonato, sei in solitudine […], senti la
mancanza di quello che è il tuo mondo, dove passi nove ore al giorno e dove spesso
condividi parte della tua vita». In questo senso emerge chiaramente come il lavoro
contribuisca fortemente a costruire non solo l'identità sociale dell'individuo, ma anche il
senso di appartenenza ad un contesto e ad un gruppo.
Allargando la prospettiva alle relazioni del soggetto con il proprio contesto familiare di
appartenenza, si evidenzia inoltre come la perdita del lavoro costituisca spesso un
elemento cruciale nel sistema di vita familiare, sia perché ne intacca l'organizzazione di
ruoli e mansioni, sia perché è causa di un peggioramento dei livelli di benessere
familiare. Tanto la dimensione socio-relazionale, quanto quella economica della
famiglia sono perciò sottoposte ad un profondo stress, rendendo necessario il
riassestamento su equilibri diversi e, spesso, più precari.
«sì, abbiamo un grande supporto, ma non economico, però nella logistica sì: i figli
più grandi quando escono da scuola mangiano dalla nonna e per il più piccolino mi
aiutano tutte e due le nonne. Per me un supporto grande è quello: avere due persone
vicine che ti aiutano molto». (lavoratrice precaria, in cassa integrazione)
«Attualmente vivo in una bellissima casa, sul mare, con giardino, perché era una
scelta di vita fatta con la mia compagna, magari di rinunciare ad una pizza il sabato
sera e avere una casa che in qualche modo ci soddisfacesse e che mi desse la gioia
di tornare a casa; purtroppo essere senza lavoro mi ha condizionato perché gli
affitti sono pesanti e ho dovuto riorganizzarmi e fortunatamente abbiamo trovato
un’altra casa, anche quella ci soddisfa». (ex-operaio EATON)
«E’ dura. Io ho tre figli: una di 19 anni ed uno di 16 e l’ultimo di 4, perciò ho due
figli alle superiori ed uno all’asilo. Con le spese della scuola, è dura, devi gestirli,
è l’età in cui possono chiederti qualcosa di più, però noi siamo sempre riusciti
fortunatamente ad arrivare in fondo, ci priviamo di tante cose, non esiste una cena
fuori o una vacanza; però io dico: noi siamo fortunati, perché almeno viviamo in
un posto sul mare, perciò in fondo la facciamo gratis la vacanza, i miei suoceri
stanno vicinissimi al mare, la vacanza è sempre quella però la fai, anche per i
40
Cfr. A. Strauss, Mirrors and Masks: The Search for Identity, Glencoe, The Free Press, 1959; N. Nicholson and M.
West, Transitions, Work Histories, and Careers, in M.B. Arthur et al. (eds.), Handbook of Career Theory, Cambridge,
Cambridge University Press, 1989, pp. 181-201.
94
ragazzi […]. E poi giochi tutti i fattori possibili, perché ci sono le visite mediche,
gli occhiali, i controlli dal dentista, è logico la spesa è subito grande essendo una
famiglia numerosa, per noi è grande tutto, anche la spesa settimanale, perché
siamo in cinque!». (lavoratrice precaria, in distacco da cassa integrazione)
Emerge così, come un elemento dato quasi per scontato, come di fronte alla crisi si
debba far affidamento sulle proprie capacità di fronteggiamento, che divengono
maggiori se c'è una rete familiare capace di supportare, economicamente, ma anche
affettivamente, il cambiamento vissuto. Risulta infatti chiaro che gli intervistati non
abbiano delle aspettative nei confronti delle istituzioni locali o nazionali; certamente,
vorrebbero vedere una maggior capacità di investire le poche risorse disponibili da
destinare alla formazione in attività più adeguate e coerenti con le possibilità del
territorio41. Tuttavia, sono anche consapevoli che, nonostante i tentativi della Provincia
e dei Centri per l’Impiego di attivare percorsi formativi, il problema vero resta la
capacità di riattivare il territorio.
«La Provincia mette in atto tutto quello che ci può essere, mette a disposizione dei
corsi spesso a suo carico per poter riformare delle figure professionali da reinserire
in questo nuovo mondo, però nonostante tutto…certo, sono utili, però questo è un
ambiente povero…Per esempio tante ragazze hanno fatto dei corsi di pc perché non
sapevano usarlo, perché sono entrate a lavorare in azienda trenta anni fa quando
ancora il pc non era diffuso, ceto se ci fosse che qualcuno venisse a reindustrializzare, facendo anche altre tipologie produttive, allora sarebbero tutte ben
disposte a riqualificarsi, perché poi ognuno diventa abile nel lavoro che faceva,
allora ci sarebbero nuove prospettive di lavoro. Ora attualmente ci sono tanti corsi
OSA, alcune ragazze lo hanno fatto e sono state anche distaccate dalla c.i. e alcune
sono state assunte e altre stanno tuttora facendo dei corsi attraverso la carta ILA»
(ex-impiegata ICA.
«L’offerta del Centro per l’Impiego per la formazione è sicuramente una vasta
gamma, ma non riescono ad essere offerte mirate, vengono fatti più per adempimenti
di legge». (ex-operaio EATON).
In questo senso, la critica forse più forte e, come si vedrà, trasversale a molte categorie
di intervistati, è quella di non riuscire a fare uno sforzo condiviso, da parte di istituzioni,
imprese e politica, per riattivare il territorio, rilanciandone le potenzialità e
rivitalizzando i settori tradizionalmente forti. Si tratta di una sfida importante e
sicuramente non facile, ma che secondo gli intervistati deve partire dalla volontà di
investire nel territorio dandogli una nuova possibilità.
7.6 Territorio, globalizzazione e politica: la crisi vista dalle imprese
La sfida di investire sul territorio è sicuramente un elemento che accomuna lavoratori e
imprenditori. Quello delle imprese, tuttavia, è un mondo particolarmente complesso e
sfaccettato, che dal confronto con la crisi esce indebolito e, soprattutto, dotato di una
consapevolezza forte: l’impossibilità di tornare ai livelli di crescita pre-crisi e la
41
Su questo aspetto cfr. anche paragrafo 7.
95
necessità, quindi, di doversi rapportare a un mondo che in pochi anni è cambiato
radicalmente. Questa consapevolezza è particolarmente evidente nel settore
tradizionalmente trainante l’economia del territorio, vale a dire il lapideo:
«con la crisi del 2008 è finito tutto, è cambiato tutto; dalla sera alla mattina non si
sentivano telefoni squillare, non arrivavano richieste, ordini, come se fosse
successa una catastrofe mondiale, quale poi in effetti è stata. Siamo andati avanti
con gli ordini fino a giugno 2009. Eravamo impreparati ad affrontare la crisi;
abbiamo avuto una diminuzione del 50% del fatturato. Oggi la crisi persiste per
tutti, comunque un po’ di progetti importanti riappaiono, un po’ di lavoro c’è.
Manca però la fornitura di semilavorato che si faceva precedentemente, perché
emergono paesi come Cina, India, Indonesia, che esportano direttamente i loro
materiali, prima lo facevamo noi. Esportano loro perché hanno costi di
lavorazione più bassi, con tecnologie di ultima generazione fornite da aziende
europee. Lavorano come noi o anche meglio, però a costi che noi non possiamo
permetterci. A noi resta il know-how della lavorazione di marmi importanti, quello
sulla trasformazione che ancora non fanno, perché gli manca quel final touch.
Però la mass production viene fatta là, in Cina e India, perché i costi sono più
bassi». (imprenditore settore lapideo)
«La crisi è irreversibile, non c’è soluzione se non ridurre il fatturato e lavorare
materiali e prodotti italiani non è facile da fare […] La qualità ormai è un must
per tutti, che non solo noi sappiamo dare. L’unico punto d’intervento quindi è il
prezzo e su questo noi non possiamo competere». (imprenditore settore lapideo)
L’irreversibilità della crisi, intesa come processo che ha determinato un cambiamento
profondo nel modo di concepire la produzione e la crescita a livello di sistema, si lega
chiaramente, anche negli scenari locali, alle dinamiche connesse alla globalizzazione ed
al rafforzarsi dei nuovi paesi emergenti. Per chi vuole mantenere la produzione sul
territorio, quindi, superare la crisi è ancora più difficile perché la competizione, su scala
globale, si gioca su costi di produzione decisamente bassi, impossibili per le aziende del
territorio. Come evidenziato chiaramente nelle interviste riportate, anche la sfida sulla
qualità è in gran parte persa, poiché paesi come Cina e India si sono /si stanno dotando
di elevati livelli di qualità, grazie a know-how e brevetti acquistati in Europa. Per settori
come il lapideo, il vantaggio italiano resta confinato ad alcuni spazi in cui la produzione
asiatica è sì sviluppata, ma non ancora abbastanza conosciuta dagli acquirenti europei,
che per questo motivo continuano a preferire il prodotto italiano. Tuttavia, come
evidenzia uno degli imprenditori intervistati, si tratta di un vantaggio solo temporaneo,
che è destinato inevitabilmente a finire una volta che le produzioni asiatiche riusciranno
a farsi conoscere meglio su tutti i mercati.
«Il rischio è che nel giro di 5-6 anni siano distrutte tutte le aziende, con tutto
l’indotto sul territorio. Per fortuna nel mondo c’è ancora l’architetto europeo che
conosce i materiali classici e non asiatici e nei suoi progetti mette questi materiali;
questo però non accade con gli architetti asiatici; faccio un esempio: il botticino
classico, così come il bianco Carrara per gli architetti sono materiali classici,
conosciuti da tutti; se però parlo di M605, che è un materiale cinese, nessuno qua
sa cosa è. In prospettiva però quando questi materiali saranno conosciuti da tutti
anche questa fascia di mercato non sarà più nostra» (imprenditore settore lapideo)
96
In questa prospettiva, la critica degli imprenditori è rivolta alla cecità ed alla mancanza
di prospettive del sistema italiano, incapace di investire in ricerca e tecnologie e di
svilupparne le potenzialità in termini di ricaduta sull’industria e sul paese nel suo
complesso. Si tratta di una criticità evidenziata trasversalmente da tutti gli imprenditori
intervistati e che investe tanto la politica locale, quanto quella nazionale.
«Questo è un discorso che chiama in campo la politica locale, che dovrebbe
mantenere in loco tutte le produzioni. […]Su tutto questo entra in gioco la politica:
noi imprenditori non possiamo farci niente; se la politica continua così, nel
territorio ci saranno meno aziende. Fino a 4-5 anni fa c’era tutto un sistema
finanziario, bancario forte e capace di aiutare chi voleva intraprendere. Oggi
questo sistema viene a mancare e le aziende ne soffrono; gli imprenditori del
nostro territorio hanno conoscenze e competenze per produrre un Pil nel settore
lapideo decisamente maggiore, quindi spetta alla politica un intervento importante
e di certo non facile» (imprenditore settore lapideo)
«Le prospettive del territorio le vedo difficili; il sindaco uscente, che io stimo e so
che è in buona fede, non ci è riuscito, credo che sia difficile per chiunque arriva,
veda il caso del governo Monti: è riuscito solo a fare il primo pezzettino, poi si è
bloccato sull’onda degli interessi particolari… qui manca la buona politica,
manca una visione politica del territorio, capace di dire ho queste vocazioni,
questo faccio per arrivarci. Io cittadino se lo condivido resto, altrimenti me ne
vado» (imprenditrice settore turistico)
La politica costituisce così una sorta di macro categoria all’interno della quale
confluiscono più elementi di criticità: rivolgendosi ai livelli nazionali, si denuncia la
mancanza di un sistema creditizio capace di supportare e far ripartire le imprese, la
mancanza di investimenti importanti in ricerca e sviluppo ed il peso degli adempimenti
amministrativi e burocratici, giudicati eccessivi. A livello di politica locale, invece, si
critica l’incapacità di definire la propria vocazione territoriale, la scarsa abilità nel
valorizzare le risorse esistenti, come per esempio il turismo, e la tendenza ad un
provincialismo che si chiude su se stesso e rende il territorio marginale rispetto alle altre
aree della Regione. Con riferimento alle specificità del territorio, poi, si critica la
mancanza di una cultura imprenditoriale vera e propria e la presenza, secondo alcuni
imprenditori, di un atteggiamento tendenzialmente assistenzialista, che rende ancora più
difficile il rilancio del territorio.
«Poi se un territorio è abituato più di altri di vivere su sussidi e sistemi di
welfare…qui l’Asl ha assunto più persone che in molti altri territori; siamo stati
abituati ad essere foraggiati più su risorse pubbliche, relazioni amicali e familismo
che su competenze proprie, questo ci porta ad avere più difficoltà a rimboccarci le
maniche. Per esempio: la crisi degli anni ‘80: qui c’erano pochi imprenditori; in
quella fase si sono rimboccati le maniche per ripartire, c’è stata un’ondata
imprenditoriale importante in reazione alla crisi; se succederà anche per questa
crisi non lo so» (Dirigente Associazione Industriali)
«Qui poi c’è un problema culturale: c’è una mancata vocazione delle persone al
lavoro […] Riportare la grande industria qui è impossibile perché qui non c’è
97
vocazione a lavorare delle persone; questo in molti lo spiegano come un distacco
emotivo dalla grande industria e non si è riusciti a ricreare un certo tipo di
fidelizzazione nei confronti del lavoro» (Imprenditrice settore turistico)
Al momento, non si hanno elementi a sufficienza per convalidare la fondatezza di questa
ipotesi; tuttavia, si tratta di un elemento interessante, quanto sicuramente controverso
che meriterebbe un approfondimento specifico. Quello che è certo, è che in questa
situazione di particolare complessità, la debolezza delle imprese, accanto alla mancata
definizione di una strategia di superamento, ricade sul territorio e in particolare sui
lavoratori, con operazioni di tagli sul personale:
«l’impatto sull’occupazione è stato pesante, perché nel nostro settore, quello dei
servizi, l’elemento di costo più pesante sul quale si incide per sopravvivere è
proprio sul personale. Purtroppo a seguito del calo dei fatturati, si è dovuto
ridurre il personale, perché si è calato il prezzo. Alcune categorie sono diciamo
protette, quelle indotta dalla folle burocrazia messa in piedi in questi anni, perchè
degli amministrativi non posso farne a meno, ma sul ricevimento posso sacrificare
qualche posto, anche se questo significa dare un servizio peggiore al cliente e
sacrificare qualcuno del personale. L’impatto è molto forte anche per noi e stiamo
facendo una valutazione di strategia, vale a dire stiamo cercando di capire se vale
la pena tenere aperto o no». (imprenditrice settore turistico)
«Abbiamo ridotto il numero di dipendenti: attualmente sono una cinquantina
rispetto ai novanta che erano prima della crisi. I macchinari per il granito sono
stati venduti in India, perché in loco ormai questa produzione è terminata e stiamo
utilizzando i capannoni dei macchinari come sala mostre per le lastre di marmo».
(imprenditore settore lapideo)
«Nell’estate 2008 abbiamo capito che andava male e abbiamo lavorato sul conto
economico, abbiamo fatto un’analisi di cosa potevamo toccare senza creare grossi
problemi ai lavoratori e all’azienda. Abbiamo fatto un’analisi di tutta la
situazione: abbiamo tagliato tutti i co.co.co e tutte le situazioni di part-time
volontario; su 45 persone un paio sono state accompagnate alla pensione. Nel
frattempo però abbiamo trasformato un tempo determinato in un indeterminato, un
ingegnere». (imprenditore settore edile)
Tanto per gli imprenditori, quanto per i lavoratori, la crisi mette in luce la necessità di
sviluppare una riflessione attenta e fattiva a livello di territorio: un territorio complesso e
particolarmente indebolito, su cui tutti sono concordi nell’affermare la necessità e la
possibilità di una sua valorizzazione, quale volano per tentare un rilancio dell’economia
locale, ma che sembra faccia fatica a tradursi in uno sforzo pratico congiunto e capace di
coinvolgere il sistema locale nel suo insieme.
98
7.7 Quali prospettive? Ipotesi, rischi e scenari possibili per la ripresa del territorio.
Le voci e le esperienze raccolte raccontano le diverse sfaccettature della crisi e
contribuiscono a definire un panorama complesso e articolato, che, rispetto ad altri
territori provinciali, risente di una
maggiore difficoltà pre-esistente e di una certa percezione di marginalità. Nonostante le
visioni, a volte anche fortemente divergenti, espresse dalle diverse categorie di soggetti
intervistati, è interessante notare come le strategie di uscita o quanto meno i nodi
tematici indicati come fondamentali per tentare di uscire da questa situazione di stallo e
impoverimento, tendano a coincidere in maniera trasversale tra i gruppi di soggetti
intervistati. Prima fra tutte, c’è una denuncia nei confronti della politica nazionale, alla
quale si imputa la responsabilità di non saper proporre un cambiamento effettivo ed
efficace. Tali critiche, seppur con declinazioni e interpretazioni diverse, accomunano
tanto gli imprenditori, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, quanto i lavoratori
e le associazioni di categoria, come evidente nelle interviste sotto riportate.
«Se fosse vero che il costo del lavoro in Italia non può reggere la concorrenza di
altri paesi (uso il condizionale perché abbiamo visto che la Germania che ha un
costo del lavoro più alto non ha perso tutte quelle imprese che ha perso l’Italia),
ma ipotizzando che questa sia una verità, quello che più mi è dispiaciuto del non
fare da parte della politica è stato il non mantenere l’intelligence dalla grande
industria: perché per lo meno la tesa di ponte dell’industria, l’intelligenza
attraverso lo sviluppo e la ricerca e l’innovazione va fatto in Italia, perché noi
possiamo dare sotto questo aspetto; allora se il lavoro diretto, quello degli
operai, potrebbe venir meno, però per lo meno assicurate un futuro ai nostri figli,
mantenendo la testa delle imprese, la ricerca e lo sviluppo e invece neanche
questo è stato fatto. così vengono meno anche i saperi e le nostre competenze e li
lasciamo scappare». (ex-operaio Eaton)
«Non sono state fatte scelte decise a sostegno dell’economia, alle attività
produttive, di sostegno al reddito […] quindi a livello nazionale si deve avere in
mente dei cambiamenti». (segretaria CGIL)
«Per cambiare ci vorrebbe un cambiamento della classe politica dirigente, più
incentivi da parte del governo, questo paese manca di quello: una politica
nazionale seria e un ricambio generazionale». (Presidente Lega Coop)
Se quello della politica nazionale costituisce un leitmotiv ricorrente, altrettanto forte è
l’attenzione per le debolezze del territorio o, ancor meglio, per la sua incapacità di
valorizzare le risorse che ha, promuovendo un cambiamento tanto a livello economicoproduttivo, quanto culturale e di mentalità. Nei confronti della dimensione territoriale, si
possono infatti mettere in luce almeno quattro nodi tematici, individuati dagli intervistati
come fondamentali per superare la difficoltà della crisi attuale.
a. Le leve di sviluppo. Il nodo più forte su cui si concentrano tutte le voci degli
intervistati, è sicuramente quello della mancata capacità/volontà di far leva sulle
effettive «vocazioni del territorio». Per tutti, infatti, appare quanto mai necessario
99
riuscire a definire i settori, potenzialmente forti, dell’economica locale, valorizzarli ed
investire su di essi.
«Individuare 3-4 cose da fare e puntare tutti su queste. Per esempio: io ho iniziato a fare
il sindacalista molti anni fa e già si parlava di fare il porto turistico, ma il problema c’è
sempre e il porto non è ancora stato fatto […] Ora qualche buona possibilità ci sarebbe:
per esempio, nell’industria alla Pignone e alla retro portuale usata dalla Pignone, ma
anche qui bisogna puntarci, cercare di rispondere con maggiore occupazione locale e gli
imprenditori dovrebbero fare maggiormente rete, anche per garantire alla nuovo
Pignone un indotto migliore e più forte. Le tipologie della Pignone possono servire per
diversi settori, gruppi che possono fare da volano al nostro territorio. Anche il porto è
un’altra risorsa importante; ad alcune vertenze siamo riusciti a dare non una soluzione,
ma un indirizzo sì, per esempio per i cantieri navali: abbiamo invertito il trend che
vedeva dismissioni sul territorio». (segretario UIL)
«E poi un nodo cruciale secondo me da risolvere in questo territorio…ci sarebbe da
chiudersi in una stanza un po’ tutti e uscire fuori con qualche idea rispetto allo sviluppo
del territorio, chiedersi dove si arriva col turismo, con l’industria, che cosa vuol dire
marmo, non utilizzare il marmo solo per l’escavazione, ma valorizzare la risorsa che
abbiamo, e valorizzare anche le zone di degrado perché il turismo …bisogna iniziare a
ragionare che se si vuol far diventare una ricchezza il turismo, si deve essere in qualche
maniera competitivi anche con la qualità dei servizi che gli altri paesi emergenti stanno
offrendo. Poi ci sono dei nodi da sciogliere sulle infrastrutture, il porto: ora sembrava
una situazione più tranquilla perché si erano messi d’accordo per fare un piano
regolatore fra i vari comuni, la regione etc., però anche lì, il futuro del
porto…ampliamento sì, ampliamento no…i collegamenti, cioè vanno definiti! Sono venti
anni che stiamo a ragionare su un porto turistico, in Italia c’è da tutte le parti! Sono
certa che l’indecisione sull’area abbandonata…in attesa del porto turistico allontaniamo
il turismo. Si hanno poi anche problemi strutturali, mi viene in mente l’assetto
idrogeologico del territorio, stanno franando i monti, stanno saltando i fossi […] se non
risolviamo questi problemi qui è impossibile. Io penso che questi problemi dovrebbero
essere l’obiettivo comune di tutti. (segretaria CGIL)
«Noi abbiamo il marmo, è un fattore distintivo; e questo è un vantaggio. Dopodiché il
settore oggi non esprime le potenzialità che potrebbe dare. Penso alla cultura del marmo,
al designer, all’architettura, bisognerebbe far partire un sistema molto più creativo e non
materiale come è oggi. Abbiamo poi un sistema di localizzazione industriali, il porto;
l’auspicata realizzazione del porto turistico e il rafforzamento di quello commerciale
potrebbe essere una leve importante. Potremmo giocare una partita interessante sul polo
della meccanica dei grandi volumi. Questi sono i tre assi più importanti. Va poi
mantenuto vivo il tessuto di piccole medie imprese meccaniche: questa è a vera sfida e la
più difficile forse. Atre cose, la Lunigiana: dovrebbe diventare una di quelle cose tipo
Montalcino, cioè questi posti dove si trova ambiente, prodotti naturali, vini, cose capaci
di imporsi un po’ sui giornali. L’altra cosa che abbiamo è Carrara, una città che ha un
suo fascino unico, con un centro storico straordinario, e questo dovrebbe essere
valorizzato». (Direttore Associazioni Industriali)
Nelle parole degli intervistati, appare chiaro come il territorio avrebbe numerose
potenzialità su cui investire; sarebbe tuttavia importante riuscire a dare delle priorità, in
maniera tale, come afferma il segretario della UIL, da «individuare 3-4 cose da fare e
100
puntare tutti su queste». In questa prospettiva, una difficoltà sostanziale sta nel decidere
quali siano le effettive e più forti vocazioni del territorio: l’industria nautica, così come
quella lapidea, il porto ed il settore turistico sono quelle maggiormente evidenziate, ma
con priorità, aspettative e interessi spesso fortemente diversi, che rendono difficile
convergere su scelte comuni o quanto meno condivise. Da un lato, infatti, l’industria ha
costituito il polmone forte dell’economia e si evidenzia la volontà di valorizzare le
risorse più tipiche, prime tra tutti il marmo; su questo fronte, l’obiettivo auspicato è
quello di potenziare, accanto all’escavazione, anche la lavorazione in loco, grazie alla
quale si riattiverebbe un indotto importante per tutto il territorio. Sul fronte portuale e su
tutta l’area connessa all’industria nautica, invece, si evidenzia una certa ambiguità, sia
per la difficoltà di scegliere tra una vocazione turistica ed una maggiormente legata
all’industria ed al trasporto merci, sia per la particolare condizioni delle aziende
collegate alla nautica: come mette in luce il segretario della CISL, anche per queste
aziende «c’è stato un picco che però si è drasticamente ridimensionato» e, inoltre, si
tratta di una «presenza di secondo livello, rispetto a quella più qualitativa di Viareggio»,
dove c’è la parte connessa alla progettazione ed al know how (ibidem). C’è poi la risorsa
turismo, da molti vista come una leva potenzialmente molto forte, ma che non si riesce a
far decollare per molti e diversi motivi, come chiaramente evidenziato tanto dai
sindacati, quanto da imprenditori ed associazioni di categoria. In tutto questo, sembra
giocare un ruolo importante anche la collocazione geografica e la cultura del territorio.
b. La collocazione geografica e la cultura del territorio. Un elemento che incide
fortemente sulla situazione del territorio è la sua collocazione geografica nel contesto
regionale: rispetto alle altre province, infatti, Massa Carrara risente di una distanza e,
quasi, di un isolamento, che si traduce in una percezione di marginalità rispetto alla
Regione. Non si tratta, quindi, di una distanza solo geografica, ma anzi questa diviene
una distanza in termini di possibilità di incidere nelle scelte e negli interventi regionali.
Come afferma chiaramente il segretario della UIL, infatti «per la nostra collocazione
geografica, poi, non abbiamo neanche un rapporto facile con la RT e anche questo
incide perché rischiamo di prendere solo pacchetti di soluzioni già fatti da altri […] E’
necessario un passaggio più stretto col territorio […] Dalla Regione ci arrivano i
pacchetti pre-confezionati: a Firenze si decide e qui non si discute!». Questa mancanza
di comunicazione tra Regione e territorio amplifica anche il tendenziale
«provincialismo» che secondo molti intervistati caratterizza la zona di Massa Carrara,
radicando così le divisioni e le rigidità a livello locale.
c. Segmentazione e rigidità. Ad ostacolare fortemente le possibilità del territorio
interviene anche, secondo gli intervistati, una certa rigidità e segmentazione a livello
territoriale, che rende difficile ogni ragionamento di tipo concertativo per un eccessivo
radicamento alla dimensione comunale e locale. Si tratta di un atteggiamento che viene
chiaramente messo in luce da diversi intervistati e, in particolare, dai sindacalisti, ma
che trova riscontro anche in diverse esplicitazioni dei lavoratori.
«Abbiamo due città come Massa e Carrara che sono gemelle, con due piani
regolatori, un’area comune che è quella della zona industriale, consorzio
insieme…e litigi continui, alla fine ci sono divisioni politiche che purtroppo
101
provocano indeterminatezza nelle scelte…queste cose qui secondo me complicano
molto». (Segretaria CGIL)
«La prima cosa sarebbe trovare coesione territoriale vera […] Fa sorridere e crea
anche amarezza che quando si fanno gli incontri pubblici tutti fanno, però quando
si tratta di fare le cose, tutti ci dimentichiamo. Si guarda solo al proprio pezzetto,
non c’è la capacità di fare sintesi. Per esempio: i Comuni di Massa, Carrara e
Montignoso hanno 3 momenti elettorali diversi, quindi ogni anno siamo bloccati
perché o l’uno o l’altro sono in campagna elettorale e non si può fare niente, e
questo ricade sul territorio». (Segretario UIL)
Soprattutto in una fase di crisi come quella attuale, questa «incapacità di fare sintesi» è
più che mai rischiosa, perché preclude la possibilità di una strategia condivisa, in cui le
specificità e le caratteristiche locali possano costituire un valore aggiunto per il territorio
nel suo complesso, piuttosto che un elemento di irrigidimento e, quindi, di ulteriore
stallo e difficoltà.
d. La formazione. Un ultimo elemento su cui merita prestare attenzione è infine quello
della formazione: riconosciuta da tutti gli intervistati come uno strumento importante su
cui investire, la formazione costituisce tuttavia un fattore estremamente critico, poiché la
crisi e le difficoltà del mercato del lavoro creano una distanza sempre più ampia tra le
competenze acquisite e quelle effettivamente spendibili sul mercato. Come già
evidenziato nelle parole dei lavoratori, non si può imputare tale difficoltà solo alla
scarsa capacità di impatto degli strumenti formativi messi a disposizione dalle istituzioni
locali. Tuttavia, è pur vero che, forse, una riflessione sulle possibilità di un cambiamento
e di una diversa politica formativa può più che mai trovare spazio proprio nel contesto
attuale.
Indubbiamente, rispetto ad altri territori, la Provincia di Massa Carrara è indebolita
anche su questo fronte; come afferma il dirigente dell’Associazione Industriali, infatti,
«il territorio qui è piccolo; se io devo organizzare un corso, un seminario, qui
non c’è il bacino di utenza. La nostra vera, prima difficoltà è che le condizioni
per fare impresa sono difficili, perciò io posso anche fare cultura d’impresa,
ma poi le persone si battono contro la difficoltà della zona. Dopo di che, anche
se guardo i territori più grandi, sia il sistema universitario, sia le associazioni,
non mi sembra siano particolarmente efficaci per sviluppare la cultura
imprenditoriale. Buona parte di questi corsi per far crescere la cultura
imprenditoriale mi sembrano più di routine, più di immagine che sostanza. In
fin dei conti questa cultura è un atteggiamento mentale, che deve essere diffuso,
distribuito e anche condiviso con tutti i soggetti con cui entri in relazione».
C’è, quindi, una prima difficoltà legata al territorio; ma a questa si sommano altri fattori
di criticità, quale per esempio il mancato collegamento tra il sistema scolastico e
universitario ed il mercato del lavoro. Nelle parole del direttore dell’Associazione
Industriale, poi, si esplicita anche un altro rischio, vale a dire quello di una formazione
svolta più per una logica dell’adempimento, che secondo un reale e sostanziale
collegamento con le esigenze e/o le potenzialità del territorio. In questa stessa direzione
si colloca anche l’opinione del segretario della UIL:
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«quello della formazione è un discorso ampio… Per quanto riguarda la Nuova
Pignone, per esempio, abbiamo fatto una formazione per figure specifiche che
servivano alla Nuova Pignone e all’indotto per ricollocare almeno il 60-70% dei
partecipanti al corso, però ora gran parte di questi, il 30-40% è formato, ma non
ha trovato occupazione. Ora è stato fatto un corso dello stesso tipo e io mi chiedo:
ma a cosa serve? Che senso ha? Se abbiamo già messo in campo questa risorsa,
sfruttiamola. Invece l’ottica è quella “la formazione l’abbiamo fatta, punto e
basata”. Si fa tanta programmazione, ma non si ha capacità di cambiarla».
Si avverte cioè la tendenza, o quanto meno il rischio, di svolgere una formazione
svincolata dal territorio, ma svolta più per formalità; in questo senso si muove una
critica anche alla programmazione nel suo complesso, poiché si rischia di convergere
tutte le energie sulla fase di programmazione, ma di non trovare poi il modo, il tempo
e/o la volontà di intraprendere il processo che dalla programmazione conduce ad un
cambiamento effettivo sul territorio.
Al contrario, l’ex-assessore alla politiche per il lavoro e per la formazione sottolinea
come lo sforzo maggiore sia stato proprio quello di «legare le politiche formative con
quelle del lavoro», perché «fermamente convinto che la formazione per se stessa non
serva a nulla». Il tentativo, infatti, è stato quello di legare la formazione con i motori di
sviluppo del territorio; tuttavia, come esplicitato nel passaggio sotto riportato, la
difficoltà è legata alla congiuntura attuale:
«investire sulla formazione è non solo strategico, ma anche fondamentale in questo
momento. Noi su questo territorio abbiamo cercato, in particolare dal 2008 in poi,
di legare le politiche formative con quelle del lavoro […] la formazione serve se è
uno strumento messo a disposizione per le politiche attive del lavoro, messa a
disposizione per creare collegamento con le risorse in campo. Quello che abbiamo
fatto noi in questi anni è stato quello di collegare fortemente la programmazione
della formazione, in particolare quella del FSE ai motori di sviluppo del territorio,
quindi abbiamo chiesto ai soggetti concertativi, quindi alle organizzazioni
sindacali e alle categorie produttive, di legare la formazione ai motori di sviluppo.
Quindi ci siamo concentrati su manifatturiero, lapideo, meccanica, in parte anche
sul turismo…Abbiamo cercato di dedicare la formazione a questo. E quando la
formazione ottiene questi risultati, cioè è legata ai motori di sviluppo, funziona,
aiuta il lavoratore nel suo ingresso nel mercato del lavoro. E’ chiaro che il
momento attuale è talmente difficile che....esempio, noi abbiamo fatto una grossa
formazione nel biennio 2007-8 nel settore nautico, abbiamo lavorato molto per
formare figure che permettessero di completare il ciclo completo. Oggi il problema
è che abbiamo molte persone formate, ma le aziende non hanno commesse, non c’è
lavoro. Questo vale anche per gli altri settori; però io sono convinto che la
formazione molto finalizzata, molto professionale debba essere legata ai motori di
sviluppo,e quindi figure professionali che non sono attinenti alla priorità di questo
territorio in questi anni non le abbiamo fatte».(Ex-assessore alle politiche per il
lavoro e per la formazione)
Risulta evidente come le valutazioni delle associazioni di categoria divergano da quelle
istituzionali e, sicuramente, contribuisce a creare una difficoltà in più per la ripresa del
territorio. Comune a tutti, invece, è la volontà di sviluppare una formazione
effettivamente legata al territorio e capace di attivare i lavoratori in difficoltà. In questa
103
empasse, si può forse individuare un esempio di quella difficoltà, esplicitata dal
segretario della UIL, di tradurre la programmazione in una pratica effettiva di
cambiamento e, ancor di più, la necessità, evidenziata da tutte le parti intervistate, di
sviluppare un ragionamento condiviso, in cui non solo gli obiettivi siano trasversalmente
condivisi, ma anche l’implementazione degli interventi e le loro possibilità di ricaduta.
Un aspetto, quest’ultimo, che sembra incidere davvero pesantemente sul territorio e che
lo penalizza ulteriormente, soprattutto in una fase di crisi come quella attuale, che
richiede più che mai la messa in atto di risposte a livello di sistema. Si tratta di una
difficoltà ampiamente riconosciuta dagli intervistati, ma su cui si fa fatica a promuovere
il cambiamento, alimentando un circuito rischioso tra crisi, segmentazione del territorio
e rigidità tra gli attori del sistema locale.
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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: DALLA CONOSCENZA ALL’AZIONE
La fotografia dei meccanismi di impoverimento che emerge dalla ricerca-azione
condotta all’interno del territorio provinciale di Massa-Carrara si caratterizza per alti
livelli di eterogeneità e dinamicità.
Parallelamente ai percorsi di povertà tradizionalmente conosciuti ne sono emersi di
nuovi. Quest’ultimi non si differenziano dai precedenti per le manifestazioni concrete
della condizione di disagio (povertà come carenza di reddito), ma si distinguono per la
diversa biografia delle persone coinvolte. Si pensi alle diversità emerse in merito alla
capacità di estensione del raggio di azione dei fattori di vulnerabilità.
Di grande interesse è anche l’eterogeneità delle caratteristiche, negli atteggiamenti
e nelle capacità di risposta, dei “nuovi poveri”, che risultano fortemente disorientati e
faticano ad accettare la loro condizione, in quanto tale cambiamento implica una
modificazione nei delicati equilibri della propria percezione identitaria.
Le narrazioni raccolte ci mostrano anche un quadro di persone che, nel complesso,
sono tutt’altro che rassegnate e soggiogate dalla condizione di deprivazione. Ciò che
emerge è un universo di individui che quotidianamente si adoperano per la costruzione di
strategie di resistenza alla situazione di disagio e che si impegnano per aprire nuove strade
verso la fuoriuscita dalla povertà.
Particolarmente significativo e prezioso ai fini della presente ricerca e, in generale,
per il committente istituzionale interessato ad intervenire sul sistema delle politiche di
lotta alla povertà, è l’elevato grado di consapevolezza e riflessività che le persone
intervistate dimostrano in relazione alla comprensione dei fattori e dei processi che
incidono negativamente nella definizione dei loro livelli di benessere.
Stessa cosa si può affermare con riferimento allo spirito collaborativo che emerge
dal rapporto con il servizio sociale volto alla costruzione di progetti di intervento
personalizzati, vale a dire in grado di andare ad agire sulle condizioni specifiche che
hanno condotto all’insorgenza della condizione di deprivazione, anche attraverso
l’assunzione di doveri e responsabilità reciproche.
Nelle operazioni di fronteggiamento, però, le persone sembrano sentirsi piuttosto
sole, sia per quanto riguarda la possibilità di fare ricorso alla rete di relazioni informali
(frequentemente limitata numericamente in origine, oppure erosa dal protrarsi della
condizione di disagio), sia con riferimento alla possibilità di ricevere un aiuto da parte del
sistemi di protezione sociale.
Particolarmente forte è la preoccupazione per l’impossibilità di percepire un
cambiamento a breve della attuale congiuntura economica sfavorevole. Tale situazione di
stallo desta forte inquietudine perché sembra condannare le persone, risucchiate nel
vortice della povertà, alla permanenza per un periodo di tempo indeterminato nella
condizione di deprivazione e assistenza da parte dei servizi sociali territoriali.
Proprio il desiderio di ritrovare un’autonomia economica rappresenta infatti la più
grande aspirazione per se stesi e per il futuro dei propri figli. In questo senso la possibilità
di faticare molto per il suo raggiungimento non intimorisce.
105
Difficile stabilire quali delle diverse tipologie di soggetti emerse dall’analisi dei
materiali raccolti avverta di più il peso della deprivazione: le famiglie numerose, i
cittadini immigrati, gli uomini adulti disoccupati oppure le nuove generazioni.
Possiamo invece affermare che ognuno di essi è interessato da meccanismi di
impoverimento che si combinano tra di loro in maniera diversa e, per questo, necessitano
di interventi di contrasto alla povertà differenti, fortemente mirati e organici, superando
così i limiti derivanti dalla frammentazione.
Una delle vie principali all’investigazione del fenomeno è stata la valorizzazione
delle esperienze personali dei soggetti intervistati, sia per l’analisi delle manifestazioni del
fenomeno della povertà, sia con riferimento all’individuazione delle possibili strategie di
fuoriuscita, anche grazie al ricorso degli interventi di contrasto di natura istituzionale.
Tale operazione ha rappresentato il primo passo verso la costruzione in un
rapporto dialogico tra i diversi soggetti protagonisti del fenomeno studiato che ha trovato
spazio per un suo ulteriore sviluppo all’interno successiva fase della ricerca.
Nella seconda parte dei lavori, infatti, tutti gli attori coinvolti (cittadini,
rappresentati istituzionali, assistenti sociali e ricercatori) hanno attuato un percorso di
confronto e riflessione attiva. Attraverso la considerazione delle specificità tipiche delle
manifestazioni più recenti dei processi di impoverimento e delle declinazioni particolari
assunte dagli stessi nel territorio, è stato possibile effettuare una valutazione dei pregi, dei
limiti e delle potenzialità dell’attuale sistema di servizi e per giungere alla formulazione di
un primo insieme di proposte per un loro miglioramento. Grazie al lavoro riflessivo
comune e condiviso, sviluppato a partire dai materiali raccolti, infatti, si è giunti alla
definizione di alcune ipotesi di miglioramento con riferimento alle strategie di contrasto
attualmente già attivate sul territorio. A questo punto del lavoro spetta alla componente
istituzionale valutare possibilità e modalità di attuazione delle stesse.
Elemento degno di nota è rappresentato dal fatto che la procedura attraverso la
quale i contenuti racchiusi in questo report sono emersi può essere vista come una piccola
esemplificazione di quella che possiamo definire una diversa forma mentis attraverso la
quale giungere alla conoscenza dei fenomeni e progettare strategie di intervento.
Attraverso la prospettiva adottata, la descrizione del problema povertà è emersa
dalla partecipazione e dall’ascolto di testimoni, che hanno vissuto in prima persona gli
effetti delle problematiche studiate, e si è nutrita della riflessione di figure professionali
alla luce del loro ricco bagaglio di esperienze lavorative nella lotta alla povertà. Si tratta di
un modo alternativo rispetto a quello tradizionalmente utilizzato, attraverso il giungere
alla definizione dei migliori strumenti di intervento nelle loro diverse fasi di costruzione:
programmazione, progettazione e erogazione dei servizi.
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