Da Degas in tutù a Munch alcolizzato I segreti dei capolavori della
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Da Degas in tutù a Munch alcolizzato I segreti dei capolavori della
LaVerità MARTEDÌ 22 NOVEMBRE 2016 21 Z VIAGGIO NELLA STORIA DELL’ARTE AMMIRATI A sinistra, La lezione di danza di Edgar Degas, uno dei più famosi pittori impressionisti, che mimava i gesti delle ballerine per rendere al meglio i loro movimenti. Sotto, la copertina di Cinquanta quadri di Lauretta Colonnelli (Edizioni Clichy) Da Degas in tutù a Munch alcolizzato I segreti dei capolavori della pittura Tutti li hanno visti ma in pochi li conoscono davvero. In «Cinquanta quadri», Lauretta Colonnelli racconta cosa si nasconde dietro la tela. «Una volta rivelata la loro vita intima, i dipinti diventano come vecchi amici» di EMANUELA MEUCCI n Per riprodurre le sue ballerine, Edgar Degas mimava piroette e arabesque nel suo studio di Parigi. Secondo le cronache dell’epoca, l’artista mostrava i suoi quadri unendo: «la spiegazione con la mimica di uno sviluppo coreografico, con l’imitazione, secondo il gergo delle ballerine, d’una delle loro arabesques. Ed è davvero divertente vederlo, sulle punte, con le braccia in alto». Andy Warhol ha dato vita alla Pop Art ispirato dalla lattina di zuppa di pomodoro Campbell, unica fonte di sostentamento della sua famiglia durante la Grande Depressione. Mentre il Cristo morto del Mantegna, opera-simbolo della Pinacoteca di Brera, è arrivato a Milano con un sotterfugio. La famiglia Aldobrandini, romana, aveva venduto la tela al museo, ma lo Stato Pontificio rifiutava di farla uscire dai suoi confini: non restava che trafugarla. Compito a cui si prestò Antonio Canova, che la nascose in una cassa usata per spedire una delle sue sue sculture. Misteriosamente, la tela arrivò a destinazione, mentre la statua finì in mille pezzi. Questo è solo un assaggio di Cinquanta quadri di Lauretta Colonnelli (Edizioni Clichy), una piccola guida ai dipinti che tutti pensiamo di conoscere perché li abbiamo visti almeno una volta nella vita. Se non in un museo, almeno riprodotti su poster, calamite, souvenir. In realtà, però, ognuna di queste opere nasconde una storia segreta di cui ignoriamo tutto o quasi. E che l’autrice svela sfruttando piccole curiosità, dettagli tecnici e le biografie degli artisti. «Capita che un giorno, camminando nelle sale di un museo o seguendo il percorso di una mostra, ci troviamo all’improvviso davanti al quadro vero, all’immagine originale» scrive nell’introduzione Lauretta Colonnelli. «E sobbalziamo come davanti a un vecchio amico che riconosciamo subito, anche se non ne rammentiamo più il nome, perché la sua fisionomia è rimasta identica. È vero che ci è familiare, ma nel modo in cui può esserlo la pubblicità di un’automobile, di un accessorio di moda, di una bevanda, di una poltrona, di un sapone. Invece il quadro vero custodisce sempre una sua storia segreta e meravigliosa, e scoprire i particolari di questa storia ci provoca le stesse emozioni, lo stesso stupore che proveremmo ad ascoltare il nostro amico mentre ci racconta la sua vita vissuta lontano da noi, piena di avventure che mai avremmo immaginato. In questo volume ho voluto raccontare la vita intima e misteriosa di 50 dipinti scelti tra i più famosi della storia dell’arte. Famosi non per essere i più belli o i più preziosi, ma perché sono quelli che ci passano continuamente davanti agli occhi, camuffati in altre forme. Quando i personaggi, i paesaggi e gli oggetti che li animano non avranno più segreti, questi quadri diventeranno amici davvero, e per sempre». © RIPRODUZIONE RISERVATA «RAGAZZA CON ORECCHINO DI PERLA» Jan Vermeer «IL BACIO» Francesco Hayez «L’URLO» Edvard Munch n La fortuna del quadro (datato 1665-1667) sta nel mistero emanato dalla protagonista. Una popolana, non una nobile, come proverebbe il velo che le copre i capelli. Probabilmente l’artista non ha ritratto una donna vera, ma una tronijes, una «testa di carattere», usata perché meno costosa delle modelle in carne e ossa. Anche l’orecchino divide gli studiosi: si tratta di una perla vera (in questo caso, un popolana come avrebbe fatto a permettersene una?), oppure di un falso (per i tempi all’avanguardia) realizzato con una sfera di vetro riempita di essence d’Orient, una mistura di cera bianca e scaglie di leucisco, un pesce di fiume argentato? Quello che in pochi notano è che la bellezza della (presunta) popolana deriva dal fatto che la luce non arriva da una fonte esterna alla tela, ma dall’interno della giovane. I suoi occhi, così intensi grazie alle pupille dilatate, svelano un’altra usanza del tempo: l’uso di un collirio a base di atropina per ingrandirli. Questa versione de Il bacio (1859) è la più celebre delle tre realizzate dall’artista. E, anche se il quadro è diventato un simbolo dell’amore romantico, in realtà aveva un significato politico. In pieno Risorgimento, il giovane vestito con i colori della bandiera italiana non poteva che essere un rivoluzionario costretto ad abbandonare l’amata per combattere nelle guerre d’Indipendenza. Sopite le passioni patriottiche, la tela è rimasta nell’immaginario collettivo. Negli anni Venti, Luisa Spagnoli, la creatrice dei Baci, scelse di riprodurre gli amanti sulla scatola dei suoi cioccolatini. E negli anni Cinquanta Luchino Visconti nel film Senso ricreò la scena con i due protagonisti, la contessa Livia Serpieri (Alida Valli) e l’ufficiale austriaco Franz Mahler (Farley Granger). Nonostante il successo generale, non è mancato almeno un detrattore dell’opera: secondo il pittore futurista Carlo Carrà, la ragazza sembrava «vestita di latta». «Poteva essere dipinto solo da un pazzo»: è questa la scritta che Edvard Munch aggiunse al suo Urlo (1893), realizzato in quattro diverse versioni e diventato il simbolo del malessere esistenziale dell’uomo moderno. L’autore, che ebbe una vita tormentata, fra alcolismo, ricoveri, crolli nervosi, vagabondaggi e amori infelici, aveva deciso di fare così il suo autoritratto: «Camminavo lungo la strada con due amici, quando il sole tramontò e il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto al parapetto. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo di paura, e sentii un grande urlo infinito che attraversava la natura». Anche il gesto di coprirsi le orecchie per zittire i propri pensieri è autobiografico: Munch lo vide fare alla sorella Sophie (poi uccisa dalla tubercolosi) davanti alla madre morta.