La Tabula rasa, installazione site-‐specific di Nicoletta Freti alla Villa

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La Tabula rasa, installazione site-‐specific di Nicoletta Freti alla Villa
La Tabula rasa, installazione site-­‐specific di Nicoletta Freti alla Villa Camozzi di Ranica Una bambina dice all’artista: mi piace la cosa che hai fatto, c’è acqua e respira. Un vaso sferico pieno d’acqua proietta l’immagine capovolta di una finestra su una pergamena che oscilla leggera al passaggio del pubblico, ma non cade perché ha un ancoraggio invisibile al pavimento. Gli elementi costitutivi del mondo – terra, acqua, aria, luce – sono uniti in modo così semplice da produrre un impatto immediato su chi guarda, ma anche così complesso da stimolare uno sforzo di riflessione. La boccia d’acqua funziona come il corpo vitreo dell’occhio, che porta i raggi luminosi a formare immagini capovolte degli oggetti sullo schermo della retina. La res extensa del mondo entra nell’occhio e si ferma alla barriera della retina, dietro la quale c’è una res cogitans che con queste immagini costruisce un mondo interno di sensazioni e pensieri. Nell’installazione c’è per la res cogitans una nicchia apposita. Entrandovi, lo spettatore vede davanti a sé la parte posteriore della pergamena/retina, e sopra di sé un’altra piccola pergamena recante la scritta “Chi è colui che guarda la bianca tela nel fondo dell’occhio?”. La frase si trova nella Diottrica di Cartesio, ma l’interrogazione è dell’artista. Chi è il soggetto nascosto dietro la retina? Domanda che sottintende l’altra: che rapporto c’è tra questo soggetto e l’oggetto che sta dall’altra parte della bianca tela?, e sembra anche suggerire una direzione per la ricerca: che cos’altro unisce i due mondi, se non la luce? Uscendo dalla nicchia, lo spettatore che non si è sottratto alla riflessione provocata dalla domanda può incontrare, lasciato quasi casualmente sul pavimento, un tondo di cartone argentato su cui sono disegnate con un tratto puntinato delle figure allegoriche: un fanciullo che tiene in mano una sfera e una donna con un compasso. Il tondo argentato si collega, come la sfera in mano al fanciullo, alla boccia d’acqua, il compasso richiama la geometria della rifrazione luminosa, ma manca ancora qualcosa. Che senso hanno le figure, in questo contesto? Ricordando che l’opera è una installazione site-­‐specific, lo spettatore prima si guarda intorno, poi volge lo sguardo in alto. In esatta corrispondenza con il tondo sul pavimento scorge affrescato sul soffitto il tondo originale, di cui il primo rispecchia i contorni. E’ ancora la luce che collega l’alto al basso, il passato al presente, il dentro al fuori, il soggetto all’oggetto, in un gioco di rimandi in cui ogni cosa è unita a un’altra, in una rete di reciproche appartenenze al cui interno ogni elemento trova la sua ragione d’essere. Torniamo così alla bianca tela, alla tabula rasa su cui si disegnano infiniti mondi possibili senza che il bianco della luce e della tela ne sia minimamente intaccato. La domanda che ha dato il via alla riflessione – chi è colui che guarda – porta al risultato vertiginoso di un soggetto la cui identità è legata alla luce e alla tela bianca, piuttosto che a qualsiasi forma o storia la luce abbia proiettato sulla tela. Un esito liberatorio, ma tanto più inquietante per il soggetto quanto più profonda è l’identificazione con la storia e le forme in cui si incarna la sua vita. D’altra parte, se si vuole che l’arte sia una pratica liberatoria, non ci si potrà attendere che sia anche consolatoria. Tullio Carere Comes Istituto Mario Negri Villa Camozzi Ranica (Bergamo).
7 artiste per la ricerca
Mariella Bettineschi Silva Cavalli Felci Sonia Ciscato Nicoletta Freti Valentina Persico Alfa Pietta
Maria Clara Quarenghi
Presentazione a cura di Paola Tognon
Inaugurazione stampa e pubblico: domenica 14 novembre 2010 ore 11.00